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Anno VII - numero 12 - 2009 Periodico della Casa di Reclusione di San Michele di Alessandria Pietro Maso, io l’ho conosciuto Un uomo si può riscattare nella riabilitazione Certezza della pena o del diritto? La responsabilità e la discrezionalità del Legislatore In questo numero inserto “Legge Gozzini” In questo numero inserto “Legge Gozzini”

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Anno VII - numero 12 - 2009Periodico della Casa di Reclusione di San Michele di Alessandria

Pietro Maso, io l’ho conosciutoUn uomo si può riscattare nella riabilitazione

Certezza della pena o del diritto?La responsabilità e la discrezionalità del Legislatore

In questo numero

inserto “Legge Gozzini”In questo numero

inserto “Legge Gozzini”

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SOMMARIO

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Periodico di informazione della CCaassaa ddii RReecclluussiioonnee ddii SSaann MMiicchheellee – Alessandria edito dall’AAssssoocciiaazziioonnee CCuullttuurraaee SSvviilluuppppoo Alessandria - Piazza Fabrizio De Andrè, 76 -15121 Alessandria - tel. 0131 222474 - www.acsal.org

Anno VII – Numero 12 2009

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiilleeGiovanni Rizzo

CCoooorrddiinnaammeennttooBianca Ferrigni

IInn rreeddaazziioonneeFabio D’Errico, Abderrahim El Mountaj, Omar Fasulo,Gianfranco Regosini, Fabio Zerbinati

FFoottooeeddiittiinngg::Giovanni Rizzo - Elisa Dolcino

HHaannnnoo ccoollllaabboorraattoo aa qquueessttoo nnuummeerroo::Maurizio Costanzo, Marco Lecchi, Daniele Menabò, Fulvia Praglia,Ines Rossi CTP Alessandria, Linda Salvaggio.

PPrrooggeettttoo ggrraaffiiccoo ee iimmppaaggiinnaazziioonneeElisa Dolcino

RReeggiissttrraazziioonnee aall TTrriibbuunnaallee ddii AAlleessssaannddrriiaa nn.. 558833 ddeell 2288 oottttoobbrree 22000055SSttaammppaa:: Keller Industrie Grafiche - Via Einaudi, 4315100 Alessandria

IInnddiirriizzzzooRedazione “Altrove” - c.a. direttore responsabileVia Casale, 50/A – 15040 San Michele (AL)email: [email protected]

AAmmmmiinniissttrraazziioonneeACSAL Associazione Cultura e Sviluppo - AL-Piazza Fabrizio De Andrè, 76 - 15121 Alessandria tel. 0131 222474 - www.acsal.org

SSeeggnnaallaazziioonnii,, oosssseerrvvaazziioonnii oo eevveennttuuaallii rriicchhiieessttee ddii ccoollllaabboorraa--zziioonnee ddeevvoonnoo eesssseerree iinnvviiaattee iinn rreeddaazziioonnee aallll’’aatttteennzziioonnee ddeellddiirreettttoorree rreessppoonnssaabbiillee:: AAllttrroovvee -- vviiaa CCaassaallee,, 5500//AA 1155004400 SSaann MMiicchheellee -- AAlleessssaannddrriiaaee--mmaaiill:: ddiirreettttoorreeaallttrroovvee@@vviirrggiilliioo..iitt

Con il contributo della Provincia di Alessandria (Assessoratoalle Politiche Sociali) e il patrocinio del Comune di Alessandria(Assessorato alle Politiche della famiglia e l’educazione e la soli-darietà sociale)

3 EditorialeLa Gozzini, l’unica Legge buona

4 Ritratto di donnaSuora, sorella e mamma

5 Attualità Pietro Maso, io l’ho conosciuto

6 AttualitàUna Legge per tutti

7 AttualitàCertezza della pena o del diritto?

8 AttualitàUn dito contro di te

10 Attualità Gli stranieri in carcere

11 AttualitàDal Paradiso all’Inferno

12 Attualità - IntervisteIl Magistrato di sorveglianza

15 AttualitàEmergenza carceri

16 Attualità Se fosse solo vendetta ...

18 Attualità Il Galeottese

19 Attualità Se non giudichi non sarai giudicato

20 Attualità Sovraffollamento e rieducazione

21 AttualitàDiritto di vivere

22 Attualità - IntervisteL’educatore penitenziario

24 Attualità Aboliamo la Legge Gozzini!

25 Attualità Il 21 e le cinque W

26 Attualità Pene alternative: pochi recidivi

27 Attualità - RaccontiUn mondo intorno a me

28 La posta I lettori ci scrivono - Recensioni

29 L’ora d’ariaTv e impresa nella riabilitazione

A sinistra, il logo che è stato ideato da Petra Filosa

Città di Alessandria

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EDITORIALE

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La Gozzini, l’unica legge buona Come una improvvida cronaca può disinformare e condannare

Tutto ebbe inizio dopo l’arresto dell’ex brigatistaCristoforo Piancone, al quale era stata conces-sa la semilibertà. Clemente Mastella, allora mi-

nistro della Giustizia, medita: ”Vale ancora la leggeGozzini oppure no? Sono pronto a discuterne”. Nellechiacchiere da bar, nelle uscite giornalistiche e nel piùbieco senso comune la Legge n. 354 del 26 luglio1975, “Gozzini”, è identificata come quella che rendeinefficiente il sistema penale italiano. Secondo quelli, lanorma non assicura la certezza della pena, anzi, rendeimpuniti i delinquenti. Lo pensano anche molte caricheistituzionali e “uomini di legge” come il presidente del-la Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli,padre di un disegno di legge palesemente “anti-Gozzi-ni”. Da tutti i pulpiti parlamentari, sorretti dalla disinfor-mazione giornalistica, si scambia per “incerta” la pena“flessibile”. La flessibilità della pena comprende degliiter precisi sanciti dalla legge, e prevede, nel percorso,forme più attenuate di punizioni e controlli prima del-la totale libertà. Il detenuto deve in ogni caso aspetta-re per questo la completa “riabilitazione”, che non av-viene prima dei tre anni dalla fine della pena. I permes-si, la semilibertà, l’affidamento in prova ai servizi socia-li, il lavoro all’esterno, la libertà condizionata rendonola pena flessibile l’elemento indispensabile per quella“sicurezza pubblica” tanto richiesta e promessa ad ognitornata elettorale.Cosa c’entra tutto questo con gli stupri, con gli inci-denti stradali provocati da chi guida ubriaco, con gli im-migrati, con lo spaccio di droga, con il bisogno-dirittodi sicurezza? Con chi è in carcere e segue percorsi“trattamentali”? Con chi quasi a fine pena usufruisce dimisure alternative e cerca di ricostruirsi una nuova esi-stenza? Solo qualche dato: la percentuale di detenutiche riescono a beneficiare della pena flessibile e reite-rano il reato, si aggira intorno allo 0,30, mentre scendedal 68% al 19% la recidiva tra quelli che hanno usufrui-to delle alternative alla detenzione in cella. In questi ul-timi venti anni la “Gozzini” ha subito molti attacchi e li-mitazioni, ed è stata messa in dubbio la sua efficacia.Certi organi di stampa, spesso completamente igno-ranti sulla realtà totalizzante del carcere, ogni tantofanno seguire ad un arresto eclatante la notizia di unreato o dell’evasione di un detenuto in misura “alter-nativa”. I giornalisti cavalcano la notizia, magari di poca

Intellettuale di grande rilievo nel mondo cattolicofiorentino, legato neglianni ‘50 e ‘60 aGiorgio La Pira edErnesto Balducci, eper questo, poi, elettosenatore per quattrolegislature comeindipendente nelleliste del Pci

importanza, aiutati dalla politica di turno, per lanciarsial galoppo contro la legge, e mettere in discussione an-che il comportamento della magistratura, a parer lororesponsabile di aver immesso nella società libera e sa-na un delinquente irrecuperabile. Come affermare chel’encomiabile e difficile lavoro di centinaia di volontari,di direttori di istituti di pena, di educatori e persinoquello degli agenti penitenziari concorre a vario titoloall’illegalità! Come mettere in discussione l’opera sociale di chi, al-la barbarie, contrappone la ragione.Abbiamo così pen-sato di dedicare gran parte degli articoli di questo nu-mero del giornale ad una delle poche leggi che funzio-nano.Ogni redattore ha scritto il pezzo cosciente di trovar-si nella possibilità di scrivere proprio grazie al senato-re Gozzini. In questi mesi ricorre il decimo anniversa-rio della sua morte. “Quando entro in albergo e ho l’im-prudenza di tirar fuori la tessera del Senato invece dellacarta d’identità – raccontava Mario Gozzini – capitavache l’albergatore, letto il nome, mi chiedesse se per casonon ero proprio "quello della legge" e, alla mia rispostarassegnatamente affermativa, mi squadrasse con occhiodiffidente (per un istante ho temuto, d’esser cacciato co-me persona indesiderabile) ". Il senatore già da alloraraccontava le conseguenze della sua identificazionecon la norma che ne porta il nome. L’Italia dei diritti ci-vili che non crede alla disumanità non poteva sperarein qualcosa di meglio. Auguri, senatore Gozzini, buoncompleanno.

Giovanni Rizzo

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RITRATTO DI DONNA

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A cura della redazione

Suor Caterina Elsa Galfrè, ci ha inviato una toccante let-tera che pubblichiamo con piacere nella rubrica dedicataalle donne impegnate, in diverso modo, in carcere.

Perché non scrivi qualcosa del carcere? Mi hanno det-to alcune persone.Avrei, ho, tante cose da dire…e poila testimonianza, il dare voce a chi non ha voce, e sta-ta ed è una delle motivazioni del mio servizio in car-cere e dintorni. Ci vorrebbero tanti libri per racconta-re e per comunicare. Nuovamente si parla di carceresovraffollato.Anche a Cuneo è quasi pieno e resta, conpoco lavoro e poche prospettive, un contenitore deldisagio sociale, più che un luogo di riabilitazione di per-sone. Per la sicurezza si fa ricorso sempre più al carce-re. La società è complessa ed il mondo ha tanti pro-blemi, ma il carcere non è la soluzione. Il carcere è pie-no non tanto per reati quanto per mancanza di per-messi di soggiorno, per espulsione…e diventa reato lasperanza ed il sogno di un futuro, per tanti disperatifuggiti dall’inferno di certi paesi.L’estate è passata anche quest’anno. “Il carcere non vain ferie” era stato lo slogan di un’iniziativa di qualcheanno fa. I detenuti in estate si sentono e restano piùsoli. Gli operatori della giustizia e del carcere fanno,giustamente, le ferie e tutto rallenta: le relazioni. Le ca-mere di consiglio, i processi, le visite d’avvocati, se ci so-no…La vita è più dura per chi resta dietro le sbarre.L’unica comunicazione martellante che ricevono è laTv, con gli sballi dell’estate…Così crescono la depres-sione e la rabbia e scappano “gesti di follia, perché hoperso la pazienza…ed ho fatto male solo a me stes-so”, come mi ha scritto un detenuto, poi trasferito. L’e-state in carcere è un tempo più vuoto e difficile e cisono più trasferimenti. Il carcere è un porto con arrivie partenze, quasi quotidiane. Sono scambi di perso-ne… quasi come pacchi. Ma il carcere è anche incon-tro con gli agenti della Polizia Penitenziaria, d’ogni or-dine e grado e con tanti operatori, impegnati in un ser-vizio difficile e non sempre compreso, che sono gene-ralmente carichi d’umanità. Il carcere è anche incontrocon i volontari con i quali collaboro qui e a livello re-gionale con i vari gruppi del Piemonte.Volontari che ci

hanno insegnato a servire ed amare i detenuti, a colla-borare con le istituzioni e tra noi. Qui a Cuneo la vitain carcere è ripresa con più ritmo con la scuola ed al-tre attività. La biblioteca è stata rimessa in sesto e fun-ziona con orari più ampi e con gruppi di lettura. Allasezione semiprotetta, un pò al margine delle attività,l’incontro settimanale non ha fatto ferie e anche i col-loqui per tutti quelli che ne hanno fatto richiesta, sonocontinuati anche in estate. I colloqui, gli incontri e le at-tività non sono iniziative spettacolari, come il teatro, lepartite di calcio o altre manifestazioni. Tutto questorappresenta un cammino costante portato avanti confiducia e tenacia dai volontari di “Ariaperta” all’internoe all’esterno del carcere, con i detenuti in articolo 21.Sono contenta di collaborare con i volontari, le istitu-zioni e con tanta gente impegnata. Mi va bene così: lavicinanza, la relazione fraterna, la semplicità, con mezzipoveri e semplici che ho e come ne sono capace, conl’aiuto di Dio. Essere per tutti sorella e mamma…cosìcome mi chiamano, è bello e doloroso insieme. È do-no di Dio, ed io dopo diciannove anni di servizio, in èper il carcere, continuo ancora a sognare una societàpiù accogliente, con più prevenzione, con meno carce-re e più umano.

Suora, sorella e mammaNel carcere di Cuneo con i volontari a ricostruir vite

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ATTUALITA’

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di Gianfranco Regosini

In questi giorni mi ritrovo spesso apensare alla vicenda di Pietro Maso, aipassaggi televisivi trasmessi all’epocadei fatti. Mi ricordo le immagini delprocesso e quel giovane con giacca,foularino a pois e capelli impomatatiche si presentò al giudice sorridendo. Ilparere dei media era concorde: un ra-gazzo freddo, immaturo, anaffettivo.A distanza di molto tempo, quando misi presentò con una stretta di mano, difronte a me c’era un uomo.Ho indugiato su questo ricordo nonsolo per ragioni affettive, ma per rac-contare il modo particolare in cui sisviluppò il nostro rapporto. Occorrevain qualche misura cercare di “vivere in-sieme” nel periodo di comune impe-gno, e fu questo lo spunto per cono-scerci meglio e per parlare anche diprogetti futuri. Come si potrà facil-mente comprendere, la possibilità diritrovarci e di conoscerci veramente,dividendo ricordi e riflessioni, era rara.Di solito ci incontravamo in palestra,dove lui era il responsabile, due voltealla settimana, e dopo esserci studiatireciprocamente per un po’ iniziammoad aprirci entrambi. Lui era riservato,taciturno aveva uno strano modo didire “no”: non scuoteva la testa, ma ar-ricciava il naso come se sentisse odoredi bruciato. Nello stesso momento ilsuo sguardo ammiccava sorridendo, esembrava volersi scusare per averticontraddetto.Il tempo passa, le persone cambiano. Siera avvicinato alla fede, e notai subitoil rosario da cui non si separava mai,donatogli dal suo “nuovo padre”. Ilconseguimento del diploma di ragio-niere, mai una grana o un gesto violen-to.Tutto questo ha fatto di lui una per-

anche rieducare e reinserire nella so-cietà. Oggi, in carcere, niente ci apparepiù vuoto della parola “recupero”. Ep-pure deve esistere la possibilità, per chine è convinto e vuole guardare al fu-turo con occhi diversi, di far maturarela voglia di riscatto.Io credo che nella vita, tutti in egualmisura, abbiano diritto di provare a vi-vere una seconda vita, forse perché laprima non è stata tale, forse perché lagiovinezza e la voglia di avere tutto esubito hanno bruciato te e gli altri.Chiunque può perdonare e perdonar-si, e se Maso non l’ha fatto con se stes-so possiamo quanto meno provarenoi a farlo. Forse da lì potrà ripartire si-curamente il suo vero percorso di vita,quella vita che è stata data in pasto aimedia senza riserva alcuna. Lui è giàstato giudicato, e se noi non siamo ca-paci a perdonarlo dovremmo almenoevitare di giudicarloUna sentenza è già stato emessa e unacondanna sta per essere scontata.Quello che serviva alla società, rinchiu-dere e “uccidere”, un ragazzo già “ucci-so”, è stato fatto. Pietro Maso ha com-battuto per ritornare ad essere un uo-mo libero, e se noi non siamo capaci didimenticare possiamo almeno provarea tacere.

Pietro Maso, io l’ho conosciutoUn uomo si può riscattare solo se si crede nella riabilitazione

sona nuova.Diciassette anni sono tanti nella vita li-bera, ma in carcere sono un’eternità.Quando le tv hanno dato la notiziache i giudici del Tribunale di Sorve-glianza avevano ammesso Pietro Masoal regime di semilibertà ho provatoun’immensa gioia, che è andata sce-mando a contatto con l’opposizionecavalcata da una massiccia campagnamediatica. Televisioni e settimanaliscandalistici hanno fatto rimbalzare lanotizia da un’edizione all’altra, l’hannoseguito, braccato. Occorreva far noti-zia, occorreva nuovamente dare in pa-sto al pubblico la vicenda con curiositàmorbosa, ma questa volta arricchita daparticolari inediti. Ho provato un’ama-rezza totale seguendo le tante trasmis-sioni televisive alle quali partecipavanoin qualità di esperti i soliti noti: il cri-monologo, l’avvocato, l’uomo di cultu-ra, il giornalista... Il dibattito, se tale sipuò chiamare, verteva su un’unanimeconvincimento: la sentenza dei giudicimilanesi era un grave, gravissimo erro-re, perché “Maso è un megalomaneschizoide, non è capace di discernere ilbene dal male e ha bisogno di cure”.Tutti hanno dato una loro opinionesulla questione Maso, ma nessuno co-nosce effettivamente il pianeta carce-re, il sistema della concessione dellemisure alternative che prima di essereapprovate sono valutate di volta in vol-ta e di caso in caso, e sempre in modosoggettivo.La sete di verità mi spinge a prenderela parola affinché un po’ di chiarezzavenga fatta. Parlare di carcere è sem-pre difficile, anche perché in Italia nonsi finisce mai di superare la logica chelo sostiene: carcere come contenitoredi tensioni sociali.È scritto: il carcere punisce, ma deve

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ATTUALITA’

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Una legge per tuttiL’introduzione della Gozzini ha rivoluzionato la detenzione

di Fabio D’ Errico

La legge n. 663, 10 ottobre 1986,“Modifiche alla legge sull’ Ordi-namento Penitenziario e sull’e-

secuzione delle misure privative e li-mitative della libertà”, nota come leg-ge Gozzini, dal nome del senatoreMario Gozzini che la presentò in Par-lamento, introduce il principio di fles-sibilità nell’esecuzione penale e rap-presenta una svolta nel passaggio daun sistema repressivo, fondato su unaconcezione retributiva della pena, do-ve la sanzione penale rappresenta ilcorrispettivo del male commesso at-traverso il reato, ad un sistema fonda-to sul principio della finalità rieducati-va e risocializzante della pena (le pe-ne non possono consistere in tratta-menti contrari al senso d’umanità edevono tendere alla rieducazione delcondannato… articolo 27 della Costi-tuzione).L’introduzione di un sistema di misurealternative alla pena detentiva, da ap-plicare caso per caso e contestual-mente a determinate condizioni, haavuto risvolti positivi su più fronti. Nelclima di giustificata preoccupazioneper l’incremento d’alcuni reati, peral-tro alimentato dai mezzi d’informazio-ne, c’è chi ha individuato nella Gozziniuna sorta di capro espiatorio. Per giu-stificare ed avvallare l’esigenza di pro-durre nuove norme, tendenzialmentepiù severe per contenere l’allarme cri-minalità che stringe i centri urbani, èstato riproposto un tema forse anticoquanto il diritto, sul quale da sempresi sono divisi politici e giuristi e su cuisi usa spesso discorrere con toni ac-cusatori, ma anche approssimativi.Il libero cittadino non può verificarel’autenticità di certi dati, che spesso

ta libera con prudenza, cogliendo lapossibilità di ritagliarsi un nuovo ruoloall’interno della collettività e cercandodi abbattere l’inevitabile discriminazio-ne generata dalla sua condizione. Im-presa peraltro non facile. Nel periodoche è seguito all’introduzione dellaGozzini, il primo effetto positivo è sta-to all’interno del carcere, non solo trala popolazione detenuta.Tutti questi risvolti positivi si sono ri-versati sulla società, che da parte suanon ha più dovuto “urlare” contro lascarcerazione di detenuti che, unavolta scontata per intero la propriapena, da un giorno all’altro si ritrova-vano liberi, ma con quali aspettative?Sicuramente, senza la concreta possi-bilità di riflettere sui propri sbagli e inalcuni casi anche con rabbia per tuttoil tempo vissuto in condizioni d’esclu-sione, seppure giustificato. Sarebbeutile ogni tanto leggere statistiche oarticoli di cronaca che, anziché sfrut-tare episodi isolati dove la legge Goz-zini “ha perso”, mettessero in eviden-za quali straordinarie opportunitàd’incontro ha determinato tra chi sitrova “al di là” e “al di qua” del muro.

sono utilizzati per calamitare la sua at-tenzione verso il problema sicurezza.Perché in primo luogo non ne possie-de gli strumenti e spesso è costrettoad assorbire un tipo d’informazioneche spinge verso un atteggiamento in-tollerante, talvolta accusatorio rispet-to ad una legge che, in realtà, ha por-tato grandi miglioramenti tanto nel-l’ambito penitenziario, quanto, di ri-flesso, nella società fuori. L’allarme so-ciale non può e non deve giustificaregli attacchi ad una norma che funzio-na, snaturandone il reale e prezioso si-gnificato. Ciò che questa legge ha san-cito è l’idea del carcere come luogo direcupero e di reinserimento.L’espiazione della pena viene dunquea coincidere con un percorso basatosull’attività formativa, l’istruzione, il la-voro. Va ricordato che nessuno dei“benefici” della Gozzini è “automati-co”, perché sempre la loro applicazio-ne è subordinata ad una valutazionecomplessiva della condotta tenuta dalcondannato e della sua partecipazio-ne al processo rieducativo. Non è suf-ficiente la buona condotta, ma serveuna valutazione complessiva sul per-corso di risocializzazione della perso-na, basato su un periodo d’osserva-zione e di trattamento da parte diun’equipe, composta di psicologi eeducatori. Infine la legge istituisce la fi-gura del Magistrato di Sorveglianzacon una funzione anche di garanziadella legalità dell’esecuzione della pe-na, che può concedere, negare o po-sticipare il beneficio, attenuare o con-fermare alcune forme restrittive. Dun-que chi ritiene che un detenuto pos-sa ottenere un beneficio attraversoun semplice percorso di buona con-dotta è poco informato. Il detenutoha dunque modo di riaffacciarsi alla vi-

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ATTUALITA’

Certezza della pena o del diritto?Le responsabilità e la discrezionalità del legislatore

di Fabio Zerbinati

Tolleranza zero? Certezza dellapena? Buttiamo via le chiavi?Un irresistibile crescendo e

perché no! Si tratta di un clima gene-rale di insicurezza, alimentato daemergenze vere, enfatizzate ad arte.Fantasmi animati dalla paura, trovanonelle petizioni d’ordine un nuovo mo-dello sociale nella militarizzazione, os-sia lo scambio tra sicurezza e libertà;ma se dobbiamo cedere parte della li-bertà per esigenze di sicurezza solle-citate dall’opinione pubblica, la demo-crazia finisce per oscillare tra la padel-la e la brace.Tuttavia, al contrario degli illusi propu-gnatori della tolleranza zero, il detenu-to, espiata la pena sarà riammessonella società, sia che abbia avuto ac-cesso o meno alle misure alternative;una constatazione di buon senso èche la recidiva crolla dal 70% al 19%,qualora il detenuto usufruisca di misu-re alternative.In altri termini, voglio dire che la fun-zione della pena vive nella storia ed ilprevalere di una prospettiva rispettoalle altre, o il loro reciproco combi-narsi, riflette non soltanto una logicainterna al sistema penale, ma anche lelinee di tendenza del contesto politi-co-sociale e culturale di riferimento.Se in un dato momento, a causa diepisodi criminosi più o meno graviche destano allarme sciale, vi è unprecipitarsi di eventi, l’esplodere del“vaso di Pandora” in mille pezzi (ma-fia, terrorismo, pedofilia, omicidi effe-rati, ecc.), una massiccia pressione me-diatica che sollecita la certezza dellapena, o l’aggravamento delle pene giàesistenti, è normale che l’dea rieduca-tiva entra in crisi; di fronte ad una tale

pressione sfido chiunque a non cede-re a tale esigenza.La pena però deve essere comunqueproporzionata al grado di colpevolez-za per poter poi assolvere in sede diesecuzione la finalità della rieducazio-ne, poiché se il colpevole non avvertela pena come giusta, sarà difficile cheassuma un atteggiamento di disponi-bilità psicologica verso il processo ri-educativo. Le pene esemplari non ser-vono a nessuno, se non a tradursi inuna sorta di vendetta sociale.A quelli come me che sostengono lanecessità di lavorare in ogni caso perun graduale processo di risocializza-zione, chiedo di valutare quest’altroaspetto: nel nostro paese le leggi cisono, ma sono rimaste in buona par-te sulla carta, a causa degli irrigidimen-ti imposti dalle emergenze del mo-mento (la legge n. 354/75, la leggeGozzini e Simeoni sono gli esempi piùsignificativi).Purtroppo però la loro applicazione èsubordinata ad una eccessiva discre-zionalità della Magistratura di Sorve-glianza; si tratta di una discrezionalitàal limite dell’arbitrio, che si pone, for-se, in contrasto col principio di legali-tà, nel senso che tale principio implical’indefettibilità della pena irrogata inbase a presupposti legali. Ritengo chese la pena deve essere certa, deve es-serla per tutti: non come avviene og-gi, dove vi sono da un lato Tribunali diSorveglianza che propendono per unassoluto diniego delle misure alterna-tive, e dall’altro Tribunali di Sorveglian-za che utilizzano il loro potere discre-zionale maggiormente in linea con lafinalità rieducativa della pena.Nella gerarchia decisionale che portaalla concessione delle misure alterna-tive, il detenuto è l’anello debole del-

la catena. A questa debolezza si ag-giunge ora, la messa in discussionedell’autonomia della Magistratura diSorveglianza, la quale si trova a gioca-re un ruolo delicato che richiede uninvestimento di prospettive a fronte dipolitiche emergenzialiste all’insegnadella certezza della pena.Non c’è però solo la certezza dellapena da definire, ma anche la certez-za del diritto. Penso che il legislatoredovrebbe prendersi carico di taleproblematica ed attuare una riforma,stabilendo, ad esempio, che una voltaespiata una determinata pena, il sog-getto possa accedere automatica-mente, per la prima volta, alle misurealternative, con una certa gradualità,dalle misure più restrittive (es. il lavo-ro esterno) a quelle meno restrittive(es. l’affidamento in prova).In questo modo i detenuti avrebberoun incentivo maggiore a predisporsipositivamente verso un progetto di ri-educazione, senza rimanere, come ac-cade oggi, soggiogati ad una situazionedi aleatoria discrezionalità della Magi-stratura di Sorveglianza.

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ATTUALITA’

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di Omar Fasulo

Il senso di colpa è un fardello, laconseguenza di un episodio che lacoscienza rende insopportabile, è

un sentimento che ogni essere uma-no conosce o può conoscere. Quelloche angoscia un uomo detenuto èpensare sempre al misfatto, certoquesto non fa sentire bene, e un sen-timento che coinvolge moltissimepersone. Dobbiamo partire dal pre-supposto che, qualunque sia stato ilnostro errore, possiamo essere per-donati, nel frattempo prendiamoci leresponsabilità dei nostri sbagli e delleloro conseguenze, ma soprattutto im-pegniamoci a rimediare agli errori chepossono e devono essere riparati.Dietro la colpa vi sono innumerevolimeccanismi. È necessario trovare laforza di ammettere lo sbaglio.Personalmente credo di non avereancora la forza necessaria per far usci-re da dentro tutto ciò che voglio dire.Ammettere una colpa è un grandesforzo, è un’autentica agonia mentalee fisica. Parlarne vuol dire andare a ri-aprire vecchie cicatrici, significa tor-mentare le ferite non ancora chiusedel tutto. La domanda è: in tale condi-zione avrei saputo mantenere il con-trollo assoluto su me stesso per evita-re il misfatto? No, non è possibilequando sei al centro dell’universo e tisenti solo perché è come trovartidentro un inferno assurdo, creato egestito solo da te. La colpa è solitudi-ne, è la perdita di una sfera affettiva,che va dall’educazione all’amore adogni sentimento che si cela dentrol’essere umano perché essere colpe-voli di qualcosa ci rende prima di tut-to soli. Il meccanismo della colpa è

chiedermi se ho veramente qualcosad’importante da dire, qualcosa chedeve e doveva essere detto primache quel misfatto accadesse, o sonosemplicemente la vittima amareggiatae semi-impazzita di un bisogno impel-lente di alzare uno schermo di parolea difesa di quello che ho commesso,come fanno i pazienti dagli psicanalisti,tra me e una realtà che ho scopertotroppo crudele da affrontare: il carce-re. Dovevo capirlo.E c’era solo un modo per trovare unarisposta a questo mio pensiero: ascol-tare le mie discordanti voci interiori,esortarle a esprimersi senza timore,lasciarle tuonare e gridare (in mododa poterle valutare e definire), anno-tare ciò che avrebbero detto e infineinterpretarle come lo psicologo inter-preta un test proiettivo, perché sonole voci che ognuno ha dentro di séche possono far ammettere quelloche è giusto e quello che non lo è. So-lo allora posso decidere alla chiara lu-ce del giorno e all’ancora più chiaraluce della ragione.Più penso e più sento che le voci cheho dentro di me non possono offrir-mi un’illuminazione interiore. Tuttaviapossono rivelare se il mio errore puòessere scusato senza che la colpam’invada e diventi patologica.Chiamo la colpa con un nome, credoche sia una creatura bendata, che iochiamo verità, una povera incosciente,dalle molte voci e dai molti padroni.Cerco di ribellarmi al tentativo di es-sere sedotto dal fardello del reato, mascopro che la colpa è troppo grande.Un giorno avrò perfino il coraggio diguardarla in faccia, dirò magari che lacolpa è una follia e forse sarò prontoa darle della bugiarda, gridando poi a

Il delitto non può essere cancellato: resta sempre come la colpaUn dito contro di te

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ATTUALITA’

tutto al mondo le mie ragioni, ma og-gi questo non vale.Quello che oggi conta è che quel sen-timento, quel senso di colpa, quell’im-provvisa forza, quell’oggetto che hacolpito la mia anima e mi ha messo inginocchio.In ogni modo, a cosa serve continua-re a tormentarmi per qualcosa chenon può essere cambiato, devo cerca-re piuttosto di capire che, nel mo-mento in cui ho commesso quell’er-rore, non ero veramente in grado diagire diversamente, forse perdonan-domi potrò trovare la ragione per cuisono caduto. Ora so che devo alzarmie continuare a camminare dentro lavita che mi aspetta, perché non possoper un’esistenza intera condannarmiall’espiazione ma, come Dante rap-presenta il passaggio dall’inferno alpurgatorio, verso il paradiso, forse ungiorno anche io potrò vedere la lucedel paradiso della vita.Di fatto, continuare ad accusarmi mirende arido, rabbioso, e non mi per-mette di liberarmi dal meccanismodella colpa. Questo non solo mi ren-de capace di colpevolizzare sempre dipiù me stesso per i miei errori, ma miporterà a colpevolizzare altri per i lo-ro errori, giudicandoli.Io invece, non posso e non voglio giu-dicare nessuno, se non solo me stes-so, il fatto che possa giudicarmi forsemi libererò da questa grande e inossi-dabile colpa.

Dietro la colpa vi sonoinnumerevoli meccani-smi. È necessario trovarela forza di ammettere lo sbaglio.

Ammettere una colpa è un grande sforzo,è un’autentica agoniamentale e fisica.

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ATTUALITA’

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di Abderrahim El mountaj

Stiamo correndo un grande ri-schio. Le carceri italiane potreb-bero diventare Centri di Perma-

nenza Temporanea (CPT), ora deno-minati Centri di Identificazione edEspulsione (CIE) e questo significhe-rebbe l’abbandono della funzioneprincipale del carcere, cioè la rieduca-zione.Prima l’Amministrazione Penitenziariaprendeva in custodia delle persone esi poteva pensare che sarebbero ri-maste in carcere per un periodo con-sistente. Si poteva impostare un trat-tamento, pianificare il lavoro, fare unprogetto. Oggi le risorse sono impie-gate per persone che dopo pochissi-mo tempo escono fuori libere Spessotutto quello che si riesce a fare è sem-plicemente l’ “accoglienza”, cioè la tra-fila che ogni nuovo detenuto, deve at-traversare in un carcere italiano: visitamedica, visita psicologica, accompa-gnamento da parte di personale e divolontari, verifica del livello di ansietà,perché va tenuto sotto controllo ilpericolo che i nuovi si facciano delmale o siano violenti nei confronti dialtri.In galera non ci sta solo chi, con un al-ta probabilità, verrà condannato?Il rischio è che l’Istituto perda le suecaratteristiche, quelle scritte nell’arti-colo 27 della Costituzione, che parladi rieducazione del condannato.Quando le risorse vengono investiteper le “permanenze giornaliere”, iltrattamento rieducativo c’entra poco.Si rischia di non raggiungere nemme-no l’obiettivo della dignità dei reclusi,per non parlare del loro reinserimen-to. Per un verso, è vero che gli stranie-

Gli stranieri in carcereQuale trattamento rieducativo si segue per inserirli nella società

ri vengono arrestati più degli italiani.Ma è anche vero che, a parità di im-putazioni, per loro la realtà carcerariapuò essere molto diversa. Un esem-pio: è facile che uno straniero in cu-stodia cautelare non sia in possesso didocumenti utili a dimostrare che pos-siede un alloggio.Quindi non otterrà misure alternativealla detenzione, perché il Magistratonon sa dove mandarlo. Nella secondaparte del primo comma dell’articolo69 dell’Ordinamento Penitenziario del1975 tra le competenze del Magistra-to di Sorveglianza si contempla anchequella di “prospettare al Ministro diGrazia e Giustizia vari servizi, con par-ticolare riguardo all’ attuazione deltrattamento rieducativo”.Ed è sulla base di questo spunto chesi potrebbe affermare che il tratta-mento rieducativo non è un lusso maormai una questione di sopravvivenzafisica nelle celle.L’aumento progressi-vo del tasso di crescita carcerario è

dovuto soprattutto all’effetto di dueleggi, la Bossi-Fini sull’immigrazione ela Cirielli sulla recidiva, che portano l’I-talia ad incarcerare presunti innocenti,cioè detenuti in attesa di giudizio, inmodo più che doppio rispetto allamedia dei paese membri della Comu-nità Europea. Ma le fredde cifre nonspiegano bene la drammaticità dellasituazione.La teoria di non fare sprecare le po-che risorse di cui l’AmministrazionePenitenziaria dispone o non avviare glistranieri verso i progetti di inserimen-to nel tessuto sociale risulta discrimi-natoria e viola molti principi e legginazionale e internazionali sulla paritàdi trattamento.Quelli che sostengono questa teoriamotivano la loro tesi dicendo che “ èinutile sprecare risorse su individuiche a fine pena verranno espulsi.” Manon bisogna dimenticare che, facendocosì, si commette un’ ingiustizia neiconfronti degli stranieri.

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dai tanti, se non mettendo a tacere ipropri demoni, i personali sotterraneiminimi delitti di tutti i giorni.Chi può pensare che soltanto per pu-ra coincidenza, ci troviamo dall’altraparte del muro? Tutto stride tutto ciabbandona tranne questa certezza:varcare quel labile insignificante confi-ne del dentro e del fuori, del delittodella punizione, distinguersi tra il buo-no e il cattivo non ci lascia credere diessere migliori o peggiori di chi stadentro. Solo questa è la certezza, tut-ti possiamo condividere quei pochimetri quadrati che segnano lo spaziodell’espiazione. Allora nessuna legge osemplicemente altre leggi che nonqueste, potranno riformulare un codi-ce in cui a ogni delitto o violazionecorrisponda una pena a parte, a ognidelitto un suo risarcimento, una per-sonale espiazione.Perché qualcuno possa dire: io devoancora pagare - e un altro non sentacome profonda incolmabile ingiustiziala sproporzione di una pena troppolunga per una miseria violazione.Perché non si avverta inutile una re-clusione che non santifica né minima-mente migliora. Viene irresistibile unasuggestione: vuol dire forse che tuttoil male suscitato in questo mondo nonpuò che viaggiare da uomo a uomo, fi-no a cadere su di un essere perfetta-mente puro che lo subisce e lo di-strugge ? Ma questo è male esteso e capillare,nessuno può sentirsene fuori, real-mente libero, non ci sono uomini ve-ramente tanto buoni o tanto cattivi,semmai si può nascere “buono” e poinel tempo diventare “cattivo”.Si colpisce per essere protagonisti, peressere visti; è grottescamente un mo-

ATTUALITA’

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Dal Paradiso all’Inferno

di Omar Fasulo

Non sono in grado di farlo ecerto non desidero dare ungiudizio moralistico o forma-

le circa la gestione di quelle che in findei conti sono le nostre vite, men chemeno è mia intenzione discutere suquel “compromesso”, in se lesivo, diuna dignità umana che sta tra la sogliadel buono e del cattivo.Ma partiamo dal presupposto dicen-do che buoni si nasce e cattivi si di-venta.Quando ragioniamo sul “cattivo” pen-siamo a un mondo malvagio, popola-to da uomini crudeli, e per alcuni lacrudeltà abita dietro le mura di uncarcere, e il carcere per molti è l’infer-no.Invece il paradiso è formato da uomi-ni trasparenti, da uomini buoni, ma so-prattutto liberi di vivere la loro liber-tà, persone che vivono un’ineffabilearmonia, come dice Dante nel Convi-vio esso è formato da luce purissima.Uomini senza peccato, ma sarà vero ? “L’inferno”. Cinque sei cancelli, porteblindate che si attraversano, tu lasci al-le spalle l’esterno, una condizione uni-camente economica dell’esistenza; edi là, dall’altra parte, la stessa realtàspeculare rovesciata, agognando, spe-rando con ogni forza di esserne fuori:il coro multiforme dei disgraziati, diquelli che “non hanno i soldi per pa-gare un avvocato”, degli sfortunati, deitanti che dopo il collegio e carcereminorile, droga e manicomio nonhanno trovato che altra disperazioneo qualche visita mensile di indaffarati edistratti psicologi, assistenti sociali.Ma c’è uno spazio per tutti e nessunodi noi può sentirsi veramente diverso

do di esistere, forse per poter espiare,forse per riscattare oscuramente econfusamente una richiesta estremadi purezza, di significato.Chi è rimasto “buono”è perché la vi-ta lo ha aiutato a non compiere undelitto per il quale la legge lo avrebbediversamente punito, ma nessuno èveramente buono e nessuno è vera-mente così cattivo, e non sono le mu-ra di un carcere a rendere un uomopiù cattivo di uno che sta lì fuori.Sì, è possibile vedere molta criminosi-tà come fuga a oltranza, per dispera-zione di ogni perdono e di risarcimen-to possibili. Sfugge la corrispondenzafra delitto e pena. Si pone il dubbio senon ci fosse un fuori a cui fare riferi-mento, per i carcerati e neanche undentro per noi che siamo miracolosa-mente illesi.E mentre racconto tutto questo dauomo “cattivo o buono” che sia, il miocuore palpita troppo o troppo poco:sedia è solo sedia, branda è solo bran-da, tutto è nudo e ritornato sulla stra-da che mi conduce, passo dopo pas-so, verso quel paradiso che noi tutticrediamo perfetto, abitato da uominiperfetti.“Chi è senza peccato scagli la primapietra”

Il legame tra il castigo e il perdono

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ATTUALITA’ - Interviste

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Il Magistrato di sorveglianzaRuoli, funzioni e responsabilità

a cura della redazione

Abbiamo incontrato il dottor AlbertoMarcheselli, ex Magistrato di Sorveglian-za di Alessandria e gli abbiamo postoalcune domande.

LLEE FFUUNNZZIIOONNII DDEELL MMAAGGIISSTTRRAATTOODDII SSOORRVVEEGGLLIIAANNZZAA

Molto spesso mi chiedono le personeche mi conoscono cosa fa il magistra-to di sorveglianza, perché è un lavoroabbastanza misterioso per chi non èaddetto ai lavori, è un lavoro di cui sisente parlare sui giornali anche nonsui giornali nei momenti in cui succe-dono fatti di cronaca eclatanti, quandoqualche misura alternativa va male esuccede qualcosa di particolarmentegrave, invece c’è tutta una quotidiani-tà che nessuno conosce.In sintesi il Magistrato di Sorveglianzae il Tribunale di Sorveglianza perché lefunzioni non sono del singolo Magi-strato ma di un organo collegiale fat-to di tante persone, sono quelle inbuona sostanza di determinare inconcreto quella che la pena che deveessere applicata.Nessuno lo sa perché sia l’informazio-ne che la politica danno dei messaggisostanzialmente errati dal punto di vi-sta tecnico, tutti noi siamo portati apensare che la pena sia tuttora la pe-na intesa nel senso classico, cioè la pe-na del carcere non è più così ma nonè più così ormai in Italia da più di 30anni.La pena è un ventaglio di cose moltodiverse, che vanno dalla carcerazionepiù severa, cioè la carcerazione conregime del 41 bis, quello che la genteconosce con il nome di carcere duro,

alle misure alternative, sono tutte pe-ne, ormai il sistema penale italianoprevede che la sanzione debba esserescritta solo in teoria nelle sentenzedel giudice che condanna, ed èespressa in giorni, mesi, anni di reclu-sione, ma in concreto quella non è lavera pena, la vera pena è quella che sidetermina dopo, è quella che si deter-mina con l’intervento e la competen-za della Magistratura di Sorveglianza,in estrema sintesi una delle due gran-di funzioni della Magistratura di Sor-veglianza è proprio quella di esseregiudice della pena, giudice che stabili-sce concretamente quale pena vienead essere eseguita.Quindi e magari ci torneremo anchedopo, tutta l’informazione che si legge,effettività della pena e via discorrendosono viziate in radice, mi permetto didire da una forma di ignoranza, nelsenso che sono 30 anni che la pena inItalia non è solo e necessariamentepena detentiva, e anche molto spessoi progetti di legge che affermano op-portunamente che bisognerebbe ri-servare il carcere solo ad una certaquota dei casi, oltremodo è una real-tà già in atto, non quanto sarebbe au-spicabile ma già in atto basta pensareche statisticamente prima dell’indultosu un totale di persone in esecuzionedi pena più del 60% erano in esecu-zione di pena secondo forme che nonerano quelle della detenzione ordina-ria.

II PPEERRMMEESSSSII PPRREEMMIIOO EE LLEE MMIISSUURREEAALLTTEERRNNAATTIIVVEE

La legge Gozzini e tutti gli interventiche si sono succeduti nel tempo, i piùimportanti sono stati la legge Simeo-

ne e vari interventi successivi, sonoleggi che hanno attuato quello che di-cevo nella parte precedente del dis-corso, sono quelle che hanno model-lato il sistema penale nel senso dellaflessibilità della pena, in altre parolesono leggi che sono partite dalla con-siderazione primaria della disumanitàdi una pena esclusivamente carcera-ria, dell’inadeguatezza di una pena sol-tanto carceraria della non necessità diuna pena soltanto carceraria.Sono delle leggi che hanno da un latodisegnato una serie di forme, che nonsono forme solo di attenuazione delrigore della sanzione penale ma sonoforme di adeguamento della sanzionepenale a quelle che sono le necessità,

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ATTUALITA’ - Interviste

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necessità non solo del condannatoma anche della società, si sono così in-trodotti per esempio i permessi pre-mio che sono la possibilità per il dete-nuto periodicamente di uscire dal car-cere libero nella persona cioè sulla fi-ducia, sulla parola se fossimo in un filmamericano. Per recarsi in famiglia, re-carsi dove ha i suoi affetti, questo nonsolo e non tanto per attenuare il rigo-re della carcerazione, ma sulla basedel concetto che secondo me è sa-crosanto, che la sanzione penale nonpuò essere una desocializzazione nondeve essere una desocializzazione, de-ve tendere nel limite del possibile arestituire alla società un uomo chenon delinqua più, non solo nel suo in-

teresse, ma anche nell’interesse dellasocietà stessa.E il presupposto con la possibilità chegradualmente, naturalmente sulla ba-se di una verifica che deve essere nel-lo stesso interesse del condannatoadeguata verifica diciamo della suanon pericolosità sociale, che ci debbaessere un percorso di parziale e pro-gressivo reinserimento, quindi pianopiano tornare a casa, si possono con-cedere permessi premio per un mas-simo di complessivo di 45 gg. in un an-no, il permesso premio è la secondadelle forme diciamo di erosione dellapena detentiva intesa nel senso stret-to e rigorosa, la prima è la liberazioneanticipata, che vuol dire sconto di pe-na per buona condotta.Sono una serie di passi, di gradini, cheè previsto che possano essere per-corsi uno dopo l’altro, si ottiene primalo sconto della pena se uno partecipaall’opera di rieducazione rispettandole regole del carcere, mostrando pro-gressi, se questi sono di una certa in-tensità si può avere la possibilità ditornare sulla fiducia a casa qualchegiorno.Su questo nel progresso e nel percor-so possono poi essere concesse altree sempre maggiori aperture che van-no dalla semilibertà la possibilità distare fuori dal carcere durante il gior-no e tornarvi per dormire di notte, amisure alternative in senso stretto chevuol dire possibilità di espiare la penain forme esterne al carcere.

CCEERRTTEEZZZZAA OO FFLLEESSSSIIBBIILLIITTAA’’ DDEELLLLAA PPEENNAA

Il tema della certezza della pena, è untema ricorrente facendo il Magistratodi Sorveglianza da più di un decennio,

ricorre in Italia con la regolarità dellestagioni.È regolarmente citato alla presenza diquesti due elementi, durante unacampagna elettorale o un evento dicronaca allarmante, se no di questoargomento non se ne parla.Mi spiace esprimermi con ruvidezza èun tema sul quale non sento mai par-lare in modo adeguato tecnicamenteadeguato e anche culturalmente ade-guato, innanzitutto che si parli di cer-tezza della pena intesa come rigiditàdella pena, in realtà certezza della pe-na è un’espressione che non significaproprio nulla, alla società ai detenuti atutti interessa e deve interessare se-condo me che la pena sia efficace, el’effetto che la pena deve avere èquella di evitare che il soggetto che èstato condannato delinqua nuova-mente, in modo e con degli strumen-ti umani.La rieducazione, rieducazione non de-ve essere intesa come beneficio, co-me regalo, invece da molti soprattut-to nella propaganda politica si inten-dono gli strumenti rieducativi comefossero atteggiamenti di mollezzacontrapposti a un giusto rigore.Non è così, nel senso che la pena de-ve essere pena flessibile, nel senso diadeguata deve essere una pena giusta,la pena proporzionata, la pena cheserva all’obbiettivo che è quello dievitare che la persona che ha sbaglia-to sbagli di nuovo.Quindi già lo slogan in sé andrebbecorretto, io non vorrei più sentir par-lare di pena certa che è vuota, al limi-te tra l’altro linguisticamente anchesbagliato, bisognerebbe dire pena rigi-da non certa, certa vuol dire sicura, sidovrebbe dire da chi sostiene questatesi che la pena deve essere rigida, ma

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ATTUALITA’ - Interviste

non è scritto da nessuna parte e nonè nelle aspettative di nessuno che lapena sia rigida, quello che interessa amio avviso alla vittima, alla società e al-lo stesso reo è che la pena sia pro-porzionata, corretta, adeguata in mo-do tale che raggiunga i suoi risultati.La domanda diventa, la pena rigidasulla quale si fa tanta propaganda so-stanzialmente elettorale della quale siparla tanto sui giornali; è una penaadeguata?, è questo il punto sul qualesi deve discutere, a mio avviso non ècosì, nel senso che come non esisteun solo tipo di furti, ma esistono mi-gliaia di tipi di furti, ci sono migliaia dimotivi, migliaia di circostanze migliaiadi situazioni nelle quali uno può esse-re indotto a rubare una mela, 10milio-ni d’euro o qualsiasi altra cosa, cosìnon c’è un solo ladro ma ci sono mi-gliaia di tipi di ladri diversi e la penaper essere adeguata deve essere unvestito ritagliato sul corpo del singoloreo. Questo a me pare, ma è un’opi-nione personale fino qui, che sia im-posto da considerazioni proprio dibuonsenso, se noi dobbiamo concor-rere tutti a fare in modo tale che cisiano meno persone che commetto-no reati e meno vittime di reato, lapena non può che essere adeguata,per essere adeguata a mio avviso de-ve essere individualizzata.Usciamo dal campo di quelle che so-

no le mie opinioni, entriamo nel cam-

po di quello che sono i principi, che lapena sia individualizzata è una cosache dice la Costituzione, la Corte Co-stituzionale e le Fonti Internazionali,propalare lo slogan della certezza del-la pena oltre a essere sbagliato sottoil profilo linguistico perché certezzanon è se mai quello che si vorrebbeintrodurre è rigidità, è un qualche co-sa che non è scritto non solo nellalegge, ma la legge si può cambiare,non è scritto nelle coscienze, ma nonè scritto neanche nella Costituzione ein tutti i trattati internazionali che l’Ita-lia ha firmato.Se mai il problema, ma le cose biso-gna chiamarle con il loro nome il pro-blema è fare in modo tale che le mi-sure alternative siano pena adeguata.Cioè che le misure alternative nonsiano qualche cosa di vuoto, qualcosadi buttato un ponte gettato sul vuoto,e per far questo bisogna che ci siaconsapevolezza di cosa sono le misu-re alternative anche perché se noi ra-gioniamo sempre in termini concreticome a me piace fare, chi parla di pe-na certa e dovrebbe dire pena rigida,dovrebbe incominciare a prendere at-to del fatto che pena rigida significa“incarcerazione” di tutte le personeche espiano misure alternative.Stiamo parlando di decine di migliaiadi persone, prima dell’indulto mi pareche fossero 40/45 mila persone, è fa-cile fare il conto di quanti posti lettoin carcere comporterebbe l’incarcera-zione improvvisa di queste persone.Stiamo parlando della costruzione dicentinaia di nuove strutture, quindi chipropone questo tipo di soluzione de-ve essere consapevole del fatto chequesto comporta e deve comunicarloagli elettori un’ innalzamento cospicuodelle tasse.Allo stesso modo bisogna dire che l’a-deguatezza delle misure alternative èuna cosa che costa così come non sipuò parlare a vuoto di rigidità rigore

o certezza della pena, non si deveparlare a vuoto di flessibilità della pe-na, anche le misure alternative neces-sitano di controlli, supporti, aiuti, poli-tiche sociali adeguate.In Italia a me sembra invece sempreche il discorso sia una contrapposizio-ne fra due slogan, uno urla da unaparte certezza della pena e gli altridall’altra rigidità della pena.Ma nessuno mi sembra che si ponga ilproblema rappresentato dal fatto chequesti due slogan queste due ideolo-gie per essere realizzate hanno biso-gno di mezzi.Se non si fa un discorso fondato suimezzi, a me sembra che in realtà ilproblema non potrà mai essere risol-to, e in mezzo ad una situazione diquesto genere non rimane soltanto ilfatto diciamo così culturale, concet-tuale, che le cose non si analizzano nelmodo dovuto ma rimane nel fatto ...mettiamo tendenzialmente più l’ac-cento sulla pena rigida mettiamo piùpersone in carcere e un costo lo ab-biamo, ed è un costo accettabile dis-umano e terribile, che è la disumanitàdella vita nelle carceri, ma se mettia-mo più l’accento senza investimentidall’altro lato, avremo meno disumani-tà nelle carceri ma più disumanità nel-le città perché avremo persone in dif-ficoltà nella loro vita quotidiana co-strette a delinquere e avremo vittimedi reati.Si dice che in Italia piacciono le rifor-me a costo zero, quindi sulla carta pe-na rigida o pena flessibile, quello cheio dico sempre che non è vero chequeste sono riforme sono leggi a co-sto zero, il costo ce l’hanno è un co-sto nascosto, è un costo clandestinoed è la vita delle povere persone chesono in carcere, o la vita delle perso-ne sbattute fuori dal carcere, in ognicaso costrette in condizioni disumane,e la vita o i danni che subiscono le vit-time di reati.

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italiani rappresenta un guaio all’inter-no del “problema del sovraffollamen-to”, perché sono un fenomeno nuovo,e perché mettono in crisi la funzionestessa della detenzione e della pena, laquale dovrebbe “tendere alla rieduca-zione del condannato”. Nella maggiorparte dei casi si tratta d’arresti perpiccoli reati, spesso giudicati per diret-tissima con pene basse che provoca-no scarcerazioni quasi immediate; neconsegue un continuo turn-over chemette in difficoltà il sistema carcerario.Inoltre mentre il totale dei detenutiitaliani imputati è di poco superioredei condannati, la quota degli stranie-ri in attesa di giudizio definitivo è mol-to più alta. Dei 20.175 in cella all’iniziodi giugno, solo il 34% scontano unapena definitiva; gli altri aspettano il pri-mo processo o l’appello.Questo continuo ricambio di detenu-ti cui assistiamo anche all’interno del-le carceri “penali”, utilizzati per i solidetenuti definitivi, ma, a causa del so-vraffollamento, destinati a diventaredei “giudiziari”, crea delle problemati-che che vanno a compromettere la si-curezza al già precario trattamento ri-educativo. Occorre chiedersi se, unapermanenza così breve per un nume-ro così alto di detenuti, soddisfi le esi-genze processuali e di difesa sociale

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Emergenza carceriIl sovraffollamento e il problema del trattamento

sottese all’applicazione di misure cau-telari, in considerazione, anche, dell’as-senza di una procedura esecutiva d’e-spulsione.Le espulsioni dal carcere sono pochis-sime anche quando servirebbero adalleggerire il sovraffollamento. Tra glistranieri detenuti per condanne defi-nitive, ce ne sono circa 4.500 ai qualirestano meno di due anni da “fare”dietro le sbarre; per legge potrebberoessere rimpatriati, ma il meccanismoprevisto dalla procedura e i costi dasostenere fanno sì che il numero del-le espulsioni ogni anno diventi sempreminore. In assenza di queste, gli stra-nieri detenuti, anche se clandestini,hanno il diritto di accedere ai beneficie alle misure alternative previste per idetenuti.L’Amministrazione provvede a trova-re, ai più meritevoli o forse ai più for-tunati un impiego lavorativo fuori da-gli istituti, a volte una casa. Ma a penascontata quel lavoro e quella casa spa-riscono, perché legati all’esecuzionedella condanna, e l’ex detenuto tornaad essere un clandestino con decretod’espulsione in tasca. Esempio di co-me il carcere, anziché al reinserimen-to nella comunità possa contribuirepiuttosto alla messa al bando di chi c’èpassato.

di Fabio Zerbinati

Il sovraffollamento nelle carceri èun dato di fatto nel nostro paese, eriguarda soprattutto l’ingresso dei

detenuti stranieri che hanno ormairaggiunto il 38% del totale della popo-lazione carceraria ed è destinato acrescere. Basti pensare che nel 2007,su 94.000 nuovi ingressi più di 45.000erano di stranieri: quasi la metà. Sitratta in gran parte di persone prove-nienti dagli stati nord-africani, oltre aduna buona fetta di cittadini rumeni ed’altri paesi dell’est europeo.Rispetto a 20 anni fa quando i dete-nuti stranieri erano soltanto il 5%, og-gi stiamo assistendo al sorpasso, an-che se in alcune carceri del nord è giàstato raggiunto con punte che arriva-no al 70-80% dei nuovi ingressi.Lageografia della popolazione carcerariadipinge, dunque, un paese diviso indue: una maggioranza di stranieri alNord e d’italiani al Sud con Roma chesi presenta come punto d’equilibrioessendo arrivata ad una composizio-ne vicina al 50%. È una situazione mo-nitorata ed elaborata di continuo dalD.A.P. il Dipartimento dell’Ammini-strazione Penitenziaria e, secondo da-ti diffusi dal Sappe, uno dei sindacatidella Polizia Penitenziaria, i carcerati al31 luglio 2008 erano a quota 55.250,a fronte di una capienza regolare di43.000 posti. Le stime del D.A.P., chevalutano la crescita media ad un ritmodi 800 detenuti al mese, c’indicanoche nel giro di un anno o due arrive-remo alla punta record che fu rag-giunta nel 2006 di 60.710 detenuti: li-vello così preoccupante e ingestibileda imporre l’intervento legislativo del-l’indulto. All’interno di questi numeriallarmanti, la situazione dei reclusi non

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ATTUALITA’

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Se fosse solo vendetta ...La realtà carceraria una delle “normali” componenti della società

completamente distaccato da tutto ilcontesto sociale sia la negazione asso-luta di quelli che dovrebbero in realtàessere i canoni guida dell’espiazione.Non considerando questo periodocome una scuola tesa a sgretolareemarginazione e confini di sorta, siproduce l’effetto contrario a quell’a-gognato. Si fa, in definitiva, del disadat-tato parziale (o presunto tale) un dis-adattato totale. Un uomo che sulla“carta” può fruire di un graduale avvi-cinamento al bene familiare, ma che inrealtà, proprio per una radicata con-cezione di “pena per la pena”, l’equi-valente del considerarla fine a se stes-sa, nella stragrande maggioranza deicasi, perde quel poco che avrebbe po-tuto rendergli possibile l’essere mate-rialmente introdotto in un contestodifferente, da quello che lo ha porta-to in carcere. Questo per un isola-

mento troppo duraturo perde la fa-miglia, non ha la possibilità di trovareun impiego e di crearsi un qualcosache possa essere differente da comeera prima dell’ingresso.La concezione della pena non è solointerna come un qualcosa di fine a sestessa, mascherata dietro ad una valu-tazione della personalità pretestuosa-mente giuridica e immatura. Se real-mente, tutti coloro che durante l’e-spiazione, non riescono ad otteneregraduale avvicinamento alla societàfossero immaturi, vorrebbe dire chel’istituzione, nel 90 % dei casi, fallireb-be il proprio obiettivo di rieducazionee non riuscirebbe a compiere il pro-prio compito. Ma nonostante ci riesca,vieni solo accompagnato alla porta e

di Omar Fasulo

C’è chi dice che il carcere siauna vendetta sociale. Saràvero ? Chi è dentro in que-

sto pianeta si sente vittima o di sen-tenze, a loro dire, ingiuste; o di dela-zione di altri; o del sistema carcerarioritenuto tutt’altro che riabilitativo; oaddirittura di un destino perverso ebaro; pertanto nulla li irrita di più del-l’equazione scontata nella mentalitàcomune: “detenuto uguale colpevo-le”…, ma tutto non finisce qui… lavendetta del carcere continua fuori, inmezzo alla gente che ti considera unuomo diverso, fino a isolarti, e l’isola-mento dalla vita, dalla società che lacompone è la morte morale dell’uo-mo.Ritengo che l’usuale concepire il pe-riodo della pena, come un qualcosa di

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ATTUALITA’

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timore di affrontare la realtà, cerchi dideviarle una ad una, di indugiare se tiè possibile, di mentire, e molte dellevolte non ci riesci perché non puoifarlo.Non lo vorresti fare, forse invece seicostretto, ma questa costrizione ti co-sterà cara una volta scoperta.È necessario rimuovere dalle mente diquella parte di società, quell’insieme dicertezze acquisite passivamente dallatradizione, quelle certezze che, oltread ostacolare inesorabilmente il liberosviluppo in senso progressivo del sog-getto, intendono la pena quale solostrumento mortificante del reo che sedisattesa crea, delle difficoltà una voltarimessi in libertà. In fin dei conti l’uo-mo detenuto, una volta scarcerato ècome un bambino che dovrebbe es-sere tenuto per mano, accompagnatonella vita per un certo periodo. E chinon accetta questa provocazione nonè umile.È necessario rimuovere quelle estre-me ed immutabili paure, facendo capi-re alla società comune, che l’indaginee la verifica degli strumenti atti a co-noscere meglio e realmente il sogget-to (mai oggetto!), non deve essereuna forma di condanna dopo la pena,non deve essere una persecuzionedove egli vada o si trovi, o cosa cerchidi fare per il suo futuro. Nessuno de-ve impedire a un uomo, una volta libe-ro, scarcerato, di riprendersi in manola vita, di ricominciare una vita onesta,se così fosse sarebbe una vendetta, equesta oggi si compie con consuetu-dine.Questi atti ad allontanare un uomoappena uscito dal carcere perché lapaura ci dice: rimane sempre un peri-colo, una mina vagante, crea pretestisui quali costruire dinieghi, che porta-no ad un isolamento intensamenteperenne. In definitiva una vera e pro-pria fabbrica di uomini, che se così sa-rà, saranno sempre impreparati alla vi-ta, una vita che, lo si voglia o no, prima

o poi dovranno affrontare, ma senzaun lavoro o una società che gli conce-da una seconda possibilità tutto que-sto non sarà mai possibile.Il nostro ordinamento è praticamenteperfetto; in esso tutto appare valutatoe preso in considerazione, tutto hasenso, scopo; ma gli uomini, coloro iquali di quell’ordinamento così perfet-to dovrebbero farne fonte ispiratricedel loro pensare e del loro agire, so-no offuscati da millenarie superstizio-ni e da venerande sentenze, e non sa-ranno quindi mai in grado di recepiree attuare le nuove acquisizioni che ladisciplina del diritto mette a loro dis-posizione come un prezioso bene. Gliuomini di legge devono perciò assu-mersi le loro responsabilità, uscire daquella torre d’avorio nella quale sisentono d’essere e legare la loro atti-vità al faticoso e lungo processo d’e-mancipazione sociale. Aiutare un uo-mo che sta per essere scarceratoreinserirlo nel contesto sociale, è lavera vittoria che la società e le istitu-zioni possono compiere.Allora sì il carcere non sarà più unavendetta, ma una scuola per la forma-zione alla vita, dove chi ha sbagliatopuò compiere il suo recuperare, per-ché recuperare un uomo è una vitto-ria di tutti.

poi lasciato alla mercede del futuro,troppo difficile da affrontare se non siha avuto delle indicazioni durante l’e-spiazione della condanna. Senza un la-voro, senza una famiglia è difficile rico-minciare. E se anche esistono questebasi è sempre difficile inserirsi in unmondo che ha paura di te, di quell’uo-mo che ha scontato parte del suotempo dietro le mura di un carcere.Ecco che nascono le mille domande:perché ?, cosa ha fatto?, avrà rubato ?avrà ucciso ? oppure è stato solo unuomo che come molti ha sbagliato ?,tuttavia, quest’ultima domanda non sela pone nessuno, non esiste nel voca-bolario della gente “comune”, e cosìfin dal primo giorno dopo la pena, sesei alla ricerca di un lavoro, devi inizia-re a rispondere al turbinio di doman-de, complesse, difficili, perché quel-l'uomo è stato troppo tempo dietrole mura di un carcere. Infatti, alcune ri-sposte, sono dettate dalla paura: hai il

La concezione della pena non è so-lo interna come unqualcosa di fine a se stessa,mascherata dietroad una valutazionedella personalitàpretestuosamentegiuridica e immatura

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ATTUALITÀ

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Il GaleotteseGergo carcerario tra il burocratese e espressioni della mala vecchio stampo

a cura di Marco Lecchi

Il carcere ha una propria lingua. Ave-re una maggiore conoscenza di que-sta può aiutare a creare una sorta di

contaminazione tra linguaggi e tra mon-di spesso separati e isolati. Il mio è iltentativo di accompagnare, chi legge, inun ideale viaggio tra questi: quello pro-prio della società libera già conosciuto equello del mondo carcerario, al contrario,ancora troppo sconosciuto.

A come: AAccccaavvaallllaattoo – uno con ad-dosso un’arma. AAnnddaattoo aallll’’aacceettoo – il ri-stretto che non ce la fa più. AAppppeellllaann--ttee – chi è in attesa di sentenza di ap-pello.B come: BBaatttteezzzzaarree – rito della mafiaper i giovani associati. BBeevvuuttoo - trattoin arresto. BBiicciicclleettttaa – un fatto o unafalsità che s’ingigantisce sempre più al-l’interno dell’Istituto arricchendosi diparticolari durante la sua corsa. BBuussssaa--rree – andare a chiedere qualcosa. BBuutt--ttaarree ii ddaaddii – non scegliere, aspettareche il caso decida. BBuuttttaarree llaa ssccaarrttiinnaa –con piccoli accenni si prova a far ca-dere in trappola chi si presume rac-conti menzogne.C come: CCaammoossccii – usato dagli agentiper chiamare i detenuti. CCaannee sscchhiiaaff--ffeeggggiiaattoo – nei colloqui subisce tutti i ti-pi d’argomentazioni senza riuscire mi-nimamente a controbattere. CCaarrttaaccaannttaa – sostenere che solo gli atti giu-diziari riportano la verità. CCaassaannzzaa –vivere con quello che passa il carcere.CCiiccaallaa – chi parla troppo. CCoonncceelllliinnoo –il compagno di cella.D come: DDoolloorrii ee ccaatteennee ffiinnoo aallllaa ffiinnee– trascorrere tutta al pena con i pro-pri principi e senza mai cedere.F come: FFaammiigglliiaa ccrriissttiiaannaa – rivista por-

nografica che raramente manca in cel-la. FFaannttaassmmaa – uno che a breve saràscarcerato. FFaarree iill vveessttiittoo – ordine del-la malavita interna che impone a chiesce in permesso premio di rientrarecon un vestito con la droga accurata-mente sistemata tra le cuciture. FFaarreellaa zzaammppooggnnaa – preparare gli effettipersonali per cambiare istituto. FFaarree lleellaassttrree – guardare con attenzione unapersona. FFaarrggllii iill vveessttiittoo ddii lleeggnnoo – uc-ciderlo. FFeeddeerriiccaa – è considerata lamano amica, con la quale si esercita lamasturbazione. FFiinnee ppeennaa mmaaii – con-dannato all’ergastolo.L come: LLaavvoorraannttee – chi ha un lavorointerno. LLiibbeerraannttee – chi sta per finire lapena.I come: IImmppaacccchheettttaattoo – trasferito. IInn--ssaallaattiinnaa – ragazzo giovane appena ar-restato.M come: MMaammmmaacccciiaa – carcerato dilunga data che si prende cura di altricompagni con amorevoli attenzioni.MMaasscchheerriinnaa – detenuto che non si ve-de quasi mai, solitamente relegatonella propria cella. MMaattttiinnaallee – l’aggior-namento quotidiano delle presenzeeffettive dei detenuti. MMeetttteerree ssuull ccoonn--ttiinnuuaattoo – usato sulla possibilità che uc-cidendo non aumenterebbe troppo lapena a seguito, appunto, della leggesulla continuazione (art. 671). MMeerrccee--ddee – paga mensile dei detenuti lavo-ranti. MMiinniisstteerriiaallee – quando spetta didiritto.O come: OOzziiaannttee – chi non ha vogliadi riscattarsi, sempre steso sulla bran-da nell’attesa che la pena finisca.P come: PPaagglliiaattoonnee – un sacco di bot-te. PPaarrcchheeggggiiaattoo – non da nulla di suoa nessuno. PPuuggnnaallaarree ll’’oorroollooggiioo –quando qualcuno viene condannatoall’ergastolo. PPeerrmmeessssaannttee – chi va in

permesso.R come: RRiiccoottttaarroo – sfruttatore, per-sona poco raccomandabile con cui èmeglio non fare affari. RRiiccoorrrreennttee – chiha fatto ricorso in cassazione.S come: SSaaccccaaggnnaarree – fare male, accol-tellare. SSaallttaarree lloo ssggaabbeelllloo – suicidarsi,impiccandosi.SScciivvoollaattoo – indica chi ha preso le bot-te, “un pagliatone”. SSeeii ee qquuaarraannttaa –l’art. 640 nel Codice è truffa, lui checome può ti frega. SSlliisscciiaarree – aggra-ziarsi i compagni con atteggiamenti efrasi gentili. SSmmiitthh – passato il terminesecondino, è l’attuale agente. SSttoorrttoo –ipotizza che vi è qualcosa che non vanel comportamento. SSoopprraavvvviittttoo –generi alimentari che si possono com-prare all’interno. SSoocciiaalliittàà – momentiin cui i detenuti stanno insieme. SSqquuaa--ddrreettttaa – squadra di polizia penitenzia-ria che, illegalmente, punisce i detenu-ti.T come: TTiinnttoo – non limpido sulla ge-stione delle sue vicende giudiziarie odi vita. TTiirraattoo ggiiùù ddaallllee ssppeessee – ucciso.TTuurriissttaa – detenuto non malavitoso,solitamente con una pena lieve.Z come: ZZoommbbii – ragazzi tossici, stra-fatti, che fanno fatica a stare in piedi.5588 tteerr - articolo e termine per indica-re un collaboratore interno.

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ATTUALITA’

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Se non giudichi non sarai giudicatoIl rispetto delle vite recluse tra dovere civile e sentimento umano

di Omar Fasulo

Un fatto di cronaca nera parti-colarmente efferato, un’infor-mazione frenetica superficia-

le, una politica che cerca di ottenereconsensi non può precludere il per-corso di un uomo detenuto che cer-ca di recuperare il rispetto di sé e del-la sua vita, attraverso quell’immensosforzo che caratterizza il tempo in cuiè ristretto. Bisogna partire da una re-gola fondamentale della vita: non giu-dicare e non sarai giudicato. Giudicareil prossimo significa credersi migliori dilui, credersi incapaci di peccare comelui o certi che non possa accadere anoi quello che è accaduto ad ogni sin-golo uomo detenuto nelle carceri ita-liane.Anche l’uomo apparentemente piùcattivo e ottenebrato può, da un mo-mento all’altro, divenire un santo.Perciò non possiamo giudicare nelprofondo l’animo del nostro prossi-mo, ma soprattutto non possiamopensare che in carcere ci siano soloreati e non uomini. Certo, assistiamoogni giorno a fatti di cronaca nera checi presentano uomini che hanno com-messo gravi reati per i quali non pos-sono essere perdonati, secondo alcu-ni solo giudicati per quello che hannofatto: la legge del taglione è sempre lastessa. Condanniamoli e basta, senzaalcun appello. Forse in carcere ci sonouomini più o meno buoni, che hannocommesso cattive azioni, reati crudeli,ma questo non significa che a quegliuomini non debba essere data la pos-sibilità e il diritto di trovare il riscattonella vita. Ci sono uomini che in car-cere hanno studiato e che attraversol’educazione dello studio hanno vintola loro battaglia, uomini capaci di ri-

prendere una vita lavorativa e inserir-si nel mondo attraverso il lavoro in-terrotto molti anni prima, e questoperché gli è stata concessa l’opportu-nità di cambiare il modo di vivere. Ilcarcere non ti cambia ma ti offre solodelle opportunità, sta a ogni singolouomo saperle cogliere. Dentro le car-ceri italiane ci sono prima di tutto uo-mini, uomini capaci di esaminare il lo-ro passato e il loro presente, di anda-re incontro soprattutto al loro futuro,di capire che il carcere è stato solouna stazione della loro esistenza, untreno che è passato e si è fermato so-lo per interrompere quella vita cheogni uomo può e deve riacciuffare e,anche se questo non sarà facile, quel-l’uomo merita, in ogni caso, il rispettoper la vita che cerca e che vuole ri-prendersi e la società per prima devecredere nell’uomo e non considerarlosolo un detenuto o un ex detenuto.Molte persone che sono in carcere, seavessero avuto una buona famiglia, deibuoni esempi, dei validi aiuti e dei sa-ni modelli di riferimento sarebberostate persone diverse, migliori. A giu-dicare e criticare siamo tutti buoni,forse vediamo il peccato del prossimoperché anche in noi lo ritroviamo. L’a-nima di ogni uomo è misteriosa e in-sondabile dall’esterno. Più un’anima si

crede priva di vizi e di peccati e più livede ingigantiti nel suo prossimo. Cisono quelli che hanno sbagliato conmalizia, ma ci sono anche quelli chesono da compiangere, e sono proprioquest’ultimi che hanno bisogno di ri-trovare il rispetto e il diritto alla vita,comunque tutti hanno diritto a unaseconda possibilità. Quindi, non dob-biamo sempre solo scandalizzarci, madobbiamo tendere la mano a chi è ca-duto, perché si rialzi e vada verso il ri-spetto e i valori della vita.L’esperienza del carcere, l’esperienzadel reato non può rendere effimeraogni tipo di gioia , non si può darespazio solo all’amarezza e alla confu-sione, non si può travolgere l’interaesistenza di un uomo.La vita continua sempre e deve esse-re vissuta nella sua interezza in qual-siasi luogo essa si trovi. Gli uomini incarcere hanno il diritto alla dignità dicui nessuno li deve spogliare, hanno ildiritto al rispetto che passa attraversol’educazione e l’educare, hanno il dirit-to soprattutto di recuperare ed esse-re recuperati.In carcere non esistono perdenti oreati ma solo e soltanto uomini, per-sone capaci di traghettare verso il fu-turo e di fare un’autentica autocriticadel proprio passato, capaci di sostene-re la propria vita e quella degli altri,come processo di maturazione e dicrescita umana.

Anche l’uomo apparentemente piùcattivo e ottenebrato può,da un momento all’altro, divenire unsanto. Perciò non pos-siamo giudicare nel pro-fondo l’animo del no-stro prossimo

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ATTUALITA’

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di Abderrahim El mountaj

Il crescente numero d’arresti sta ri-empiendo le carceri e sta aumen-tando i problemi per l’Amministra-

zione penitenziaria, che si trova a cu-stodire anche chi non necessariamen-te sarà condannato al momento delgiudizio.In galera non deve stare solo chi haun’alta probabilità di essere condan-nato?Quando le risorse sono investite perle “permanenze giornaliere” il tratta-mento rieducativo c’entra poco. Si ri-schia di non raggiungere nemmenol’obiettivo della dignità dei reclusi, pernon parlare del loro reinserimento.Cresce il numero dei detenuti? E allo-ra la nostra beneamata burocrazia pe-nitenziaria escogita una singolare dis-posizione con la quale riduce di unmetro quadrato lo spazio a disposi-zione d’ogni detenuto! Per ovviare alcronico sovraffollamento degli istitutidi pena il nostro ingegnoso apparatoburocratico non sceglie una soluzionesemplice e logica come quella delladepenalizzazione dei reati minori o ilricorso alle misure alternative alla de-tenzione. Queste soluzioni semplici,eque, ragionevoli sono considerateimpraticabili. Per rendere meno stri-dente il contrasto tra detenuti più di60.000 e i posti letto disponibili (esat-tamente 41.324) si è pensato bene aridurre per legge di un metro quadra-to lo spazio pro-capite. Non sarà que-sta la strategia dell’ampliamento degliistituti di pena? Dove sono finiti i pro-getti di costruzione di nuove carceri?Innanzi tutto per costruire nuovi isti-tuti di pena non solo bisogna avere lacopertura finanziaria ma necessite-rebbe del tempo (tra sette e dieci an-ni) perchè entrino in funzione e nel

frattempo il problema aumenterebbein modo esponenziale. Purtroppo iltrend di crescita del numero dei dete-nuti è in continua ascesa e quindi ilcronico problema del sovraffollamen-to è destinato a farsi sempre piùdrammatico. In materia d’esecuzionedelle pena esiste una grossa differen-za tra teoria e pratica.Ci sono le leggi, diritti e doveri, ma perattuarle servono mezzi, che sono poisoldi: semplicemente bisogna investiredi più nel campo della rieducazione.Bisognerebbe che ci si rendesse con-to che un maggiore investimento nelcampo della rieducazione va bene pertutti. Va bene non solo per chi staespiando una pena ed è in una condi-zione di sofferenza, ma anche per lasocietà: se una persona è nella condi-zione di recuperare rispetto al pro-prio passato e agli errori commessinon è solo il singolo a trarne vantag-gio, ma l’intera società. Tutto questocosta, in termini di soldi e di fatica.Tut-ti coloro che vogliono certezza dellapena devono essere consapevoli delfatto che per mettere dentro tuttiquelli che usufruiscono di misure al-ternative alla detenzione, servirebbe-ro 50.000 nuovi posti letto nelle car-ceri, una spesa quattro o cinque voltemaggiore rispetto a quel che coste-

rebbe investire nella legge Gozzini. Inrealtà si ragiona per slogan, “certezzadella pena” – “trattamento rieducati-vo”, come se le due cose non potes-sero coesistere.Il carcere è una realtà difficile, che sinasconde dietro un paravento. Ma sesi vuole affrontare un problema e ri-solverlo bisogna conoscerlo, mettereda parte le frasi vuote e gli slogan, echiedersi “cosa posso fare?”. Questo èun meccanismo difficile da far capirealla gente, perché ha paura; dovrebbeinvece tranquillizzarsi all’idea della so-luzione di un problema sociale. Ci vo-gliono misure urgenti, che diano risul-tati nell’immediato, e una conoscenzamigliore della realtà del carcere. Pur-troppo la stampa e la televisione par-lano di quest’ambiente solo in occa-sione di un fatto clamoroso, cioè un’e-vasione o un crimine.Del carcere bisognerebbe parlare dipiù, non alle persone che già se n’oc-cupano, ma a chi non lo conosce. Bi-sognerebbe ragionare sulle cause, cer-care di capire; purtroppo attraverso imass media passano solo ragiona-menti semplici e non contraddittori:da un “tutti fuori” ad un “tutti dentro”,a seconda che si assista ad un suicidioin carcere o ad una rapina ad opera diun detenuto che esce in permesso.

Sovraffollamento e rieducazioneA repentaglio dignità e percorsi di reinserimento sociale

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ATTUALITA’

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Diritto di vivereLa contraddittoria realtà sull’abolizione della pena di morte e l’ergastolo

di Fabio Zerbinati

Il diritto alla vita ha registrato, nelcorso della storia, una profondaevoluzione.

Esso è tutelato, anche se non espres-samente, dall’art. 27 della nostra Co-stituzione, che vieta la pena di mortee gli atti contrari al senso d’umanità,dalle leggi civili che vietano gli atti didisposizione del proprio corpo e dal-le leggi penali che puniscono i delitticontro la vita e l’incolumità pubblica.La Corte Costituzionale, nella senten-za 223/96, ha negato l’estradizione dichiunque sia stato condannato a penacapitale. La Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione Europea, cui l’Ita-lia ha aderito, garantisce il diritto allavita e vieta le pratiche eugenetiche.Nel passato invece il diritto alla vitanon riguardava la persona nella sua in-dividualità ma la categoria sociale cuila persona apparteneva. Basta pensa-re alle carte dei diritti dell’uomo chehanno accompagnato lo Stato mo-derno, come l’Habeas Corpus Act del1679 o la Dichiarazione Universaledei diritti dell’uomo del 1789, per ca-pire com’è cambiata la concezione deldiritto alla vita nella sua universalità, eperché è stato posto tra i principi fon-damentali delle moderne Carte Co-stituzionali come diritto inviolabiled’ogni uomo. Di recente ci si è inter-rogati sull’abolizione della pena dimorte. Esiste un nesso tra la nuovacoscienza degli uomini e la moratoriainternazionale dell’ONU per l’abroga-zione della pena di morte?La moratoria ha fatto sicuramenteemergere questa nuova concezionedel diritto alla vita, alla quale la mag-gior parte dei paesi ha aderito. Biso-gna, però, ricordare che vi sono paesi,

che pur dichiarandosi civili edemocratici come gli USA,hanno visioni distorte sul di-ritto alla vita a tal punto chesi arrogano il diritto di “ucci-dere legalmente” un indivi-duo, mascherando tale atto,come la più alta manifesta-zione di giustizia.La questione è invece con-traddittoria, anche se su unpiano minore, per l’ergasto-lo.Il “fine pena mai” contraddice il detta-to costituzionale nella parte in cui silegge: “La pena deve tendere alla ri-educazione del condannato”. Possia-mo considerarla come una forma re-siduale della pena capitale?Nella nostra Carta Costituzionale,nella parte in cui si vietano gli atti con-trari al senso d’umanità, la dottrinaper l’interpretazione ha evitato chefosse ricompreso l’ergastolo, qualepena degradante della personalità edella “pari dignità sociale” garantitadall’art. 3.Come si può rieducare un individuocondannandolo a vivere nell’oblio peril resto dei suoi giorni? Il Giudice disorveglianza Alessandro Margara inuna sua recente intervista pubblicatasu “Il Manifesto” ha dichiarato: “Se siritiene che la pena non abbia soltantola finalità della rieducazione, ma anchele altre che la sentenza cita, se una diqueste non è realizzabile, come la ri-educazione, la violazione dell’art. 27non viene certo meno perché sonorealizzabili le altre finalità”.È vero che nel nostro ordinamento,trascorso un certo periodo, è possibi-le accedere alla vita esterna per mez-zo della liberazione condizionale, maè anche vero che ciò è rimesso alla

sola discrezionalità del giudice, soprat-tutto dopo che sono state introdottenuove limitazioni con l’art. 4 bis, checontiene esclusioni e limitazioni deibenefici per i delitti più gravi. Lo stes-so Margara afferma che:“ se nell’art. 4bis non è espressamente chiaro se siaricompreso o no l’ergastolo, rimaneche la liberazione condizionale è sol-tanto una possibilità, in ogni caso ri-messa ad una scelta giudiziaria e lega-ta ad una valutazione discrezionale eper questo dal punto di vista norma-tivo la pena resta perpetua nella so-stanza; la valutazione di una persona èfatta in base ad un fatto commesso inun certo tempo e non si supponepossibile che quella persona cambidopo molti anni trascorsi in carcere.Questo è la negazione che un proces-so rieducativo si possa svolgere!” È in-dubbio che le norme, che dovrebbe-ro essere ordinate e coerenti, presen-tano delle contraddizioni. Bisogna al-lora riflettere sul fatto che anche tracoloro che sono preposti alla funzio-ne legislativa, possano esserci diver-genze di punti di vista attribuibili allediverse coscienze degli uomini. Sepensiamo che viviamo nell’era dellaglobalizzazione ci rendiamo conto chec’è ancora molto da fare.

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ATTUALITA’ - Interviste

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a cura di Fabio D’Errico

Abbiamo intervistato in redazio-ne Paolo Bellotti, Capo AreaEducatori del Carcere San Mi-

chele di Alessandria.

OOmmaarr :: Lei crede in quello che fa e co-sa si aspetta da un condannato?BBeelllloottttii:: Il problema non è cosa io miaspetto dal recluso, ma ciò che lui siaspetta da me, ovvero con che spiritosi presenta al nostro primo colloquio.È evidente che la nostra attività si ba-sa su una grande finzione, penso chel’attività di osservazione sia la costru-zione di paradigmi, di un’organizzazio-ne in cui il vero problema è che tuttifingiamo di fare qualcosa. Tutti fingia-mo di dimenticarci della vittima delreato e invece i problemi ci sono, tut-ti fingiamo che una realtà di un certotipo è diversa e tutti fingiamo di farequalcosa…perché l’obiettivo ultimo èla possibilità di ottenere i benefici.Io vorrei invece parlare in manieramolto chiara di “patto pedagogico”.Nel senso che sarebbe molto utile daparte della nostra equipe poter defi-nire per una persona un percorso,che potrebbe essere la scuola, il lavo-ro…e i benefici divengono la conse-guenza di quel patto pedagogico fattotra la persona e l’educatore. Al termi-ne di un patto pedagogico, dunque diun percorso trattamentale, l’osserva-zione potrebbe avere un senso. Se sipensa che basti un solo colloquio, unasemplice chiacchierata, il modo in cuici si pone, se si è gentili ededucati…allora tutto diviene unagrande finzione, perché siamo tuttigentili ed educati, perché tutti abbia-mo un interesse comune, noi che voi

vi comportiate così e voi che noi arri-viamo a pensare che voi siate effetti-vamente così. L’unica soluzione è unvero e proprio patto pedagogico.OOmmaarr:: Ogni persona è recuperabile.Tut-ti e indistintamente dal tipo di reatocommesso?BBeelllloottttii:: Il reato è sicuramente fonda-mentale nell’osservazione, in quantodescrive il tipo di persona e il tipo diambiente in cui il reato si è attuato.Noi dobbiamo tenere conto del rea-to per dare inizio all’osservazione manon può costituire l’unico elemento divalutazione.GGiiaannffrraannccoo:: Dunque il diritto alla riedu-cazione è riconosciuto a tutti? Quali dif-ficoltà si incontrano a reinserire la per-sona nella società?BBeelllloottttii:: Non credo nella rieducazio-ne. È un concetto che non appartieneai miei paradigmi psicologici perchévorrebbe dire che esistono dei mo-delli di bene e male. Io distinguo leci-to da illecito. A me non interessa euna persona non passa con il semafo-ro rosso perché ideologicamente ècontrario o perché ha solo paura chegli venga fatta la multa.A me interessache non passi col rosso. Non ne fac-cio dunque un problema di carattereetico e rieducativo. Mi interessa chevenga percepito dal punto di vista del-la funzionalità che esistono delle leggie che queste vanno rispettate, che lacosa piaccia o meno. Uno può libera-mente mantenere la propria cultura,le proprie tradizioni, il proprio cre-do…l’ importante è che rispetti la leg-ge.FFaabbiioo DD..:: lei ritiene che gli strumenti avostra disposizione siano sufficienti perl’espletamento di questa mansione, cosìfondamentale in prospettiva di reinseri-

mento del condannato?BBeelllloottttii:: Io appartengo alla categoriadi educatori che è stufa di sentirecontinuamente dire che mancano lerisorse. Le risorse ci sono. Tanto percitare Alessandria: c’ è la redazione diun giornale, il Polo Universitario, lascuola per geometri, un’azienda agri-cola, un corso di falegnameria, un cor-so di elettricisti, un corso di reinseri-mento scolastico per gli stranieri…ab-biamo tantissime attività, dunquepiantiamola di dire che mancano le ri-sorse dal punto di vista trattamentale.AAbbddeerrrraahhiimm:: Tutti i detenuti hanno lestesse possibilità, indipendentementedalla nazionalità, religione o idee politi-che?BBeelllloottttii:: Drammaticamente no. Maquesto ha una sua logica, nel sensoche nessuno al mondo, in qualsiasiambiente, ha le stesse possibilità. Senoi diamo un approccio di tipo socio-logico al problema, la domanda po-trebbe diventare: “Hanno le stessepossibilità il bambino che nasce in unpaese dell’Africa e quello che nasce inun paese della Germania?”. Dunque lepossibilità di ottenere dei beneficiesterni, essendo in qualche modo le-gate al rapporto con la famiglia, con illavoro, con il territorio…non possonoessere uguali per tutti. È inevitabile, intutti i sistemi socialmente organizzatie complessi, nessuno ha le stesse pos-sibilità di un altro. Il problema del no-stro compito non è se usare o menolo stesso trattamento, ma parlare dipari opportunità: sarebbe un obiettivointeressante creare una struttura car-ceraria dove tutti hanno le stesse op-portunità, pur sapendo che, come ac-cade nella vita, questo non è pretta-mente vero. Probabilmente il figlio

L’educatore penitenziarioImportante figura nell’azione del trattamento e del recupero

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dell’ingegnere ha qualche possibilità inpiù di finire la scuola rispetto al figliodell’operaio.AAbbddeerrrraahhiimm:: Ma la legge Gozzini nondice chiaramente che non devono esser-vi distinzioni?BBeelllloottttii:: Questo non lo dice la leggeGozzini, lo dice la Costituzione, affer-mando che tutti sono uguali davantialla legge e che la responsabilità pena-le è individuale. Le opportunità direinserimento sociale non sono ugua-li per tutti, come non sono uguali lepossibilità sociali cui facevo riferimen-to prima. Il nostro compito è di parla-re di pari opportunità, ma partendodal presupposto che nella realtà nonlo sono in nessun tipo di organizzazio-ne sociale. Se dovessi ribaltare la do-manda, dovrei chiedere a voi di citar-mi un esempio di organizzazione so-ciale in cui non vi siano differenze diopportunità…quando sappiamo be-ne che il figlio del presidente del Con-siglio di Amministrazione ha più possi-bilità di entrare nel Consiglio d’Ammi-nistrazione che l’operaio assunto nel-la stessa fabbrica. È il modello societa-rio ad essere così e il carcere rispec-chia solo questo modello societario.Questo non significa che vada mante-nuto così. Vuol dire che dobbiamoprendere coscienza della reale situa-zione.AAbbddeerrrraahhiimm:: Se un detenuto, dopo es-sersi sempre comportato bene per treanni, commette una piccola infrazione,viene immediatamente punito?BBeelllloottttii:: Mi ricordo di un particolarecolloquio tra me ed un detenuto.Quando gli diedi la notizia che a bre-ve sarebbe uscito in art. 21, lui mi ri-spose con molta preoccupazione: “Miatterrò al regolamento, speriamo dinon cadere”. Il concetto di cadere miha colpito particolarmente, perchédetto così sembrerebbe che alcuni av-venimenti non siano controllabili danoi stessi, che ci capitano addosso e civedono coinvolti in cose che non vor-

remmo mai fare. Dunquela caduta, che sicuramenterappresenta un motivo diansia per i detenuti, vieneattentamente percepita daparte nostra e, come hospiegato in quest’esempio,comporta delle differenze.FFaabbiioo ZZ..:: Lei prima ha dettodi non credere nella rieduca-zione, ma nel reinserimentoattraverso l’attuazione di ciòche ha definito un patto pe-dagogico. Ha inoltre affer-mato che tutto ruota intornoalla finzione. Fino a che pun-to ritiene possa spingersiquest’ultima?BBeelllloottttii:: Domanda bellissi-ma. La simulazione non è di per se unaspetto esclusivamente negativo. Sup-poniamo che io debba sostenere uncolloquio di lavoro: pur essendo co-stretto a studiare durante gli orarinotturni, il che mi rende distrutto findalle prime ore del giorno, cerchereidi portare a quel colloquio la partemigliore di me, il che equivale a direche non racconterei mai che al matti-no mi sento distrutto dalla fatica. Inquesto senso reputo la simulazionecome un’atto di salute mentale. In ef-fetti non ho parlato di simulazione madi finzione. Supponiamo che io non siala persona che giudica e che il detenu-to non sappia che io in realtà lo stiagiudicando. È molto meglio fare un ve-ro e proprio patto e lavorare sul pat-to. Io non mi preoccupo di chi cercadi mettere il meglio di se. Se qualcunodovesse presentarsi a me in occasio-ne del suo primo colloquio e confes-sarmi i suoi difetti o gli aspetti carentidel suo carattere io penserei di esse-re di fronte ad una problematica dicarattere psichiatrico.AAbbddeerrrraahhiimm:: Ma immagino servano piùcolloqui, o crede possa essere determi-nante un’unico incontro?BBeelllloottttii:: Io credo che i colloqui siano

tra le cose più inutili dell’attività tratta-mentale. Non a caso ho la tendenzadi farne il meno possibile.Voglio evita-re che scatti quel meccanismo tipicodella cultura detentiva, in base al qua-le più colloqui si fanno e meglio è:questo significa alimentare la finzione,riverberare le stesse situazioni. Io re-sto dell’idea che i colloqui debbanoessere pochi e significativi. Determi-nanti. Non è il vendere il proprio pro-dotto all’educatore che favorisce de-terminate situazioni, al contrario nonfa altro che innescare dei meccanismidi chiusura. Piuttosto è bene definiredei programmi. Se un detenuto hascelto di frequentare la scuola deiGeometri, deve finire la scuola deiGeometri. Naturalmente possono ve-rificarsi delle situazioni eccezionali, adesempio un problema di natura fami-liare, ho la consapevolezza di nonpossedere i requisiti per continuarequello specifico percorso a determi-nare un nuovo incontro con l’educa-tore.AAbbddeerrrraahhiimm:: Lei non giudica in base alcolloquio ?BBeelllloottttii:: non giudico mai in base al col-loquio e solo un elemento in più.

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ATTUALITA’

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Aboliamo la Legge Gozzini!L’unica legge che da anni allena i detenuti alla legalità

Il sequestratore, l’omicida sono delin-quenti, devono pagare, devono solopagare. Perché si danno loro vantaggi?Permessi premio? La risposta è sem-pre la stessa: appena escono sonopronti a ricominciare.Perciò aboliamo la legge Gozzini, cheha dato un senso al carcere, alle attivi-tà trattamentali; tutti dentro, dunque,a marcire, ad alimentarsi di psicopato-logie, e magari a suicidarsi prima del-l’ultimo giorno di pena. Questa è solovendetta, vendetta in nome della giu-stizia che di giusto non ha nulla, di unagiustizia che fa pagare lo scotto solo aipiù deboli, che è irrisa dai potenti, dairicchi, dai politici.Non da tutti loro perfortuna.Vogliamo modificare in senso restritti-vo la legge Gozzini, che fra l’altro è ap-plicata in modo veramente limitato?Facciamolo, decidiamoci. Sapete cosasuccederebbe? Voi, cari signori del“chiudere i rubinetti” che avete la co-scienza linda ed una vita immacolata,voi del “meno male che non è capita-to a me” siete pronti a prendervi levostre responsabilità? Fatelo dunque epreparatevi a veder ripiombare le car-ceri nel caos più assoluto. Togliete lasperanza di una nuova vita, perché disperanza si tratta, e si ritornerà aglianni ‘70, quando nelle carceri italianesi contavano i morti ammazzati,“suici-dati”, i continui atti di violenza e di au-toviolenza, i soprusi, l’anarchia più as-soluta. Si vuole tornare a tutto que-sto? Si abbia il coraggio di dirlo e difarlo. Domani usciremo e saremopeggio di prima. Mi sembra logico al-lora mandare un invito, a tutti coloroche riescono a ragionare anche con ilcuore oltre che con il proprio istintoarcaico, mentre chino il capo di fronte

a tutti i dolori che questa società, percerti versi priva di valori, provoca.Chiedo, a voce alta, a tutti quelli checonoscono i problemi del carcere ecioè, sociali, spirituali, umani e non so-lo problemi di leggi repressive, di con-tinuare nella strada intrapresa con lalegge Gozzini. Fino ad ora si è percor-so un ben piccolo tratto del camminoche si può compiere insieme e cioè,tra chi concede la misura alternativa, ilGiudice di Sorveglianza, e chi vuole ri-spettarla , il detenuto, come segno diun nuovo percorso verso il futuro.Vorrei concludere con un dato: colo-ro che trasgrediscono la legge Gozzi-ni sono pochissimi intorno al 2 % va-le a dire che questo dato non puòstravolgere la realtà dei fatti e cambia-re quanto di buono ha fatto questanorma fin’ora. Questa è la realtà. Chiè pronto a lanciare sassi, a lapidare ipeccatori, chi si sente puro, trasparen-te e senza peccato, si guardi allo spec-chio e cerchi d’essere onesto almenocon la sua anima, con la sua coscienzaumana. Dica la sua, strilli, accusi, ma ra-gioni, si informi: non giudichi senza sa-pere. Non si limiti al “meno male chenon è capitato a me”.

di Omar Fasulo

Le immancabili notizie di cronacanera gridano allo scandalo manon possono cancellare le leggi

buone che lo stato ha emanato a fa-vore del mondo penitenziario. Comeal solito la società, i giornalisti e i poli-tici si lanciano a testa bassa in unacampagna contro la legge che preve-de misure alternative perché secondoil popolo del “buttiamo via le chiavi” lalegge Gozzini andrebbe abolita, o al-meno riformata in senso restrittivo.L’unico scopo è di far notizia, cavalca-re la tigre dello scoop del momento,far spremere qualche lacrima e punta-re il dito sulle persone ristrette chestanno espiando la loro condanna.Eppure l’Italia dovrebbe aver capitoche, di là delle giustificazioni storichepiù o meno fasulle, il bene supremodella libertà, delle idee, delle azioni,delle attese reciproche deve essereconservato come valore fondamenta-le e bisogna credere che ogni uomoha il diritto di recuperare.Niente da fare, si fanno parlare i cam-pioni dell’intransigenza e dell’insensibi-lità. Già dopo gli omicidi di Falcone eBorsellino, la Scotti-Martelli reintrodu-ceva il carcere duro, limitando ulte-riormente i benefici della Gozzini.D’altra parte è anche vero che tutti,noi e voi, siamo stati toccati dalla tri-stezza d’alcuni episodi che si sono ve-rificati nel corso dell’anno appenachiuso. Di fronte ai gravi reati com-messi a poco valgono le parole, siamotutti d’accordo nel dire che la vita nonha un prezzo soprattutto quella di unbambino. In ogni modo, vedo già chearricciate il naso, come un fulmine, l’i-dea è balzata al cervello.

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ATTUALITA’

Il 21 e le cinque WGli interrogativi di un’ammissione al lavoro esterno

di chi è direttamente responsabile pernegligenza (il detenuto), perché nonha dimostrato di aver saputo coglierel’opportunità offertagli, sia di chi inquesta persona ha creduto dandole fi-ducia. Di contro, chi si comporta cor-rettamente in quest’esperienza, ha lapossibilità di poter fare un ulteriorepasso avanti, in altre parole accedere,ad esempio, al beneficio del permessopremio, o anche alle misure alternati-ve alla detenzione, in particolare la se-milibertà, perché l’affidamento in pro-va ai servizi sociali è già una misuracondizionata ad una residua pena nonsuperiore ai tre anni.Ciò, tuttavia, non avviene con automa-tismo, ma è subordinato alla volontàdiscrezionale di chi valuta, caso per ca-so, il percorso effettuato dal detenuto,fermo restando, in primo luogo, l’ave-re i requisiti minimi richiesti dalle leggisui benefici premiali e sulle misure al-ternative: se a tutti dev’essere offertal’opportunità del reinserimento, è an-che vero che una proposta di art. 21non può convertirsi in diritto, né tan-to meno si può aspettare che cada dalcielo, oppure che arrivi per caso o perfortuna. Bisogna invece mettere in

gioco la propria persona in modo da“farsi conoscere”. Ciò può avvenire,prima di tutto, attraverso le opportu-nità che l’Istituto, a livello trattamenta-le, può offrire: lo studio e tutte quellealtre attività (poche e per pochi, a di-re il vero) presenti all’interno del car-cere.Poi, vengono il merito, l’impegno e lacorrettezza, nonché l’educazione e ilsenso di responsabilità dimostrati dal-la singola persona durante il periodod’espiazione della propria pena. In ul-timo, non possiamo dimenticare chioffre, materialmente, una possibilità la-vorativa: in primis, le istituzioni comu-nali, dato che la maggior parte dei de-tenuti ammessi al lavoro esterno èimpiegata alle loro dipendenze.Quello dei comuni, in particolare, rap-presenta un serio impegno di collabo-razione con il carcere, una realtà, que-st’ultima, che fa e deve far parte diuna comunità che dovrebbe avereben chiaro che qualsiasi persona con-dannata che si riesca a recuperare,grazie al reinserimento, rappresentaun successo per tutti, perché, questo esoprattutto questo è e deve essere ilsenso della pena.

di Daniele Menabò

Come prevede l’art. 21 dell’Or-dinamento Penitenziario, undetenuto può essere ammes-

so, per proposta della Direzione dell’I-stituto, al lavoro esterno al carcere. Sitratta di un programma di trattamen-to rieducativo e di reinserimento chedà la possibilità, a chi sta scontandouna pena, di andare a lavorare fuoridelle mura del carcere, dove si devefar rientro al termine di tale attivitàsecondo un orario definito, che puòvariare secondo dove si è impiegatied anche dei mezzi di servizio che siutilizzano per recarsi al lavoro (auto-bus di linea, Eccobus, treno, oppureautomobile). Il programma di chi èammesso al lavoro esterno prevedealcune prescrizioni da osservare scru-polosamente; è vero, certo, che si la-vora all’esterno, come se si fosse libe-ri, ma è altrettanto vero che in regimed’art. 21 non è consentito, ad esem-pio, l’utilizzo dei telefoni cellulari, chesi deve sempre seguire un percorsoprestabilito per recarsi al lavoro e perritornare, che non si può uscire dal-l’ambito lavorativo dove si è impiega-ti, se non per il tempo stabilito duran-te la pausa pranzo.È chiaro che la mancata osservanza diuna di queste regole comporta laconseguente “chiusura” del detenuto;con questo, l’art. 21 rappresenta unprimo e gran passo verso il reinseri-mento nella società, basato su un rap-porto di fiducia che la Direzione del-l’Istituto e l’Area trattamentale, in ac-cordo con la Magistratura di Sorve-glianza, instaurano con il detenuto. Ilvenir meno di tale condizione rappre-senta, quindi, una sconfitta per tutti, sia

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ATTUALITÀ

Pene alternative: pochi recidiviSolo quattro su mille commettono un reato dopo l’uscita dal carcere

di Omar Fasulo

Quattro condannati su millecommettono nuovi reatimentre scontano una pena

lontano dal carcere perché sottopostiad affidamento in prova o in regime disemilibertà, come quello concesso loscorso anno a Pietro Maso, che nel1991 uccise i genitori e che adesso,dopo 17 anni di carcere, prova a rifar-si una vita.Un livello di recidiva molto inferiore aquello che si registra, tra chi invecesconta l’intera pena tra le quattro mu-ra del carcere. Basta ricordare l’eleva-tissimo tasso di “rientri” di chi ha be-neficiato dell’indulto da detenuto; ad-dirittura 31 su 100, secondo una del-le ultime rilevazioni (si veda il sole 24ore del 7 aprile 2008).Un ritmo, questo, che ha contribuito ariportare in fretta le condizioni di af-follamento all’interno delle carceriverso il punto di non ritorno. Situazio-ne invece ben diversa se si guarda al-l’universo penitenziario dietro la lentedelle misure alternative, affidamentoin prova, detenzione domiciliare o se-milibertà.Secondo i dati del DAP (Dipartimen-to dell’Amministrazione Penitenzia-ria), se i detenuti hanno superato or-mai le 56 mila unità, tornando in so-stanza il livello d’allarme pre-indulto, ilnumero dei beneficiari di misure alter-native: si è invece mantenuto appenasopra quota nove mila al 30 giugnoscorso. Questa quota è stata raggiun-ta dopo lo sconto di pena varato dalParlamento nel 2006. In effetti, fino al2006 l’universo penitenziario era qua-si spaccato a metà: con 50/60 milacondannati “ospiti”degli Istituti Peni-

tenziari e 40/50 mila a espiarela propria pena “fuori”. Le ra-gioni della marcata differenzache si registra invece oggi van-no ricondotte all’ampiezzadell’indulto che ha cancellatomigliaia di condanne e ancheestinto altrettante misure al-ternative, poiché chi si trova inquest’ultima posizione ha ter-minato in ogni caso di sconta-re la sua pena che era in cor-so di esecuzione. È ormai no-to che il grado di recidiva èmolto basso e questo nonpuò essere ignorato dalla giu-stizia e dalla società. Anzi que-sto testimonia la sostanzialeefficacia del meccanismo dellepene alternative e che l’emo-tività degli allarmi sulla funzio-nalità del sistema, che spesso accom-pagnano i casi di cronaca e che haprovocato molte polemiche, è spessoeccessiva perché è raro che chi è po-sto in una delle misure alternative alcarcere commetta un nuovo reato. Gliindicatori, peraltro, mostrano un an-damento pressoché stabile nel corsodegli ultimi anni monitorati: dal 2001 aoggi il tasso di revoca delle misure al-ternative per aver commesso un rea-to durante la loro concessione oscillatra il due e il quattro per mille.Va poi sottolineato che chi accede albeneficio delle misure alternative alcarcere è in genere una persona chepresenta sufficienti indici di integrazio-ne che rappresentano uno dei critericorretti per la concessione.Chi non ha un’abitazione, ha situazio-ni di famiglia conflittuali, non ha un la-voro o è socialmente pericoloso nonè ammesso alla misura alternativa, di-

versamente invece se tutti questi pre-supposti sono verificabili, è giusto chesi conceda la misura alternativa richie-sta. In questi anni ho visto veramentepoche persone passare al reparto deisemiliberi tuttavia, grazie a questa mi-sura, sono riusciti a costruirsi una vita,a creare una famiglia, e quando hannofinito di espiare la loro pena possede-vano una casa, un lavoro e dei legamiaffettivi normali. Se tutto ciò non esi-stesse, molti di loro sarebbero tornatia delinquere, e se non l’hanno fatto, ègrazie a chi ha dato loro l’opportuni-tà di “allenarsi in libertà”. Quindi la so-cietà deve avere fiducia delle personeche lavorano attorno al mondo peni-tenziario perché nessuno di loro“mette fuori un detenuto” se primanon ha verificato i requisiti, credendonella possibilità di recupero di chis’impegna per ritornare a vivere nellasocietà libera in armonia con gli altri.

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ATTUALITÀ - Racconti

Un mondo intorno a meL’esperienza del lavoro esterno raccontata a cuore aperto

di Daniele Menabò

Subito dopo la laurea, mi è statoproposto l’inserimento nel pro-gramma trattamentale del lavoro

esterno, ossia l’ex art. 21 dell’Ordina-mento Penitenziario.Sapevo bene che cosa significasse unasimile proposta che mi avrebbe con-dotto verso un cammino di reinseri-mento che solo alcuni hanno il privile-gio di sperimentare. Certamente nonpotevo immaginare quanto sarebbestata bella e costruttiva questa espe-rienza.La novità inaspettata è stata quella diessere catapultato in una diversa real-tà, anzi, nella vita vera, perché dal mon-do chiuso del carcere, gli occhi si sononuovamente aperti verso ambienti eluoghi “normali”, verso persone e gen-te “comuni”, verso sentimenti e emo-zioni che per tanti anni erano rimastesoffocate e dimenticate tra le mura delcarcere. Sto vivendo, per così dire, le

stesse giornate, le stesse problemati-che, le stesse cose belle e brutte dellagente comune: se, per esempio, l’auto-bus che mi deve accompagnare in cit-tà ritarda, oppure c’è uno sciopero, micruccio per il disagio e magari mi ar-rabbio pure. Se al lavoro capita di rice-vere gratitudine e soddisfazione, il cuo-re batte contento e quella giornata ri-empie d’orgoglio e resta meravigliosa-mente impressa. Sono cambiati persi-no i temi dei discorsi con gli altri com-pagni che si trovano “al 21”: si parla difuori, del lavoro, delle relazioni con lepersone, ma soprattutto ci si riaffezio-na all’idea di ricostruire e riprendere inmano la propria vita. E poi ci sono lerelazioni con la gente al lavoro; dovreifare una lunga lista di nomi e di moti-vazioni, ma mi limito a prendere inconsiderazione, meravigliandomi, l’as-senza di pregiudizio verso la mia situa-zione, o anche la più completa dispo-nibilità ad accettarmi come una perso-na che sì ha sbagliato, ma che anche ha

saputo riscattare la sua prigionia, dan-do senso alla pena e senza mai dimen-ticare il reato commesso.È facile, in questo caso, sentirsi “in di-fetto”, ma le persone con le quali ho ache fare ogni giorno, soprattutto conchi mi segue nell’ambito lavorativo, midanno la fiducia, la sicurezza e la cer-tezza che anch’io faccio parte di que-sta vita, di questo mondo, che possonocontare su di me, ed io, come un bam-bino, che apre per la prima volta gli oc-chi, mi sento pronto ad entrare, comeprotagonista, in un ambiente “libero” enello stesso tempo responsabile comedovrebbe essere quello di ogni uomo.L’uscire dal carcere, la mattina, per an-dare al lavoro, ha assunto, giorno pergiorno, l’immagine di un’altra vita, per-ché gli anni di reclusione trascorsi ave-vano abbassato l’attenzione verso ilfermento fuori dalle quattro mura: unmondo vero, che si può toccare conmano, un mondo intorno a me chenon smette di camminare e di vivere.

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I LETTORI CI SCRIVONO - RECENSIONI

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Antonella è una nuova lettrice del giornale e ci pregiadi una sua gentile lettera.

Egregio direttore/gentile redazione

Qualche tempo fa ..ho avuto modo di leggere il vostro gior-nale. Non ho avuto mai un contatto diretto con la vita car-ceraria se non le scontate raccolte in parrocchia in occa-sione delle varie feste comandate.La cosa che mi colpiva però era che al posto di alimenta-ri fossero suggeriti dai volontarii meno scontati articoli per la persona o indumenti da in-dossare. Perchè mi chiedevo ?Ma archiviata la festa era archiviata anche la curiosità!Il vostro giornale ha avuto il pregio di soddisfare alcune diqueste (curiosità )e non solo.Mi ha ricordato che dietro ad ogni detenuto c'è comunqueun uomo solo,lontano dagli affetti e alle prese con problemi che dentroa volte diventano molto difficili. Bravi !L'unica suggerimento, se posso osare, è questo:continuate ad inserire qualcosa di comico o buffo..proprioalla fine del giornale,perchè con un sorriso si possa asciugare quella lacrima a cui la lettura invita

Antonella

Il signor Vittorio del “Gruppo di accoglienza” di To-rino scrive alla redazione e ci invia una copia dellarelazione del servizio di volontariato svolto nel2008. Lo ringraziamo per averci informato e per lasua continua attenzione nei confronti dei soggetti

deboli.Continuando a seguire il consiglio di Giuseppe pubbli-chiamo due foto antiche.

A cura di Abderrahim El mountaj

Le pagine di questo libro vogliono “ raccontare cosa veramente prova un uomoristretto quanto espia la sua pena. Sebbene per l’autore non sia stato facile sen-tire e raccontare le emozioni di un detenuto, lo ha sostenuto la convinzione checiò possa far capire come sia possibile difendere Abele e al tempo stesso recu-perare Caino”.Omar, il nostro redattore, ha fatto tesoro della sua esperienza e in queste pa-gine ci invita ad “ascoltare il bambino che eravamo un tempo e che esiste in noi.Questo bimbo è in grado di capire gli istanti magici. Noi sappiamo come soffo-carne il pianto, ma non possiamo farne tacere la voce”.Il libro si può richiedere all’email: [email protected] o all’indirizzo EdizioniSegno - via E. Fermi, 80 - 33010 Feletto Umberto - Tavagnacco - UdineTel. 0432/575179

I L L I B R O

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I LETTORI CI SCRIVONO - RECENSIONI

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Un giornale, “Le voci dentro”, ma anche una radio, unatv e lezioni di giornalismo. È partito il progetto di for-mazione e comunicazione per l’Ospedale psichiatricogiudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto.L’unico esempiodi giornalismo all’interno di un O.p.g. in Italia, portatoavanti da 13 giovani giorna-listi messinesi. Salvatore, de-tenuto - paziente di Barcel-lona, descrive le sue impres-sioni dopo la prima lezionedi giornalismo.

È bello poter constatareche la vita, anche nei mo-menti meno invitanti, nonè avara di sorprese posi-tive. L’ultima è arrivata inquesti giorni valicando lemura dell’O.p.g., portatacon discrezione da treragazze e tre ragazzi (soche ne arriveranno al-tri), che si sono offerti diprenderci per mano econdurci a esplorare ilmondo della car tastampata. Io mi chiamoSalvatore e sono rin-chiuso da due anni e

tre mesi in questo posto che chiamo “il mostro dal-le mille teste”, dove per ogni testa corrispondeun’incongruenza, e tutte insieme rappresentano lagrande discrepanza che esiste tra quello di cui noi ri-coverati abbiamo bisogno, e quello che, invece, civiene dato. Forse sono troppo “pazzo” per non ca-

pire cosa sia la normalità, oforse non lo sono abba-stanza per capire che lanormalità non risiede nellementi delle persone chetengono in vita posti somequesto. Ciò nonostante, hocapito che ci viene data l’op-portunità di dire quello chepensiamo, senza preoccupar-ci di eventuali censure o ri-torsioni, e che possiamo ini-ziare a mozzare la prima te-sta del mostro creando “Lavoce dentro” che verrà ampli-ficata per via etere su inter-net. Sperando che le utopiepossano diventare un giornosogni realizzabili, mi calo neipanni del giornalista con l’en-tusiasmo di un ragazzino cheparte per la sua prima gita sco-lastica.

I L G I O R N A L E

Quel giornalismo che combatte contro le mille teste del mostro

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Tv e impresa nella riabilitazioneEsperienze umane e professionali di un giornalista

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L’ORA D’ARIA di Maurizio Costanzo

Ringrazio quanti mi hanno chiesto di pubblicare mieopinioni su “Altrove”.Altrove è un nome a me caro da-to che, quasi due anni fa, ho realizzato e trasmesso suItalia Uno un programma dal carcere di Velletri che sichiamava “Altrove”. È stata una mia ulteriore esperien-za tra detenuti, operatori, e quanti lavorano nel mondocarcerario. In quella esperienza come nelle precedenti,ho constatato una diversità da casa circondariale a ca-sa circondariale. In alcune realtà c’è un attenzione im-portante nei confronti dei detenuti cercando di occu-parli, di spingerli a fare, per non farsi sottomettere dal-l’inedia della carcerazione. È vero che nel nord la situa-zione è più reattiva rispetto al sud, ma è anche veroche per mille motivi, non ultimo quello economico, nonsi utilizza il periodo di detenzione per far sì che chisconta una pena possa imparare una lingua, un mestie-re, e quando esce si possa reinserire. Lo ritengo, dasempre, l’investimento più importante. Altrimenti lospacciatore di stupefacenti, faccio un esempio, quandoesce dal carcere tornerà a fare quello che faceva, nontrovando nessuna occupazione e non sapendo farenulla. Si disse, durante quelle trasmissioni, che forse an-dava coinvolto anche l’imprenditore privato perché in-

vestisse a sua volta sul futuro, il processo di riabilitazio-ne. Figurarsi, adesso che si parla solo della crisi econo-mica e alcuni aspetti sono veri. Non credo sarà facilecoinvolgere imprenditori privati. Però, ripeto, il centrodel problema riguardo al reinserimento.A Roma, da molti anni, nel carcere di Rebibbia un ope-ratore culturale, Antonio Turco, ha organizzato unacompagnia teatrale che sono stato lieto di ospitare piùdi una volta al Teatro Parioli.Si tratta di testi elaborati e interpretati da alcuni dete-nuti, e in più di un caso ho conosciuto dilettanti che po-tevano essere professionisti.Quel che maggiormente mi ha stupito, la prima voltache Antonio Turco è venuto con la compagnia al Pario-li, è stata la totale assenza di polizia penitenziaria (unavolta vorrò scrivere di loro perché in moltissimi casifanno un grande lavoro che prevede tanto sacrificio).Ciò mi ha fatto capire il rapporto di fiducia costruitonel tempo tra Turco e la direzione della casa circonda-riale.Voglio aggiungere che talvolta si possono stabilirerapporti che nulla hanno a che vedere con le inferria-te o le manette e via elencando. Questi rapporti van-no inseguiti.

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Scriveteci!Criticateci!

L’importante per noiè conoscere le vostre

impressioni sul nostro giornale,l’idea che avete della vita

in carcere, cosa non sapete e cosa vorreste sapere.

Vi aspettiamo.

LLaa rreeddaazziioonnee ddii

alla c.a. del direttore responsabile

via Casale 50/A15040 S. Michele

Alessandriae-mail: [email protected]

CHI SIAMO

L’Associazione Cultura e Sviluppo diAlessandria è un’istituzione culturaleche si propone di contribuire amigliorare la qualità della vita e adarricchire l’offerta culturale nelcontesto locale, favorendo unsentimento partecipativo e unaresponsabilità civica.

Le principali attivitàdell’Associazione sono i GiovedìCulturali, cicli di conferenze suquestioni di carattere economico,socio-politico ed etico-filosofico inambito sia nazionale siainternazionale, e il Progetto Giovani,corso di introduzione allametodologia professionale, al lavorodi gruppo e alle dinamiche politico-economiche contemporanee, rivoltoprincipalmente a giovani universitari.

L’Associazione, inoltre, è disponibilead accogliere e a sostenere iniziativecoerenti con lo spirito associativo, edè aperta a collaborazioni con altreassociazioni, scuole, università,proponendo anche attività dimonitoraggio dei processi socio-politici del territorio.

I PRINCIPI GUIDA

La partecipazionePartecipare, comunicare, cooperareal miglioramento della condizioneumana di tutti è il primovalore/obiettivo che l’Associazioneintende promuovere.

L’impegno culturaleSiamo convinti che fare culturasignifichi ricercare incessantementeuna conoscenza sempre piùprofonda della realtà, in tutta la suaricchezza e complessità.

Il metodo democraticoIntendiamo per democrazia lapartecipazione responsabile daparte di tutti alla formazione delledecisioni.

L’etica della responsabilitàCrediamo nell’importanza dieducarci al rispetto di regolecondivise; affermiamo un’etica dei rapporti sociali in cuil’affermazione dei diritti siaccompagni al riconoscimento di doveri e responsabilità.

SOLIDARIETÀ DAL CARCERE

I detenuti del carcere di San Michele di Alessandria hanno raccolto una somma di denaro a sostegno

delle popolazioni dell’Abruzzo colpite dal terremoto.

Piazza Fabrizio De Andrè, 76 - 15121 Alessandriatel. 0131 222474 - www.acsal.org

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