Giornalino STAMPA 29-03-2017 · Quello che le donne non dicono? Quello che le donne non sono? Ma le...

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La Redazione LA BUONA? SCUOLA I l l Iceale Pag. 2 Pag. 9 Offerta libera Numero 1 2017 Quello che le donne non di Simone cigliano Pag. 5 di G. Scotti Una vita in un istante. Attimi di pura bellezza, inafferrabili. Una vita che appa- re circoscritta da un mondo illusorio, ove la realtà è un lontano orizzonte, come lontane sono le relazioni con l’altro. Il lavoro di domani richiederà persone creative, competenti, flessibili, capaci di imparare mestieri che non sono stati ancora inventati. Una sfida che la scuola non può permettersi di perdere. di R. Garbaccio Pag. 4 di G. Scotti Pag. 3 di L. Cristiano alternanza e licei le notti Bianche ghetto-europa: cronaca di un olocauSto annunciato Rieccoci Una breve analisi dei più recenti decreti della legge 107, o “come rovinare un si- stema scolastico e vivere felici”. Perchè il liceo non è un tecnico, e lo stu- dente non è un operaio. Fu così che gli Ebrei si ritrovarono a fare quello che i Cristiani consideravano sconveniente, come il prestito di denaro, pratica che li rendeva obbiettivi delle rappresaglie degli insolventi, rappresaglie che spesso i potenti usavano per poter- si appropriare dei patrimoni dei ricchi Ebrei. Anche l’Ottocento, nonostante i pieni di- ritti politici concessi loro in quasi tutta Europa, fu un periodo molto duro per gli Ebrei. “Perchè Auschwit z? Perchè Mauthausen? Questi interrogativi hanno sconvolto il cuore morale del X X secolo “ Perché Auschwitz? Perché Mauthausen? Sono interrogativi che hanno sconvolto il cuore morale del XX secolo facendo emergere, al contempo, il dolore delle vittime, la voglia di dimenticare e l’im- perativo di ricordare. Proprio la voglia di obliare ha giocato a favore di chi vuole sostenere che solo il nazismo ha, fin dalle sue origini, professato l’antisemitismo. Ma le cose stanno in tutt’altro modo. Già nella Milano del Rinascimento, agli Ebrei era imposto di portare una O gialla sui vestiti per farsi riconoscere e a Ve- nezia nasceva il primo ghetto d’ Europa. E pensare che i Milanesi non fecero altro che applicare quanto stabilito dalla Chie- sa Romana nel IV Concilio Lateranense del 1213. A questa imposizione si aggiun- gevano il divieto per gli ebrei convertiti, i cosiddetti Marrani, di tornare alla propria fede e quello di ricoprire cariche pubbli- che e praticare alcuni mestieri. Quello che le donne non dicono? Quello che le donne non sono? Ma le risposte, quelle risposte tanto agognate, ma mai espresse? Dove sono? Riparte “Il Liceale”, il giornale nato lo scorso anno, voluto e realizzato da noi - ragazzi del Liceo “Ischia” - per dare voce alle nostre idee. Più o meno la stessa l’impostazione per il nuovo Il Liceale: la pagina di politica: “Infuria la Bufera”, quella di scienze: “Backstreet Boyle,” quella letteraria: “Amici di Pennac,” lo sport: “90 Minuti per pensare”, attualità: “SendNews”, cultura: “Un Libro, un Luogo, un film”, e infine, a grande richiesta, La pagina dedicata ai prof: “Magister Docet” e la pagina dedi- cata a tutti voi che ci inviate i vo- stri articoli: “Vox Populi, Vox Diarii”. E c’è anche una notizia, anzi due: Il Liceale sbarca sul Web. Insieme al cartaceo avremo infatti anche la versione on line. E siamo anche su Repubblica.it. Sì, avete capito bene! Siamo stati selezionati tra le poche scuole della Campania per partecipa- re al progetto “Studenti Reporter”. E che soprattutto ospiterà Il Liceale in una versione grafica raffinatissima,. Queste ad altre iniziative entrano a far parte di un progetto di gior- nalismo vero e proprio che si chia- ma Reporter e che è organizzato dal nostro liceo nell’ambito delle ore di alternanza scuola lavoro. Per questo lavoro e per quello che faremo, un ringraziamento speciale al dirigente scolastico Gianpietro Calise grazie al quale siamo riusciti lo scor- so anno a creare il giornale e adesso a riaprire per la nuova edizione. A Michelangelo Messina e agli altri va- lorosi tecnici che ci supportano e ci sopportano sempre e comunque. Alla prof. Roberta Garbaccio e al prof. Pino Falato grazie ai quali diventeremo una vera e propria redazione giornalistica. Il Liceale è naturalmente lieto di ac- cogliere nuovi aspiranti giornalisti e scrittori. Quindi se avete idee, voglia di mettervi in gioco, di lavorare duro e di farvi una bella risata, contattateci alla mail del giornale [email protected]. Non ve ne pentirete. il giornale del liceo Statale iSchia

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La Redazione

LA BUONA? SCUOLA

I l l I c e a l e

▶ Pag. 2

♣ Pag. 9

Offerta libera Numero 1 2017

Quello che le donne non

di Simone cigliano

♠ Pag. 5di G. Scotti

Una vita in un istante. Attimi di pura bellezza, inafferrabili. Una vita che appa-re circoscritta da un mondo illusorio, ove la realtà è un lontano orizzonte, come lontane sono le relazioni con l’altro.

Il lavoro di domani richiederà persone creative, competenti, flessibili, capaci di imparare mestieri che non sono stati ancora inventati. Una sfida che la scuola non può permettersi di perdere.

di R. Garbaccio

♥ Pag. 4di G. Scotti♦ Pag. 3di L. Cristiano

alternanza e licei le notti Bianche

ghetto-europa: cronaca di un olocauSto annunciato

RieccociUna breve analisi dei più recenti decreti della legge 107, o “come rovinare un si-stema scolastico e vivere felici”.Perchè il liceo non è un tecnico, e lo stu-dente non è un operaio.

Fu così che gli Ebrei si ritrovarono a fare quello che i Cristiani consideravano sconveniente, come il prestito di denaro, pratica che li rendeva obbiettivi delle rappresaglie degli insolventi, rappresaglie che spesso i potenti usavano per poter-si appropriare dei patrimoni dei ricchi Ebrei.Anche l’Ottocento, nonostante i pieni di-ritti politici concessi loro in quasi tutta Europa, fu un periodo molto duro per gli Ebrei.

“Perchè Auschwitz? Perchè Mauthausen?

Questi interrogativi hanno sconvolto il cuore morale del

X X secolo “

Perché Auschwitz? Perché Mauthausen? Sono interrogativi che hanno sconvolto il cuore morale del XX secolo facendo emergere, al contempo, il dolore delle vittime, la voglia di dimenticare e l’im-perativo di ricordare. Proprio la voglia di obliare ha giocato a favore di chi vuole sostenere che solo il nazismo ha, fin dalle sue origini, professato l’antisemitismo. Ma le cose stanno in tutt’altro modo. Già nella Milano del Rinascimento, agli Ebrei era imposto di portare una O gialla sui vestiti per farsi riconoscere e a Ve-nezia nasceva il primo ghetto d’ Europa.E pensare che i Milanesi non fecero altro che applicare quanto stabilito dalla Chie-sa Romana nel IV Concilio Lateranense del 1213. A questa imposizione si aggiun-gevano il divieto per gli ebrei convertiti, i cosiddetti Marrani, di tornare alla propria fede e quello di ricoprire cariche pubbli-che e praticare alcuni mestieri.

Quello che le donne non dicono? Quello che le donne non sono? Ma le risposte, quelle risposte tanto agognate, ma mai espresse? Dove sono?

Riparte “Il Liceale”, il giornale nato lo scorso anno, voluto e realizzato da noi - ragazzi del Liceo “Ischia” - per dare voce alle nostre idee. Più o meno la stessa l’impostazione per il nuovo Il Liceale: la pagina di politica: “Infuria la Bufera”, quella di scienze: “Backstreet Boyle,” quella letteraria: “Amici di Pennac,” lo sport: “90 Minuti per pensare”, attualità: “SendNews”, cultura: “Un Libro, un Luogo, un film”, e infine, a grande richiesta, La pagina dedicata ai prof: “Magister Docet” e la pagina dedi-cata a tutti voi che ci inviate i vo-stri articoli: “Vox Populi, Vox Diarii”. E c’è anche una notizia, anzi due: Il Liceale sbarca sul Web. Insieme al cartaceo avremo infatti anche la versione on line. E siamo anche su Repubblica.it. Sì, avete capito bene! Siamo stati selezionati tra le poche scuole della Campania per partecipa-re al progetto “Studenti Reporter”. E che soprattutto ospiterà Il Liceale in una versione grafica raffinatissima,.Queste ad altre iniziative entrano a far parte di un progetto di gior-nalismo vero e proprio che si chia-ma Reporter e che è organizzato dal nostro liceo nell’ambito delle ore di alternanza scuola lavoro. Per questo lavoro e per quello che faremo, un ringraziamento speciale al dirigente scolastico Gianpietro Calise grazie al quale siamo riusciti lo scor-so anno a creare il giornale e adesso a riaprire per la nuova edizione. A Michelangelo Messina e agli altri va-lorosi tecnici che ci supportano e ci sopportano sempre e comunque. Alla prof. Roberta Garbaccio e al prof. Pino Falato grazie ai quali diventeremo una vera e propria redazione giornalistica. Il Liceale è naturalmente lieto di ac-cogliere nuovi aspiranti giornalisti e scrittori. Quindi se avete idee, voglia di mettervi in gioco, di lavorare duro e di farvi una bella risata, contattateci alla mail del giornale [email protected]. Non ve ne pentirete.

il giornale del liceo Statale “iSchia”

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Le torture moderne di una società “evoluta”

II

I nuovI Lager

ghetto-europa:cronaca dI un

oLocausto annuncIato.Mille volti, forme e motivi di un odio subdolo e millenario

di Il54Percento

di Simone cigliano

perché il lesbismo non era riconosciuto come tale: una donna lesbica era ritenuta asociale.Le terapie di conversione, o riparative, sono molteplici e differiscono per l’ap-proccio verso il “paziente”. Tra le varie tecniche troviamo:• Terapia dell’avversione: consiste nel far associare al paziente l’oggetto del desi-derio ad una sensazione di dolore pro-curata da frustate, bastonate o ancora da scariche elettriche.• Terapia dell’elettro-convulsione: i pa-zienti vengono immobilizzati e sottoposti a scariche elettriche continue .• Terapie ormonali: il presupposto di questo tipo di “cura” è che l’omosessua-lità derivi da livelli di testosterone bassi. Pertanto si imbottiscono di questo ormo-ne i gay, ma gli effetti non sono quelli desiderati e anzi, proprio l’opposto. • La preghiera e l’esorcismo: si tratta di pratiche legate alla fede, ma nei “centri di conversione”, spesso, vengono sommini-strate punizioni corporali oltre alla sem-plice preghiera.

È una prassi oramai acquisita quel-la di celebrare la memoria delle vittime dell’Olocausto condannando l’antisemiti-smo e la tragedia della Sho’ah.E le altre vittime? Discutendo di questo ulteriore genocidio arriviamo a ricordarli appena: neri, portatori di handicap, te-stimoni di Geova, oppositori politici, pri-gionieri di guerra, rom, malati mentali e omosessuali.Questi ultimi, arrivati nel campo, veniva-no differenziati fra “omosessuali abituali” e “omosessuali ambientali”: i primi era-no considerati incurabili, quindi utilizzati come cavie da laboratorio (nella maggio-ranza dei casi si trattava di donne-trans ritenute “talmente gay da voler cambiare sesso” - convinzione che molti hanno tutt’oggi) e sottoposti a vivisezioni e tor-ture di vario genere a scopi “scientifici”. Gli omosessuali ambientali, invece, erano ritenuti vittime di circostanze esterne e destinati al carcere, ai lavori forzati e a cure psichiatriche specifiche, cioè a te-rapie di conversione. Come omosessuali, inoltre, erano considerati solo i maschi

Molte altre erano e sono le terapie, o me-glio le torture, che venivano e vengono imposte a molti omosessuali. Per citarne alcune: lobotomia, vasectomia, castra-zione. Tutte le maggiori organizzazioni di sanità mondiali hanno espresso non poca preoccupazione verso questi trat-tamenti scoraggiando i medici dal con-sigliare, ai propri pazienti terapie simili. Purtroppo essi non possono comportarsi altrimenti finché queste cliniche non ver-ranno chiuse e rese illegali.Sapevate che in Italia ci sono molti centri di cura per omosessuali? Molti genitori condannano i propri figli mandandoli in queste strutture procurando loro traumi comportamentali e fisici che si protrar-ranno per tutta la loro vita.L’omosessualità non è una malattia, né una perversione, dall’ 11 maggio del 1990, quando l’OMS ritirò l’omosessualità dalla sua lista di malattie. È ora di una presa di coscienza comune; è il momento giusto per chiudere questi lager!

Nella Russia degli Zar le autorità, con l’appoggio della Chiesa Ortodossa, erano solite aizzare il popolo contro la popo-lazione ebraica. Il libro di propaganda antigiudaica in cui è esposta la tesi della congiura di un’ èlite oligarchica giudai-ca per soggiogare il mondo. ‘’I Proto-colli’’, anche se presto riconosciuti come falsi, ebbe una diffusione mondiale di-venendo strumento della propaganda nazista con tanto di citazione nel ‘’Mein Kampf’’, e di quella filo-zarista durante la rivoluzione d’ottobre che accusava i bolscevichi di essere agenti del com-plotto giudaico. E’ a partire dalla seconda metà dell’Ot-tocento che si inizia a parlare di uno

Stato capace di accogliere la popolazio-ne di origine ebraica, ma il sionismo è per molti ebrei una pura chimera. Ciò nonostante i movimenti nazionalisti iniziano già a additare gli ebrei come dei nemici che complottano per i loro loschi fini antipatriottici per cui sono una razza inferiore da sradicare.Il primo Novecento, e in particolar modo gli anni della Seconda Guerra Mondiale, sono per gli Ebrei gli anni di una cata-strofe unica nelle sue forme e propor-zioni: la Sho’ah. Le violenze nazifasciste si protraggono per più di dieci anni, ma il mondo non volle vedere l’imminen-te tragedia e le Olimpiadi di Berlino del 1936 ne furono un esempio (solo una

schermitrice di origine ebraica fu accol-ta nella selezione tedesca).Già solo questo breve resoconto di fatti e misfatti fa emergere ombre lunghe e lugubri sulla storia dell’Europa, ombre che però vanno studiate con attenzio-ne affinchè ciò che è stato non avvenga mai più. Ma già solo osservare il com-portamento di questo popolo nei con-fronti dei Palestinesi nella seconda metà del ‘900 (nel 1948 fu ufficializzata la fondazione dello Stato di Israele) non può non far pensare che la situazione sia più complessa e ben più difficile per tutti gli oppressi della Terra.

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IIIInfurIa la Bufera

di luca criStiano

“Si sta lentamente

trasformando il

liceo in un ibrido

tra un istituto

tecnico [...] e

la scuola delle

conoscenze che

era un tempo.”

“Proviamo a

cercare l’origine

del male: il giorno

16 lugio 2015

entra in vigore la

legge numero 107,

l’ennesima legge

di riforma della

scuola.”

Il 16 Gennaio sono stati trasmessi alle camere gli otto decreti attuativi della legge 107, comunemente nota come “La Buona Scuola”. Di questi, suscita particolare scalpore l’atto numero 384, “recante norme in materia di valu-tazione e certificazione delle com-petenze nel primo ciclo ed esami di

deve fare” ad ogni costo senza badare alle conseguenze. La legge 107 è stata, fin dal principio, forma senza sostan-za. «Adeguiamoci!» si è detto, non «miglioriamo!».Oltre ad alterare in maniera profonda il sistema scolastico, si va ora a rifor-mare anche l’esame di Stato. Da dove cominciare, dunque, ad ana-lizzare i fallimenti della riforma e, in particolare, dei più recenti decreti at-tuativi? Un buon punto di partenza possono essere proprio i tre elementi precedentemente elencati. Poche parole dedicheremo alla rimo-zione della necessità della sufficienza in ogni disciplina per l’accesso all’esa-me di Stato, perché le ragioni per op-porvisi sono per la maggioranza ov-vie. Infatti il percorso scolastico dello studente viene ridotto a un unico va-lore matematico, rendendo ancora meno valido un metodo di valutazio-ne già fin troppo sensibile agli errori. Inoltre non viene nemmeno ricercata una media ragionata che tenga conto del “peso” delle discipline curriculari rispetto alle altre – il 10 in educazione fisica annulla di fatto un 2 in mate-matica, il 9 in condotta garantisce la possibilità di accedere all’esame pur avendo 3 in una disciplina di indirizzo.A colpire – e forse anche affondare - sono però le alterazioni che subisce lo stesso esame. Le prove scritte sono ridotte e, per quanto questo possa “rallegrare” diversi alunni, tale cam-biamento aumenta il grado di arbi-trarietà del voto di maturità. La valutazione delle prove scritte, in precedenza, rappresentava la metà del punteggio finale, e, se un ottimo orale non è stato sempre garanzia di un ot-timo esame, un pessimo scritto è sem-pre stato foriero di un pessimo esame. A questo si aggiunge che il criterio di valutazione dell’esame scritto è og-gettivo, mentre i criteri per l’esame orale sono più flessibili e condizionati dalla suscettibilità del corpo-docente. Tutti questi fattori sono sufficienti a

rendersi conto dell’importanza del-la prova scritta e della necessità per quest’ultima di essere una componen-te basilare dell’Esame di Stato.Come se non bastasse, la rimozio-ne della prova si accompagna a una totale ristrutturazione dei criteri di assegnazione dei punteggi che tiene conto della Alternanza Scuola-Lavo-ro e che va a introdurre, anche all’in-terno dei licei, la formulazione di un progetto didattico al posto della tra-dizionale “tesina”. Il numero di crediti viene aumentato a 40 punti ma, oltre che al voto, esso è ora subordina-to alla valutazione del percorso ASL dell’alunno. Fin troppa importanza si dà alle “competenze”, ignorando che il liceo non è un istituto tecnico-pro-fessionale.Insomma, si sta lentamente trasfor-mando il liceo in un ibrido tra un istituto tecnico, “scuola delle compe-tenze lavorative” per antonomasia, e la “scuola delle conoscenze” che era un tempo. Un ibrido che suscita tanti dubbi sul suo funzionamento e il cui risultato finale non darà mai né le competenze di un istituto tecnico, né le conoscenze di un “vecchio” liceo.

Stato”, soprattutto a riguardo del Capo II, “Esame di Stato nel Secondo Ciclo di Istruzione”.Tre cambiamenti in particolare la-sciano perplessi molti studenti o in-segnanti: 1) il passaggio a un criterio di ammissione basato sulla sufficienza della media scolastica – sarà suffi-ciente avere votazione media non inferiore a sei per essere ammessi all’Esame di Stato; 2) la riduzione del-le prove scritte da tre a due; 3) l’in-troduzione nel colloquio orale e nella valutazione finale del percorso di Al-ternanza Scuola-Lavoro (ASL) anche per i licei.Proviamo a cercare l’ “origine” del male: il giorno 16 luglio 2015 entra in vigore la legge numero 107, l’ennesi-ma legge di riforma della scuola. Tralasciando i problemi causati dal passaggio in ruolo di migliaia di do-centi, ciò che più colpisce è come l’a-deguamento alle direttive europee sia stato trattato secondo la logica del “si

Come uccidere un sistema scolastico e vivere felici.

La Buona scuoLa: ed è suBIto rIforma

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IV Stile Corinzio

di manuel ottato e Stefano patalano di ludovica caStaldidi giulia Scotti

un caLcIo aLLa mortesIamo schIavI deLLa moda?QueLLo che Le donne nonIl calcio: uno sport che per molti di noi rappresenta uno stile di vita. C’è chi ado-ra praticarlo e chi preferisce seguirlo e commentarlo. Ma, un giorno del caldo agosto del 1942, questo sport rappresentò davvero una questione di vita o di mor-te. Questa storia secondo alcune persone non è mai avvenuta o non andava come la leggenda racconta. I fatti: ci trovia-mo in Ucraina in piena seconda guerra mondiale, periodo in cui le truppe nazi-ste di Hitler sembravano inarrestabili. Un gruppo di ex calciatori ucraini è costretto a lavorare in un panificio come prigio-nieri di guerra. Il gioco del calcio è il loro unico mezzo di evasione. Successiva-mente formano una squadra che pren-de il nome Start Fc. Inizialmente giocano contro i tedeschi della Luftwaffe in una partita amichevole in cui stravincono per 5 a 1. È un’umiliazione per i tedeschi che non prendono per nulla bene la sconfitta. Infatti, proprio quest’ultimi organizzano un torneo a cui partecipano anche ru-meni, ungheresi e altre squadre e come da pronostici in finale arrivano proprio lo Start e la squadra tedesca, ma stavolta è diverso. I tedeschi elevano il tasso tec-nico della squadra. Infatti la Luftwaffe ha messo insieme i migliori ufficiali delle SS in grado di giocare a pallone. Si trovano di fronte guardie e prigionieri, e nessuno vuole fare un torto agli ufficiali tedeschi, tanto meno l’arbitro, tra l’altro tedesco. I tedeschi si cambiano in uno spogliatoio, quelli dello Start in una baracca di legno. Prima di cominciare a giocare è consue-tudine fare il saluto a Hitler ma gli Ucrai-ni non lo fanno; urlano soltanto il proprio motto prima dell’inizio della partita. Nei primi minuti i tedeschi vanno subito on vantaggio e sembra che il risultato sia scontato. Ma subito lo Start pareggia;do-podichè l’arbitro annula loro due reti per sospetto fuorigioco. Fine primo tempo 1 a 1. Alcuni calciatori tedeschi ordinano ai giocatori dello Start di perdere onde evitare una figuraccia. Secondo tem-po durissimo, la partita diventa molto combattuta, ma alla fine lo Start mette a segno altre 4 reti. Nei giorni successivi alcuni soldati si presentano nel panificio dove lavorano i calciatori che li avevano sconfitti, li portano via e li fucilano dopo averli torturati uno ad uno. E provate a dire che era solo una partita.

Capelli di diverse sfumature di blu e verde, Adidas Superstar ai piedi, ri-svoltini. E così l’anno scorso si usciva a dettare la nuova moda che, nel 2016, si faceva sempre più strada tra i ragazzi di tutta Italia. E adesso, al cominciare del nuovo anno, la situazione non è cambiata. Neanche il desiderio sempre più forte di omologarsi agli altri ed inserirsi nel cir-colo vizioso delle “mode del momento” sembra svanire.In molti criticano e in molti vengono criticati, ma la moda non può essere fermata e i ragazzi continuano ad orna-re il proprio corpo di piercing, a scrivere citazioni di Bukowski sotto foto di dub-bia serietà e a cercare l’hashtag perfetto e più popolare. Le opinioni sono tante, e se da un lato ci sono schiere di ragazzini pronti a sfog-giare le loro magliette della Pyrex con fierezza, sull’altra riva del fiume mino-ranze di adolescenti fanno fronte alla situazione rifiutandosi categoricamente di mischiarsi alla massa. E quindi giunge la domanda cruciale.Cosa fare in questi casi? Cedere alla tentazione e diventare una delle tante pecore che segue il greg-ge, o imporsi di non seguire la moda e sforzarsi per essere unici al 100% pri-vandosi di un qualcosa che magari può piacerci, anche se è già piaciuto a molti?Ho sempre riflettuto tanto e mi sono sempre impegnata per cercare di tro-vare a tutti i costi una risposta a questo quesito.E poi è arrivata, dritta dritta sullo scher-mo del mio PC, mentre scorrevo la ba-checa di Facebook. Una semplice scritta sotto una delle tante foto in costume di una ragazza che molto probabilmente aveva copiato e incollato una frase poetica e casuale senza neanche leggerla: “Sogna ciò che ti va, vai dove vuoi, sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.”

“Due occhi, un naso ed una bocca, un sorriso alle volte forzato, una smorfia re-pressa ed un volto ormai nascosto. “Cosa ho che non va?”.Oggi è questa la domanda alla quale po-che donne sanno dare risposta. Eppure non si cercano riposte, ma fatti. Fatti vi-sibili sulla propria pelle. Il corpo della donna è il centro degli in-teressi di pubblicità, riviste, programmi televisivi… Risulta difficile difendersi. Ecco allora donne schiave del consumismo, di canoni prestabiliti e inarrivabili. Don-ne catapultate in una realtà tendente al “riduzionismo”, all’omologazione, all’an-nientamento di tutto ciò che non sia pura e semplice “carne”. Sì, carne come car-nalità, sensualità, “macellazione”. Gambe, seni, bocche, tutto esposto nelle vetrine di uno store privo d’identità, di unicità. La donna oggi è un contorno, una “cornice di abbellimento”. Resta oscurata, ai mar-gini. La donna oggi ride della sua stessa umiliazione su di un qualsiasi schermo, ad una qualsiasi ora, dinanzi ad un qual-siasi pubblico. La donna oggi tace. Sop-prime la sua stessa parola. Scappa, fugge via da quel tempo “maligno”, inseguita dagli anni, ingombranti e troppo, troppo pesanti da poter “portare”, o forse sop-portare. Prigioniera di un’apparente ed evanescente felicità, impregnata ed in-sudiciata, anch’essa, dal lurido e marcio contesto del quale è parte. Ma è davvero questa l’immagine di don-na che ci viene gettata dinanzi agli occhi, così, con tanta violenza, tanta volgarità? Un’immagine offerta come un prodotto per un “mercato sociale” insaziabile, pri-vo di scrupoli. La donna appare, ma non è mai. Non è mai il suo vero volto, le sue rughe, la sua personalità, i suoi valori, le sue idee. E’ una maschera, un corpo de-turpato, violentato, sfigurato. Queste don-ne possono sembrarci distanti, lontane da quel che siamo noi e quel che è il nostro mondo, il nostro privato.Ma bisogna difendersi. Difendere ciò che siamo davvero, ciò che vorremmo essere. Difendere la nostra immagine, la nostra dignità, il nostro pudore. Difendere la vera “identità della donna” e non mostra-re unicamente il suo “involucro”. Per tutte le umiliazioni subite, per i corpi sfruttati, per le parole calpestate e le boc-che tappate. Per tutte le donne.

90 minuti per penSaremodaattualità

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V

di carmine Stornaiuolo e pietro deSimiio

Secondo capitolo del trittico sulla ven-detta del regista sudcoreano Park Chan-wook. Old Boy può essere inter-pretato come una straziante ma subli-me visione dell’opprimente irrazionalità umana.Dae-su è un uomo comune: sposato, pade di una figlia di quattro anni e con seri problemi di alcolismo. Una sera vie-ne fermato dalla polizia per ubriachezza molesta e poco dopo, grazie all’ interven-to di un amico, viene rilasciato. La stessa notte in circostanze poco chiare scom-pare nel nulla, risvegliandosi il giorno seguente in una squallida stanza da cui scopre di non poter uscire.La sua prigionia dura quindici anni che sembrano non terminare mai. Durante l’interminabile reclusione, l’unico “farma-co” in grado di lenire i mali dell’animo, alimentati dalla inspiegata e angosciosa condizione a cui il nostro protagonista è sottoposto, è l’odio nutrito nei confronti del suo misterioso carceriere. Un odio che si tramuterà nel bramoso bisogno di

vendetta, che in seguito sfocerà in una disumana condizione di malessere e di squilibrio interiore.Nonostante ciò, pur realizzando che ciò che va consumandosi sotto i nostri occhi ha un che di profondamente sbagliato, ci viene moralmente impedito, fino all’ul-timo istante, di prendere una posizione netta. Di spicco, fra le tante emblematiche scelte di regia, è il significato allegorico del titolo: un ossimoro in grado di tra-durre in due semplici parole la complessa psicologia di Dae-su. Lo stesso nome del protagonista che significa “uno che sta bene con gli altri” è un’amara scelta di regia, indubbiamente non lasciata al caso.Dal punto di vista tecnico, Old Boy ra-senta la perfezione. La fotografia è molto curata: mai invadente, macabra e colo-rata. Allo stesso tempo sono alternate scene dai toni cupi, a scene dai colori forti e sgargianti quali il rosso e il ver-de. La tonalità cromatica è quindi varia, ma sempre coerente al contesto della narrazione. Stilisticamente le scenografie

sono particolarmente definite, piene di geometrie kubrickiane, esaltante ancor di più dai precisi movimenti di macchina: lenti e metodici in alcune scene, frenetici e vorticosi in altre.I toni minori della colonna sonora susci-tano perlopiù tristezza e malinconia, ma riescono ad elevare le scene ad un livello ancor più alto.Appare dunque evidente che la pellicola sia un costante avvicendarsi di episodi strazianti che si coprono l’un l’altro, la-sciando lo spettatore inerme e in balia di una vicenda dai contorni resi ancora più opachi da scelte di regia ben precise, volte a suscitare nello spettatore sensa-zioni coerenti con le catartiche scene che scorrono sullo schermo; tuttavia il pro-cesso destabilizzante che viene innescato da questo desolante scenario, genera un misto di riflessioni intime e personali, assai difficili da rievocare estrapolate dal contesto.

La vendetta come arma della disperazione, “farmaco” che lenisce i dolori dell’animo.

“oLd Boy” dI park chan-wook

di giulia Scotti

turbamenti da essi provocati. Eppure sembra non esserci affatto. Come un’ombra, uno spirito vagabondo si in-trufola nelle “strettoie” pietroburghesi, fra case animate stillanti gocce di vita vissuta. Una città “surrealista”, utopica ai propri occhi. Nel suo mondo illuso-rio, però, irrompe per un breve attimo la giovane Nasten’ka, con la quale si confi-derà ed aprirà, per la prima volta, il suo cuore. Ella stessa, agli occhi del giovane sognatore, sembrerà personificare quel-la donna-angelo tanto sognata e tanto immaginata. Una creatura priva di sem-bianze concrete, senza volto, senza nome. Un ideale, un romanzo che prende forma in un labile sogno. La ragazza ha una storia, un passato alle spalle. Appare affranta, distrutta per l’at-tesa di un amore. Un amore promesso, partito e non ancora tornato. I due si confidano. Raccontano le loro storie, condividono speranze, amarezze, gioie ed il sognato-re sembra rivelarle la propria incapacità di vivere, di farsi strada nella folla, fra la gente, di essere amato ma, soprattutto, di

Una notte incantevole, un cielo stella-to, sfavillante. La contemplazione di un uomo, immerso in una Pietroburgo eva-nescente, impercettibile. Un uomo che scappa. Rifiuta la realtà, la vita materialistica e razionale scan-dita dai costanti e monotoni ritmi bor-ghesi. Un uomo che viaggia nella pro-pria “psiche”, rifugiandovisi. Fantastica e realizza le sue speranze in un “mondo onirico”. Questa è la storia di un sogna-tore incapace di relazionarsi col mondo circostante. Incapace di aprire “varchi”, sentieri, strade con le quali intraprendere e percorrere legami concreti. Non vi è spazio per alcun individuo se non quelli idealizzati dalla sua fervida immagina-zione, unica “fiammella” ancora accesa nel suo tetro e solitario animo. “Ma che senso hanno le conoscenze?” - ammette egli stesso - soffermandosi su di un’apparente Pietroburgo deserta, dalla quale tutti scappano per rifugiarsi in una più “tranquilla” campagna. Ma eccolo lì, sommerso da innumere-voli volti, dalle altrui distinte fisionomie, dai sorrisi appena accennati e dai visibili

amare a sua volta. Egli sembra anelare ad un possibile rapporto con Nasten’ka. Ritrova negli occhi di lei l’immagine di se stesso e della felicità, brevi attimi di gioia che sembrano protrarsi per un’eternità laddove la vita stessa sembra fermarsi. Quattro notti, le “notti bianche”, scan-discono la vita dei due giovani. Quattro notti nelle quali si vede crescere e rie-mergere, in costui, un amore da sempre occulto.La timidezza, l’incapacità e la disabitudi-ne a relazionarsi con l’altro, grazie a Na-sten’ka, sembrano dissolversi, sparire per sempre. Ma è pur sempre un attimo, un intenso e breve attimo nel quale il no-stro sognatore vedrà realizzare concre-tamente il proprio sogno e, alla fine, non afferrarlo. Una felicità assaporata, vissuta e scoperta in sole quattro notti, anch’esse poi crollate. Una vita in un istante. Un istante di pura bellezza.“Un minuto intero di beatitudine! È for-se poco per colmare tutta la vita di un uomo?”

La cronaca di Pietroburgo

un liBro, un luogo, un film

“Le nottI BIanche” dI fedor dostoevskIj

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VI Amici di PennAc

IL racconto

...d’un tratto IL futuro

di Bianca BaleStrieri

Mi sono ritrovata su una spiaggia molto estesa e non riuscivo a vedere dove fi-nisse il mare. I miei genitori mi tenevano per mano, ero tanto piccola che sembra-vano giganti ai miei occhi. I miei sorrisi dolci erano tanti quanto le persone che mi stavano intorno.All’ improvviso mio padre e mia madre mi lasciarono le mani e cominciai a va-gare sola sulla spiaggia. Iniziai a contem-plare l’orizzonte che separava il mare dal cielo, i granelli di sabbia, le conchiglie...Feci molti incontri, una ragazza in par-ticolare: si chiamava Fiducia e diventò subito mia amica. Lei mi diede la mano e mi portò via da quella spiaggia che, ai miei occhi,era diventata monotona e senza colore. Attraversammo un gran-dioso giardino che trasmetteva una si-lenziosa pace. Fiducia mi confessò che sarebbe stata un pilastro fondamentale nella mia vita. Stavamo passeggiando su una piccola stradina quando alla nostra vista si aprì un panorama maestoso. Fiducia dis-se che sarebbe stato il mio futuro, ma dipendeva da me il percorso che avrei deciso di intraprendere per raggiungerlo. In quel momento le domandai se lei se ne sarebbe mai andata da me, ma non mi rispose.Infine ci sedemmo su una panchina cir-condata da rose delicate. All’improvviso si avvicinò un’altra per-sona dall’aspetto angelico. Didde di chia-marsi Amore. Mi afferrò la mano e mi confessò all’orecchio che lui e Fiducia stavano sempre insieme e che nessuno avrebbe potuto vivere senza l’altro. Erano molto legati tra loro. Procedemmo avanti tutti insieme, entrambi mi tenevano per mano ed ero così felice con loro. Rag-giungemmo un luogo che non era come gli altri che avevo visitato perché cupo, triste e malandato. Amore mi abbracciò perché iniziai ad avere paura, così come fece anche Fidu-cia per rassicurarmi per cui non vidi più nulla in quanto essi coprivano i miei oc-chi con la loro stazza. Mi protessero fin quando quel posto venne illuminato dal sole che trasformò tutto.

Ad un certo punto Fiducia mi lasciò la mano e scambiò qualche parola con Amore, ma non riuscii a capire cosa avesse detto. Poi mi girò le spalle e se ne andò. Fiducia mi deluse molto lasciandomi nel bel mezzo di un viaggio di cui non sape-vo quale fosse la meta. Amore stava male a tal punto che, colpito dalla forte perdita della sua amata, im-provvisamente fuggì. Rimasi sola.Iniziò a piovere forte e non sapevo dove rifugiarmi, così mi distesi in attesa che smettesse. Notai che sul palmo delle mani avevo dei graffi che, probabilmente, mi ero procu-rato nel momento in cui Amore e Fiducia mi avevano abbandonato improvvisa-mente. Riuscii ad alzarmi e cominciai a vagare per quella strada buia. Mi imbattei in un gruppetto di anziani che, notando il mio aspetto malconcio, mi chiesero cosa mi fosse successo. Spiegai loro la mia tre-menda situazione e, loro mi dissero che quella che avevo conosciuto come Fiducia ave-va un altro nome: Falsità. Affranta dalla grande menzogna in cui avevo vissuto per tutto quel tempo, in-trapresi un nuovo cammino. Incontrai un gruppetto di ragazze che, correndo, mi vennero addosso e caddi nuovamen-

te a terra; si accorsero di me, e ognuna di esse si presentò: Tristezza, Angoscia e Cattiveria erano i loro nomi. La loro compagnia non mi piaceva. Decisi di andarmene. Fu un cammino duro, desideravo tanto avere qualcuno che mi stringesse le mani come facevano i miei genitori; volevo sentirmi bene, ma non ci riuscivo. Mi fermai davanti ad una salita irta e molto lunga. D’un tratto spuntò Amore che teneva per mano una ragazza dal viso dolce, mi si avvicinò e mi disse, silenziosamente, che aveva finalmente trovato la vera Fiducia e ne sembrava molto soddisfatto. Questa mi mostrò il suo cuore, ed era puro come quello di un bambino. Mi abbracciarono calorosamente, asciugando i miei abiti freddi e fradici di pioggia. Arrivò un’altra persona, indossava un abito bianco e luminoso, si chiamava Fe-licità; mi guardò da capo a piedi e vide le numerose ferite che mi ero provocata; così, delicatamente, me le curò facendosi aiutare da Amore. Alla fine Felicità mi prese sulle spalle, come faceva mio padre quando ero pic-cola, ed insieme ad Amore e Fiducia mi condussero in quel posto che tanto desi-deravo: il mio futuro

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VII

Di Antonio Migliaccio e Giulio Rapone

BackStreet Boyle

perIcoLo aLLarme dhmo

Oggi tratteremo un argomento spesso sottovalutato dagli scienziati di tutto il mondo ma che rapprsenta un pericolo globale che mette a rischio, giorno dopo giorno, la vita di ogni essere umano. Perché una tale minaccia non viene resa nota? Semplice: perchè ritenuta “politicamente poco redditizia”. Stiamo parlando del DHMO. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.Il DHMO (Dihydrogen Monoxide) è una molecola incolore e inodore di forma tetraedrica presente in natura sotto tre stati, ma ugualmente dannoso in ognu-no di essi. Se inalato, in piccole quantità, è respon-sabile di gravi ustioni, in quantità più massicce può portare alla morte.Solvente industriale, usato nei labora-tori di ricerca e di sperimentazione su molti animali. Refrigerante nelle cen-trali termonucleari. Usato nelle prigioni cinesi per diverse forme di tortura. alle olimpiadi per incrementare le presta-zioni degli atleti, adoperato persino in cliniche abortiste e nei campi di ster-minio nazisti.E potremmo dire di aver concluso, o per lo meno, esaurito gli ambiti nei quali è presente. Ed invece no! I primi ad in-gerire, ma soprattutto assimilare questa sostanza, siamo proprio noi. Presente come additivo in buona parte degli ali-mentari, soprattutto omogenizzati per bambini, zuppe, bevande gassate e tal-volta anche in succhi di frutta, sfatando il mito del “100% naturale”. Il DHMO è presente nelle tubature della nostra scuola. Questa breve nota per indurre ad adot-tare ogni misura necessaria a mini-mizzare il rischio. La sicurezza è nelle vostre mani. Non fatevi prendere dal panico. Siate cauti, pensate prima di agire per non essere poi travolti dai rimpianti.

(Naturalmente il DHMO è il modo di definire l’acqua con le regole di nomenclatura dello IUPAC ( International Union of pure and applied chemistry) Si tratta dunque di una beffa nata e cresciuta in internet ma che ci dimostra come le notizie, al posto giuto e nel mo-mento giusto possano trasformarsi in verità. A noi riuscire

a riconoscerle.)di Antonio Manzi

Il radon è un gas naturale radioattivo che deriva dal decadimento del radio; l’i-sotopo più disponibile in natura è il ra-don-222 che emette radiazioni ionizzanti alfa e decade in vari isotopi del polonio, che emettono sempre radiazioni ionizzanti alfa. Il radon è presente nella crosta ter-restre, ma riesce a risalire in superficie ed immettendosi nell’atmosfera o nell’ac-qua, e nelle abitazioni attraverso fessure nel pavimento, e tubazioni. Può addirittu-ra fuoriuscire dalle mura, se quest’ultime sono formate da rocce di tipo vulcanico (come il tufo presente in grande quantità sull’isola). Le concentrazioni di questo gas sono preoccupanti solo in ambenti chiusi, in cui si rischia di inalarne grosse quantità. Queste andrebbero a danneggiare i nostri polmoni per via delle radiazioni ionizzanti, generate sia dal radon, che dai suoi pro-dotti di decadimento, tra questi, il polonio, responsabile della comparsa di tumori al polmone Di interventi utili a ridurre il ra-

don in ambienti chiusi ve ne sono molti, dal più semplice, che consiste nel ventilare frequentemente le stanze, ciò che qualsi-asi persona di buon senso fa per rendere salubre l’ambiente, fino alla creazione di pozzetti per la raccolta del radon, tramite la depressurizzazione del terreno. L’unità di misura per esprimere la concen-trazione di radon presente in un luogo è il becquerel su metro cubo (Bq/m3), che rappresenta una disintegrazione di un nu-cleo al secondo in un metro cubo d’aria; in Italia la normativa prevede che il limite

A Ischia la situazione non è critica ma le alte concentrazioni impongono un monitoraggio costante

IL radon: un perIcoLo strIscIante

di radon presente nell’aria debba essere di 400 Bq/m3 (anche se in altri paesi la quota scende a 200). La nostra è un’isola di origine vulcanica, con diffuse faglie pre-senti sul territorio, ciò comporta una signi-ficativa presenza di radon un po’ ovunque, partendo dalle acqua termali, fino alle mura delle nostre abitazioni, soprattutto quelle al piano terra o interrate. La media nelle abi-tazioni isolane, su un campione di 40 abi-tazioni, è risultata essere di 247 Bq/m3, un valore non troppo alto, ma che preoccupa se confrontato alla media campana che è di solo la metà, soprattutto se si tiene conto che il 20% del campione presentava con-centrazioni superiori ai 400 Bq/m2. Inol-tre va detto che anche le strutture termali, in cui la presenza di radon può diventare pericolosa senza adeguati sistemi di ven-tilazione, possono presentare un problema soprattutto per i dipendenti. In conclusione, la situazione sull’intera isola non è critica, anche se ci sono zone al limite.

La nostra speranza per il futuro è che si continui il monitoraggio sul territorio, e che la maggior parte della popolazione isolana prenda atto di questo pericolo, intervenen-do efficacemente laddove ce ne sia bisogno, in modo da tutelarsi e non correre più al-cun pericolo.

aBItazIonI forIo

locale Piano Conc. (Bq/m3) Errore

Casa Co1 (in tufo) Piano terra 250 18

Casa Co2 (in tufo) Primo piano 296 19

Casa Co3 (in tufo) Adiac. roccia tufo p.t. 479 27

Casa Mi1 (cemento) Primo piano 349 22

Casa Ca1 (cemento) Piano terra 387 23

Casa Ca2 (cemento) I.p. adiac. roccia tufo 511 29

Casa Ca3 (cemento) Adiac. roccia tufo p.t. 559 31

Dati relativi al quartiere Cierco di ForioFonte: Prof. Agostino Mazzella - amazzella.weebly.com

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VIII #SendnewS

di irene eSindi

Dall’analisi di un socialista perfetto a quella di un secolo imperfetto

“Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo.” Il 21 febbraio del 1848 Karl Marx e Friedrich Engels pubblicavano a Lon-dra Il Manifesto del Partito Comunista. Scopo dichiarato: opporre alle potenze europee una potenza destinata a per-dere le sue sembianze di spettro. Diego Fusaro, giovane saggista italiano che si definisce “allievo indipendente di Marx e Hegel, intellettuale dissiden-te e non allineato”, pubblica nel 2009 un libro intitolato “Bentornato Marx: rinascita di un socialista rivoluziona-rio”. La sua posizione è molto chiara: “Chi si ostina a ripetere, in nome di Dio o del Mercato, che “Marx è morto” lo fa, allora, perché assillato dal suo spettro.” Una questione di spettri.In un mondo in cui il capitalismo non è rimasto vittima delle sue stes-se contraddizioni come profetizzava Marx, c’è qualcuno che ancora non accetta la sua ascesa inarrestabile né la sua pretesa che Marx riposi in pace. Perché? Perché il progetto fi-losofico di Marx non si limita a una critica astratta, ma si fonda sulla pos-sibilità di una emancipazione nuova e concreta: lontana da ogni forma di alienazione e di sfruttamento, l’utopia marxista è sempre attuale. In quest’aspetto si profila l’opera di Fusaro che inquadra Marx come un pensatore della libera individualità, sfatando così il mito del livellamento e dell’uguaglianza ricercato invano nei testi del filosofo. L’accusa mossa al capitalismo è infatti proprio quella di una società livellata, priva di ogni forma di meritocrazia e che eleva e favorisce solo chi possiede un capi-tale degno. “E’stato il marxismo suc-cessivo”- sostiene Fusaro - “a piegare Marx in direzione del livellamento e doveva farlo di necessità perché un partito, specie un partito staliniano, non può funzionare sulle libere in-

dividualità, deve anzi reprimerle in nome di un’uguaglianza dominata da un unico despota libero.”Sembra facile capire ora perché il co-munismo- e in particolare l’opera di Marx -aleggino come spettri nell’e-poca in cui viviamo riuscendone anche a coglierne ancora le contrad-dizioni. Nel 2017 progettiamo la costruzione di nuovi muri. Nel 2017 ci sforziamo di ricordare i genocidi perpetrati nel secolo scorso e tacciamo, con le mani davanti agli occhi, di fronte a quelli che avvengo-no ogni giorno nei nostri mari.Nel 2017, tra un tiro di sigaretta e l’al-tro, facciamo gli indignati verso le po-tenze oscure che soggiogano le nostre menti, eclissano le nostre menti e ci impediscono di pensare.Nel 2017 difendiamo (in nome dei te-sti sacri) la guerra contro gli infedeli, la famiglia composta da mamma e papà, la vita di qualcuno che non è ancora nato e la morte in vita. Nel 2017 (tutti noi) annulliamo la no-stra individualità per lanciarci in lotte furiose (e dolorose) contro fantasmi, contro spettri. Anche per queste contraddizioni pos-siamo capire perché l’utopia marxista non sia mai passata di moda e perché questa non sia lo spettro contro cui dobbiamo combattere. Il nostro unico obiettivo dovrebbe es-sere quello di cambiare noi stessi, di eliminare le contraddizioni intrinse-che nel nostro “io” e proiettarle verso una società nuova.Nella critica alla filosofia precedente, Marx afferma “I filosofi hanno inter-pretato il mondo, ora bisogna trasfor-marlo.”E trasformiamolo il mondo: ma par-tendo da noi, non dagli spettri, pove-retti!

di martina t. mattera

IL cuLto deLLa fInzIone Bauman (Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco di origine ebraica. 1925 Poznan, in Polonia; 2017 Leeds, in Inghil-terra) ritiene che la condizione umana sia oggi caratterizzata dall’assenza di solidi riferimenti culturali e morali, da uno stato definito di “liquidità”. L’uomo non mette più la comunità al centro della propria attenzione, “l’altro”, ma se stesso. La nostra società, quindi, esalta quale valore assoluto il “soggettivismo”. Non ci guardiamo più intorno, non os-servviamo più un paesaggio, l’alba o un tramonto per semplice piacere, ma solo per fotografarlo e “postare” la foto su un social network. La nostra è una società che misconosce il valore dell’educazione, il rispetto per sé e per gli altri ed elogia solamente la capacità di ottenere più like sui social. C’è una perdita, uno smarrimento dei piaceri più antichi e semplici: il godi-mento di sensazioni fisiche ed emotive nel momento stesso in cui esse acca-dono. Postare un tramonto, un cane che dorme sul divano, un mare in tempesta su Facebook, Instagram o qualsiasi altro social consegna l’evento ad una “vetrina” virtuale ma ruba a noi il piacere del go-dersi il fenomeno stesso nell’attimo in cui esso avviene. C’è un disegno che le menti religiose de-finiscono volontà divina il quale insegna ad andare oltre. L’uomo, l’umanità intera, nel suo inesorabile cammino, va oltre. Un secolo fa era impensabile camminare su un altro pianeta, del bosone di Higgs nessuno sapeva nulla e nulla anche di Internet e telefonini. Oggi, per noi giova-nissimi, tutto ciò che per i nostri genitori sa di miracolo, è normale, scontato. Non sorridiamo più nel riconoscere una co-stellazione e neanche guardiamo i cieli notturni più belli. Siamo immersi nello schermo del nostro iPhone. Rischiamo di essere travolti da ciò che noi stessi, nel nostro sviluppo, abbiamo costruito.Credo che dovremmo cominciare a guar-darci indietro, riconoscere il cammino fatto e, consapevolmente ricchi del nostro passato, progettare un futuro diverso. Dovremmo controllare gli avvenimenti con la nostra intelligenza per essere di nuovo artefici del nostro cammino. Solo così si compirebbe il disegno universale che è quello di: guardare oltre. Bauman insegna.

Bentornatocaro marX

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IX

di roBerta garBaccio

Una sfida culturale

L’aLternanza scuoLa Lavoro neI LIceI

manodopera per le imprese. Ma per la crescita degli studenti”.La crescita degli studenti è – appun-to - il focus dello spirito del legislatore che con l’alternanza intende migliorare le possibilità di inserimento degli studenti nel mondo del lavoro e delle professioni. Un focus che deve ora trovare un’arti-colazione nella didassi dei licei, chiamati ad una importante funzione orientativa (e non professionalizzante come negli al-tri ordini). Del resto, in un sistema produttivo 4.0, nel quale le macchine svolgeranno la maggior parte dei lavori, in particolare quelli a bassa professionalità, rimarranno indenni solo quanti saranno in grado di imparare ad imparare i nuovi mestieri che di volta in volta si creeranno. Quali saranno questi mestieri non lo sappiamo. Sappiamo solo che il Liceo deve puntare a promuovere le competenze di analisi, critiche, creative: le sole capaci di guida-re le nuove classi dirigenti a vivere da protagonisti in una società che oggi si chiama “della conoscenza “ e che domani avrà un altro nome, ma le cui chiavi di accesso saranno le stesse e faranno capo all’imparare a pensare come ai tempi di Socrate.In questa logica di complessità cultura-le si iscrive l’attenzione posta dal Liceo Ischia ai temi dell’ASL. Nella convinzione che i progetti già avviati e quelli che si realizzeranno saranno un piccolo step di una crescita degli studenti e della nostra isola. Ma cosa richiederà agli studenti di oggi la società lavorativa di domani, la società della conoscenza? Per la “Bicocca” (Di Guardo, “Il lavoro della conoscenza: uno studio empirico e un modello di progettazione”) servirà un alto livello di specializzazione perchè le professioni ad alta qualificazione so-stituiranno sempre di più quelle a bassa qualificazione. I “knowledge integrator” dovranno in-tegrare conoscenze disciplinari e com-petenze sociali: capacità di lavorare in team, di creare prodotti che ancora non ci sono ma dei quali c’è una necessità inespressa. Il “pensare a quello che man-ca” servirà a gestire processi complessi che si inoltrano lungo strade impervie e sconosciute. Strade che, come per i mer-canti medievali, dovranno essere percor-se in gruppo perché solo la valorizzazio-

I percorsi di insegnamento apprendi-mento in alternanza sono prassi con-solidata per gli istituti tecnici e profes-sionali. Lo sono di meno per i Licei che, solo nel 2016, ad anno scolastico iniziato, hanno dovuto mettere in campo le loro migliori energie per predisporre le basi di quello che si presentava essere un nuovo pilastro del sistema di istruzione superiore: il sistema del lavoro e delle professioni. Si trattò allora di una rivoluzione. Una rivoluzione, in verità ampiamente an-nunciata (dai numerosi documenti eu-ropei ad iniziare dalla Conferenza di Li-sbona nel lontano 1996), trasformata in norma dello Stato (con la Buona scuola) e che ora, superato l’impatto iniziale, deve trovare una nuova declinazione all’inter-no del regno del formale per eccellenza quello dei licei.La sfida è di quelle che o si vincono o si perdono. E a perdere – eventualmente - non sarebbero solo i licei ma gli studenti e la società. In virtù dell’urgenza della questione, il Liceo Statale Ischia ha dedicato una tre giorni di alta formazione proprio sui temi dell’alternanza. Un momento di alta formazione dal nome indicativo di una filosofia di pensiero: “Ulisse in viaggio”. (Organizzazione CIDI Centro Iniziati-va Democratica degli Insegnanti, 16/18 gennaio. Relatore: Renato Di Nubila, or-dinario di Metodologia della Formazione all’Università di Padova, consulente di Confindustria, una lunga esperienza nella formazione professionale, manageriale e nella Life Long Education).Al corso hanno partecipato docenti del Liceo e delle altre scuole superiori dell’i-sola. Tutti insieme, ciascuno nel rispet-to dei relativi indirizzi di studio. Molto diverse sono infatti le declinazioni dei percorsi di alternanza nei vari indiriz-zi di studio, ma tutti ruotano attorno ad un’idea: creare una sinergia tra le mi-gliori energie per la messa a punto di un sistema efficace di alternanza scuola lavoro sul nostro territorio.Un progetto ambizioso, come richiesto dalla complessità del tema. E il tema è: l’individuazione di un modello didattico che, utilizzando le potenzialità offerte dall’alternanza scuola lavoro, favorisca l’acquisizione del” sapere complesso”. Il monito del prof. Di Nubila è chiaro: “non facciamo alternanza per creare

magiSter docet

ne delle potenzialità individuali e la loro messa a sistema, consentirà di raggiun-gere il risultato senza rischiare di essere travolti - non dai banditi - ma da gruppi di lavoro più avanzati e combattivi.In questa prospettiva, densa di oppor-tunità solo per chi sarà in grado di co-glierle, lo sforzo della scuola– continua la ricerca – deve essere di progettare “pro-fessioni a banda larga o broad profes-sion. ” Professioni in grado di gestire ampi domini di teorie e tecniche”. Dunque non ruoli ristretti, soggetti ad obsolescenza (molti dei mestieri che si insegnano ri-schiano di venire trucidati da giovani), ma visioni ampie in vista di mestieri che ancora non sono stati inventati ma che inevitabilmente richiederanno spalle ro-buste. E qui entriamo in gioco noi: i percorsi di alternanza liceale devono formare stu-denti “a banda larga”, futuri knowledge integrator. Menti in grado di sintetizzare competenze formali (che si imparano a scuola) con quelle informali e non for-mali (che si imparano sul lavoro e nella vita). In questa logica solo una sinergia tra mondo delle professioni e della scuola riuscirà a valorizzare quelle competenze non direttamente collegate alle discipline ma essenziali per vivere nella società di domani. Venendo ad Ischia la nostra iso-la sta perdendo le sue energie più pre-ziose: i giovani. I nostri giovani, quelli che con il loro sapere dovrebbero crea-re la società di domani e che sono oggi costretti ad andare via perché ad Ischia, il lavoro, soprattutto quello qualificato, è sempre di meno. E’ attorno a questa emergenza che devo-no convergere le migliori energie: della scuola, delle forze di governo, del privato sociale, per un grande lavoro di squadra finalizzato a rendere il nostro territorio accogliente come lo era negli ultimi anni del Novecento quando Ischia era una tra le principali importatrici di lavoro quali-ficato a livello nazionale.Per questo ambizioso ma necessario progetto, la chiave di volta è la valoriz-zazione del territorio in una logica di sviluppo sostenibile. Solo così potremo trattenere a casa i nostri giovani. Solo così daremo un senso al nostro lavoro. I percorsi di alternanza sono un primo passo. Piccolo ma importantissimo.

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X Vox PoPuli, Vox Diarii

di marika di matteo

Blaise Pascal: viaggio nel pensiero di un filosofo ancora attuale

“Il cuore ha le sue ragioni che la ragio-ne non conosce” – secondo Blaise Pascal, filosofo francese del Seicento. Si tratta di una frase ormai comune, spesso sconta-ta, che si può leggere scartando un Ba-cio Perugina o curiosando sulla bacheca di Facebook. Eppure, per quanto banale possa sembrare, racchiude in sé una ve-rità che all’epoca di Pascal risultava dav-vero innovativa. Quest’ultimo, infatti, non si limitò a parlare in termini di razionalità, come il suo predecessore Cartesio, ma af-fermò che nell’uomo coesistono raziona-lità (che lui chiamò “esprit de géométrie”) e sentimento (cioè l’ “esprit de finesse”) e che, per capire e conoscere realmente l’uomo, è necessario far riferimento ad entrambi. Non è possibile, quindi, affer-mare che l’uomo sia solamente composto dalla ragione né, viceversa, dire che sia dominato dal sentimento, perché in realtà quello che viene comunemente chiama-to “uomo” altro non è che un insieme di entrambi. Ed è proprio così. A ognuno di noi, infatti, è capitato almeno una volta nella vita di fare qualcosa nonostante la

razionalità ci dicesse il contrario solo per via delle famose “ragioni del cuore”. Ma il pensiero di Pascal è attuale anche per altre ragioni. Egli fu il primo a parlare di angoscia esistenziale affermando che l’e-sistenza umana altro non è che un sus-seguirsi di dolori, anticipando il pensiero di grandi intellettuali come Leopardi. “Ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper starsene in pace in una camera”. Dunque cosa fare? Accettare la vita per quello che è e viverla nella maniera migliore possibile. E invece gli uomini si distrag-gono, intraprendono milioni di progetti, iniziano relazioni, lavorano, studiano, fanno di tutto pur di ridurre al minimo i momenti di solitudine che potrebbero portarli a riflettere effettivamente sulla loro condizione di infelicità. Si dedicano, cioè, a quello che Pascal chiamò “diver-tissement”. “Da ciò deriva che agli uomini piacciono tanto il fracasso e il trambusto; da ciò deriva che il carcere è un suppli-zio così orribile; da ciò deriva che il pia-cere della solitudine sia una cosa incom-

prensibile”. E di nuovo mi trovo d’accordo con Pascal. Spesso capita, infatti, di ricer-care delle distrazioni, magari anche per poche ore, che possano tenerci la mente occupata e ci impediscano di pensare ad un qualcosa che ci fa soffrire. Ciò su cui non concordo, invece, è che la vita sia solamente un susseguirsi di dolori e che tutto ciò che l’uomo fa sia finalizzato alla distrazione. Io credo che la vita sia fatta dalla sofferenza (è innegabile), ma anche da molto altro (momenti di felicità e di spensieratezza, emozioni forti come l’a-more o l’amicizia…), perciò trovo riduttivo affermare che essa sia solo un insieme di dolori. La vita è un mistero, la vita è un dono immenso che ci è stato fatto sen-za che lo chiedessimo, la vita – come ci ha cantato fino a pochi giorni fa Fiorella Mannoia al Festival di Sanremo – “è per-fetta, per quanto sembri incoerente e te-starda, se cadi ti aspetta, e siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta”.

cuore, ragIone e dIvertImentodi faBio frezzetti

Dopo Keke, Nico La stagione di formula 1 2016 è stata sor-prendente.Il dominio Mercedes è continuato per il terzo anno consecutivo e la Scuderia Ferrari non è riuscita a migliorarsi dopo un 2015 ricco di speranze. La SF16-h, in-fatti, non è stata capace di recuperare il gap rispetto agli avversari palesando, inoltre, molti problemi di affidabilità. Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen, i due piloti della scuderia italiana, non hanno brillato rimanendo spesso esclusi dal po-dio e non riuscendo nemmeno a conqui-stare una vittoria. I presupposti per una buona stagione c’erano tutti. Basti pensare al cambio di livrea chericordava le vetture vincenti degli anni ‘70 di Lauda e Scheckter e l’assottiglia-mento del retrotreno che preannunciava una migliore areodinamicità. Anche la McLaren ha deluso i suoi fan presentando una monoposto non com-petitiva con ancora una power unit Honda inferiore in termini di cavalli.Sorte diversa ha avuto la casa austria-

ca, la Red-Bull, che si è riscattata dopo due anni di mediocrità; quest’anno con la RB12 ha scavalcato il “cavallino rampan-te” diventando la seconda forza del mon-diale e trionfando in ben 2 gran premi.Una citazione particolare merita il giova-nissimo Max Verstappen, tanto criticato per la sua guida spericolata che ha cau-sato diversi incidenti, ma unanimamente ammirato dagli esperti per la sua prima vittoria a Barcellona (che lo reso il vinci-tore più giovane di sempre) e per la sua guida da maestro sotto il temporale in-cessante di Interlagos.Tra le note positive emerge il campionato condotto dalla Haas (monoposto ameri-cana con motore Ferrari e telaio Dallara) che, alla stagione d’esordio, è riuscita a guadagnare ben 29 punti classificandosi ottava nel mondiale-costruttori. Anche la Force India termina la sua sta-gione positivamente, mentre la Williams e la Renault concludono il loro campionato al di sotto delle aspettative perdendo po-sizioni rispetto all’anno precedente.Come nel 2014 e 2015, anche quest’anno

la contesa per titolo iridato è stata una lotta fratricida tra Nico Rosberg e Lewis Hamilton (ambedue piloti Mercedes), i quali hanno dominato tutti i week-end con una supremazia disarmante. I due si sono battagliati con un ardore e fu-rore agonistico sorprendenti, ma il tede-sco, dopo un anno difficile e deludente, è completamente rinato tornando in pi-sta più veloce e forte che mai e, grazie a qualche disattenzione e sfortuna del compagno di squadra, ne è uscito vin-citore per poi annunciare l’inaspettato ritiro dal mondo delle corse.Il neo campione del mondo, evidente-mente meno talentuoso del rivale, ha di-mostrato come basti la dedizione e l’im-pegno per realizzare il proprio sogno. Ciò è di sicuro un ottimo insegnamento per tutti rappresentando a pieno l’essenza dello sport, dove al talento devono ne-cessariamente associarsi volontà e spirito di sacrificio.

formuLa 1

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XIVox PoPuli, Vox Diarii

di gaia trotta

siamo ora impegnarci a creare una nuo-va civiltà, che potrebbe nascere senza guerre, senza divisioni, senza muri. Ogni regno del vecchio continente può colla-borare alla crescita di questo paese che verrà; possiamo esportare dalle nostre terre al nuovo continente solo il meglio, dalla democrazia dei greci alla cultura dei popoli latini; possiamo insegnare agli indigeni del posto solo il bene escluden-do ogni forma di male o di guerra fra popoli. Noi tutti dobbiamo augurarci che in questa nuova terra, finalmente, non ci siano più ingiustizie e diseguaglianze di nessun genere; l’auspicio è di eliminare la povertà e la fame offrendo a tutti la possibilità di una vita dignitosa. La gente ora sogna. Sogna una nuova terra sen-

Iscla, (la data non si legge)

In questi giorni il genovese-spagno-lo-portoghese Cristoforo Colombo, dopo aver affrontato nuovamente le insidie di mari ancora sconosciuti, è finalmente ri-tornato dalla sua terza spedizione dalla terra che per troppo tempo abbiamo de-finito ‘’le nuove Indie’’. Sono passati 15 anni dal primo viaggio, da quando cioè le caravelle Niña, Pinta e Santa Maria, salpate del porto di Palos il 4 Agosto 1492, con i loro carichi di uo-mini colmi di speranza, coraggio e sete di ricchezza sono approdate nell’isola di Hispaniola.Quest’ultima spedizione non porta con sé il solito carico custodito nelle stive delle navi: oro, spezie, animali, piante ed altre risorse fino ad ora a noi sconosciute, no. Questa volta il carico più prezioso è la notizia clamorosa che le terre scoperte non sono le Indie, bensì un nuovo e ine-splorato continente battezzato: America. Per le strade di Palos e in quelle spagnole non si fa altro che parlare dell’incredibile scoperta. La notizia sta già attraversan-do i vari regni veloce come il vento della corrente del golfo che ha accompagnato l’ ammiraglio nei suoi viaggi. Nelle piazze, nei castelli, nelle botteghe, negli ostelli e nelle case di tutti i vari regni aleggiano l’ottimismo di una nuo-va occasione, la bramosia di soddisfare nuove speranze, il desiderio di una in-sperata rinascita ‘’dell’uomo’’ in un mon-do diverso e incontaminato. Grazie al coraggio di Colombo si aprono le porte per l’umanità verso nuove infinite pos-sibilità, che non sono solo di espansio-ne territoriale e commerciale, ma anche di progettazione di un nuovo mondo da abitare, vivere, godere alieno dagli erro-ri e le tragedie che ancora gravano sulle nostre vecchie terre e su tutti noi. Ab-biamo, quindi, la meravigliosa occasione di colonizzare il nuovo continente tra-sferendo in esso solo i pregi delle nostre conoscenze e delle nostre culture. Noi abitanti del vecchio continente pos-

za discriminazioni, senza confini di odio tra i popoli, un luogo dove la guerra non troverà mai spazio perchè la pace e l’a-more per il prossimo conquistarenno l’a-nimo di ogni uomo. E’ indubbio che il 12 ottobre 1492 ver-rà ricordato da tutti come il giorno del-la scoperta di questo nuovo continente, ma in noi alberga anche il desiderio che venga ricordato come la data della rina-scita dell’uomo sulla terra nella speranza di un’umanità migliore. Fra 500 anni i nostri discendenti giudi-cheranno se a questa ambizione abbiamo creduto o meno.Ai posteri l’ardua sentenza!

E’ stato rinvenuto un documento di un cronista: tale Gaio de Trottibus,

nel quale il mondo viene informato della scoperta di un nuovo continen-

te che è stato chiamato: “America”. Riportiamo il testo per dovere di crona-

ca, senza assumerci responsabilità alcuna circa la autenticità dello scritto.

La scoperta deLLa speranza

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Liceo StataLe “iSchia”

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