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Ul Murum Autunno/Inverno 2013 Fondazione Residenza Amica Onlus pag. 1 Sommario Sommario Sommario Sommario E E d d i i t t o o r r i i a a l l e e p p a a g g . . 1 1 C C e e r r a a u u n n a a v v o o l l t t a a p p a a g g . . 3 3 P P e e r r c c h h é é s s i i d d i i c c e e ? ? p p a a g g . . 6 6 L L a a p p o o e e s s i i a a p p a a g g . . 7 7 P P r r o o v v e e r r b b i i e e f f i i l l a a s s t t r r o o c c c c h h e e p p a a g g . . 8 8 I I l l n n o o s s t t r r o o d d i i a a l l e e t t t t o o p p a a g g . . 1 1 1 1 R R i i c c o o r r d d i i p p a a g g . . 1 1 2 2 1 1 1 1 F F i i e e r r a a u u n n a a v v o o l l t t a a p p a a g g . . 1 1 3 3 U U l l c c u u g g i i a a a a d d e e l l e e g g n n p p a a g g . . 1 1 5 5 U U n n a a u u g g u u r r i i o o a a f f f f e e t t t t u u o o s s o o p p a a g g . . 2 2 0 0

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Fondazione Residenza Amica Onlus pag. 1

SommarioSommarioSommarioSommario

EEddiittoorriiaallee ppaagg.. 11

CC’’eerraa uunnaa vvoollttaa ppaagg.. 33

PPeerrcchhéé ssii ddiiccee?? ppaagg.. 66

LLaa ppooeessiiaa ppaagg.. 77

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EditorialeEditorialeEditorialeEditoriale Si vedono le prime nebbie, i giorni si accorciano e l’atmosfera dell’autunno cede il passo alla nuova stagione. Ed ecco che gli argomenti principali del nuovo trimestre sono la neve, il freddo e il grande evento della nascita del Bambin Gesù. Il comitato giornalino, per questo, ha chiesto al cappellano di Residenza Amica di esprimere un suo pensiero su uno degli eventi più importanti dell’anno.

A Gesù Bambino! Ninna nanna, mio Ben, riposa seren. Un Angiol del ciel ti vegli fedel. Una santa vision faccia i cuori estasiar; una dolce canzon possa i sogni cullar! Quante filastrocche simili sono state recitate davanti alla culla del Bambino Gesù! Quante canzoncine dalle dolci melodie sono state cantate davanti alla grotta di Betlemme! Forse a tanti di noi tornano in mente momenti di gioia per il suo Natale! Eravamo piccoli, attorno a noi forse povertà o drammi dolorosi; ma in quei momenti si desiderava solo che Lui stesse bene, potesse dormire tranquillo, che né freddo né paglia potessero farlo soffrire… C’era Maria, c’era Giuseppe, il bue e l’asinello!…

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La notte di Natale è nato un bel Bambino, tutto bianco, rosso e piccolino. Maria lavava, Giuseppe stendeva e il Bimbo piangeva dal freddo che aveva! “Sta zitto mio figlio che adesso ti piglio: pane non ne ho, ma latte ti darò”. La neve sui monti cadeva dal cielo: Maria col suo velo copriva Gesù! Buon Natale ancora, come allora!

Don Pierino

Il comitato, come il nostro cappellano, augura a tutti un sereno Natale e un nuovo anno di vera pace, invita tutti a ricordare il pensiero di Madre Teresa: ”Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.

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I mestieri di una voltaI mestieri di una voltaI mestieri di una voltaI mestieri di una volta

In questo numero del nostro giornalino abbiamo nuovamente deciso di riproporvi la rubrica “C’era una volta” per parlarvi dell’antico mestiere del “castegnatt”, il venditore di castagne e chi le raccoglie veniva chiamato proprio così.

El castegnatt

Ghe disen castegnatt impunement a chi catta sù castegn e a chi ne vend e la quistion in fond la interessa nient. Forse on quajghedun el podariss imprend che a Milan, tra i vari mestée ambulant, gh'eren i vendidor de

castegn lessàa, pelàa o cont el guss e rostìi oltertant. Incoeu j gent... d'alter gust hin sopressàa!! Traduzione dal dialetto milanese: (IL CASTAGNAIO. Vien chiamato castagnaio impunemente chi raccoglie castagne o chi ne vende e la questione in fondo non interessa affatto. Forse qualcuno potrebbe apprendere che a Milano, tra i vari mestieri ambulanti, c'erano i venditori

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di castagne lessate, sgusciate o con il guscio e arrostite altrettanto. Oggi le genti... d'altri gusti sono pressate!!). Oggi si vedono in giro i caldarrostai e davvero raramente i venditori di fironi, le castagne cotte al forno ed infilate come collane a più file. I fironàtt arrivavano dal Cuneese e per attirare i clienti organizzavano una piccola lotteria: estraendo tre numeri da un sacchetto si potevano vincere altre castagne (cuni).

Questo il loro grido di battaglia: Gh'hemm i cuni de Cuneo! Cinqu ghei trii numer! Trii ballett cinqu ghej! Bèi fironni!

Dal lago Maggiore venivano i maronatt, venditori di scotti caldi, le castagne arrosto che servivano in imbuti di carta. Nei pressi delle scuole stazionavano i venditori di castagne peste, i straccadent, le famose "caramelle per gli studenti". Queste ultime, lessate con sale e semi di finocchio, venivano vendute da altri ambulanti che così invitavano i compratori: "Peladej! Oh i peladej! Oh bèi cotti, col saa e l'erba bonna! Cinqu ghej e mezza! E bujen!". Per indicare una cosa senza alcun valore si usava un tempo l'espressione: "Acqua de bellegott ", acqua di castagne secche vendute cotte. (da “MESTIERI MENEGHINI d’altri tempi” Il Carrobbio)

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Nei ricordi dei nostri nonni: Ci sono quelle bianche e morbide, cotte lessate si mangiavano col latte nelle fredde sere d’inverno. Maria S. Con le castagne bianche lessate si faceva la “panada”, alle castagne lesse schiacciate con la forchetta si aggiungeva il latte e si faceva cuocere. Il risultato era una purea dolce di castagne che si mangiava: “Quant te gh’evet fam!”. Ida All’oratorio noi bambini compravamo le bustine di “farineta” cioè farina di castagne, versavamo la farina sulle mani e poi la mangiavamo. Spesso andavamo a casa con “ul musun tutt brut!”, era bianco di farina.. Maria Z. - Renato Spesso alla festa di Giussano, prima settimana di ottobre, si andava già a raccogliere le castagne nei boschi di Carugo (fontana del “sguerch”, ch’el ghe ved no). Alcuni ospiti Tra l’autunno e l’inverno, dopo la raccolta delle castagne, si andava dal panettiere che spesso vendeva “el castagnat” (torta fatta con farina di castagne) a pezzi. Ognuno ne comprava quanta ne voleva e secondo “la borsa” che aveva a disposizione. Maria S. Alla Madonna di San Zeno (8 dicembre) si andava alla fiera di Carugo dove ancora si potevano comprare “i firon” di castagne. Elisabella A Natale si potevano ancora mangiare le castagne che si erano comprate alla fiera nei “firon” (castagne infilate come perle di una collana). Erminia

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Perché si dice?Perché si dice?Perché si dice?Perché si dice?

MENARE IL CAN PER L’AIA

Portare le cose per le lunghe, senza concluderle. Il modo di dire deriva

probabilmente da un vecchio proverbio italiano: L’aia non è luogo per cani da caccia. I segugi, infatti, abituati a correre e a cercare la selvaggina in mezzo ai boschi, ai cespugli, e comunque nei grandi spazi, perderebbero il loro tempo, in uno spazio ristretto come un’aia, dove, peraltro, non ci sono

nascondigli ma tutto è chiaramente visibile. Ora, la similitudine è evidente: chi conduce un cane da caccia per l’aia, ovviamente non può

aspettarsi di trovare selvaggina. Quindi il detto è passato a significare che “mena il cane per l’aia” chi si perde in lunghe discussioni senza

concludere niente, o promette qualcosa, senza poi alla fine mantenere.

PANTALONE PAGA

Così si dice per indicare che il popolo paga gli errori e le colpe dei

governanti, o anche semplicemente le tasse. Dopo il trattato di Campoformio, comparve a Milano una caricatura dov’erano raffigurati i

plenipotenziari che avevano concluso l’accordo, nel momento in cui s’allontanavano in carrozza dall’albergo dov’erano stati alloggiati.

L’albergatore gli grida: “Chi paga?” E la maschera veneziana, Pantalone, che è dietro la vettura, risponde: ”Pago mi, amigo!”.

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LLLLLLLLaaaaaaaa ppppppppooooooooeeeeeeeessssssssiiiiiiiiaaaaaaaa

PER IL SOPRAGGIUNGERE DELLA STAGIONE INVERNALE CI

SEMBRA LOGICO RICORDARE UN POETA AI PIÙ QUASI

SCONOSCIUTO COME VINCENZO CARDARELLI DI CUI RIPORTIAMO

UNO SCRITTO…

Un tempo, era d’estate, era a quel fuoco, a quegli ardori, che si destava la mia fantasia. Inclino adesso all’autunno dal colore che inebria, amo la stanca stagione che ha già vendemmiato. Niente più mi somiglia, nulla più mi consola, di quest’aria che odora di mosto e di vino, di questo vecchio sole ottobrino che splende sulle vigne saccheggiate.

Sole d’autunno inatteso, che splendi come in un di là, con tenera perdizione e vagabonda felicità, tu ci trovi fiaccati, vòlti al peggio e la morte nell’anima. Ecco perché ci piaci, vago sole superstite che non sai dirci addio, tornando ogni mattina come un nuovo miracolo, tanto più bello quanto più t’inoltri e sei lì per spirare. E di queste incredibili giornate vai componendo la tua stagione ch’è tutta una dolcissima agonia.

Vincenzo Cardarelli

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Proverbi e Proverbi e Proverbi e Proverbi e filastrocchefilastrocchefilastrocchefilastrocche

LA VISPA TERESALA VISPA TERESALA VISPA TERESALA VISPA TERESA La vispa Teresa avea tra l’erbetta a volo sorpresa gentil farfalletta e tutta giuliva stringendola viva gridava distesa: "L’ho presa! L’ho presa!". A lei supplicando l’afflitta gridò: "Vivendo, volando che male ti fò? Tu sì mi fai male stringendomi l’ale! Deh, lasciami! Anch’io son figlia di Dio!". Teresa pentita allenta le dita: "Va', torna all'erbetta, gentil farfalletta". Confusa, pentita, Teresa arrossì, dischiuse le dita e quella fuggì. (Un ricordo di Erminia)

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IL MESOSTICOIL MESOSTICOIL MESOSTICOIL MESOSTICO

CHI

AMA

SOGNA

AMORE

POESIA IN RIMAPOESIA IN RIMAPOESIA IN RIMAPOESIA IN RIMA Sopra c’è un pallone Sotto c’è un piccione, Sopra c’è un pulcino Sotto c’è un gattino, Sopra c’è una farfalla Sotto c’è una palla, Sopra c’è un tridente Sotto c’è un serpente, Sopra c’è un pagliaccio Sotto c’è un ragazzaccio, Sopra c’è un bicchiere Sotto c’è un pasticcere, Sopra c’è una frittella Sotto c’è una padella, Sopra c’è una patata Sotto c’è una frittata.

Gruppo ludico-ricreativo (18 ottobre 2013)

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DICEMBRE “A Natal ul dì el se slunga ul sbag d’un gall” A Natale il giorno si allunga lo sbadiglio di un gallo.

GENNAIO “L’Epifania, tocc i fest le porta via” L’Epifania, tutte le feste porta via.

FEBBRAIO “A San Valentin, la primavera l’è visin” A San Valentino la primavera è vicina.

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Il nostro dialettoIl nostro dialettoIl nostro dialettoIl nostro dialetto

Scaldin, recipiente in metallo contenente carbonella o brace ardente.

Ul preet, questo termine indica “lo scaldino”, poiché le case erano poco riscaldate e gli inverni lunghi e molto rigidi, inoltre la temperatura si abbassava maggiormente durante la notte, si usava mettere tra le coperte uno strano oggetto, simile ad una slitta di legno, che serviva per distanziare le lenzuola dallo “scaldino” pieno di braci sistemato su di una lamiera. Non tutti però avevano “la fortuna” di possedere questo strano oggetto e allora ci si arrangiava con un mattone caldo avvolto in uno straccio di lana. PROVERBIO: “Dicembre fioca e fa frecc, piza ul camen e prepara ul scaldalecc”. A dicembre nevica e fa freddo, accendi il camino e prepara lo scaldaletto.

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RicordiRicordiRicordiRicordi ………… I nostri nonni ricordano come si dormiva I nostri nonni ricordano come si dormiva I nostri nonni ricordano come si dormiva I nostri nonni ricordano come si dormiva

quando loro erano piccoli…quando loro erano piccoli…quando loro erano piccoli…quando loro erano piccoli…

Maria ricorda che dormivano tutti in un'unica stanza, erano in quattro: papà e mamma nel letto matrimoniale, lei e suo fratello nel lettino. “Noi non avevamo lo scaldaletto, ma usavamo la bolla dell’acqua calda”, ci racconta che un giorno si è rovesciata ed ha bagnato tutto il letto. Maria S. Ida ricorda che anche lei e i suoi tre fratelli dormivano in un’unica camera divisi in due letti, d’inverno per scaldarsi usavano la “bula dell’aqua colda” poi al mattino usavano l’acqua, diventata tiepida, per lavarsi il viso e le mani. Ida Quando i nostri ospiti erano piccoli, avendo una casa con spazi limitati, spesso i bambini dormivano tutti in un unico letto: “un de pè, un de cò…” e soprattutto d’inverno: “se casciavum, tiravum a rent…”. Alcuni ospiti Quando arrivava un nuovo nato, bambino o bambina, dormiva in una piccola culla tenuta accanto al letto dei genitori che la cullavano facendola dondolare, era “la cuna ”. Angela Durante l’inverno, soprattutto quando faceva molto freddo, le signore andavano in chiesa coperte da uno scialle nero sotto cui nascondevano “el scaldin”, che durante la cerimonia, facevano passare tra le persone per scaldarsi. Alcuni ospiti

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11 “Fiera una volta”11 “Fiera una volta”11 “Fiera una volta”11 “Fiera una volta”

CAMPANE E CAMPANILICAMPANE E CAMPANILICAMPANE E CAMPANILICAMPANE E CAMPANILI (14 e 15 settembre 2013) Anche quest’anno la festa della nostra casa è iniziata con un ricco e gustoso pranzo offertoci dal gruppo degli Alpini, che ringraziamo affettuosamente e speriamo di riavere con noi ancora per i prossimi anni. Nel caldo pomeriggio di sabato le ragazze della Ginnastica Ritmica Virtus Giussano e gli allievi della Scuola di danza Giussano ci hanno regalato un divertente spettacolo, durante il quale è stata distribuita una dolce merenda. Come gli anni passati il grande parco di Residenza Amica era animato dai numerosi bambini impegnati nell’allestimento del mercatino e nei diversi giochi messi a disposizioni. In seguito tutti i partecipanti alla festa, gli ospiti con i loro parenti e i volontari hanno assistito alla Santa Messa celebrata da S. Ecc.za Mons. Mario Delpini, presso la grotta della Madonnina quale custode di Residenza Amica. La giornata si è conclusa con un magnifico spettacolo pirotecnico.

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Nonostante la pioggia intermittente, anche il giorno dopo, all’interno della struttura si sono esibiti i gruppi come da programma: la Banda D.a.c. ci ha rallegrato con diverse arie musicali di autori noti, gli Alpini hanno continuato a servire i loro gustosi piatti all’intera popolazione, dopo aver mangiato e ben bevuto, gli interessati hanno potuto visitare la mostra fotografica delle chiese della nostra Brianza. Nel pomeriggio abbiamo partecipato a due importanti eventi, anticipati

dalle scenette comiche di due clown: una grande festa per il centocinquesimo compleanno di una nostra ospite e l’ascolto delle melodie suonateci dalla Scuola Campanaria di Roncobello.

La serata si è conclusa con l’intrattenimento musicale di

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Ul cugiaa de legnUl cugiaa de legnUl cugiaa de legnUl cugiaa de legn

LA CASSOEULA È forse il più noto piatto della tradizione milanese-brianzola. Per spiegarne le origini si sono nel tempo raccolte varie ipotesi e leggende. Si dice che una buona cassoeula “la g'ha de vess tachenta e minga sbrodolenta” (deve attaccarsi alla pentola e non essere brodosa). Ma soprattutto non deve essere unta. Ingredienti:

Verza – 1 chilogrammo Sedano – 250 grammi Carota – 250 grammi Cipolla – 1 Puntine di maiale – 500 grammi Luganega – 250 grammi Cotenne di maiale – 100 grammi Piedini di maiale – 2 Verzin - 4 Olio, burro, vino bianco secco, brodo vegetale, sale, pepe – q. b.

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Preparazione Si cuociono dapprima per circa un'ora i piedini, spaccati in due per il lungo, e le cotenne già fiammeggiate. Si affetta la cipolla sottile e la si soffrigge con un cucchiaio di olio e uno di burro. Si aggiungono le puntine, la luganega tagliata a tocchi ed i verzini. Si lascia rosolare bene il tutto e si versa sopra un bicchiere di vino. Si lascia evaporare, si tolgono tutti gli ingredienti e nel recipiente si versano le carote ed il sedano tagliati sottili. Si versa un po' di brodo, si aggiunge il sale ed il pepe, si abbassa il fuoco e si lascia cuocere lentamente mescolando di tanto in tanto. Dopo aver mondato e lavato le verze, le si mettono sul fuoco in una pentola con la sola acqua rimasta dopo il lavaggio, si lasciano appassire e si aggiungono alle altre verdure che stanno cuocendo. Si mescola e si distribuiscono sopra le puntine, la luganega, i salamini e le cotenne. Mescolando di tanto in tanto si fa in modo che il sugo di cottura ricopra un po' questi ingredienti, si copre la pentola e si lascia cuocere per almeno un'ora, avendo cura di eliminare di tanto in tanto l'unto che dovesse prodursi in superficie. Si serve calda da sola o accompagnata da polenta fumante. Commento: Questo è un piatto tipico brianzolo che si preparava già in occasione della festa dei defunti (insieme al pane dei morti), ma si consumava poi durante tutto l’inverno. Per una buona digestione prima di iniziare il pasto si consiglia di bere “un buon bicchierino di grappa” e alla fine ripetere lo stesso gesto!

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LA CARSENZA Morbido, ricco di frutta ma non dolcissimo, ricorda molto i sapori dell’autunno ed è ottimo per terminare un pranzo. Ingredienti: 450 gr di farina 00 100 gr di zucchero di canna 1,5 bicchieri d’acqua 80 gr di burro fuso

1 cubetto di lievito di birra (25gr) 3 mele grandi mezza confezione di uvetta 1 confezione di fichi zucchero semolato q.b. burro a fiocchi Preparazione: Far sciogliere il lievito in mezzo bicchiere d’acqua e il burro nel microonde. Impastare la farina, lo zucchero di canna, l’acqua, il lievito e il burro. Unire all’impasto le mele tagliate a pezzettini senza sbucciarle ma togliendo solo il torsolo, l’uvetta e i fichi tagliati a metà. Amalgamare il tutto fino ad ottenere un impasto omogeneo. Travasare il composto in una teglia rotonda foderata con carta da forno, lasciar lievitare coperto da un canovaccio per almeno quattro ore. Prima di infornare spolverare con lo zucchero semolato e qualche fiocchetto di burro. Infornare a 200 gradi per 45 minuti avendo cura di coprirla con della stagnola se diventa troppo colorita. Sfornare, spolverizzare con zucchero a velo e servire, meglio se tiepida, ottima anche fredda e se ne avanza anche il giorno dopo!

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Commento: Difficilmente questo tipico dolce lombardo veniva preparato in casa, spesso lo si acquistava dal prestinaio già confezionato. Comunque lo si poteva consumare quando “te g’he voja de mangial e se te g’hevet i danè per cumpral!”. POESIA “… El dì de la vigilia Van tucc a faa ona visita al verzee Che’l deventa l’ottava meravilia Per virtù di pessee, Cervellee, fruttiroeu e polliroeu. Che esposizion de trutt, de sturion! Zandalinn de salamm e de pescioeu, De luganegh, de lengu affumicaa, Codeghitt, busecchitt e cervellaa; E cappon a monton, E pollin senza fin, E on sterminni de occh Bianch, grass, biott, cavezzaa col straforzin; Triffol, lègor, salvadegh e fasan: Gh’è la grazia di Dio proppi a balocchi Che la naspa la vista e la consola: Bell fondamment per i peccaa de gola! Gh’è on proverbi in Milan Che tutt i salmi van a finì in gloria: E istess i bon cristian Fenissen tutt i fest in pacciatoria: El bell primm dì dell’ann già se comenza A mangià la carsenza:

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Se fa onor a San Bias col panatton: San Giusepp, l’è vin dolz con i tortej: San Giorg, panera o lacc, e mascherpon: Pasqua la gh’ha ‘l caprett a l’uso ebrej, E per differenzialla, no se scappa De fa l’insalatinna e i oeuv in ciappa: Gh’è ‘l rosari e i marron. Figurev poeu ‘l Natal Che tra i fest l’è la festa principal: Se sent fina tre mess, e capirii Che gh’è anca l’obblig de mangià per trii. El men che sia l’è panatton, torron, E rosoli e mostarda e pollinon: E per la pitoccaja Luganeghitt, cazzoeula e gran vinaja. …”

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UUnn aauugguurriioo aaffffeettttuuoossoo

IIll ccoommiittaattoo ggiioorrnnaalliinnoo,, iinn ooccccaassiioonnee ddeellllee ffeessttee nnaattaalliizziiee,, ccoogglliiee ll’’ooccccaassiioonnee ddii aauugguurraarree aa ttuuttttii ggiioorrnnii lliieettii ee sseerreennii,, uunn ffeelliiccee iinniizziioo ddii nnuuoovvoo aannnnoo cchhee ppoossssaa aaccccoommppaaggnnaarrvvii iinn sseerreenniittàà..

LLaa rreeddaazziioonnee ddeell ggiioorrnnaalliinnoo

((AAlleessssaannddrroo,, AAnnggeellaa,, EEddooaarrddoo,, EErrmmiinniiaa,, AAnnttoonniioo,, GGaabbrriieellllaa,, IIddaa,, IIvvoo,, MMaarrgghheerriittaa,, RReennaattoo,, AAnnggeelloo,, MMaarriiaa SS..,, MMaarriiaa ZZ..,, EElliissaabbeellllaa,, ee ccoonnssuulleennttii))

BUON NATALE!