Giorgio Vasari. Luoghi e Tempi delle Vite

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barbara agosti GIORGIO VASARI LUOGHI E TEMPI DELLE VITE

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Estratto dal volume di Barbara Agosti

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Le Vite di Giorgio Vasari, pubblicate a Firenze nel 1550, sono la pietra fondativa della storia dell’arte quale ancora oggi la intendiamo, nei suoi strumenti e metodi essenziali.

Seguire il filo dell’attività del pittore aretino nei molti diversi contesti italiani in cui fu operoso (Roma, Bologna, Venezia, Napoli, Firenze e tanti centri della Toscana…), e considerare la sequenza dei viaggi, i rapporti con i committenti (principi della terra e della Chiesa come i Medici o i Farnese, ma anche ordini religiosi, collezionisti e mercanti), gli amici, il mondo degli umanisti e dei letterati (ad esempio Pietro Aretino, Andrea Alciato, Annibal Caro…), i tempi e i modi di lavoro, permette di fare luce sulla maturazione della dirompente impresa storiografica vasariana, sulla sua impostazione e sulle sue ragioni critiche.

A fronte della radicale novità segnata dalla prima edizione dell’opera, concepita dall’autore in un momento precoce del suo percorso, profondamente differenti sono i criteri e le aspirazioni cui corrisponderà la rielaborazione del testo in vista della edizione molto ampliata del 1568, ormai del tutto allineata ai valori del principato mediceo.

La nuova versione delle Vite prende corpo infatti nell’ultima stagione trascorsa da Vasari alla corte fiorentina, quando si consolida la sua posizione di regista della politica culturale di Cosimo I, con il coordinamento del grande cantiere architettonico e decorativo di Palazzo Vecchio, la fabbrica degli Uffizi, la strumentalizzazione del culto di Michelangelo appena scomparso, e «quella grande operazione di riduzione all’ombra dell’assolutismo granducale della tradizionale anarchia degli artisti che va sotto il nome di fondazione dell’Accademia del Disegno», secondo una memorabile definizione di Giovanni Previtali.

Barbara Agosti è nata a Milano nel 1965 e ha studiato all’Università di Pavia e alla Scuola Normale di Pisa. Insegna Storia della critica d’arte all’Università di Roma “Tor Vergata”. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Collezionismo e archeologia cristiana nel Seicento (Jaca Book 1996), la raccolta di Scritti artistici e tecnici di Leonardo da Vinci (Rizzoli 2002), e la monografia Paolo Giovio. Uno storico lombardo nella cultura artistica del Cinquecento (Olschki 2008).

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LUOGHI E TEMPI DELLE VITE

giorgio vasari luoghi e tempi delle vite

Progetto graficoPaola Gallerani

RedazioneMarco Jellinek

ImpaginazioneSerena Solla

Fotolitocopertina: Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio, Milanotavole: Grafica Zeta, Milano

Stampa Monotipia Cremonese, Cremona

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

isbn: 978-88-97737-19-3© Officina Libraria, Milano, 2013 www.officinalibraria.com

Printed in Italy

In copertinaGiorgio Vasari, Allegoria della Giustizia (particolare), Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

barbara agosti

con 54 illustrazioni a colori

GIORGIO VASARI

LUOGHI E TEMPI DELLE VITE

SOMMARIO

7PREMESSA

11SULLA GIOVINEZZA DI VASARI

11 Da Arezzo a Firenze13 A Roma, con Ippolito de’ Medici18 A Firenze, con Alessandro de’ Medici

24LA CRISI DEL 1537 E LE PRIME TRASFERTE

24 Il gelo di Cosimo de’ Medici26 Il secondo soggiorno romano31 Ricordi e letture di Vasari

38LA STAGIONE DEI VIAGGI E L’ORIGINE DELLE VITE

38 Il periodo bolognese44 Passaggi a Ferrara45 Ritorno a Camaldoli48 Verso Venezia52 Il soggiorno veneziano56 Sull’impianto critico e la periodizzazione delle Vite60 Primi passi nella Roma farnesiana63 A Napoli

68VASARI NELLA ROMA FARNESIANA

68 La sala dei Cento giorni72 Dal testo al libro delle Vite

79VERSO LA FINE DEL LIBRO

79 La trasferta nelle Romagne80 La spedizione milanese83 Intorno alla stampa delle Vite86 Vasari e Michelangelo, 189 Da Roma a Firenze

92TRA LA TORRENTINIANA E LA GIUNTINA

92 Vasari e Michelangelo, 294 Dalla prima alla seconda edizione delle Vite99 L’omaggio al principato102 Nuove letture di Vasari106 Storia del disegno e storia dell’arte109 Al lavoro sulla seconda edizione delle Vite114 Sull’impalcatura della Giuntina

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TAVOLE

169Indice dei nomi

175Crediti fotografici

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Della personalità di Giorgio Vasari (1511-1574) si ha l’illusione di sapere tutto o quasi, per come è eccezionalmente vasta la documentazione disponibile per ri-costruire il suo percorso, dai molti dipinti e disegni superstiti alle architetture

da lui progettate, dall’autobiografia inserita nella seconda edizione delle Vite (1568) ai molti cenni su di sé disseminati nel corpo dell’opera, dal libro di memorie della sua vita professionale noto come Ricordanze agli appunti raccolti nel cosiddetto Zibaldone e rela-tivi per lo più alla sua fase tarda, fino al corposo carteggio. Eppure questa apparente ab-bondanza di strumenti si rivela ingannevole, in quanto il racconto dell’autobiografia è spesso tendenzioso, ellittico, autocelebrativo e in qualche caso persino sfalsato, il libro dei ricordi contiene registrazioni in realtà riordinate a posteriori, diversi pezzi importanti del catalogo del pittore sono perduti o non riconosciuti, il ricco epistolario è inficiato da grosse lacune, e a guardare più da vicino sono ancora molte le zone in ombra dell’itinera-rio di Vasari, e soprattutto della gestazione del progetto delle Vite, pietra fondativa della storiografia artistica moderna, della messa in opera della prima versione e del montaggio della seconda. Quando non si tratta di supplire a veri e propri buchi nelle notizie a dispo-sizione, il problema è quello di ritarare di continuo, a seconda dei margini di verifica che sono di volta in volta possibili, l’immagine coesissima e senza incrinature di artista corti-giano che strenuamente l’autore ha voluto confezionare e tramandare di sé rispetto a quanto di lui e su di lui si riesce a ricavare dalla combinazione delle fonti visive e scritte. E poiché per secoli è stata soltanto la seconda edizione delle Vite ad essere ristampata e letta, è difficile ancora oggi guardare alla prima (1550) intendendone specificità e ragioni storiche fuori dal cono d’ombra proiettato dalla fortuna della Giuntina e dal suo essere stata per due secoli, fino a Lanzi almeno, il motore della letteratura artistica in Italia, cresciuta a nord e a sud in aperta polemica (Malvasia a Bologna, Boschini a Venezia, D’Engenio e poi De Dominici a Napoli) o in voluta continuità (Raffaello Borghini e Baldinucci a Firenze) con il primato della tradizione fiorentina compiutamente e

I riferimenti alle Vite vasariane sono sempre secondo l’edizione Bettarini-Barocchi, Firenze 1966-1987; quelli al carteggio edito in due volumi da Karl Frey (Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, München 1923-1930), sono indicati semplicemente con il numero progressivo delle lettere; le lettere edite nel terzo volume, curato dal figlio Herman-Walther Frey, Neue Briefe von Giorgio Vasari, Burg bei Magdeburg 1940, sono richiamate con l’indicazione Frey, iii, e il numero progressivo. La biblio-grafia sugli argomenti toccati è sterminata; la scelta è stata quella di attenersi ad un apparato di riferi-menti molto secco, con qualche licenza e disparità. Sono qui rielaborati materiali e parti di testo che avevo presentato in occasione di alcune conferenze tenute tra 2010 e 2012 in varie sedi (una versione a stampa di questi interventi è ora raccolta in Vidas de artistas y otras narrativas biográficas, a cura di E. March e C. Narváez, Barcelona 2013, pp. 57-85).

PREMESSA

premessa

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compattamente celebrato nelle Vite del 1568. Tanto che il Vasari giuntino, fautore dell’ec-cellenza assoluta di Michelangelo ed impresario entusiasta della politica culturale del re-gime mediceo, ha finito per obnubilare tante sue precedenti diverse stagioni.

Quello che qui si presenta è un tentativo, compiuto in larga parte nel dialogo con il mondo degli studenti, di riordino di dati e materiali per capire la genesi del libro.

Prima che nel 1550, presso lo stampatore ducale di Firenze Lorenzo Torrentino, venisse pubblicata la prima edizione delle Vite vasariane, artisti ed opere erano stati sì toccati da una lunga, variegata e talvolta illustre tradizione di letteratura, e però mai fino ad allora le opere, il loro linguaggio e le personalità dei loro autori erano stati proiettati nella di-mensione di un coerente racconto storico, che Vasari scandisce, dal Due al Cinquecento sulla base non dei dati anagrafici degli artisti trattati, ma dei caratteri e degli sviluppi del loro stile: «mi sforzerò di osservare il più che si possa l’ordine delle maniere loro, più che del tempo».1 E mai prima di allora si era affacciata tra le voci della letteratura artistica l’ambizione a coprire un contesto che non fosse limitato ad un ambito municipale o co-munque locale, bensì aperto, per quanto possibile, all’Italia tutta. Quello che nella Tor-rentiniana fa davvero impressione, infatti, non è tutto ciò che manca, ma anzi tutto ciò che c’è. L’opera storiografica di Vasari segna dunque una rottura radicale, e propriamente fonda la moderna storia dell’arte, quale ancora oggi la intendiamo e pratichiamo.

Preceduto da tre introduzioni (le cosiddette «Teoriche») intitolate alle tre arti e volte a fornire modelli per le pratiche operative degli artisti (per esempio sulle tipologie dei mate-riali e le tecniche di lavorazione), il racconto storico delle Vite si articola in tre «età» pro-gressive, ciascuna delle quali è inaugurata da un proemio che ne mette in luce peculiarità, protagonisti, e avanzamenti rispetto alla precedente stagione di cultura figurativa. Ad ognuno dei proemi fa seguito la corrispondente sequenza di biografie, che in molti casi, oltre al profilo del maestro titolare della Vita, contengono pure cenni su altri artisti.

Così dunque il proemio della prima età, dopo avere descritto la decadenza delle arti determinata per secoli dalla caduta dell’impero romano, individua nella pittura non più bizantina ma «romanza» di Cimabue l’inizio del «nuovo modo del dipignere»,2 ed è con la Vita di questo maestro che si apre perciò la prima sezione delle biografie, destinata a conoscere significativi rimaneggiamenti nella rielaborazione giuntina.3 Facendo perno sul pilastro costituito dalla Vita di Giotto, nell’edizione del 1550 la prima età considera la storia della pittura italiana fino alla fine del Trecento e la fioritura della stagione

1. Vasari, ii, p. 32. La più solida e sostanziosa ricognizione sulla tradizione prevasariana resta quella di J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna [Wien 1924], Firenze 1964; il «canone» di fonti raccolte da Schlosser ha conosciuto, col tempo, diverse integrazioni, tra cui è particolarmente cospicua quella delle molte testimonianze di carattere poetico concernenti il genere del ritratto (per un bilancio recente, anche bibliografico, su questo argomento: F. Pich, I poeti davanti al ritratto. Da Petrarca a Marino, Lucca 2011).

2. Vasari, ii, p. 32.3. Vedi oltre, p. 115.

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tardogotica, per andare a concludersi con la pasticciatissima biografia intitolata al pittore fiorentino Lorenzo di Bicci, scomparso nel 1427 (ma lì continuamente confuso con la personalità del figlio Bicci di Lorenzo, che resterà attivo fino alla metà del Quattrocento). Il vero bilancio di questa prima parte delle Vite si trova però nel proemio della seconda età, importantissimo per la chiarezza con cui vi sono delineati l’impianto evolutivo e la periodizzazione vasariana della storia dell’arte. Riepilogate le «scintille di buono» incar-nate dagli artisti della precedente età, sono tratteggiati i progressi della successiva:

Ora, poi che noi abbiamo levate da balia, per un modo di dir così fatto, queste tre arti, e cavatele ancora de la fanciullezza, ne viene la seconda età, dove si vedrà infini-tamente migliorato ogni cosa: e la invenzione più copiosa di figure, più ricca d’orna-menti, et il disegno più fondato e più naturale verso il vivo; et inoltre una fine nell’o-pre condotte con manco pratica, ma pensatamente con diligenzia; la maniera più leggiadra, i colori più vaghi, in modo che poco ci resterà a ridurre ogni cosa al perfet-to, e che elle imitino appunto la verità della natura.4

Su queste premesse e consapevolezze si impalca la grandiosa arcata della seconda età, a cominciare da Jacopo della Quercia, per arrivare a chiudersi, sempre «seguitando l’ordine delle maniere», con la figura di Perugino, pittore che – pur essendo coetaneo di Leonardo e maestro di Raffaello, al quale sopravvisse di tre anni – Vasari schiaccia entro i confini della seconda età appunto in ragione del suo stile caratterizzato da limiti di meccanica officinalità, e per questo ancora estraneo alle conquiste della «maniera moderna».

Nell’edizione del 1550 il primo volume contiene le parti dell’opera richiamate fin qui, mentre la terza età è racchiusa autonomamente nel secondo volume. Lo scarto rispetto alla cultura figurativa della seconda età è potentemente spiegato in un passo celeberrimo del terzo proemio:

Ma se ben i secondi augumentarono grandemente a queste arti tutte le cose dette di sopra, elle non erano però tanto perfette che elle finissino di agiugnere a l’intero della perfezzione, mancandoci ancora nella regola una licenzia, che, non essendo di regola, fusse ordinata nella regola e potesse stare senza fare confusione o guastare l’ordine; il quale aveva di bisogno di una invenzione copiosa di tutte le cose e d’una certa bellez-za continuata in ogni minima cosa, che mostrasse tutto quell’ordine con più orna-mento. Nelle misure mancava uno retto giudizio, che senza che le figure fussino misurate, avessero in quelle grandezze ch’elle eran fatte una grazia che eccedesse la misura. Nel disegno non v’erano gli estremi del fine suo, perché, se bene e’ facevano un braccio tondo et una gamba diritta, non era ricerca con muscoli con quella facilità graziosa e dolce che apparisse fra ’l vedi e non vedi, come fanno la carne e le cose vive; ma elle erano crude e scorticate, che faceva difficultà agli occhi e durezza nella

4. Vasari, iii, pp. 14-15.

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maniera, alla quale mancava una leggiadria di fare svelte e graziose tutte le figure, e massime le femmine et i putti con le membra naturali come agli uomini, ma ricoper-te di quelle grassezze e carnosità che non siano goffe come li naturali, ma artefiziate dal disegno e dal giudizio. Vi mancavano ancora la copia de’ belli abiti, la varietà di tante bizzarrie, la vaghezza de’ colori, la universalità ne’ casamenti, e la lontananza e varietà ne’ paesi.5

La terza età, quella in cui giunge a piena espressione la buona «maniera moderna», inner-vata da un confronto progressivamente più maturo e libero con l’arte degli antichi, si apre con la personalità di Leonardo, in cui è individuato un cruciale punto di svolta:

il quale dando principio a quella terza maniera che noi vogliamo chiamare la moder-na, oltra la gagliardezza e bravezza del disegno, et oltra il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura così apunto come elle sono, con buona regola, migliore ordine, retta misura, disegno perfetto e grazia divina, abbondantissimo di copie [cioè di risorse] e profondissimo di arte, dette veramente alle sue figure il moto et il fiato.6

Nella prima edizione la parabola della maniera moderna comprende una successione di biografie programmaticamente riservate solo ad artisti già morti alla data di pubblicazio-ne dell’opera, con l’unica eccezione della Vita di Michelangelo, «il qual non solo tien il principato di una di queste arti, ma di tutte tre insieme», qualificato con l’appellativo di «divino» che era stato applicato al Buonarroti da Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso del 1532 (xxxiii, 2).

Nella rielaborazione del testo compiuta da Vasari tra gli anni Cinquanta e Sessanta in vista della nuova edizione, che uscirà per i tipi di Filippo Giunti nel 1568, sarà la terza parte a conoscere gli incrementi più cospicui, includendo un nuovo grosso gruppo di Vite dedicate agli artisti attivi alla metà del secolo, fino all’autobiografia dell’autore stesso – un accrescimento che porterà da due a tre i tomi dell’opera.

5. Vasari, iv, pp. 4-6.6. Vasari, iv, p. 8.