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Direzione: G. BALENA M. CAMPOBASSO M. CIAN G. DE CRISTOFARO M. DE CRISTOFARO F. DELFINI G. GUERRIERI M. MELI S. MENCHINI E. MINERVINI S. PAGLIANTINI D. SARTI Redattore capo: A. FINESSI LE NUOVE LEGGI CIVILI COMMENTATE (556 ???=00 5 4HNNPV.P\NUV ;HYPMMH 96*! 7VZ[L 0[HSPHUL :WH :WLK PU HII WVZ[ +3 JVU] PU 3 U HY[ JVTTH +*) 4PSHUV RIVISTA BIMESTRALE a cura di GIORGIO CIAN ALBERTO MAFFEI ALBERTI PIERO SCHLESINGER Deposito obbligatorio presso il notaio (l. n. 247/13) Prestazioni energetiche nell’edilizia (d.l. n. 63/13, conv. l. n. 90/13) – Risoluzione del contratto per inadempimento – Concordato preventivo – Società tra professionisti S.r.l. e legislazione di agevolazione Tutela per equivalente di contratto annullabile Opere orfane: la soluzione europea Contratto trattamento medico nel BGB ISSN 0391-3740 2014 www.edicolaprofessionale.com/NLC

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Direzione:

G. BALENAM. CAMPOBASSOM. CIAN G. DE CRISTOFAROM. DE CRISTOFAROF. DELFINIG. GUERRIERIM. MELI S. MENCHINIE. MINERVINIS. PAGLIANTINID. SARTI

Redattore capo:

A. FINESSI

LE NUOVE

LEGGI CIVILI COMMENTATE

RIVISTA BIMESTRALEa cura di

GIORGIO CIANALBERTO MAFFEI ALBERTIPIERO SCHLESINGER

– Deposito obbligatorio presso il notaio (l. n. 247/13)

– Prestazioni energetiche nell’edilizia (d.l. n. 63/13, conv. l. n. 90/13)

– Risoluzione del contratto per inadempimento

– Concordato preventivo

– Società tra professionisti

– S.r.l. e legislazione di agevolazione

– Tutela per equivalente di contratto annullabile

– Opere orfane: la soluzione europea

– Contratto trattamento medico nel BGB

ISSN 0391-3740

2014

www.edicolaprofessionale.com/NLC

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La Direzione ha sede presso lo STUDIO SCHLESINGER, via Mozart, 21 - Tel. (02) 76.000.052 - 20122 Milano.

La Redazione ha sede presso il DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE dell’Università di Ferrara, Corso Ercole I d’Este, 37 - 44100 Ferrara - Tel. 0532.455.651 - Fax 0532.455.957 - E-mail: [email protected].

Curatori:

G. CIAN - A. MAFFEI ALBERTI - P. SCHLESINGER

Direzione:

G. BALENA - M. CAMPOBASSO - M. CIAN - G. DE CRISTOFARO - M. DE CRISTO-FARO - F. DELFINI- G. GUERRIERI - M. MELI - S. MENCHINI - E. MINERVINI - S. PAGLIANTINI - D. SARTI

Comitato scientifico:

P. AUTERI - C.M. BIANCA - E. BOCCHINI- F.D. BUSNELLI - G. CAIA - S. CASSESE - G. COTTINO - R. DE LUCA TAMAJO - A. DI PIETRO - G. FALCON - P. FILIPPI - N. IRTI - M. LIBERTINI - N. LIPARI - P. MARCHETTI - G. MINERVINI - M. NAPOLI - M. PERSIANI - P. RESCIGNO - G. SANTORO PASSARELLI - A. TRAVI - T. TREU - A. ZACCARIA

Comitato per la valutazione scientifica:

S. BARIATTI - F. BARACHINI - G. CAPO - A. CETRA - S. CHIARLONI - A. CHIZ-ZINI - C. CONSOLO - L. COSTATO - V. CUFFARO - E. DEL PRATO - S. DELLE MONACHE - L. DI NELLA - E. GABRIELLI - E. GINEVRA - A. GORASSINI - A. JANNARELLI - F.P. LUISO - M. MAGGIOLO - M. MANTOVANI - S. MONTICELLI - G. PALMIERI - M. PENNASILICO - D. POLETTI - M. RESCIGNO - M. RICOLFI - R. SACCHI - F. SALERNO - P. SANFILIPPO - C. SCOGNAMIGLIO - M. SPOLIDORO - L.C. UBERTAZZI - G. VERDE

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N. 3 ANNO XXXVII

MAGGIO-GIUGNO 2014

LE NUOVE

LEGGI CIVILICOMMENTATE

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Referaggio - Norme di autodisciplina

1. I contributi inviati alla Rivista per la pubblicazione vengono vagliati e ap-provati dalla Direzione, e successivamente sottoposti alla valutazione di uncomponente del Comitato per la valutazione scientifica scelto volta per voltadalla Direzione in considerazione delle sue competenze settoriali.

2. Il contributo trasmesso ai valutatori non reca l’indicazione dell’identità del-l’Autore.

3. L’identità dei valutatori è coperta da anonimato.

4. Ove il valutatore, nel formulare il giudizio, suggerisca integrazioni o modi-fiche al contributo che gli viene sottoposto, la Direzione ne autorizza lapubblicazione previa verifica dell’adeguamento alle indicazioni fornite.

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LE NUOVE

LEGGI CIVILICOMMENTATE

ANNO XXXVII 2014

RIVISTA BIMESTRALE

a cura di

Giorgio Cian Università di PadovaAlberto Maffei Alberti Università di BolognaPiero Schlesinger Università Cattolica di Milano

Direzione

Giampiero Balena Ord. dell’Università di BariMario Campobasso Ord. della Seconda Univ. di NapoliMarco Cian Ord. dell’Università di PadovaGiovanni De Cristofaro Ord. dell’Università di FerraraMarco De Cristofaro Ord. dell’Università di PadovaFrancesco Delfini Ord. dell’Università di MilanoGianluca Guerrieri Ass. dell’Università di BolognaMarisa Meli Ord. dell’Università di CataniaSergio Menchini Ord. dell’Università di PisaEnrico Minervini Ord. della Seconda Univ. di NapoliStefano Pagliantini Ord. dell’Università di SienaDavide Sarti Ord. dell’Università di Ferrara

Redazione

Arianna Finessi (Redattore capo)Marcello Farneti, Cristiana Fioravanti, Silvia Schiavo

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Indice - Sommario del fascicolo III

Le nuove leggi

Il deposito del prezzo e il nuovo patrimonio segregato presso il no-taio (art. 1, commi 63o-67o, l. 27 dicembre 2013, n. 147, in G.U. s.g.n. 302 del 27 dicembre 2013, s.o. n. 87)

di Vera Tagliaferri

Sommario: 1. La nuova normativa e il suo campo di applicazione. – 2. Segue: ob-bligo di deposito e tipologie negoziali a cui tale obbligo si applica. – 3. Segue:l’inderogabilità dell’obbligo di deposito delle somme e le conseguenze dell’ina-dempimento. – 4. La natura giuridica del nuovo tipo negoziale. – 5. Le sommeda depositare. – 6. Segue: il deposito obbligatorio del prezzo e delle somme de-stinate all’estinzione di oneri. – 7. Segue: il deposito obbligatorio di imposte, tas-se, anticipazioni e onorario notarile. – 8. Segue: il deposito facoltativo. – 9. Patri-monio separato. – 10 Segue: conto corrente dedicato. – 11. Segue: lo svincolodelle somme. – 12. Le operazioni di finanziamento e le ipoteche. – 13. Segue:cancellazione ipotecaria contestuale alla vendita. – 14. Segue: cancellazione di pi-gnoramento con utilizzo del netto ricavo della vendita. 15. Segue: l’immediatoriacquisto da parte del venditore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 507

Le novità legislative in materia di prestazioni energetiche nell’edili-zia. Profili di diritto civile

di Gianfranco Orlando

Sommario: I. Introduzione. – 1. Le novità legislative relative alle prestazionienergetiche degli edifici nel quadro delle fonti in materia. – 2. Gli scopi perse-guiti dalla normativa. – 3. Segue: natura degli interessi e sistema di tutela. – 4. Glistrumenti normativi previsti per la realizzazione dei valori prefigurati. – II. L’at-

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testato di prestazione energetica. – 5. Dall’attestato di « certificazione »energetica all’attestato di « prestazione » energetica. – 6. Il contenuto. – 7. Gliedifici rilevanti sotto il profilo energetico. I diritti oggetto di negoziazione. – 8.La forma. – 9. L’efficacia temporale. – 10. I certificatori. – III. Gli obblighi

normativi. – 11. L’obbligo di dotazione. – 12. L’obbligo di informazione « al-l’avvio » delle trattative. – 13. L’obbligo di consegna dell’attestato « alla fine »delle trattative. – 14. L’obbligo di documentare la dichiarazione di adempimen-to degli obblighi di informazione e consegna. – 15. L’obbligo di allegazione. –16. La violazione degli obblighi previsti dalla normativa. – 17. Segue: la violazio-ne dell’obbligo di allegazione. – 18. Segue: una nuova ipotesi di « conferma » diatto nullo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 536

Saggi e approfondimenti

Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento

di Francesco Delfini

Sommario: 1. L’indagine. – 2. La posizione tradizionale. – 3. La critica e l’alterna-tiva proposta di ricostruzione del tema: il necessario rispetto dell’art. 1229 c.c. el’esigenza di preservazione del sinallagma su piani alternativi alla risoluzione. –4. La giurisprudenza sul patto di irresolubilità, l’operare dell’art. 1229 c.c. e ilruolo del precetto di buona fede nella invocazione in giudizio del patto . . . . . . . pag. 569

Causa del concordato preventivo e oggetto dell’omologazione

di Massimo Fabiani

Sommario: 1. Concordato preventivo e prevenzione del fallimento. – 2. Regola-zione della crisi e soddisfacimento dei creditori. – 3. Soddisfazione dei crediti eregolazione della crisi. – 4. L’impronta negoziale nel concordato preventivo. –5. Prime conclusioni sulla natura negoziale del concordato preventivo. – 5.1.Dal negozio alla deliberazione e dalla deliberazione al contratto. – 6. Dal con-tratto alle categorie contrattuali. – 7. Il concordato preventivo come proceduraconcorsuale. – 8. Il concordato come strumento di attuazione della garanziapatrimoniale. La natura giuridica. – 9. L’attuazione della garanzia patrimonialesecondo la regola della par condicio creditorum « residuale ». – 10. La necessitàdi un giudizio di omologazione. – 11. Il rapporto fra concordato (causa) e giu-dizio di omologazione (oggetto). – 12. L’oggetto del giudizio di omologazione.– 13. La cognizione del giudice. – 14. La decisione e il vincolo che su di essa siforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 579

Indice-sommario del fascicolo IIIVI

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La partecipazione sociale nelle società tra professionisti e nelle so-cietà tra avvocati

di Carlo Ibba

Sommario: 1. Premessa. – 2. Disciplina delle società tra professionisti e professioneforense. – 3. I requisiti soggettivi di partecipazione nelle società tra professionistie nelle società tra avvocati. – 4. Segue: partecipazione sociale e conferimentod’opera. – 5. Segue: requisiti soggettivi e circolazione della partecipazione. – 6.Segue: partecipazione sociale e incompatibilità. Incompatibilità e regime pubbli-citario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 621

Le s.r.l. nel quadro della legislazione di agevolazione

di Giorgio Marasà

Sommario: 1. Agevolazioni in senso privatistico e in senso pubblicistico. – 2. Lecooperative a mutualità prevalente. – 3. Le imprese sociali. – 4. I contratti di re-te. – 5. La normativa di agevolazione in tema di s.r.l. nell’ultimo triennio: il tra-sferimento delle quote con firma digitale. – 6. Segue: le s.r.l. start up innovative. –7. Segue: le s.r.l. semplificate e le s.r.l. a capitale « ribassato ». – 8. Segue: consi-derazioni finali sul destino delle s.r.l. semplificate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 632

Tutela per equivalente di un contratto annullabile e principio di ef-fettività: appunti per uno studio

di Stefano Pagliantini

Sommario: 1. Prologo. – 2. Cass. n. 20260/2006 e l’eredità sviante della natura bi-cefala del dolo. – 3. La tutela risarcitoria di un contratto annullabile come rime-dio infungibile per un’impossibilità della restitutio in integrum: il principio di ef-fettività ed un abbozzo di possibile casistica. – 4. Annullamento v. tutela perequivalente e le suggestioni di un modello francese (in movimento). Un risarci-mento a prescindere? – 5. Segue: il risarcimento come double peine. – 6. Per unrisarcimento sostitutivo a maglie strette. – 7. Diretta esperibilità del rimedio ri-sarcitorio ed espressa previsione di legge: l’equivoco sull’art. 30 c.p.a. – 8. Segue:...e l’interpretazione sistematicamente corretta dell’art. 2377, commi 2o e 4o, c.c.– 9. Il caso del recesso datoriale illegittimo e la fattispecie dell’art. 55 CESL. –10. Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 645

Indice-sommario del fascicolo III VII

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Provvedimenti in formazione

Opere orfane: la soluzione europea (dir. 2012/28/UE del Parlamen-to europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 su taluni utilizzi con-sentiti di opere orfane, in G.U.C.E. L 299 del 27 ottobre 2012)

di Cristiana Sappa

Sommario: 1. Brevi considerazioni introduttive sulle opere orfane: cause e ragionidell’interesse per il tema. – 2. Segue: sulla gestione delle opere orfane: le soluzio-ni possibili. – 3. La direttiva europea: genesi. – 4. Segue: ambito di applicazione:prime considerazioni. – 5. Segue: profili oggettivi e soggettivi – 6. Segue: utilizziconsentiti di opere orfane – 7. Sui limiti alla proliferazione delle opere orfane . pag. 671

Legislazione straniera

Il contratto di trattamento medico nel BGB. Una prima lettura

di Rocco Favale

Sommario: 1. Rilievi introduttivi. – 2. La natura del contratto di trattamento e leparti. – 3. La posizione del paziente. – 4. La posizione del medico. – 5. La re-sponsabilità del professionista. – 6. Alcune note conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 693

Indice-sommario del fascicolo IIIVIII

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IL DEPOSITO DEL PREZZOE IL NUOVO PATRIMONIO

SEGREGATO PRESSO IL NOTAIO [,]

(Art. 1, commi 63o-67o, l. 27 dicembre 2013, n. 147,in G.U. s.g. n. 302 del 27 dicembre 2013, s.o. n. 87)

diVera Tagliaferri

(Notaio)

Sommario: 1. La nuova normativa e il suo campo di applicazione. – 2. Segue: obbligo dideposito e tipologie negoziali a cui tale obbligo si applica. – 3. Segue: l’inderogabilitàdell’obbligo di deposito delle somme e le conseguenze dell’inadempimento. – 4. La na-tura giuridica del nuovo tipo negoziale. – 5. Le somme da depositare. – 6. Segue: il de-posito obbligatorio del prezzo e delle somme destinate all’estinzione di oneri. – 7. Segue:il deposito obbligatorio di imposte, tasse, anticipazioni e onorario notarile. – 8. Segue: ildeposito facoltativo. – 9. Patrimonio separato. – 10 Segue: conto corrente dedicato. – 11.Segue: lo svincolo delle somme. – 12. Le operazioni di finanziamento e le ipoteche. – 13.Segue: cancellazione ipotecaria contestuale alla vendita. – 14. Segue: cancellazione di pi-gnoramento con utilizzo del netto ricavo della vendita. 15. Segue: l’immediato riacquistoda parte del venditore.

1. – L’art. 1, commi da 63o a 67o, l. 27 dicembre 2013 n. 147 ha intro-dotto una nuova disciplina sul deposito obbligatorio del prezzo, di impo-ste e di altre somme inerenti l’atto presso il notaio.La disciplina in oggetto non è ancora completa e necessita di un decreto

che definisca termini, condizioni e modalità di attuazione; detto decretodovrà essere emanato entro 120 giorni dal 1o gennaio 2014, data di entratain vigore della legge: fino all’emanazione delle norme attuative si dubitafortemente che la normativa in commento sia applicabile (1).Inoltre, l’emanando decreto dovrà dettare norme idonee a disciplinare

situazioni completamente eterogenee, come quelle che la norma ha inseri-to nelle previsioni in commento.Il punto centrale del nuovo dettato legislativo è l’introduzione dell’ob-

bligo di deposito di somme presso il notaio in apposito conto separato e inparticolare di una somma sufficiente a coprire il saldo del prezzo, delleimposte e di altre eventuali somme connesse all’incarico, con uno specialeeffetto segregativo delle somme ivi depositate rispetto al patrimonio delnotaio e di quello delle parti.Il modello che presumibilmente ha ispirato il nostro legislatore è la di-

sciplina francese delle compravendite immobiliari: il promissario acqui-rente deposita il prezzo della futura vendita presso il notaio che conserva

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Petrelli, Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 27 dicem-bre 2013 n. 147, in Rivista notarile, 2014, p. 81.

Deposito obbligatorio

presso il notaio

l. n. 247/13

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e custodisce la somma sino alla vendita e alla avvenuta formalità pubblici-taria conseguente (2).In effetti, il nostro sistema ha sempre avuto il medesimo problema di

quello francese nella tutela della circolazione degli immobili: la discrasiatemporale necessariamente esistente fra il trasferimento del diritto reale,immediato per gli effetti dell’art. 1376 c.c., e l’esecuzione della pubblicitànei pubblici registri, non contestuale per la struttura del sistema, permetteun abuso da parte del venditore e non garantisce all’acquirente la certezzache vorrebbe (3). La nuova disciplina, perciò, prevede una tutela aggiun-tiva della parte acquirente, a fronte dei rischi del sopravvenire di formalitàpregiudizievoli nell’arco temporale che intercorre tra la stipula dell’attotraslativo e la relativa trascrizione nei registri immobiliari (4).Con l’occasione, il legislatore ha ritenuto opportuno estendere la nuova

disciplina protettiva ad altre situazioni. In particolare, il legislatore ha pre-visto anche il deposito delle somme destinate alle imposte in relazione allecompravendite immobiliari, compresa l’imposta sul valore aggiunto, chein precedenza non veniva versata a mani del notaio; la disciplina ha, inol-tre, previsto l’obbligo di deposito per le somme dovute a titolo di prezzo edi imposte, iva inclusa, per le compravendite di azienda; infine, ha previ-sto l’obbligo di deposito sul conto separato anche delle imposte relativealle dichiarazioni di successione, che perciò dovranno essere affidate alnotaio (5).La nuova norma, perciò, sembra, ad una prima lettura, aumentare la si-

(2) La normativa francese sul punto è contenuta nel Décret no45-0117 du 19 décembre1945, in particolare artt. 14 e 15, e nell’Arrêté du 30 novembre 2000 relatif au dépôt et auretrait des sommes versées par les notaires sur leurs comptes de disponibilités courantes et surleurs comptes de dépôts obligatoires à la Caisse des dépôts et consignations; quanto alla con-trattazione su immobili da costruire, la disciplina si trova negli artt. L261-1 e seguenti delCode de la construction et de l’habitation (partie législative); e negli artt. R261-1 e seguentidel medesimo Code (partie réglementaire). Cfr. sul punto Tondo, Notariato e pubblicitàimmobiliare in raccordo con l’esperienza francese, in Vita not., 2010, p. 1503; Pisani, Ver-samento di fondi e preliminare di vendita. Il ruolo del notaio nel sistema francese, in La pras-si della contrattazione immobiliare tra attualità e prospettive, a cura della Fondazione italia-na del Notariato, Milano, 2008, p. 10; Donati, L’esperienza legislativa francese sulla ven-dita immobiliare, in Diritto privato 1995, I - Il trasferimento in proprietà, Padova, 1995, p.229. Riguardo agli immobili da costruire, v. Petrelli, Gli acquisti di immobili da costruire,Milano, 2005, p. 1 ss., spec. § 2; Franceschini, La compravendita di immobili da costruirein Francia: ruolo del notaio francese e spunti per il Notariato italiano, in Immobili & proprie-tà, 2008, p. 555; Vella, La tutela dell’acquirente di immobili da costruire nel diritto france-se: spunti per il notariato italiano, in Vita not., 1998, p. 621; Aldrin, Modalità di protezionedegli acquirenti d’immobile da costruire. Regole e principi dell’esperienza francese, in Atti delconvegno Paradigma, Milano, 15 aprile 2005, 4.

(3) G. Gabrielli, La pubblicità immobiliare, Milano, 2012, pp. 69-70; Tagliaferri,Circolazione dei beni immobili e trascrizione, in Trattato dei diritti reali, a cura di Gambaroe Morello, 2009, 827 ss.; Tagliaferri, Doppie alienazioni e tutele, in Trattato dei dirittireali, a cura di Gambaro e Morello, 2009, p. 655 ss. e in particolare pp. 656 e 657.

(4) Bevilacqua, Il deposito delle somme presso il notaio: in attesa dei decreti attuativi, inDir. e società, 2014, pp. 14-15.

(5) Dal tenore letterale del norma non è chiaro se il notaio diventi l’unico intermediarioper le denunce di successione, ovvero continui ad essere possibile redigere la denuncia inproprio o tramite commercialista, senza in tale caso rispettare l’obbligo del deposito delprezzo, gravante in effetti solo nel caso in cui intervenga il notaio.

Le nuove leggi508

Deposito obbligatorio

presso il notaio

l. n. 247/13

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curezza della circolazione di alcuni beni, immobili e aziende, con incre-mento di responsabilità e compiti affidati al notaio. L’acquirente conse-gna, tramite il notaio, il prezzo al venditore solo quando il suo acquisto ètrascritto nei registri immobiliari senza formalità pregiudizievoli prece-denti. I soldi destinati al venditore sono custoditi dal notaio in un apposi-to conto che costituisce patrimonio separato, insieme alle imposte e a tut-te le somme destinate allo stato, oltre a tutte le somme destinate a credito-ri e comunque inerenti la vendita; la segregazione di queste somme ha lafinalità precipua di meglio tutelare le parti e lo Stato: le somme, infatti, sa-ranno disponibili solo a vantaggio di chi spettano e indipendentementedalle vicende personali del notaio, come anche delle parti, che si tratti divicende matrimoniali, regimi patrimoniali, successioni o debiti.Questo aumento di sicurezza è certamente collegato alla crisi del merca-

to immobiliare, che la disciplina in commento vorrebbe aiutare a rivitaliz-zare. In effetti, con l’entrata in vigore di questo meccanismo si azzerano irischi in capo all’acquirente, che acquista solo quando il bene è esistente elibero da trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli. Tale interesse, già garan-tito dai controlli preventivi, con la riforma in esame avrebbe una certezzaulteriore derivante dalla verifica a posteriori.Certamente tale verifica è innegabilmente utile e destinata a ridurre il

carico giudiziario delle controversie immobiliari, allocando il costo dellasicurezza della circolazione a carico dell’acquirente, sin dalla fase fisiolo-gica del trasferimento e con una decisa e notevole riduzione di costi; cer-tamente, infatti, l’innovazione portata dalla legge di stabilità comporteràun aumento di costi a carico di tutti gli acquirenti, ma una decisa diminu-zione delle controversie e l’azzeramento di situazioni pregiudizievoli in-colpevolmente ignorate dalla parte che acquista.Inoltre, il legislatore, se pur ha voluto aumentare la tutela dell’acquiren-

te, mi pare abbia fatto una scelta di tutela parziale. Infatti, dai nuovi com-mi introdotti si evince la creazione di un patrimonio segregato, ma la com-posizione del patrimonio segregato non è dato da tutte le somme versate atiolo di prezzo facenti capo al medesimo acquisto, perché non vi rientranoin alcun modo né i pagamenti effettuati in sede si preliminare né quelli ef-fettuati i un momento posteriore all’atto definitivo. Rientrano, invece, leimposte, iva inclusa, gli onorari del notaio e i crediti di eventuali creditoridel venditore come il condominio o, almeno ad una prima lettura, le ban-che garantite da ipoteca gravante sull’immobile compravenduto. Il legisla-tore ha incluso nell’obbligo di deposito tutte queste ulteriori somme peraumentare i volumi del conto dedicato, considerando che gli interessi van-no a vantaggio delle piccole e medie imprese ai sensi del comma 67o del-l’art. 1 l. n. 147/13.

2. – Il comma 63o, lett. c, non contempla una o più fattispecie negozialiben determinate, ma si riferisce a « contratti di trasferimento della pro-prietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto realesu immobili o aziende », per i quali sia dovuto un prezzo o un corrispetti-vo.Tale ampia definizione è indice della volontà del legislatore di ricom-

prendere nella disciplina non solo la compravendita, ma anche altri con-

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tratti come, ad esempio, la permuta con conguaglio, e la dazione in paga-mento che preveda anche il pagamento di una somma di denaro (6).Il precetto normativo comprende nel suo campo applicativo il trasferi-

mento, la costituzione e l’estinzione (7) di diritti reali, e quindi anche didiritti reali di garanzia, come pegno e ipoteca a fronte di una correspon-sione di denaro.La lett. c del comma 63o contempla anche le cessioni di azienda tra le

fattispecie contrattuali il cui perfezionamento dinanzi al notaio comportal’obbligo di deposito su conto corrente dedicato.Per tale previsione è più delicato individuare la ratio di tale previsione,

considerato che la pubblicità della cessione di azienda nel registro delleimprese non costituisce, in linea di principio, pubblicità dichiarativa (8), eche i conflitti circolatori sono risolti con riferimento ai singoli beni azien-dali, secondo le regole di circolazione proprie di ciascuno di essi (9), ovve-ro, laddove esistano altre forme di pubblicità dichiarativa (registri immo-biliari, pubblico registro automobilistico, altri pubblici registri per gli altribeni mobili registrati, ecc.), è a queste ultime che occorre far riferimen-to (10).Conseguentemente, il notaio che riceva o autentichi un atto di compra-

vendita di azienda dovrà svincolare il relativo prezzo solo dopo aver veri-ficato le risultanze di tutti i pubblici registri interessati; nel caso in cuil’azienda non comprenda né beni immobili, né beni mobili registrati o be-ni immateriali (marchi, brevetti, ecc.) risultanti da pubblici registri, do-vranno essere verificate – sussistendo un trasferimento di crediti aziendali– unicamente le risultanze del registro delle imprese.È, invece, senz’altro escluso dall’ambito di applicazione della disciplina

in oggetto il contratto preliminare di compravendita, sia esso immobiliareo di azienda, poiché non produce il trasferimento della proprietà o di al-tro diritto reale. Si tratta di un’esclusione che contrasta, in linea di princi-pio, con le esigenze di tutela che stanno alla base della disciplina in com-mento: il deposito presso il notaio svolgerebbe al meglio la propria funzio-ne se potesse ricomprendere anche le somme corrisposte in anticipo – a ti-tolo di acconto o caparra – a partire dalla conclusione del contratto preli-minare, almeno nei casi in cui quest’ultimo sia ricevuto o autenticato danotaio. Anche perché è ben possibile che sussistano formalità pregiudizie-voli non dichiarate nel preliminare, o che possono sopravvenire primadella relativa trascrizione ex art. 2645 bis c.c., e che quindi possono pre-

(6) Petrelli, Il deposito, cit., p. 90. Qualche dubbio sorge in relazione alla divisionecon conguagli, che è equiparata solo parzialmente e solo agli effetti fiscali ad un atto tra-slativo (e che quindi, coerentemente, dovrebbe essere esclusa dalla disciplina in commen-to).

(7) Il comma 63o prevede l’ipotesi della estinzione di diritti reali. Tra le fattispecie estin-tive di diritti reali con pagamento di un prezzo o corrispettivo rientrano la rinuncia abdi-cativa agli stessi e la cancellazione dell’ipoteca con contestuale pagamento del credito.

(8) L’iscrizione nel registro delle imprese funge da pubblicità dichiarativa con riferi-mento ai crediti aziendali (art. 2559 c.c.).

(9) L’art. 2556 c.c. fa « salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferi-mento dei singoli beni che compongono l’azienda ».

(10) Petrelli, Il deposito, cit., 2014, p. 91.

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giudicare il promissario acquirente allo stesso modo in cui può essere pre-giudicato l’acquirente in relazione al saldo del prezzo corrisposto in occa-sione della vendita definitiva.È, inoltre, esclusa dalla norma in commento la cessione di partecipazio-

ni sociali; la ratio di tale esclusione probabilmente risiede nella scelta dipolitica legislativa già effettuata nel momento in cui il legislatore ha previ-sto una forma informatica semplificata per tali contratti (11).Nel caso in cui il notaio sia chiamato a ricevere un atto per il quale il de-

posito prezzo non è obbligatorio e le parti vogliono comunque consegnareil prezzo a mani del notaio sino all’avveramento di un qualunque eventoscelto dalle parti stesse, si verifica un’ipotesi alla quale la disciplina intro-dotta con la legge di stabilità 2014 deve essere applicata e il notaio e dovràsoggiacere alle prescrizioni in commento, ovvero depositare il prezzo inapposito conto dedicato, che costituirà patrimonio segregato, e svincolar-lo solo a favore degli aventi diritto e solo in base a quanto stabilirà l’ema-nando decreto attuativo e il regolamento pattizio integrativo.

3. – Il tenore letterale del disposto normativo, non temperato da alcunaprevisione di derogabilità, impone di considerare l’obbligo di depositodelle somme su conto corrente dedicato come imperativo.Tale obbligo, poi, deve essere scomposto in più e distinte obbligazioni.

La prima, dell’acquirente, di versare al notaio le somme; la seconda, delvenditore, di versare al notaio le eventuali ulteriori somme connesse allavendita relative al bene, quali possono essere le somme necessarie adestinguere un’ipoteca, ovvero a soddisfare il credito condominiale; la ter-za, quella del notaio, composita, da suddividersi in almeno quattro distin-te attività: accertare le somme, riceverle, custodirle ed infine rilasciarle afavore dell’avente diritto.Tre sono i soggetti obbligati dalla disciplina, che si pone come una di-

sciplina di protezione, dove il bene protetto è la circolazione della ricchez-

(11) Il legislatore, con il d.l. n. 112/08 convertito con l. n. 133/08, all’art. 36, comma 1o

bis, ha previsto che l’atto di trasferimento di cui al comma 2o dell’art. 2470 c.c. potesse es-sere sottoscritto con firma digitale, senza ulteriori specificazioni, attribuendo ad un inter-mediario abilitato l’onere del deposito entro trenta giorni, presso l’ufficio del Registro Im-prese. L’introduzione di tale norma nel nostro ordinamento ha suscitato notevole scalpore,in considerazione del fatto che la lettera ambigua della norma lascia notevole spazio perun’interpretazione estensiva, nel senso di permettere di ritenere possibile che la cessione diquote societarie possa essere conclusa senza il necessario intervento di un notaio, ma sol-tanto con l’ausilio di un intermediario qualificato. Posizioni caute affermano che perman-ga la necessità dell’autentica notarile per una serie di controlli di legalità quali l’accerta-mento dell’identità personale delle parti, indagine della volontà e della capacità di agiredelle stesse, verifica della legittimazione e dei poteri di rappresentanza, controllo di legalitàdell’atto soggetto ad iscrizione. V. Spada, Una postilla in tema di cessione di quote con fir-ma digitale, in Notariato, 2008, p. 538 ss.;Mongelli e Cavallo, La necessità dell’autenticanotarile nella cessione di quote della srl: ricostruzione interpretative, in Riv. not., 2010, p.209. Per una prima giurisprudenza v. Trib. Vicenza, ord. 23 novembre 2009, afferma che« tale articolo introduce semplicemente alla possibilità che l’atto di trasferimento sia sotto-scritto con firma digitale e depositato a cura di intermediario abilitato; tale norma nulla di-ce sulla necessità dell’autentica della sottoscrizione da parte del notaio, stabilita dalla nor-ma di riferimento, per cui nulla fa ritenere che tale necessità di autenticazione d parte delnotaio sia venuta meno », in Riv. not., 2010, p. 208.

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za, rappresentata da immobili e aziende. Lo scopo di protezione emergecon chiarezza nella esplicita previsione normativa di segregazione, nonchéper la irrinunciabilità in via preventiva della tutela da parte dei soggettiprotetti. La disciplina dettata dall’art. 1, commi 63o ss., della l. n. 147/13si presenta perciò come di ordine pubblico di protezione (12).La inderogabilità normativa porta a ritenere non valide le pattuizioni

in deroga contenute in pregressi accordi, come il contratto preliminare,né tanto meno previste in varianti al contratto nel periodo di durata del-lo stesso; diverso e più delicato discorso, invece, deve essere fatto perquanto attiene alle istruzioni di rilascio di quanto depositato al notaio:l’oggetto dell’incarico del notaio verrà presumibilmente meglio precisatodal decreto attuativo e avrà un contenuto inderogabile ed uno derogabi-le; solo per tale ultimo saranno possibili pattuizioni diverse e/o integrati-ve e per queste le parti potranno raggiungere un accordo al momentodel deposito ma anche modificarlo secondo le mutate esigenze che si do-vessero presentare.Nel caso in cui le parti si rifiutino di adempiere alle obbligazioni poste a

loro carico, si ritiene, dato il carattere di inderogabilità della norma in og-getto, che il notaio debba rifiutare l’atto (13). Il rimedio, che a prima vistaappare drastico, però, è necessario ad una più attenta lettura. Infatti, la fi-nalità di protezione non è l’unica contemplata: gli interessi relativi al con-to sono destinati allo stato, che a sua volta li utilizzerà a vantaggio dellepiccole e medie imprese. Permettere una deroga consensuale alla discipli-na, a cui anche il notaio dovrebbe prestare acquiescenza, significa svuota-re il precetto di ogni capacità coercitiva: le parti potrebbero allora anchescegliere se effettuare un deposito modulato diversamente o addirittura suun conto diverso da quello del notaio e tenersi gli interessi (14).

(12) Petrelli, Il deposito, cit., p. 99.(13) Nel caso in cui il rifiuto ad adempiere le obbligazioni di deposito sia integrale, il no-

taio ben potrebbe legittimamente rifiutare di prestare il suo ministero ai sensi dell’art. 27legge notarile: indiscussa, infatti, la possibilità di non prestare la propria opera qualoranon riceva le somme necessaria per pagare le imposte relative all’atto (v. Protettì e di

Zenzo, La legge notarile, Milano, 2003, p. 147); meno semplice la valutazione qualora ilrifiuto attenga al solo prezzo e non alle altre voci che compongono l’ammontare del depo-sito obbligatorio, poiché la soluzione deriva comunque dalla combinata lettura della nuovanorma e dell’art. 27 della legge notarile e non da un esplicito precetto, che si auspica trovispazio nella disciplina integrativa.

(14) Contra Petrelli, Il deposito, cit., p. 106, che propone di « far constare, a mezzo diapposita menzione, dall’atto notarile che le parti, richieste dal notaio, hanno rifiutato diconsegnargli le somme di cui è previsto il deposito obbligatorio: tale menzione, dotata diefficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c., oltre ad evidenziare la correttezza e legit-timità dell’operato del notaio, dimostrerebbe l’inadempimento delle parti o di alcuna di esse,dal quale potrebbero scaturire le conseguenze previste dalla normativa codicistica in temadi responsabilità contrattuale (artt. 1218 ss. c.c.), come pure la possibilità di sequestrare opignorare le somme che avrebbero dovuto essere depositate. Potrebbe anche, probabil-mente, legittimarsi l’azione di ripetizione di indebito da parte del solvens che abbia, illegit-timamente, effettuato il pagamento all’accipiens, trattandosi di pagamento (sia pure prov-visoriamente, o condizionatamente) non dovuto. In definitiva, il disvalore giuridico conse-guente alla violazione dell’obbligo di deposito non si spinge fino al punto di vietare la con-trattazione a titolo oneroso su immobili e aziende, ma priva della tutela giuridica, nei limitisuesposti, il pagamento illegittimamente effettuato al soggetto alienante. Alle medesime

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Mi pare, perciò, indiscutibile che l’obbligo di adeguamento alle prescri-zioni della normativa in commento non sia derogabile e presumibilmenteil decreto attuativo espliciterà con chiarezza ciò che oggi si desume soltan-to.Questo assunto esclude che possa verificarsi un inadempimento totale

delle parti, venditore ed acquirente, perché in tale ipotesi il notaio rifiute-rà il suo ministero.Tale disciplina, perciò, ruota attorno alla figura del notaio, per la sua ap-

plicazione assoluta e per il rispetto dei suoi contenuti. In particolare, il no-taio ha almeno quattro obbligazioni nuove derivanti da questa normativa:accertare la quantificazione delle somme, riceverle in deposito, custodirlesul conto corrente dedicato ed infine rilasciarle a favore dell’avente dirit-to, lo Stato quanto agli interessi, il venditore quanto al prezzo, il condomi-nio quanto alle spese, il notaio stesso quanto all’onorario e l’Agenzia delleEntrate quanto alle relative imposte.L’inadempimento parziale, invece, degli obblighi a carico delle parti

ben potrebbe verificarsi, proprio a causa di tali molteplici attività; adesempio, il notaio, mal supportato dalle parti, potrebbe aver erroneamen-te quantificato l’importo complessivo del deposito da effettuare e perciòle parti potrebbero aver eseguito un deposito insufficiente; ovvero il no-taio stesso potrebbe essere inadempiente, potendo depositare le somme econservarle su un conto diverso da quello apposito introdotto dalla nuovadisciplina, affinché una parte degli interessi vadano a suo vantaggio; ovve-ro ancora potrebbe, dopo aver versato le somme sul conto apposito, maprelevarne a suo vantaggio una quantità maggiore di quella pattuita.Quanto a tali inadempimenti da parte del notaio, l’emanando decreto at-tuativo potrebbe dettare regole di trasparenza tali da ridurre al massimo irischi (ipotizzando per esempio come unico modo di versamento e di pre-lievo il bonifico).Pare opportuno segnalare che la nuova normativa, almeno sino all’ema-

nando decreto attuativo, pecca di coordinamento con le norme che pre-siedono la registrazione da parte del notaio. Infatti, sul conto dedicato de-vono essere versate anche le somme destinate alle imposte, che prima ditale normativa erano pagate direttamente al notaio.Il pagamento delle imposte all’agenzia delle entrate avviene in sede di

registrazione e mediante prelievo diretto sul conto corrente indicato dalnotaio stesso; tale indicazione non viene ripetuta atto per atto, ma rimanefissa e costante e non può avere ad oggetto più di un conto corrente.Quindi, al notaio si crea il seguente dilemma: o indicare il conto neo in-trodotto dalla disciplina come conto su cui effettuare i prelievi collegati atutte le registrazioni, comprese anche quelle relative a contratti che nonhanno obbligo di deposito, oppure spostare i soldi dal conto dedicato esegregato ad altro suo conto comunicato all’agenzia delle entrate. In tale

conseguenze dovrebbe, poi, giungersi anche nei casi in cui le parti rifiutino di prestare lapropria collaborazione ai fini della determinazione dell’importo delle somme da depositare(non dichiarando, ad esempio, quali somme sono state pagate prima dell’atto, ovvero nonquantificando l’importo delle spese condominiali da pagare in base all’ultimo rendicontoapprovato) ».

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ultimo caso, però, è evidente che si allungano i tempi tecnici, perché ilcliente prima trasferisce al conto dedicato e poi il conto dedicato a quellooperativo del notaio, posticipando la registrazione di almeno un paio digiorni, dovuti ai tempi tecnici bancari.Infatti, il notaio oggi può inviare all’agenzia delle entrate e alle conser-

vatoria dei registri immobiliari, ovvero alla camera di commercio, il titoloin formato digitale ed ottenere la registrazione e la trascrizione nel compe-tente registro nell’arco al peggio di 24 (ventiquattro) ore (15). Pertanto, lanormativa ad oggi si innesta su un sistema che già in forza di altre innova-zioni sta diventando virtuoso. La disciplina pare per lo più destinata adevitare che il notaio lento (16) nello svolgimento degli adempimenti possacausare un involontario danno alle parti (17).Nell’ambito della registrazione ben più delicata è la verifica dell’infra-

zione degli obblighi in capo al notaio: mancano, infatti, previsioni sulletempistiche massime che possono intercorrere fra lo spostamento dei sol-di e l’utilizzo degli stessi per il pagamento all’agenzia delle entrate.Un’ulteriore tipologia di inadempimento in cui può incorrere il notaio è

l’omissione di informazione alle parti in relazione all’obbligo di deposito el’avallo della pratica del pagamento diretto.La responsabilità del notaio potrebbe essere di tipo civilistico, per il ca-

so in cui le parti non si siano potute avvalere della protezione della nuovanormativa, nonché di tipo disciplinare (18). Inoltre, alcuni comportamentidel notaio potrebbero integrare reato, come la distrazione delle sommedalla loro destinazione, mediante prelievo abusivo delle stesse o mancatodeposito nel conto dedicato, integrando l’appropriazione indebita o – re-lativamente alle somme dovute all’erario a titolo di imposte e tasse – il pe-culato, oltre alla sanzione disciplinare correlata.In tali ipotesi, però, preme sottolineare come la nuova normativa sia in-

completa proprio sotto l’aspetto della tutela delle parti, che pare essere ilbene primario a garanzia del quale la norma è stata emanata. Infatti, nelcaso di appropriazione delle somme da parte del notaio, il contratto di

(15) Si segnala che la Conservatoria dei Registri immobiliari garantisce l’evasione dellapratica entro il pomeriggio del giorno seguente, salvo che l’invio avvenga prima delle12.30, nel qual caso la pubblicazione nei registri avviene nel pomeriggio stesso. All’inviotelematico, naturalmente, viene assegnato un numero progressivo in base all’ora di invio equindi la pubblicazione avviene nello stesso ordine in cui sarebbe avvenuta con una inviotelematico parziale e la consegna manuale del titolo.

(16) Il notaio è tenuto ad eseguire le formalità nel più breve tempo possibile. L’indicenormativo è di trenta giorni, ma la più recente giurisprudenza si è assestata sui cinque gior-ni dalla data dell’atto per escludere ogni responsabilità del notaio.

(17) Uno dei motivi che rallenta normalmente la procedura di registrazione trascrizioneè il ritardato pagamento delle parti al notaio dell’importo che il notaio è tenuto a versareallo stato a titolo di importo in sede di registrazione dell’atto. Il notaio, normalmente, nonè disposto a anticipare tali imposte, che hanno un valore proporzionale all’affare concluso;perciò, se non ha ricevuto la provvista può dilazionare i tempi. Per la legge notarile, il man-cato versamento della provvista al notaio è giusta causa per rifiutare di ricevere un atto. Inogni caso, se il notaio accetta di riceverlo è obbligato a registrare nei trenta giorni e piùaspetta maggiori sono i rischi che si presenti una formalità pregiudizievole rispetto alla si-tuazione pulita verificata nella giornata dell’atto.

(18) Artt. 136 e 147, lett. a e b, l. not., 1.

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vendita che ha imposto il deposito è valido, il venditore che ha ben ven-duto non riceve il pagamento del prezzo e nulla può pretendere dall’ac-quirente, che ha già pagato a mani del notaio; oppure, il venditore, controil quale viene trascritta una trascrizione pregiudizievole, non ha ancoratrasferito la proprietà del bene, ma l’acquirente, che ha già pagato a manidel notaio, non acquista almeno fino alla cancellazione della trascrizionepregiudizievole, salvo diverse previsioni nel contratto principale (19), enon riesce a rientrare nel possesso del suo denaro. In merito a tali situa-zioni, si auspica un deciso intervento da parte del legislatore con il decretoattuativo, anche in merito alle regole di gestione di detto conto, con laprevisione di sanzioni ferree per il notaio che dovesse distogliere anche so-lo parte delle somme destinate e segregate.

4. – La natura giuridica del tipo negoziale ad una poco attenta lettura sipresenta molto semplice. La norma lo chiama deposito delle somme e per-ciò si deve ritenere applicabile la disciplina del deposito. Tale lettura, pe-rò, richiede alcune precisazioni e attente valutazioni soprattutto in caso disituazione patologica del rapporto fra venditore e acquirente, a cui il con-tratto in commento è strettamente legato.Si deve, però, sin d’ora anticipare che la nuova disciplina introduce un

contratto imposto composito che condivide la usa natura giuridica certa-mente con il contratto di deposito, ma anche con il sequestro convenzio-nale e con il mandato.Pare opportuno partire dall’analisi degli elementi essenziali del deposi-

to, poiché, anche sotto il profilo testuale, è il contratto che maggiormentepare richiamato dalla nuova normativa.L’art. 1766 c.c. definisce il deposito come « il contratto con il quale una

parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e resti-tuirla in natura » (20). « La consegna, la custodia, la restituzione di cosamobile sono dunque, per il vigente codice civile gli elementi qualificanti ecostitutivi del contratto di deposito » (21).Il primo elemento del contratto di deposito è la consegna, che rappre-

senta il comportamento cosciente e volontario di un soggetto che affida la

(19) Allo stato dell’arte normativo, non esiste una disciplina da applicare in caso di for-malità pregiudizievole trascritta fra la data dell’atto, ultimo giorno in cui il notaio effettuala verifica della situazione ipotecaria, e la data della trascrizione. In assenza di specificheprevisioni, sarà compito del notaio indagare la volontà delle parti sulle sorti del contratto,nel caso in cui si presenti una formalità pregiudizievole e trasfondere tale volontà nel con-tratto. In assenza di una previsione contrattuale, infatti, il contratto sarà comunque validoe produttivo di tutti i suoi effetti ed è necessario disciplinare in via preventiva l’incarico delnotaio sequestratario in relazione alle somme e alle modalità del loro svincolo, in conside-razione della formalità pregiudizievole emersa a carico del venditore.

(20) Per un approfondimento sul contratto di deposito vedi: Scalisi, Il contratto di de-posito, in Comm. Schlesinger, Milano, 2011; Mastropaolo, Il deposito, in Tratt. Rescigno,IV, Torino, 1985; Mastropaolo, voce Deposito in generale, in Enc. Giur. Treccani, X, Ro-ma, 1988;Mastropaolo, I contratti reali, in Tratt. Sacco, Torino, 1999, p. 63 ss.; De Mar-

tini, voce Deposito (diritto civile) in Nuovo Digesto it., V, Torino, 1960, p. 498; Galasso

A. e Galasso G., voce Deposito, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ., Torino, 1989, p.255.

(21) Scalisi, op. cit., p. 11.

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cosa ad un altro soggetto. La necessità della consegna conferisce al con-tratto natura di contratto reale, cioè un contratto la cui identità è contras-segnata dalla consegna della cosa (22).La consegna « rappresenta qui il veicolo necessario, la forma essenziale

della volontà impegnativa. Esiste in altri termini tre la volontà impegnati-va e la consegna un rapporto inscindibile di contenuto a forma per la qua-le la legge attribuisce rilevanza giuridica soltanto ad un regolamento con-trattuale il cui carattere impegnativo sia manifestato o confermato (...) me-diante la consegna » (23).Nel caso specifico, il contratto nuovo introdotto dal legislatore prevede

la consegna obbligatoria delle somme, senza che la parte acquirente delcontratto di vendita, ovvero altro mandante dell’incarico al notaio, abbianon solo la possibilità di manifestare la sua volontà ma addirittura abbiaformato una sua volontà in proposito. Caratteristica precipua, infatti, delcontratto introdotto dalla l. n. 147/13 è che è contratto imposto e indero-gabile.Questo è il primo punto di rottura con il tipo contrattuale del deposito,

perché pur essendo la consegna comune al deposito e al nuovo contrattoimposto, la volontà, nel secondo caso, è soltanto quella di acquistare unbene soggetto alla disciplina di cui agli artt. 63 ss. l. n. 147/13.Quanto, invece, all’oggetto della consegna, nel contratto tipico di de-

posito, esso è una cosa mobile, sia essa inanimata, come il denaro, sia es-sa animata, come piante ed animali (24). Perciò, l’oggetto del contrattoimposto, le somme di cui alle lett. a, b e c dell’art. 63 l. n. 147/13, è senzadubbio un oggetto che ben si combina con il tipo contrattuale del depo-sito.Escludendo che la consegna possa assolvere ad una funzione formale, il

deposito è un contratto che non richiede forme vincolate (25). Rientra per-ciò nella categoria dei contratti per i quali la legge non richiede ai sensidell’art. 1350 c.c. una forma speciale sotto pena di nullità (26).Nella fattispecie introdotta dalla normativa in commento proprio in

considerazione del fatto che la volontà non ha la rilevanza sostanziale cheha nel contratto di deposito, è estremamente importante individuare ilmomento di conclusione del contratto, stante la assenza di prescrizioniformali nella normativa e non desumibili dalla disciplina generale del tipocontrattuale.Certo è che se pur la consegna non assolve a funzione formale, però, con

certezza ha una funzione sostanziale: il deposito è contratto reale e la con-segna certamente ne rappresenta il momento principale. Questo indicemateriale ben potrò applicarsi anche al contratto di cui alla nuova discipli-

(22) Scalisi, op. cit., p. 12.(23) Forchielli, I contratti reali, Milano, 1952, p. 97 ss.(24) De Martini, Deposito, cit., p. 500; Fiorentino, Deposito, cit., p. 71.(25) Scalisi, op. cit., p. 29.(26) Cass. 8 agosto 1997, n. 7363, in Mass. Giust. civ., 1997, p. 1373, dove la Cassazione

chiarisce che per il perfezionamento del contratto di deposito non è necessario il previoscambio espresso del consenso di entrambi i contraenti, ben potendo tale consenso risul-tare dalla consegna e nell’accettazione della cosa.

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na, facendo derivare tutti gli obblighi connessi, già individuati dalla l. n.147/13 o che verranno individuati dal decreto attuativo, dalla effettivaconsegna delle somme.Ben più delicata, appare, in proposito la modalità di consegna delle

somme. Infatti, la normativa non prescrive alcunché in proposito, ma sind’ora, indipendentemente dalle integrazioni del decreto attuativo, si se-gnala come la consegna delle somme sia soggetta alle normative in materiadi antiriciclaggio, esattamente come se venissero consegnate direttamenteal destinatario finale. Perciò sarà obbligatorio un mezzo che permetta latracciabilità dei flussi finanziari (27).L’art. 1766 c.c. nel definire il contratto di deposito specifica che una pa-

re consegna all’altra una cosa con l’obbligo di custodirla, ovvero di« provvedere alla sua conservazione materiale ovvero a mantenerla nellostato in cui si trovava nel momento della consegna, a difenderla da perico-li di distruzione, sottrazione o danneggiamento » (28).Per conservare la cosa, il custode svolge un’attività il cui contenuto non

può che essere variabile in considerazione della natura della cosa da cu-stodire. Il depositario « può e deve svolgere l’attività di custodia, senzavincoli di subordinazione, con piena libertà nella scelta dei mezzi e deimodi della custodia, con i rischi correlati alla stessa attività » (29).Nel contratto imposto introdotto dalla normativa in commento, il depo-

sitario, il notaio scelto dalle parti (30) non ha nessun margine di autonomianella scelta dei modi di conservazione.Infatti, egli deve conservare le somme su apposito conto destinato, le cui

caratteristiche saranno stabilite dal decreto attuativo, in esecuzione delladelega di cui all’art. 67 l. n. 147/13.Perciò, l’unica scelta che probabilmente rimarrà libera è l’istituto banca-

rio a cui rivolgersi (31), ma le condizioni e le caratteristiche saranno vinco-late; vincolate doppiamente, in realtà, perché non soltanto i regolamentiattuativi prevederanno delle condizioni specifiche per tutti i rapporti fa-centi capo al nuovo tipo contrattuale imposto, con la miglior capacità fi-nanziaria collegata alla contrattazione complessiva di un numero elevatis-simo di rapporti, ma anche perché i benefici economici indiretti di tale at-tività di custodia, presso una banca, ovvero gli interessi generati, non sono

(27) La tracciabilità dei flussi finanziari è disciplinata dall’art. 3 e dall’art. 6 della l. 13agosto 2010, n. 136 e dall’art. 6 l. 17 dicembre 2010, n. 217 di conversione, con modifica-zioni, d.l. 12 novembre 2010, n. 187. La trasparenza e la tracciabilità delle modalità di pa-gamento nelle compravendite immobiliari è stata introdotta nel 2006 con la legge Bersani,in particolare comma 22o dell’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modifi-cazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248.

(28) Scalisi, op. cit., p. 31.(29) Scalisi, op. cit., p. 31.(30) La componente fiduciaria del contratto in questione pare esclusa dal dato testuale:

unico spazio in tal senso lasciato alle parti è la scelta dello specifico notaio a cui rivolgersi.(31) Tale presunzione deriva principalmente dal dato testuale che parla di conti correnti

al plurale. Per questo motivo mi pare più ragionevole ritenere che ogni banca offrirà unconto corrente adeguato alle condizioni imposte; meno ragionevole, invece, mi pare unalettura a favore della pluralità di conti facenti capo a ciascun notaio, collegato ognuno adogni singolo contratto di vendita e costituente un patrimonio segregato autonomo.

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disponibili al notaio, ma sono destinati allo stato, che nella normativa evi-denzia sin dal principio la destinazione ai fondi a favore delle piccole emedie imprese.Tale contenuto del contratto, imposto e inderogabile, costituisce senza

dubbio una caratteristica importante dello stesso, destinata ad incidereanche sulla individuazione della natura giuridica del contratto. Infatti,nel contratto tipico di deposito, la custodia è qualificata come oggettodel contratto di deposito e il depositante ha dei diritti di controllo in or-dine allo svolgimento della stessa, nonché un’aspettativa da far valere nelcaso di inidoneità dei mezzi scelti dal depositario, ovvero nelle ipotesi incui il depositario non svolga in concreto alcuna attività di custodia (32).Nel nuovo contratto introdotto dalla normativa, due sono le necessarie

osservazioni in merito. La prima attiene al fatto che non è possibile conte-stare l’idoneità dei mezzi scelti dal depositario, perché sono imposti dallanorma, sottraendo così al depositario la scelta di come adempiere e al de-positante una parte dei suoi poteri di controllo; infatti, ben difficile diven-ta l’ingerenza del depositante quando è certo sin dalla conclusione delcontratto che il mezzo scelto per la conservazione e custodia è individuatoe preselezionato dal legislatore. La seconda osservazione, invece, attienealla aspettativa, per il caso in cui il depositario non svolga alcuna attivitàconcreta di custodia. Nello specifico, infatti, non è ipotizzabile che depo-sitante contesti l’inidoneità dei mezzi utilizzati per la conservazione; per-tanto, il rischio collegato all’aspettativa è l’ipotesi in cui il notaio non versiil denaro sull’apposito conto dedicato bensì altrove, con la confusione conil suo patrimonio personale e l’eventualità di aggressioni da parte di credi-tori del depositante nonché del terzo (venditore) nel cui interesse il con-tratto è concluso.La causa intesa quale funzione economico sociale del contratto di depo-

sito è rappresentata dalla custodia. Infatti, a ben vedere, l’obbligo di cu-stodire la cosa depositata, individuato dall’art. 1766 c.c., « non sta ad in-dicare soltanto un effetto del contratto né può essere posto sullo stessopiano dell’obbligo di restituire » (33).Nel nuovo contratto introdotto dal legislatore, l’obbligo di custodia è

solo una parte della funzione complessa che il legislatore ha in mente disoddisfare. Infatti, l’obbligo di custodia del nuovo contratto si presentarafforzata dal dispositivo di legge. La custodia intesa come conservazioneintegra del patrimonio affidato al notaio, è rinforzata dalla previsione disegregazione del patrimonio. Tale previsione ripara il patrimonio affidatoda due diversi tipi di mancata conservazione: da un lato le aggressioni di-rette al patrimonio del notaio, dall’altro le aggressioni dirette contro il pa-trimonio del venditore ovvero dell’acquirente, poiché nel periodo di de-posito entrambi hanno ancora un’aspettativa di diritto sulle somme affida-te condizionata al verificarsi o meno della pubblicità senza formalità pre-giudizievoli frapposte.Non è dato rinvenire, invece, nella legge quadro, ma certamente in qual-

che modo il decreto attuativo interverrà, una previsione che tuteli la cu-

(32) Scalisi, op. cit., p. 34.(33) Scalisi, op. cit., p. 36.

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stodia dal custode stesso, al fine di evitare forme di abuso di potere delnotaio a cui le somme sono state affidate (34).Il fatto che il nuovo contratto tipizzato, o tipizzando se vogliamo, in at-

tesa del decreto attuativo, abbia finalità aggiunte ed ulteriori e non possaconsiderarsi esaurito nella custodia, si rileva facilmente se sol si va a veri-ficare quale sia l’interesse finale tutelato.Nel deposito, l’obbligazione di custodire « ha carattere finale, perché è

diretta a soddisfare l’interesse del depositante » (35); nel nuovo contrattol’interesse è quello superiore e pubblicistico alla sicura circolazione deibeni, e perciò la custodia è uno dei vari interessi da perseguire, perchésenza non sarebbe possibile nemmeno raggiungere gli altri fini del con-tratto, che sono ben più ambiziosi. Infatti, a ben vedere, il nuovo contrat-to non ha come scopo la conservazione fine a se stessa ma al fine di resti-tuire le somme al venditore o all’acquirente a seguito della verifica dell’esi-stenza di formalità pregiudizievoli intermedie. La questione delicata si po-ne proprio in relazione al fatto che di tale aspetto patologico la normaquadro non si occupa, lasciando al decreto attuativo un importante rego-lamentazione integrativa, sulla sorte delle somme in presenza di ulterioriformalità non esistenti al giorno stesso dell’atto e trascritte, ovvero iscritte,nei pochi giorni necessari al notaio per adempiere alle formalità obbliga-torie (36). Senza contare che i pochi giorni dovrebbero essere quantificatinei regolamenti attuativi in un minimo e in un massimo, in considerazionedella finalità diversa ed estranea al discorso in oggetto di destinare allepiccole imprese gli interessi, che quindi devono esser generati dal conto,la regolamentazione di cosa succede in presenza di formalità non è ancoradata.La scelta di lasciare all’iniziativa delle parti tale integrazione del regola-

mento di deposito mi pare estremamente delicata. La migliore ipotesi èche il regolamento attuativo preveda una regola, che può essere lo sciogli-mento del contratto e la restituzione del denaro, ovvero la conferma delcontratto ma con l’obbligo del notaio di restituire all’acquirente la partedel prezzo pagata necessaria a cancellare la formalità, e in presenza di unaregola certa permettere alle parti un regolamento integrativo ovvero dero-gatorio. L’assenza di una regola generalmente applicabile comporterebbe,nella maggior parte dei casi, la predisposizione da parte del notaio di unalettera di incarico standard con una soluzione preindividuata dallo stessoche possa evitargli un coinvolgimento in una eventuale controversia, per-dendo di vista in qualche modo la finalità ultima, ovvero sempre la migliorcircolazione degli immobili.Non è, invece, dirimente per affermare la maggior portata del nuovo

contratto dal contratto di deposito, il fatto che sia previsto lo svincolo afavore di un soggetto diverso dal depositante. Infatti, « la restituzione puòpure mancare tutte le volte in cui il deposito è effettuato in vista e allo sco-

(34) L’abuso di potere è tipico nei contratti fiduciari, ma poiché quello in oggetto è uncontratto che ha una causa fiduciaria latente, per il fatto che è imposto, si deve ritenere op-portuno che il legislatore ponga delle cautele per ridurre lo spazio concesso al fiduciante.

(35) Scalisi, op. cit., p. 40.(36) Vedi pp. 6-7 del presente contributo.

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po del’attribuzione ad un soggetto diverso dal depositante, sia pure attra-verso il depositario » (37).Certo è che nel contratto di cui ai commi 63o ss. art. 1 l. n. 147/13, la si-

tuazione tipica è l’attribuzione ad un soggetto diverso, mentre la restitu-zione al depositante è l’ipotesi residuale e patologica, in presenza di unaformalità pregiudizievole e di un accordo, ovvero del disposto del regola-mento attuativo, in tale senso.Nella qualificazione del contratto di cui ai commi 63o ss. art. 1 l. n. 147/

13 come un contratto imposto dotato di una autonoma disciplina si devesottolineare che i tratti in comune con il deposito sono indiscutibili, manon sufficienti a far attrarre completamente detto contratto nella sua na-tura giuridica. Per affermare ciò, il punto di rilievo, che allo stato si deveevidenziare, è, non solo la più ampia e dettagliata disciplina, ma soprattut-to la finalità diversa, che non si esaurisce nella custodia.Infatti, il notaio svolge funzioni delicate dirette a stabilire se la somma

debba essere pagata al venditore ovvero se invece debba subire una diver-sa sorte in presenza di una formalità pregiudizievole. Perciò, seppur nascecome deposito, si evolve su un piano ben più complesso, con lo scopospecifico di evitare una controversia avente ad oggetto l’immobile o la re-stituzione o ancora la riduzione del prezzo, assumendo connotati che mo-dificano la posizione di depositario in sequestratario.Ben evidenti, infatti, si presentano nella fase patologica i punti di contat-

to con il sequestro convenzionale (38). In tale ultimo, lo scopo è il sottrarrela cosa al potere materiale delle parti fin quando non sia accertato a chispetti la cosa.La premessa normale è che sussista una controversia sulla cosa, ma in

realtà non si può dire che la finalità di prevenzione sia esclusa dal seque-stro convenzionale (39).In effetti, nel momento in cui sorge la controversia fra venditore ed ac-

quirente derivante dall’esistenza di una formalità pregiudizievole, essa èsterilizzata ab origine dal fatto che le somme sono ancora a mani del no-taio e il contratto è condizionato alla mancanza di formalità; perciò né sol-di né titolarità sono effettivamente stati trasferiti, perché il consenso nonsi è manifestato.Merita una importante riflessione il fatto che il notaio sia investito del

ruolo di sequestratario ma anche di soggetto dotato di capacità tecnicheidonee a dirimere la insorgenda controversia; è, infatti, lo stesso notaio

(37) Scalisi, op. cit., p. 41.(38) Per un approfondimento sul sequestro convenzionale v. Perchiunno, Sequestro

convenzionale, in Tratt. Rescigno, Torino, 1985, p. 586 ss.; Fortino, voce Sequestro con-servativo e convenzionale, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 100 ss.; D’Onofrio, Del se-questro convenzionale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1966, p. 157; convenzio-nale De Cristofaro, voce Sequestro convenzionale, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ.,XVIII, Torino, 1998, p. 485 ss.

(39) Non è necessaria la presenza di una lite giudiziaria, ma è sufficiente una controver-sia; cfr. Mastropalolo, I contratti reali, cit., p. 628. Segnala come non esista un obbligodi instaurare un procedimento giudiziale a seguito del sequestro convenzionale De Cri-

stofaro, voce Sequestro convenzionale, cit., p. 488.

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che rileva l’esistenza delle formalità ed è sempre lo stesso che indica qualesia la modalità per estinguerla.Tale ultima finalità pare proprio quella del nuovo contratto nella fase

patologica, quella in cui al seguito della trascrizione del contratto di ven-dita il notaio ha individuato una formalità pregiudizievole non esistentealla data dell’atto.Non sussistono dubbi in merito al fatto che il sequestro convenzionale

possa avere ad oggetto anche somme di denaro (40); però si deve necessa-riamente sottolineare come il sequestro convenzionale non determini, co-me effetto tipico, alcun vincolo di indisponibilità sui beni sequestrati.Tale ultimo aspetto è indice del fatto che il contratto introdotto dai

commi 63o ss. art. 1 l. n. 147/13 abbia una natura complessa e compositache porta in sé elementi caratterizzanti di diversi contratti.In tale contratto, lo scopo e sì conservare e custodire, ma con la finali-

tà di restituire a chi di spettanza, soggetto che andrà individuato sullabase degli accordi delle parti, ovvero sulla base del disposto normativo.La sottrazione materiale alle parti è evidente: nel caso in cui il prezzo siagià stato pagato, il venditore non potrà abusare del già avvenuto paga-mento integrale e spenderlo; nel caso in cui il prezzo sia stato dilaziona-to, l’acquirente non potrà abusare del fatto che ha in mano il denaroper non versare nemmeno la parte che è dovuta tempestivamente e trat-tenerla sino all’esito della necessaria contestazione giudiziale. Il contrat-to in questione si connota perciò di una funzione di garanzia (41), che lo

(40) Cfr.De Cristofaro, voce Sequestro convenzionale, cit., p. 486; in giurisprudenza v.Cass. 7 gennaio 1971, n. 1, in Giust. civ., 1972, p. 641.

(41) Ad individuare tale finalità a cavallo fra il sequestro conservativo e il deposito infunzione di garanzia, ben provvede la Relazione ministeriale al codice civile che affermache « si è ricondotto alla disciplina del deposito (art. 1773 c.c.) anche il caso in cui, per as-sicurare l’adempimento di un’obbligazione o il recupero di ciò che si intenda prestare inadempimento dell’obbligazione medesima qualora questa venga meno, il debitore dellaprestazione procede al deposito presso un terzo e il creditore ossia l’eventuale destinatariodello stesso, presta adesione nella misura prestata dal debitore. L’ipotesi conosciuta sottola denominazione di deposito in funzione di garanzia non presenta gli estremi del seque-stro convenzionale, perché il deposito non è determinato da una controversia relativa allacosa depositata, e la restituzione di questa dipende, non già dall’esito di una controversiama dalla sorte dell’obbligazione alla quale il deposito è collegato » Rel. n. 727.

V. Majello, voce Contratto a favore del terzo, in Digesto IV ed., Disc. Priv., Sez. civ., IV,Torino, 1989, p. 235 ss., illustra come la relazione faccia riferimento ad un caso giudizialedi antica data, ancora vigente il codice abrogato, che fece molto scalpore. Il caso era il se-guente: « Tizio vende a Caio un immobile sotto la condizione sospensiva ma a patto cheCaio in attesa del verificarsi della condizione, depositi la somma, equivalente al prezzo del-la vendita, nelle mani del notaio. Caio, infatti, effettua il deposito con l’obbligo da partedel depositario di consegnare la somma al venditore quando la condizione si sarà verificataoppure di restituire la somma al deponente se la condizione non si verifica. Nella specie lacondizione si verificò ma nel frattempo il notaio si era appropriato della somma e non erapiù in grado di far fronte al suo impegno. Si chiese allora su chi dovesse gravare il rischiodell’insolvenza del depositario se cioè fosse tenuto Caio a sborsare nuovamente la sommache aveva precedentemente consegnata al notaio o dovesse Tizio contentarsi del diritto dicredito verso il depositario che però era insolvente. La corte di cassazione, innanzi allaquale la questione era stata portata scelse tuttavia una terza soluzione, che la dottrina piùautorevole respinse in blocco. Secondo la Supr. Corte, infatti, con il deposito nelle manidel notaio la somma di denaro era diventata una cosa determinata, perduta la quale prima

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avvicina alla qualifica di contratto a favore del terzo (42).Per effetto degli artt. 1411-1413 c.c. anche il deposito può essere posto a

favore del terzo, con la conseguenza che l’adesione del terzo alla contrat-tazione, comunicata al depositante e al depositario, rende irrevocabile lastipulazione a suo favore: creditore diviene il terzo, cioè il terzo acquista ildiritto alla restituzione del denaro, mentre il depositario conserva il dirittodi opporre al terzo tutte le eccezioni fondate sul contratto di deposito cheavrebbe potuto opporre al depositante. Con la particolarità che il nuovocontratto è imposto e nasce già con il terzo pre individuato che non deveprestare alcuna adesione perché il contratto divenga irrevocabile e possaprodurre anche nei suoi confronti tutti i suoi effetti. Si deve solo sottoli-neare al proposito che il terzo in questione altri non è il venditore, per ilquale il contratto e la conseguente disciplina sono imposti nello stessomodo in cui lo sono per l’acquirente e per il notaio.In particolare, si deve sottolineare come « la funzione del sequestro con-

servativo non è quella di sottrarre il bene al titolare dello stesso, ma di sta-bilizzare il patrimonio: in sostanza, il sequestro conservativo serve a ren-dere inoffensiva per il creditore la disposizione giuridica del bene da partedel debitore, poiché i suoi effetti consistono nell’apposizione di un vinco-lo giuridico sullo stesso bene tale da rendere improbabile la sua disposi-zione » (43).Questo costituisce in realtà un notevole punto di contatto con il contrat-

to in oggetto, perché tale assunto ben si armonizza con la previsione delvincolo di indisponibilità posto sulle somme e sul vincolo di destinazioneposto sin dall’inizio su una pare delle stesse, come ad esempio quelle de-dicate alle imposte (44).Della disciplina del sequestro convenzionale rileva il fatto che esso sia

essenzialmente oneroso, a differenza del deposito e che allo stesso, in as-senza di pattuizioni dettagliate si applichi la disciplina del deposito e quel-la del mandato (45).

del verificarsi della condizione, la vendita si sarebbe risolta per impossibilità sopravvenutadi una delle prestazioni. La dottrina criticò giustamente tale decisione per il fatto che nellaspecie trattandosi di una somma di denaro non si era inteso stipulare un contratto di de-posito regolare bensì un deposito in cui a carico del depositario ci fosse soltanto l’obbligodella restituzione del tantundem », Scalisi, op. cit., p. 127.

(42) Scalisi, op. cit., p. 127.(43) Trib. Bari 30 aprile 2009, in Giurisprudenzabarese.it, 2009.(44) Si deve segnalare come la questione si complichi nel caso di evento patologico pre-

giudizievole; infatti, se il notaio ha già registrato, come deve il contratto, l’esistenza di unaformalità pregiudizievole che le parti hanno assurto a evento idoneo a risolvere il contrat-to, non può eliminare la perdita delle somme già pagate allo stato e non pone certamente leparti nella condizione di ripetere le imposte pagate per un contratto successivamente risol-to. Un’unica soluzione potrebbe essere la previsione di una registrazione tempestiva a tassafissa e una registrazione proporzionale posteriore nel caso in cui non sussistano formalitàpregiudizievoli, ma in tal caso significherebbe qualificare senza tema di smentita la assenzadi formalità pregiudizievoli come una condizione negativa sospensiva degli effetti del con-tratto di vendita. Inoltre, sarebbe necessario l’annotamento dell’avveramento, o meglio delmancato avveramento dell’esistenza di formalità pregiudizievoli, con aggravio di costi e au-mento dell’attività notarile, anch’essa da remunerare a carico delle parti.

(45) Per una approfondimento sul contratto di mandato v. Luminoso, Mandato, com-

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In effetti, a ben vedere, il contratto introdotto dai commi 63o ss. art. 1 l.n. 147/13 l’interferenza con il mandato è evidente, anche se merita qual-che riflessione. In primo luogo l’incarico conferito ha un oggetto con con-tenuto parzialmente inderogabili. Perciò, lo spazio lasciato alla volontàdelle parti nell’individuazione del contenuto del contratto è estremamenteridotta, proprio in considerazione della finalità superiore che il contratto èdestinato a soddisfare.Per quanto riguarda, però, la parte disponibile del contenuto del con-

tratto, le caratteristiche del mandato si presentano come evidenti. Il man-datario eseguirà le istruzioni ricevute per il rilascio delle somme che nonconfliggono con la disciplina in commento e che integrano senza derogareil mandato conferito al notaio.Scopo della norma, quindi, non è solo migliorare la circolazione dei be-

ni ma anche alleggerire il peso dei tribunali con controversie relative acompravendite, che ben potrebbero essere ovviate da un deposito raffor-zato ed imposto.A tal proposito, nella parte di regolamento lasciato all’accordo delle par-

ti, sarebbe molto utile, nell’ottica di ridurre il carico giudiziario, la previ-sione di un patto che preveda che il deposito, per una somma percentualeda quantificare di volta in volta, sia prolungato per un periodo, da quan-tificarsi di volta in volta, per tutelare principalmente la parte acquirentedall’insorgenza di vizi sull’immobile stesso. Tale prassi, naturalmente, ègià in uso fra le parti, ma non disciplinata comporta un duplice problema.La previsione di un pagamento dilazionato, che comporta una quietanza aseguire per avere la prova dell’avvenuto pagamento la momento della ri-vendita, con maggiori oneri e costi, ovvero il rischio che le parti preveda-no tale pagamento al di fuori dei patti contrattuali sotto la forma di paga-mento di mobili o di lavori ulteriori, con la redazione di piccoli contrattida registrarsi solo in caso d’uso e quindi, con minor introiti da parte del-l’Agenzia delle Entrate.L’incidenza del rischio per inadempimento del depositario è di nuovo

oggetto di previsioni normative. La prima cautela è quella già contenutanella l. 27 dicembre 2013, che dispone che il conto su cui è effettuato ildeposito costituisca patrimonio separato. Delle conseguenza di detta se-parazione si dirà meglio nel paragrafo seguente, ma certamente pone ilconto al riparo da aggressioni di creditori del depositante (acquirente),del depositario (notaio) e del terzo (venditore), nonché dalle vicende per-sonali del notaio, quali separazioni divorzi o morte.La seconda cautela, invece, non ancora prevista, ma certamente oggetto

del decreto attuativo, dovrà avere ad oggetto l’eliminazione, per quanto

missione e spedizione, in Tratt. Cicu-Messineo, XIII, Milano, 1984, p. 163; Il mandato e lacommissione, in Tratt. Rescigno, 12, IV, Torino, 1985, rist. 1986, p. 131 ss.; Alcaro, Man-dato e attività professionale, Milano, 1988; Bavetta, voce Mandato (dir. priv.), in Enc. dir.,XXV, 1975, p. 321 ss.; Carnevali, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma,1990; Graziadei, voce Mandato, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ., XI, 1994, p. 154ss.; Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Tratt. Vassalli, VIII, 1, Tori-no, 1952, (II ed. 1954), p. 105 ss.; Sacco, Principio consensualistico ed effetti del mandato,in Foro it., 1966, I, pp. 1384-1397; Maffeis, Le obbligazioni del mandatario e del mandan-te, in I contratti di collaborazione, in Trattato Rescigno-Gabrielli, Torino, 2011, p. 175 ss.

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possibile, del rischio di abuso da parte del notaio, abuso che ben può con-sistere nel deposito su altro conto ovvero nel prelievo ingiustificato dalcontro dedicato. Tali ipotesi, certamente residuali, devono essere esclusecon il maggior vigore possibile, perché costituiscono il punto delicato diuna disciplina che impone un deposito fiduciario in un soggetto che co-munque deve essere scelto all’interno di una categoria specifica, e chequindi non è liberamente scelto dalle parti. Quanto al primo rischio, cheegli possa depositare in conto diverso da quello apposito è interesse delleparti ma anche dello stato, che ha scelto di destinare i frutti civili del contodestinato alle piccole e medie imprese. Per tutelare tali interessi, privatisti-ci ma anche pubblicistici, circolazione dei beni e recupero di fondi desti-nati all’economia, sarebbe sufficiente una misura semplice, ovvero che laconsegna al notaio sul conto dedicato avvenga mediante bonifico banca-rio, assestando in questo modo anche un buon colpo alla verifica dell’an-tiriciclaggio. In tal modo il notaio non sarebbe nella materiale disponibili-tà della somma, poiché la vedrebbe a sue mani solo sul conto destinato enon potrebbe che disporne secondo la destinazione. Tale ultimo assunto èquello maggiormente delicato, perché certamente non si può gravare alcu-no dell’obbligo di tale controllo. L’unica soluzione rimane quella di im-porre bonifici anche in uscita da detto conto, di modo che rimanga fortela tracciabilità, ma per ogni transazione dovrà essere previsto almeno unbonifico a favore del notaio corrispondente alla sua fattura, oltreché unodestinato al conto, sempre intestato al notaio sul quale l’agenzia delle en-trate effettua i prelievi diretti, salvo autorizzare, anche a livello normativo,l’agenzia delle entrate ad effettuare i prelievi dal contro dedicato.

5. – L’art. 63 contempla distintamente tre tipologie di deposito, una pri-ma situazione strettamente obbligatoria, nuova ed introdotta dalla lett. c,una seconda ipotesi introduce il deposito in relazione ad un versamentogià dovuto al notaio, seppur non oggetto di deposito, di cui alla lett. a, edinfine un’ultima previsione di deposito volontario e non imposto, a carat-tere prettamente fiduciario, disciplinata dalla lett. b.

6. – A norma della lett. c del comma 63o, devono essere depositati sulconto corrente dedicato l’intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo de-gli stessi, se determinato in denaro, oltre alle somme destinate ad estinzio-ne delle spese condominiali non pagate o di altri oneri dovuti in occasionedel ricevimento o dell’autenticazione, di contratti di trasferimento dellaproprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto rea-le su immobili o aziende.Il compratore non è più libero di versare, contestualmente alla stipula

dell’atto notarile di compravendita, il prezzo al venditore, ma deve obbli-gatoriamente versare la corrispondente somma al notaio, il quale – per te-stuale disposizione di legge – « è tenuto » a versarla su apposito contocorrente dedicato. Lo stesso vale per le somme destinate ad estinzione dispese condominiali non pagate, nonché di quelle finalizzate all’estinzionedi altri oneri (tipica l’ipotesi dell’estinzione di un mutuo garantito da ipo-teca sull’immobile compravenduto); a prescindere che tali somme proven-gano dal compratore (come, peraltro, generalmente avviene, con la distra-

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zione di una parte o dell’intero prezzo, che su delegazione del venditoreviene utilizzato per l’estinzione dei suddetti oneri), ovvero dal venditore(che potrebbe avere la disponibilità delle somme medesime, a prescinderedal prezzo dovutogli).La ratio della norma (ben lumeggiata dalla lettura combinata con il suc-

cessivo comma 66o), nella maggior parte dei casi, è la tutela della parte ac-quirente dal rischio dell’esistenza di formalità pregiudizievoli non dichia-rate nell’atto notarile, ovvero della sopravvenienza delle suddette formali-tà successivamente alla stipula dell’atto, ma prima della relativa trascrizio-ne; ovvero, ancora, dal rischio di sussistenza di altri oneri, come quelloper spese condominiali (46).La norma esclude dal suo campo di applicazione la parte di prezzo o

corrispettivo oggetto di dilazione, come anche gli importi già versati in se-de di preliminare. Si deve segnalare a tal proposito come sia di ampia por-tata tale esclusione, comprendendo in essa anche le ipotesi di preliminarenotarile. Invece, viene incluso, in maniera peculiare, il deposito delle som-me versate in seguito se soggette a quietanza. Non si capisce bene qualesia la discriminante fra il preliminare notarile per il quale non è previsto ildeposito obbligatorio e l’atto di quietanza notarile per il quale il depositoè previsto. Infatti, in entrambi i casi il notaio è presente e potrebbe riceve-re il deposito. Inoltre, se si guarda la finalità ultima di tutela, ne ha mag-gior bisogno il promittente acquirente del contratto preliminare, che pagaa fronte di un contratto che verrà trascritto e nel periodo fra il contratto ela trascrizione si potrebbe presentare una formalità pregiudizievole, piut-tosto che nel caso di pagamento dilazionato con quietanza, perché in quelcaso la trascrizione che genera tutela per l’acquirente è già avvenuta conl’acquisto e l’annotamento non rappresenta che la tutela dell’acquirentedalla doppia richiesta di pagamento della somma di cui alla quietanza.

7. – La lett. a dell’art. 63 richiama, innanzitutto, le somme versate dalleparti al notaio per onorari, accessori, rimborsi spese e contributi, nonchéa titolo di anticipazioni di imposte e tasse. Nella voce « accessori » deve ri-tenersi ricompresa, tra l’altro anche l’imposta sul valore aggiunto, mentrela voce « contributi » comprende quelli dovuti alla Cassa nazionale delnotariato, come pure quelli da versare al Consiglio nazionale del notaria-

(46) Per un’ampia disamina, v. Petrelli, Il deposito, cit., p. 100. Con riguardo alle som-me destinate all’estinzione di spese condominiali, va fatta una importante precisazione. Allaluce della ratio di tutela dell’acquirente, propria della novella in commento, deve ritenersiche rilevino unicamente le spese per le quali è prevista una responsabilità solidale dell’ac-quirente (a norma dell’art. 63, comma 4o, disp. att. c.c., « chi subentra nei diritti di un con-domino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’annoin corso e a quello precedente »). Deve d’altra parte limitarsi l’ambito delle spese condo-miniali rilevanti a quelle che siano già « liquide ed esigibili », in quanto risultanti da unrendiconto già approvato dall’assemblea del condominio (art. 63, comma 1o, disp. att.c.c.). Condizione che, con tutta evidenza, può realizzarsi solamente per le spese relative al-l’esercizio precedente, non certo per quelle relative all’esercizio in corso, per il quale devecertamente escludersi l’obbligo delle parti di quantificare « presuntivamente » le spese do-vute per la frazione di esercizio già trascorsa al momento dell’atto; anche se non può esclu-dersi la facoltà delle parti di procedere a tale quantificazione presuntiva, richiedendo (fa-coltativamente) al notaio il deposito anche delle somme corrispondenti.

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to. In definitiva, si tratta di tutte le somme da pagare al notaio in relazioneall’attività dallo stesso prestata, anche a titolo di anticipazione di impostee tasse per le quali lo stesso notaio sia responsabile d’imposta (es., impostedi registro, ipotecarie e catastali), ovvero sostituto d’imposta (si pensi al-l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze immobiliari, ex art. 1, comma 496o,l. n. 266/05): somme per le quali il notaio emette generalmente un’unicafattura al soggetto che effettua il pagamento.L’obbligo di deposito scatta solamente in relazione a due tipologie di at-

tività del notaio: il ricevimento o l’autenticazione di un atto soggetto apubblicità immobiliare (trascrizione, iscrizione o annotazione), e lo svolgi-mento di attività quale delegato da parte dell’autorità giudiziaria (adesempio, a norma dell’art. 591 bis c.p.c.).Non sono invece soggette a deposito le somme dovute al notaio (per

onorari, accessori e anticipazioni) in relazione ad atti soggetti a pubblicitàcommerciale (iscrizione nel registro delle imprese).Si deve sottolineare una « disarmonia » nel testo della legge in merito a

tale deposito ulteriore – infatti, in caso di cessione di azienda, le parti sonotenute al versamento del prezzo, mentre le somme dovute al notaio, peronorari, accessori e anticipazioni, non costituiscono invece oggetto di de-posito obbligatorio (47). Una lettura di ampio respiro può spingere a rite-nere che il legislatore abbia considerato che le imposte delle cessioni diazienda hanno una minor incidenza economica, rispetto a quelle per i tra-sferimenti dei diritti reali, senza contare che ben più rari sono i casi di ul-teriori some ovvero creditori, che non siano già contemplati e regolati dal-l’art. 2650 c.c.

8. – Il comma 63o, lett. b, prevede il deposito su conto corrente dedicatodi tutte le somme affidate al notaio e soggette ad annotazione nel registrosomme e valori (di cui alla l. n. 64/34).Tale previsione rappresenta un’apertura importante alla disciplina in-

trodotta. Infatti, tutte le somme che le parti decidessero di affidare al no-taio godrebbero della importante tutela data dalla segregazione.Questo significa che le parti potrebbero decidere di depositare il prezzo

di fattispecie non previste dalla normativa in commento, ma potrebberoanche depositare somme estranee addirittura ad un contratto di vendi-ta (48).Anche prima della l. n. 147/13 era possibile lasciare somme in deposito

al notaio, utilizzando tutta la regolamentazione specifica dell’ordinamento

(47) Petrelli, Il deposito, cit., p. 82.(48) « Le somme a cui fa riferimento la lett. b in esame possono essere le più varie: quella

in esame è, in effetti, fattispecie residuale rispetto a quelle indicate nelle lett. a e c del com-ma 63o, e ricomprende quindi qualsiasi somma affidatagli “in relazione agli atti stipulatiavanti a lui o per effetto di provvedimenti dell’autorità giudiziaria (art. 6, comma 1o, l. n.64/34), fatta eccezione per le somme corrisposte per il pagamento delle imposte e tasseinerenti agli atti notarili (che non sono soggette ad annotazione nel suddetto registro: art.6, ult. comma, l. n. 64/34), e per le somme costituenti prezzo o corrispettivo dell’atto tra-slativo di immobili o aziende (o destinate all’estinzione di oneri in relazione all’atto stesso),contemplate dalla lett. c) del comma 63o” »: Petrelli, Il deposito, cit., p. 83.

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del notariato sulle somme e valori e sul registro obbligatorio correlato (49).La unica differenza rispetto alla situazione preesistente consiste nel fattoche, lasciando già altre e ben più importatati somme in deposito al notaio,la parte abbia maggior facilità nell’utilizzare lo strumento del deposito fi-duciario.Obbligo di utilizzare le somme solo per pagare imposte, ovvero restitui-

re somme o effettuare pagamenti dovuti.Unica particolarità del deposito di tali somme è che la regolamentazione

dello svincolo sia completamente libera all’autonomia delle parti, proprioin considerazione della natura facoltativa del deposito.

9. – A norma dell’art. 1, comma 65o, l. n. 147/13, « gli importi depositatipresso il conto corrente di cui al comma 63o costituiscono patrimonio se-parato. Dette somme sono escluse dalla successione del notaio o altropubblico ufficiale e dal suo regime patrimoniale della famiglia, sono asso-lutamente impignorabili a richiesta di chiunque ed assolutamente impi-gnorabili ad istanza di chiunque è altresì il credito al pagamento o alla re-stituzione della somma depositata ».Il legislatore utilizza l’espressione patrimonio separato, che ha una con-

notazione non definita dalla legge ma solo dagli interpreti (50) e per accer-tarsi che gli effetti voluti per questa specifica figura di separazione nonpotessero essere fraintesi, specifica con chiarezza che le somme depositatesul conto dedicato, ed i corrispondenti crediti al pagamento ed alla resti-tuzione, sono « impignorabili a richiesta di chiunque ». Né i creditori delnotaio, né quelli delle parti possono, quindi, procedere ad atti esecutivisulle suddette somme (51).L’introduzione di una nuova forma di separazione patrimoniale ha una

decisa valenza sistematica (52). Si pone come una deroga normativa alla re-gola generale dell’art. 2740 c.c. che ha insita la unità del patrimonio di cia-scuno: la scissione patrimoniale contrasta, infatti, sia con il principio diunità del patrimonio sia con quello di universalità della responsabilità.

(49) Art. 6 l. n. 64/14.(50) Per un approfondimento sui patrimoni separati v. Pino, Il patrimonio separato, Pa-

dova, 1950; Tondo, I patrimoni separati dalla tradizione all’innovazione, in Vita not., 2005,p. 1360; Doria, Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto, in Le nuove forme di or-ganizzazione del patrimonio, Torino, 2010, p. 1 ss.; Barbiera, Responsabilità patrimoniale(artt. 2740-2744), in Comm. Schlesinger, Milano, 1991, p. 20 ss.; Bigliazzi Geri, voce Pa-trimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 284 ss. Gambaro, Se-gregazione e unità del patrimonio, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 156 ss.; Quadri,La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli, 2004; Spada,Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibat-tito, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 842 ss.

(51) Petrelli, Il deposito, cit., p. 84, che sottolinea a come la separazione naturalmentevalga anche verso le azioni cautelari.

(52) « La moltiplicazione delle ipotesi (tipiche) di separazione del patrimoni sembra, daun lato, rinsaldare la chiusura del sistema a forme atipiche di “patrimoni di destinazione”costituenti patrimonio separato del soggetto; corrispondentemente, però, la legge ricono-sce al soggetto di selezionare autonomamente un determinato assetto di “interessi merite-voli di tutela”, aggregando, con portata segregante, una parte del proprio patrimonio perl’attuazione di quegli interessi »: Doria, op. cit., p. 5.

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Inoltre, si pone come una deroga indiretta alla par condicio creditorum,perché solo alcuni fra i creditori hanno diritto di rivalsa sul patrimonio se-parato (53).Il tentativo di delineare i tratti peculiari del patrimonio separato, effet-

tuato con il metodo dell’analisi degli elementi comuni a tutte la varie ipo-tesi di patrimonio separato previste dal nostro ordinamento, porta all’evi-denza tre aspetti fondamentali. In primo luogo, la particolare disciplinadella responsabilità patrimoniale: la limitazione della responsabilità patri-moniale, infatti, rappresenta l’elemento maggiormente caratterizzante lafigura. La specializzazione della responsabilità inverte la regola generaleche chiama il debitore a rispondere con tutti i suoi beni presenti e futuri eassicura a tutti i creditori l’eguale diritto di essere soddisfatti sui beni deldebitore (54).Per effetto della separazione patrimoniale, i creditori ordinari perdono

ogni potere di aggressione sui beni destinati, rimanendo così garantiti dairestanti beni del debitore, mentre quelli speciali, che hanno pretese sortein dipendenza e in coerenza con lo scopo della destinazione, possono ag-gredire i beni separati, certamente in via principale e, in alcuni casi, anchecon esclusione di aggressione del restante patrimonio (55).Secondo carattere saliente dei patrimoni separati e il potere di gestione

posto in capo al titolare; tale potere va distinto ed analizzato separatamen-te, almeno per il patrimonio separato in commento, dal potere di disposi-zione che compete sempre al titolare del patrimonio, ovvero, nel caso spe-cifico, il notaio.Il sistema della separazione di patrimoni in realtà a ben vedere è noto

al legislatore da molti anni e numerose sono le figure di separazione pa-trimoniale tipiche, soprattutto dettate in materia di successioni e fami-glia. Ad esempio, i creditori del defunto, quando temono che l’ereditàvenga aggredita dai creditori dell’erede, possono esercitare il diritto dirichiedere la separazione dei beni del defunto da quelle dell’erede inmodo da assicurarsi con i beni del defunto il soddisfacimento dei lorocrediti a preferenza dei creditori dell’erede (56). Quando l’erede non haancora accettato l’eredità e il tribunale abbia nominato un curatore perl’eredità giacente, il è titolare dell’eredità giacente, che costituisce patri-monio autonomo e separato (57). Il patrimonio devoluto al concepito oal nascituro non concepito di persona vivente costituisce anch’esso un

(53) La lettura sistematica dell’intera normativa di tutela del creditore evidenzia che, seda un lato, il debitore non può alterare la par condicio creditorum, dall’atro può frustrare lasoddisfazione di tutti i creditori attraverso la vendita dei suoi bei, fatta salva l’esperibilitàdell’azione revocatoria. Gambaro, Segregazione e unità del patrimonio, cit., p. 156.

(54) Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., p. 20.(55) È il caso dei patrimonio destinati di cui all’art. 2447 bis c.c.; v. Zoppini, Autonomia

e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni,in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 545 ss.

(56) V. Giampetraglia, Della separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede, inComm. Gabrielli, Delle successoni, a cura di Cuffaro e Delfini, vol. 1, Milano, 2010, p. 349ss.

(57) V. Cecere, Dell’eredità giacente, in Comm. Gabrielli, Delle successoni, a cura diCuffaro e Delfini, vol. 1, Milano, 2010, p. 397 ss.

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patrimonio separato, come quello donato agli stessi soggetti (58).Inoltre, il codice civile prevede altre ipotesi di patrimoni autonomi co-

me i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza, nonché i patrimoni de-stinati ad uno specifico affare, introdotti con l’art. 2447 bis c.c., e il vinco-lo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. (59).Nell’ultimo decennio la tecnica della separazione patrimoniale ha cono-

sciuto crescenti applicazioni anche nella normativa di settore. Basti pensa-re alla legge sulle gestioni patrimoniali previste dal t.u.f. (l. n. 58/98); allalegge sui fondi pensione (ll. n. 124/93 e n. 355/95); alla legge sulla carto-larizzazione dei crediti (l. n. 130/99); sul finanziamento delle infrastruttu-re (l. n. 112/02 che converte d.l. n. 63/02); sulla cartolarizzazione degli im-mobili pubblici (d.l. 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modifica-zioni, dalla l. 23 novembre 2001, n. 410 e successivamente modificato, re-cante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazionedel patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di in-vestimento immobiliare).I patrimoni separati già riconosciuti nel nostro ordinamento si pongono

come eccezioni ad una regola, supportate dal fatto che il legislatore, pertali situazioni, ha valutato l’esistenza di un interesse meritevole di tutela alpunto da concedere la creazione di un secondo patrimonio privo di titola-rità giuridica facente capo ad un unico soggetto (60).Nel caso specifico, il deposito del prezzo e delle altre somme previste

dalla lett. c del comma 63o, se effettuato su un conto corrente ordinariointestato al notaio comporterebbe il rischio di aggressione da parte di cre-ditori dello stesso notaio nonché da parte dei creditori delle parti, che po-trebbero eseguire un pignoramento presso terzi, o richiedere il sequestrodelle somme depositate.Il patrimonio separato tutela le parti rispetto ad eventi che possono

comportare la confusione di tali somme con altre di proprietà del notaioed evitare che le somme su detto conto convogliate non possano in alcunmodo rientrare nella successione del notaio né tanto meno nelle preteseche un coniuge separando o divorziando potrebbe vantare; infine, dettesomme devono essere escluse dal computo del patrimonio anche nel casodi contribuzione al mantenimento dei figli. Tale ipotesi ha la finalità dievitare che tali somme possano finire nelle mani di eredi, coniugi e figli,che certamente non possono offrire le stesse garanzie di terzietà e impar-zialità, né essere tenuti al pagamento delle imposte con la medesima soler-zia del notaio sostituto o responsabile di imposta.

(58) V. Calvo, Amministrazione in caso di eredi nascituri, in Comm. Gabrielli, Delle suc-cessoni, a cura di Cuffaro e Delfini, vol. 2, Milano, 2010, p. 596 ss.

(59) Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, p. 167; Nuzzo,Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale didestinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, a cura di M. Bianca, Milano, 2007, pp. 65-66;Lenzi, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645 ter c.c., in Contr. e impr., 2007, p. 232 ss.

(60) Doria, op. cit., p. 5; Petrelli, Il deposito, cit., p. 103, evidenzia come « L’interven-to del pubblico ufficiale, e le garanzie derivanti dalla sua terzietà ed imparzialità, rafforzatedai controlli a cui il notaio è sottoposto (anche attraverso le risultanze degli atti dallo stessoricevuti o autenticati, e del registro somme e valori) giustificano tale importante deroga alprincipio sancito dall’art. 2740 c.c. ».

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La segregazione, perciò, non è lo scopo della norma, che rimane la de-stinazione, ma costituisce lo strumento per realizzarla. Non dimentichia-mo che lo scopo molteplice che il legislatore si è prefissato con questanuova disciplina è la custodia la conservazione e lo svincolo a favore di chispetta in esito alle risultanze dei registri immobiliari, in esecuzione al man-dato di pagamento o al diverso mandato integrativo e suppletivo che leparti avranno voluto affidare al notaio.Inoltre, la scelta di creare una nuova tipologia di conti correnti dedicati

le cui caratteristiche sono riservate solo ad essi ed imposte garantisce laconoscibilità di tale destinazione.Le regole che presidiano la gestione di questo patrimonio sono più simi-

li a quelle di un patrimonio segregato piuttosto che separato, dove per se-gregato si intende quel patrimonio caratterizzato dalla mancanza di unacomunicazione bidirezionale tra il patrimonio e il soggetto che ne è titola-re (61). Questo perché, nella amministrazione del conto corrente dedicato,la regola generale è che il notaio non ha potere di ingerenza: il fatto che lecondizioni sono imposte (e che il denaro sia l’unico bene che costituisce ilpatrimonio separato elimina molto del potere di gestione del notaio, chenon potrà scegliere il conto più remunerativo, né tantomeno gli interessigenerati andranno a suo favore.La vicenda si complica nella fase patologica del rapporto principale: nel

caso in cui il notaio riscontri una formalità pregiudizievole, la posizionegestionale assume una valenza più forte, quella del sequestratario del se-questro convenzionale. Il regolamento di tale incarico allo stato dell’artenon esiste e non si ha certezza sul fatto che esso sarà lasciato alla libera di-sponibilità delle parti o ci sarà una parte di regolamento inderogabile. Lalegge ha imposto il contratto, perché le compete la forza inderogabile chele è propria; il decreto attuativo certamente definirà la parte del contenutoinderogabile del mandato al notaio, ma, presumibilmente, lascerà unaparte dell’incarico all’autonomia delle parti, individuando la regola sussi-diaria da applicarsi ogni qualvolta le parti non abbiano esplicitato una di-versa volontà.Un secondo gruppo di problematiche deriva dal fatto che le regole pre-

siedono ciascuna separazione patrimoniale possono essere violate. Nel ca-so specifico, le violazioni potrebbero essere di due tipi, Una prima catego-ria è quella che concreta nel tentativo di ampliare la protezione della se-gregazione a somme diverse e ulteriori, non meritevoli secondo il legisla-tore, e quindi non contemplate nella disciplina di cui ai commi 63o ss. art.1 l. n. 147/13.Il secondo gruppo di ipotesi di abuso della segregazione è ben peggiore:

tutte o parte delle somme segregate potrebbero essere distratte dalla lorodestinazione dallo stesso notaio depositario (62). Con aggravio dovuto al-

(61) Lupoi, Trusts, Milano, 2001, p. 565, per un inquadramento di patrimonio autono-mo, separato e segregato.

(62) Bevilacqua, op. cit., p. 18, sottolinea come la l. n. 147/13 nulla disponga in ordineal rapporto di deposito che si instaura tra il notaio e le parti contraenti, ma il notaio man-tiene « nell’adempimento dei doveri impostagli dalle norme imperative di legge e dalle fu-

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l’operare di un meccanismo remediale; infatti, una delle sanzioni previstedall’ordinamento per l’abuso da parte del titolare del patrimonio separatoè la cessazione della separazione stessa (63). Importante, a tal proposito,che il decreto attuativo chiarisca che la confusione avrà ad oggetto solo lesomme distratte e il patrimonio del notaio, che per le stesse continuerà arispondere con tutto il suo patrimonio, mantenendo la separazione forte estabile per le somme ancora residuate sul conto, per evitare ulteriori dan-ni; pare, infatti, opportuno che, seppur il notaio ha utilizzato per finiestranei una parte delle somme, la destinazione sol per questo non cessi,mantenendo il conto la sua forza di segregazione (64).

10. – Ai sensi del comma 63o, il notaio è tenuto a versare le somme de-positate su « apposito conto corrente dedicato ». Occorre procedere al-l’esegesi di tale disposizione.« Conto corrente dedicato » significa che lo stesso deve essere destinato

esclusivamente al deposito delle somme individuate nel comma 63o,espressamente esclusa ogni diversa destinazione del conto stesso. Dettoconto deve essere intestato al solo notaio: una diversa interpretazione deltesto contrasterebbe con l’esclusione delle somme depositate dalla succes-sione del notaio, e dal suo regime patrimoniale della famiglia.La legge non stabilisce i criteri per la scelta della banca presso cui aprire

il conto corrente dedicato. In assenza di prescrizioni da parte delle ema-nande norme attuative, deve ritenersi che tale scelta spetti al notaio, ancheperché le parti non hanno un interesse specifico sul punto, visto che gli in-teressi al netto delle spese non saranno di loro competenza, ma sono de-stinati, a norma del comma 66o, ultimo periodo, ai fondi per il creditoagevolato alle piccole e medie imprese; inoltre, il fatto che il decreto attua-tivo definirà condizioni contrattuali omogenee ripara le parti da qualsiasivalutazione in merito alle modalità di custodia e conservazione scelte dalnotaio.La legge utilizza il singolare, e ciò sembra condurre alla conclusione del-

la sufficienza di un unico conto corrente dedicato da parte del notaio, sen-za necessità quindi di apertura di un conto corrente dedicato per ciascundeposito effettuato (65).

ture norme regolamentari, mantiene indubbiamente la qualifica di pubblico ufficiale e inrapporto a questa dovrà essere valutata la sua condotta ».

(63) Bianca M., D’Errico, De Donato e Priore, L’atto notarile di destinazione, Mi-lano, 2006, p. 42.

(64) « Anche la confusione del patrimonio destinato con il restante patrimonio del no-taio è suscettibile di far venir meno la destinazione, in quanto in tal caso le esigenze dellacircolazione giuridica, e il principio di tutela del legittimo affidamento dei terzi, prevalesull’interesse dei beneficiari del patrimonio destinato » Petrelli, Il deposito, cit., p. 103.

(65) « Quest’ultima soluzione – pur praticabile in astratto – sarebbe evidentemente mol-to più onerosa, quanto a commissioni bancarie, imposte di bollo ed adempimenti necessariper la relativa gestione, e non sembra imposta dalla legge. Né, d’altra parte, tale soluzionesi impone al fine di contabilizzare separatamente gli interessi maturati sulle somme depo-sitate, visto che tali interessi, a norma del comma 66o, ultimo periodo, “al netto delle spesedi gestione del servizio, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato, riducen-do i tassi della provvista dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese,individuati dal decreto di cui al comma 67o” », Petrelli, Il deposito, cit., pp. 101-102.

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A tal proposito merita una riflessione sulla utilità di più conti per il ri-spetto migliore della separazione patrimoniale, ma ciò non pare necessa-rio se si valorizza l’assunto che le somme ivi depositate sia impignorabilida chiunque e quindi la parziale confusione materiale delle somme depo-sitate non nuoce alla complessiva segregazione dal patrimonio delle parti edel notaio.La distinzione di sotto patrimoni ha la sola, e giusta, finalità di permet-

tere il corretto svincolo delle somme in esecuzione dell’incarico specificoricevuto in relazione alle stesse.Per una miglior forza segregativa, si auspica che il legislatore delegato

preveda una particolare denominazione che contraddistingua tali contidedicati, al fine di rendere immediatamente conoscibile il vincolo di desti-nazione apposto sugli stessi.

11. – La disciplina relativa allo svincolo si presenta da un lato articolatae dall’altro incompleta. Infatti, prevede soltanto l’ipotesi basica, della ve-rifica della trascrizione della vendita ricevuta da parte del notaio e in casodi buon esito della stessa lo svincolo delle somme.Articolata, perciò, nel senso di prevedere un obbligo specifico a carico

del notaio, quello di verificare l’assenza di formalità pregiudizievoli ulte-riori rispetto a quelle esistenti alla data dell’atto e da questo risultanti (66).Incompleta, perché non individua i soggetti a favore dei quali deve esse-

re fatto lo svincolo. Certamente uno di essi è il venditore, ma non dimen-tichiamo che potrebbe esserci una banca che ha un’ipoteca sul bene dacancellare con parte del netto ricavo della vendita, e alcune somme an-dranno all’agenzia delle entrate per la registrazione e altre al notaio per ilsuo onorario.Inoltre, non sono previste tempistiche per lo svincolo, che forse dovreb-

be essere differenziato a seconda del destinatario. L’agenzia delle entrateper prima, il venditore, in assenza di formalità per secondo, e il notaio perultimo.La normativa si rivela incompleta anche per la disciplina delle svincolo

in caso di presenza di ulteriori formalità pregiudizievoli. Il momento topi-

(66) Petrelli, Il deposito, cit., p. 88, fa rilevare come « l’interpretazione dell’espressio-ne “formalità pregiudizievole” non è agevole. Non vi è dubbio che – trattandosi di immo-bili – vi rientrino le formalità (di trascrizione, iscrizione ed annotazione) eseguite nei regi-stri immobiliari, che possano pregiudicare la posizione dell’acquirente. Quid in relazionead altre possibili iscrizioni o trascrizioni in altri pubblici registri? Si pensi all’iscrizione nelregistro delle imprese di una sentenza di fallimento, anteriore alla trascrizione dell’atto dicui trattasi. Ovvero, all’annotazione nel registro delle successioni presso il tribunale com-petente di un verbale di pubblicazione di testamento, che muti la delazione ereditaria e,quindi, riveli l’esistenza di un avente diritto all’eredità diverso dal venditore, erede appa-rente. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, e di conseguenza potrebbe estendersi l’ambitodei possibili accertamenti da parte del notaio rogante o autenticante. D’altra parte, la pre-visione legislativa, contenuta nel comma 66o, non si presta probabilmente ad essere dero-gata ad opera dell’autonomia contrattuale. Va però evidenziato che la lettera della leggeutilizza un’espressione “formalità pregiudizievole” che, tipicamente, identifica le formalitàtrascritte o iscritte nei registri immobiliari; e che la prassi negoziale, basata sull’id quod ple-rumque accidit, è uniformemente orientata nel senso di circoscrivere a tali ultimi registri laverifica notarile ».

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co di funzionalità del contratto, ovvero la presenza di un problema del-l’acquisto, non è ancora dotato di una completa disciplina. Mi pare im-probabile che il legislatore voglia lasciare così ampio spazio all’autonomianegoziale delle parti nel definire i contorni del mandato al notaio, che inquesta delicata fase agisce come sequestratario.

12. – Le problematiche che coinvolgono le banche sono più di una.Nella l. n. 147/13 sono solamente impostate le questioni, ma sin d’orasi auspica che il decreto attuativo detti delle norme ragionate, al fine dinon creare un rallentamento eccessivo all’effettiva applicazione della nor-ma.La prima osservazione è che anche la costituzione di ipoteca è soggetta

all’applicazione dell’art. 1, commi 63o ss., l. n. 147/13, tutte le volte chesia effettuata in presenza di un corrispettivo (67). La ratio è che chiunquepresti denaro e voglia avere una garanzia reale, deve averla validamentecostituita prima dello svincolo delle somme. Questo, peraltro, richiamauna prassi non insolita del sistema bancario che teneva depositate, con ilconsenso espresso del mutuatario, le somme sino al consolidamento del-l’ipoteca. Questo però significa che l’erogazione non potrà più essere con-testuale al muto, nemmeno in caso di espressa volontà di banca e debito-re, ma dovrà sempre essere effettuata un’erogazione interinale sul contodedicato e intestato al notaio.« Nell’ipotesi assai frequente nella prassi, di concessione di mutuo ipo-

tecario all’acquirente, contestuale alla stipula dell’atto di compravendita,il notaio assumerà contestualmente la funzione di depositario/sequestrata-rio per conto delle parti di entrambi i contratti (contratto di mutuo e con-tratto di compravendita), con riferimento alla medesima somma di denaro(erogata dalla banca mutuante e destinata al venditore) » (68). In tali circo-stanze, il mandato al notaio sarà unico, seppur le situazioni disciplinatesono due e le parti diventano tre, venditore, acquirente e banca.

(67) Sull’onerosità del costituzione di ipoteca, v. Chianale, L’ipoteca, Torino, 2010, p.249 ss. Cfr. Petrelli, Il deposito, cit., p. 95: « Secondo una prima possibile lettura, corri-spettivo potrebbe essere, in senso tecnico, la controprestazione legata alla concessione diipoteca da un nesso sinallagmatico: in questo senso, un corrispettivo sarebbe presente, adesempio, nei rapporti tra terzo datore d’ipoteca e debitore, quando quest’ultimo corri-sponda al primo una somma di denaro a fronte della prestazione della garanzia. Certamen-te questa fattispecie rientra nella sfera di applicazione delle norme in esame. A ben vedere,però, il suddetto nesso di sinallagmaticità non è richiesto dalla legge, la quale – nella lett. c)del comma 63o – menziona il prezzo o corrispettivo, se determinato in denaro, e le altresomme dovute per l’estinzione di oneri, “in occasione del ricevimento o dell’autenticazio-ne, di contratti di ... costituzione ... di altro diritto reale su immobili”. Già sulla base dellalettera della legge, il termine “corrispettivo” sembra utilizzato in senso più ampio ed “atec-nico”, allo scopo cioè di indicare il “sacrificio patrimoniale” che la controparte contrattua-le sostiene al fine di ottenere la costituzione del diritto reale a proprio favore: deve trattar-si, in altri termini, di una concessione di ipoteca a titolo oneroso. In questa più ampia ac-cezione, nei rapporti tra il datore di ipoteca (terzo o debitore) ed il creditore, la concessio-ne di ipoteca a garanzia di un finanziamento trova il proprio “corrispettivo” nella messa adisposizione della somma finanziata da parte del creditore a favore del debitore ».

(68) Petrelli, Il deposito, cit., p. 93.

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13. – Nel caso in cui il venditore abbia concesso un’ipoteca sull’immo-bile, la relativa formalità sarà già nota a tutte le parti prima della vendita.Sino ad oggi, ciò che avveniva era la contestuale estinzione del mutuo,

con cancellazione notarile ovvero con lettera di assenso alla cancellazionesemplificata ex art. 40 bis d.lgs. n. 385/93.Con la nuova normativa, tale modus operandi non è più praticabile (69).

Indipendentemente da quale possa essere la miglior applicazione dellanorma, pare certo la materia non potrà restare senza una previsione inte-grativa nel decreto attuativo, che meriterà una approfondita analisi.

14. – La formalità pregiudizievole costituita dal pignoramento può esse-re cancellata solo decorso di termine di venti giorni dall’ordinanza che di-chiara estinta la procedura, senza che siano intervenute opposizioni agliatti esecutivi, ex artt. 632 e 617, comma 2o, c.p.c.Perciò, gli atti trascritti successivamente al pignoramento sono inoppo-

nibili non solo al creditore pignorante, ma anche ai creditori intervenutinell’esecuzione: non è quindi sufficiente, al fine di arrestare la proceduraesecutiva in corso, effettuare il pagamento dovuto al creditore pignorante,ma occorre altresì accertarsi che non vi siano interventi di altri creditoriche potrebbero però aver luogo anche successivamente alla stipula dellacompravendita o alla relativa trascrizione.Il punto centrale del dilemma è che senza lo svincolo, i creditori non

possono essere pagati e non rinunciano alla procedura.Ad oggi, i creditori della procedura unitamente al debitore lasciano le

somme in deposito al notaio sino all’estinzione della procedura e alla ef-fettiva cancellazione della formalità.Questo comporta che le somme restino ancora una volta nelle mani del

notaio sequestratario, perché la controversia è già in essere, con un diver-so ed ulteriore mandato rispetto a quello del venditore ed acquirente dellavendita, seppur con una finalità di fondo comune, ovvero il possibile tra-sferimento del bene libero all’acquirente.

15. – Un caso che si presenta con moderata frequenza è quello che vedeuna vendita concatenata ad un’altra. Il venditore della prima sarà poi l’ac-quirente della seconda, ottenendo con la prima la provvista necessaria peril secondo acquisto e la libertà da una prima casa che gli avrebbe impeditodi godere delle agevolazioni nel secondo acquisto.Anche in questo caso, la soluzione del problema passa attraverso il no-

taio. Egli infatti, tratterrà le somme depositate dal primo acquirente conun incarico duplice: il primo, conservarle sino a che la prima vendita sia

(69) Petrelli, Il deposito, cit., p. 96: « Una prima possibilità è quella di differire l’estin-zione del mutuo al momento in cui avverrà lo svincolo del deposito con contestuale consensoa cancellazione dell’ipoteca: il notaio rogante può essere incaricato da entrambe le parti diutilizzare la somma depositata per l’estinzione del mutuo, da effettuarsi solo a seguito dellasottoscrizione, da parte di un rappresentante della banca mutuante, di atto di consenso acancellazione dell’ipoteca (e curando, evidentemente, di far precedere la stipula da conteg-gi dettagliati da parte della banca, comprensivi anche degli interessi che matureranno finoalla data dello svincolo). (...) Una seconda possibilità è quella in cui le parti decidano diprocedere alla cancellazione semplificata dell’ipoteca, ex art. 40 bis del d.lgs. n. 385/93 ».

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trascritta senza formalità e svincolarle a favore del venditore, ma con il se-condo incarico lo svincolo consterà nel trattenerle, sempre sul medesimoconto segregato, a favore del venditore della seconda vendita, dove il pri-mo venditore risulta acquirente.La tecnica redazionale della seconda vendita prevedrà due condizioni, la

prima relativa al buon fine della trascrizione della prima vendita, senza laquale l’acquirente non ha la provvista, e la seconda relativa al buon finedella trascrizione della seconda.

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LE NOVITÀ LEGISLATIVE IN MATERIADIPRESTAZIONIENERGETICHENELL’EDILIZIA.

PROFILI DI DIRITTO CIVILE [,]

diGianfranco Orlando

(Dottore di ricerca in diritto civile presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria)

Sommario: I. Introduzione. – 1. Le novità legislative relative alle prestazioni energeti-che degli edifici nel quadro delle fonti in materia. – 2. Gli scopi perseguiti dalla norma-tiva. – 3. Segue: natura degli interessi e sistema di tutela. – 4. Gli strumenti normativiprevisti per la realizzazione dei valori prefigurati. – II. L’attestato di prestazione

energetica. – 5. Dall’attestato di « certificazione » energetica all’attestato di « presta-zione » energetica. – 6. Il contenuto. – 7. Gli edifici rilevanti sotto il profilo energetico. Idiritti oggetto di negoziazione. – 8. La forma. – 9. L’efficacia temporale. – 10. I certifi-catori. – III. Gli obblighi normativi. – 11. L’obbligo di dotazione. – 12. L’obbligo diinformazione « all’avvio » delle trattative. – 13. L’obbligo di consegna dell’attestato « al-la fine » delle trattative. – 14. L’obbligo di documentare la dichiarazione di adempimen-to degli obblighi di informazione e consegna. – 15. L’obbligo di allegazione. – 16. Laviolazione degli obblighi previsti dalla normativa. – 17. Segue: la violazione dell’obbligodi allegazione. – 18. Segue: una nuova ipotesi di « conferma » di atto nullo.

IIntroduzione

1. – La normativa sulle prestazioni energetiche degli edifici – posta a li-vello nazionale dal d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192, in G.U. n. 222 del 23 set-tembre 2005 (in vigore dall’8 ottobre 2005) – è stata nel tempo interessatada numerose modifiche. Le più recenti – che costituiscono l’oggetto prin-cipale di questo commento – sono state portate dal d.l. 4 giugno 2013, n.63, in G.U. n. 130 del 5 giugno 2013 (in vigore dal 6 giugno 2013), con-vertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2013, n. 90, in G.U. n. 181 del 3agosto 2013 (in vigore dal 4 agosto 2013), e dal successivo d.l. 23 dicem-bre 2013, n. 145, in G.U. n. 300 del 23 dicembre 2013 (in vigore dal 24 di-cembre 2013), convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9,in G.U. n. 43 del 21 febbraio 2014 (in vigore dal 22 febbraio 2014) (1).

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Nonostante il breve periodo di vigenza, tra le più recenti modifiche legislative va an-noverato anche il comma 139o, lett. a, dell’articolo unico della l. 27 dicembre 2013, n. 147,in G.U. n. 302 del 27 dicembre 2013 (Legge di stabilità 2014, in vigore dall’1 gennaio2014). Tale disposizione aveva anteposto all’art. 6, comma 3o bis, del d.lgs. n. 195/05 le se-guenti parole: « a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di adeguamento dicui al comma 12o ». In questo modo, la norma prorogava la vigenza dell’obbligo di allega-zione dell’attestato di prestazione energetica (che dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 63/13era disciplinato, appunto, dall’art. 6, comma 3o bis, del d.lgs. n. 195/05) alla data di entratain vigore del decreto ministeriale di attuazione.

Tuttavia, il d.l. n. 145/13 (entrato in vigore appena tre giorni prima della data di pubbli-cazione del comma 139o della l. n. 147/13) aveva già sostituito i commi 3o e 3o bis dell’art.

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Gli ultimi tempi, in particolare, sono stati caratterizzati da numerosi on-deggiamenti sia per quanto riguarda il contenuto di alcuni obblighi di-scendenti dalla normativa, sia – soprattutto – per quando riguarda l’appa-rato sanzionatorio. Prima, però, di addentrarsi nei dettagli di queste novi-tà, è opportuno soffermarsi sulle ragioni di tali intemperie normative.Sebbene l’Italia avesse già da tempo una sua autonoma disciplina in ma-

teria (in attesa di essere attuata e riordinata) (2), il d.lgs. n. 192/05 è statoemanato principalmente per dare attuazione alla dir. 2002/91/CE sul ren-dimento energetico nell’edilizia (in G.U.C.E. n. L 1/65 del 4 gennaio2003). Come si vedrà, il rapporto con le fonti europee è fondamentale perspiegare molti aspetti dei recenti interventi legislativi. Basti pensare allaloro approvazione d’urgenza tramite decreto legge, che è stata giustificata(almeno in un caso) con l’intenzione di porre termine alle procedure di in-frazione (2012/0368 e 2006/2378) avviate dalla Commissione europea.Nel tempo, peraltro, la dir. 2002/91/CE è stata sostituita dalla dir. 2010/31/UE sulle prestazioni energetiche nell’edilizia (in G.U.U.E. n. L 153/13I del 18 giugno 2010), il cui termine di recepimento (anch’esso inadem-piuto) era il 9 maggio del 2012 (3). È, quindi, nell’ottica di dare attuazionea tali direttive che sono stati concepiti gli interventi legislativi nazionali incommento (4).

6 del d.lgs. n. 192/05 con un unico « comma 3o », mantenendo in vigore l’obbligo di alle-gazione dell’attestato di prestazione energetica (e prevedendo, in caso di violazione del-l’obbligo, una sanzione amministrativa in luogo della nullità prescritta dal previgente com-ma 3o). Si poteva, quindi, porre il dubbio se, dando fede alla versione uscita dal d.l. n. 145/13, l’obbligo di allegazione continuasse ad essere vigente (con la previsione di una sanzio-ne amministrativa), oppure se, dando fede alla versione uscita dal comma 139o, tale obbli-go fosse sospeso fino all’emanazione del decreto ministeriale di adeguamento (ciò, però,comunque in virtù di una tortuosa interpretazione secondo cui il riferimento al comma« già abrogato », lo faceva « rivivere »). Sull’argomento v. Petrelli, Certificazione energe-tica degli edifici. Il nuovo attestato di prestazione energetica (scritto aggiornato al 31 dicem-bre 2013), in http://www.gaetanopetrelli.it, p. 11 s.; Id., Certificazione energetica degli edi-fici. Prospetto sinottico della legislazione nazionale e regionale (scritto aggiornato al 31 di-cembre 2013), ivi, p. 3.

Il pasticcio normativo – dovuto all’accavallarsi, nel giro di pochissimi giorni, di tali attinormativi – è stato risolto con la l. n. 9/14 che ha abrogato la lett. a dell’art. 1, comma 139o,della l. n. 147/13. Conseguentemente, deve ritenersi chiara l’attuale vigenza dell’obbligo diallegazione dell’attestato di prestazione energetica nella versione uscita dal d.l. n. 145/13.

(2) V. in particolare l’art. 30 della l. 9 gennaio 1991, n. 10, in G.U. n. 13 del 16 gennaio1991 (recante Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razio-nale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), cheprevedeva già una « certificazione energetica » da « portare a conoscenza » dell’acquirenteo del locatario. Tale previsione, tuttavia, è rimasta lettera morta per mancanza delle normedi attuazione: v. Morano e Altamura, La certificazione energetica tra autonomia privata eordine pubblico, in Riv. not., 2010, p. 69 ss.

La materia, inoltre, era stata oggetto di delega al Governo; v. la l. 23 agosto 2004, n. 239,in G.U. n. 215 del 13 settembre 2004 (recante Riordino del settore energetico, nonché dele-ga al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia); Testa, La cer-tificazione energetica nel suo excursus storico-normativo, in Trabace (a cura di), La certifi-cazione energetica, Milano, 2014, p. 4.

(3) Quaranta, APE: il nuovo attestato di prestazione energetica, in Amb. & sviluppo,2013, p. 842.

(4) Va segnalato che, nonostante l’intervento del legislatore nazionale, il 13 giugno 2013

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Peraltro, rispetto all’originaria formulazione, il d.lgs. n. 192/05 avevamutato più volte fisionomia (non sempre in meglio) già prima delle modi-fiche del 2013. Si considerino, a mero titolo esemplificativo, le modificheintrodotte dal d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 311, in G.U. n. 26 dell’1 feb-braio 2007 (entrato in vigore il 2 febbraio 2007) – che ha introdotto nu-merose disposizioni correttive ed integrative al d.lgs. n. 192/05 –; dal d.l.25 giugno 2008, n. 112, in G.U. n. 147 del 25 giugno 2008 (in vigore dal26 giugno 2008) convertito con l. 6 agosto 2008, n. 133, in G.U. n. 195 del21 agosto 2008 (entrata in vigore il 22 agosto 2008) (5) – che ha abrogatol’obbligo di allegazione della certificazione energetica degli atti traslativi–;dal d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115, in G.U. n. 154 del 3 luglio 2008; dal d.l-gs. 3 marzo 2011, n. 28, in G.U. n. 71 del 28 marzo 2011 (entrato in vigoreil 29 marzo 2011) (6) – che ha previsto l’obbligo di inserire nel documentocontrattuale una clausola con la quale l’acquirente o il conduttore dannoatto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine allacertificazione energetica degli edifici –. Se a questo profluvio di interventisi aggiungono anche le modifiche portate dai provvedimenti qui in com-mento (basti considerare, ad esempio, che la l. n. 90/13 ha reintrodottol’obbligo di allegazione a pena di nullità assoluta del contratto; mentre ilsuccessivo d.l. n. 145/13, pur confermando la vigenza di tale obbligo, hamutato la nullità in una sanzione pecuniaria amministrativa), si tracceràfacilmente una storia normativa caratterizzata da numerose incertezze, in-termittenze e discontinuità.La disciplina in materia di prestazioni energetiche nell’edilizia trova un

importante completamento nelle fonti di secondo grado. Anche a questolivello, inoltre, si riscontra una lunga lista di cambiamenti. Si vedano, al ri-guardo, il d.p.r. 2 aprile 2009, n. 59 (in G.U. n. 132 del 10 giugno 2009, invigore dal 25 giugno 2009), e il d.m. del 26 giugno 2009 (in G.U. n. 158del 10 luglio 2009, in vigore dal 25 luglio 2009) con cui sono state appro-vate le Linee guida nazionali per la certificazione energetica – previsioniche, dato il profilo tecnico di molti aspetti attinenti alle prestazioni ener-getiche, sono imprescindibili per l’operatività della legislazione –. Tali Li-nee guida sono poi state modificate dal d.m. 22 novembre 2012 (in G.U. n.290 del 13 dicembre 2012, in vigore dal 28 dicembre 2012) al fine di ade-

– ossia pochi giorni dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 63/13 – è intervenuta una sentenzadi condanna della Corte di giustizia (causa 345/12): « la Repubblica italiana, non avendoprevisto l’obbligo di consegnare un attestato relativo al rendimento energetico in caso divendita o di locazione di un immobile, conformemente agli artt. 7 e 10 della direttiva2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, sul rendimen-to energetico nell’edilizia, e avendo omesso di notificare alla Commissione europea le mi-sure di recepimento dell’art. 9 della direttiva 2002/91, è venuta meno agli obblighi ad essaincombenti in forza degli artt. 7, par. 1 e 2, e 10 di detta direttiva, nonché 15, par. 1, dellamedesima, letti in combinato disposto con l’art. 29 della direttiva 2010/31/UE del Parla-mento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edi-lizia »; v. Testa, L’attestazione delle prestazioni energetiche secondo il d.l. 63/2013, in Imm.& propr., 2013, p. 493.

(5) Rizzi, La certificazione energetica dopo il d.l. n. 112/2008, in Notariato, 2009, p. 49ss.

(6) Testa, Le nuove regole sulla certificazione energetica degli edifici a seguito del D.Lgs.28/2011, in Imm. & propr., 2011, p. 415 ss.

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guare un altro punto della disciplina nazionale a quella europea (7). Di re-cente, poi, l’art. 6, comma 12o, del d.l. n. 63/13 ha previsto un prossimoaggiornamento delle Linee guida mediante l’adozione di un decreto delMinistero dello sviluppo economico (del quale, peraltro, sono già in parteprevisti alcuni principi e contenuti).Un peso rilevante in materia assume, inoltre, la normativa regionale. La

stessa disciplina nazionale prevede – all’art. 17 del d.lgs. n. 192/05 – uncoordinamento con le fonti regionali alla luce della c.d. « clausola di cede-volezza » (8). Il seguente commento, tuttavia, si concentrerà sull’impiantonormativo nazionale. Qui basta segnalare che nella versione uscita dall’art.13 bis dalla l. n. 90/13 risulta che le disposizioni nazionali si applicano alleregioni e alle province autonome che non abbiano ancora provveduto alrecepimento della dir. 2010/31/UE fino alla data di entrata in vigore dellanormativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autono-ma (9).

2. – Il proposito di raggiungere una maggiore efficienza energetica nel-l’edilizia nasce dalla constatazione che dagli edifici dipende una percen-tuale molto rilevante del consumo globale di energia nel territorio del-l’Unione europea (10). Da tale dato di fatto sorge, in particolare, l’interessealla riduzione del consumo energetico e ad un maggior impiego di energiada fonti rinnovabili.Nonostante l’apparente univocità, il quadro dei valori sottesi a tale

obiettivo risulta essere molto variegato.

(7) Come si vedrà, il decreto ministeriale ha escluso la possibilità di sostituire la certifi-cazione energetica con un’« autodichiarazione » del titolare del bene.

(8) Petrelli, Certificazione energetica degli edifici. Il nuovo attestato, cit., p. 15 s.; Id.,Certificazione energetica degli edifici. Prospetto sinottico, cit., pp. 2 s. e 26 ss.; Testa, L’at-testazione delle prestazioni energetiche secondo il d.l. 63/2013, cit., p. 498 ss.

(9) Il coordinamento tra il livello legislativo nazionale e quello regionale è uno dei pro-fili più problematici del settore in esame. Nel tempo, infatti, la ripartizione delle rispettivearee di competenza tra Stato e Regioni/Province autonome ha generato non poche incer-tezze. Se, infatti, da un lato non si discute che la normativa locale possa disciplinare in viaautonoma taluni aspetti della disciplina, dall’altro lato, tuttavia, non sembra possibile cheessa possa porre dei limiti all’autonomia privata prevedendo, ad esempio, la nullità del ne-gozio laddove non (più) prevista a livello nazionale. Una tale previsione, infatti, travaliche-rebbe l’ambito dell’« ordinamento civile » riservato dalla Costituzione (art. 117, comma2o, lett. l) all’esclusiva competenza statale. In dottrina v. Lucchini Guastalla, Nullitàdella compravendita immobiliare per contrarietà a norma regionale: il caso della certificazio-ne energetica, in Riv. crit. dir. priv., 2008, p. 469, ed in Studi in onore di Nicolò Lipari, I,Milano, 2008, p. 1441; Petrelli, Certificazione energetica degli edifici. Prospetto sinottico,cit., pp. 15 s. e 26 ss. Esclude che la normativa regionale vigente in materia di certificazio-ne energetica sia applicabile alle vendite giudiziali forzate, il Consiglio Nazionale del

Notariato (est. Gasbarrini), Studio n. 12-2011/E, Certificazione energetica ed espropria-zione forzata, approvato dal Gruppo di studio sulle Esecuzioni Immobiliari e Attività De-legate del 20 gennaio 2012, in www.notariato.it. Sulle discipline regionali v. di recenteTrabace (a cura di), La certificazione energetica, Milano, 2014, p. 49 ss.

(10) Nel frattempo, in materia di efficienza energetica (in generale, e non limitata esclu-sivamente all’edilizia) l’Unione europea ha emanato anche la dir. 2012/27/UE del Parla-mento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che modifica le dir. n. 2009/125/CE,n. 2010/30/UE e abroga le dir. n. 2004/8/CE e n. 2006/32/CE, in G.U.C.E. del n. L 315/114 novembre 2012.

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Sono evidenti, innanzitutto, i fini « ambientali » della normativa, cui so-no impliciti lo scopo di creare contesti più salubri per l’uomo e quello diraggiungere un migliore equilibrio ecologico e naturalistico. La riduzionedel consumo energetico e un più diffuso impiego di energia da fonti rin-novabili, infatti, consentono all’Unione europea di conformarsi al Proto-collo di Kyoto del 1997 allegato alla Convenzione quadro delle NazioniUnite sui cambiamenti climatici e le emissioni di gas a effetto serra (11).Ma non è solo la tutela dell’ambiente il valore richiamato dalla normati-

va.La stessa disciplina europea segnala, ad esempio, l’importanza dell’effi-

cienza energetica degli edifici sul piano della « sicurezza interna » (12). Ilmiglioramento delle prestazioni energetiche, infatti, riduce la dipendenzadell’Unione europea da Stati ad essa esterni, garantendole una maggior si-curezza nell’approvvigionamento energetico, e consentendole di influen-zare in modo più incisivo il mercato mondiale dell’energia (13).È evidente, inoltre, l’importanza degli obiettivi prefissati per l’« econo-

mia pubblica ». La disciplina italiana, ad esempio, esplicita chiaramentequesto profilo nel punto in cui precisa che il raggiungimento di una mag-giore efficienza energetica consente di « ridurre i costi complessivi, per lapubblica amministrazione e per i cittadini e per le imprese », nonché di« coniugare le opportunità offerte dagli obiettivi di efficienza energeticacon lo sviluppo del settore delle costruzioni e dell’occupazione » (art. 1,comma 2o, d.lgs. n. 192/05). In quest’ottica, gli scopi prefissati sono vistichiaramente come un volano per lo sviluppo tecnologico e per la creazio-ne di nuovi posti di lavoro.Accanto a questi tre tipi di interesse (ambiente, sicurezza ed economia

pubblica) – che hanno evidentemente carattere « generale » – assume unruolo di non scarso rilievo anche l’interesse dei singoli individui che af-frontano un impegno negoziale avente ad oggetto un bene che comportaconsumi energetici di un certo rilievo.Tale interesse è certamente « particolare » in quanto tocca profili atti-

nenti non solo alla salute, ma anche alle economie dei privati. Non è ca-suale, al riguardo, l’attenzione posta dalla normativa nella predisposizionedi strumenti informativi che consentano agli attori del mercato immobilia-re una ponderata valutazione dei costi da sopportare per il mantenimentoenergetico dell’edificio e la prospettazione delle future azioni da compiereper ridurli.È chiaro, peraltro, che questo tipo di interesse – che, come s’è detto, è

certamente « particolare » – non è « isolato » dagli altri interessi poco so-pra descritti.Le valutazioni di convenienza economica compiute dai singoli, infatti, si

mostrano utili per la graduale collocazione ai margini del mercato immo-biliare degli edifici energeticamente più sconvenienti. In questa prospetti-va, l’informazione sulle prestazioni energetiche dell’edificio si rivela unfondamentale strumento di regolazione del mercato: è chiaro, infatti, che,

(11) V. il 3o considerando della dir. 2010/31/UE.(12) V. il 3o considerando della dir. 2010/31/UE.(13) V. il 4o considerando della dir. 2010/31/UE.

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a parità di condizioni, i potenziali acquirenti/conduttori – messi in condi-zione di valutare e confrontare edifici diversi (v. art. 11 della dir. 2010/31/UE e l’art. 6, comma 12o, lett. b, del d.l. n. 63/13 relativo al contenuto delfuturo d.m. di attuazione) – si orienteranno verso il bene che assicura ilmaggior contenimento dei consumi energetici. Vista ad un livello macro-scopico, quindi, l’attività negoziale dei singoli sembra « cooperare » alperseguimento degli obiettivi sull’efficienza energetica posti sul piano ge-nerale.La rapida rassegna degli scopi evidenziati nei testi legislativi dimostra

quanto spesso, nelle normative di vasta portata, interessi di natura diversasiano tra loro intrecciati; e quanto spesso tali interessi non siano facilmen-te classificabili in rigidi schemi « alternativi » – ad esempio come interessipubblici « o » privati –. Sovente, infatti, interessi generali e particolari so-no tessuti insieme, e concorrono a comporre una trama assiologica com-plessa e polivalente. La normativa in esame ne è un chiaro esempio.

3. – Non che la questione della corretta ricostruzione della natura deivalori la cui realizzazione è perseguita dalla disciplina in esame sia di pococonto.Come si vedrà, questo profilo risulta decisivo, ad esempio, per risolvere

le questioni che si pongono a fronte delle (non poche) previsioni di obbli-ghi di condotta sforniti di una specifica sanzione civilistica.La presenza di un interesse di natura « pubblica » e « generale » potreb-

be portare qualcuno a ritenere, ad esempio, che – stante l’assenza di unospecifico rimedio negoziale – ci si trova di fronte a norme imperative lacui violazione da parte dell’autonomia privata non può che fondare ungiudizio di nullità « virtuale » del contratto ai sensi dell’art. 1418, comma1o, c.c.Tale interpretazione – benché possa apparire prima facie come la più ov-

via – non sembra tenere in adeguato conto la complessità del sistema ri-mediale che emerge dalla normativa (14). È noto, infatti, che proprio la va-rietà di rimedi evincibili dal dato positivo può portare a ritenere che lapresenza di un interesse « pubblico » e « generale » non deve essere l’« u-nico » elemento di cui occorre tener conto: il ricorrere di questo tipo diinteresse, infatti, non è « di per sé » un elemento sufficiente per trarre, in-variabilmente, un giudizio di nullità del contratto.Per cominciare, come accennato in precedenza, il dato positivo non in-

dica tanto il « ricorrere » di un monolitico interesse « pubblico », bensì il« concorrere », a vari livelli, di interessi di natura diversa. Poiché, quindi,detti interessi si devono relazionare l’uno con l’altro, si impone la ricercadi un equilibrio che non lasci ad uno solo di essi l’occupazione dell’interospazio assiologico.Per altro verso, non sono poche le ipotesi normative analoghe a quella

in esame per le quali la prassi giurisprudenziale ricorre, ad esempio, a cri-

(14) Esclude correttamente la possibilità di riscontrare un’ipotesi di nullità ex art. 1418c.c. il Consiglio Nazionale del Notariato (est. Leo e Metallo), Studio n. 334-2009/C,La certificazione energetica degli edifici dal 1o luglio 2009 (approvato dalla Commissionestudi civilistici il 16 giugno 2009), in www.notariato.it, p. 5.

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teri quali quello del c.d. « minimo mezzo » (15), che consente di escluderela nullità del contratto se lo scopo perseguito dalla norma viene compiu-tamente realizzato con l’irrogazione di altra specifica sanzione (ad esem-pio amministrativa) espressamente prevista (16).Non è detto, dunque, che nella ricostruzione dell’apparato sanzionato-

rio previsto per le singole vicende negoziali il risultato interpretativo cuisfociare in ragione della (com)presenza di interessi generali sia necessaria-mente l’adozione dello strumento di tutela più « radicale » (la nullità).Occorrerà, piuttosto, valutare – non solo la natura dell’interesse tutelato,ma anche – se, alla luce del dato positivo, il rimedio adottato si riveli quel-lo più « adeguato » al conseguimento dello « scopo » della prescrizioneviolata. Così, se il legislatore ha ritenuto la sanzione amministrativa suffi-ciente a garantire la protezione degli interessi generali sottesi alla norma-tiva, non è affatto scontato che tali interessi esigano una rigida traduzionerimediale anche sul piano negoziale: gli interessi « generali » coinvoltihanno già ricevuto tutela con la prima sanzione; mentre resta aperto ilproblema di quale sia la più adeguata composizione degli interessi « par-ticolari ».Può, dunque, escludersi, in linea di massima, che le violazioni degli ob-

blighi previsti dalla normativa in esame comportino la nullità « virtuale »del contratto ex art. 1418, comma 1o, c.c. tutte le volte in cui sia previstauna sanzione amministrativa che realizzi lo scopo perseguito dalla normaviolata. Occorre, piuttosto, evitare ridondanze di tutela dei medesimi in-teressi, e porsi alla ricerca dei rimedi più adatti alla tutela delle ragioni in-dividuali eventualmente lese – alla cui protezione non sono certo diretta-mente chiamate le sanzioni amministrative –. Tale questione potrà essererisolta solo alla luce del dato normativo, al quale occorrerà guardare pervalutare quale rimedio – nella vasta gamma di quelli previsti in via genera-le dall’ordinamento civile – è quello più pertinente alla singola vicenda ne-goziale. Più avanti, durante l’esposizione, verranno esposte le soluzioniche, a seconda dei casi, appaiono preferibili.

4. – Il principale mezzo previsto dal legislatore (europeo e nazionale)per stimolare la « cooperazione » degli attori del mercato immobiliare nelconseguimento degli scopi normativi è l’« informazione » sulle prestazionienergetiche degli edifici.Com’è noto, il tema dell’informazione nell’ambito delle operazioni com-

merciali ha assunto da tempo un posto di rilievo nella moderna legislazio-ne, costituendo uno degli aspetti più importanti della normativa di deriva-zione europea (17).

(15) De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p.446; Id., Il contratto e i nuovi contratti: disciplina valutaria, in De Nova (a cura di), Il si-stema valutario italiano. Problemi giuridici, Milano, 1986, pp. 99 ss. e 104; D’Amico, voceNullità non testuale, in Enc. dir., Ann., IV, Milano, 2011, ora raccolto anche in Id., Profilidel nuovo diritto dei contratti, Milano, 2014, p. 137 ss.

(16) Nella materia in esame, richiamano questo indice: Morano e Altamura, La certi-ficazione energetica tra autonomia privata e ordine pubblico, cit., nt. 46.

(17) In generale, il tema degli obblighi di informazione è stato ampiamente trattato dalladottrina; v. tra i tanti: Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole di

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Per consentire agli attori del mercato immobiliare di orientarsi facilmen-te nel « confronto » tra edifici diversi, l’informazione sulle prestazionienergetiche viene veicolata con l’attribuzione a ciascun edificio di una de-terminata « classe energetica »: gli immobili a maggiore efficienza energe-tica sono contraddistinti dalla lett. « A+ »; via via che tale efficienza peg-giora, vengono attribuite la seguenti lettere dell’alfabeto, fino ad arrivareagli immobili più scadenti, che sono contraddistinti dalla lett. « G ».Quanto appena detto, invero, riguarda il contenuto « minimo » delle in-

formazioni che si intendono far circolare. In questo senso, numerose nor-me dimostrano l’importanza di una informazione di veloce e immediatafruizione, capace di realizzare l’obiettivo richiesto per mezzo di descrittoristandardizzati e facilmente riconoscibili dal mercato. Il profilo dell’infor-mazione riferito non è quello che emerge degli « obblighi informativi »imposti dal legislatore nel contesto di un singolo « rapporto contrattuale »– che costituiranno oggetto di specifica trattazione nel prosieguo –, ma ri-guarda contesti più ampi, che di solito, data la natura indifferenziata daisuoi destinatari, viene richiamato evocando l’« informazione al merca-to » (18).Le recenti modifiche normative hanno inteso dare alla disciplina di tale

tipo di informazione maggiore incisività. Già dal primo gennaio 2012 (da-ta di entrata in vigore del d.lgs. n. 28/11) (19) vige, infatti, l’obbligo di ri-portare l’indice di prestazione energetica negli annunci commerciali aven-ti ad oggetto l’offerta di trasferimento a titolo oneroso degli edifici. L’ef-fettività di questa previsione, tuttavia, era in passato messa in discussionedall’assenza di una specifica sanzione. La lacuna è stata colmata dal d.l. n.63/13, che ha previsto una sanzione amministrativa pecuniaria (da P500,00 a P 3.000,00) in capo al « responsabile dell’annuncio » (che non ènecessariamente il proprietario del bene, ma può essere anche un soggettoincaricato alle trattative, come un mediatore). L’art. 6, comma 12o, d.l. n.63/13 rimette, ora, all’emanazione di un apposito decreti ministeriale diadeguamento delle Linee guida la definizione di uno schema di annunciodi vendita o locazione, per esposizione nelle agenzie immobiliari, che ren-da uniformi le informazioni sulla qualità energetica degli edifici fornite aicittadini.Ma se la disciplina dell’informazione rivolta ad un insieme indifferenzia-

to di destinatari si sofferma maggiormente, per ovvie ragioni, sulla circo-lazione di contenuti di più immediata percezione, la disciplina in esameprevede anche un diverso tipo di informazione più specifico e puntuale in

informazione come strumento, in Eur. dir. priv., 2000, p. 257 ss., e Roppo, L’informazioneprecontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv.,2004, p. 747 ss.

(18) V., tra i tanti, Di Amato, Il danno da informazione economica, Napoli, 2004; Ror-dorf, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, in Giur. comm., 2002, I,773; Zeno-Zencovich, Profili di uno statuto dell’informazione economica e finanziaria, inDir. inf., 2005, 929 ss.

(19) Esclude l’applicabilità della normativa sugli annunci commerciali di offerta di tra-sferimento a titolo oneroso in occasione di vendita forzata giudiziale e a cura dell’ufficiogiudiziario o di suoi ausiliari lo studio del Consiglio Nazionale del Notariato (est.Gasbarrini), Studio n. 12-2011/E, Certificazione energetica ed espropriazione forzata, cit.

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altri casi (20). In particolare, il legislatore disegna un sistema in cui talicontenuti si fanno più precisi e dettagliati via via che dal « primo contat-to » tra le potenziali parti di un futuro contratto si giunge alla chiusuradelle trattative e, quindi, alla conclusione del contratto. In tal caso l’infor-mazione sulle prestazioni energetiche dell’edificio assume un ruolo decisi-vo all’interno della specifica relazione che si viene a creare, avendosi comespecifico scopo il raggiungimento dell’effettiva consapevolezza dell’aventecausa sugli elementi ritenuti rilevanti per le negoziazioni.Per raggiungere questo obiettivo, occorre evidentemente avere il tempo

e gli strumenti necessari per ponderare attentamente tali elementi. È inquest’ottica, quindi, che già nella fase che precede la formazione del con-tratto l’informazione viene veicolata dalla forma scritta, attraverso il rila-scio di un « documento informativo ».La creazione di questo peculiare documento si rivela come strumento di

gestione diretta del mercato (cfr. il punto 7 dell’Allegato « A » del d.m. 26giugno 2009): è sembrato, infatti, che per ottenere una costante e gradualeottimizzazione delle prestazioni energetiche degli edifici, gli attori delmercato immobiliare (in particolare proprietari, acquirenti e conduttori)svolgano meglio il loro ruolo avendo preventivamente a loro disposizioneun documento che riporta in modo esauriente le informazioni all’uopo ne-cessarie.Questo documento si insinua nelle vicende negoziali per mezzo di cin-

que principali obblighi, che tracciano il nucleo centrale della disciplina inesame. Si tratta in particolare: a) dell’obbligo di « dotare » il bene del do-cumento informativo sulle prestazioni energetiche (21); b) dell’obbligo di« informare » il potenziale acquirente o locatario « all’avvio » delle tratta-tive; c) dell’obbligo di « consegnare » il documento informativo « alla fi-ne » delle trattative; d) dell’obbligo di « documentare » nel testo del con-tratto una dichiarazione di parte avente ad oggetto l’adempimento deisuddetti obblighi di informazione e consegna; e) dell’obbligo di « allega-re » il documento informativo al contratto.Come si può facilmente notare, i primi tre obblighi (« dotazione », « in-

formazione » e « consegna ») si collocano nella fase « precontrattuale »delle trattative, mentre sia l’obbligo di « documentazione », sia l’obbligodi « allegazione » si impongono al momento della conclusione del contrat-to. L’area coperta dalla disciplina, quindi, parte dall’inizio delle trattative

(20) La dottrina (D’Amico, voce Formazione, in Enc. dir., Ann., II, Milano, 2008, oraraccolto anche in Id., Profili del nuovo diritto dei contratti, cit., p. 48, nt. 108, cui si rinviaper ulteriori indicazioni bibliografiche) segnala che non è sempre possibile tracciare unadistinzione netta tra i due tipi di informazione. Peraltro, nell’ambito delle informazioni almercato, è possibile configurare, in deroga al tradizionale principio secondo cui l’avvenutavalida conclusione del contratto « assorbe » (di regola) eventuali scorrettezze commessenella fase precontrattuale (che potranno rilevare solo se e in quanto si traducano in un vi-zio del contratto), un’ipotesi di responsabilità precontrattuale anche in presenza di con-tratto validamente concluso al fine di dare il massimo effetto utile alle direttive europee inmateria di pratiche commerciali sleali (ivi, p. 44 ss.).

(21) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), Studio n. 657-2013/C, La cer-tificazione energetica (dall’attestato di certificazione energetica all’attestato di prestazioneenergetica), in www.notariato.it, p. 13 ss.

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e si conclude con la formazione del contratto. Solo in alcuni casi concer-nenti l’obbligo di dotazione – come si vedrà – la normativa prescrive ob-blighi sull’attestato di prestazione energetica che prescindono da vicendenegoziali (intese in senso ampio).Oltre a questi obblighi principali, la normativa prevede una serie di ul-

teriori strumenti normativi che puntano a promuovere la diffusione del-l’attestato, ponendolo come perno di ulteriori vicende.Si spiegano in questo modo gli incentivi e le agevolazioni previsti – sia

come sgravi fiscali o contributi a carico di fondi pubblici o della generalitàdegli utenti – per il miglioramento delle prestazioni energetiche dell’unitàimmobiliare, dell’edificio o degli impianti (22). Allo stesso modo, è di tuttaevidenza l’importanza che si è voluta dare alla certificazione energeticanella regolazione amministrativa dell’attività edilizia, laddove è stata con-nessa al procedimento volto ad ottenere l’agibilità (23). L’art. 2, comma282o, l. 24 dicembre 2007, n. 244, in G.U. n. 300 del 28 dicembre 2007,infatti, prevede che: « per le nuove costruzioni che rientrano fra gli edificidi cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modifica-zioni, il rilascio del certificato di agibilità al permesso di costruire è subor-dinato alla presentazione della certificazione energetica dell’edificio ».

IIL’attestato di prestazione energetica

5. – Il documento informativo sulle prestazioni energetiche dell’edificioè oggi denominato « attestato di prestazione energetica » (comunementeindicato anche con l’acronimo « A.P.E »). Si tratta di una delle novitàportate dal d.l. n. 63/13. In precedenza, infatti, tale documento era deno-minato « attestato di certificazione energetica ». L’art. 18 del citato decre-to legge ha stabilito che ovunque, nel d.lgs. n. 192/05 ricorrano le parole« attestato di certificazione energetica » (A.C.E.), si devono intendere so-stituite da « attestato di prestazione energetica » (24).Il mutamento terminologico sembra opportuno (25). Nel linguaggio del-

la prassi l’espressione « certificazione energetica » indica spesso il docu-mento informativo; nondimeno è evidente l’ambiguità dell’espressione,dal momento che la « certificazione » può indicare anche le « attività » dacompiere (e non solo l’atto risultante da quell’attività) per la redazione

(22) Testa, La certificazione energetica, cit., p. 9 ss.(23) Riccio, Il requisito di agibilità degli immobili, in Contr. e impr., 2011, p. 560 s.; Te-

sta, La certificazione energetica, cit., p. 11.(24) Tale attestato va distinto dall’« attestato di qualificazione energetica », la cui disci-

plina è stata introdotta a seguito delle modifiche al d.lgs. n. 192/05 apportate dal d.lgs. n.311/06. L’A.Q.E. svolge una funzione di controllo ex post del rispetto, in fase di costruzio-ne o ristrutturazione degli edifici delle prescrizioni volte a migliorarne le prestazioni ener-getiche (v. Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energeti-ca, cit., p. 10). Il d.l. n. 63/13 non ha modificato la sua disciplina, ma si è limitato a trasfon-dere l’art. 2 All. A nel corpo stesso del d.lgs. n. 192/05.

(25) Cfr. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., p. 3 s.

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dell’attestato (26). Superando questa ambiguità lessicale, quindi, si è prefe-rito richiamare (già dalla denominazione) il fatto che è la « prestazioneenergetica » dell’edificio l’oggetto dell’attività di « certificazione ».

6. – L’art. 2, comma 1o, lett. c), del d.lgs. n. 192/05 (così come modifi-cato dall’art. 2, comma 1o, l. n. 90/13) individua le prestazioni energetichenella quantità annua di energia primaria effettivamente consumata o che siprevede possa essere necessaria per soddisfare, con un uso standard del-l’immobile, i vari bisogni energetici dell’edificio, la climatizzazione inver-nale e estiva, la preparazione dell’acqua calda per usi igienici sanitari, laventilazione e, per il settore terziario, l’illuminazione, gli impianti ascenso-ri e scale mobili.Nello specifico, gli elementi da valutare per l’attribuzione di una deter-

minata « classe energetica » devono essere conformi alle prescrizioni con-tenute nelle direttive in tema di calcolo della prestazione energetica. Il lo-ro recepimento – originariamente avvenuto, in riferimento alla dir. 2002/91/CE, ad opera del d.p.r. 2 aprile 2009, n. 59 – è oggi compiuto dal com-ma 12o del d.l. n. 63/13, che, come già detto, prevede l’emanazione di ap-positi decreti ministeriali per l’adeguamento delle Linee guida nazionaliper la certificazione energetica ai nuovi criteri per la definizione delle me-todologie di calcolo previsti dalla dir. 2010/31/UE. Finché tali decreti diadeguamento non verranno emanati, continueranno a trovare applicazio-ne le precedenti metodologie di calcolo (27).È chiaro che le prestazioni energetiche di un immobile dipendono for-

temente dallo stato in cui si trovano i suoi « sistemi tecnici » (come adesempio gli impianti di climatizzazione). Si spiega, in questo modo, la ra-gione per cui costituisce una condizione di efficacia dell’attestato di pre-stazione energetica il rispetto delle prescrizioni sul controllo di efficienzaenergetica dei sistemi tecnici, in particolare sugli « impianti termici » (28).Ciò ha indotto il legislatore a imporre l’« unione materiale » dei librettiche riguardano i sistemi tecnici all’attestato di prestazione energetica:l’art. 6, comma 5o, d.lgs. n. 192/05, infatti, prescrive (come, peraltro, fa-

(26) Dell’efficacia dei vecchi attestati di certificazione energetica si tratterà più avanti. Alriguardo, v. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici. Attestato di prestazione energe-tica, cit., p. 4, secondo cui: « la nuova disciplina non ha, quindi, soppresso l’ACE sosti-tuendolo con un documento totalmente diverso, ma ha semplicemente modificato ed ar-ricchito il contenuto dell’attestato, che peraltro nella fase transitoria non si differenzia sen-sibilmente – se non per quanto riguarda le norme tecniche applicabili, richiamate come sivedrà dall’art. 11 – dal vecchio ACE ». Né può sorgere alcun dubbio sulla validità, effica-cia ed idoneità dell’attestato per il solo fatto che questo – magari per difetto di aggiorna-mento del software all’uopo impiegato – venga ancora denominato con la vecchia dicitura:la previsione dell’art. 6, comma 1o (“l’attestato di certificazione energetica degli edifici èdenominato: ‘attestato di prestazione energetica’”) è, ragionevolmente, sfornita di sanzio-ne ».

(27) Tratta del regime transitorio Petrelli, Certificazione energetica degli edifici. Pro-spetto sinottico, cit., p. 15 s.

(28) Sul sistema complessivo di controllo e manutenzione degli impianti termici (d.p.r.16 aprile 2013, nn. 74 e 75), e in generale sulla normativa in materia v. Benedetti, Il si-stema giuridico dei controlli sugli impianti termici all’interno degli edifici, in Imm. & propr.,2013, p. 629.

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cevano già le Linee guida nazionali) che i libretti di impianto devono es-sere « allegati », in originale o in copia, all’attestato di prestazione ener-getica.Poiché quest’ultimo documento va, a sua volta, allegato al documento

contrattuale ci si è chiesti se anche tali libretti debbano esserlo.Si è ritenuto di dare al quesito risposta negativa (29). L’art. 6 del d.lgs. n.

192/05 prevede testualmente che il documento oggetto di allegazione èsolo una copia dell’« attestato », mentre quando il legislatore ha voluto in-dicare una categoria più ampia di documenti informativi lo ha dettoespressamente – come ha fatto, ad esempio, per l’obbligo di consegna ovesi parla (v. al comma 3o dell’art. 6 del d.lgs. n. 192/05 l’oggetto della clau-sola con la quale si menziona l’adempimento degli obblighi precontrattua-li), appunto, di « documentazione, comprensiva dell’attestato » –.

7. – Gli edifici o le singole unità immobiliari inclusi nel campo di appli-cazione della normativa sono individuati dall’art. 3 del d.lgs. n. 192/05 edalle Linee guida nazionali per la certificazione energetica.Uno dei criteri posti a fondamento dell’inclusione nell’ambito di appli-

cazione del decreto è, ovviamente, quello della « rilevanza energetica »del bene. Sono, infatti, esclusi tutti quegli edifici o manufatti che noncomportano consumi energetici o che li comportano in modo del tuttoirrilevante. Si tratta, ad esempio, di ruderi, fabbricati « al grezzo », fab-bricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 metri quadrati(salvo che per le porzioni eventualmente adibite ad uffici e assimilabili,purché scorporabili ai fini della valutazione di efficienza energetica) e deibeni che risultano non compresi nelle categorie di edifici classificati sullabase della destinazione d’uso di cui all’art. 3 del d.p.r. 26 agosto 1993, n.412, il cui utilizzo standard non prevede l’installazione e l’impiego di si-stemi tecnici di climatizzazione, quali box, cantine, autorimesse, parcheg-gi multipiano, depositi, strutture stagionali a protezione degli impiantisportivi (salvo, anche in questo caso, per le porzioni eventualmente adi-bite ad uffici e assimilabili, scorporabili ai fini della valutazione di effi-cienza energetica). Al riguardo, si segnala l’importanza del par. 2 delleLinee guida, secondo cui sono esclusi dall’obbligo di dotazione gli altriedifici « equiparabili » a quelli appena adesso elencati « in cui non è ne-cessario garantire un confort abitativo » (30). Si tratta di una clausola checonsente di escludere dall’ambito di applicazione della normativa, in viainterpretativa, tutte le costruzioni che non sono destinate « alla perma-nenza e/o all’attività di persone » (come, ad es., ricoveri di materiali o dianimali).

(29) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Cenni, Valeriani e Sbordone), Ulte-riori Note in materia di allegazione dell’attestato di prestazione energetica, in CNN Notizie,n. 165 del 9 settembre 2013, https://webrun.notariato.it/.

(30) Il concetto di « confort abitativo » non va limitato alle sole abitazioni residenziali,ma va riferito a tutti i casi in cui l’unità immobiliare è in qualche modo funzionalizzata adun’occupazione in via prevalente e continuativa da parte di persone: v. Consiglio Nazio-

nale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica, cit., p. 51; Testa, La modi-fica delle linee guida nazionali in materia di certificazione energetica, in Imm. & propr.,2013, p. 231.

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Un altro criterio di esclusione dall’ambito di applicazione della norma-tiva è la peculiare destinazione del bene. Così sono esclusi, ad esempio, ibeni culturali (ma solo nel caso – di cui occorrerebbe, invero, verificare laconcreta prospettabilità (31) – in cui il rispetto delle prescrizioni implichiun’alterazione sostanziale dei profili « culturali » del bene), gli edifici in-dustriali, artigianali, rurali non residenziali sprovvisti di impianti di clima-tizzazione; gli edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attivitàreligiose.La normativa considera anche l’ipotesi in cui la contrattazione abbia ad

oggetto un edificio ancora da costruire. In tal caso, l’alienante e/o il loca-tore dovrà dotare l’edificio dell’attestato di prestazione energetica entroquindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilità, e co-munque congiuntamente alla dichiarazione di fine lavori. In ogni caso lanorma precisa che, prima di tale momento, in caso di negoziazione rile-vante avente ad oggetto un edificio da costruire, il dante causa deve comu-nicare quale sarà la futura prestazione energetica dell’immobile. In praticaoccorrerà quantomeno fornire le principali informazioni (futura classe diprestazione energetica, valori di riferimento, ecc.) che saranno desumibilidall’attestato di prestazione energetica.La normativa non precisa qual è il diritto « negoziato » rilevante per la

normativa, ma si riferisce esclusivamente ai beni immobili e alla tipologiadi contratto (si deve trattare, come si vedrà, di contratti traslativi o di con-tratti di godimento a titolo oneroso). È noto che spesso – non solo nel lin-guaggio comune, ma anche in quello del legislatore – il riferimento al« bene » indica, in realtà, il riferimento al diritto che comprende il mag-gior numero di utilità che questo è capace di offrire ossia, di regola, laproprietà [ovviamente anche in quota (32)].Sembra, tuttavia, che un tale lettura sia eccessivamente restrittiva alla lu-

ce della ratio della normativa. In particolare, sembra opportuno compren-dere nell’ambito di applicazione tutti quei diritti reali limitati [come adesempio l’usufrutto, l’uso, l’abitazione (33), ecc.] che comportano [o po-trebbero potenzialmente comportare (34)] in capo all’acquirente la sop-portazione dei costi relativi alle prestazioni energetiche dell’edificio. Nonsembra dovuto, invece, quando tali costi restano in capo al dante causa (sipensi, ad esempio, all’iscrizione d’ipoteca).

(31) L’art. 3, comma 1o, l. n. 90/13 ha precisato che i beni culturali sono esclusi dall’ap-plicazione del d.lgs. n. 192/05 solo nel caso in cui, previo giudizio dell’autorità competenteal rilascio dell’autorizzazione ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, il rispet-to delle prescrizioni implichi un’alterazione sostanziale del loro carattere o aspetto, conparticolare riferimento ai profili storici, artistici e paesaggistici. Tuttavia, va segnalato chenella redazione dell’attestato di prestazione energetica il « certificatore » si limita sempli-cemente a « descrivere » lo stato di fatto esistente; non si riscontrano, invece, interventi in-vasivi sul bene.

(32) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 29 s.

(33) Ibidem.(34) Si pensi al trasferimento di una nuda proprietà gravata da un usufrutto (magari

prossimo alla scadenza).

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8. – Un’altra novità portata dal d.l. n. 63/13 è che, ai sensi dell’art. 15,comma 1o, d.lgs. n. 192/05, l’attestato di prestazione energetica è reso informa di dichiarazione ai sensi dell’art. 47 del d.p.r. 28 dicembre 2000, n.445 (35).Nell’attestato, dunque, è documentata una dichiarazione sostitutiva di

atto di notorietà avente ad oggetto le prestazioni energetiche dell’edifi-cio (36). In virtù di tale dichiarazione i « certificatori » (ossia i tecnici abi-litati a redigere l’attestato) sono soggetti alle sanzioni penali previste dal-l’art. 76 del citato decreto per le false dichiarazioni.Nella redazione dell’attestato occorre, pertanto, osservare la forma della

dichiarazione sostitutiva di atto notorio prevista dall’art. 48 del d.p.r. n.445/00, secondo cui « nei moduli per la presentazione delle dichiarazionisostitutive le amministrazioni inseriscono il richiamo alle sanzioni penalipreviste dall’art. 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaciivi indicate ». È noto, tuttavia, che la violazione di questa prescrizione diforma è priva di una specifica sanzione (37).Sotto il profilo della forma, si segnala che le regioni Piemonte (determi-

nazione 446 del 1o ottobre 2009) e Lombardia (decreto dirigenziale del 23ottobre 2012, n 9433) hanno predisposto un sistema che contempla un at-testato di prestazione energetica in formato digitale. Conseguentemente,nel caso in cui occorra allegare l’attestato ad un atto pubblico cartaceo, bi-sognerà provvedere alla creazione di una copia cartacea dell’attestato me-diante l’intervento di un pubblico ufficiale che ne attesti la conformità al-l’originale (informatico) (38).Un altro profilo che è qui opportuno richiamare riguarda una peculiare

disciplina vigente in passato.Prima del 28 dicembre 2012, infatti, era possibile prescindere dall’at-

testato di certificazione energetica compiendo una dichiarazione at-testante che l’immobile apparteneva alla più bassa delle classi energe-tiche previste dal sistema di certificazione nazionale (la classe « G »).Questa possibilità è stata espressamente esclusa dal d.m. 22 novem-bre 2012 (art. 2, comma 4o). È chiaro, infatti, che il titolare dell’im-mobile che avesse dovuto affrontare i costi di dotare l’immobile dell’at-testato, avrebbe trovato in questa dichiarazione una facile via per nonosservare gli obblighi di legge. Di qui la reazione dell’Unione europea

(35) Secondo un autore la forma della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà de-ve applicarsi « unicamente agli APE il cui contenuto vada asseverato con la speciale pro-cedura della dichiarazione resa nelle forme di cui al d.p.r. n. 445/00 in quanto da produrre– per le finalità previste nello stesso d.lgs. n. 192/05 – ad organismi della pubblica Ammi-nistrazione o ad esercenti di pubblici servizi. Mentre, per quanto attiene gli APE che perlegge vanno prodotti al notaio, all’acquirente dell’immobile oggetto dell’atto di cessione atitolo oneroso, o al locatario, la modulistica da utilizzare è attualmente quella prevista nel-l’allegato A delle ancora vigenti Linee guida nazionali ed eventualmente potrà essere quellache sarà prevista negli emanandi decreti ministeriali attuativi » (Testa, L’attestazione delleprestazioni energetiche secondo il d.l. 63/2013, cit., p. 496).

(36) Cfr. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici. Prospetto sinottico, cit., p. 13 s.(37) Cfr. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., p. 4.(38) Chibbaro, ACE/APE e documento informatico, in Trabace (a cura di), La certifi-

cazione energetica, cit., p. 81 s.

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che ha aperto nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione 2006/2378.Al fine di arrestare tale procedura, è stato emanato il predetto decreto

ministeriale che ha abrogato la possibilità di compiere la c.d. « dichiara-zione di classe G ».

9. – Ai sensi dell’art. 6, comma 5o, d.lgs. n. 192/05, l’attestato di presta-zione energetica ha un’efficacia temporale massima di dieci anni. Diventa,però, inefficace anche prima qualora vengano nel frattempo eseguiti inter-venti di ristrutturazione o riqualificazione tali da modificare la classe ener-getica dell’edificio (39).L’attestato diventa inutilizzabile, inoltre, qualora non siano nel frattem-

po rispettate le prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienzaenergetica dei sistemi tecnici (ad es. impianti termici) (40). Nel caso in cuil’attestato, ricorrendone i presupposti, non venisse aggiornato, divente-rebbe inutilizzabile il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui èprevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni dicontrollo di efficienza energetica.Il d.m. 26 giugno 2009 ha stabilito, inoltre, che l’attestato non perde ef-

ficacia in caso di emanazione di provvedimenti di aggiornamento delle li-nee guida nazionali e/o introduttivi di ulteriori servizi quali, a titolo esem-plificativo, la climatizzazione estiva e l’illuminazione. Si può, pertanto, ri-tenere che anche gli attestati di « certificazione » energetica attualmentein circolazione non perderanno efficacia fino alla loro naturale scadenza(e, salvo diversa disposizione, non la perderanno neanche quando sarannoemanate le nuove Linee guida).

10. – I soggetti abilitati alla redazione dell’attestato di prestazione ener-getica sono i cc.dd. « certificatori » (art. 2 del d.p.r. 16 aprile 2013, n. 75,in G.U. n. 149 del 27 giugno 2013) (41).Si tratta, in particolare, di soggetti in possesso di uno dei titoli di studio

(39) Le Linee guida nazionali hanno precisato che la certificazione energetica è aggiorna-ta ad ogni intervento di ristrutturazione, edilizio e impiantistico, che modifica la prestazio-ne energetica dell’edificio, ossia: a) ad ogni intervento migliorativo della prestazione ener-getica a seguito di interventi di riqualificazione che riguardino almeno il 25% della super-ficie esterna dell’immobile; b) ad ogni intervento migliorativo della prestazione energeticaa seguito di interventi di riqualificazione degli impianti di climatizzazione e di produzionedi acqua calda sanitaria che prevedono l’istallazione di sistemi di produzione con rendi-menti più alti di almeno 5 punti percentuali rispetto ai sistemi preesistenti; c) ad ogni in-tervento di ristrutturazione impiantistica o di sostituzione di componenti o apparecchiche, fermo restando il rispetto delle norme vigenti, possa ridurre la prestazione energeticadell’edificio. È, invece, facoltativo in tutti gli altri casi.

(40) Al riguardo, è bene osservare che, poiché il soggetto chiamato a redigere il testo delcontratto (nei casi in cui costituisce presupposto di applicazione della normativa) non hasempre la possibilità di sincerarsi personalmente della sussistenza di questi requisiti di uti-lizzabilità dell’attestato, si consiglia di inserire un’apposita dichiarazione dell’alienante e/odel locatore: cfr. Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazioneenergetica, cit., p. 43; Testa, L’attestazione delle prestazioni energetiche secondo il d.l. 63/2013, cit., p. 497.

(41) V. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., p.17 s.

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elencati al comma 3o dell’art. 2 del d.p.r. n. 75/13 e abilitati (42) oppure disoggetti in possesso di uno dei titoli di studio elencati al comma 4o del-l’art. 2 del d.p.r. n. 75/13 e di un attestato di frequenza, con superamentodell’esame finale, relativo a specifici corsi di formazione (43).I certificatori, nel compiere le loro valutazioni sulle prestazioni energe-

tiche dell’edificio, devono essere imparziali e indipendenti. A tal fine, nelsottoscrivere l’attestato devono dichiarare l’assenza di conflitto di interes-si (44).Si ritiene che la mancanza della dichiarazione di indipendenza non infici

la validità dell’attestato qualora i requisiti di indipendenza ed imparzialitàsussistano, effettivamente, in capo al certificatore (45): è, infatti, l’effettivaesistenza dei requisiti il requisito di validità, e non la sua « menzione » nelcorpo dell’attestato.

IIIGli obblighi normativi

11. – L’obbligo di dotare un bene dell’attestato di prestazione energeti-ca non è necessariamente connesso ad un’attività negoziale, ma può di-pendere da altri fatti, come ad esempio la « costruzione » dell’edificio (av-venuta, ovviamente, dopo l’entrata in vigore della normativa); la sua « ri-strutturazione importante » (46), o la mera circostanza di essere di titolari-tà pubblica (47).

(42) Nel caso in cui il tecnico non sia competente in tutti i campi richiesti, deve operarein collaborazione con altro tecnico abilitato competente.

(43) Se il soggetto che ha redatto l’attestato energetico si trova in Regioni che si sono do-tate di appositi albi o registri di tecnici accreditati, sarà sufficiente consultare tali albi o re-gistri. Se, invece, tale soggetto si trova in Regioni che non hanno legiferato, occorre far ri-ferimento ad altri elementi per verificare l’abilitazione del tecnico (titolo di studio, iscrizio-ne all’ordine, abilitazione, ecc.).

(44) Le situazioni in cui si pone il conflitto di interessi sono descritte dall’art. 3 del d.p.r.16 aprile 2013, n. 75, in G.U. n. 149 del 27 giugno 2013, in vigore dal 12 luglio 2013 (Re-golamento recante disciplina dei criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione el’indipendenza degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica degliedifici). A norma dell’art. 15, comma 3o, il professionista qualificato che rilascia un attesta-to di prestazione energetica degli edifici senza il rispetto dei criteri e delle metodologie dicui all’art. 6, è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 700 Euro e non su-periore a 4.200 Euro.

(45) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 41.

(46) Si evidenzia – Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazioneenergetica, cit., p. 14 s. – che il concetto di « ristrutturazione importante » prescritto in ma-teria di certificazione energetica comprende è diverso da quello definito dal Testo unicodell’edilizia (d.p.r. n. 380/01): con le modifiche apportate dal d.l. n. 63/13 si è ampliata laplatea degli interventi rilevanti ai fini « energetici ».

(47) La nozione di edificio pubblico rilevante ai fini energetici si trova nell’art. 2, comma1o, lett. l sexies e l septies, d.lgs. n. 192/05; v. inoltre i commi 6o, 7o, 9o dell’art. 6 d.lgs.192/05 sui casi requisiti di superficie minima richiesti per dotare l’edificio dell’attestato,sull’obbligo di affiggere l’attestato in luogo visibile al pubblico, e sull’obbligo di predi-sporre l’attestato nei contratti relativi alla gestione degli impianti termici o di climatizzazio-ne.

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Fuori da queste ipotesi, è probabilmente nell’ottica di far sì che anchegli edifici « già esistenti » (48) vengano gradualmente dotati – presto o tar-di – dell’attestato di prestazione energetica, che l’obbligo in esame è statocollegato ad uno spettro piuttosto ampio di vicende negoziali.Al riguardo, è bene sottolineare che sussiste un disallineamento degli

ambiti di applicazione tra l’obbligo di dotazione [nonché di informazionee consegna (49)] – che è attualmente prescritto anche per i contratti trasla-tivi a titolo gratuito (50) – e l’obbligo di allegazione – che invece non con-templa tale categoria di atti –.Salvo non si tratti – come pure è stato detto (51) – di un difetto di coor-

dinamento, la circostanza che dal 4 agosto 2013 – data entrata in vigoredella l. n. 90/13 di conversione del d.l. n. 63/13 – l’obbligo di dotazionesia rilevante anche in presenza di trasferimenti a titolo gratuito si spiegaforse nell’ottica di rendere più celere la graduale dotazione dell’attestatoper gli edifici già esistenti. Si tratta, comunque, di una accelerazione im-posta in modo « attenuato », visto che per gli atti a titolo gratuito la viola-zione dell’obbligo è priva sanzione: l’art. 15, comma 8o, d.lgs. n. 192/05,infatti, limita la sanzione amministrativa pecuniaria per mancata dotazio-ne al solo caso della « vendita ».Proprio il riferimento a quest’ultimo tipo di contratto (la « vendita ») in-

dica l’altra categoria di atti in virtù dei quali sorge dell’obbligo di dotazio-ne.Si ritiene che tale riferimento sia eccessivamente restrittivo (anche se, in-

vero, nell’uso di questa terminologia il legislatore italiano non si è disco-stato da quello europeo).Nella previsione normativa si fanno rientrare, infatti, tutti gli atti trasla-

tivi « a titolo oneroso » (52). A favore di questa interpretazione depone, ol-

(48) A partire dal 1o luglio 2009 l’obbligo di dotare gli edifici della certificazione ener-getica è diventato un obbligo generalizzato, esteso a tutti gli edifici.

(49) V. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici. Prospetto sinottico, cit., p. 6.(50) Il Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,

cit., p. 19, segnala opportunamente che la disciplina riguarda non solo la donazione o leliberalità donative, ma anche ogni altro negozio nel quale – anche senza spirito di liberalità– vi sia trasferimento di immobile a titolo gratuito.

(51) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), Allegazione dell’APE – Modi-fica del regime sanzionatorio, in Segnalazione novità normative, dal CNN Notizie del 24 di-cembre 2013, in https://webrun.notariato.it/, § 3.

(52) Per un’ampia elencazione di ipotesi che rientrano in questa categoria v. Consi-glio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica, cit., p. 31 ss.Non è questa la sede per tracciare i confini della categoria degli « atti traslativi a titolooneroso ». Sarà consentito, tuttavia, segnalare, ad esempio, che non persuade l’idea diescludere dalla categoria degli atti « traslativi » il contratto di mutuo dissenso di contrat-to ad effetti reali (Orlando, Mutuo dissenso e contratti integralmente eseguiti, in Contrat-ti, 2012, p. 478 ss.); mentre per quanto riguarda la divisione, non persuade l’idea chel’esclusione dall’ambito di applicazione della normativa dipenda dalla natura « dichiarati-va » o « costitutiva » dell’effetto. Sembra ormai chiaro, infatti, che l’effetto dell’atto di di-visione è « costitutivo », quantomeno se si intende dare a tale termine un significato tec-nico (cfr. Falzea, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, ora anche inRicerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, II, Dogmatica giuridica, Mi-lano, 1997, da cui si cita, p. 153 ss.): ben « diverse » sono le situazioni giuridiche delleparti « prima » e « dopo » l’operatività del contratto – mentre, com’è noto, il tratto tipico

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tre alla ratio della previsione – che sarebbe evidentemente frustrata dallasua limitazione ad una sola ipotesi tipica di contratto –, anche il fatto chespesso la « vendita » viene identificata come il modello paradigmatico –più elementare e diffuso – di trasferimento a titolo oneroso (53): la sua in-dicazione porta, pertanto, a comprendere tutta la categoria.Stesse considerazioni, peraltro, è possibile ripetere per il riferimento alla

« locazione »; figura che sembra essere richiamata quale modello paradig-matico dei contratti onerosi a scopo di godimento. In quest’ottica, non sihanno dubbi, ad esempio, nel ritenere applicabile la normativa in esame acontratti come il leasing (54). Al riguardo, l’art. 6, comma 2o, del d.lgs. n.192/05 prescrive che l’obbligo di dotazione sorge solo per le « nuove » lo-cazioni aventi ad oggetto edifici o unità immobiliari: la norma non si ap-plica, quindi, per le rinnovazioni o proroghe di rapporti di locazione per-fezionati prima del 6 giugno 2013 (55). Prima del d.l. n. 63/13 non era pre-visto alcun obbligo di dotazione nel caso di locazione di edifici.Come accennato, sotto il profilo sanzionatorio, l’art. 15 del d.lgs. n. 192/

05 prevede una serie di sanzioni amministrative pecuniarie. Nessuna con-seguenza civilistica è espressamente prevista per il negozio eventualmentestipulato in assenza di attestato. Si pone, quindi, il problema – che verràaffrontato più avanti – di stabilire quale sia la sorte di tale contratto.

12. – Le informazioni sulle prestazioni energetiche degli edifici che ilproprietario deve fornire al potenziale avente causa (acquirente o locata-rio) sono imposte fin dalla fase precontrattuale delle trattative (56).Il comma 2o dell’art. 6, infatti, prevede (per « tutti i casi ») l’obbligo

per il potenziale dante causa di « rendere disponibile » l’attestato già almomento dell’avvio delle trattative. In pratica, l’attestato di prestazioneenergetica deve essere « mostrato al potenziale acquirente o nuovo loca-tario » all’inizio delle trattative (così il comma 2o dell’art. 12 dir. 2010/31/UE).Sotto questo profilo, la disciplina in esame si avvicina a quella « consu-

dell’effetto « dichiarativo » è l’identità delle situazioni « prima » e « dopo » l’effetto giuri-dico integrandosi un mero svolgimento interno alla situazione giuridica. Andrebbe di-scusso, semmai, se si tratta di un contratto « oneroso » (v. ad es. Gabrielli e Gazzoni,Trattato della trascrizione, I, La trascrizione degli atti e delle sentenze, Milano, p. 263), op-pure « gratuito » o « neutro » (v. gli AA. citati in Mora, Il contratto di divisione, Milano,1995, p. 240, nt. 101).

(53) Occorre, peraltro, sottolineare la stranezza della tecnica normativa usata: l’indica-zione degli altri atti rilevanti per la normativa in esame (ossia gli atti trasferimento a titologratuito) avviene senza fare riferimento ad una singola ipotesi negoziale rientrante nella ca-tegoria. E ancora più strano è notare che il riferimento alla categoria degli « atti di trasfe-rimento a titolo oneroso » è esplicitata, ad esempio, per l’obbligo di allegazione. Per altroverso, proprio quest’ultima circostanza conferma l’interpretazione accolta nel testo: l’ob-bligo di allegazione, infatti, presuppone che l’immobile sia già stato dotato dell’attestato.

(54) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 23.

(55) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 22.

(56) Così dispone il comma 2o dell’art. 6 d.lgs. n. 192/05, come introdotto dal d.l. n. 63/13.

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meristica », nella quale sono diffusi obblighi informativi che precedono laconclusione del contratto.Le assonanze, tuttavia, si arrestano qui (o vanno poco oltre), perché nel

rapporto in esame non si prospettano una parte « debole » ed una « for-te »: entrambe – come si vedrà – sono chiamate a rispondere per la viola-zione degli obblighi di informazione. La normativa, inoltre, trova applica-zione a prescindere dalla professione eventualmente svolta dalle parti (percui potrebbe darsi, ad esempio, che la parte « esperta » sia l’acquirente).Dallapeculiaredisciplinadell’obbligodi informazione, si puòdedurre, quin-

di, che il legislatore non punta tanto a tutelare una parte nei confronti dell’al-tra,ma punta a gestire ilmercato immobiliare tentandodi polarizzare l’atten-zione dell’acquirente/locatario su aspetti di cui promuove la diffusione (57).

13. – La nuova versione dell’art. 6, comma 2o, d.lgs. n. 192/05 prevedeanche l’obbligo di « consegnare » l’attestato di prestazione energetica« alla fine » delle trattative – e « prima », quindi, della conclusione delcontratto traslativo [si pensi, ad esempio, il momento della conclusione diun contratto preliminare (58)] –.Come già anticipato, a differenza dell’obbligo di consegna dei docu-

menti inerenti all’uso della cosa negoziata relativi al bene negoziato disci-plinato dall’art. 1477 c.c., la consegna dell’attestato di prestazione energe-tica non si pone nella fase « esecutiva » del rapporto contrattuale, ma ad-dirittura prima che esso sorga.La norma prescrive che oggetto di consegna è un esemplare dell’attesta-

to diverso da quello che sarà allegato al documento contrattuale (che, nona caso, è propriamente una « copia » dell’attestato). L’interpretazione ap-pare confermata dal fatto che al momento della conclusione del contrattoil potenziale acquirente/conduttore deve dichiarare di aver (già) ricevuto« la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazio-ne della prestazione energetica degli edifici ».S’è già visto, inoltre, che nella « documentazione » indicata dalla dispo-

sizione ci sono certamente i libretti di impianto.L’obbligo di consegna sussiste anche per i contratti di locazione. Va det-

to che il previgente comma 9o dell’art. 15 prevedeva, per il caso di viola-zione dell’obbligo di « consegna » in copia dichiarata dal proprietarioconforme all’originale in suo possesso – obbligo allora previsto dall’art. 6,comma 4o, del d.lgs. n. 192/05 – un’ipotesi di nullità relativa a favore delconduttore. La norma fu poi abrogata dall’art. 35, comma 2o bis, d.l. n.112/08 nel testo emendato in sede di conversione dalla l. n. 133/08.L’evoluzione normativa sul punto è evidente. Oggi, infatti, il nuovo te-

sto dell’art. 15, comma 7o, d.lgs. 192/05 non contempla più specifichesanzioni (neanche amministrative) per la violazione dell’obbligo di conse-

(57) È stato detto che scopo della normativa è quello di « creare dal basso, in seno allapopolazione, la sensibilità al problema, in modo che non siano soltanto le autorità a tute-lare il bene del risparmio energetico, ma si diffonda anche nella popolazione un forte im-pulso in tal senso »; così Casu, Normativa sul rendimento energetico e commerciabilità delfabbricato, in Riv.notariato, 2007, p. 35.

(58) V. Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., p. 4.

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gna – così come per l’obbligo di mostrare l’attestato all’avvio delle tratta-tive di cui s’è detto in precedenza – essendo contemplata – come si vedrànel prossimo punto – solo per la mancata documentazione del suo adem-pimento nel corpo del testo contrattuale. Non è, dunque, prevista unaspecifica sanzione civilistica. Si pone, quindi, il problema di stabilire (sec’è) quale essa sia.

14. – A partire dal 29 marzo 2011 – data di entrata in vigore dell’art. 6,comma 2o ter, d.lgs. n. 192/05 ad opera dell’art. 13 del d.lgs. n. 28/11 – ilrispetto degli obblighi di informazione e consegna deve essere documen-tato nel testo del contratto mediante l’inserimento di un’apposita clausolacon la quale l’avente causa dichiara di aver ricevuto le informazioni e ladocumentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla prestazioneenergetica degli edifici. Si è così inteso, con questo strumento, rendere ef-fettiva la consapevolezza (dell’acquirente o del conduttore) in ordine alleprestazioni energetiche.Per l’adempimento di quest’obbligo, sembra sufficiente la semplice di-

chiarazione di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, com-prensiva dell’attestato, relative alle prestazioni energetiche dell’edificiosenza dover dettagliare il contenuto e la qualità delle informazioni e dellealtre documentazioni ricevute (59). Non è neanche necessario che detta di-chiarazione sia resa nella forma di « dichiarazione sostitutiva di atto di no-torietà », in quanto ciò non è richiesto dalla norma (60).In modo più preciso di quanto si faccia per l’obbligo di dotazione (e di

quanto si faceva per lo stesso obbligo di menzione), il nuovo comma 3o

dell’art. 6 del d.lgs n. 192/05 delimita l’ambito di applicazione dell’obbli-go di menzione riferendolo espressamente – oltre ai contratti di « compra-vendita immobiliare » – anche agli « atti di trasferimento di immobili a ti-tolo oneroso » e ai nuovi contratti di locazione di interi edifici o di singoleunità immobiliari soggetti a registrazione.Quanto ai « trasferimenti a titolo oneroso », si può ritenere che tale ob-

bligo sussista fin dall’entrata in vigore dell’art. 13 del d.lgs. n. 28/11 (cheaveva inserito all’uopo un comma 2o ter all’art. 6 del d.lgs. n. 192/05),benché la norma facesse espresso riferimento alle sole « vendite ». Al ri-guardo, si possono richiamare, senza replicarle, le considerazioni già svol-te per il riferimento alla « vendita » di cui s’è detto trattando dell’obbligodi dotazione.È bene ricordare che dal 4 agosto 2013 – data di entrata in vigore della l.

n. 90/13 di conversione del d.l. n. 63/13 fino al 24 dicembre 2013 – al 24dicembre 2013 – data di entrata in vigore della d.l. n. 145/13 – l’obbligodi documentazione della dichiarazione è stato esteso anche agli « atti ditrasferimento di immobili a titolo gratuito ». Tale estensione fu dovuta aragioni di coordinamento con l’obbligo di dotazione e allegazione (che ildecreto di giugno estese, appunto, anche a questo tipo di atti); ma non è

(59) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 61.

(60) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 62.

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inutile ricordare che solo tale obbligo era sfornito di specifica sanzione.Diversamente dalla previgente disciplina – ove si parlava genericamente

di contratti di « locazione » – la versione della norma uscita dal decreto didicembre fa più precisamente riferimento solo ai « nuovi contratti di loca-zione »; formula identica a quella prescritta per l’obbligo di dotazione.Per le ragioni anzidette, anche in questo caso la disciplina è da ritenersiestesa a tutti i contratti di godimento a titolo oneroso.Prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 63/13, la disciplina in tema di di-

chiarazione di avvenuta informativa di cui al previgente comma 2o ter, art.6, d.lgs. n. 192/05 si applicava solo ai contratti di locazione aventi per og-getto edifici che fossero già stati « dotati » della certificazione energetica(ad esempio gli edifici costruiti in forza di titolo edilizio richiesto dopo l’8ottobre 2005). Rimanevano esclusi, invece, i contratti di locazione aventiper oggetto « fabbricati esistenti » non ancora dotati di certificazioneenergetica. Con l’entrata in vigore del d.l. n. 63/13, tutti i fabbricati, an-che quelli già esistenti, devono essere dotati dell’attestato di prestazioneenergetica se costituiscono oggetto di un nuovo contratto di locazio-ne (61).Come accennato, nel sistema previgente l’effettività dell’obbligo di men-

zione era, tuttavia, messa in crisi dall’assenza di sanzioni. Anche l’integraleomissione della clausola, infatti, non avrebbe visto alcuna reazione dell’or-dinamento.Questa lacuna è stata colmata solo dal d.l. n. 145/13, il quale ha previsto

che in caso di omessa dichiarazione, le « parti » sono soggette al pagamen-to, « in solido e in parti uguali », della sanzione amministrativa pecuniaria.Oltre alla peculiarità data dai soggetti destinatari della sanzione – sullaquale si avrà modo di ritornare – è da sottolineare il fatto che neanche inquesto caso il legislatore ha previsto una specifica sanzione civilistica incaso di violazione dell’obbligo.

15. – La disciplina dell’obbligo di allegazione dell’attestato di presta-zione energetica ha visto, nel giro di pochi anni, numerosi rimaneggia-menti.Allo stato del diritto vigente, una copia dell’attestato energetico deve es-

sere allegata al contratto di compravendita immobiliare, agli altri atti ditrasferimento a titolo oneroso e ai nuovi contratti di locazione di edifici odi singole unità immobiliari di edifici o di singole unità immobiliari sog-getti a registrazione. La violazione dell’obbligo di allegazione comportal’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.Così come s’è visto valere per l’obbligo di documentazione della dichia-

razione di ricevuta informazione, anche in caso di mancata allegazione« entrambe » le parti del contratto sono soggette al pagamento della san-zione amministrativa pecuniaria da Euro 3.000 a Euro 18.000; la sanzioneè da Euro 1.000 a Euro 4.000 per i contratti di locazione di singole unitàimmobiliari e, se la durata della locazione non eccede i tre anni, essa è ri-dotta alla metà. In sede di conversione in legge del decreto da parte della

(61) Consiglio Nazionale del Notariato (est. Rizzi), La certificazione energetica,cit., p. 62.

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l. n. 9/14, si è precisato che il pagamento della sanzione amministrativanon esenta dall’obbligo di presentare la dichiarazione o la copia dell’atte-stato di prestazione energetica entro quarantacinque giorni. Inoltre, giànel decreto di dicembre 2013 si prevedeva che l’autorità preposta all’ac-certamento e alla contestazione della violazione fosse la Guardia di Finan-za, ovvero, all’atto della registrazione del contratto, l’Agenzia delle Entra-te.Prima di arrivare a questo stadio, la disciplina dell’obbligo di allegazio-

ne ha più volte subito modifiche sia in ordine all’ambito di applicazione(che per un certo periodo è stato del tutto azzerato), sia per quanto riguar-da la disciplina sanzionatoria.Nella versione originaria, il combinato disposto tra il comma 3o dell’art.

6 e il comma 8o dell’art. 15 del d.lgs. n. 192/05, come modificato ed inte-grato dal d.lgs. n. 311/06, prevedeva che l’attestato di certificazione ener-getica dovesse essere obbligatoriamente allegato agli atti di trasferimentoa titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari che nefossero già dotati. In particolare, l’art. 15, comma 8o, prevedeva la « nulli-tà » dell’atto come reazione alla violazione di questo obbligo. Tale vizio,però, poteva essere fatto valere « solo dall’acquirente »: si configurava,quindi, un’ipotesi di nullità « relativa ».Tale disciplina è stata successivamente abrogata dall’art. 35, comma 2o

bis, d.l. n. 112/08, convertito dalla l. n. 133/08 che ha fatto venir meno sial’obbligo di allegazione dell’attestato, sia la sanzione della nullità.Nel corso del 2013, la disciplina dell’obbligo di allegazione ha poi subi-

to ulteriori innovazioni.Innanzitutto, nel tentativo di ridurre il gap con il diritto dell’Unione eu-

ropea si è forse ecceduto: la l. n. 90/13 di conversione del d.l. n. 63/13, in-fatti, non solo ha reintrodotto, a pena di nullità, l’obbligo di allegazione(tramite l’inserimento di un comma 3o bis all’art. 6 d.lgs. n. 192/05), maha addirittura compreso nell’ambito di applicazione anche gli atti di tra-sferimento a titolo gratuito e i nuovi contratti di locazione (che non eranocontemplati neanche nelle precedenti versioni della normativa). Peraltro,va sottolineato che, a differenza della « originaria » disciplina del 2005, laviolazione dell’obbligo era testualmente sanzionata con la « nullità », sen-za limitazioni in ordine alla legittimazione ad agire. Si trattava, quindi, diun’ipotesi di nullità « assoluta ».Ricalibrando la previsione, alla fine del 2013 la disciplina dell’obbligo di

allegazione è stata nuovamente modificata per effetto del d.l. n. 145/13. Èstato, così, ridotto l’ambito di applicazione – escludendo dall’obbligo gliatti traslativi a titolo gratuito e limitandolo ai soli contratti di nuova loca-zione aventi per oggetto interi edifici (restano fuori le locazioni non sog-gette a registrazione e quelle aventi ad oggetto singole unità immobiliari) –e cambiata la sanzione – prevedendo, al posto della nullità, una sanzioneamministrativa.Allo stato attuale, quindi, la violazione dell’obbligo di allegazione, un

tempo disciplinata con la nullità, è priva di una specifica sanzione civilisti-ca. Si pone, quindi, il problema – che verrà affrontato dal prossimo para-grafo in poi – di stabilire quale sia a sorte del contratto concluso senzaprovvedere ad essa. Va segnalato, peraltro, che il d.l. n. 145/13 ha previsto

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un’importante novità per quanto riguarda le violazioni sanzionate con lanullità assoluta sotto la vigenza del d.l. n. 63/13. Di essa si tratterà nell’ul-timo paragrafo.

16. – Da quanto fin qui esposto, è emerso che numerose sanzioni ammi-nistrative sono previste per la violazione dei principali obblighi che ruota-no attorno all’attestato di prestazione energetica. Resta, invece, il proble-ma di stabilire quali sono (se ci sono) i rimedi civilistici previsti per la vio-lazione dei suddetti obblighi nella fase precontrattuale (dotazione, infor-mazione e consegna) e in quella della formazione del contratto (menzionee allegazione) (62).È evidente, innanzitutto, che se le trattative non vanno a buon fine, la

violazione degli obblighi (di dotazione, di rendere disponibile l’attestatoall’avvio delle trattative e di consegnarlo alla fine delle medesime) può le-gittimare il potenziale acquirente o locatario a chiedere il risarcimento deldanno per responsabilità precontrattuale: la mancata disponibilità del do-cumento informativo necessario per il « confronto » tra edifici potrebbe,infatti, aver rallentato o intralciando gli affari del potenziale contraente. Èchiaro, peraltro, che il quadro delle reazioni previste dall’ordinamento siarricchisce anche dell’irrogazione di una sanzione amministrativa nel solocaso in cui la violazione di tali obblighi sia stata causata dalla mancata do-tazione dell’attestato.Se, invece, il contratto viene concluso, l’analisi delle tutele previste per

le violazioni dei vari obblighi può essere trattata insieme a quella dell’ob-bligo di documentare, in un’apposita clausola contrattuale, la dichiarazio-ne di parte in ordine all’adempimento dei predetti obblighi: nel peculiareassetto sanzionatorio predisposto dal legislatore, infatti, la garanzia di os-servanza degli obblighi di informazione e consegna (di per sé sguarniti diuna sanzione amministrativa) viene data dalla sanzione prevista per la vio-lazione dell’obbligo di « menzione » del loro adempimento nel testo delcontratto.Come dianzi anticipato, solo con il d.l. n. 145/13 tale sanzione è stata

prevista.È certamente peculiare, innanzitutto, la circostanza che – a differenza di

altre discipline – venga imposta quale oggetto di una specifica documen-tazione non tanto il contenuto di determinate « informazioni » di cui l’ac-quirente o il locatario devono tener conto nella conclusione del contratto,ma piuttosto sul precedente l’adempimento degli obblighi di informazio-ne.Ciò consente di rilevare che – come la dottrina ha evidenziato per altri

casi (63) – l’obiettivo avuto di mira dal legislatore non è tanto la disciplinadella forma che deve avere « l’atto », quanto piuttosto prevedere un mec-canismo di controllo delle « attività » compiute prima di sfociare nell’atto.

(62) Resta inteso che nel caso in cui gli obblighi sono prescritti a prescindere da vicendenegoziali (come, ad esempio, le ipotesi viste di obbligo di dotazione), il proprietario saràsoggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria prevista ad hoc a prescindere da tali vi-cende.

(63) D’Amico, voce Formazione, cit., p. 37 ss.

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La normativa punta a disciplinare più che un « modello di atto », l’attivitàdella « contrattazione » che precede la formazione dell’atto. Sembra, in-fatti, che il legislatore abbia voluto polarizzare l’attenzione sul flusso di in-formazioni scambiate durante la fase delle trattative, con l’obiettivo diporre gradualmente fuori mercato quelle pratiche che, sotto tale profilo,non raggiungono una certa « qualità ». Si tratta, quindi, di una disciplinache può essere a pieno titolo inserita nella corrente del c.d. neoformalismonegoziale (64).Peculiare è, altresì, la circostanza che al pagamento della sanzione sono

soggette, in solido e in parti uguali, le parti che abbiano omesso la dichia-razione. Il fatto che destinatarie della sanzione amministrativa siano tuttele parti del contratto (e non solo il dante causa), mostra qual è il punto diequilibrio nei rapporti tra le parti. L’adempimento di questa formalitànon si configura come una pretesa che una parte può vantare nei confron-ti dell’altra. Si tratta, piuttosto, di un meccanismo che punta a garantire almassimo l’effettività dell’informazione dovuta, obbligando « tutti » gli at-tori della contrattazione a svolgere il proprio ruolo: essere informati sulleprestazioni energetiche, quindi, non si configura solo come un « diritto »,ma anche come un « obbligo ».Nella fattispecie in esame, quindi, si è al di fuori della ratio solitamente

sottesa alla normativa consumeristica – che è notoriamente diretta a col-mare, a tutela del c.d. contraente « debole », un’asimmetria informativa(da ridurre attraverso la previsione degli obblighi informativi) nei con-fronti del professionista esperto del settore –. Ciò, peraltro, non avrebbemolto senso: l’omissione delle informazioni, infatti, non comporterebbeuna disciplina « vessatoria ».Ricorre piuttosto la volontà di porre all’attenzione degli attori del mer-

cato immobiliare l’importanza del valore dell’efficienza energetica. Neiconfronti dell’avente causa, la polarizzazione dell’attenzione sulle presta-zioni energetiche è perseguito in modo così decisivo da indurre a configu-rare una sanzione pecuniaria anche a suo carico nel caso in cui non parte-cipi « attivamente » all’adempimento degli obblighi connessi all’attestatodi prestazione energetica. Si conferma, quindi, l’idea che l’adempimentodegli obblighi di informazione vedono coinvolti tutti gli attori della con-trattazione, nessuno escluso.Dunque, nel tentativo di individuare il rimedio civilistico applicabile nel

caso di mancata dichiarazione occorre tenere conto di almeno questi dueaspetti: il primo è che interesse preminente non è tanto tracciare i requisitidi rilevanza giuridica di un atto, bensì innalzare la qualità delle attivitàcompiute durante le trattative (aventi ad oggetto, in particolare, il flussodelle informazioni); il secondo è che destinatari di tali doveri sono tutte leparti del contratto: sebbene una sola sia quella tenuta a fornire le informa-

(64) Sul c.d. « neoformalismo negoziale » v. Amagliani, Profili della forma nella nuovalegislazione sui contratti, Napoli, 1999; Breccia, La forma, in Tratt. Roppo, I, Formazione,a cura di Granelli, Milano, 2006; Pagliantini, Forma e formalismo nel diritto europeo deicontratti, Pisa, 2009; Id., voce Neoformalismo contrattuale, in Enc. dir., Ann., IV, Milano,2011, p. 772 ss.

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zioni, l’altra non può esimersi dal partecipare attivamente alla loro fruizio-ne.Se tutto ciò è vero, non può non apparire inadeguato invocare la nullità

del contratto per la violazione di una prescrizione di « forma ». Oggettodi riprovazione – come detto – è l’inadeguatezza della « contrattazione »(più che « dell’atto »): è questa la ragione per cui è stata prevista esclusi-vamente una sanzione amministrativa. Questo tipo di sanzione, infatti, simostra come la più idonea a reprimere condotte che sono, di per sé,« estranee » all’atto. La reazione dell’ordinamento nei confronti di tali at-tività non può essere quella della tutela invalidatoria diretta a ristorare uninteresse individuale, ma è evidentemente di tipo diverso.Allo stesso modo, sarebbe evidentemente poco coerente con la ratio del-

la disciplina in esame riconoscere all’acquirente e al conduttore la possibi-lità di chiedere il diritto al risarcimento dei danni per la violazione degliobblighi precontrattuali di informazione e consegna: è chiaro che, dichia-rando di essere stati informati, tali soggetti condividono il rischio di ve-dersi attribuito un bene meno conveniente di quello che avrebbero potutoavere se avessero avuto la possibilità di compiere il confronto.Nella medesima prospettiva, avrebbe evidentemente poco senso una

sanzione civilistica se l’attività diretta a fornire obblighi di informazione econsegna fosse stata correttamente osservata, e le parti avessero soloomesso di menzionarle in atto: sarebbe una reazione del tutto fuori segnodisconoscere effetti giuridici all’atto allorquando lo scopo della normafosse stato pienamente raggiunto.Simmetricamente, nessuna tutela civilistica potrà chiaramente invocare

(anzi, corre solo rischi connessi alle false attestazioni) l’avente causa disin-teressato alle prestazioni energetiche che dichiari falsamente che tali ob-blighi sono stati adempiuti.

17. – Anche per quanto riguarda la violazione dell’obbligo di allegazio-ne dell’attestato si può escludere la nullità del contratto per violazione diuna prescrizione di forma. Ciò non tanto per l’assenza di una esplicitazio-ne normativa in tal senso (si potrebbe dire, infatti, che la « riserva di leg-ge » prevista dall’art. 1325, n. 5, c.c. non richiede una sanzione « espres-sa », ma solo una « previsione legislativa » dalla cui ratio è possibile « ri-cavare » il rimedio), quanto per la scarsa coerenza di tale « radicale » so-luzione con quello che sembra essere il fondamento di questa « formali-tà ».Nel caso della violazione dell’obbligo di allegazione, tuttavia, non sem-

bra possibile ripetere (se non in parte) quanto già detto sulla violazionedell’obbligo di menzione. Per quest’ultimo, infatti, s’è visto che tale solu-zione è giustificata dal fatto che la normativa in esame non sembra punta-re a configurare un modello di « atto », quanto a porsi, piuttosto, comestrumento di controllo (ex post) di una corretta « attività » precontrattua-le.Tuttavia, a differenza dell’obbligo di menzione (che guarda all’adempi-

mento degli obblighi precontrattuali di informazione e consegna), nel ca-so dell’obbligo di allegazione la scorrettezza riguarda proprio il momentoconclusivo del contratto. L’allegazione, infatti, non guarda « al passato »

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(ossia alla « contrattazione »), bensì proprio al momento del perfeziona-mento del contratto. Essa serve non tanto come strumento di garanzia dicorrettezza delle condotte precontrattuali, quanto proprio a disegnarequel « modello di atto » la cui mancata integrazione potrebbe giustificareil disconoscimento di effetti giuridici.Nondimeno, la difformità dal « modello d’atto » non sembra debba ne-

cessariamente risolversi in un severo giudizio di invalidità dello stesso.Com’è noto, in linea di teoria generale, ogni fattispecie normativa ha un

modello « formale » che tollera delle difformità non troppo gravi in virtùdel principio della « massima conservazione possibile » della fattispe-cie (65). È chiaro, tuttavia, che tale riconoscimento deve avvenire « nei li-miti volta per volta più o meno ampi in cui è consentito lo scarto del cri-terio sostanziale dal modello formale » (66). Si tratta, quindi, di capire sel’atto privo di allegato si trovi, o meno, all’interno dello « scarto consenti-to ». Ciò dovrà essere valutato, ovviamente, senza cedere a fuorvianti giu-dizi formulati a priori, bensì alla luce (stante l’assenza di un chiaro dettatolegislativo, quantomeno) di « indici » positivi che mostrino la tollerabilitàdella difformità.Un primo indice positivo in tal senso è dato dall’esistenza della sanzione

amministrativa. Come s’è visto, secondo il criterio del « minimo mezzo »,lo scopo di tutela dell’interesse generale perseguito dalla norma sembraperfettamente compiuto con l’irrogazione della specifica sanzione pecu-niaria.Non solo. A confermare tale soluzione è, a ben vedere, il fondamento

che si trova alla base di tutta la normativa in esame. L’analisi del dato po-sitivo ha mostrato che lo scopo principale perseguito dal legislatore consi-ste nel garantire all’acquirente e al locatario la consapevolezza sulle pre-stazioni energetiche dell’edificio: è l’informazione, infatti, la chiave di vol-ta del meccanismo predisposto dal legislatore come strumento di regola-zione del mercato immobiliare. Orbene, ipotizzando, ad esempio, il casoin cui « solo » l’obbligo di allegazione sia stato inadempiuto (mentre sonostati osservati i precedenti obblighi di informazione e consegna) sarebbedavvero assurdo sanzionare con il rimedio più grave un contratto nel qua-le l’obiettivo perseguito dalla normativa è stato raggiunto.Non avrebbe senso, per altro verso, invocare un rimedio di « protezio-

ne », a tutela di una sola parte del rapporto. Oltre alla inadeguatezza delrimedio invalidatorio per le ragioni anzidette, va considerato che anche

(65) Secondo Falzea, voce Efficacia giuridica, cit., p. 457: « la tendenza generale saràquella della massima conservazione possibile della efficacia, adattata naturalmente alle de-viazioni o variazioni caso per caso diverse. Il principio di adattabilità dice appunto cheogni norma di legge contiene oltre il suo rigido modello formale un criterio sostanziale piùelastico di orientamento dell’efficacia e che nei limiti volta per volta più o meno ampi incui è consentito lo scarto del criterio sostanziale dal modello formale l’effetto deve potersiadattare alle variazioni della fattispecie. Il regime delle anomalie dei negozi e in genere de-gli atti giuridici può ritenersi una immediata applicazione del principio di adattabilità, cosìcome il regime dell’interpretazione e l’esigenza di conservazione a cui esso si ispira » (cor-sivi aggiunti); conf. Tommasini, voce Invalidità (dir. priv.), in Enc. dir., XXII, Milano,1972, § 5.

(66) Falzea, op. loc. citt.

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per la violazione dell’obbligo di allegazione la reazione dell’ordinamentovede come soggetti passivi anche l’acquirente e il locatario. Il rispetto del-l’obbligo di allegazione, quindi, non integra la pretesa di parte (in ipotesi« debole ») nei confronti dell’altra (che si assume « forte »), ma è posto acarico di « entrambe » le parti. A tacer d’altro, quindi, sarebbe quantome-no incoerente riconoscere solo a tali soggetti il potere di invocare a pro-prio vantaggio la violazione di un obbligo che hanno concorso a violare.Questo detto costituisce, peraltro, una significativa evoluzione della

normativa in esame rispetto a quella previgente. Come si ricorderà, infatti,in una precedente versione del d.lgs. n. 192/05 si prevedeva un’ipotesi dinullità relativa – fornendo allora uno spunto per una ricostruzione comedisciplina « di protezione » (67). L’attuale assetto, invece, si mostra più vi-cino a quello uscito dalla l. n. 90/13 (di conversione del d.l. n. 63/13) inquanto, essendo allora prevista la sanzione della nullità « assoluta », pre-vedeva il disconoscimento degli effetti giuridici insanabile anche a sfavoredell’acquirente/locatario.Poiché si suppone che il contratto sia stato concluso, resta esclusa, in tal

caso, la possibilità per l’acquirente o il conduttore di chiedere il risarci-mento dei danni per la violazione degli obblighi precontrattuali (68). Men-tre resta chiara, in entrambi i casi, la responsabilità contrattuale del pro-fessionista incaricato della redazione del documento contrattuale qualoranon abbia adeguatamente informato le parti degli obblighi esistenti a lorocarico (69).Occorre considerare, a questo punto, se la mancata allegazione per

violazione dell’obbligo di « dotazione » comporta invalidità del contrat-to.Sembra possa escludersi, in primo luogo, che la commercializzazione di

un bene non dotato dell’attestato dia luogo a nullità del contratto: solo lesanzioni amministrative previste dal legislatore sono espressamente fina-lizzate alla tutela degli interessi generali previsti dalla normativa in esame.Sembra ragionevole (e in linea con le premesse che abbiamo dato al di-scorso), quindi, evitare ridondanze tutela dei medesimi interessi, e focaliz-zare piuttosto l’attenzione sulle « reazioni » previste in generale dal siste-ma positivo per la tutela degli interessi « particolari » lesi.Ciò posto, ci si può chiedere se sia configurabile un’ipotesi di risoluzio-

ne del contratto per consegna di aliud pro alio nel caso in cui l’assenza del-l’attestato comporti il mancato rilascio della agibilità – si tratta, ovviamen-

(67) Cfr. La Spina, Destrutturazione della nullità e inefficacia adeguata, Milano, 2012, p.319, nt. 286.

(68) Il principio tradizionale, infatti, è che la valida conclusione del contratto « assor-be » (di regola) eventuali scorrettezze che una parte abbia commesso nella fase precontrat-tuale (v. D’Amico, Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contrat-to, Napoli, 1996, e, più di recente, Id., Responsabilità precontrattuale, in Tratt. Roppo, V,Rimedi, 2, p. 1007 ss.). Per l’orientamento opposto v., in dottrina, per tutti, Mantovani,« Vizi incompleti » del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995; in giur. v. Cass. 29 set-tembre 2005, n. 19024, in Danno e resp., 2006, 25 ss., con nota di Roppo e Afferini;Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Corr. giur., 2008, 223 ss., con nota di Ma-

riconda; nonché in Contratti, 2008, 221 ss., con nota di Sangiovanni.(69) Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., pp. 3 e 9.

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te, dell’ipotesi in cui l’impedimento del procedimento amministrativo ècostituito « esclusivamente » dalla mancata produzione dell’attestato diprestazione energetica –.È chiaro, innanzitutto, che se l’acquirente era a conoscenza della man-

cata dotazione dell’attestato (consapevolezza che può evincersi dalla vio-lazione – imputabile anche allo stesso acquirente – dell’obbligo di allega-zione), non potrebbe invocare a proprio favore la risoluzione.Si può ritenere, inoltre, che la soluzione non muti neanche nell’ipotesi

in cui l’attestato venga allegato al documento contrattuale ma una copiadello stesso non sia mai stata presentata ai competenti uffici per il rila-scio dell’agibilità. Sarebbe un errore, infatti, estendere alla fattispeciequegli orientamenti giurisprudenziali secondo cui la vendita di un benein « mancanza » del certificato di abitabilità comporta (configurando-si la consegna di un aliud pro alio) la risoluzione del contratto. Ciò nonsolo per quanto dianzi detto, ma anche perché nei casi in cui la giuri-sprudenza è giunta a tanto, era perché « il bene » mancava delle condi-zioni sostanziali per ottenere il certificato in questione (ad es. perché,nella sua realizzazione, le norme urbanistiche erano state violate in mo-do così grave da renderlo inutilizzabile ai fini per cui era stato negozia-to). Nel caso che si sta ipotizzando, invece, il mancato rilascio dell’agibi-lità non dipende da cause « oggettive » del bene, bensì solo dal mancatorispetto di una fase dell’iter procedimentale per il rilascio del provvedi-mento: si tratta, quindi, di un ritardo burocratico, e non di un difettodel bene; si tratta, cioè, di circostanze che escludono l’esistenza origina-ria di impedimenti « oggettivi » al rilascio della certificazione. L’attesta-to si limita semplicemente a certificare quali sono le prestazioni energe-tiche dell’edificio, e non esiste, a livello legislativo, uno « standard ener-getico » al di sotto del quale il bene risulta essere inidoneo ad assolverela sua funzione economico-sociale. Peraltro, nel caso in cui ci si trovi difronte ad un semplice « tardivo ottenimento del certificato di agibilitàper mancata dotazione dell’attestato di prestazione energetica la giuri-sprudenza esclude la risoluzione del contratto – restando salva, comun-que, la risarcibilità dei danni eventualmente subiti dall’avente causa– » (70).In questa prospettiva, è da respingere del tutto quanto si legge nella mo-

tivazione di una sentenza della Corte di cassazione (71) secondo cui l’atte-stato di certificazione energetica costituirebbe un documento idoneo a

(70) Cfr. Cass. 18 marzo 2010, n. 6548, in Foro it., 2011, I, c. 558; Cass. 15 febbraio2008, n. 3851, in Giust. civ., 2008, p. 2160.

(71) La frase è tratta da Cass. 17 luglio 2012, n. 12260, in Imm. & propr., 2013, p. 12 ss.,con nota di Testa. La massima della sentenza in CED Cassazione, 2012, è la seguente: « intema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita diun immobile, non osta all’emissione della sentenza ex art. 2932 c.c. la mancanza dell’alle-gazione dell’attestato di certificazione energetica, di cui all’art. 5 della l. reg. Piemonte 28maggio 2007, n. 13, nonché all’art. 6, d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192, potendo le parti stipu-lare il contratto e rinviare, tacitamente o esplicitamente, ad un momento successivo la con-segna dell’attestato, cui per legge il venditore è obbligato e che il compratore può richie-dere, in quanto rientrante tra i documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa vendutaai sensi dell’art. 1477, ult. comma, c.c. ».

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procurare al compratore « la proprietà di un bene conforme alla normati-va vigente, anche in materia di efficienza energetica »; quasi come a direche la certificazione energetica, anziché limitarsi a « fotografare » la « si-tuazione energetica » dell’edificio, garantisse invece degli standards di ef-ficienza energetica il cui mancato rispetto renderebbe il bene difforme dalmodello legale (e dunque, per ciò, idoneo a fondare la domanda di risolu-zione del contratto) (72).

18. – Come s’è visto in precedenza, dal 4 agosto 2013 – data entrata invigore della l. n. 90/13 – fino al 24 dicembre 2013 – data di entrata in vi-gore della d.l. n. 145/13 – la violazione dell’obbligo di allegazione dell’at-testato di prestazione energetica al documento contrattuale è stata sanzio-nata con la nullità assoluta del contratto.Tra le tante cose già analizzate, una delle principali novità portate dalle

modifiche legislative di dicembre (d.l. n. 145/13) è stata la previsione diuna speciale « sanatoria » di tale nullità. In particolare, l’art. 1, comma 8o,del citato decreto dispone che: « su richiesta di almeno una delle parti o diun suo avente causa, la stessa sanzione amministrativa di cui al comma 3o

dell’art. 6 del d.lgs. n. 192 del 2005 si applica altresì ai richiedenti, in luo-go di quella della nullità del contratto anteriormente prevista, per le viola-zioni del previgente comma 3o bis dello stesso art. 6 commesse anterior-mente all’entrata in vigore del presente decreto, purché la nullità del con-tratto non sia già stata dichiarata con sentenza passata in giudicato ».La circostanza che il contratto presupposto sia affetto da nullità assoluta

– e che non abbia, quindi, prodotto alcun effetto – induce ad inquadrarela figura tra le ipotesi di « conferma » dell’atto nullo (73), annoverandolatra quelle richiamate dalla « riserva » prevista dall’art. 1423 c.c. (74).L’art. 1, comma 8o, del d.l. 145/13 consente, dunque, di applicare una

sanzione amministrativa « in luogo » di quella che sarebbe l’inevitabilenullità « assoluta » del contratto. La lettera della disposizione non devefar pensare ad una scelta nella quale nessuna delle due strade prospettate(sanzione amministrativa o nullità) è stata ancora percorsa. Una di esse,invero, è necessariamente presupposta dall’altra: la nullità è un vizio « ori-ginario » del contratto: la sanzione amministrativa, dunque, intervienequando l’atto è già nullo. La configurazione di una sanzione pecuniaria« al posto » del « disconoscimento dei suoi effetti giuridici » tipico dellanullità implica, quindi, che dall’insieme del meccanismo discende il « ri-

(72) Conf. Testa, La compravendita in mancanza dell’attestazione di certificazione ener-getica, cit., p. 14.

(73) In generale, sulla conferma di negozio nullo v. Falzea, La condizione e gli elementidell’atto giuridico, Milano, 1941, rist. Napoli, 1999, p. 44 s.; Betti, Convalida o confermadel negozio giuridico, in Noviss. Digesto it., IV, Torino, 1968, 790 s.; Gazzoni, L’attribu-zione patrimoniale mediante conferma, Milano, 1974; Ferri, voce Convalida, conferma e sa-natoria del negozio giuridico, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. civ., Torino, 1989, 335 ss.;Pagliantini, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007.

(74) Non si tratta, com’è evidente, di una sanatoria « legislativa »: non è la norma che ri-media direttamente alla nullità, ma semplicemente rimette ai privati il potere di decidere sesanarla o meno. Legislativa è, dunque, solo la possibilità – espressamente consentita – disanare un vizio essenziale del contratto.

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conoscimento di effetti giuridici » del contratto. Da qui l’effetto « sanan-te ».Tale effetto è connesso ad un comportamento del soggetto legittimato

dalla norma: la richiesta di applicazione della sanzione amministrativa. Ladisposizione, infatti, esordisce stabilendo che la « sostituzione » tra i duetipi di sanzione avviene « su richiesta di almeno una delle parti o di un suoavente causa ». Si tratta, evidentemente, di una richiesta rivolta alle auto-rità pubbliche competenti ad irrogare la sanzione amministrativa previsteper le violazioni dell’obbligo di allegazione (v. art. 15, commi 1o e 2o, d.l-gs. n. 192/05).È stato prospettato il dubbio se, ai fini del prodursi dell’effetto sanante,

sia necessario – oltre alla « richiesta » – anche l’effettivo pagamento dellasanzione pecuniaria (75). Ad una prima lettura, infatti, la norma sembraprescrivere il superamento della nullità solo nel momento in cui « si appli-ca » la sanzione amministrativa.Un primo indizio verso una soluzione condivisa potrebbe venire pro-

prio dal riferimento all’« applicazione », che richiama immediatamente ilmomento « esecutivo » di un potere che si è già formato. La pubblica am-ministrazione, tuttavia, non ha – originariamente – il potere di irrogare lasanzione amministrativa (né, tantomeno, di accertare l’esistenza della nul-lità), necessitando di un atto che la investa « preventivamente » a compie-re ciò. È « per effetto » di tale atto (evidentemente già compiuto ed effica-ce), dunque, che può essere riconosciuto il potere all’autorità pubblica di« applicare » la sanzione amministrativa. Non sarebbe forse eccessivo,quindi, ritenere che già al momento della « richiesta », l’autonomia priva-ta abbia completato il suo iter formativo: la volontà dell’effetto sanante èrimessa al soggetto legittimato a formulare la « richiesta »; non certo aduna scelta dell’autorità chiamata a irrogare la sanzione amministrativa. Ta-le autorità, peraltro, non sembra godere di alcuna discrezionalità nell’ap-plicare la sanzione. Non si riscontrano, pertanto, interessi rilevanti idoneia subordinare l’efficacia dell’effetto sanante ad una scelta dall’autoritàpubblica (che potrebbe magari ritardare nell’irrogare la sanzione).I soggetti che possono compiere l’atto di conferma possono essere sia le

stesse parti del contratto sia un avente causa (che, a ben vedere, è tale solo« apparentemente » perché, essendo l’atto di provenienza nullo, non haacquistato alcun diritto salvo, ai sensi della disposizione in esame, la legit-timazione a porre in essere l’atto di conferma).È peculiare, al riguardo, la circostanza che l’atto possa essere perfezio-

nato anche da uno solo di tali soggetti. Nella parte in cui la norma legitti-ma « almeno una » delle parti o « un » suo avente causa, infatti, sta chia-ramente descrivendo un atto che, sotto il profilo strutturale (molto sui ge-neris), non è simmetrico all’atto presupposto. La conferma in esame può,dunque, avere una struttura « unilaterale » del tutto autonoma da quelladel contratto confermato.Non c’è dubbio che fino a quando tale atto non sarà compiuto, il con-

(75) Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., p. 11. L’A. suggerisce, in viaprudenziale, di allegare la ricevuta di pagamento della sanzione all’eventuale atto traslativodell’immobile compiuto successivamente alla conferma.

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tratto presupposto non produrrà alcun effetto. Conseguentemente, ai finidella configurazione del profilo operativo e funzionale della figura in esa-me, si può ritenere che tale atto si ponga come punto finale del perfezio-namento di una fattispecie « complessa » (76) che contempla, al propriointerno, una prima fattispecie « semplice » integrata dal compimento diun contratto privo dell’allegazione dell’attestato; e una ulteriore fattispe-cie semplice (la conferma), che vede nella richiesta di irrogazione dellasanzione amministrativo il perfezionamento della (più ampia) fattispeciecomplessa.Quindi, nel caso in cui l’atto presupposto fosse un contratto ad effetti

traslativi, quindi, si deve ritenere che l’effetto reale originariamente fallitonon si colleghi né al solo contratto nullo, né alla sola conferma, ma al loroinsieme.Al fine di adempiere gli obblighi pubblicitari, l’atto di conferma (essen-

do la « richiesta » in ipotesi redatta semplicemente in forma scritta) deveessere accertato o ripetuto in forma pubblica (77).È bene precisare che gli effetti connessi alla conferma non retroagisco-

no alla data dell’atto nullo. Non c’è dubbio che la fattispecie contempla-ta dalla norma (ossia la stipula di un atto nullo in virtù di una normaprevigente) sia un fatto già compiuto nel passato (precisamente, nel li-mitato periodo di vigenza visto all’inizio del paragrafo), ma gli effetti (adesempio traslativi) si produrranno solo al momento della conferma. Nelpassato sono collocati solo i fatti considerati, non gli effetti che si pro-ducono.Proprio guardando indietro nel tempo, viene in considerazione la possi-

bilità di ricorrere alla figura in esame per sanare anche le nullità compiutefino al 21 agosto 2008 in violazione dell’obbligo di allegazione dell’attesta-to ai sensi dell’allora vigente art. 15, comma 8o, d.lgs. n. 192/05 (78). La di-sposizione in commento, invero, limita espressamente il proprio campo diapplicazione alle nullità causate « per le violazioni del previgente comma

(76) Ad uno sguardo ex post (ossia alla luce dell’intera fattispecie complessa), dunque, laprima parte della fattispecie (quella integrata dal contratto nullo) appare come una fatti-specie ancora in via di formazione: v. Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridi-co, cit., p. 44 s. Per una critica a questa impostazione v. Gazzoni, L’attribuzione patrimo-niale mediante conferma, cit., p. 111 ss. Il tema coinvolge direttamente questioni di teoriagenerale del diritto nelle quali si vedono contrapposte, da una parte, le impostazioni checonfigurano (in modo piuttosto rigido) la nullità in termini di « inqualificazione » della fat-tispecie (come se l’atto « nullo » fosse, in sostanza, un « non atto »; è questa l’idea, adesempio, di De Giovanni, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964; rist. Napoli,2012); e, dall’altra parte, le impostazioni che, invece, considerano l’atto nullo (anzi, pro-prio « in quanto » nullo) un quid considerato dalle norme che, qualificandolo, presuppon-gono una sua « rilevanza »: cfr. Irti, La perfezione degli atti giuridici ed il concetto di onere,in Due saggi sul dovere giuridico (obbligo-onere), Napoli, 1973, ora anche in Id., Norme efatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1984 – da cui si cita – p. 149 ss. Il tema,inoltre, andrebbe probabilmente del tutto riletto alla luce del principio di « relatività »delle qualificazioni delle fattispecie (in virtù del quale un fatto irrilevante per una norma,può essere rilevante per un’altra; v. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici,Milano, 1939, p. 18 s.) e del principio della massima conservazione possibile delle fattispe-cie « difformi » (già visto in precedenza).

(77) Gazzoni, L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, cit., p. 294 s.(78) Petrelli, Certificazione energetica degli edifici, cit., p. 3.

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3o bis dello stesso art. 6 commesse anteriormente all’entrata in vigore delpresente decreto ». Deve dirsi, d’altro canto, che la « riserva di legge »contemplata dall’art. 1423 c.c. non richiede che la sanatoria sia prevista inmodo « espresso », e ammette, quindi, la possibilità di ricavarla dallo sco-po della previsione (79). In questa prospettiva, quindi, l’estensione a taliatti dovrebbe passare dalla preventiva valutazione della possibilità di tro-vare anche in essi la ragione per cui la disposizione in commento è stataprevista per le fattispecie espressamente menzionate.Per altro verso, è opportuno ricordare che per gli atti compiuti fino al

21 agosto 2008, un risultato simile a quello ora prescritto dalla norma incommento si può raggiungere senza ricorrere ad essa. A differenza dellenullità assolute previste per difetto di allegazione nel 2013, infatti, quellepreviste dalla precedente disciplina erano nullità « relative ». Si tratta,quindi, di vizi sanabili, in via generale, per volontà dell’acquirente/locata-rio (80). Resta chiara, nondimeno, la differenza strutturale tra i due atti: lanuova norma, infatti, consente l’effetto sanante anche al dante causa; daqui potrebbe sorgere l’esigenza di richiamare la sua applicazione ancheper i negozi precedenti.

(79) In tal senso v. Pagliantini, Autonomia privata e divieto di convalida del contrattonullo, cit., p. 200 ss.

(80) Resta inteso che il contratto viziato da nullità « relativa » (a differenza dell’atto an-nullabile) è integralmente privo di effetti fino a quando non viene sanato dalla parte a ciòlegittimata. Nel nostro tema condivide questa posizione: Casu, Normativa sul rendimentoenergetico e commerciabilità del fabbricato, cit., p. 43.

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AUTONOMIA PRIVATA E RISOLUZIONEDEL CONTRATTO PER INADEMPIMENTO (*) [,]

diFrancesco Delfini

(Professore nell’Università di Milano)

Sommario: 1. L’indagine. – 2. La posizione tradizionale. – 3. La critica e l’alternativa pro-posta di ricostruzione del tema: il necessario rispetto dell’art. 1229 c.c. e l’esigenza dipreservazione del sinallagma su piani alternativi alla risoluzione. – 4. La giurisprudenzasul patto di irresolubilità, l’operare dell’art. 1229 c.c. e il ruolo del precetto di buona fe-de nella invocazione in giudizio del patto.

1. – L’indagine sullo spazio concesso dall’ordinamento all’autonomiaprivata nella limitazione o esclusione della risoluzione per inadempimentoha costituito un tipico caso di ricerca empirica.Già nella tesi di dottorato, dedicata al tema nel 1993 (1), potevo osserva-

re che la prassi commerciale interna ed internazionale proponeva in cre-scente misura esigenze di stabilizzazione del rapporto contrattuale e diconformazione del negozio giuridico in modo idoneo a mantenerne l’effi-cacia pur a fronte di patologie della fase esecutiva.La constatazione mantiene ancor oggi pratica attualità e mostra la lungi-

miranza di Giorgio De Nova, che nei primi anni 90 mi aveva affidato il te-ma.Si tratta di esigenze presenti nella contrattazione individualizzata e tra

pari, laddove la peculiarità di ciascuna operazione negoziale impone spes-so di calibrare la tutela della fase esecutiva privilegiando la conservazionedel rapporto: ivi, a differenza che nella contrattazione standard tra soggettidi status diseguale (2), il patto di irresolubilità può assolvere a significativiinteressi delle parti, pur senza costituire abuso di una parte sull’altra (3).

(*) Il presente scritto, con l’aggiunta dell’apparato critico, riproduce la relazione tenutaal Convegno del 12 marzo 2014 nell’aula magna del Campus Luigi Einaudi dell’Universitàdegli Studi di Torino, presieduto dal prof. Busnelli, sul tema « L’inadempimento contrattua-le tra risoluzione e recesso ».

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Tesi di dottorato dal titolo « Clausole di irresolubilità per inadempimento e conserva-zione del rapporto contrattuale », a conclusione, nel 1993, del VI ciclo di dottorato di ricer-ca in Diritto Civile tenutosi presso l’Università di Torino, con il coordinamento di RodolfoSacco.

(2) La disciplina, di derivazione europea, in tema di clausole abusive nei contratti deiconsumatori, prima inserita come novellazione del c.c. e poi oggetto del codice del consu-mo, non consente infatti di prospettare significativo spazio per l’autonomia privata nel-l’esclusione della risoluzione per inadempimento, in ciò derogando all’art. 1229 c.c., nor-ma centrale per il tema qui in esame.

(3) Ed è per questo che tendenzialmente dovrà dirsi necessaria, alla salvaguardia del si-nallagma su piani alternativi alla risoluzione, la bilateralità della clausola, cioè la sua previ-sione a vantaggio di entrambi i contraenti: in questo senso è un obiter di Cass. 18 giugno1980, n. 3866, in Mass. Foro it., 1980, c. 975, che non risulta pubblicata per esteso, ove si

Risoluzione

contratto per

inadempimento

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Si pensi, in ambito internazionale, alle operazioni di project financing,laddove gli enti finanziatori del progetto contano, per il rientro del presti-to, sulla redditività del progetto medesimo: redditività assicurata da con-tratti di fornitura di beni o servizi che devono poter essere mantenuti fer-mi anche in caso di controversie nella fase esecutiva, per garantire quelflusso di reddito in capo alla società titolare del progetto, che consente dirispettare il piano di rimborso del finanziamento concesso; ovvero, anco-ra, ai contratti di engineering, ove le associazioni di categoria hanno pre-disposto una analitica disciplina, volta ad evitare lo scioglimento del vin-colo, quale strumento per la gestione delle inattuazioni del contratto odelle sopravvenienze.Si pensi, in ambito interno, o comunque non necessariamente transna-

zionale, alle operazioni di factoring, laddove sono ceduti – magari pro so-luto, come consentito ex art. 4 l. n. 52/91 – crediti derivanti da contrattinon ancora eseguiti, che dunque devono, nell’interesse del cessionario,mantenere efficacia anche a fronte di patologie del sinallagma (funziona-le). Inoltre, si pensi ai contratti con i quali il socio si obbliga ad eseguireprestazioni accessorie (non consistenti in denaro) nei confronti di societàper azioni ex art. 2345 c.c. (4), e ove vi è un fisiologico interesse del socio edella società al mantenimento del rapporto, anche in presenza di patolo-gie del sinallagma. Ancora, si pensi alle operazioni di outsourcing, nellequali entrambi i soggetti coinvolti, committente ed outsourcer, hanno uninteresse prioritario al mantenimento del rapporto: il primo perché, perconcentrarsi sul c.d. core business, ha dismesso funzioni, spesso critiche (sipensi alla gestione dei servizi informatici), per le quali originariamente ri-correva a risorse interne e tale strada non è più immediatamente ripercor-ribile a ritroso; l’outsourcer perché, per assolvere con professionalità e sta-bilmente a tali compiti, ha dimensionato la propria organizzazione azien-dale in relazione a tale precipuo scopo, riducendo così la propria flessibi-lità e non essendo più in grado, nel breve periodo, di adattarsi ad unaeventuale repentina e prematura interruzione del rapporto contrattualecon il committente.E anche nella prassi delle operazioni di acquisizione societaria, nelle c.d.

M&A – in cui i contratti, anche domestici, sono pensati e strutturati se-condo modelli di common law, sì da poter essere etichettati quali « con-tratti alieni » – ricorrono clausole, dette di « sole remedy », che escludonola proponibilità di domande o di eccezioni sinallagmatiche, tra cui quelledi inadempimento, con formulazioni del tipo: « The right of each party toobtain indemnification pursuant to Article excludes any other right of ac-tion or remedy (including the right to terminate, rescind or modify thisAgreement) available to such Party at law » (5).In tali casi vi è dunque un interesse a redigere contratti stabili pur a

fronte di inadempimenti di una delle parti e tale obiettivo impone di con-

manifestano perplessità sulla validità di una clausola di irresolubilità quando « si tratti diesclusione stabilita nei confronti di una sola parte ».

(4) Sulla genesi dell’art. 2345 c.c., Portale, Conferimenti in natura atipici nella s.p.a.,Milano, 1974, p. 8, n. 14.

(5) Sul punto De Nova, Il contratto alieno, Torino, 2008, p. 89.

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centrare la tutela del contraente fedele sui rimedi giuridici diversi dalla ri-soluzione per inadempimento, che ha quale effetto centrale la rimozionedel vincolo contrattuale.Il banco di prova su cui concentrare l’attenzione è stato quello della va-

lutazione dell’ammissibilità del patto di irresolubilità. Una risposta positi-va a tale quesito avrebbe infatti dato spazio, a fortiori, anche a clausole diminor deroga all’art. 1453 c.c., quali quelle volte semplicemente a confor-mare in senso restrittivo il diritto ad agire in risoluzione, senza escluderlo:si pensi a clausole, antitetiche rispetto a quella prevista dall’art. 1456 c.c.,con le quali si escluda la rilevanza a fini risolutori di specifici inadempi-menti, o a clausole che, in deroga all’art. 1458, comma 1o, c.c. limitino glieffetti restitutori conseguenti alla risoluzione.Va aggiunto che ulteriore funzione del patto in esame potrebbe essere il

contrasto del fenomeno che è stato efficacemente definito, in dottrina, co-me « eterogenesi dei fini della risoluzione » (6): cioè l’opportunismo delcontraente che, pentitosi dello scambio contrattuale concluso, approfittidel primo inadempimento della controparte quale pretesto per liberarsi diun contratto di cui vuole surrettiziamente rimeditare la convenienza eco-nomica.

2. – Nei primi anni 90, affrontare il tema della derogabilità dell’art. 1453c.c. significava scontrarsi con una dottrina tetragona ad ogni interventodell’autonomia privata sui rimedi offerti dal codice al contraente fedele.All’interno di questa campeggiava la posizione espressa dal Rodolfo

Sacco nel 1975, posizione che per lungo tempo era parsa definitiva achiunque si accostasse al tema: « Date due promesse reciproche, la clau-sola d’irresolubilità le rende autonome sì che esse prendono a compor-tarsi come se fossero due promesse gratuite o dedotte in gioco. Autoriz-zare lo sfruttamento di un brevetto, promettere il proprio lavoro, pro-mettere un salario, per ottenere una controprestazione, e consentire nellostesso tempo all’irresolubilità, significa aumentare la probabilità di un ar-ricchimento a favore della parte inadempiente; significa, cioè, mettersinella logica della donazione o del gioco, accettare ora per allora di dona-re alla controparte o di arricchire comunque la controparte ove questasia ad un tempo inadempiente al contratto e insolvibile rispetto all’obbli-gazione risarcitoria. Sorge allora il dubbio se siffatte attribuzioni patri-moniali eventualmente gratuite siano lecite e dotate di causa sufficien-te » (7).Tale posizione esprimeva, per un verso, preoccupazione per la possibi-

lità di un ingiusto arricchimento dell’inadempiente, che sia al tempo stes-so anche insolvibile rispetto all’obbligazione risarcitoria, prospettando

(6) Per tale espressione, riferita al « possibile interesse del creditore a speculare sull’ina-dempimento, cioè a giuridicizzare una mera rimeditazione sulla convenienza dell’affare digià concluso », Belfiore, voce Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano,s.d. (ma 1989), p. 1320.

(7) Sacco, Il contratto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1975, p. 936 e Id., in Sacco e De No-

va, Il contratto, in Tratt. Sacco, t. 2, Torino, 1993, p. 588. Nel medesimo senso, Scalfi, vo-ce Risoluzione del contratto (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, p. 4.

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che la gratuità ed il gioco comincino quando si promette indipendente-mente dalla certezza di conseguire un’altra prestazione (8); per altro verso,mostrava di presupporre che il patto di irresolubilità si accompagnasseimmancabilmente alla rinuncia all’azione di risarcimento ed a quella diesatta esecuzione: costituisse, cioè, rinuncia in blocco ai tre rimedi com-pendiati nell’art. 1453 c.c.

3. – Confrontandomi criticamente con tale posizione e prospettando lacentralità, nella disciplina dell’autonomia privata in tema di irresolubilità,dell’art. 1229 c.c., formulavo allora le seguenti considerazioni, che mipaiono ancora attuali.La originaria posizione di Sacco, del 1975, mostrava una voluta indiffe-

renziazione tra causa del contratto (o sinallagma genetico) e nesso di di-pendenza tra le prestazioni nella fase esecutiva del rapporto (sinallagmafunzionale), senza considerare che anche non rinunziando alla risoluzionela certezza di conseguire l’altra prestazione non sussisterebbe (9).Inoltre, non sarebbe neppure certo che, pur negandosi validità alla clau-

sola di irresolubilità, il contraente fedele sia sempre e indefettibilmenteposto al riparo dalla possibilità che il negozio concluso si risolva in un in-giustificato arricchimento della controparte per la impossibilità di ottene-re la restituzione della propria prestazione. Si pensi al caso in cui la presta-zione del contraente fedele consista in un facere, da adempiere per pri-mo (10): qualora l’obbligazione sia stata adempiuta, anche il rimedio riso-lutorio, in ipotesi non escluso, non gli garantirebbe alcunché.Più corretto è dunque constatare che ciò che garantisce la presenza del

requisito causale, nel contratto, è la presenza di una repromissione e non lacertezza del conseguimento della prestazione che ne è oggetto o di unafruttuosa esecuzione sul patrimonio della controparte. In presenza di unarepromissione (quella che in common law si direbbe consideration, seppu-re nominal) non vi è spazio per una invalidità per carenza di causa, se nonper il tramite di un giudizio di simulazione che sveli una eventuale dona-zione dissimulata (11).Lo stesso Sacco, nella medesima opera del 1975, mentre negava spazio

all’autonomia privata nell’esclusione della risoluzione per inadempimen-to, lo concedeva quanto alle risoluzioni ex artt. 1463 e 1467 c.c. e tale di-

(8) Sacco, Il contratto, in Tratt. Vassalli, cit., p. 936.(9) Che si tratti di problema di valutazione probabilistica dell’eventualità che chi non

adempie tempestivamente possa esser costretto efficacemente, in futuro, ad adempiere,emerge con chiarezza da Gorla, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p.139, per la ipotesi di risoluzione per « inadempienza semplice ».

(10) Ovvero al caso in cui il contraente fedele abbia trasferito un bene mobile, definiti-vamente acquistato poi da un terzo e non più ripetibile.

(11) In questo senso Gorla, Del rischio e pericolo, cit., p. 153, secondo cui la causa delcontratto sinallagmatico consiste nello scambio dei diritti di obbligazione: la causa dell’as-sunzione della obbligazione di ciascun contraente non sarebbe, dunque nella effettiva ese-cuzione della controprestazione. Ciò non esclude che un vincolo di dipendenza vi sia tra leprestazioni, nel rapporto contrattuale sinallagmatico: ma altro è dire che il contratto conclausola di irresolubilità è nullo per difetto di causa, altro è dire che il vincolo di dipenden-za risulterebbe allentato.

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sparità di trattamento veniva giustificata adducendo l’immoralità dellaspeculazione di una parte sul proprio futuro inadempimento.A tale osservazione poteva e può replicarsi che lo stesso ordinamento,

all’art. 2932, comma 1o, c.c., consente esplicitamente l’esclusione conven-zionale dell’azione di esecuzione (12) e in tale norma la medesima dottrinaavrebbe dovuto rinvenire una deroga al sinallagma funzionale ben più in-cisiva di quella oggetto del patto di irresolubilità: l’azione di manutenzio-ne, infatti, è quella destinata fisiologicamente alla attuazione del vincolocontrattuale, essendo quella di risoluzione finalizzata, al contrario, alla suarimozione.Se dunque il motivo dell’affermata illiceità del patto di irresolubilità sta-

va nell’immoralità di speculare sul preventivato proprio inadempimento,poteva concludersi che ciò che si censurava nella clausola era proprio lafunzione di esclusione della responsabilità per comportamento imputabilealla parte, di esclusione della sanzione predisposta dall’ordinamento; sic-ché, insorgendo contro la pretesa immoralità del patto, implicitamente sichiamava in causa l’art. 1229 c.c., che per diritto positivo consente espres-samente di escludere le sanzioni per l’inadempimento imputabile, con illimite del dolo e della colpa grave.Con ciò si introduceva così il rilievo centrale che il citato art. 1229 c.c.

ha per il tema, malgrado ciò fosse stato escluso, in precedenza, da pur au-torevole dottrina (13).Come è stato in passato condivisibilmente detto « il termine responsabi-

lità contenuto nell’art. 1229, comma 1o, c.c. è uno strumento del linguag-gio giuridico che racchiude, in funzione semantica, una complessa disci-plina; è cioè un’espressione sintetica che racchiude una normativa. Per-tanto con tale locuzione non si deve intendere solo l’effetto del risarci-mento del danno, ma anche gli altri effetti ricollegati dalla legge al fatto“inadempimento”. Se questo è vero, si deve necessariamente concludereche in presenza di dolo o colpa grave l’art. 1229, comma 1o, c.c. statuiscela totale responsabilità del debitore, ossia la soggezione a tutte le conse-guenze connesse all’inesecuzione dell’obbligazione » (14).Nella formulazione linguistica dell’art. 1229, comma 1o, c.c. – secondo

cui « è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la re-sponsabilità del debitore per dolo o per colpa grave » – il verbo « limita-re » va cioè riferito, oltre che alla limitazione del quantum di responsabili-tà (ipotesi certo storicamente avuta presente dal legislatore del 1942, inparticolare rispetto al risarcimento del danno), anche alla limitazione delleconseguenze dell’inadempimento, con esclusione della soggezione ad una(o più) delle azioni in via normale esperibili dal contraente fedele. E poi-

(12) Torna condivisibilmente ad enfatizzare l’importanza di tale argomento, più di re-cente, Amadio, La risoluzione per inadempimento, in Tratt. Roppo, V – Rimedi-2, Milano,2006, p. 25.

(13) Carnevali, in Luminoso, Carnevali e Costanza, Della risoluzione per inadem-pimento, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 110, che esclude che l’art.1229 c. c. possa dare indicazioni sul tema.

(14) Benatti, Contributo allo studio delle clausole di esonero da responsabilità, Milano,1971, p. 67 (mio cors.).

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ché la risoluzione rientra certamente tra le conseguenze disposte dall’ordi-namento per il caso di inattuazione del contratto, la sua esclusione puòconsiderarsi una « limitazione della responsabilità » contrattuale: del restoanche la dottrina più tradizionale, quanto al fondamento della risoluzione,riconosce che, quando l’inadempiente è insolvente, la rinunzia a tale rime-dio equivale ad una clausola di irresponsabilità (15).L’art. 1229 c.c. delimita dunque in negativo l’autonomia privata nella

conformazione del regime di responsabilità contrattuale: sono escluse tut-te le limitazioni che afferiscano ad inadempimenti dolosi o gravementecolposi (16).

4. – La tesi della validità del patto di irresolubilità – purché rispettasse ilimiti dell’art. 1229 c.c. e salvaguardasse il sinallagma con le azioni diadempimento e di risarcimento – esposta nella tesi di dottorato, veniva dame riproposta e ampliata nel lavoro monografico sul tema pubblicato nel1998 (17) e in tale periodo la rilevanza dell’art. 1229 c.c. per la disciplinadella clausola di irresolubilità era già stata considerata, seppure per inci-dens, dalla giurisprudenza.All’inizio degli anni ’80 la Cassazione, con obiter contenuto nella senten-

za n. 3866/80, aveva infatti affermato che « il patto con cui uno dei con-traenti rinuncia preventivamente al diritto potestativo di chiedere la riso-luzione del contratto per inadempimento della controparte deve risultare(a parte la questione della validità di una intesa siffatta in relazione all’art.1229, Codice civile) da un’esplicita manifestazione di volontà o da elemen-ti concludenti, univoci ed incompatibili con l’intento di conservare il po-tere anzidetto (...) » (18).Successivamente, con sentenza 1 luglio 1994, n. 6225 le sezioni unite

della Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla applicabilità dell’art. 1229cit. alle clausole predisposte dalla banca nel contratto di cassette di sicu-rezza avevano con chiarezza affermato che l’art. 1229 c.c. « (...) ha due di-versi raggi di azione: a) clausole che limitano in vario modo il grado dellacolpa, nel senso cioè che il debitore sia tenuto ad una diligenza minore diquella normale, stabilita dalla legge. (...); b) l’altro aspetto regolato dall’art.1229 cod. civ. è quello attinente agli effetti dell’inadempimento imputabile,a sua volta distinto in: 1) esclusione della risolubilità del contratto per certitipi di inadempimento; 2) limitazione del risarcimento del danno, conse-guente all’inadempimento (fermo restando il contratto) » (19).

(15) Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 490. Nel senso, poi,che la rinunzia preventiva alla risoluzione sarebbe valida anche se essa si riferisce ad un fu-turo inadempimento colposo, purché non lo sia gravemente o non sia addirittura doloso,Mosco, La risoluzione per inadempimento, Napoli, 1950, p. 263.

(16) Sono a contrario validi, dunque, i patti limitativi che attengano ad inadempimentidovuti a colpa semplice, ovvero eccezionalmente imputabili oggettivamente (per la confi-gurabilità, ex art. 1218 c.c., di una responsabilità contrattuale senza colpa, specie in rela-zione alle prestazioni di impresa: Mengoni, Obbligazioni di « risultato » e obbligazioni« di mezzi » (studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, p. 298 ss.).

(17) Delfini, I patti sulla risoluzione per inadempimento, Milano, 1998, p. 23 ss.(18) Cass. 18 giugno 1980, n. 3866, in Mass. Foro it., 1980, c. 975.(19) Cass., sez. un., 1 luglio 1994, n. 6225, in Foro it., 1994, I, c. 3429.

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Parte della dottrina ha tuttavia anche di recente riproposto la tesi del-l’estraneità dell’art. 1229 c.c. al tema (20), ma nella più recente giurispru-denza il riferimento alla norma viene confermato: Cass. 9 maggio 2012, n.7054 (21) contiene infatti un ulteriore obiter dictum di richiamo dell’art.1229 c.c. quale limite alla validità del patto di irresolubilità.Dobbiamo tuttavia guardare alla Francia per trovare una decisione che

abbia specificamente ad oggetto la questione della validità del patto di ir-resolubilità.In un caso deciso nel novembre 2011 dalla Cour de Cassation france-

se (22) si discuteva la validità di una clausola di rinuncia preventiva alla ri-soluzione per inadempimento (di pagamenti dovuti a titolo di prezzo),contenuta in un contratto di compravendita immobiliare: un caso emble-matico, dunque, perché relativo al contratto di scambio archetipico e per-ché avente ad oggetto l’obbligazione centrale del compratore.In tale occasione, la Cour de Cassation ha rigettato la domanda di risolu-

zione sulla base dei seguenti rilievi: « (...)attendu, d’une part, qu’ayant re-tenu à bon droit que l’article 1184 du code civil n’est pas d’ordre public etqu’un contractant peut renoncer par avance au droit de demander la ré-solution judiciaire du contrat et relevé que la clause de renonciation, rédi-gée de manière claire, précise, non ambiguë et compréhensible pour unprofane, était non équivoque, la cour d’appel en a exactement déduit quela demande était irrecevable; Attendu, d’autre part, que Mme X... n’ayantpas soutenu dans ses conclusions que les consorts Y...-X... invoquaient laclause de renonciation de mauvaise foi, le moyen est nouveau, mélangé defait et de droit(...) ».La Cassazione francese, dunque, ha da un lato deciso che l’art. 1184 Co-

de civil (23) non è qualificabile come norma di ordine pubblico e come talepuò essere validamente derogato dall’autonomia negoziale e, dall’altro, haincidentalmente considerato sindacabile secondo il canone di buona fedel’invocazione in giudizio della clausola di irresolubilità, ma in concretonon ha dato ingresso a tale scrutinio, perché ha considerato come eccezio-ne nuova la censura di abusiva (perché in malafede: de mauvaise foi) invo-cazione in giudizio del patto di irresolubilità.

(20) Carnevali, La risoluzione, in Il contratto in generale, in Tratt. Bessone, Torino,2011, p. 28. Per una ricognizione della dottrina più recente, Sicchiero, La risoluzione perinadempimento, in Comm. Schlesinger, Milano, 2007, p. 391 ss. e, da ultimo, Bertino, Sul-la validità di una clausola di irresolubilità del contratto per inadempimento, in questa Rivi-sta, 2013, p. 536 ss.

(21) Cass. 9 maggio 2012, n. 7054, in Banca dati Dejure, in Guida al dir., 2012, p. 32, p.79 (s.m.) e in Giur. it., 2012, p. 2255, con nota critica di Sicchiero.

(22) Cour de Cassation, Troiseme chambre civil, 3 novembre 2011, n. 10-26203. La sipuò reperire in internet all’indirizzo www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?oldAction=rechJuriJudi&idTexte=JURITEXT000024761210&fastReqId=413419489&fastPos.

(23) Il cui comma 2o, seconda parte, dispone, in modo sostanzialmente analogo al com-ma 1o dell’art. 1453 c.c.: « La partie envers laquelle l’engagement n’a point été exécuté, ale choix ou de forcer l’autre à l’exécution de la convention lorsqu’elle est possible, ou d’endemander la résolution avec dommages et intérêts ».

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La pronuncia è di grande rilevo anche per il diritto italiano, perché l’art.1184 Code civil, così derogato, ha mantenuto sostanzialmente il medesimotesto dell’originario Code Napoleon dal quale era stato fedelmente tratto ilnostro art. 1165 del codice civile del 1865: e la diversa formulazione del-l’attuale art. 1453 c.c. è esclusivamente più moderna nel delineare il fon-damento della risoluzione – abbandonando la finzione di una condizionerisolutiva sempre sottintesa nei contratti bilaterali – ma non ne ha in alcunmodo innovato il profilo rimediale (indicato nel comma 1o dell’attuale art.1453 c.c. in modo conforme a quanto in allora previsto dalla seconda par-te del comma 2o dell’art. 1165 c.c. 1865 ed oggi dalla seconda parte delcomma 2o dell’art. 1184 Code Civil), che qui interessa.La validità della clausola di irresolubilità nei limiti dell’art. 1229 c.c. e

con salvezza degli altri rimedi previsti dall’art. 1453 c.c. pare dunque oggi,a distanza di vent’anni, potersi considerare risultato acquisito. Ed anchequella dottrina che aveva originariamente consentito l’approccio scetticodi cui si è dato conto, da tempo ha mutato avviso. Già nell’edizione delContratto del 2004 Rodolfo Sacco poteva infatti affermare: « una riflessio-ne esaustiva sul tema ha potuto concludere a favore della validità dellaclausola, purché rimangano operanti i rimedi rivolti all’adempimento e alrisarcimento del danno, e venga rispettato l’art. 1229, nei confini suoi pro-pri », segnalando che « l’edizione attuale della presente opera segna unmutamento rispetto alle edizioni precedenti, orientate all’indisponibilitàdel rimedio » (24).Lo spazio lasciato dall’art. 1229 c.c. all’autonomia privata – nella con-

trattazione tra soggetti con status eguale (ad esclusione, cioè, dei contratticon i consumatori) – non è tuttavia esiguo.Malgrado per mera vischiosità concettuale talvolta la dottrina contrap-

ponga, al dolo e colpa grave menzionati nell’art. 1229 cit., la « colpa lie-ve », si deve essere consapevoli che si tratta di operazione linguistica arbi-traria: oltre la colpa grave, menzionata dalla norma, vi è la colpa « toutcourt », cioè la semplice colpa e non già la mera « colpa lieve » (25).I limiti contenuti nell’art. 1229, comma 1o, c.c. consentono poi al patto

di irresolubilità di assolvere ad una funzione compulsiva dell’adempimen-to contrattuale.

(24) Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, in Tratt. Sacco3, t. 2, Torino, 2004, p.617. La stessa impostazione si trova ora, nella dottrina francese, inGenicon, La resolutiondu cointrat pour inexecution, L.G.D.J, 2007, p. 242, riportato da Bertino, op. cit., p. 537.In senso favorevole alla validità del patto di irresolubilità, nei limiti dell’art. 1229 c.c., daultimo, P. Gallo, Trattato del contratto, III, Torino, 2010, p. 2146 ss.

(25) Come è noto, l’aggettivazione della culpa è un portato del diritto giustinianeo, nelquale la culpa levis era la culpa ordinaria, cui si contrapponevano, in una direzione di mag-gior gravità, la colpa grave (lata), assimilata al dolo (come fatto dall’art. 1229 c.c.) e, nelladirezione opposta, la culpa levissima. L’impiego che si facesse oggi dell’attributo « lieve »,accostato al termine « colpa », per indicare lo spazio pretesamente concesso all’autonomiaprivata dall’art. 1229 c.c. è dunque decettivo: più esattamente deve dirsi che la clausola diirresolubilità è valida per ogni inadempimento connotato da colpa (non grave) – cioè dacolpa tout court (che per diritto romano era la culpa levis, la colpa ordinaria) – senza biso-gno di alcuna altra aggettivazione.

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Si è detto che grazie al patto di irresolubilità può essere controllata lac.d. eterogenesi dei fini della risoluzione: il patto, infatti, impedisce al con-traente non inadempiente di precludere maliziosamente all’altro, ex art.1453, comma 3o, c.c. di rimediare alla propria inadempienza (ci si avvicinacosì al c.d. right to cure di common law o al nostro antico termine di gra-zia, previsto nell’ult. comma dell’art. 1165 c.c. 1865 ed ancor oggi presen-te nell’art. 1184, ult. comma, Code Civil) (26).E proprio perché il patto rende inidonei alla risoluzione esclusivamente

gli inadempimenti dovuti a colpa semplice, ne consegue altresì un’indiret-ta coazione dell’inadempiente a rimediare spontaneamente alla propriainadempienza. Inoltre, invocare la clausola e non offrire di rimediare al-l’inadempimento o invocare la clausola quando un riequilibrio del sinal-lagma su altri piani è impraticabile costituirebbe violazione del precetto dibuona fede che deve sovrintendere l’esecuzione del contratto. – È questala via seguita nei Principi di diritto europeo dei contratti, pubblicati nel2000, il cui art. 8:109 « Clausola di esclusione o di limitazione delle tute-le » prevede: « Le tutele per l’inadempimento possono essere escluse o li-mitate salvo che far valere tale esclusione o limitazione risulti contrario al-la buona fede e alla correttezza » (27).Va dunque distinto il piano della validità della clausola da quello della

sua efficacia.Alla sua genesi, la validità della clausola andrà misurata sul rispetto del-

l’art. 1229 c.c. e sul mantenimento degli alternativi rimedi dell’azione dimanutenzione e di risarcimento.Qualora poi, in fase attuativa del rapporto, il riequilibrio del sinallagma

sui piani dell’esatta esecuzione o del risarcimento non sia concretamenteattuabile – o per il persistente rifiuto dell’obbligato (che dunque non con-sentirà di qualificare come semplicemente colposo l’inadempimento) ov-vero per l’impraticabilità dell’azione di manutenzione avente ad oggettoun facere infungibile (o dell’azione di risarcimento, per incapienza del pa-trimonio dell’obbligato) – si potrà concludere per l’inefficacia della clau-sola, per violazione del precetto di buona fede nell’esecuzione del contrat-

(26) Per una voce isolata e risalente nel senso dell’abusività e contrarietà a buona fededella proposizione della domanda di risoluzione per precludere un nuovo collaudo dellacosa venduta, Cattaneo, Buona fede obiettiva e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. e proc.civ., 1971, p. 653. Assistiamo invece ora ad un ritorno in auge delle clausole generali: suquesti temi, per sintesi, mi permetto di rinviare a Delfini, Causa ed autonomia privata nel-la giurisprudenza di legittimità e di merito: dai contratti di viaggio ai derivati sul rischio dicredito, in questa Rivista, 2013, p. 1355 ss.

(27) Art. 8:109 nel testo pubblicato in Principi di diritto europeo dei contratti, Parte I eII, a cura di Castronovo, Milano, 2000, p. 433; una formulazione in parte diversa si leggenel testo in appendice al saggio di ALPA, I « Principles of European Contract Law » predi-sposti dalla Commissione Lando, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 483 ss, ove si avverte che« La versione in italiano, qui di seguito pubblicata, è stata predisposta dal Ministero dellaGiustizia » ed ove la formulazione dell’art. 8:109 è la seguente: « I rimedi in caso di ina-dempimento possono essere esclusi o limitati a meno che ciò non sia contrario ai principidella buona fede e della correttezza ».

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to (art. 1375 c.c.) ovvero impedirne l’applicazione con la tecnica succeda-nea dell’abuso del diritto (28).

(28) Indici in tal senso non mancano nella disciplina della risoluzione: cfr. l’art. 1460,comma 2o, e soprattutto l’art. 1462, comma 2o, c.c., del quale proponevo una applicazioneanalogica, per disapplicare la clausola di irresolubilità (pur valida) quando la mutata situa-zione patrimoniale dell’inadempiente che la invoca in giudizio è tale da far prevedere l’in-fruttuosità dell’azione di esatto adempimento e di risarcimento (cfr. Delfini, I patti sullarisoluzione, cit., p. 85). Allora tuttavia, a differenza di oggi, si era ancora in una stagionestorica di sfavore per l’impiego delle clausole generali, quale la « buona fede ». Nella piùrecente giurisprudenza è invece ora frequente il richiamo della clausola generale di buonafede per sottoporre l’esercizio di diritti potestativi ad un sindacato giudiziale che parrebbeincompatibile con la stessa loro natura e con la stessa autonomia privata: è il caso del con-trollo ex fide bona del recesso ad nutum, inaugurato da Cass. 20106/09 (Cass. 18 settembre2009, n. 20106, in Rep. Foro it., 2010, voce Contratto in genere, n. 433), cui di recente si èaggiunto l’obiter dictum di Cass. 13905/13 (Cass. 3 giugno 2013, n. 13905 (est. Rordorf),pubblicata su Il Caso.it) (ove le sez. un. si occupano di nullità ex art. 30, comma 7o, t.u.f.del contratto di collocamento fuori sede di strumenti finanziari o gestione di portafogli permancata menzione della facoltà di recesso penitenziale ex art. 30, comma 6o, del medesimot.u.f.). Il richiamo all’abuso del diritto è poi oggi frequente, come è noto, in materia tribu-taria (da ultimo, Cass. 7 novembre 2012, n. 19234, in Rep. Foro it., 2012, voce Tributi ingenere, n. 1025; il fondamento costituzionale dell’orientamento antielusivo è rinvenutonell’art. 53 Cost. da Cass. 28 giugno 2012, n. 10807, in Rep. Foro it., 2012, voce Tributi ingenere, n. 979).

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Risoluzione

contratto per

inadempimento

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CAUSA DEL CONCORDATO PREVENTIVOE OGGETTO DELL’OMOLOGAZIONE [,]

diMassimo Fabiani

(Professore nell’Università del Molise)

Sommario: 1. Concordato preventivo e prevenzione del fallimento. – 2. Regolazione dellacrisi e soddisfacimento dei creditori. – 3. Soddisfazione dei crediti e regolazione dellacrisi. – 4. L’impronta negoziale nel concordato preventivo. – 5. Prime conclusioni sullanatura negoziale del concordato preventivo. – 5.1. Dal negozio alla deliberazione e dalladeliberazione al contratto. – 6. Dal contratto alle categorie contrattuali. – 7. Il concor-dato preventivo come procedura concorsuale. – 8. Il concordato come strumento di at-tuazione della garanzia patrimoniale. La natura giuridica. – 9. L’attuazione della garan-zia patrimoniale secondo la regola della par condicio creditorum « residuale ». – 10. Lanecessità di un giudizio di omologazione. – 11. Il rapporto fra concordato (causa) e giu-dizio di omologazione (oggetto). – 12. L’oggetto del giudizio di omologazione. – 13. Lacognizione del giudice. – 14. La decisione e il vincolo che su di essa si forma.

1. – Un tempo lo scopo che muoveva il debitore nell’avanzare la doman-da di concordato preventivo era quello di evitare la dichiarazione di falli-mento e la natura preventiva del concordato era declamata in una dispo-sizione, oggi soppressa, a tenore della quale la domanda poteva essere pre-sentata sino a che non fosse stato dichiarato, appunto, il fallimento.V’è ora da interrogarsi se, mutata la cornice normativa, questo sia anco-

ra vero. La risposta negativa è quella più plausibile. Innanzi tutto deve es-sere dimostrato che una volta presentata domanda di concordato al tribu-nale non sia, comunque, consentito dichiarare il fallimento in presenza diun ricorso di un creditore o del pubblico ministero (1).Ma a parte questo rilievo di matrice essenzialmente processuale (inteso a

disciplinare il coordinamento fra procedimento di ammissione al concor-dato e procedimento per dichiarazione di fallimento), non si può racchiu-dere la richiesta di concordato nella sola volontà del debitore di percorre-re una strada alternativa al fallimento.Ciò per varie ragioni; da una parte perché non esiste più l’alternativa

« meritevolezza nel concordato »/« sanzione nel fallimento » (2), vista labiunivoca riforma che consente che al concordato acceda anche il debito-

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Sui complessi rapporti fra procedimento per dichiarazione di fallimento e domandadi concordato v., Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Fallimento, 2013, p. 149;Cass. 24 ottobre 2012, n. 18190, in Foro it., 2013, I, c. 1534; Pagni, I rapporti tra concor-dato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare, in Fallimento, 2013, p. 1081; De

Santis, Ancora sui rapporti tra istruttoria prefallimentare e procedura concordata di soluzio-ne della crisi d’impresa, in Fallimento, 2012, p. 1207. Cass., 30 aprile 2014, n. 9476, in Fal-limento, 2014, p. 646 ha rimesso la questione dei rapporti fra i due procedimenti all’esamedelle Sezioni unite.

(2) Racugno, Gli obiettivi del concordato preventivo, lo stato di crisi e la fattibilità delpiano, in Giur. comm., 2009, I, p. 895.

Concordato

preventivo

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re immeritevole e che rende priva di effettività afflittività la dichiarazionedi fallimento.Dall’altra parte perché il debitore con lo strumento del concordato vuo-

le regolare la propria crisi che potrebbe, anche, non coincidere con lo sta-to di insolvenza.Ed ancora perché gli effetti che derivano dal concordato sono molteplici

(ad esempio attengono alla formazione del rango prededucibile per alcunicrediti) e tali da non poter essere assorbiti solo dall’impedimento alla di-chiarazione di fallimento.Come si avrà modo di verificare infra, molte (se non tutte) delle ragioni

che spingevano il debitore verso il concordato erano fondate su erroneeletture e su incerte interpretazioni.L’idea, ampiamente diffusa, che il concordato potesse costituire un sal-

vacondotto efficace dal rischio di imputazione penale per fatti di banca-rotta, è il frutto di un equivoco posto che la responsabilità per fatti di ban-carotta permane anche con l’apertura del concordato preventivo (art. 236l. fall.) (3), considerato che le nuove esimenti di cui all’art. 217 bis l. fall.hanno uno spettro applicativo limitato alla bancarotta preferenziale e allabancarotta semplice (4).La circostanza che con il concordato preventivo sia disinnescato il ri-

schio delle azioni di responsabilità sociale è parimenti affermazione quan-to meno azzardata (5). Ed ancora, il concordato preventivo, secondo lalettura preferibile (6), non pone gli atti compiuti dal debitore al riparo dal-l’azione revocatoria ordinaria.Come si può notare, la propensione verso il concordato preventivo si

fondava su valutazioni non meno che opinabili; il mutamento di cornicedovrebbe, quindi, rafforzare l’idea che la scelta dell’imprenditore non siadavvero quella (o solo quella) di evitare il fallimento, quanto l’altra, e piùvirtuosa, di offrire ai creditori la migliore soluzione possibile per l’uscita,dignitosa, dalla crisi.

(3) È ben vero che in oltre sessant’anni di vigenza della norma i processi penali sono sta-ti sporadici – Cass. pen. Valsecchi 18 maggio 2012, n. 33230, in Foro it., 2013, II, c. 19 – eche la dottrina solo raramente se ne è occupata – Pedrazzi e Sgubbi, Reati commessi dalfallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Commentario alla legge fallimentarediretto da Galgano, Bologna-Roma, 1995, p. 243 – ma ciò non giustificava una lettura so-stanzialmente abrogatrice della disposizione.

(4) Per una disamina delle nuove esimenti, v. Fr. D’Alessandro, Il nuovo art. 217 bis,in Società, 2011, p. 201.

(5) Nigro, La società per azioni nelle procedure concorsuali in Trattato delle società perazioni, diretto da Colombo e Portale, 9**, Torino, 1993, p. 395; Nardecchia, Gli effettidel concordato preventivo sui creditori, Milano, 2011, p. 153; Trib. Bologna 8 agosto 2002,in Giur. it., 2003, p. 1649; App. Milano 14 gennaio 1992, in Fallimento, 1992, p. 1146;Trib. Reggio Emilia 19 giugno 1979, in Giur. comm., 1981, II, p. 183; Trib. Milano 23 di-cembre 1968, in Giur. it., 1970, I, 2, c. 283.

(6) Nardecchia, op. cit., p. 149; sulla esclusione dell’esimente di cui all’art. 67, comma3o, lett. e), l. fall. alla revocatoria ordinaria, v., Bonfatti e Censoni, Manuale di diritto fal-limentare, Padova, 2011, p. 212; Meoli, Vecchie e nuove esenzioni dalla revocatoria falli-mentare, in Giur. comm., 2006, I, p. 209; Terranova, Problemi di diritto concorsuale, Pa-dova, 2011, p. 82; Farina, Le esenzioni di cui al 3o comma dell’art. 67 l. fall., in Trattato didiritto delle procedure concorsuali, a cura di Apice, I, Torino, 2011, p. 625.

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Quindi una dissociazione dalla visione soggettivistica del concordato inproiezione di una visione del concordato quale luogo nel quale viene com-posto un conflitto (fra debitore e creditori). La composizione del conflittosi attua attraverso due reciproche obbligazioni/concessioni: i creditoriconsentono la liberazione del debitore – ma meglio si dovrebbe dire, del-l’impresa – e il debitore si obbliga a far conseguire ai creditori il migliorrisultato possibile. Il risultato ottenuto dall’esecuzione di questa « transa-zione » si traduce, anche, nella esclusione del fallimento.

2. – Quando si apre la crisi dell’impresa e cioè quando la crisi viene ma-nifestata all’esterno, si innesca anche il conflitto tra i creditori e il debito-re, un conflitto che il concordato preventivo dovrebbe risolvere.In tale prospettiva, la funzione (7) del concordato preventivo è descritta

dall’art. 160 l. fall. a tenore del quale il concordato è la proposta (ma nonsolo questo) che il debitore formula ai suoi creditori impegnandosi a sod-disfarli in base a determinate modalità. Il concordato, dunque, serve perprocurare ai creditori la loro soddisfazione. Sennonché, questo primoobiettivo declamato per legge non assorbe il tema della funzione del con-cordato se si considera che occorre verificare quale soddisfazione debbaessere procurata e se sia addirittura prospettabile che nessuna soddisfazio-ne venga procurata a tutti i creditori.Provando a trascurare il richiamo ai principi del contratto è tuttavia ne-

cessario chiedersi quale sia il significato del termine « soddisfazione » (ri-ferito ai crediti) che compare nell’art. 160 l. fall.Il lemma ha, di solito, un valore essenzialmente « spirituale » in quanto

è rapportato al sentimento di chi ha conseguito l’appagamento di unobiettivo desiderato. Tutt’affatto diverso è il significato di adempimentoche è un termine tecnico espressivo del conseguimento materiale (e nonspirituale) di una aspettativa.Tuttavia occorre dar atto che negli ultimi anni il legislatore a proposito

dei creditori, sia pure in un non nutrito ordine di esempi, ha utilizzatoproprio il termine « soddisfazione ». In tal senso, pur se non si deve so-pravvalutare il lessico utilizzato nell’art. 160 l. fall., non è eretico assumereche il concordato debba procurare ai creditori la soddisfazione del creditoanche con strumenti diversi dall’adempimento in denaro.Questa prima ipotesi non realizzabile in passato (8) si può tradurre, nel-

la sostanza, in una datio in solutum, posto che ai creditori in luogo di de-naro può essere offerto un valore diverso (la quota di comproprietà su be-ni o addirittura su un patrimonio). Questa modalità, pur non espressa-mente prevista, la si deve intendere certamente ammissibile posto chel’art. 160 della l. fall. consente che ai creditori sia attribuito in pagamentouna quantità di titoli di partecipazione al capitale sociale, ciò che confer-

(7) Tale termine è utilizzato in modo più generico di quanto si possa esprimere col lem-ma « causa » per non incunearsi a priori nel tema della natura negoziale del concordato, v.infra, par. 4 ss.

(8) Nel regime originario del 1903, si escludeva che il debito potesse essere trattato di-versamente che col pagamento di una somma di denaro, v. Butera, Moratoria. Concordatopreventivo. Procedura dei piccoli fallimenti, Torino, 1938, p. 77.

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ma che la soddisfazione del credito non deve avvenire esclusivamente indenaro (9).Accade, dunque, che mentre nei rapporti di diritto civile (creditore vs.

debitore) la datio in solutum quale mezzo di adempimento dell’obbliga-zione impone che vi sia il consenso del creditore (art. 1197 c.c., art. 588c.p.c. a proposito dell’assegnazione nell’esecuzione forzata), nei rapportidi diritto commerciale (imprenditore vs. creditori), la soddisfazione deicrediti possa avvenire anche con strumenti diversi dal denaro, purché laproposta incontri il consenso della maggioranza dei creditori (e risulti,poi, omologata), pur contro la volontà di qualcuno dei creditori. La diffe-renza fondamentale rispetto al passato è data dal fatto che il singolo cre-ditore non solo è vincolato al volere della maggioranza sul quoziente mo-netario che è destinato a ricevere, ma è addirittura vincolato in ordine allaqualità della prestazione che può essere un adempimento non in mone-ta (10).Sennonché, se si recupera quel significato spirituale del termine « sod-

disfazione » è coerente chiedersi se un creditore possa reputarsi soddisfat-to anche se riceve una utilità (e cioè qualcosa di meno di una datio in so-lutum) ed ancora se la soddisfazione debba riguardare tutti i creditori op-pure no. Che un creditore possa dichiararsi soddisfatto sebbene nulla ab-bia ricevuto non è revocabile in dubbio posto che il diritto di credito benpuò essere abdicato; la remissione del debito (art. 1236 c.c.) è un modo diestinzione dell’obbligazione. Ma il punto è se la soddisfazione, con questeforme blande, possa avvenire anche senza il singolo consenso o persinocontro la volontà del singolo creditore. I creditori a maggioranza possonodisporre dei crediti altrui quando approvano una proposta di concordatoche preveda una soddisfazione parziale e ciò avviene per il principio mag-gioritario e per l’obbligatorietà del concordato. Si tratta di vedere se que-sta forza della maggioranza si spinga sino al caso in cui nessuna soddisfa-zione sia prevista nella proposta.Per completare il tema non si può fare a meno di rammentare che se si

assume che una soddisfazione vi debba essere, questa soddisfazione an-drebbe, poi, declinata in una misura minima che però la legge non stabili-sce, diversamente da quanto accadeva sino al 2005, quando ai creditorichirografari doveva essere, almeno, promesso il pagamento del quarantaper cento del loro credito.Una volta che la misura minima è stata soppressa, ci si domanda se sia

lecito introdurre la nozione di « soddisfazione non irrisoria » e se, in casodi risposta affermativa, la soglia minima possa essere sindacata dal giudi-ce.Per quanto sia stata autorevolmente sostenuta, la tesi della necessità

che la proposta contempli una misura non irrisoria (11) (o non minima-

(9) Mandrioli, sub art. 160, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2011, p.1761; Pacchi, La valutazione del piano del concordato preventivo: i poteri del tribunale e larelazione del commissario giudiziale, in Dir. fall., 2011, I, p. 97.

(10) Cass., 7 maggio 2014, n. 9841, in www.ilcaso.it(11) Trib. Milano 28 ottobre 2011, in Foro it., 2012, I, c. 136; Trib. Roma 18 aprile 2008,

in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 732, con nota adesiva di Macario, Nuovo concordato

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le) (12) non convince e appare preferibile l’opzione contraria, anche por-tandola a più estreme conseguenze. In tal senso, la proposta che prevedauna irrisoria soddisfazione, purché formulata a tutti i creditori, è da repu-tare ammissibile al lume del contenuto dell’art. 160 l. fall. che non esprimealcun numero. Non è, infatti, ragionevole né razionale sottrarre ai credito-ri la valutazione se accettare una proposta « minimale » e tuttavia conside-rata, da loro, conveniente (13). Infatti, ove si volesse imporre sulla volontàdei creditori il giudizio del tribunale, inevitabilmente si restaurerebbe ungiudizio di convenienza (14) che con la riforma del 2005 il legislatore havoluto ricondurre in limiti assai angusti e che fuori da questi, per convin-zione ampiamente diffusa, è stato espunto.Questa conclusione e cioè il riconoscimento che la soddisfazione possa

risultare irrisoria, pur certamente « avanzata », non produce risultati, an-cora, del tutto appaganti.

3. – Per fare un passo avanti va ricordato, al modo di una premessa, chel’imprenditore che sia anche debitore è già impegnato con i suoi creditorisecondo le regole del diritto delle obbligazioni e il suo patrimonio è la ga-ranzia generica posta a disposizione dei creditori secondo lo schema di cuiall’art. 2740 c.c. (15).Quando l’imprenditore-debitore è inadempiente soggiace al regime del

diritto civile e del diritto processuale civile. È esposto al rischio che i suoicreditori, in presenza di un difetto di cooperazione nell’adempimento, vo-gliano conseguire quanto è loro dovuto facendo ricorso agli strumenti del-la tutela giurisdizionale: prima quella dichiarativa e poi quella esecutiva.L’imprenditore-debitore che non adempie è soggetto al medesimo regimedi qualunque altro debitore; la virata nella direzione dell’applicazione diun diritto diverso, il diritto commerciale-concorsuale, dipende dal fattoche quel debitore oltre ad assumere la veste di imprenditore si trova anchein una condizione oggettiva di difficoltà generale che travalica il singoloinadempimento (16). L’art. 160 l. fall. contiene il lemma « crisi » che espri-

preventivo e (antiche) tecniche di controllo degli atti di autonomia: l’inammissibilità dellaproposta per mancanza di causa; Trib. Rovigo 3 dicembre 2013,www.ilcaso.it; Trib. Siracusa13 novembre 2013, www.ilcaso.it; nonché Ambrosini, Il controllo giudiziale sull’ammissi-bilità della domanda di concordato preventivo e sulla formazione delle classi (Dir. fall., 2010,I, p. 559); Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale,in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, I, Padova, 2010, p. 500.

(12) Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit.(13) Censoni, Sull’ammissibilità di un concordato preventivo non conveniente, in Falli-

mento, 2010, p. 988; Trib. La Spezia 19 settembre 2013, www.ilcaso.it.(14) Canale, Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma, in Giur. comm., 2011,

I, p. 366; Abete, La struttura contrattuale del concordato preventivo: riflessioni a latere del-la sentenza n. 1521/2013 delle sezioni unite, in Dir. fall., 2013, I, p. 880; Montalenti, Lafattibilità del piano nel concordato preventivo tra giurisprudenza della Suprema Corte e nuo-ve clausole generali, in Il nuovo diritto delle società, 3/2012, p. 13.

(15) Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, p. 16.(16) Sui classici rapporti fra diritto civile e diritto commerciale e sulla autonomia di un

diritto dell’impresa (con la relativa partizione correlata al fenomeno dell’insolvenza), v.,Libertini, Diritto civile e diritto commerciale. Il metodo del diritto commerciale in Italia, inRiv. società, 2013, p. 40; e da una prospettiva diversa, Delle Monache, « Commercializ-

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me una nozione tutt’altro che definita ma dalla quale si può qui prescin-dere (17). Ciò che qui occorre precisare è che lo stato di crisi è una situa-zione che può riguardare profili diversi della situazione economica del-l’impresa (quello patrimoniale, quello finanziario, quello economico o unacombinazione fra questi), ma accomunati dall’idea che può essere supera-to solo se affrontato globalmente.La crisi incide sulla capacità (immediata o di breve periodo) del debitore

di far fronte alle obbligazioni e quindi rileva o sulla necessità che il pagamen-to dei debiti sia differito o sulla necessità che lamera dilazione, da sola insuf-ficiente, sia accompagnata da uno « stralcio » dell’esposizione debitoria.Se si mettono in fila queste considerazioni, comincia ad avvertirsi che la

funzione del concordato, o se si vuole della proposta di accordo rivolta aicreditori, è quella di regolare la crisi dell’impresa.Non a caso, la regolazione della crisi dell’impresa è, secondo un recente

indirizzo giurisprudenziale (benché assai criticato proprio per quanto per-tiene a questo tema) (18), la causa astratta del concordato preventivo.Cercando di fare chiarezza e muovendosi nell’ambito dei principi del di-

ritto civile la proposta di concordato, se accettata (cioè approvata dai cre-ditori) e condizionata dal « via libera » del giudice, va qualificata come of-ferta di accordo che mira a regolare la crisi nel senso che è diretta a supe-rare quello stato patologico di incapacità ad adempiere attraverso modali-tà che saranno contenute nella proposta.La crisi di una impresa è sicuramente un fenomeno patologico, quan-

d’anche diffuso. L’impresa non vive nel mercato per essere in crisi, maquando lo è, la crisi deve essere superata.Il superamento della crisi può essere conseguito attraverso la sua rimo-

zione e il recupero della stessa alle normali relazioni commerciali senza sa-crifici per i creditori che non siano quelli collegati al tempo dell’adempi-mento; ma si può superare, con modalità violente, anche per il tramite delfallimento perché l’espulsione dell’impresa dal mercato e la liquidazionedei suoi beni da destinare al soddisfacimento dei creditori è un mezzo diregolazione della crisi. All’inadempimento si sostituisce un adempimentocoattivo. Fra questi due poli opposti si collocano tutte le ipotesi interme-die che possono realizzarsi con strumenti variegati che vanno dal concor-dato preventivo a quello stragiudiziale « puro »; dal piano di risanamentoattestato all’accordo di ristrutturazione (19).Tutti e proprio tutti questi strumenti (o istituti) sono volti a regola-

zazione » del diritto civile e viceversa, in Riv. dir. civ., 2012, I, p. 489. Lo stesso rapportoviene poi a svilupparsi secondo una tecnica di gemmazione specializzante fra diritto socie-tario e diritto societario della crisi su cui v. Tombari, Principi e problemi di « diritto socie-tario della crisi », in Riv. società, 2013, p. 1147.

(17) Sulla nozione di crisi, v. Rocco di Torrepadula, La crisi dell’imprenditore, inGiur. comm., 2009, I, p. 231; de Ferra, Il rischio di insolvenza in Giur. comm., 2001, I, p.193; Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2012, p. 324; Strampelli, Capitale so-ciale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. società, 2012, p. 633.

(18) Cass. 23 gennaio 2013, n. 1521, cit.(19) In senso conforme, Abete, La struttura contrattuale del concordato preventivo, cit.,

p. 871.

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re la crisi dell’impresa e hanno, quindi, alcuni connotati comuni (20).In tal senso pur se è esatto assumere che la proposta di concordato ha la

funzione di regolare la crisi dell’impresa, questo non è però sufficiente inquanto non discriminante.Il discrimine inizia nel momento in cui la regolazione della crisi è la fun-

zione cui si vuol piegare il concordato; ma se il concordato è un insieme diregole, per logico sillogismo, si dovrebbe concludere che la funzione delconcordato è quella di regolare la crisi di un imprenditore secondo le re-gole, sostanziali e processuali, del concordato. E per evitare di ricaderenell’assunzione tautologica, per sintetizzare, va affermato che l’ordina-mento riconosce che la regolazione della crisi è un obiettivo meritevole ditutela che può essere perseguito, lecitamente, in tanti modi, uno dei qualiè il superamento attraverso l’applicazione delle disposizioni di cui agliartt. 160-186 bis l. fall.Una volta evaporato il dogma dell’indisponibilità dell’insolvenza com-

merciale (21), la crisi dell’impresa diviene il presupposto perché fra le partiinteressate – creditori e debitore – si intrecci un nuovo rapporto diretto asuperare la crisi attraverso l’uso « virtuoso » delle regole dei contratti (22).Ed allora, causa dell’accordo di concordato preventivo è la regolazione

della crisi secondo lo schema delle disposizioni sopra citate, quindi secon-do le regole del « concorso concordatario ».Il debitore, e lui soltanto visto che il nostro sistema non contempla inge-

renze di terzi in questa fase di crisi dell’impresa, di fronte alla difficoltàdell’impresa può decidere di chiedere ai creditori, sotto la protezione deltribunale, la disponibilità a trattare i loro crediti globalmente secondo leregole del concorso concordatario. Un concorso anfibio nel quale si com-penetrano, spesso con risultati asimmetrici, regole della continuità azien-dale con regole della liquidazione espropriativa.La globalità dell’approccio comporta, per logica afferenza, che si discu-

ta della accettabilità di una proposta che non preveda per alcuni la soddi-sfazione dei crediti, neppure per equivalente e neppure con attribuzionidi semplici utilità (23), il che si tradurrebbe nell’affermazione per la qualela crisi può essere regolata anche in assenza di una forma di soddisfazioneper taluni creditori, ma con pieno effetto di esdebitazione verso tutti.Questa soluzione muove, proprio, da un confronto con l’istituto della

(20) La rimozione della crisi è la causa degli accordi di ristrutturazione per Marchegia-

ni, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Milano, 2013, p. 174.Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall.: natura profili funzionali e li-miti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Dir. fall., 2012, I, p. 27, parla di « causa diristrutturazione ».

(21) Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, cit., p. 55; Abete, Le vienegoziali per la soluzione delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2007, p. 622; Nocera, Archi-tettura strutturale degli accordi di ristrutturazione: un’analisi di diritto civile, in Riv. trim.dir. e proc. civ., 2011, p. 1129.

(22) Macario, Insolvenza del debitore, crisi dell’impresa e autonomia negoziale nel siste-ma della tutela del credito, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio eMacario, Milano, 2010, p. 56.

(23) Si pensi al vantaggio del creditore cui sia promessa la ripresa di un rapporto com-merciale nell’ambito di un concordato con continuità d’impresa.

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esdebitazione. In caso di fallimento, il debitore può essere esdebitato datutti i suoi debiti (salvo che per alcune eccezioni – i debiti da illecito ex-tracontrattuale – che attengono alla qualità del credito e che trovano ra-gione in un disincentivo al compimento di atti reputati illeciti) purché icreditori siano soddisfatti. Si è discusso se tutti i creditori dovessero esseresoddisfatti ma a livello interpretativo è prevalsa la tesi che acconsente allaesdebitazione purché almeno alcuni creditori siano stati soddisfatti (24). Ilrisultato finale deve dipendere dalla volontà del debitore di mettere a di-sposizione dei creditori tutte le risorse di cui dispone e l’esdebitazionenon può essere influenzata dalla composizione del passivo (25).Se l’imprenditore può conseguire il beneficio dell’esdebitazione al ter-

mine della liquidazione fallimentare pur senza soddisfare tutti i creditori,per logica coerenza dovrebbe poter giungere al medesimo risultato anchetramite la presentazione prima e l’omologazione, poi, del concordato pre-ventivo, con l’aggiunta, decisiva, che nel concordato i creditori possonoopporsi al concordato.Pur se l’assimilazione al fenomeno della esdebitazione può giustificare la

conclusione estrema ora illustrata, tuttavia una completa sovrapposizionefra l’istituto della esdebitazione e il concordato non è giustificata.L’esdebitazione presuppone che il fallito la chieda, ma l’esdebitazione

non dipende da impegni che il debitore si sia assunto; viceversa quando ildebitore presenta una domanda di concordato, presenta anche una pro-posta e questa proposta non può essere priva di impegni dal lato del debi-tore. Innanzi tutto, la proposta che formula e volta alla riorganizzazionedella crisi deve contenere delle obbligazioni nei confronti dei creditori,ma soprattutto deve contenere un impegno a che la proposta che presentasia quella che meglio soddisfa l’interesse di tutti i creditori. Se si ritenesseche il debitore può prevedere che alcuni creditori non ricevano pagamen-ti, non ricevano beni e neppure altre utilità, costoro non riceverebberocomplessivamente nulla di più di quanto potrebbero ottenere con un qua-lunque altro tipo di soluzione, compresa quella della liquidazione giudi-ziaria.

(24) Cass. 14 giugno 2012, n. 9767, in Fallimento, 2012, p. 1313; Cass. 18 novembre2011, n. 24214, in Foro it., 2011, I, c. 3272; in dottrina, in luogo di molti, Capo, L’esdebi-tazione, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, III, Padova, 2011,p. 563; Zanardo, sub art. 142, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini,III, Milano, 2010, p. 194; Fauceglia e Rocco di Torrepadula, Diritto dell’impresa incrisi, Bologna, 2010, p. 291; Ambrosini, Cavalli e Jorio, Il fallimento, in Trattato di di-ritto commerciale, diretto da Cottino, XI, 2, Padova, 2009, p. 687; Bonfatti e Censoni,Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, p. 425; Frascaroli Santi, L’esdebitazionedel fallito: un premio per il fallito o un’esigenza del mercato?, in Dir. fall., 2008, I, p. 34; Ca-stagnola, L’esdebitazione del fallito, in Giur. comm., 2006, I, p. 457; Tedeschi, Manualedel nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, p. 482. In direzione opposta, fra i tanti, Gu-

glielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2012, p. 288; Scarselli, L’esdebitazione arrivain Cassazione, in Fallimento, 2010, p. 678; Santoro, sub art. 142, in La legge fallimentaredopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, II, Torino, 2010, p. 1869; Costanti-no, La esdebitazione, in Foro it., 2006, V, c. 210.

(25) A parità di quantità di attivo e di passivo, la maggiore o minore presenza di creditiprivilegiati influisce sul fatto che residuino (o no) risorse per i creditori chirografari. In ter-mini analoghi, v., Terranova, Le nuove forme di concordato, Torino, 2013, p. 109.

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Si spiega, allora, che se l’obbligazione che il debitore assume deve tra-dursi in un miglioramento del trattamento dei creditori, è necessario cheun miglioramento vi sia nei confronti di tutti e ciò perché non basta chenon vi sia pregiudizio. Una proposta a « somma zero » non è compatibilecon l’idea che al creditore debba essere offerta la soluzione migliore, ov-viamente nel rispetto delle regole (26). È sin troppo evidente che la solu-zione migliore per ciascun creditore sarebbe quella di riscuotere l’interoproprio credito, ma questo miglior interesse assoluto deve combinarsi colmiglior interesse relativo perché la posizione di ciascuno refluisce sullaposizione di tutti.La previsione per la quale il concordato ha la funzione di regolare la cri-

si mediante la soddisfazione dei creditori va, dunque, precisata nel sensoche non è necessario che tutti, e proprio tutti, i creditori debbano risultaregiuridicamente soddisfatti, ma è necessario che la loro posizione miglioricon il concordato e che pertanto tutti siano economicamente soddisfatti.Questo significa, appunto, che tutti i creditori debbono ricevere la pro-messa e l’impegno a conseguire una utilità (27); solo per fare un esempio, ilcreditore può avvantaggiarsi dal poter portare in detrazione fiscale il suocredito insoddisfatto senza dover attendere la chiusura del fallimento equindi l’anticipazione della detrazione fiscale è una effettiva utilità econo-mica che può essere valorizzata (28).Una proposta nella quale siano offerti beni o utilità diverse dal denaro,

può rivelarsi una proposta non appetibile per i creditori che possono ri-fiutarne l’approvazione, ma non è una proposta, di per sé, inammissibilese la sua funzione è quella di regolare la crisi (29).Come si è anticipato, la scelta di adoperare il termine « funzione » è vo-

lutamente provvisoria in quanto solo dopo avere verificato come il con-cordato possieda una decisiva impronta negoziale, si potrà dare spazio alleconsiderazioni in termini di causa del concordato.

4. – La domanda di concordato preventivo è espressione di autonomianegoziale perché da un lato è il debitore soltanto che può scegliere se pro-porlo oppure no (30), e dall’altro lato il contenuto della proposta è affidato

(26) Ambrosini, I finanziamenti bancari alle imprese in crisi dopo la riforma del 2012, inDir. fall., 2012, I, p. 478.

(27) Parla genericamente di una attribuzione, Nardecchia, Cessione dei beni e liquida-zione: la ricerca di un difficile equilibrio tra autonomia privata e controllo giurisdizionale, inFallimento, 2012, p. 97.

(28) Oppure si può pensare al fatto che l’omologazione del concordato sottrae al credi-tore il rischio che nei suoi confronti sia esercitata una azione revocatoria fallimentare perun pagamento che ha ricevuto nel periodo sospetto. Anche questa è indubbiamente unautilità concreta visto che fra le regole del concorso concordatario non rientra l’eserciziodelle azioni revocatorie, ma l’attribuzione non deriva né dalla proposta, né dalla legge, masolo da una eventuale iniziativa del curatore.

(29) Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, p. 339; Di

Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, p. 32. Per una visione op-posta, volta a funzionalizzare il risanamento dell’impresa, v., Azzaro, Le funzioni del con-cordato preventivo tra crisi e insolvenza, in Fallimento, 2007, p. 745; Guglielmucci, Dirit-to fallimentare, cit., p. 322.

(30) Sul monopolio del debitore e sulla sua criticità, v., Schlesinger, Proposta per una

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all’iniziativa dell’imprenditore ormai libero di muoversi fra condizioni as-sai poco stringenti.I vantaggi che offre il concordato possono essere così sintetizzati: i) con

il solo deposito della domanda vengono inibite le azioni esecutive; ii) laproposta può essere molto flessibile, ivi compresa la trattabilità dei credi-tori privilegiati; iii) il concordato se approvato e omologato è obbligatorioper tutti i creditori concorsuali; iv) gli atti compiuti in esecuzione del con-cordato sono esentati dalla revocatoria fallimentare; v) il concordato, seadempiuto, libera il debitore dalle obbligazioni residue rimaste insoddi-sfatte; vi) le obbligazioni che sorgono sono assistite dal beneficio dellaprededuzione; vii) gli atti compiuti in esecuzione del concordato rappre-sentano esimenti dai reati di bancarotta preferenziale e bancarotta sempli-ce (art. 217 bis l. fall.).Al contempo fra gli svantaggi, dal lato del debitore, si possono annove-

rare: �) il fatto che il debitore conserva sì la gestione dell’impresa ma sottola vigilanza degli organi della procedura; �) il rischio che la procedurapossa in un qualunque momento tracimare in fallimento; γ) la necessità diacquisire il consenso dei creditori in un clima di tendenziale parità di trat-tamento, sebbene anche solo per classi; δ) la possibile invadenza del giu-dice durante gli snodi processuali della procedura.Sulla base di questi elementi di valutazione, il debitore può formarsi il

convincimento sull’utilità di proporre ai creditori una soluzione concor-data della crisi dell’impresa. È vero che la volontà del debitore non è, inassoluto, libera perché se ci si trova in presenza di uno stato di insolvenzadell’impresa, le soluzioni percorribili sono ristrette, e tuttavia di scelta insenso stretto si può parlare visto che nessun altro può farla in sua vece.Ed ancora di scelta si può parlare perché anche il contenuto della pro-

posta non è predeterminato (31). Vi è, infatti, sostanziale condivisione inmerito al fatto che l’imprenditore ha la possibilità di proporre un con-cordato senza essere costretto in rigidi schemi preconfezionati, ma po-tendo, al contrario, fare ricorso alla fantasia per presentare una propostacredibile per regolare la crisi della sua impresa. È diffusa la convinzioneche il debitore possa proporre ai creditori ciò che reputa più appetibile,senza incorrere in limitazioni che non siano quelle, non così stringenti,

nuova procedura concordataria di soluzione di crisi aziendali, in Crisi d’impresa e riforma del-la legge fallimentare, a cura di Piccininni e Santaroni, Roma, 2002, p. 19; più di recente iltema è stato enunciato come un auspicio da Jorio, La riforma fallimentare: pregi e carenzedelle nuove regole, in Giur. comm., 2013, I, p. 712; Lubrano di Scorpaniello, Cessazio-ne dell’impresa e procedure concorsuali, Milano, 2005, p. 210; Sandulli, Le soluzioni stra-giudiziali per la composizione della crisi d’impresa, in La « riforma urgente » del diritto falli-mentare e le banche, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2003, p. 249; assumono che conl’insolvenza il controllo sull’impresa debba spettare ai creditori, v., Stanghellini, Le crisid’impresa tra diritto ed economia, Bologna, 2007, p. 226; Munari, Crisi d’impresa e auto-nomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012, p.104.

(31) L’incipit dell’art. 160,l. fall. sembra esaltare la flessibilità là dove si dice che il piano« può prevedere », specie se posto al raffronto con la norma nella versione originaria (« ...la proposta ... deve rispondere ... »), anche perché si ritiene, convincentemente, che le pre-visioni di cui alle lett. a e b del comma 1o, siano essenzialmente esemplificative e per nullaprescrittive.

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descritte nell’art. 160 l. fall. Si tratta di una convinzione non solo diffusama effettivamente condivisibile perché la riforma ha proprio voluto atte-nuare, fin forse a divellerle, le rigidità del sistema precedente ancorato,lo si ricorda, nella strettoia di una alternativa fra il concordato per garan-zia e il concordato con cessione dei beni; è ben vero che si era anche dif-fuso nella prassi il modello di concordato cd. misto, ma poi il giudice adun certo punto non poteva omettere di qualificarlo e di ricondurlo allasopra menzionata alternativa, posto che occorreva verificare il tipo diconcordato in funzione della (eventuale) nomina del liquidatore giudizia-le (art. 182 l. fall.) e di quale regola applicare in tema di risoluzione (art.186 l. fall.) (32).Alla consapevolezza che il debitore possa formulare una proposta molto

flessibile nei contenuti non è però seguita una coerente consapevolezzadegli effetti della scelta liberale del legislatore; si è rimasti, infatti, troppevolte ancorati alla distinzione tra concordato con cessione dei beni ed altritipi di concordato, non considerando che oggi non è più possibile asse-condare gli stilemi del passato e che, al fondo, ciò che rileva è proprio sol-tanto la proposta avanzata dal debitore. Tanto per fare un esempio di im-mediata evidenza, poco interessa stabilire se un concordato è per cessionedei beni, poiché, invece, preme sapere come è formulata la proposta dicessione: di conseguenza la nomina del liquidatore giudiziale (art. 182 l.fall.), non dipende dall’essere il concordato un concordato per cessione,quanto piuttosto dall’essere il concordato il frutto di una proposta nellaquale il debitore nulla ha previsto per la fase della liquidazione.Queste brevi riflessioni non vanno equivocate; infatti, la liberalizzazio-

ne della proposta nulla ha a che vedere con l’asserita privatizzazione delconcorso e con la declamata degiurisdizionalizzazione del concordatopreventivo (33). Infatti, si può immaginare un tessuto normativo che siamolto liberale quanto a contenuto della proposta, ma al quale corrispon-da un’intensa attività di controllo da parte del giudice, come pure si puòimmaginare che le proposte siano irreggimentate in schemi contenutisticibloccati, ma alle quali non faccia poi velo un controllo di merito del giu-dice.Dire che la libertà di formulazione del contenuto della proposta è

espressione dell’autonomia negoziale è affermazione che, pur con qualche

(32) Cass. 30 agosto 2007, n. 18324, in Rep. Foro it., 2007, voce Concordato preventivo,n. 119; emblematica al riguardo, risulta Cass. 28 settembre 2005, n. 18945, in Rep. Foro it.,2005, voce cit., n. 60, la quale ha precisato che il concordato c.d. « misto » deve ritenersituttavia suscettibile di risoluzione, non risultando ad esso applicabile il disposto dell’art.186, comma 2o, l. fall., che esclude la risoluzione del concordato con cessione dei beni « senella liquidazione dei beni sia stata ricavata una percentuale inferiore al quaranta per cen-to », in quanto la garanzia del terzo è diretta a rendere effettivo il soddisfacimento dei cre-ditori nella percentuale minima richiesta dalla legge, come nel concordato c.d. « per garan-zia », e non vi è quindi motivo per tutelare in modo diverso le aspettative dei creditori stes-si nelle due forme di concordato.

(33) Contra, Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, in Giur.comm., 2009, I, p. 731, il quale mescola privatizzazione e degiurisdizionalizzazione con ilcontrattualismo mentre le regole dei contratti se ben gestite in un quadro di controlli pos-sono rivelarsi efficaci per governare la crisi.

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cautela, merita condivisione, ma per poter affermare che questa scelta pla-sma, poi, un sistema in cui la gestione della crisi è privatizzata, occorre an-cor maggiore prudenza; infatti, se l’esaltazione del valore dell’autonomianegoziale risulta confermato dalla diversità degli assetti nei rapporti fra gliorgani della procedura, è proprio la disciplina di diritto positivo che con-cerne il ruolo del giudice che giustifica una lettura più articolata del mani-festato primato della negozialità (34).Ma, per completare una disamina dell’assetto negoziale, occorre anche

prendere in esame la posizione dei creditori e cioè di coloro che sonochiamati ad approvare la proposta.La proposta si rivolge ai creditori ma ciascuno di loro non manifesta una

adesione o un dissenso individuale dal momento che la volontà di ognunoè destinata a confluire nella volontà dell’intero ceto dei creditori. Ciò si-gnifica che l’incontro di volontà sulla proposta concordataria è asimmetri-co: da un lato il debitore e dall’altro lato un gruppo, non organizzato, dialcuni creditori – ma non tutti visto che ve ne sono molti che non hannodiritto di voto – che esprimono la loro volontà secondo le regole del prin-cipio di maggioranza.Rinviando ad altri studi il tema della compatibilità del principio di mag-

gioranza con l’istituto concordatario (35), già qui si può apprezzare che ilmeccanismo di approvazione è proprio questo; occorre prendere posizio-ne sul valore negoziale del consenso prestato dai creditori.Il ceto dei creditori, assemblato con regole un po’ particolari, esprime

una volontà: quella di accettare la proposta con l’approvazione o quella dirifiutarla facendo mancare il sufficiente consenso.Nella proiezione di una lettura negoziale si può dire che si forma l’in-

contro delle volontà sulla proposta quando i creditori la approvano secon-do lo schema del contratto bilaterale nel quale una parte è complessa.In passato si dubitava che il contratto fosse uno strumento idoneo per la

regolazione della crisi dell’impresa, considerata l’incerta meritevolezza de-gli interessi coinvolti nella crisi dell’impresa, non comprimibili (a parere ditaluno) nel contratto in quanto interessi pubblici e pertanto indisponibili.Ma la volontà del legislatore nel legittimare soluzioni stragiudiziali come

si desume dalla norma penale esoneratrice di cui all’art. 217 bis l. fall. ri-ferita al piano attestato di risanamento nel quale il ruolo preventivo delcontrollo giudiziale è assente, a maggior ragione giustifica che la proposta

(34) Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., p. 338. Parafrasando lariflessione di Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1986, p. 705, secondo ilquale il contratto è recepito nel processo, oggi si può assumere che è il processo che è re-cepito nel contratto.

(35) Sia qui consentito rinviare alla dimostrazione che si è cercato di fornire in Fabiani,Contratto e processo nel concordato fallimentare, cit., p. 161 ss., e alla opposta tesi, dialogi-camente discussa, espressa nel fondamentale contributo di Sacchi, Il principio di maggio-ranza nel concordato preventivo e nell’amministrazione controllata, Milano, 1984, p. 1 ss.;ma lo stesso autore in un più recente saggio – Sacchi, Lupi e conflitti di interessi dei credi-tori nel concordato, in Riv. dir. comm., 2014, in corso di pubblicazione e consultato pergentile concessione dell’Autore, p. 5 – alla luce del mutato contesto normativo, reputa pos-sibile, oggi, qualificare i creditori come una « comunità »; nonché, D’Attorre, Il voto neiconcordati e il conflitto di interessi fra creditori, in Fallimento, 2012, p. 764.

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di concordato preventivo assuma evidenti connotazioni contrattuali (36).Il « contratto di concordato » non è il contratto sulla procedura ma è il

contratto su come deve essere regolata la crisi; si perfeziona con la delibe-razione dei creditori ma non è, immediatamente, produttivo di effetti e ciòin quanto le obbligazioni che derivano dal concordato divengono efficacisolo quando interviene l’omologazione del tribunale. Perché il concordatosia vincolante nei confronti di tutti è indispensabile che vi sia stata l’omo-logazione del giudice (37).Per evitare possibili fraintendimenti è forse più opportuno distinguere

fra il concordato inteso come insieme di regole disciplinari e il patto di con-cordato inteso come l’accordo che si forma fra debitore e creditori su co-me il concordato (quale procedura) deve essere regolato. Il patto di con-cordato è un contratto che, però, per produrre tutti i suoi effetti necessitadell’intervento del giudice.L’opzione di non abbandonare il modello omologatorio è ragionevo-

le (38). Infatti, la crisi di un’impresa investe sempre una pluralità di inte-ressi ed incide su una indifferenziata comunità e sui diritti di coloro che aquesta comunità fanno riferimento; pertanto, all’autonomia delle parti èinevitabile far corrispondere una eteronomia dei controlli, allo scopo diraggiungere un punto di equilibrio, ben sapendo che il mercato non puòautoregolamentarsi in misura soddisfacente per tutti e proprio tutti i sog-getti che giocano questa partita.In tale cornice, nel trattare il tema dell’autonomia negoziale bisogna pur

sempre anche tener d’occhio il profilo dei controlli, considerando che ildiritto del singolo se è conculcato a maggioranza, deve poter essere incisoal più contro la volontà, ma non contro l’utilità del singolo. È tollerabileche una maggioranza governi anche i diritti dei singoli se questi singoli so-no in grado di esprimersi, di opporsi al volere dei più forti e di sollecitareun controllo del giudice. Si tratta di verificare quale può essere la profon-dità di questo controllo, ma un controllo non può mancare (39). Si può,quindi, condividere in linea di principio l’affermazione per la quale un in-tenso controllo del giudice non contraddice affatto l’autonomia delle partie, se si vuole, offre, invece, alle parti quella autorevolezza che da sole nonpotrebbero vantare (40); il nodo cruciale, però, è quello di verificare qualicontrolli siano affidati al giudice e su questo interrogativo le divisioni in

(36) Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, inTrattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, XI, Padova, 2008, p. 3.

(37) Parla di contratto speciale di diritto concorsuale perché destinato ad inserirsi nelprocedimento, Azzaro, Le funzioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza, in Fal-limento, 2007, p. 745.

(38) Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristruttura-zione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare diretto da Buonoco-re e Bassi, 2010, cit., p. 56.

(39) Per l’impossibilità di coniugare il principio di maggioranza con l’ablazione del cre-dito in un sistema nel quale al giudice non siano più riconosciuti pieni poteri, v., Abete, Ilruolo del giudice ed il principio maggioritario nel novello concordato preventivo: brevi note,in Fallimento, 2008, p. 257.

(40) Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio2013, n. 1521: la prospettiva « funzionale » aperta dal richiamo alla « causa concreta », inFallimento, 2013, p. 287.

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letteratura sono profonde anche se si concentrano sul profilo della fattibi-lità del concordato (41).Queste considerazioni assumono un preciso significato in relazione alla

decantata libertà dei contenuti della proposta concordataria, nel sensoche la proposta deve essere idonea a regolare la crisi e la regolazione deveavvenire con modalità tali per cui nessuno potrà (o meglio dovrebbe po-tersi) lamentarsi (e) della soluzione concordata (rispetto ad altre pratica-bili), soluzione che deve sempre risolversi in un valore aggiunto rispettoalla liquidazione fallimentare. Nelle esperienze applicative, sino ad ora, siè manifestato un difetto e cioè il fatto che troppe volte manca il valore ag-giunto del concordato rispetto alla liquidazione nel fallimento; la compa-razione concordato/fallimento non offre spesso un vantaggio competitivodel primo se non in forma negativa. Mentre in una luce di « miglior sod-disfazione dei creditori » si dovrebbe incentivare la soluzione concordata-ria perché migliore di quella fallimentare, nella realtà si afferma che la so-luzione fallimentare non è migliore di quella concordataria e ciò, soprat-tutto, perché il rilevante depotenziamento dell’azione revocatoria falli-mentare, la scarsa redditività delle azioni di responsabilità verso gli organisociali e la ancora assente sensibilità verso le azioni risarcitorie, rendonospesso (o quasi sempre) il fallimento un’alternativa assai poco appetibile,ma certo molto costosa. È inevitabile che un buon concordato presuppon-ga un fallimento potenzialmente idoneo a meglio soddisfare i creditori;tanto più sono competitive le procedure di fallimento, quanto più si puòalzare l’asticella della virtuosità del proposta concordataria. E quindi po-sto che nel fallimento vi è una maggiore attenzione ai profili pubblicisticidella crisi, per logica conseguenza questi profili non scompaiono nel con-cordato.Perciò la pluralità degli interessi coinvolti impone una disciplina fra au-

tonomia privata ed eteronomia. Si è accennato a quanto sia importante laricerca di un equilibrio fra i valori in gioco considerando che la crisi del-l’impresa coinvolge naturaliter una collettività di soggetti e non tutti que-sti soggetti possono trovarsi nella condizione di esprimere la loro volontàin ordine al modo in cui la crisi sarà regolata. Il bisogno di eteronomia ètanto più intenso quanto più si corre il rischio di prendere decisioni nellainconsapevolezza di taluno (42): basti qui fare l’esempio dei creditori invo-lontari e cioè di coloro che divengono creditori per un fatto illecito extra-contrattuale e che possono facilmente essere estromessi dal concordatoperché sul punto i controlli degli organi della procedura sono depotenzia-ti se ancora l’illecito, pur perpetrato, non è emerso.

(41) Il tema ha una vastità tale che non può essere abbozzato; solo per una rapida infor-mazione, si vedano i più recenti contributi diDi Majo, Il percorso « lungo » della fattibilitàdel piano proposto nel concordato, in Fallimento, 2013, p. 292; De Santis, Nota a Cass.1521/2013, in Società, 2013, p. 447; Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordatodopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva « funzionale » aperta dal richiamoalla « causa concreta », in Fallimento, 2013, p. 287; Censoni, I limiti del controllo giudizia-le sulla « fattibilità » del concordato preventivo, in Giur. comm., 2013, II, p. 355; tutti acommento di Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit.

(42) Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit.,p. 3.

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Il fantasma dei creditori estranei aleggia eccome perché la norma di cuiall’art. 184 l. fall. impone l’obbligatorietà del concordato per tutti. La pre-senza del giudice sarebbe la prova della necessità di garantire tutti e pro-prio tutti. Questa è la ragione che sta al fondo delle interpretazioni di chiritiene che il giudizio di convenienza sia recuperabile ogni volta che vi siauna opposizione o di chi ritiene che il tribunale, d’ufficio, debba sempresindacare la fattibilità del concordato (43). Queste letture sono certo ap-prezzabili nella misura in cui vogliono offrire protezione, ma scontano unlimite invalicabile nella scelta del legislatore di comprimere i poteri del tri-bunale, quanto meno laddove non vi siano opposizioni. Infatti, se fossevero che il tribunale deve effettuare le sue valutazioni a protezione dei cre-ditori estranei, non si spiegherebbe perché sono le opposizioni che allar-gano il tema di indagine del giudice.In questa cornice il ruolo che al tribunale è affidato è quello di essere il

garante della legalità a favore di tutti, creditori coinvolti e creditori estra-nei; se poi ci si troverà di fronte a situazioni patologiche – ad esempio laconsapevole pretermissione da parte del debitore di uno o più creditori –sarà il caso di fare applicazione degli strumenti di reazione di volta in voltaprevisti (la revoca del concordato ex art. 173, l. fall. o l’annullamento exart. 186, l. fall.), senza che la patologia debba forzare l’interpretazione del-le norme di diritto positivo.Come nell’ambito dei contratti della pubblica amministrazione si vuole

che l’efficacia del negozio stipulato e perfezionato sia subordinata all’ap-provazione di taluni organi e ciò per una verifica della sussistenza dell’in-teresse pubblico, così pure la presenza di interessi superindividuali giu-stifica il fatto che l’accordo concordatario produca effetto solo dopo chesia stato omologato dal tribunale. Il valore del contratto rimanda, comeanticipato, a quello che è stato definito il nuovo slogan della « privatizza-zione » cui spesso si accosta l’espressione coniata come « degiurisdizio-nalizzazione » (44). Benché questi due termini siano adoperati con inu-suale ricorrenza nei contributi letterari e scientifici sulla riforma, vannovalutati con cautela. Riconoscere alla autonomia negoziale il valore di« prima scelta » fra le selezioni su come affrontare la crisi dell’impresa, èil modo più semplice per dare alla riforma un’anima che forse nonha (45).

(43) Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in Falli-mento, 2011, p. 442.

(44) Per una veemente requisitoria contro gli slogan v., Lanfranchi, Costituzione e pro-cedure concorsuali, Torino, 2010, p. 21.

(45) È noto come i sistemi di regolazione della crisi siano differenziati in relazione al fat-to che rispondano al criterio del debtor oriented o del creditor oriented; ovvero che privile-gino il profilo della remunerazione dei creditori o quello della conservazione dell’impresa.Chiunque volesse in poche battute qualificare la legge italiana (specie se per essa si intendenon la sola legge fallimentare ma l’intera cornice delle leggi in materia di insolvenza) si tro-verebbe a disagio perché una direzione chiara il nostro legislatore non l’ha presa. In verità,durante la stagione delle riforme, non era mancata qualche presa di posizione più radicalese si pensa al disegno di legge della « Commissione Trevisanato » che proprio con specifi-co riferimento al piano di regolazione dell’insolvenza (corrispondente all’attuale concorda-to fallimentare) all’art. 85 (in Jorio e Fortunato, La riforma delle procedure concorsuali. I

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È, forse, probabile che un difetto di fondo stia proprio nella scelta digiustapporre le nuove regole su un corpo normativo vecchio e di rinuncia-re a selezionare i valori di riferimento (46) e tuttavia fingere che non vi siastata una estesa amplificazione delle categorie proprie dell’autonomia pri-vata sarebbe davvero manifestazione di inutile ideologismo, un ideologi-smo che si badi, non deve, però essere neppure rovesciato obliterando ir-ragionevolmente i profili pubblicisti della crisi di un’impresa.Ora non è revocabile in dubbio che l’espunzione dell’iniziativa officiosa

dal catalogo delle iniziative per la dichiarazione di fallimento di cui agliartt. 6 e 7 l. fall., sia un fatto di tale rilevanza da costringere l’interprete arileggere l’intero sistema al lume di quella soppressione; ma la presenzadel pubblico ministero nel concordato preventivo (47), ora ribadita nel bis-novellato art. 161 l. fall., quand’anche non pervasiva, spiega che il legisla-tore considera tuttora il fenomeno dell’insolvenza come un accadimentoche non può essere confinato nel rapporto creditore-debitore (48), postoche sono incisi interessi superindividuali, spesso non catalogabili a priori.Irrompe allora l’idea che il contratto quale espressione della negozialità

sia soltanto un mezzo per raggiungere un fine e non sia l’essenza dellanuova regolazione dei dissesti. È come se lo Stato avesse delegato alle par-ti il compito di gestire l’insolvenza, perché da un lato sono loro a potermeglio valutare gli interessi coinvolti, e perché dall’altro lato la canalizza-zione della gestione verso le parti consente di alleggerire il carico di lavorodegli uffici giudiziari, nell’auspicio che il recupero di risorse possa essereutilmente indirizzato per rendere celeri tutti i processi incidentali che siintersecano con la procedura di fallimento (49).Proprio la complessità degli interessi, il fatto che i creditori siano ten-

denzialmente diseguali, il fatto che l’obbligatorietà del concordato si ri-fletta anche su creditori che non hanno (involontariamente) partecipato alconcordato, spiega la ragione per la quale l’omologazione del concordatonon viene strutturata con le semplicità dell’omologazione degli accordi diseparazione fra coniugi, ma attraverso un procedimento che nel contrad-dittorio delle parti restituisca a queste quel difetto di rappresentanza cheuna maggioranza deliberativa un po’ particolare potrebbe coartare.Il procedimento, l’accesso delle parti e poi il giudizio del tribunale rap-

presentano, quindi, il fattore di ri-equilibrio eteronomo sull’autonomianegoziale, con i precisi limiti scanditi dalle disposizioni di legge. Ciò signi-

progetti, Milano, 2004, p. 71) stabiliva che « il piano deve comportare effetti di conserva-zione, anche parziale, del patrimonio produttivo dell’impresa, se la situazione economicalo consente »; si trattava di una decisa sterzata, per quanto parziale nell’oggetto, verso lavalorizzazione della conservazione dell’impresa.

(46) Calandra Buonaura, Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valu-tazione di convenienza del concordato, in Giur. comm., 2012, I, p. 15.

(47) Rago, I poteri del tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato pre-ventivo dopo il decreto correttivo, in Fallimento, 2008, p. 264; Visaggio, Il ruolo del pub-blico ministero nel concordato preventivo, in Dir. fall., 2012, I, p. 192.

(48) Cavallini, L’impresa, la crisi, il giudice, in Riv. società, 2012, p. 764.(49) Nocera, Riflessioni civilistiche sull’omologa degli accordi di ristrutturazione dei de-

biti, in Corr. giur., 2013, p. 1587. In senso contrario, Racugno, Concordato preventivo, ac-cordi di ristrutturazione e transazione fiscale, cit., p. 475.

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fica che il controllo del tribunale, fermo restando in talune ipotesi ancheun controllo sulla convenienza della soluzione concordataria (ma semprea richiesta dei creditori e solo in presenza dei requisiti fissati nell’art. 180 l.fall.), si concentra sulla verifica di esatto svolgimento del procedimento ein particolare sull’ammissibilità della proposta, sulla corretta ed esaurienteinformazione ai creditori, sulla legittima suddivisione dei creditori in clas-si, sulla assenza di fattori di inquinamento del voto.

5. – Il concordato preventivo è l’oggetto della proposta se solo si ribaltala formula lessicale adoperata nell’art. 160 l. fall. Poiché il concordato pre-ventivo è istituto che trova la sua disciplina in un complesso articolato checontiene norme sostanziali e processuali, dire che il concordato è l’oggettodella proposta che un debitore in crisi formula ai propri creditori è sicu-ramente insufficiente. Ci si troverebbe, infatti, di fronte ad una spiegazio-ne dal sapore quasi tautologico.Per « riempire » la norma occorre fare qualche passo in più e in avan-

ti. In verità, l’oggetto della proposta non è il concordato preventivo insé, ma lo è ciò che col concordato un debitore-imprenditore in crisi puòfare.Il concordato preventivo è il « vestito » di una proposta di accordo nella

quale l’oggetto non è l’accordo (in quanto tale, un accordo purchessia) maciò che costituisce la promessa/proposta che il debitore sottopone all’esa-me dei suoi creditori.L’accordo rappresenta, come evidenziato al par. 4, il valore cui l’ordina-

mento si affida al pari di quanto in passato si affidava alla meritevolezzadel debitore. Il lato etico del concordato non era né la causa né l’oggettodel concordato ma il valore da preservare e cioè offrire al debitore onestoma sfortunato una via di fuga dal fallimento. Ora quel valore è recessivovisto l’esaurimento della spinta afflittiva del fallimento, e su di esso si ègiustapposto il valore dell’accordo.A ben vedere il legislatore ha colto che per quanto la crisi di una impre-

sa veda sempre una serie di diritti e di interessi circostanti che fanno sì cheemergano e meritino tutela posizioni superindividuali, ciò che risulta de-cisiva è la volontà dei protagonisti e dunque il debitore e i suoi creditori.Si è presa consapevolezza del fatto che nei conflitti economici il ruolo delgiudice non può invadere il merito gestorio sia per un difetto di conoscen-ze tecniche sia per una carenza di strutture organizzative che non consen-tono al giudice di dare risposte efficaci in tempi coerenti con i bisogni del-le imprese. In tal senso la devoluzione al giudice dei soli conflitti sulle re-gole consente di liberare risorse proprio per risolvere meglio e più rapida-mente questi conflitti (50).Si può, allora, condividere l’espressione « disintermediazione » (51) che

(50) Diversamente, Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, inGiur. comm., 2009, I, p. 722, assume che il concetto di giudice quale regolatore di conflittie non partecipe attivo della regolazione del conflitto è tipico della tradizione anglosassonema non di quella domestica, sì che nella legge fallimentare non può mai immaginarsi che algiudice sia affidato un controllo di mera legalità.

(51) Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti di salvataggio (o di ristrutturazio-

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è stata utilizzata per descrivere la nuova concorsualità concordata. Tantoper motivi ideologici – è più opportuno che siano i protagonisti della crisia scegliere come gestirla – quanto per motivi pratici – è preferibile che au-mentino le procedure concordate rispetto a quelle imposte perché impe-gnano meno risorse pubbliche –, alla fine si è optato per la soluzione at-tuale.Una soluzione che sconta il rischio, possibile, che possano essere ridotti

o persino compromessi taluni diritti, quelli dei creditori e quelli dei terzi.Per cercare di ovviare a questo rischio è necessario e ineludibile che sianofissate delle regole del gioco molto severe e che il perimetro delle libertànegoziali sia ben calibrato. Occorre, cioè, stabilire un meccanismo equili-brato di pesi e contrappesi in modo che le ragioni dell’economia non sia-no le sole a prevalere sui diritti perché certi diritti sono insopprimibili, an-che dalla comunità maggioritaria dei creditori; in questa direzione, traspa-renza, consenso informato, conflitto di interessi sono le « parole d’ordi-ne » della nuova concorsualità negoziata, una sorta di concorsualità siste-matizzata (di cui parlava al modo di un postulato la Corte di legittimi-tà (52)) moderna (53).La ricerca dell’equilibrio si muove sul crinale delle regole; regole che,

tuttavia, non possono prescindere da un sistema.Lo snodo denso di asperità è proprio questo; le regole vivono in un si-

stema ma è il sistema di cui occorre andare alla scoperta posto che la di-sorganicità delle stratificazioni normative che si sono giustapposte dal2005 al 2014 rende estremamente faticosa l’individuazione di un sistemadal quale partire per costruire le regole e al quale far capo ogni volta cheuna regola non sia enunciata.

5.1. – Che nel concordato vi sia ampio spazio per l’autonomia privata eche questo spazio possa essere riempito con la categoria del negozio è, or-mai, un punto fermo. Così come, di riflesso, che vi sia quindi uno spaziocoerente per l’applicazione del diritto civile non solo ai contratti sulla crisid’impresa ma anche ai concordati.Tuttavia si è argomentato in dottrina che nei concordati non si può di-

scutere di assetto negoziale ma deliberativo (54). Tutto, infatti, ruoterebbeattorno alla deliberazione dei creditori e ciò a maggior ragione dopo le ri-forme in quanto la recessività del ruolo del giudice avrebbe come contral-tare l’enfatizzazione del ruolo dei creditori.Che la deliberazione abbia una sua decisiva rilevanza è davvero condivi-

sibile; tuttavia la deliberazione è il metodo di formazione « preliminare »della volontà di una parte.Il debitore si esprime con una proposta (55) che trasmette ai creditori;

ne dei debiti d’impresa), in Dir. fall., 2008, I, p. 369; Fauceglia e Rocco di Torrepadu-

la, Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, p. 320.(52) Cass. 23 luglio 1997, n. 6882, in Foro it., 1998, I, c. 1228; Cass. 16 settembre 1992,

n. 10570, in Foro it., 1994, I, c. 178.(53) Sacchi, Lupi e conflitti di interessi dei creditori nel concordato, cit., p. 5 ss.(54) Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., p. 168.(55) In senso opposto, Di Marzio, op. cit., p. 190, il quale pone in risalto che non può

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creditori che sono chiamati ad accettarla non in virtù di un atto di adesio-ne individuale come negli accordi di ristrutturazione, ma facendo conflui-re la volontà individuale in una volontà di un gruppo.Si può e si deve discutere se ciò sia ammissibile al lume delle peculiarità

del gruppo, ma se si riconosce che un gruppo esiste e può assumere deci-sioni (56), non si vede perché la volontà del gruppo non possa corrispon-dere all’idea della accettazione della proposta contrattuale.Si assume che una volta raggiunta la deliberazione a differenza di quan-

to avviene nelle tradizionali comunità (società o condominio), manchereb-be un successivo atto di volontà in risposta alla proposta del debitore; ladeliberazione sarebbe priva di uno sbocco contrattuale. Anche questaconsiderazione è fenomenologicamente ineccepibile e tuttavia l’atto di vo-lontà è la sintesi dei voti espressi e formalizzata nel verbale di approvazio-ne della proposta (57). L’assenza di un atto formale non può disvelare l’as-senza di una manifestazione contrattuale.In questo modo pare legittimo apprezzare la natura non solo negoziale

ma anche contrattuale del concordato, senza che ciò si traduca in un ne-cessitato svilimento dei profili del procedimento come presto si vedrà(par. 7).

6. – Una volta condivisa l’impostazione che eleva il valore del contrattoa profilo decisivo nell’interpretazione delle disciplina del concordato pre-ventivo (58), possono essere meglio precisate alcune espressioni, più« grezze », utilizzate sino ad ora.In precedenza si è parlato di funzione del concordato preventivo (v. su-

pra, par. 3) a proposito della regolazione della crisi d’impresa. La funzionedel concordato, allora, può meglio essere espressa, sotto la lente del dirit-to civile, come causa del concordato (59).La causa del concordato, quale accordo debitore vs. creditori è l’idonei-

tà della proposta, se accettata, a regolare la crisi dell’impresa attraverso lasoddisfazione dei crediti. Quest’ultima si rivela il mezzo e non il fine delconcordato.In sostanza il concordato preventivo assume le sembianze di un con-

tratto tipico che è ritenuto meritevole di tutela e che asseconda l’interes-

esservi proposta quando il concordato è presentato dal commissario straordinario; argo-mento suggestivo ma non insormontabile ove si abbia cura di considerare che il commis-sario è colui che formula la proposta, ma nell’interesse, anche, del debitore.

(56) Cfr., D’Attorre, Il conflitto d’interessi tra creditore nei concordati, in Giur. comm.,2010, I, p. 405. Ma, all’opposto, con una sintesi efficace, Stanghellini, Le crisi d’impresa,cit., p. 52, qualifica i creditori come « gruppo senza regole », a voler significare che esiste sìuna precisa comunanza di interessi, alla quale non corrispondono però regole precise.

(57) Sulla formazione di un accordo con la maggioranza dei creditori v. Gentili, Auto-nomia assistita ed effetti ultra vires nell’accettazione del concordato, in Giur. comm., 2007,II, p. 350.

(58) Contra, Racugno, Gli obiettivi del concordato preventivo, lo stato di crisi e la fatti-bilità del piano, in Giur. comm., 2009, I, p. 893.

(59) Per quanto molto si discuta della natura del concordato, non va trascurato che an-che chi tende a privilegiare una lettura pubblicistica, non riesca poi a distaccarsi da nozioniquali frode alla legge, oggetto impossibile, causa illecita, v. Bellè, Convenienza e legittimi-tà delle soluzioni concordatarie, in Fallimento, 2012, p. 512.

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se del contraente-debitore alla regolazione della crisi dell’impresa conl’aspirazione al conseguimento dell’effetto esdebitatorio, nonché mira atutelare l’interesse dei creditori ad ottenere un risultato « competitivo »rispetto ad altre soluzioni possibili, il tutto nella cornice dell’osservanzadel « disciplinare » della legge fallimentare di cui agli artt. 160-186 bis l.fall. (60).Quindi non può esistere un concordato nel quale non sia assunto un im-

pegno del debitore, così come non potrebbe esistere un concordato chenon rivolgendosi a tutti i creditori non sia idoneo a regolare la crisi.Quando poi si volesse assecondare la lettura giurisprudenziale che af-

fianca alla causa in astratto la causa in concreto (61), la spiegazione non sa-rebbe complicata.Il concordato serve a regolare la crisi in astratto ma la crisi di una singo-

la impresa non è regolata dal concordato in quanto tale ma dalla propostaconcordataria quale di volta in volta viene sottoposta al vaglio dei credito-ri; pertanto perché si possa parlare di concordato è necessario che sia ri-conoscibile anche in concreto l’idoneità della proposta a risolvere la crisitramite la soddisfazione dei creditori.A ben vedere, però, ciò che il giudice di legittimità ha vestito come

« causa concreta », si risolve nell’oggetto del negozio concordatario e cioènel soddisfacimento dei creditori nella misura concordata e nella comple-ta regolazione della crisi (62).Ne consegue sul piano della patologia, che i vizi della causa possono ri-

correre quando la proposta non è idonea a regolare la crisi, mentre i vizidell’oggetto ricorrono quando non è conseguibile il soddisfacimento deicreditori secondo le modalità indicate nella proposta (63). Non è inesattoche il giudice possa fare ricorso alla categoria dell’oggetto del contratto,purché ciò avvenga con riferimento al tipo di proposta; è ben vero chel’oggetto dell’accordo concordatario possa divenire impossibile e come ta-le travolgere per nullità la domanda di concordato, ma si deve aver cura diprecisare, prima, qual è l’oggetto e così non è impossibile l’oggetto delconcordato in caso di incendio e distruzione dell’unico cespite del debito-re qualora la proposta contempli che il pagamento pervenga dalla dismis-sione del cespite, mentre di impossibilità vera e propria ben si potrà discu-tere quando l’oggetto dell’impegno sia, invece, il trasferimento di un be-ne.Ben venga, quindi, l’implementazione delle regole dei contratti nel con-

(60) Per Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti di salvataggio (o di ristruttu-razione dei debiti d’impresa), cit., p. 380, ciò che rende meritevole di tutela gli accordi diristrutturazione è il fatto che tendono a conquistare un surplus rispetto alla soluzione dellamera liquidazione amministrata. Parimenti, nel concordato, il valore dell’autonomia nego-ziale è rappresentato dal fatto che la proposta del debitore è volta ad assicurare ai creditoriun risultato migliore di quello pronosticabile con la liquidazione.

(61) Sull’esplosione giurisprudenziale della nozione di causa in concreto, v. Martino,L’expressio causae. Contributo allo studio dell’astrazione negoziale, Torino, 2011, p. 166;Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) conla giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, p. 957.

(62) Azzaro, Le funzioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza, cit., p. 747.(63) Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, in Foro it., 2012, I, c. 136.

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cordato ma solo quando si abbia chiara consapevolezza di ciò che è causadel contratto e di ciò che può esserne oggetto.A sua volta l’oggetto del concordato non va confuso con l’oggetto del

processo di omologazione (che sarà esaminato infra nel § 10) e che in sin-tesi può, qui, essere definito come la pretesa del debitore di voler vedereregolata la crisi della sua impresa dalla disciplina del concorso concorda-tario.

7. – Nei parr. precedenti si è realizzato che il concordato preventivopartecipa decisivamente al palinsesto del diritto dei contratti con riferi-mento a quel segmento del concordato in cui si incrociano la volontà deldebitore con quella dei creditori.Ciò nondimeno sarebbe frutto di una visione ideologica ottusa dimenti-

care che quel contratto riceve la sua forza da un provvedimento dell’auto-rità giudiziaria e il provvedimento dell’autorità giudiziaria viene pronun-ciato al termine di un processo che ha inizio con una domanda giudiziale.In questa cornice è evidente che il concordato preventivo va letto, anche,come processo perché è all’interno del processo che si forma la volontàdelle parti ed è all’esito del giudizio di omologazione che la volontà delleparti produce effetti vincolanti.Tutto questo significa che le questioni processuali sono altrettanto im-

portanti in quanto solo nel processo vive l’accordo fra le parti.Il concordato preventivo è, quindi, anche un procedimento perché si di-

pana tra una domanda (la domanda di concordato) e una decisione (il de-creto che decide sull’omologazione), e oltre a ciò è anche un processo per-ché si svolge davanti alla autorità giudiziaria che è chiamata ad emettereuna decisione che decide e incide su posizioni giuridiche soggettive rile-vanti.Ma la complessità del concordato preventivo sta nel fatto che non solo è

un processo, ma è anche una procedura concorsuale (64).L’inclusione della disciplina del concordato preventivo all’interno della

legge fallimentare non è da sola decisiva per farne conseguire che il con-cordato è una procedura concorsuale (65).Tuttavia se si va alla ricerca di una possibile definizione di procedura

concorsuale è abbastanza agevole avvedersi del fatto che quella definizio-ne ben si armonizza col concordato.Pur non esistendo alcuna definizione di procedura concorsuale, non è

difficile mettere in fila i fattori decisivi di selezione di ciò che va inteso co-me procedura concorsuale attraverso una feconda ricognizione dei tratticonnotativi che si ritrovano costantemente nei procedimenti che attengo-no alla crisi d’impresa:

a) la previsione di un accertamento di una situazione di patologiadell’impresa (insolvenza, crisi, irregolarità);

(64) Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, p. 446.(65) La ragione dell’opportunità di identificare se un procedimento sia riconducibile al

modello della procedura concorsuale non è di puro stile classificatorio, posto che talora èproprio il diritto positivo lo richiede (cfr. art. 111 l. fall., art. 2499 c.c., come pure il rego-lamento comunitario sulle procedure di insolvenza).

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b) la previsione che l’accertamento sia rimesso all’apprezzamento diuna autorità pubblica (giurisdizionale o amministrativa);

c) la previsione dell’affidamento della gestione – o di un controllosulla gestione – ad un organo nominato dall’autorità pubblica;

d) la previsione del coinvolgimento dell’intero patrimonio dell’im-prenditore nella gestione sostitutiva;

e) la collettivizzazione delle tutele e l’inibizione alla creazione di po-sizioni di preferenza (divieto di azioni esecutive e controllo sull’acquisizio-ne di cause di prelazione);

f) l’applicazione tendenziale delle regole di parità di trattamento;g) l’imposizione di un vincolo sui beni del debitore con formazione

di una massa funzionalizzata alla soddisfazione dei creditori (66).Il concordato preventivo presuppone che l’impresa sia in stato di crisi

(a); l’apertura del concordato consegue ad un accertamento rimesso al tri-bunale (b); a seguito dell’ammissione, l’imprenditore continua a gestirel’impresa ma con alcune limitazioni che attengono ai più importanti atti digestione (c); il concordato è uno strumento di realizzazione della garanziapatrimoniale e vede coinvolto l’intero patrimonio del debitore (d); con lapresentazione della domanda vengono inibite le azioni cautelari ed esecu-tive singolari (e); la soddisfazione dei crediti avviene secondo le regoledell’art. 2741 c.c. (f); il patrimonio del debitore si cristallizza a favore deicreditori anteriori (g).Come si può notare vi è, quindi, perfetta corrispondenza fra i principi

cui si ispirano le procedure concorsuali e le regole disciplinari del concor-dato preventivo.Tuttavia il concordato preventivo rappresenta anche una procedura

concorsuale non imposta ma negoziata, quindi non contro la volontà deldebitore. Questa circostanza induce a doversi porre il quesito se il concor-dato abbia anche una natura di procedura espropriativa.

8. – Occorre infine interrogarsi se ed in quale misura la procedura diconcordato preventivo possa, anche, iscriversi nel catalogo dei procedi-menti espropriativi (67).La risposta deve essere necessariamente negativa se si guarda al concor-

dato preventivo nella sua fenomenologia generale. Non vi è dubbio, infat-ti, che alcune proposte di concordato siano del tutto estranee al paradig-ma della procedura espropriativa; quando la proposta di concordato èfondata sulla prestazione di una garanzia esterna, il patrimonio del debi-tore non viene assolutamente intaccato mentre il processo espropriativoconduce, proprio, alla modificazione del patrimonio del debitore.Per vero anche nella procedura di concordato preventivo che contempla

la cessione dei beni e l’affidamento della liquidazione ad un organo nomi-

(66) È raro incontrare anche nella manualistica una definizione di procedura concorsua-le; per una diversa impostazione v., Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle im-prese, cit., p. 147, il quale ravvisa come caratteri qualificanti l’universalità, la generalità el’officiosità.

(67) Sulla natura esecutiva del concordato v., Pajardi, Manuale di diritto fallimentare,cit., p. 703.

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nato dal giudice, si fatica a vedere i connotati del procedimento espropria-tivo visto che la liquidazione del patrimonio non deriva dalla volontà edall’iniziativa del creditore, ma dipende dall’esclusiva iniziativa del debi-tore e una « auto-esecuzione » non è neppure immaginabile.La tutela esecutiva, ed espropriativa in particolare, è offerta al creditore

quale strumento finale per l’attuazione della garanzia patrimoniale che ildebitore deve assicurare quando contrae una obbligazione (art. 2740 c.c.).In tale contesto il concordato rappresenta comunque uno strumento af-

finché sia assicurata la garanzia patrimoniale, posto che l’attuazione dellagaranzia può avvenire sia con mezzi coattivi che con mezzi spontanei. Lacessione dei beni ai creditori secondo lo schema civilistico della cessio bo-norum è esattamente un modo per realizzare la garanzia patrimoniale (68).Questa conclusione è importante perché assume un rilievo decisivo perspiegare la natura delle vendite nel concordato preventivo (69).L’attuazionedella garanzia patrimoniale è consustanziale alla causa del con-

cordato perché la regolazione della crisi presuppone, proprio, la soddisfa-zione dei creditori che vedono attuato il diritto alla realizzazione della garan-zia patrimoniale attraverso un processo negoziato e non coattivo (70). Nonrileva tanto il fatto che si pervenga all’espropriazione dei beni del debitore(visto che ciò non accade nel concordato garantito), quanto invece la circo-stanza che al creditore deve essere offerto un valore non inferiore a quelloricavabile dalla liquidazione dei beni (v., art. 160, comma 2o, l. fall.) (71).In fondo è proprio questo ciò che più di tutto contribuisce a qualificare

il concordato preventivo e ciò al riparo da letture eccessivamente angusteo ideologiche.La causa del concordato è la regolazione della crisi che si attua in astrat-

to quando lo schema negoziale corrisponde da un lato alla proposta di re-golarla e dall’altro lato dalla accettazione con conseguente liberazione deldebitore dagli obblighi derivanti dalla garanzia patrimoniale e ciò per tuttii creditori anteriori. La causa del concordato si può realizzare solo all’in-terno di un procedimento nel quale per un verso si forma il vincolo nego-ziale con la formazione del metodo maggioritario per la parte della comu-nità dei creditori e per altro verso un terzo imparziale (il giudice) verificache siano state rispettate le regole che giustificano che la crisi sia regolatacome ha richiesto il debitore.

(68) Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele, I, Torino, 2013, p. 335.L’art. 1977 c.c. recita così, « La cessione dei beni ai creditori è il contratto col quale il de-bitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e diripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti » e poi l’art. 1982 c.c. sta-bilisce che I creditori devono ripartire tra loro le somme ricavate in proporzione dei rispet-tivi crediti, salve le cause di prelazione. Sulla natura di mezzo di attuazione della garanziapatrimoniale, v., Cass. 25 giugno 1981, n. 4135, in Rep. Foro it., 1981, voce Cessione dei be-ni ai creditori, n. 1. In dottrina la cessione dei beni è stata definita – v. il saggio di Betti,Natura giuridica della cessione dei beni ai creditori, in Riv. dir. comm., 1935, I, p. 309 – co-me una « forma di autotutela convenzionale a scopo satisfattorio ».

(69) V., Fabiani, La « programmazione » della liquidazione del concordato preventivo daparte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fallimento, 2012, p. 906.

(70) In termini simili, De Sensi, La concorsualità nella gestione della crisi d’impresa, Ro-ma, 2009, p. 154; Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, cit., p. 148.

(71) Bellè, Convenienza e legittimità delle soluzioni concordatarie, cit., p. 514.

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Questa è la ragione per la quale non vi è alcun fondato motivo per riper-correre e criticare le tesi della natura contrattuale, processuale o mista delconcordato.Il concordato preventivo è un fenomeno più complesso.A seconda da dove lo si guardi il concordato è un contratto o è un pro-

cesso; è, quindi, inevitabile una lettura caleidoscopica del concordato.Questa conclusione assume un riflesso decisivo sulle regole da applica-

re. Infatti, dovranno essere applicate le regole e i principi del diritto deicontratti quando si tratta di disciplinare i profili negoziali del concorda-to (72); al contrario si dovranno applicare le regole del processo le quantevolte si tratti di fornire una disciplina al procedimento.Pertanto nel concordato possono e debbono convivere le regole tipiche

del diritto civile – e così non ci si deve stupire dell’inserzione nel dirittodella crisi dell’impresa delle norme e dei principi in tema di buona fede, diresponsabilità, di formazione del consenso – con le regole di governo delprocesso – e così trovano applicazione il principio della domanda, quellodella corrispondenza fra chiesto e deciso, quello sull’individuazione del-l’oggetto del processo, quelle in tema di preclusione e di giudicato.Il concordato preventivo appare così il paradigma del crocevia fra dirit-

to sostanziale e diritto processuale, questo inteso nella sua classica funzio-ne di strumento per l’attuazione del diritto sostanziale. Emblematicamen-te il processo di omologazione del concordato preventivo è al servizio deldiritto/potere del debitore di vedere governata la sua crisi con l’applica-zione delle regole del concorso concordatario.In tale cornice una presa di posizione sulla natura giuridica del concor-

dato potrebbe apparire quasi anacronistica (73); il sistema, tuttavia, va ri-costruito e dunque ad una prima conclusione sulla valenza negoziale delconcordato e sulla sua funzionalizzazione alla attuazione della garanziapatrimoniale va aggiunto un ulteriore corno d’indagine che non può pre-scindere dalle modalità di attuazione del concorso e della responsabilitàpatrimoniale.

9. – Il concordato preventivo come si è visto è, dunque, uno strumentodi attuazione della garanzia patrimoniale e la garanzia patrimoniale si rea-lizza sull’intero patrimonio del debitore (anche futuro) (74); la garanzia pa-

(72) Vettori, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, inRiv. trim. dir. e proc. civ., 2008, p. 751.

(73) Lo Cascio, Concordato preventivo: natura giuridica e fasi giurisprudenziali alterne,in Fallimento, 2013, p. 525.

(74) Salva la precisazione sul fatto che l’universalità del procedimento non esclude cheuna porzione del patrimonio possa non essere destinata ai creditori; sui limiti ad una, pos-sibile, cessione parziale, v. Jorio, La riforma fallimentare: pregi e carenze delle nuove rego-le, cit., p. 705; Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediantecessione, in Giur. comm., 2009, I, p. 698; Racugno, Concordato preventivo, accordi di ri-strutturazione e transazione fiscale, cit., p. 500; Bozza, La fase esecutiva del concordato pre-ventivo con cessione dei beni, in Fallimento, 2012, p. 767; Filocamo, L’esattezza della pro-posta di concordato preventivo, in Fallimento, 2012, p. 1275; in senso contrario App. Roma5 marzo 2013, www.ilcaso.it; Trib. Roma 25 luglio 2012, in Fallimento, 2013, p. 748, han-no giudicato inammissibile una proposta concordataria con finalità liquidatorie che preve-

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trimoniale, poi, si realizza a favore di tutti i creditori secondo la regola dicui all’art. 2741 c.c. e dunque in condizioni di parità salve le cause legitti-me di prelazione.Sino alle riforme del 2005 era indiscusso che tale regola trovasse piena e

piana applicazione anche al concordato preventivo, nonostante ormai damolti anni si discutesse a proposito della par condicio come di un mito in-franto, quasi un vessillo più che una regola concreta di diritto positivo (75).Il nostro ordinamento di diritto civile conosceva sino al 2004, la classifi-

cazione tradizionale fra crediti chirografari e crediti muniti di cause diprelazione secondo la nota distinzione proposta dalla norma di cui all’art.2741 c.c., cui per diritto pretorio, nel corso del tempo si era giustappostala categoria dei crediti prededucibili (categoria che ha, ora, trovato unaprecisa disciplina col nuovo art. 111 l. fall.), e poi per diritto positivo la ca-tegoria dei crediti subordinati (v., ad esempio, l’art. 2467 c.c.).La distinzione tra crediti privilegiati e crediti chirografari trova il suo

terreno di elezione nelle procedure volte a regolare e attuare la responsa-bilità patrimoniale, posto che quando il debitore è solvibile e il suo patri-monio è capiente, la stessa distinzione non esprime alcun significato per-ché i creditori sono destinati ad essere, tutti, soddisfatti per intero.In passato, e cioè sino alle modifiche delle diverse normative sulla crisi

d’impresa, non si potevano gradualizzare i creditori aventi una medesimaposizione giuridica, sì che le tecniche del riparto, sia nell’esecuzione sin-golare che in quelle collettive, non potevano che adattarsi al paradigma dicui agli artt. 2777 ss. c.c.La rigidità dei meccanismi di formazione e poi di concreta applicazione

delle cause di prelazione ha generato effetti degenerativi sulla flessibilitàdegli strumenti adottabili per risolvere la crisi dell’impresa e così, se si vol-ge lo sguardo a ritroso alla stagione che ha preceduto le riforme delle leggiconcorsuali, si nota che, sin dai primi Anni 2000 una idea ripetutamente ri-corrente nei vari progetti di riforma era, proprio, quella di stabilire classifra i creditori, ogni qualvolta si affacciasse una soluzione concordata dellacrisi.L’istituto delle classi fra creditori è così penetrato, timidamente, per la

prima volta nel nostro ordinamento in occasione della riforma addizionale(nel 2004) dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi,per poi diffondersi in modo prepotente con i novellati artt. 124 e 160 l.fall. (76).

deva il mantenimento di parte dell’attivo in capo alla società proponente (sia pure per de-stinarlo ai creditori di altre società del gruppo), in quanto in aperto contrasto con l’art.2740 c.c., comportando una sottrazione ai creditori di parte dell’attivo; v., anche Trib. Ro-ma 29 luglio 2010, in Fallimento, 2011, p. 225.

(75) Vattermoli, Par condicio creditorum, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2013, p. 155;Rordorf, Le procedure concorsuali e la par condicio fra diritto positivo, usi alternativi eprospettive di riforma, in Fallimento, 1989, p. 681; Jaeger, Par condicio creditorum, inGiur. comm., 1984, I, p. 88; M. Rescigno, Contributo allo studio della par condicio credi-torum, in Riv. dir. civ., 1984, I, p. 359.

(76) La suddivisione dei creditori in classi è divenuta diritto positivo per l’ordinamentoitaliano in occasione della conversione in legge del d.l. 347/03, più noto come « decreto-Marzano » (o « decreto-Parmalat »).

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Il tema delle classi è così ampio da non poter essere neppure quasi ac-cennato in questa sede (77).Qui, il tema delle classi è enunciato per comprendere come sia articolata

l’attuazione della garanzia patrimoniale nel concordato preventivo.Sebbene l’affermazione possa apparire fortemente eretica, l’attuazione

della garanzia patrimoniale nel concordato preventivo non si realizza nel-l’osservanza del principio della par condicio creditorum ma nel rispettodella regola concorsuale della parità di trattamento residuale al serviziodel miglior soddisfacimento dei creditori (78).Quando in più occasioni si è parlato di regolazione della crisi secondo i

criteri del concorso concordatario si è voluto fare riferimento ad un con-corso che è sensibilmente diverso dal concorso fallimentare nel quale, seb-bene con forti attenuazioni rispetto al passato, la regola della par condiciocreditorum è ancora attuale sia nella forma statica (visto che tutti i credito-ri chirografari sono necessariamente allineati), sia nella forma dinamica(visto che il concorso si estende anche ai creditori anteriori quando ven-gono esercitate le azioni revocatorie fallimentari).Viceversa nel concordato preventivo la par condicio creditorum dinami-

ca non è realizzabile e quella statica è significativamente influenzata dal-la i) possibilità di sezionare i creditori in classi diverse con trattamentidifferenziati, dalla ii) possibilità di effettuare pagamenti a favore di cre-ditori chirografari secondo tecniche, quantitative e temporali, diverse daquelle che riguardano gli altri, dalla iii) facilità dell’accesso al regimedella prededuzione, dal iv) coinvolgimento dei creditori subordinati (79).Un indebolimento indiretto ma assai importante è, poi, rappresentatodal fatto che la soddisfazione dei creditori, che in passato era condizio-nata al versamento di una percentuale per gli appartenenti al ceto chiro-grafario, ora può realizzarsi con modalità assai diverse fra loro, e anchediverse dalla erogazione di somme di denaro; il solo fatto che i creditoripossano essere destinatari di beni, di quote di partecipazione, di dirittidi credito, di diritti di opzione di strumenti finanziari e altro, fa presu-mere che tutte queste modalità di estinzione dei crediti concorsuali sia-no soltanto il veicolo per conseguire il risultato del superamento dell’in-solvenza con le tecniche della negozialità in funzione del miglior risulta-to per i creditori, strumentalizzando e forse asservendo la conservazionedel residuo valore imprenditoriale alla tutela dei creditori. Gli incentivialla continuità dell’impresa, sicuramente importanti, non sono però ri-volti alla tutela dell’impresa in quanto tale e al suo mantenimento nelcircuito economico; la continuità è utile nella misura in cui è funzionalealla tutela dei creditori e, in tale cornice, sono i creditori che dovrebbe-ro, per primi, esprimersi sulla continuità. In questo senso andrebbe va-lorizzato quanto ora stabilito nell’art. 161, l. fall. dove si prevede che il

(77) Sia consentito un rinvio a Fabiani, La ricerca di una tutela per i creditori di minoran-za nel concordato fallimentare e preventivo, in Giur. comm., 2012, II, p. 298.

(78) In termini sostanzialmente simili v., Nocera, Abuso del diritto nella formazione del-le classi nel concordato preventivo in Dir. fall., 2012, II, p. 390.

(79) Per una inversione terminologica del termine ma per identità del concetto, v., Ter-ranova, Le nuove forme di concordato, cit., p. 20.

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tribunale consulti i creditori nell’ambito del « pre-concordato »; i credi-tori andrebbero consultati proprio a proposito della continuità dell’im-presa perché offrano al giudice il loro endorsement per la soluzione pro-posta dal debitore.Tutti questi condizionamenti sono strumentali al conseguimento del mi-

glior soddisfacimento dei creditori che diviene, quindi, la stella polare (80)verso cui la stessa par condicio creditorum deve rivolgersi (81). La par con-dicio è certamente l’assetto cui deve uniformarsi il regime della liquidazio-ne fallimentare e deve essere il parametro di confronto in funzione di sta-bilire se il concordato preventivo offra un vantaggio competitivo per tuttii creditori (82).Il concordato può, ancora, essere informato al rispetto del canone della

par condicio ma ne può, anche, prescindere perché la par condicio è supe-rabile se si prospetta un miglior soddisfacimento dei creditori. Perché sipossa derogare alla parità di trattamento non è necessario mettere in cam-po un diverso valore, quello della conservazione dell’impresa, perché se èvero che talune disposizioni sembrano giustificarsi proprio in virtù del fi-ne della continuità aziendale (art. 182 quinquies l. fall., nella parte in cuitratta del pagamento dei creditori anteriori), altre ne prescindono (art.182 quinquies l. fall. nella parte in cui tratta dei finanziamenti prededuci-bili).Se questa è la cornice di riferimento, si comprende anche la ragione per

la quale occorre essere molto prudenti nel patrocinare, senza troppe, cau-tele la teoria dell’abuso del concordato, perché se i creditori sono i sogget-ti che vanno tutelati prima degli altri, la repressione dei presunti abusi de-ve andare a loro favore e non in loro danno (83).Il concordato, pertanto, è strumento di attuazione della garanzia patri-

moniale che non è più finalizzata al pari soddisfacimento dei creditori maal miglior soddisfacimento dei creditori (84).Il miglior soddisfacimento dei creditori non è, in sé, requisito di ammis-

(80) Per Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il con-cordato preventivo?, in Fallimento, 2013, p. 1012, si dovrebbe parlare di « funzione diorientamento ».

(81) In termini simili Panzani, Sorte della partecipazione dei vecchi soci in caso di ristrut-turazione di società insolventi, in Società, 2014, p. 86, valorizza il miglior soddisfacimentodei creditori come una clausola che si adegua al principio della massimizzazione dell’attivonella società in crisi a favore dei creditori.

(82) Ovviamente nulla esclude che la proposta di concordato non sia affatto vantaggio-sa, che possa essere approvata e omologata, ma se non viene garantito il miglior trattamen-to per i creditori, ciascuno dei creditori potrà far valere il vizio della proposta nei limiti diquanto stabilito ai sensi dell’art. 180, l. fall., fermo restando che condizione di ammissibi-lità del concordato è la presentazione di una proposta che preveda una utilità per tutti icreditori.

(83) D’Attorre, L’abuso del concordato preventivo, in Giur. comm., 2013, II, p. 1068;contra, Nocera, Abuso del diritto nella formazione delle classi nel concordato preventivo,cit., p. 402.

(84) Per Stanghellini, Gli obiettivi delle procedure concorsuali, in Nuove regole per lecrisi d’impresa, a cura di Jorio, Milano, 2001, p. 315, la stella polare, egualmente rappre-sentata dalla tutela del credito, è rivolta alla massimizzazione della riduzione delle perdite;Brizzi, Le fattispecie dei crediti prededucibili da finanziamento nel concordato preventivo enegli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2013, I, p. 808.

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sibilità della proposta concordataria in quanto la valutazione di migliorsoddisfacimento attiene, al fondo, ad una valutazione di convenienza chenon può che essere rimessa ai creditori (85). Sennonché il debitore può an-che tracciare la sua proposta secondo un modello che non assecondi ilprincipio di parità di trattamento e che al contrario crei nuove disegua-glianze ma queste sono tollerabili se si risolvono nel miglior soddisfaci-mento dei creditori che in questo caso, sì, si traduce in un requisito di am-missibilità. Ciò lo si comprende perché è il tribunale che valuta la correttaformazione delle classi, come è il tribunale che autorizza i pagamenti, lacontinuità d’impresa, i finanziamenti. Se, allora, il giudice può sindacarequesti aspetti, simmetricamente può valutare la ricorrenza del miglior in-teresse dei creditori quando viene ripudiata, da parte del proponente, laparità di trattamento.In conclusione il miglior soddisfacimento dei creditori assurge a clau-

sola generale in due diverse proiezioni: da una parte il tribunale quan-do è chiamato a rilasciare una autorizzazione prima della approvazionedei creditori deve effettuare una valutazione comparativa per cui quel-l’atto asseconda il miglior interesse dei creditori qualunque sia lo scena-rio in divenire (86); dall’altra parte il miglior soddisfacimento dei credito-ri è il parametro che giustifica una distribuzione asimmetrica delle risor-se (87).Una evoluzione indotta sia dal diritto positivo, sia necessaria per dare

forza e concretezza a quella autonomia negoziale che oltre che predicatadeve anche essere garantita perché meritevole.Queste conclusioni potranno talora non collimare esattamente con ri-

flessioni svolte in passato ma ciò è il frutto di una ricerca di sistematizza-zione del concordato preventivo che non può non fare i conti con i conti-nui assestamenti della legislazione.Occorre avere piena consapevolezza della circostanza che la ricostruzio-

ne teorica sopra proposta possa risultare tanto velleitaria quanto pericolo-sa perché si corre il rischio che in nome di un « miraggio » (il miglior sod-disfacimento dei creditori) vengano intanto colpiti gli interessi dei più de-boli (88).Tuttavia la ragione della preferenza per la lettura qui proposta deriva

dall’esigenza di ricercare una sistematizzazione di norme fra loro spesso,almeno in apparenza, non coerenti. Forse sarebbe stato più semplice par-tire da una posizione ideologica e ad essa riportare le diverse questioni;una posizione ideologica che qui non viene seguita se ad essa si vuole ri-condurre anche un giudizio di valore. Nelle considerazioni sino ad oraesposte è stato, certo, valorizzato il tema del contratto ma questo non giàper una pre-adesione al valore assoluto dei principi di autonomia negozia-

(85) Per una larga condivisione v., Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: unaclausola generale per il concordato preventivo?, cit., p. 1102.

(86) Per simili conclusioni v., Patti, op. ult. cit., p. 1103.(87) In senso conforme, Abete, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preven-

tivo, in Fallimento, 2013, p. 1113.(88) Queste le drastiche conclusioni di Rondinone, Il mito della conservazione dell’im-

presa in crisi e le ragioni della « commerciabilità », Milano, 2012, p. 391.

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le come se si volesse far pendere l’asse fra pubblico e privato verso il pri-vato (89), ma come risultato di una scolastica indagine sulle norme riorga-nizzate attorno ad un filo conduttore.

10. – La proposta di concordato approvata dai creditori dà luogo ad unnegozio che però è efficace solo fra le parti e cioè solo fra il debitore ed isingoli creditori che vi hanno aderito. L’efficacia del negozio si propalaverso i creditori dissenzienti e quindi applicando la regola di maggioranza,verso i creditori estranei e (in misura diversa) verso i terzi solo quando laproposta è omologata dal tribunale.Il provvedimento di omologazione serve, dunque, a dare piena efficacia

ad un contratto e si usa dire che l’omologazione costituisce la condicio iu-ris dell’accordo concordatario perché questo possa pienamente dispiegarei propri effetti. L’espressione è utile per comodità espositiva ma la com-plessità del procedimento di concordato impone che al decreto di omolo-gazione venga riconosciuto un significato assai più intenso di quello sot-tinteso alla formula ora evocata.Se si guarda al concordato dall’ottica del diritto civile e si pensa al para-

digma normativo secondo il quale il contratto ha effetto di legge fra le par-ti e, normalmente, non refluisce verso i terzi, si comprende che l’adesionealla proposta formulata dal debitore da parte di ciascun creditore dovreb-be impegnare il solo creditore aderente. Anche considerando la circostan-za che il legislatore ha ritenuto di applicare al concordato, in virtù dellapresenza di una collettività dei creditori, il principio di maggioranza, lascelta di rendere efficace il concordato solo con l’omologazione del tribu-nale non è per nulla irrazionale.L’attribuzione al giudice del compito di omologare (o non omologare)

il concordato è un modo per consentire che si eserciti un controllo sulprocedimento di formazione del vincolo negoziale (90). Non è così im-portante stabilire quale deve essere l’intensità di questo controllo perchéciò può dipendere da come vengono valutati i valori in gioco. Ciò che,davvero, rileva è il fatto che l’autonomia negoziale non è sufficiente perla produzione di tutti gli effetti del concordato ed occorre un innesto dieterotutela.All’omologazione del tribunale si potrebbe pervenire anche in base ad

un percorso ultra semplificato, quale è, per esempio, il modello dell’omo-logazione degli accordi di separazione fra coniugi, ma nel caso del concor-dato si è preferito, assai opportunamente, prevedere che il provvedimentodi omologazione giunga al termine di un procedimento all’interno delquale tutte le parti coinvolte ed anche i terzi interessati, siano poste nellecondizioni di svolgere le loro difese, ciò che si traduce nella possibilità dicontestare che il procedimento di concordato e la sua approvazione, inparticolare, siano conformi alla legge e all’interesse dei creditori.

(89) Per un quadro più ampio riferito a tutti gli strumenti di soluzione della crisi v., LoCascio, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fallimento, 2008,p. 991.

(90) Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristruttura-zione dei debiti, cit., p. 562.

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Il procedimento (giudizio) di omologazione è necessario perché il con-senso si forma durante la procedura, perché la regolazione della crisid’impresa è un fatto che interessa una comunità di soggetti economici,perché occorre trovare un contenitore nel quale convogliare tutte le que-stioni che possono essere sollevate in ordine alla legittimità del procedi-mento e alla vantaggiosità della proposta; tali questioni possono entrarenel processo attraverso la proposizione di opposizioni.

11. – Nel parr. 3 ss. si è avuto modo di postulare che la causa del con-cordato preventivo è la regolazione della crisi secondo le regole del con-corso concordatario. Il concordato è al servizio della sistemazione dellacrisi che ha investito un imprenditore e la sistemazione della crisi può av-venire, pur nel quadro di un’amplia flessibilità, secondo una serie di rego-le che disciplinano il concorso fra i creditori.Così, prima di procedere ad una analitica disamina del modello proces-

suale e alla comprensione di quelli che sono (o meglio dovrebbero essere)i poteri del tribunale, appare utile svolgere una premessa sintetica di ca-rattere sistematico da sottoporre, poi, a riscontro all’esito dell’indagine didiritto positivo.Appare, infatti, importante stabilire quale sia l’oggetto del processo di

omologazione, quale sia la struttura del tipo di processo ed infine quale nesia la funzione. Tutto ciò apparirà più chiaro dopo l’esame delle tecnicali-tà del procedimento, ma già ora alcune riflessioni si impongono.Il giudizio di omologazione rappresenta un segmento (o se si vuole, una

fase) del procedimento di concordato, procedimento più ampio in quantosi dipana dal ricorso per l’ammissione sino ad estendersi alla fase dell’ese-cuzione del concordato. Ecco, allora, che se si vuole indugiare su cosa siaoggetto del giudizio di omologazione non si deve essere troppo condizio-nati da ciò che è oggetto (recte, causa) del procedimento di concordato inquanto l’uno, il giudizio di omologazione, è al servizio dell’altro (il proce-dimento di concordato).Così, se è vero che causa del concordato preventivo è la regolazione del-

la crisi dell’imprenditore e se il procedimento di concordato è lo strumen-to per comporre con i creditori quella crisi, ben si può apprezzare che og-getto del giudizio di omologazione è qualcosa di diverso in quanto la fasedell’omologazione è, come detto, servente rispetto al più ampio comples-so del concordato.Oggetto del processo non è né la qualità di imprenditore commerciale

non sotto-soglia del debitore e così pure non lo è la verifica dello stato dicrisi o di insolvenza.Questi sono i presupposti perché ci possa essere un procedimento

di concordato. Salvo quanto si vedrà in misura più approfondita piùavanti, ciò di cui si deve discutere nel giudizio di omologazione è sela crisi del debitore, crisi che come detto ne rappresenta un presuppo-sto, può essere composta col concordato o se deve essere risolta con laprocedura di fallimento o comunque con una soluzione di carattereespropriativo. Al fondo si tratta di porre al centro del processo il con-trollo sull’esercizio di quello che può essere definito un potere proces-suale, il potere di chiedere che il giudice verifichi che la crisi può esse-

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re regolata con la disciplina del sistema concorsuale-concordatario (91).Per quanto concerne, invece, la struttura del processo, i problemi di na-

tura classificatoria sono meno complessi, volta che il legislatore ha stabili-to di fare ricorso al procedimento in camera di consiglio. Si tratta di unascelta ragionevolmente coerente con l’impostazione sistemica del concor-dato e tuttavia densa di criticità non fosse altro che per il fatto dell’opzio-ne di adottare un modello di procedimento che non è né quello generaledel codice di rito (art. 737 ss. c.p.c.), né quello camerale ma arricchito pre-visto nell’art. 26 l. fall. e richiamato per il concordato fallimentare dall’art.129 l. fall.Che il procedimento assecondi lo stilema dei procedimenti in camera di

consiglio si ricava, sul piano formale, dal richiamo all’« udienza in cameradi consiglio » di cui all’art. 180 l. fall.; sul piano sostanziale dal fatto che ilmodello processuale è lasciato alla completa discrezionalità del giudicetant’è che, come detto, manca un rinvio a quei procedimenti camerali del-la legge fallimentare ampiamente arricchiti quanto a forme e tempi.La scelta del modello camerale potrebbe, per taluno, rilevare per dimo-

strare che non sono in discussione diritti soggettivi e che il tipo di provve-dimento – l’omologazione assunta con decreto – non ha natura decisoria.Tuttavia, se è noto che ormai il modello del procedimento in camera diconsiglio è divenuto, per la giurisprudenza costante del giudice di legitti-mità un contenitore neutro, adatto ad includere, anche liti su diritti, lascelta legislativa si palesa neutrale (92).Così pure, non pare da condividere la tesi di chi qualifica diversamente

il procedimento a seconda che siano svolte, o no, opposizioni, perché nelprimo caso si avrebbe un processo contenzioso e nel secondo caso un pro-cesso di volontaria giurisdizione (93). Infatti, come meglio si vedrà infra, leopposizioni non allargano l’oggetto del giudizio ma solo la cognizione delgiudice sugli antecedenti logici da accertare, mentre l’assenza di opposi-zioni contrae proprio la cognizione del giudice. Tutto ciò, però, nulla ha ache vedere con la natura volontaria o contenziosa del procedimento.Infine, per quanto attiene alla funzione del giudizio di omologazione si

può affermare che il processo mira a consentire, col decreto di omologa-

(91) In termini simili, Bonsignori, Frascaroli Santi, Nardo e Zoppellari, Il con-cordato preventivo e quello stragiudiziale, Torino, 2001, p. 60, ove però si metteva in di-scussione il fatto che il debitore poteva cercare di regolare la crisi anche senza ricorrere algiudice. Ma nel testo si valorizza che il debitore chiede che la crisi sia regolata secondo unmodello speciale e cioè quello del concorso concordatario che ha tutta una serie di pecu-liarità.

(92) Sia qui consentito rinviare alla nota teorizzazione giurisprudenziale del procedi-mento in camera di consiglio come « contenitore neutro », v. Cass. 28 luglio 2004, n.14200, in Foro it., 2005, I, c. 777; Cass. 22 ottobre 1997, n. 10377, in Foro it., 1999, I, c.2045; in dottrina, v., fra i molti, Denti, I procedimenti camerali come giudizi sommari di co-gnizione: problemi di costituzionalità ed effettività della tutela, in Aa.Vv., Quaderni dell’as-sociazione fra gli studiosi del processo civile, XLV, Milano, 1991, p. 31. Ma per una oppostalettura, v., Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile in Foro it., 2000,V, c. 241; Cerino Canova, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e digiurisdizione volontaria in Riv. dir. civ., 1987, I, 63.

(93) Così, invece, Pacchi, Il concordato preventivo, in Aa.Vv., Manuale di diritto falli-mentare, Milano, 2011, p. 518.

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zione, che gli effetti dell’accordo stipulato fra il debitore e la maggioranzadei creditori si propalino rispetto ai terzi in modo che si producano tutti eproprio tutti i plurimi effetti del concordato: si pensi agli effetti rispetto aicreditori (art. 184 l. fall.), agli effetti sull’esenzione dalle azioni revocatorie(art. 67, comma 3o, lett. e), agli effetti ai fini dell’esimente dal reato di ban-carotta (art. 217 bis l. fall.).Alcuni di questi profili teorici del giudizio di omologazione saranno più

ampiamente riesaminati al lume dell’indagine sul diritto positivo espressodall’art. 180 l. fall.

12. – Il tema dell’individuazione dell’oggetto del processo è un classicodel diritto processuale civile ed è tema che in tempi più recenti tende adessere meno valorizzato che in passato, discutendosi, anzi, dell’utilità diuna indagine di questo tipo (94). Tuttavia, quando si parla di oggetto delprocesso lo si fa, comunque, a ragion veduta e cioè per verificare, non tan-to l’ambito della cognizione del giudice, quanto per stabilire il perimetrodella decisione del giudice e il vincolo che si forma sulla decisione: il giu-dicato o, se si vuole, il limite del ne bis in idem.In tale contesto resta, quindi, opportuno investigare quale può essere

l’oggetto del giudizio di omologazione.Per un approccio più semplice al tema, giova rilevare che col ricorso per

fallimento il creditore chiede che il suo credito sia tutelato con le regoledel concorso fallimentare; col ricorso per concordato, il debitore chiedeche i suoi debiti vengano dapprima regolati secondo le stesse regole delconcorso e poi trattati con le regole negoziali (95) (96) che prevalgono suquelle del procedimento liquidatorio.Creditore e debitore da una parte (nel fallimento) e debitore e creditori

dall’altra (nel concordato preventivo), si collocano in posizione antagoni-sta, pur quando non vi siano formali « resistenze ». La contrapposizione(astratta) di interessi è intrinseca nella situazione di dissesto ed il fatto cheil debitore possa aderire al ricorso per fallimento, come i creditori non es-sere interessati a proporre opposizione al concordato, non genera alcun ti-po di effetto quando si tratta di stabilire quale è l’oggetto del processo, og-getto che prescinde, sempre, dal modo in cui ad esso si accostano i prota-gonisti.Così, ricorso per fallimento e ricorso per concordato preventivo hanno

in comune l’oggetto nella parte in cui un soggetto fa valere una situazione

(94) In luogo di molti, anche per contrapposte idee, v., Menchini e Proto Pisani, Og-getto del processo e limiti oggettivi del giudicato in materia di crediti pecuniari, in Foro it.,1989, I, c. 2945; Consolo, Oggetto del giudicato e principio dispositivo, 1. Dei limiti ogget-tivi del giudicato costitutivo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 24; C. Ferri, Profili del-l’accertamento costitutivo, Padova, 1970, p. 31 ss.

(95) Questa tesi si trova in perfetta sintonia – per vero solo su questo punto – con Balbi,I creditori con diritto di prelazione nel concordato preventivo con cessione dei beni, in Riv.dir. proc., 1989, p. 440, ad avviso del quale il debitore chiede l’accertamento dei presuppo-sti che giustificano un nuovo regolamento dei rapporti tra l’imprenditore e la serie dei cre-ditori concorsuali, allo scopo di sostituire il regolamento civilistico di diritto comune.

(96) Questa specularità di ruoli è ben messa in evidenza da Picardi, La dichiarazione difallimento dal procedimento al processo, Milano, 1974, p. 208.

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potestativa strumentale – il passaggio dalla regolazione civilistica a quellacommercialistica delle obbligazioni –; di poi, mentre una volta che si è ac-certata la sussistenza dei requisiti che giustificano l’apertura del fallimen-to, ciò che ne segue è un procedimento esecutivo, quando si accertano ipresupposti del concordato, quella che ne deriva è una composizione fon-data basilarmente sui principi della autonomia privata.Se il giudizio di omologazione fosse un giudizio autonomo, sganciato

dalla procedura di concordato preventivo, si potrebbe anche assumereche l’oggetto possa ricondursi alla verifica dell’accordo intervenuto fra ildebitore e i creditori, non troppo diversamente da quanto accade perl’omologazione degli accordi di separazione fra coniugi. Sennonché il giu-dizio di omologazione si innesta nella procedura di concordato preventivoche ha una sua causa, quella della regolazione della crisi.La distinzione, prima tratteggiata in dottrina (97) ed ora recepita espres-

samente nell’art. 161, l. fall., fra « piano », « proposta » e « domanda »serve a chiarire che il debitore formula una domanda giudiziale sin dal de-posito del ricorso ex art. 161 l. fall., posto che, in particolare, è opportunotenere separato il profilo volitivo-giudiziale della domanda dal profiloconciliativo-negoziale della proposta. Con tale domanda viene sollecitatal’apertura della procedura di concordato preventivo ma, anche, la richie-sta di omologazione. Tuttavia, per affrontare la richiesta di omologazioneil tribunale deve, prima, accertare che sussistano determinati presuppostie questi presupposti in parte preesistono alla domanda e in parte si forma-no all’interno del procedimento. Accade, così, che la domanda di omolo-gazione che è contenuta implicitamente nella più ampia domanda di con-cordato entri in una fase di quiescenza sino a quando, per effetto dell’ap-provazione dei creditori non si apre la fase dell’omologazione.Questo innesto e le ovvie interferenze fra i due procedimenti impongo-

no, allora, una lettura un poco più ampia del giudizio di omologazioneche rappresenta il contenitore nel quale si deve verificare, innanzi tutto, seè stato legittimamente esercitato, da parte dell’imprenditore, il potere dichiedere che la sua crisi venga regolata con gli strumenti del concorsoconcordatario; un concorso che pur se inerente all’ambito delle forme diattuazione della responsabilità patrimoniale è dotato di autonome regole,come ad esempio si ricava dal fatto che non sono azionabili le azioni revo-catorie fallimentari.Il potere di chiedere (e dunque di ottenere) che la sua crisi sia regolata

secondo la disciplina del concordato, sussiste quando si verificano una se-rie di circostanze che costituiscono i presupposti o forse meglio gli ante-cedenti logici perché quel potere sia riconosciuto. Non un diritto sogget-tivo potestativo, né un potere di conformazione dell’altrui sfera giuridi-ca (98), perché le modificazioni dei diritti di coloro che si trovano in posi-zione antagonista presuppongono che l’esercizio del potere intercetti ilconsenso della maggioranza di coloro che « subiscono » l’effetto. Se nonfosse prevista la votazione si avrebbe ragione di predicare che si tratti di

(97) Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato pre-ventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, p. 172.

(98) Motto, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012, p. 17 ss.

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un diritto soggettivo potestativo, ma poiché la votazione è necessaria e de-ve dare un risultato di consenso alla proposta, ben si comprende come lasituazione sostanziale sia assorbita dall’esercizio di un potere processualeche altri ordinamenti riconoscono anche ai creditori. Sennonché il con-senso che viene prestato dai creditori è un presupposto di legittimità delprocedimento nonché un presupposto su cui il potere processuale del de-bitore è fondato.Con ciò si vuole spiegare che, in verità, il potere del debitore preesiste

alla prestazione del consenso ed il consenso è solo un mezzo di attuazionedel potere posto che chi lo ha prestato non rappresenta unitariamente tut-ti i creditori che hanno, uti singuli, la facoltà di opporsi alla omologazione.Ovvia conseguenza è allora il fatto che si abbia a che fare con un potereche conforma i diritti altrui soltanto quando il giudice verifica che un pro-cedimento è stato validamente instaurato e coltivato e per essere valida-mente coltivato deve avere intercettato il consenso dei destinatari dell’ini-ziativa.Un potere che non può fare a meno del consenso; ma un consenso che si

inserisce nel procedimento il cui rispetto giustifica l’accertamento del po-tere.Sembra quasi un circolo vizioso, a conferma della complessità, anche

processuale, del concordato preventivo.Questo serve a spiegare, indirettamente, quali sono gli antecedenti logici

che il tribunale deve accertare, fermo restando che la decisione non si for-ma su questi ma sull’accertamento della titolarità del potere e del suo cor-retto esercizio. Forzando l’esempio al fine di meglio delinearne l’oggetto,il giudizio di omologazione altro non è se non un processo che ha per og-getto l’accertamento negativo del potere di chiedere la regolazione con-corsuale-fallimentare dei crediti, in quanto è prevalente l’accertamentodelle condizioni che legittimano l’apertura della procedura di concordatopreventivo.In sostanza, la domanda di concordato preventivo è una vera e propria

istanza con contenuto processuale con la quale si chiede che il giudice ve-rifichi che il conflitto che è sorto fra un imprenditore-debitore e i suoi cre-ditori è stato composto con un accordo; un accordo che ha rispettato ta-luni limiti legali e che ha fatto applicazione di un regime di regolazione deicrediti di stampo concorsuale. Questo, in particolare, è l’oggetto del pro-cesso di omologazione del concordato preventivo e se questo è, ben si ap-prezza la ragione per la quale quando si discute di « fattibilità », di « con-venienza », di « legittimità sostanziale » ciò accade perché si tratta di que-stioni (e talora di eccezioni) che ampliano la cognizione del giudice in fun-zione di consentirgli una valutazione più completa e approfondita sul-l’omologabilità della proposta di concordato, ma non estendono per nullal’oggetto del processo.Non diversamente da quanto accade con riguardo all’accertamento del-

le singole posizioni creditorie, posto che tale accertamento non conducemai al formarsi della cosa giudicata sul credito che è considerato solo co-me una questione incidentale utile per valutare la sussistenza dei presup-posti per l’omologazione.Quindi, tutto e proprio tutto quanto viene dedotto nel giudizio non co-

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stituisce domanda e non allarga l’oggetto della decisione; quando ci si tro-va in presenza di un’opposizione (ed a prescindere, ora, da quale può es-serne il contenuto) è come se la parte opponente introducesse nel giudizioun’eccezione, e cioè un mezzo processuale volto a sollecitare al giudice ilrigetto della richiesta di omologazione del concordato (99).Di solito si è abituati ad associare al termine opposizione l’attività pro-

cessuale della parte che assume un’iniziativa per impedire che un certo at-to del privato o del giudice possa consolidarsi. Nel giudizio di omologa-zione, l’opponente non si duole di un provvedimento del giudice (che an-cora non c’è), ma chiede che la pronuncia del tribunale abbia un contenu-to diverso da quello cui aspira il proponente. L’ambito di estensione del-l’opposizione – dal punto di vista processuale – corrisponde, in negativo,all’estensione dell’oggetto del processo così come, naturalmente, introdot-to dal proponente, posto che va escluso che nel giudizio di omologazionepossano essere introdotte altre domande, quale potrebbe essere, ad esem-pio, quella di accertamento di un credito. Pur tuttavia, considerato il rag-gio delle possibili difese dell’opponente, l’interrogativo sulla eventualeestensione del giudizio, non va rifiutato a priori.Al proposito può risultare utile provare a selezionare quali sono le ragio-

ni che stanno a fondamento di un’opposizione, una volta colto come l’op-posizione si risolva in un’eccezione, e cioè in un mezzo difensivo diretto acontrastare l’altrui domanda.L’opposizione/eccezione può avere ad oggetto i) vizi del procedimento,

ii) censure che attengono a quel difetto di genuina prestazione del consen-so (ai fini del computo della maggioranza e ai fini della ponderazione dellaformazione delle classi) di cui si è parlato, ma anche iii) censure sulla fat-tibilità del piano concordatario che regge la proposta (100), iv) censure sul-la convenienza nel caso della classe dissenziente o della minoranza quali-ficata e v) allegazione di fatti rilevanti ai sensi dell’art. 173 l. fall. e che seconosciuti avrebbero provocato la revoca del concordato (101). Se tale è ilcontenuto potenziale delle opposizioni/eccezioni, occorre chiedersi secon queste si venga ad estendere l’oggetto dell’accertamento demandatoal tribunale, oppure se l’oggetto resti sempre lo stesso e le eccezioni rap-presentino solo uno strumento per giungere ad una decisione più consa-pevole.

(99) Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristruttura-zione dei debiti, cit., p. 576; Penta, Il controllo del tribunale in sede di omologazione delconcordato preventivo e la prosecuzione dell’attività d’impresa, in Fallimento, 2008, p. 84.Già prima della riforma, v., Bonsignori, Diritto fallimentare, Torino, 1992, p. 429; Car-boni, Il processo di omologazione del concordato preventivo, Padova, 1994, p. 127. Cordo-patri, Il processo di concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2014, p. 359.

(100) Per l’interpretazione prevalente il controllo sulla fattibilità può essere sollecitato altribunale; v., fra i molti, Galletti, Il nuovo concordato preventivo: contenuto di piano esindacato del giudice, in Giur. comm., 2006, II, p. 911; Pagni, Contratto e processo nel con-cordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., p. 580; Pacchi, Il con-cordato preventivo, cit., p. 517.

(101) Brenca, Osservazioni a margine dei poteri del tribunale in fase di omologa e del re-clamo avverso il decreto di revoca dell’ammissione al concordato preventivo, in Dir. fall.,2011, II, p. 281.

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Colui che si qualifica come interessato al rigetto della omologazione, favalere quelle che si potrebbero definire le oggettive cause ostative allaomologa, ma proprio perché l’opposizione spetta a chiunque vi abbia in-teresse, occorre escludere che nel processo di omologazione debba discu-tersi, necessariamente, delle ragioni di credito. Il diritto di credito del cre-ditore (o forse, meglio, di ciascun creditore) non diviene oggetto del pro-cesso, nel senso che l’opponente non può chiedere nella sede dell’omolo-gazione, l’accertamento del suo diritto di credito (che tutt’al più potrà co-stituire oggetto di una questione pregiudiziale da accertare senza vincolodi giudicato, ai soli fini del computo esatto delle maggioranze) (102). Il cre-dito in quanto tale non entra nell’ambito dell’accertamento rimesso al tri-bunale, pur se, in apparenza, con la richiesta di rigetto dell’omologazione,il creditore sembra indirettamente introdurre una lite sul credito perchépuò contestare la riduzione concordataria della misura del proprio diritto.In verità, è facile convincersi che la contestazione sulla riduzione del cre-dito è solo una delle tante ipotesi in gioco, visto che l’opposizione/ecce-zione potrebbe provenire da un creditore privilegiato insoddisfatto solosui tempi di attuazione della proposta, ovvero da un non creditore che ri-tiene preferibile la liquidazione concorsuale.In virtù dell’assimilazione dell’opposizione alla categoria dell’eccezione,

va quindi considerato che i fatti estintivi, impeditivi e modificativi chevengono allegati in un processo non ampliano l’oggetto della cognizionedel giudice (103), salvo che non vengano opposti fatti che contengono l’af-fermazione di un vero e proprio diritto e che con termine consueto si èabituati a descrivere come integranti l’eccezione riconvenzionale, in quan-to « fatti-diritti ».Nel caso del giudizio di omologazione del concordato non sembra esser-

vi spazio per accertamenti incidentali con efficacia di giudicato, né perl’esame di questioni incompatibili, tali da dover necessariamente esseredecise ai fini della formazione del giudicato pieno. Nel caso dell’omologa-zione del concordato, qualunque sia il tipo di opposizione/eccezione in-trodotta, chi invoca il rigetto della richiesta di omologazione non fa valereun proprio diritto incompatibile, ma allega dei fatti dai quali il giudice do-vrebbe trarre il convincimento che la gestione dell’interesse alla regolazio-ne dell’insolvenza non si può realizzare con quella proposta di concorda-to.Delle eccezioni di cui si è fatto cenno, soltanto quella che attiene all’in-

dividuazione dei creditori concorrenti e dunque aventi diritto al voto èidonea a poter costituire oggetto di un autonomo processo (il processo diaccertamento di quel credito).Tuttavia va escluso che una domanda di accertamento del credito (con

(102) Cass. 9 giugno 2010, n. 13897, in Fallimento, 2010, p. 924; Cass. 14 febbraio 2002,n. 2104, Rep. Foro it., 2002, voce Concordato preventivo, n. 34; App. Genova 14 aprile2004, in Dir. fall., 2005, II, p. 486; Rago, Il concordato preventivo dalla domanda all’omo-logazione, Padova, 1998, p. 467.

(103) Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristruttura-zione dei debiti, cit., p. 578; Fabbrini, voce Eccezione, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma,1989, p. 1 ss.

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efficacia di giudicato della relativa pronuncia) possa cumularsi con la ri-chiesta di omologazione e ciò sia quando a domandare quell’accertamento(positivo o negativo) sia un terzo creditore – o altro interessato – (al lumedel fatto che un terzo, fuori dai casi di cui all’art. 2900 c.c., non può farvalere in giudizio un diritto altrui per i limiti imposti nell’art. 81 c.p.c.), siaquando l’eventuale domanda (in tal caso, all’evidenza, di accertamentopositivo) provenga dal titolare del credito. Infatti, la previsione contenutanell’art. 176 l. fall. a tenore della quale le decisioni adottate dal giudice de-legato nell’adunanza fissata nel concordato preventivo, sono provviso-rie (104) e non aprono incidenti contenziosi, sembra esprimere un princi-pio più generale e cioè quello secondo il quale le controversie sui creditinon possono mai essere qualificate come questioni pregiudiziali in sensostretto e come tali idonee ad impedire la decisione principale che è, a que-sti fini, la decisione sulla richiesta di omologazione. Non a caso il control-lo sull’esercizio del potere del giudice di ammissione al voto del singolocredito è sì possibile nel giudizio di omologazione ma solo se ciò incidesulla formazione della maggioranza, il che a ben vedere significa, implici-tamente ma inequivocamente, che le decisioni sui crediti non attengonoall’accertamento del credito con efficacia di giudicato ma all’accertamentoincidentale del credito ai soli fini dell’ammissione al voto.Per comodità espositiva e di sistema va anche rilevato che se oggetto

delle opposizioni sono in verità delle eccezioni, anche in questa sede è le-cito prospettare eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato; ecce-zioni di rito ed eccezioni di merito.Possono essere considerate eccezioni in senso lato (e quindi rilevabili

anche d’ufficio) le censure che vertono sulla verifica della regolare pro-gressione delle fasi del procedimento (e sono eccezioni di rito), così comele doglianze sul raggiungimento della maggioranza per l’approvazione (esono eccezioni di merito perché attengono alla validità del consenso). So-no, invece, eccezioni in senso stretto – di merito – quelle che attengono al-la convenienza vista la volontà esplicita del legislatore di attribuire al giu-dice il compito di verificare la convenienza solo quando vi è un’opposizio-ne di un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente odella minoranza qualificata di dissenzienti (almeno il venti per cento). Madeve reputarsi eccezione in senso stretto – anch’essa di merito – quellasulla non fattibilità del piano concordatario qualora si assuma che di talequestione il tribunale possa occuparsi.L’oggetto del processo non muta, dunque, in relazione all’ampiezza, alla

presenza e alla profondità dell’opposizione (105).

13. – Da quando è mutato l’assetto del concordato preventivo il dibatti-to più acceso che si è andato formando attiene ai limiti del sindacato chespetta al tribunale nel giudizio di omologazione. Il dibattito si è sviluppato

(104) È utile rammentare che l’art. 19 l. n. 197/1903, stabiliva espressamente che le pro-nunce sui crediti erano provvisorie e non potevano pregiudicare l’accertamento del credi-to.

(105) C. Ferri, Classi di creditori e poteri del giudice nel giudizio di omologazione del« nuovo » concordato preventivo, in Giur. comm., 2006, I, p. 571.

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perché da un lato si stabilisce che il tribunale omologa il concordato, inassenza di opposizioni, dopo avere riscontrato la regolarità della procedu-ra e l’approvazione dei creditori, mentre dall’altro lato il sindacato siestende sino alla valutazione di convenienza della proposta quando ci so-no opposizioni che provengono da un creditore che appartiene ad unaclasse dissenziente o quando l’opposizione proviene da una minoranzaqualificata di creditori.Se si prova a ragionare al riparo dalle ideologie, il sistema è assai meno

bizzarro di quanto si vorrebbe sostenere, nonostante il testo dell’art. 180 l.fall. non agevoli una interpretazione di sistema.Alcuni dati non sono opinabili. Il tribunale prima di omologare la pro-

posta deve verificare, in positivo:i) che il procedimento si sia svolto nel rispetto delle norme di proce-

dura; questo consente al tribunale di ripercorrere tutte le valutazioni giàcompiute in occasione del decreto di ammissione ex art. 163 l. fall. (106)che non pregiudica ogni successivo accertamento e ciò a partire, se si vuo-le, dalla questione della competenza per territorio (107) (108);

ii) che si sia formata sulla proposta l’adesione della maggioranza (odelle maggioranze in caso di suddivisione dei creditori in classi) dei credi-tori (109).Al contempo il tribunale non deve valutare:

i) la meritevolezza dell’impresa (110);ii) la convenienza della proposta, salvo che a ciò non sia sollecitato

da un creditore che appartenga ad una classe dissenziente o da una mino-ranza qualificata di creditori (111).Soltanto in presenza di questi presupposti formali di accesso, il tribuna-

le deve sindacare il merito della stessa valutando se quella proposta sia peril singolo creditore o per i creditori di minoranza organizzati, più o menoconveniente delle altre soluzioni praticabili, altre soluzioni che si traduco-no, essenzialmente, nella liquidazione fallimentare (112).

(106) Trib. Bari 25 febbraio 2008, in Fallimento, 2008, p. 682; Trib. Palermo 18 maggio2007, in Fallimento, 2008, p. 75; contra, App. Salerno 26 ottobre 2010, in Dir. fall., 2011,II, p. 259; de Ferra, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, p. 360.

(107) App. Roma 18 settembre 2010, in Dir. fall., 2011, II, p. 18; Trib. Mondovì 6 marzo2009, in Dir. fall., 2010, II, p. 305.

(108) Cass., 4 giugno 2014, n. 12533, in www.ilcaso.it., ha di recente precisato che, senzabisogno di opposizioni, il tribunale deve verificare che siano accaduti fatti rilevanti per larevoca del concordato ai sensi dell’art. 173 l. fall.

(109) Trib. Roma 27 gennaio 2009, in Fallimento, 2010, p. 232; App. Milano 11 ottobre2006, in Fallimento, 2007, p. 27.

(110) Restano, così, superate le questioni relative al giudizio di meritevolezza per le so-cietà di capitali; per una ricostruzione sistematica della valutazione di meritevolezza nelgiudizio di omologazione, v. Zanarone, Il requisito di meritevolezza nel concordato pre-ventivo di società, Milano, 1974, p. 19; Maisano, Il concordato preventivo delle società, Mi-lano, 1980, p. 142.

(111) App. Firenze 16 febbraio 2011, in Dir. fall., 2011, II, p. 468; Trib. Asti 3 febbraio2010, in Fallimento, 2010, p. 707; Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, cit.,p. 1275.

(112) App. Torino 14 ottobre 2010, in Fallimento, 2011, p. 349; Trib. Milano 16 febbraio2007, in Fallimento, 2007, p. 548.

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Prima della riforma, anche in presenza della unanimità dei consensi, iltribunale poteva d’ufficio ritenere la proposta non conveniente rispetto al-la liquidazione fallimentare (113), considerando che al rigetto della richie-sta di omologazione faceva seguito, automaticamente, la dichiarazione difallimento. Ora che questa consequenzialità non è più obbligata, non sipuò escludere che in astratto vi siano altre soluzioni praticabili diverse dalfallimento, quale un accordo di ristrutturazione o una nuova domanda diconcordato. Ma di queste soluzioni alternative è l’opponente che deve da-re dimostrazione, fornendo la prova dell’esistenza o della ragionevole esi-stenza nonché della circostanza che da questa alternativa ne sortirebbe unrisultato migliore. In linea di massima, però, la comparazione avrà luogofra la soluzione del concordato e la soluzione del fallimento.Poiché la legittimazione a sollecitare il controllo di convenienza compe-

te individualmente a ciascun creditore, per negare l’omologazione è suffi-ciente dimostrare che rispetto ad un solo creditore la soluzione del falli-mento sarebbe più vantaggiosa (114); ciò si risolve nella necessità che laproposta concordataria sia più vantaggiosa (o quantomeno pari) rispettoal fallimento per tutti e proprio tutti i creditori. L’opposizione del credi-tore se accolta è in grado di far saltare tutto il concordato; è una leva for-midabile nelle mani dei creditori ma è giustificata proprio dal fatto che lamaggioranza può prevalere sulla minoranza solo se la prima si è formatasulla base di una omogeneità delle posizioni, perché solo in quel caso ètollerabile che il dissenso del singolo sia assorbito dal consenso dei molti,in assenza del controllo giudiziale (115).Nella valutazione comparativa fra concordato e fallimento il tribunale

deve esaminare, nei limiti di quanto allegato, la possibilità che l’attivo fal-limentare sia più ampio o che il passivo fallimentare sia più ristretto, adesempio perché sarebbero promuovibili azioni revocatorie fallimentari operché il curatore fallimentare potrebbe nell’accertamento del passivo farvalere l’eccezione revocatoria. Si tratta di una valutazione prognostica as-sai complessa, non disgiunta dalla necessità di computare presuntivamen-te anche tutti gli oneri per le spese della liquidazione fallimentare.Una volta delimitato il perimetro in positivo e in negativo, l’opposizione

può assumere tanti altri contenuti: può essere censurato il computo dellamaggioranza sulla base del conteggio di un credito contestato; può esserecensurato il voto espresso da un creditore collocato in una classe anzichéin un’altra (116); può essere censurato un difetto di informativa, può esserecensurato un voto espresso in conflitto di interessi.

(113) Galletti, Il nuovo concordato preventivo: contenuto di piano e sindacato del giudi-ce, cit., p. 913.

(114) Trib. Modena 18 ottobre 2005, in Dir. fall., 2006, II, p. 661; Trib. Milano 16 feb-braio 2007, in Fallimento, 2007, p. 548.

(115) Per Tedoldi, Appunti in tema di omologazione del concordato preventivo, in Riv.dir. proc., 2009, p. 664, escludere il controllo sulla convenienza non è costituzionalmentelegittimo.

(116) Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi compa-ratistica), in Giur. comm., 2007, I, p. 594.

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Per quanto esposto in altre occasioni (117), non è deducibile in sede diomologazione la questione fattibilità (118) che attiene invece alla valutazio-ne esclusiva dei creditori, salvo che la fattibilità ridondi in vizio del con-senso come dimostrato nell’art. 179, comma 2o, l. fall.Il tribunale deve, quindi, prendere atto dell’applicazione del principio

di maggioranza e riscontrata la presenza di una maggioranza di creditoriche hanno aderito alla proposta, non può negare l’omologazione se nonquando si trova ad esercitare poteri di controllo che attengono alla validitàdell’accordo, al corretto svolgimento del processo e alla convenienza dellasoluzione concordataria per tutte le classi dei creditori (ma, qui, solo invirtù di una sollecitazione di parte) (119).

14. – Al termine del processo il tribunale decide con decreto. Il decretodel tribunale produce i) l’effetto di chiusura della procedura di concorda-to preventivo; ii) l’esdebitazione del debitore; iii) la trasformazione dei di-ritti dei creditori che possono pretendere soltanto ciò che il debitore si èimpegnato a concedere loro.Il decreto di omologazione accerta la conformazione del potere del de-

bitore di chiedere che la sua crisi sia disciplinata dalle regole sul concorsoconcordatario, e per l’effetto valida l’accordo fra debitore e creditori che èlo strumento per attuare il concorso concordatario.Il decreto non si limita a fornire efficacia ad un atto di autonomia delle

parti e dunque il decreto pur appartenendo al catalogo delle tutele auto-rizzatorie-omologatorie assume una natura composita. L’accertamento èpiù ampio in quanto investe un potere del debitore e quindi la natura de-cisoria non può essere negata. In tal senso a ragione, il decreto assume ilcontenuto sostanziale di sentenza quanto meno nella parte in cui accertache il debitore è tenuto ad adempiere le obbligazioni verso i suoi creditorinei limiti del concorso concordatario; il decreto certifica la trasformazionedelle obbligazioni del debitore.Una volta postulato che il decreto ha natura decisoria (anche se solo

parzialmente), si può compiere il passo ulteriore e verificare se il decretopossieda anche l’idoneità a passare in cosa giudicata (art. 2909 c.c.), ovve-ro se la stabilità debba essere riguardata sotto la lente del divieto di ne bisin idem. Si osservi che, mentre nel concordato fallimentare l’art. 131, l.fall. stabilisce espressamente la ricorribilità per cassazione, nell’art. 183, l.fall. analoga previsione manca e quindi si potrebbe anche postulare che ildecreto non divenga mai definitivo. Così, mentre nel concordato fallimen-tare a ben vedere si è quasi costretti ad assumere la natura decisoria del

(117) Fabiani, Concordato preventivo e giudizio di fattibilità: le sezioni unite un pò oltrela metà del guado, in Foro it., 2013, I, c. 1573.

(118) Ma la tesi che prevale è quella opposta, per la quale v., Tedoldi, Appunti in temadi omologazione del concordato preventivo, cit., p. 657; Jorio, Fattibilità del piano di con-cordato, autonomia delle parti e poteri del giudice, in Giur. comm., 2012, II, p. 1107.

(119) Tedoldi, Appunti in tema di omologazione del concordato preventivo, cit., p. 666,rammenta opportunamente i saggi degli anni ’20 di Ascarelli e di Carnelutti sull’obbliga-torietà del concordato giustificabile solo con il controllo del giudice. Quei saggi sono, dicerto, ancora attuali, solo che è mutato il tipo di controllo che pure il giudice deve eserci-tare.

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decreto perché è previsto che sia impugnabile col ricorso per cassazione edunque con certa attitudine al giudicato, nel concordato preventivo, liberida una interpretazione obbligata si può verificare l’idoneità al giudicatoguardando al tipo di accertamento (120).Se si guarda alla sostanza della vicenda omologatoria poiché nel proce-

dimento di omologa vengono valutati i diritti dei creditori (compresi quel-li non consenzienti e quelli dei creditori estranei che nei rispettivi ambitidi competenza, possono essere conculcati dalla rigida applicazione delprincipio di maggioranza), diritti che vengono trasformati per effetto del-l’omologazione, che si discuta davvero di decisorietà sembra ampiamentelecito, ma un conto è che si decida nella sostanza del diritto di credito, al-tro conto è che l’accertamento verta su questo e, per le ragioni sopraenunciate così non pare che sia. I crediti subiscono una trasformazione,anche profonda, ma non è questo l’oggetto del processo: la trasformazio-ne del credito è un effetto (121).Nel concordato fallimentare ricorre la previsione contenuta nell’art. 141

l. fall. che impone per legge che una nuova proposta sia diversa; ciò sot-tintende che la presentazione di una nuova proposta sia comunque am-messa e dimostra che il vincolo che si forma all’esito dei gradi di giudizioinnestati sulla pronuncia del tribunale, non può che colpire quella singoladomanda contenente la proposta. Nella disciplina del concordato preven-tivo manca una analoga disposizione e tuttavia, non esistendo alcuna for-male preclusione già si è accennato al fatto che il debitore non incontraimpedimenti nel presentare una nuova proposta; se mai, il mancato rinvioall’art. 141 l. fall., si traduce nel fatto che la seconda proposta potrebbeanche essere peggiorativa.Quindi, la reiezione della richiesta di omologazione non genera alcun

vincolo in ordine al fatto che il debitore possa chiedere e ottenere che lasua crisi sia governata dalle regole del concorso concordatario. Il decretonon gli ha negato quel potere ma ha stabilito, soltanto, che quella soluzio-ne proposta non può essere omologata. Se oggetto del processo è l’accer-tamento del potere alla regolazione convenzionale del dissesto, nullaesclude che il medesimo proponente possa nuovamente presentare unaproposta a diverse condizioni, mentre volendo applicare alla fattispecie iprincipi sul giudicato, andrebbe esclusa una soluzione di questo tipo. Mala soluzione della ripresentabilità della proposta a condizioni nuove e so-pravvenute non è irrilevante. La proposta dovrà essere necessariamentediversa perché diverso è il regime delle obbligazioni (si pensi al consolida-mento di almeno alcuni dei debiti prededucibili), perché la misura deicrediti è diversa dovendosi calcolare gli interessi che erano soltanto sospe-si, perché alcune cause di prelazione riprenderebbero efficacia (v. art.

(120) Normalmente, l’ammissibilità del ricorso per cassazione funge da obiettivo per at-tribuire una certa natura ad un determinato provvedimento giudiziale (diverso dalla sen-tenza), cfr., Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, p. 103. Per l’esclu-sione del giudicato v. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., p. 756.

(121) Pajardi, op. cit., p. 756. Contra, Cordopatri, Inammissibilità del reclamo avversoil « decreto motivato » di rigetto dell’istanza di omologazione del concordato preventivo, inDir. fall., 2007, II, p. 234.

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168, ult. comma, l. fall.); i diritti sono diversi e sono regolati differente-mente, ma si è visto che non sono l’oggetto immediato dell’accertamento.Tuttavia il tribunale non verifica se esiste un potere astratto del debitoredi chiedere la regolazione concordataria della crisi ma se questo esiste inconcreto e questo esiste in concreto se sono rispettate tutte le regole delprocedimento, se la maggioranza si è formata e se i giudizi che spettano altribunale sono valutati positivamente. Proprio la distinzione, forse un po-co stravagante fra causa astratta del concordato e causa concreta, ora aiutaa capire che il vincolo della decisione si fonda sulla causa concreta; quindisi forma un vincolo decisorio su quella proposta di concordato qualeespressione del potere del debitore e su quella richiesta di omologazionecala il divieto di riproposizione al modo della preclusione da ne bis inidem (122).Che si formi, invece, il giudicato sostanziale è meno agevole da postula-

re se si discorre di un potere processuale, sì da apparire non coerente lafattispecie in esame con il disposto di cui all’art. 2909 c.c.

(122) V., Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrut-turazione dei debiti, cit., p. 604, che assume come si possa, al più, discutere di stabilità del-la decisione.

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LA PARTECIPAZIONE SOCIALENELLE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI

E NELLE SOCIETÀ TRA AVVOCATI (*) [,]

diCarlo Ibba

(Professore nell’Università di Sassari)

Sommario: 1. Premessa. – 2. Disciplina delle società tra professionisti e professione foren-se. – 3. I requisiti soggettivi di partecipazione nelle società tra professionisti e nelle so-cietà tra avvocati. – 4. Segue: partecipazione sociale e conferimento d’opera. – 5. Segue:requisiti soggettivi e circolazione della partecipazione. – 6. Segue: partecipazione socialee incompatibilità. Incompatibilità e regime pubblicitario.

1. – Nei giorni scorsi abbiamo appreso dalla stampa quotidiana che lesocietà tra professionisti costituite sinora sono intorno alla decina. Ora,avendo scritto all’inizio del 2012 un articolo intitolato « Le società traprofessionisti: ancora una falsa partenza? », potrei limitarmi a ripeterequanto scritto allora, magari eliminando il punto interrogativo finale: an-cora una falsa partenza, l’ennesima falsa partenza.Ma il compito che mi è stato affidato oggi è un po’ diverso, dovendo io

occuparmi specificamente della partecipazione sociale, e dovendo farlo –se non altro per continuità col tema delle due relazioni precedenti – conriferimento sia alle società tra professionisti in genere, sia alle società traavvocati.Al riguardo occorre tener presente che la disciplina della partecipazione

sociale, evidentemente, varia al variare del tipo societario in concretoadottabile (e adottato) e del regime speciale per esso predisposto in fun-zione del particolare oggetto sociale; tipo societario e regime speciale chenon sono necessariamente gli stessi nelle società tra avvocati e nelle altresocietà tra professionisti.Mi pare perciò necessario, preliminarmente, cercare di capire se la disci-

plina generale delle società tra professionisti operi anche in relazione allesocietà fra avvocati, come vuole una opinione abbastanza diffusa, o se in-vece queste ultime soggiacciano ad uno statuto loro proprio. In questomodo potremo identificare la fonte normativa da cui la partecipazione so-ciale in società professionali, nell’uno e nell’altro caso, è disciplinata.

2. – L’art. 10 della l. 12 novembre 2011, n. 183, dichiara di applicarsi al-le « attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico » e dun-que, almeno a prima vista, dovrebbe entrare in funzione ogni volta che siprospetti l’esercizio societario di una qualunque di queste attività. Propriola generalità di questo intervento legislativo, tuttavia, pone il problema del

(*) Relazione alla XXVII Conferenza internazionale dell’Osservatorio « Giordano Del-l’Amore » sui rapporti tra diritto ed economia – Società tra professionisti e alternative (Mi-lano, 22-23 ottobre 2013).

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

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suo rapporto con alcune norme speciali preesistenti, fra le quali quellecontenute nel d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96.Non c’è dubbio infatti che queste ultime, riguardando le sole società

aventi ad oggetto l’esercizio della professione di avvocato, siano speciali ri-spetto al citato art. 10, che disciplina le società aventi ad oggetto l’eserciziodi qualunque professione protetta; e poiché, come sappiamo, la regola èche lex posterior generalis non derogat priori speciali, la prima disciplinadovrebbe, per così dire, « resistere » a quella più recente.Qualcuno potrebbe obiettare che il problema non si pone perché la

nuova disciplina non è derogatoria né abrogativa della precedente: quellointrodotto nel 2011 – potrebbe dirsi – è un nuovo regime che, nel campodell’attività forense, si aggiunge al vecchio ma non lo elimina; tanto è veroche il comma 9o dell’art. 10 fa salvi « i diversi modelli societari » previgen-ti, fra i quali dovrebbe collocarsi, appunto, il modello della società fra av-vocati del 2001. Il fatto è, però, che c’è almeno un aspetto in cui la nuovadisciplina entra in conflitto con la vecchia, e in cui perciò occorre valutarequale delle due prevalga.L’art. 16 d.lgs. n. 96/01, infatti, stabilisce che « l’attività professionale di

rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in for-ma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti,denominata nel seguito società tra avvocati » (sottolineatura mia); societàche « è regolata dalle norme del presente titolo e, ove non diversamentedisposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo ».Per il legislatore del 2001, dunque, la società fra avvocati è l’unica forma

consentita; ciò – preciso – in relazione all’attività di rappresentanza, assi-stenza e difesa in giudizio, mentre l’attività di consulenza, con ogni proba-bilità, non soggiace necessariamente allo statuto speciale della società fraavvocati (nel presupposto che la consulenza non sia riservata, presuppo-sto che la recente legge di riforma dell’ordinamento forense ha peraltroparzialmente modificato: art. 2, comma 6o, della l. 31 dicembre 2012, n.247).La l. n. 183/11, viceversa, prevede un’altra forma di esercizio, regolata

in modo significativamente diverso (basti pensare alla molteplicità dei tipisocietari utilizzabili o alla composizione della compagine sociale e dell’or-gano amministrativo) e praticamente senza nessuna delle cautele impostecome necessarie nel 2001. Da questo punto di vista, dunque, ammettereche la nuova legge operi anche in relazione alla professione forense signi-ficherebbe attribuirle una portata derogatoria della precedente disciplina,perché implicherebbe il passaggio da un modello (dichiaratamente pre-sentato come) esclusivo a più modelli alternativi.Come ricordavo prima, tuttavia, almeno in linea di principio lex poste-

rior generalis non derogat priori speciali. Almeno in linea di principio lanorma speciale, lungi dall’essere abrogata da quella generale successiva,ne circoscrive il campo di applicazione: nel caso nostro, dunque, la disci-plina « esclusiva » delle società tra avvocati del 2001 impedisce che le for-me societarie introdotte nel 2011 per le professioni protette in genere sia-no adottabili in relazione all’esercizio societario della professione forense.Certo, l’applicazione del criterio di specialità non deve essere meccanica

e incontrollata; ma nemmeno la sua disapplicazione può esserlo, dovendo

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farsi carico di spiegare perché i principi ispiratori della norma speciale do-vrebbero cedere di fronte alla sopravvenuta disciplina generale. Ed è unaspiegazione a mio avviso non facile, soprattutto dopo che quei principi,come vedremo subito, sono stati in larghissima misura riaffermati dallalegge di riforma dell’ordinamento forense.Mi riferisco, in particolare, alla delega per la disciplina dell’esercizio del-

la professione forense in forma societaria. In base a questa delega – con-tenuta nell’art. 5 l. n. 247/12 – il Governo avrebbe dovuto adottare un de-creto legislativo per disciplinare l’esercizio in forma societaria della pro-fessione forense, consentendolo esclusivamente a società di persone, di ca-pitali o cooperative aventi come soci solo avvocati iscritti all’albo e comeamministratori solo soci (e quindi solo avvocati), società la cui disciplina,per il resto, sarebbe stata in parte ricalcata su quella del d.lgs. n. 96/01(della quale la delega riproduce i principali contenuti) e in parte indivi-duata mediante rinvio, nei limiti della compatibilità, al medesimo d.lgs. n.96/01.In sostanza, la vecchia e la nuova disciplina delle società fra avvocati sa-

rebbero state largamente compatibili e spesso sovrapponibili: con la nuo-va disciplina si sarebbe allargato il novero dei tipi societari utilizzabili riaf-fermando, per il resto, tutti gli aspetti qualificanti del regime preesistente.Se capisco bene, comunque, il modello societario del 2001 avrebbe cessa-to di essere fruibile come tale (perché anche il nuovo modello, come già ilprecedente, era qualificato come esclusivo; e fra norme con lo stesso gradodi specialità è quella posteriore a prevalere); ma sarebbe rimasto come« serbatoio » di norme cui attingere per la disciplina residuale, ossia percolmare eventuali lacune della nuova disciplina (penso ad esempio alla di-sciplina della nullità per le società fra avvocati di persone: art. 20 d.lgs. n.96/01).Tornando al punto che c’interessa, ossia al problema del rapporto fra l.

n. 183/11 e società fra avvocati, esso sarebbe stato risolto nel senso che,una volta che la delega fosse stata esercitata, la disciplina delle nuove so-cietà fra avvocati – in quanto speciale, posteriore e non compatibile conquella del 2011 – certamente avrebbe escluso l’applicazione della discipli-na generale nell’ambito della professione forense; mentre una opportunanorma transitoria, presente nello schema di decreto legislativo delegatoche ho potuto consultare, prevedeva la cancellazione dall’albo delle socie-tà preesistenti, costituite a norma della l. n. 183/11, che non si fossero« regolarizzate » entro un certo termine (art. 2.3 della bozza).Il punto è però che, come sappiamo, il termine per l’esercizio della de-

lega è scaduto senza che questa sia stata esercitata, sicché da più parti ha(ri)preso vigore l’opinione secondo cui la normativa generale sulle societàtra professionisti opera anche nel campo della professione forense, conconseguente ammissibilità, ad esempio, di società tra professionisti perl’esercizio della professione di avvocato con soci anche non avvocati o conoggetto multiprofessionale.La tesi non mi pare fondata, e ciò per due ragioni. La prima è che, per

quanto dicevo poc’anzi, ritengo che la professione forense – quanto meno,nelle sue esplicazioni giudiziali – resti fuori dal campo di applicazione del-la l. n. 183/11; e questo a prescindere dalla delega contenuta nell’art. 5 l. n.

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247/12, per effetto del prevalere della legge speciale del 2001 sulla disci-plina generale del 2011, con essa incompatibile.La seconda è che il mancato esercizio della delega non priva il citato art.

5 di ogni efficacia normativa, se è vero che le leggi di delega – come parepotersi ricavare dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – non han-no solo un valore strumentale all’esercizio dei poteri delegati: « la leggedelega » – si legge nella motivazione di Corte cost. 4 maggio 1990, n. 224– « è un vero e proprio atto normativo, nel senso che è un atto diretto aporre, con efficacia erga omnes, norme (legislative) costitutive dell’ordina-mento giuridico: norme che hanno la particolare struttura e l’efficaciaproprie dei “principi” e dei “criteri direttivi”, ma che, per ciò stesso, noncessano di possedere tutte le valenze tipiche delle norme legislative come,ad esempio, quella di poter essere utilizzate, a fini interpretativi, da qua-lunque organo o soggetto chiamato a dare applicazione alle leggi ».Se questo è vero, il quadro normativo in materia di esercizio societario

della professione forense deve essere ricostruito e interpretato, pur in as-senza della legge delegata, in modo conforme alle previsioni – magari cri-ticabili ma inequivocabili – della legge delegante; sicché è anche il citatoart. 5, ora, a escludere l’ammissibilità, ad esempio, di una società fra avvo-cati e commercialisti con oggetto multidisciplinare; o di una società cheintenda svolgere prestazioni di assistenza e rappresentanza in giudizioavendo nella propria compagine sociale, sia pure nei limiti che vedremoessere consentiti dall’art. 10 l. n. 183/11, dei non avvocati.Tutt’al più ci si potrebbe interrogare sull’ammissibilità di una società fra

soli avvocati e rispettosa dei vincoli posti dalla disciplina del 2001 ma co-stituita secondo uno dei tipi societari allora non consentiti e ammessi in-vece dalla norma di delega. Ci si potrebbe chiedere, cioè, se sotto questoprofilo la norma delegante, considerato il grado di dettaglio di molte sueprevisioni, sia per così dire autoapplicativa; ed è un quesito al quale pen-serei possa darsi risposta affermativa, salvo maggiori approfondimentinon possibili in questa sede.

3. – Il lungo preambolo m’induce a concludere che il discorso sulla par-tecipazione sociale deve diversificarsi a seconda che esso consideri le so-cietà fra avvocati o le altre società tra professionisti: le prime regolate – al-meno in ordine all’attività giudiziale, e salva la riserva appena enunciatacirca l’utilizzabilità dei tipi societari consentiti dalla norma di delega – da-gli artt. 16 ss. d.lgs. n. 96/01 e in via residuale, nei limiti della compatibi-lità, dalle disposizioni sulla società in nome collettivo, le seconde dalla di-sciplina contenuta nell’art. 10 l. n. 183/11.Come sappiamo nelle due tipologie societarie diversi sono, in primo

luogo, i requisiti soggettivi dei soci.Nelle società fra avvocati, che hanno per oggetto esclusivo « l’esercizio

in comune della professione dei propri soci » (art. 17, comma 2o), questidevono essere tutti « in possesso del titolo di avvocato » (art. 21, comma1o).Nelle (altre) società tra professionisti, invece, è ammessa la partecipazio-

ne di soggetti non professionisti, anche se « il numero dei soci professio-nisti o la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere ta-

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le da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisio-ni dei soci » (art. 10, comma 4o, lett. b, l. n. 183/11); previsione probabil-mente da interpretare considerando rilevante il numero dei soci professio-nisti là dove viga la regola del voto per teste (ossia, in particolare, nellecooperative) e l’entità della loro partecipazione là dove si voti per quote.Si tratta di una disposizione a mio avviso criticabile, dal momento che

può assicurare ai professionisti il controllo delle decisioni societarie fon-damentali ma non di quelle gestorie. In base ad essa, infatti, parrebbe cer-tamente ammissibile una società tra professionisti il cui organo ammini-strativo sia composto anche esclusivamente da non professionisti (soci onon soci), cosa che non mi pare assicuri il rispetto dell’« autonomia » edell’« indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista »sulle quali si fonda la disciplina dell’esercizio delle professioni regolamen-tate (art. 3, comma 5o, lett. a, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito conmodifiche in l. 14 settembre 2011, n. 148; nonché art. 2, comma 2o, d.p.r.7 agosto 2012, n. 137). Ma non proseguo oltre, per non invadere il terrenodi altre relazioni.Se ho richiamato i requisiti soggettivi dei soci nei due modelli societari,

infatti, è stato solo perché essi potrebbero avere implicazioni da un latosull’oggetto del conferimento, dall’altro sulla circolazione delle partecipa-zioni e su alcuni altri profili della loro disciplina.

4. – Sotto il primo profilo, riguardo alle società fra avvocati c’è stato chiha osservato che « l’obbligatorietà della qualifica di avvocato ha un senso(...) se e in quanto il socio sia tenuto a prestare, e a prestare a titolo sociale,quell’attività che forma oggetto esclusivo della società, non se presti o pos-sa prestare (solo) mezzi strumentali al suo esercizio ». In altri termini, « sepure devono ritenersi senz’altro ammissibili conferimenti ulteriori rispettoalla prestazione della propria attività giudiziale e, eventualmente, stragiu-diziale, (...) il conferimento d’opera è, nella società in esame, comunqueessenziale »: « l’attività professionale è dovuta, ed è necessariamente dovu-ta da tutti i soci, a titolo di conferimento » (Montagnani; analogamenteMontalenti).La tesi non è peraltro indiscussa, poiché altri osservano che la disciplina

speciale « non detta regole particolari in ordine al conferimento dei soci »,con conseguente applicazione della disciplina generale della società in no-me collettivo. Il legislatore, insomma, « non impone che i soci avvocatisiano tutti soci d’opera », e « la presenza di soci capitalisti (...) non è deltutto bandita: essi sono ammessi e sono ammessi senza limiti, purché av-vocati » (così, pur segnalando possibili controindicazioni, Marasà, colquale concordano Stella Richter e Scognamiglio).Gli stessi dubbi interpretativi non si pongono invece con riferimento al-

le altre società tra professionisti, essendo certo che la disciplina contenutanell’art. 10 l. n. 183/11 non prescrive affatto che l’esecuzione dell’incarico– che anche qui, come nelle società fra avvocati, è affidata ai soci – debbaavvenire esclusivamente a titolo di conferimento.A dire il vero, parrebbe deporre in senso contrario la norma secondo cui

l’atto costitutivo deve prevedere « le modalità di esclusione dalla societàdel socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento

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definitivo » (art. 10, comma 4o, lett. d), la quale sembra supporre che il so-cio da escludere sia un socio d’opera, essendo altrimenti scarsamente giu-stificabile. Non si comprende infatti perché dovrebbe provocare l’esclu-sione – e un’esclusione, parrebbe, « di diritto » – la cancellazione dall’albodi un socio che in ipotesi sarebbe, sì, professionista ma ha conferito capi-tale, sicché la cancellazione non lo rende inadempiente verso la società nécomporta il rischio che prestazioni riservate vengano eseguite da un sog-getto non (più) abilitato. Insomma: non si vede perché, in una società dicui possono essere soci dei non professionisti, non possa esserlo ... un ex-professionista; a meno che, appunto, egli non abbia conferito la propriaopera professionale.Quale che sia la ratio della norma sull’esclusione, tuttavia, decisiva per

escludere l’essenzialità del conferimento d’opera nelle società tra profes-sionisti è la considerazione dell’utilizzabilità di un tipo, la s.p.a. (inclusa lavariante dell’accomandita per azioni), in cui com’è noto – per imposizionecomunitaria – il conferimento d’opera non è ammesso, sicché un’ipoteti-ca, implicita legittimazione dei conferimenti d’opera nelle società aziona-rie tra professionisti sarebbe inammissibile.Né avrebbe alcuna giustificazione una ricostruzione interpretativa che –

diversificando radicalmente il regime delle società tra professionisti nonazionarie da quello delle società tra professionisti azionarie – considerasseessenziale nelle prime quel che è vietato nelle seconde, ossia appunto ilconferimento d’opera da parte dei soci professionisti.In definitiva, dunque, la norma sull’esclusione è applicabile ai soli soci

d’opera (ove configurabili e in concreto presenti), ma da essa non può ri-cavarsi che tutti i soci debbano essere soci d’opera.Considerazioni, quelle fin qui svolte, che valgono anche con riferimento

alle società per l’esercizio della professione forense così come delineatenella legge-delega. Anche qui la sicura inclusione delle società azionariefra i tipi societari adottabili esclude che il modello « società fra avvocati »si caratterizzi per l’essenzialità del conferimento, da parte dei soci, dellapropria opera professionale; il che, mi pare, rafforza la tesi di chi pervienealla medesima conclusione a proposito delle società fra avvocati di cui ald.lgs. n. 96/01.

5. – Vengo ora alla circolazione delle partecipazioni e ad alcune (altre)ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio.Cominciando dalle società fra avvocati, le norme speciali rilevanti ai no-

stri fini sono gli artt. 21 e 22 del più volte citato decreto legislativo.La prima, dopo aver imposto che tutti i soci siano in possesso del titolo

di avvocato (art. 21, comma 1o), stabilisce che è escluso – è da intendersi:di diritto – il socio che sia stato cancellato o radiato dall’albo, mentre lasospensione dall’albo costituisce causa di esclusione facoltativa (art. 21,comma 4o; quanto alla legge-delega, la lett. f dell’art. 5, comma 2o, imponedi « stabilire che la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dal-l’albo nel quale è iscritto costituisce causa di esclusione dalla società »).La seconda stabilisce che, salvo diversa disposizione dell’atto costituti-

vo, le quote di partecipazione sono trasferibili per atto fra vivi solo con ilconsenso di tutti i soci (art. 22, comma 1o; regola, peraltro, già desumibile

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dall’art. 2252 c.c.); mentre, per il caso di morte del socio, si ricalca la di-sciplina di cui all’art. 2284 c.c. completandola con la regola secondo cuil’eventuale subentro degli eredi esige che « questi abbiano i requisiti pro-fessionali richiesti » (art. 22, comma 2o).Superando alcune oscillazioni testuali, direi che l’intero impianto nor-

mativo è volto ad esigere non solo il possesso del titolo di avvocato (comesi legge nell’art. 21, comma 1o) ma, altresì, l’iscrizione all’albo da parte ditutti i soci, come del resto è ora esplicitamente prescritto nella legge-dele-ga, la cui valenza interpretativa ho sopra sottolineato. In ciò dunque con-sistono, a ben vedere, i « requisiti professionali richiesti », la cui sopravve-nuta mancanza come si è visto provoca automaticamente l’esclusione dallasocietà; e si tratta di requisiti che certamente devono ritenersi necessarinon solo per il subentro mortis causa ma altresì per il trasferimento intervivos, malgrado il lacunoso silenzio sul punto dell’art. 22, comma 1o.Si è parlato, al riguardo, di una vera e propria condicio iuris alla quale la

legge subordina l’assunzione della qualità di socio, sia in sede di costitu-zione della società che successivamente, e il mantenimento della stessa(De Angelis); il che farebbe pensare ad una inefficacia, nei confronti del-la società, dell’atto di acquisto da parte di un soggetto non iscritto all’al-bo. Se invece si configurasse nella fattispecie un vero e proprio divieto le-gale di acquisire la qualità di socio, dovrebbe addirittura ricavarsene – purin assenza di una specifica norma in tal senso, quale ad esempio quella chesino a pochi mesi fa sanzionava nelle s.r.l. semplificate l’acquisto dellaquota da parte di un ultratrentacinquenne – la nullità per violazione diuna norma imperativa.Le cose non si pongono negli stessi termini, invece, in relazione alle al-

tre società tra professionisti. Qui, come abbiamo visto, la legittimazionea partecipare alla società non è circoscritta agli appartenenti ad una opiù determinate categorie professionali ma è in linea di principio libera(almeno se si ritiene privo di effettivo contenuto precettivo il sintagma« soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di mero investimento »che compare nell’art. 10, comma 4o, lett. b), dovendosi solo rispettareuna proporzione, fra le partecipazioni dei professionisti e quelle dei nonprofessionisti, tale da assicurare ai primi i due terzi dei voti nelle delibereo nelle decisioni dei soci. È dunque difficile pensare che tale vincolo ine-rente alla composizione della compagine sociale si traduca, per i sociprofessionisti, in un divieto di alienare la partecipazione ad un non pro-fessionista.A ben vedere nemmeno è dato individuare un « vizio » intrinseco del

singolo atto di alienazione, posto che il rispetto della proporzione di cui siè detto dipenderà dalla concreta situazione della compagine sociale inquel determinato momento e dall’eventuale concomitanza di altre aliena-zioni in un senso o nell’altro (sicché, ad esempio, la vendita da un profes-sionista a un non professionista, in ipotesi non rispettosa della proporzio-ne voluta dalla legge, potrebbe essere controbilanciata da una vendita insenso inverso; oppure due vendite entrambe « regolari » perché singolar-mente non in grado di determinare il venir meno della proporzione, po-trebbero, sommandosi, determinare il superamento del limite).Di ciò ha tenuto conto il legislatore nel sanzionare altrimenti la soprav-

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venuta « irregolarità », prevedendo da un lato la cancellazione della socie-tà dall’albo qualora entro sei mesi non sia stata ristabilita « la prevalenzadei soci professionisti » (da intendersi come rispetto del rapporto sopraindicato), dall’altro lo scioglimento della società.Da quest’ultimo angolo visuale, il venir meno della citata proporzione è

qualificato appunto come causa di scioglimento, non è ben chiaro se conefficacia immediata o pur essa differita al termine dei sei mesi (in quest’ul-timo senso Cian). In ogni caso si tratta di una « sanzione » che appare percerti versi insufficiente (dal momento che il verificarsi della causa di scio-glimento non mi pare impedisca alla società di proseguire nello svolgi-mento dell’attività professionale, pur essendo venuta meno la maggioran-za dei professionisti richiesta dalla legge, fino a che non intervenga la can-cellazione dall’albo), per altri eccessiva (posto che una modifica dell’og-getto sociale potrebbe essere sufficiente a risolvere il problema) e comun-que pericolosa per la società.Questa infatti potrebbe venire a trovarsi, per così dire, in balìa del socio

professionista che, con la vendita della partecipazione a un non professio-nista, sia da solo in grado di provocarne la messa in liquidazione; una si-tuazione dunque di perenne precarietà, anche perché, ristabilita in ipotesila proporzione voluta dalla legge con l’ingresso di uno o più professionistio con l’uscita di uno o più soci non professionisti, il ritorno alla normalitàesigerebbe una delibera di revoca dello stato di liquidazione, con diritto direcesso dei dissenzienti e diritto di opposizione dei creditori; mentre a ca-rico dell’alienante potrebbero immaginarsi, tutt’al più, conseguenze sulpiano risarcitorio.Tutto ciò mi pare ponga in primo piano l’esigenza di predisporre statu-

tariamente – nei limiti in cui la disciplina del tipo societario concretamen-te adottato lo richieda (e lo consenta) – gli strumenti idonei a evitare il ve-nir meno della maggioranza dei due terzi o a consentire di porvi rimedio.Sotto il primo profilo (quello dei rimedi ex ante) può pensarsi, ad esem-pio, a clausole di prelazione a favore dei soci professionisti oppure a clau-sole di gradimento non mero, tali da subordinare il trasferimento a favoredi non professionisti al sussistere di una determinata situazione della com-pagine sociale. Sotto il secondo (quello dei rimedi ex post) a clausole di ri-scatto a favore dei soci professionisti ovvero a clausole di esclusione a ca-rico dell’acquirente non professionista il cui acquisto abbia provocato ilvenir meno della proporzione voluta dalla legge. Ma si tratta di aspetti cheandrebbero adeguatamente approfonditi, cosa che ragioni di tempo miimpediscono di fare.

6. – « La partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipa-zione ad altra società tra professionisti »: così si legge nell’art. 10, comma6o, l. n. 183/11.La disposizione ricalca quella analoga già prevista per le società fra av-

vocati (art. 21, comma 2o, d.lgs. n. 96/01), ove il suo fondamento risiedenell’esigenza di evitare possibili conflitti d’interessi pregiudizievoli per iclienti; conflitti particolarmente evidenti, ad esempio, in caso di parteci-pazione a due società che si trovino ad assistere parti contrapposte, e lacui ricorrenza in altre professioni è, verosimilmente, assai meno frequente.

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D’altra parte la partecipazione ad una società tra professionisti – comepure la partecipazione ad una società tra avvocati – non è considerata in-compatibile con l’esercizio individuale della professione, né tale incompa-tibilità può essere implicitamente desunta dal sistema, soprattutto alla lu-ce del principio, contenuto nelle Norme generali sulle liberalizzazioni, se-condo cui « le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioniall’accesso e all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso inter-pretate ed applicate in senso tassativo » e « restrittivo » (art. 1, comma 2o,d.l. 24 gennaio 2012, n. 1). Al silenzio del legislatore speciale sul punto,dunque, non può porre rimedio l’interprete.Con riferimento alle società fra avvocati, tale silenzio è talvolta giustifi-

cato adducendo la superfluità di un’apposita disposizione per via dell’ap-plicabilità dell’art. 2301 c.c., che in via generale preclude ai soci di s.n.c.l’esercizio di un’attività concorrente con quella della società.La giustificazione (che sarebbe riproponibile solo per le società tra pro-

fessionisti costituite in forma di società in nome collettivo e in accomandi-ta semplice) tuttavia non regge, perché il divieto di concorrenza previstodalla norma codicistica tutela interessi endosocietari, come attesta la suarimovibilità previo consenso degli altri soci, mentre lo stesso non può dirsiper l’incompatibilità di cui parliamo, certamente non disponibile in quan-to volta a tutelare interessi di terzi (Marasà). Resterebbe dunque da spie-gare come mai – a parità di controindicazioni per i terzi – il divieto di eser-cizio individuale della professione possa essere eliminato col consenso de-gli altri soci; e come mai nelle società tra professionisti – sempre a paritàdi controindicazioni per i terzi – esso sussista o non sussista a seconda deltipo societario adottato.Non è chiarissimo se nelle società tra professionisti l’incompatibilità ri-

guardi anche le partecipazioni dei soci non professionisti, come peraltro iltenore testuale dell’art. 10, comma 6o, l. n. 183/11 induce a ritenere: la ra-tio, infatti, avrebbe forse giustificato soluzioni differenziate a seconda del-l’entità della partecipazione e dei diritti spettanti ai soci nei diversi tipi so-cietari (in astratto non vedendosi ragioni, ad esempio, per escludere lapossibilità, da parte di un non professionista, di acquisire per finalità d’in-vestimento esigue partecipazioni azionarie in più società professionali).Sul punto sarebbe stato auspicabile un intervento del regolamento attua-tivo che non c’è stato.Con riferimento alle società fra avvocati la disciplina legale precisa che

l’incompatibilità può essere eliminata mediante il recesso del socio (art.21, comma 3o), e da ciò può argomentarsi che l’incompatibilità non rilevasul piano dell’invalidità della partecipazione. Essa troverà invece rispostanella cancellazione dall’albo della società – o meglio, sembrerebbe, di tut-te le società alle quali lo stesso socio partecipi – per difetto sopravvenutodi un requisito in assenza di « regolarizzazione » entro tre mesi (artt. 31 e32 d.lgs. n. 96/01). Considerazioni analoghe valgono anche a propositodelle società tra professionisti, posto che la disciplina regolamentare delleincompatibilità ricalca quella appena descritta (cfr. gli artt. 6 e 11 d.m. 8febbraio 2013, n. 34).Aggiungo per completezza che fra le incompatibilità la disciplina rego-

lamentare delle società tra professionisti include anche quelli che, in real-

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tà, parrebbero qualificabili come requisiti per l’acquisto della qualità disocio da parte dei soggetti non professionisti che intendano partecipare auna società tra professionisti « per finalità di investimento » (non anche« per prestazioni tecniche »): essere in possesso dei requisiti di onorabilitàprevisti per l’iscrizione all’albo, non aver riportato condanne per determi-nati reati, non essere stati cancellati dall’albo per motivi disciplinari, ecc.(art. 6, commi 3o, 4o e 5o, d.m. n. 34/13).Un cenno, infine, al regime pubblicitario delle società tra professionisti,

che gli estensori del regolamento hanno voluto legare – ma con un filo, co-me vedremo, debolissimo – alla materia dell’incompatibilità.Va ricordato che, per le società fra avvocati, il d.lgs. n. 96/01 ha malac-

cortamente previsto l’iscrizione in una sezione speciale del registro delleimprese con effetti di semplice pubblicità-notizia, così inspiegabilmenteescludendo gli effetti dichiarativi e facendo sorgere dubbi (pur se a mioavviso superabili, come altre volte ho provato ad argomentare) circa l’ef-fetto costitutivo del grado di autonomia patrimoniale proprio delle s.n.c.iscritte secondo il codice civile.Per le società tra professionisti, viceversa, in ordine agli obblighi pubbli-

citari l’art. 10 l. n. 183/11 non ha previsto alcunché né ha demandato alregolamento di intervenire sul punto (v. infatti l’art. 10, comma 10o), sic-ché è corretto concludere – sulla base del diritto comune – che esse deb-bano iscriversi nella sezione speciale delle società semplici qualora adotti-no tale modello e nella sezione ordinaria in tutti gli altri casi.Il regolamento, tuttavia, ha stabilito che « la società tra professionisti è

iscritta nella sezione speciale » istituita dal d.lgs. n. 96/01, « con funzione(...) di pubblicità notizia » (art. 7, comma 1o); ha cioè riprodotto lo stessoregime pubblicitario già previsto nel 2001 per la società fra avvocati, vero-similmente senza avvedersi che l’iscrizione nella sezione speciale, che perle società fra avvocati è sostitutiva di quella nella sezione ordinaria, divie-ne per le società tra professionisti un’iscrizione aggiuntiva, con inutili du-plicazioni di adempimenti e di costi.Questo è stato previsto – precisa l’art. 7 d.m. n. 34/13, forse per legitti-

mare il suo intervento in una materia in cui, come ho detto, il regolamentonon era chiamato a intervenire – « ai fini della verifica dell’incompatibilitàdi cui all’art. 6 », ossia, in sostanza, al fine di accertare i casi di partecipa-zione di un professionista a più società professionali. Ma la connessionecosì instaurata, dicevo, è davvero debolissima.In primo luogo, infatti, sul piano dell’accessibilità delle informazioni la

previsione dell’iscrizione nella sezione speciale è del tutto superflua, per-ché non aggiunge nulla alla conoscibilità dei dati iscritti che è già assicu-rata dall’iscrizione prevista secondo le norme generali. In secondo luogo,se l’iscrizione nel registro delle imprese – quale che sia la sezione nellaquale essa avviene – rende sempre conoscibili i nomi dei soci fondatori(sicché può consentire di far emergere il caso di un professionista che, co-me socio fondatore, partecipi a più società professionali), lo stesso non valeper ciò che riguarda le successive variazioni della compagine sociale, po-sto che queste, come sappiamo (e come anche chi scrive le norme dovreb-be sapere), nelle società per azioni e nelle cooperative non sono soggette apubblicità; ed è lo stesso regolamento a stabilire che tali variazioni devono

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essere comunicate agli Ordini per l’annotazione negli albi professionali, enon anche al registro delle imprese (art. 9, comma 5o)!Questo criticabilissimo regime pubblicitario, dunque, non serve affatto

ad accertare eventuali incompatibilità (v. ancora Marasà), dovendo ne-cessariamente ricorrersi, a tal fine, alla consultazione degli albi professio-nali.

Nota bibliografica essenziale

Nella già copiosa letteratura successiva alla l. 12 novembre 2011, n. 183, mi li-mito a ricordare Baralis, Riflessioni sulla società fra professionisti con particolareriferimento alla professione notarile, in Giur. comm., 2012, I, p. 929 ss.; Cagnas-so, Soggetti ed oggetto della società tra professionisti, in Nuovo dir. società, 2012, n.3, p. 9 ss.; Cian, La nuova società tra professionisti. Primi interrogativi e prime ri-flessioni, in questa Rivista, 2012, p. 3 ss.; Id., Gli assetti proprietari nelle società traprofessionisti, ivi, 2013, p. 343 ss.; Fusaro, Le società per l’esercizio di attività pro-fessionali in Italia e all’estero, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2013, Suppl. n. 3, p. 69ss.; Ibba, Le società tra professionisti: ancora una falsa partenza?, in Riv. not.,2012, p. 1 ss.; Id., Liberalizzazioni, efficienza del sistema economico e qualità dellaproduzione legislativa, in Giur. comm., 2013, I, spec. p. 247 ss.; Marasà, I confinidelle società tra professionisti, in Società, 2012, p. 397 ss.; Id., L’evoluzione del re-gistro delle imprese e il regime pubblicitario delle società tra professionisti, in Nuo-vo dir. società, 2013, n. 18, p. 10 ss.; e la monografia di Bertolotti, Società traprofessionisti e società tra avvocati, Torino, 2013.Segnalo poi le altre opere cui ho fatto implicito riferimento nel corso della re-

lazione:Marasà, Oggetto e parti, in Baratta, Ficari, Ibba, Marasà, Riccardel-

li, Scognamiglio e Stella Richter, Le società di avvocati, Torino, 2002, p. 93ss.; Scognamiglio, Amministrazione e responsabilità, ivi, p. 103 ss.; Stella Ri-

chter, Costituzione, modifiche e nullità, ivi, p. 61 ss.; De Angelis, La società traavvocati: uno sguardo d’insieme, in La società tra avvocati, a cura di De Angelis,Milano, 2003, p. 29 ss.; Montagnani, Il rapporto tra la società e i soci, ivi, p. 185ss.; Montalenti, L’amministrazione della società tra avvocati, ivi, p. 165 ss.Sull’efficacia dell’iscrizione delle società fra avvocati, ex art. 16 d.lgs. 2 febbraio

2001, n. 96, nella sezione speciale del registro delle imprese mi permetto di rin-viare a Ibba, La pubblicità delle imprese2, Padova, 2012, spec. pp. 246 ss. e 337 s.

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LE S.R.L. NEL QUADRO DELLA LEGISLAZIONEDI AGEVOLAZIONE (*) [,]

diGiorgio Marasà

(Professore nell’Università di Roma Tor Vergata)

Sommario: 1. Agevolazioni in senso privatistico e in senso pubblicistico. – 2. Le coopera-tive a mutualità prevalente. – 3. Le imprese sociali. – 4. I contratti di rete. – 5. La nor-mativa di agevolazione in tema di s.r.l. nell’ultimo triennio: il trasferimento delle quotecon firma digitale. – 6. Segue: le s.r.l. start up innovative. – 7. Segue: le s.r.l. semplificatee le s.r.l. a capitale « ribassato ». – 8. Segue: considerazioni finali sul destino delle s.r.l.semplificate.

1. – Con riferimento al profluvio di interventi legislativi che investono lesocietà e le altre forme organizzative dell’impresa, si osserva, spesso, che sitratta di disciplina di agevolazione. Ma il termine « agevolazione » è ambi-guo.In senso molto generale, vi è agevolazione tutte le volte che – in vista del

conseguimento di obiettivi che sono ritenuti anche di interesse generale(come stimolare nuove iniziative economiche, salvaguardare le impresegià operanti sul mercato, favorire la competitività delle imprese, facilitarel’assunzione di determinate forme organizzative d’impresa invece di altre)– vengono dettate regole di « favore ». Queste regole possono operare sulpiano privatistico, su quello pubblicistico o su entrambi i piani.Sul versante privatistico l’intento agevolativo si traduce spesso nell’intro-

duzione di norme che fanno eccezione a regole generali o perché configu-rano fattispecie non conformi a quelle generali o perché prevedono disci-pline che derogano a quelle generali. Ne vedremo tra breve degli esempi.Sul versante pubblicistico, l’obiettivo di agevolazione si realizza nella

previsione di trattamenti di vantaggio sul piano tributario, degli oneri am-ministrativi, dell’accesso al credito e così via.Talvolta i due aspetti, privatistico e pubblicistico, coesistono in modo

chiaro mentre altre volte tendono a confondersi anche perché non sempreil legislatore dimostra di avere le idee chiare in proposito, come si consta-terà tra poco.

2. – Per esempio, la fattispecie della cooperativa a mutualità prevalente,essendo disciplinata nel codice civile, induce a pensare ad una sua rilevan-za sul piano del diritto privato ma non è così.Infatti, la cooperativa a mutualità prevalente deve sì presentare, come

(*) Rielaborazione di due interventi, rispettivamente alla Giornata di studi, Dalla s.r.l.riformata alle s.r.l. nel cantiere aperto delle riforme (2003-2013): le s.r.l. con speciale statutolegale, tenutasi ad Arce il 6 dicembre 2013, su iniziativa dei C.N. di Cassino, Frosinone,Latina, Campobasso Isernia e Larino, Viterbo e Rieti e al Seminario Le metamorfosi dellas.r.l. a dieci anni dalla riforma, tenutosi a Capua il 24 gennaio 2014 e organizzato dallaS.U.N. - Capua.

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

S.r.l. e legislazione

di agevolazione

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fattispecie, delle caratteristiche peculiari – l’operatività prevalente con i soci(ex artt. 2512 e 2513, c.c.) e la compressione statutaria del fine di lucro (exart. 2514, comma 1o) – ma si tratta caratteristiche del tutto coerenti con iconnotati delle fattispecie generale della cooperativa ex art. 2511, c.c. In-fatti, è conforme allo scopo mutualistico – che qualifica, in generale, la so-cietà cooperativa ex art. 2511 – sia la limitazione del fine di lucro (cfr. art.2545 quinquies, comma 1o) sia l’operatività con i soci (cfr. art. 2521, com-ma 2o). Pertanto, i tratti qualificanti della cooperativa a mutualità preva-lente sono particolari ma non configurano alcuna eccezione rispetto a quel-li propri della fattispecie generale.Anche sul piano della disciplina privatistica la cooperativa a mutualità

prevalente non presenta regole che fanno eccezione alla disciplina genera-le, in quanto, almeno in linea di principio, quest’ultima si applica indistin-tamente a tutte le cooperative, sia a quelle a mutualità prevalente sia allealtre.Invece, scorrendo le disposizioni di attuazione del codice civile, si sco-

pre che la disciplina delle cooperative a mutualità prevalente è di agevola-zione sul piano pubblicistico, in quanto, come è chiaramente enunciato dal-l’art. 223, comma 6o, disp. att. c.c.: « le disposizioni fiscali di carattereagevolativo previste dalle leggi speciali si applicano soltanto alle coopera-tive a mutualità prevalente ».Si tratta, dunque, di una fattispecie che, al di là della sua collocazio-

ne nel codice civile, rileva solo ai fini dell’applicazione di normativapubblicistica, cioè di regole tributarie di favore, sebbene anche tale rile-vanza tenda a ridimensionarsi, dal momento che, successivamente allariforma del diritto societario del 2003, il legislatore ha continuato a con-cedere agevolazioni fiscali anche alle cooperative non a mutualità preva-lente (1).

3. – Successivamente alla riforma del diritto societario, la casistica inter-ferente con il nostro problema si arricchisce, nell’ambito delle forme orga-nizzative dell’impresa, di altre figure, come le imprese sociali e i contratti direte.Quella delle imprese sociali ex d.lgs. n. 155/06 è una categoria che – sia

sul piano della fattispecie sia sul piano della disciplina – investe più formeorganizzative dell’impresa conosciute dal diritto privato comune, cioè siagli enti del libro I (associazioni e fondazioni) sia quelli del libro V (societàordinarie di ogni tipo e società cooperative). Tutte queste figure possonoaccedere alla qualifica di imprese sociali alla duplice condizione che« esercitino in via stabile e principale un’attività economica organizzata alfine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, di-retta a realizzare finalità di interesse generale (...) » (art. 1, comma 1o),operando in uno dei settori qualificati di utilità sociale dall’art. 2, ed esclu-dano qualsiasi forma di ripartizione, diretta o indiretta, di utili o avanzi digestione tra i partecipanti (art. 3, comma 2o) Infatti, secondo l’art. 3, com-

(1) Cfr. Marasà, L’odierno significato della mutualità prevalente nelle cooperative, inGiur. comm., 2013, I, p. 847 ss. e in Società, banca e crisi dell’impresa. Liber amicorum Pie-tro Abbadessa, Torino, 2014.

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ma 1o: « l’organizzazione che esercita un’impresa sociale destina gli utili ogli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incre-mento del patrimonio ».Le imprese costituite per realizzare le suddette finalità erano già state di-

sciplinate quasi dieci anni prima dal d.lgs. n. 460/97 in materia diO.N.L.U.S. Tuttavia, mentre la rilevanza delle O.N.L.U.S. come categoriatributaria è chiara, come risulta dalla stessa intitolazione della legge(« riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delleorganizzazioni non lucrative di utilità sociale »), leggendo il d.lgs. n. 155/06 non emerge quali benefici fiscali o di altra natura discendano dall’ac-quisizione dalla qualifica di impresa sociale, in altri termini, quali agevola-zioni pubblicistiche ne conseguano.Da tale qualifica, peraltro, derivano numerose e importanti deroghe alle

regole del diritto privato comune, deroghe che possono riguardare sia ilprofilo della fattispecie – si pensi alle società ordinarie del libro V che, perpotersi qualificare come imprese sociali, devono escludere quel fine di di-visione degli utili tra i soci che è imposto dall’art. 2247, c.c. – sia il profilodella disciplina, attraverso l’introduzione di regole che si configurano co-me eccezioni alle regole generali; si pensi alle imprese sociali in forma disocietà di persone a cui l’art. 6, comma 1o, del d.lgs. 155/06 consente difruire del regime di responsabilità limitata al solo patrimonio sociale se efino a quando il patrimonio sociale si mantenga sopra i 20.000 euro (2).Al contrario, alcune altre deroghe alla disciplina comune rappresentano

sicuramente un « costo » per i partecipanti, in quanto impongono obbli-ghi, divieti e, più in generale, vincoli che vanno ad aggiungersi a quelli de-rivanti dalla forma giuridica adottata; si pensi, per esempio, alla previsionedella forma dell’atto pubblico per la costituzione (art. 5, comma 1o), al-l’obbligo di inserire nell’atto costitutivo « la facoltà dell’istante che deiprovvedimenti di diniego di ammissione o di esclusione possa essere inve-stita l’assemblea dei soci » (art. 9, comma 2o), all’obbligo di redigere il bi-lancio sociale (art. 10, comma 2o). In altri casi, invece, la disciplina gene-rale dell’impresa sociale detta regole destinate a recedere di fronte alla di-versa disciplina specifica eventualmente prevista per la forma giuridicaadottata, risultandone così un quadro d’insieme assai disorganico e confu-so (3) e, quindi, un « costo » ulteriore in termini di incertezza sulla norma-tiva applicabile. Complessivamente e tranne, forse, la ricordata regola inpunto di responsabilità patrimoniale verso i terzi, si tratta, perciò, di unadisciplina tutt’altro che di favore, cosicché, in assenza di palpabili beneficipubblicistici, rimane oscura la motivazione che dovrebbe spingere i parte-cipanti, cioè i soci, gli associati o i cooperatori, a sottoporsi alla normativa

(2) Cfr. Cetra, Responsabilità patrimoniale e impresa sociale, in Impresa, sistema e sog-getti, Torino, 2008, p. 147 ss., ivi pp. 159, 162 ss.; Calandra Buonaura, Impresa sociale eresponsabilità limitata, in Giur. comm., 2006, I, p. 849 ss.

(3) Cfr. Buonocore, Può esistere un’impresa sociale?, in Giur. comm., 2006, I, pp. 833ss., 836, 843 s., Calandra Buonaura, op. cit., p. 854; Costi, L’impresa sociale: prime an-notazioni esegetiche, in Giur. comm., 2006, I, p. 860 ss., ivi, p. 863; Marasà, Lucro, mutua-lità e solidarietà nelle imprese. (Riflessioni sul pensiero di Giorgio Oppo), in Giur. comm.,2012, I, p. 197 ss., ivi, p. 216 ss.

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dell’impresa sociale, sopportandone i relativi costi sul piano della regola-mentazione privatistica, senza ricavarne alcun vantaggio sul piano pubbli-cistico; per di più, disponendo, sotto quest’ultimo profilo, di un’alternati-va molto più conveniente come è la O.N.L.U.S., il cui unico handicap è dinon consentire l’adozione dei tipi ordinari di società del titolo V del libroV.Dunque, stando alla lettura dell’articolato della legge, resta irrisolto il

problema dell’individuazione delle agevolazioni pubblicistiche mentre si èaperto il dibattito sull’incidenza delle deroghe privatistiche, specialmentequelle in punto di fattispecie, discutendosi, ad esempio, se l’ammissibilità,in funzione dell’acquisto della qualifica di impresa sociale, di società ordi-narie in cui il fine di lucro soggettivo è escluso, possa essere generalizzatacosì da modificare il parametro causale delle società, svincolando l’uso deitipi ordinari di società dal perseguimento di scopi economici da parte deisoci, lucrativi ex art. 2247 o consortili ex art. 2615 ter (4).

4. – Anche il contratto di rete va inserito nell’ambito della legislazione disostegno alle imprese. Lo si intuisce già dalla sua collocazione in una legge(l. 5 febbraio, 2009, n. 5) intitolata: « misure urgenti a sostegno dei settoriindustriali in crisi » ma, ancor di più, lo si ricava dall’articolato normativo,là dove estende a tali contratti talune agevolazioni – sul piano amministra-tivo, sul piano finanziario e sul piano della ricerca e dello sviluppo – previsteper i distretti produttivi (cfr. art. 3, comma 4o quinquies, l. n. 5/09 che ri-chiama le lett. b, c, d, dell’art. 1, comma 368o, della l. 23 dicembre 2005, n.266). La concessione di vantaggi anche sul piano tributario, che inizial-mente non era contemplata, è stata successivamente introdotta dall’art.42, comma 2o, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. n. 122/10, che al suc-cessivo comma 2o quater ha previsto benefici fiscali per gli imprenditoricontraenti e ciò sotto forma di sospensione della tassazione della quota diutili (accantonati in un’apposita riserva) che essi abbiano destinato al fon-do patrimoniale comune per realizzare, entro l’esercizio successivo, gli in-vestimenti previsti dal programma di rete.Diversamente da quanto si è constatato per l’impresa sociale, il legisla-

tore presenta il contratto di rete come un nuovo tipo di contratto, ascrivi-bile alla categoria codicistica dei contratti con comunione di scopo e nelquale lo scopo comune dei partecipanti, di accrescere la capacità innova-tiva e la competitività sul mercato delle proprie imprese, può realizzarsiattraverso svariate forme di collaborazione, alcune più semplici (scambio

(4) In senso affermativo cfr. Rivolta, Profili giuridici dell’impresa sociale, in Scritti giu-ridici in onore di V. Buonocore, II, Milano, 2005, p. 1587 ss., ivi, p. 1601 ss.; Ginevra,L’utilità sociale dell’impresa. Profili sistematici della disciplina dell’« impresa sociale », inMercato e non profit, Pesaro, p. 65 ss., ivi, p. 81 ss.; in senso contrario, negano la possibilitàdi trarre dalla disciplina dell’impresa sociali conclusioni generali di ordine sistematico,Campobasso, Diritto commerciale, Diritto delle società8, Torino, 2012, p. 31; Cetra, op.cit., p. 148, testo e nt. 2; Marasà, La s.p.a. nel quadro dei fenomeni associativi e i limiti le-gali alla sua utilizzazione, in Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010,I, p. 141 ss., ivi, p. 153; cfr. pure M. Cian, La società come struttura organizzativa per l’eser-cizio di attività produttive, in Diritto commerciale, a cura di M. Cian, II, Torino, 2013, p. 49s.

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di informazioni o di prestazioni di natura industriale, commerciale, tecni-ca o tecnologica), altre più complesse e stringenti e può prevedere anchel’esercizio in comune di una o più attività economiche.Appaiono, quindi, evidenti le analogie con le due specie di consorzi di-

sciplinati nel codice civile – quelli interni e quelli con attività esterna –analogie che investono sia i connotati organizzativi e funzionali della fatti-specie (organo comune, scopo-mezzo e scopo-fine) sia la disciplina, comerivela anche l’esplicito richiamo a talune disposizioni in materia di consor-zi con attività esterna (artt. 2614, 2615, comma 1o e 2615 bis, comma3o) (5).Peraltro, fattispecie e disciplina del contratto di rete hanno subito una

tale sequela di modifiche (con le leggi 23 luglio 2009, n. 99, 30 luglio2010, n. 12, 7 agosto 2012, n. 134, 17 dicembre 2012, n. 221) che attual-mente la decrittazione di questa figura si presenta ancor più problematicadi quanto non fosse già apparsa all’inizio.Con riferimento a quanto qui interessa maggiormente mi limito a con-

statare che, mentre nella penultima versione (l. 7 agosto 2012, n. 134) lasoggettività giuridica veniva attribuita per legge – a seguito dell’iscrizionedel contratto nel registro delle imprese del luogo in cui la rete stabiliva lasua sede (cfr. comma 4o ter, n. 1 in relazione al comma 4o quater, ultimaparte) – a tutti i contratti di rete con attività esterna, cioè a tutti quelli cheprevedono l’istituzione di un fondo comune e di un organo comune desti-nato allo svolgimento di un’attività con i terzi, nell’ultima versione (l. 17dicembre 2012, n. 221), invece, l’acquisto della soggettività giuridica è di-ventato facoltativo. Infatti, il comma 4o ter, terza proposizione, recita ora:« il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimonialenon è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stes-sa ai sensi del comma 4o quater, ultima parte ».Si configurano così tre eventualità che, richiamando la terminologia del

codice in materia di consorzi, potremmo classificare, rispettivamente, co-me: contratti di rete meramente interni, contratti di rete con attività ester-na senza soggettività giuridica e contratti di rete con attività esterna consoggettività giuridica; l’alternativa tra la collocazione nella seconda o nellaterza sottocategoria non dipende, però, da differenti connotati della fatti-specie ma solo dalla volontà dei contraenti di sottoporsi o meno al regime

(5) Sulla controversa qualificazione dei contratti di rete e sul loro rapporto con i consor-zi cfr., fra i molti, Aa.Vv., Il contratto di rete, Commentario, a cura di F. Cafaggi, Bologna,2009; Mosco, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. comm., 2010, I, p. 839ss.; Marasà, Contratti di rete e consorzi, in Corriere del merito, Rassegna 1/2010, p. 9 ss.;Santagata, Il « contratto di rete » fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv.dir. civ., 2011, p. 323 ss.; Pisani Massamormile, Profili civilistici del contratto di rete, inRiv. dir. priv., 2012, p. 363 ss.; Gius. Doria, Gestione rappresentativa e gestione associativanella rete di imprese, Torino, 2012; De Cicco, Organizzazioni imprenditoriali non societa-rie e responsabilità, Napoli, 2012; Sciuto, Imputazione e responsabilità nelle « reti di im-prese » non entificate (ovvero del patrimonio separato incapiente), in Riv. dir comm., 2012, I,p. 445 ss.; Serra, Contratto di rete e soggettività giuridica; Palmieri, Reti associative e for-ma societaria. Nella manualistica più recente Campobasso, Diritto commerciale, 1, Dirittodell’impresa7, Torino, 2013, p. 297 ss.; Santagata, in Aa.Vv., Diritto commerciale, a curadi M. Cian, I, Torino, 2013, p. 294 ss.

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derivante dall’attribuzione della soggettività giuridica. Tuttavia, in cosaconsista questo regime non è molto chiaro.Comunque, l’obiettivo perseguito dal legislatore con quest’ultima modi-

fica è stato, a mio parere, quello di agevolare maggiormente le reti senzasoggettività giuridica; non è un caso che, secondo dati delle C.c.i.a. al 17ottobre 2013, dei 1167 contratti di rete solo 50 abbiano optato per la sog-gettività giuridica: evidentemente, nella stragrande maggioranza dei casi,gli imprenditori che costituiscono un contratto di rete con attività esternapreferiscono « sottrarsi » alle conseguenze che derivano dalla soggettivitàsia sul piano tributario sia anche sul piano della potenziale applicazione del-la disciplina comunitaria che vieta gli aiuti di Stato.Infatti, per quanto riguarda il trattamento tributario, le conseguenze ne-

gative per i contratti di rete che si avvalgono della facoltà di acquistare lasoggettività giuridica sono due: la prima è di essere qualificati come sog-getti autonomi d’imposta, alla stessa stregua dei consorzi con attivitàesterna (art. 73, comma 2o, t.u.i.r.) e diversamente dai contratti di rete conattività esterna privi di soggettività; la seconda è di non poter fruire del-l’agevolazione fiscale, prevista dall’art. 42, comma 2o quater, d.l. n. 78/10,agevolazione che, secondo l’Agenzia delle Entrate (circ. 20/E del 18 giu-gno 2013), spetta solo ai partecipanti ai contratti di rete senza soggettivitàgiuridica.Per quanto concerne, poi, la compatibilità di tale agevolazione con la di-

sciplina comunitaria che vieta gli aiuti di Stato, va ricordato che la Com-missione europea, con decisione anteriore alle ultime modifiche legislati-ve, aveva escluso che essa potesse incappare nel divieto, anche perché, co-me si legge al punto 30 della decisione (26 gennaio 2011), le autorità ita-liane avevano chiarito che i contratti di rete non potevano essere conside-rati entità distinte dagli imprenditori che vi partecipano; argomento, que-st’ultimo, che, evidentemente, non potrebbe più essere invocato qualora ilcontratto di rete acquisisca la soggettività giuridica.Sottrarsi alla soggettività giuridica comporta, quindi, a parità di fattispe-

cie, un trattamento più favorevole e ciò, probabilmente, non solo sul pianodella disciplina pubblicistica, secondo quanto si è finora accertato, ma an-che su quello privatistico. Infatti, l’unica apprezzabile differenza di disci-plina che sembra emergere sul versante privatistico tra contratti di retecon e senza soggettività è che – almeno con riguardo a certi rapporti con iterzi (di cui all’art. 3, comma 4o ter, lett. e) – nei primi l’organo comuneagisce in rappresentanza della rete come soggetto mentre nei secondi agi-sce in rappresentanza dei singoli imprenditori partecipanti. Ne consegueche, essendo in entrambe le eventualità, cioè a prescindere dal consegui-mento o meno della soggettività, il fondo comune il solo responsabile« per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al pro-gramma di rete » (art. 3, comma 4o ter, n. 2), in caso di assenza di sogget-tività i terzi sono ancor meno tutelati che nel caso opposto, dal momentoche l’attività rappresentativa dell’organo comune, producendo effetti soloin capo ai singoli imprenditori partecipanti, non potrà determinare l’ac-quisto di alcun bene o diritto in capo al fondo comune; fondo la cui con-sistenza dipenderà, quindi, esclusivamente dai contributi dei partecipanti.In definitiva, il solo apprezzabile vantaggio per gli imprenditori che op-

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tino per la soggettività del contratto di rete sembra essere sul piano dellasemplificazione delle modalità pubblicitarie del contratto; infatti, ci si puòesimere dal regime pubblicitario « frammentato », previsto per le reti sen-za soggettività – regime che comporta una pluralità di iscrizioni nel regi-stro delle imprese, cioè tante per quanti sono gli imprenditori partecipantiex art. 3, comma 4o quater, primo periodo – sostituendolo con un regime« unificato », cioè con l’iscrizione del contratto soltanto « nella sezione or-dinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la suasede » (art. 3, comma 4o quater) (6).

5. – Venendo finalmente alle s.r.l., negli ultimi tre anni vi sono stati nu-merosi interventi legislativi interferenti con la problematica delle agevola-zioni.Fra le disposizioni sparse si può ricordare, ad esempio, quella della leg-

ge di stabilità del 2012 (l. 12 novembre 2011, n. 183) in materia di trasfe-rimento delle quote, contenente l’interpretazione autentica di una normadel 2008 che tendeva ad agevolare l’atto di trasferimento stabilendo cheesso potesse essere sottoscritto con firma digitale (art. 36, comma 1o bis,d.l. 25 giugno 2008, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133). Non era, però, chia-ro se fosse richiesto comunque l’intervento del notaio in funzione autenti-cante (7).Il dubbio è stato, ora, sciolto, prevedendosi che non è necessaria la fir-

ma digitale autenticata (ex art. 25 del codice dell’amministrazione digita-le) ma è sufficiente quella semplice (ex art. 24). Ciò è quanto stabilisce, siapure con le consuete contorsioni linguistiche, l’art. 14, comma 8o della l.12 novembre 2011, n. 183: « Il comma 1o bis dell’art. 36 del d.l. 25 giugno2008, n. 112, convertito, con modificazioni dalla l. 6 agosto 2008, n. 133,deve intendersi nel senso che l’atto di trasferimento delle partecipazioni disocietà a responsabilità limitata ivi disciplinato è in deroga al comma 2o

dell’art. 2470 del codice civile ed è sottoscritto con la firma digitale di cuiall’art. 24 del codice di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 ». A parte il« trionfo » del « di cui », tipico del « burocratese », si tratta di un’agevo-lazione valevole solo per gli atti in forma digitale e funzionale alla sempli-ficazione della circolazione e al risparmio dei relativi costi; obiettivi, que-sti, che, nella valutazione del legislatore, sono stati anteposti a quello dellasicurezza, garantito, invece, dall’autentica notarile.

(6) Soluzione non pacifica. Per il regime di pubblicità unificato v. Maltoni, La pubbli-cità del contratto di rete: questioni applicative, in Studi e materiali del Consiglio nazionaledel notariato, 2/2013, p. 455 ss., ivi, p. 458 ss.; in senso contrario v. Campobasso, Dirittocommerciale, 1, Diritto dell’impresa, cit., p. 298.

(7) In senso affermativo, Maccarone-Petrelli, La cessione di quote di s.r.l. dopo laconversione del d.l. n. 12 del 2008, in Notariato, 2008, p. 533; Spada, Una <postilla> intema di cessione delle quote con firma digitale, ibidem, p. 538 ss.; Marasà, Soppressio-ne del libro soci nella s.r.l. e sue conseguenze, in Riv. dir. civ., 2009, II, p. 647 ss., ivi, p.651; Trib. Vicenza 17 aprile 2009, in Società, 2009, p. 738 ss.; Trib. Milano 29 giugno2009, in Riv. not., 2010, p. 202; in senso negativo, Donativi, Il trasferimento delle quotedi s.r.l. con firma digitale, alla luce delle recenti novità legislative, in Società, 2009, p. 410ss.

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6. – Per quanto riguarda la normativa che investe nel suo complesso las.r.l. come forma organizzativa d’impresa, vengono in considerazione lestart up innovative (artt. 25 ss., l. 12 ottobre 2012, n. 179) e le s.r.l. sempli-ficate.Per la verità, quella delle start up innovative è una categoria che abbrac-

cia più tipi societari, includendo non solo le s.r.l. (anche semplificate) maanche le s.p.a., le cooperative e le società europee (art. 25, comma 2o, l. n.179/12). Sotto questo profilo, sono, perciò, evidenti le analogie con la ca-tegoria delle imprese sociali che, come abbiamo verificato, abbraccia an-ch’essa più forme organizzative d’impresa.Benché la disciplina delle start up non riguardi solo le s.r.l., il legislatore

ha immaginato che sarebbero state principalmente queste società ad uti-lizzarla, come si può desumere dalla circostanza che le eccezioni al dirittosocietario comune che discendono dall’acquisizione della qualifica di startup innovativa investono tutte, tranne una, la normativa della s.r.l. [Cfr.l’art. 26 della legge dove si consente: a) la possibilità di discriminare i di-ritti dei soci sulla base dell’introduzione di categorie di quote, in derogaall’art. 2468, comma 2o e 3o, anche privandole del diritto di voto, in dero-ga all’art. 2479, comma 5o (cfr. comma 2o e 3o dell’art. 26); b) la possibi-lità che le quote siano oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari,in deroga all’art. 2468., comma 1o (cfr. comma 5o dell’art. 26); c) l’esenzio-ne dal divieto di operazioni sulle proprie quote, in deroga all’art. 2474(cfr. comma 6o dell’art. 26); d) la possibilità di emettere strumenti finan-ziari (cfr. comma 7o dell’art. 26)]. In effetti, le prime verifiche sembranoconfermare l’intuizione del legislatore, dal momento che la maggior partedelle start up sono state costituite in forma di s.r.l.: al primo luglio 2013 su937 start up 904 erano s.r.l., cioè oltre il 95%. Riguarda, invece, tutte le so-cietà di capitali la regola che differisce al secondo esercizio successivo aquello in cui si è verificata la perdita superiore ad un terzo del capitale iltermine entro cui essa deve essere ripianata e all’esercizio successivo, se laperdita ha intaccato il capitale minimo (cfr. art. 26, comma 1o) (8).L’accesso alla qualifica di start up è condizionato alla sussistenza in capo

alla società di una serie di requisiti sia statutari (per esempio, un oggettosociale, esclusivo o prevalente, consistente nella produzione e commercia-lizzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico) sia difatto (per esempio, avere iniziato l’attività d’impresa da non più di qua-rantotto mesi).Tali requisiti, diversamente da quanto si è visto accadere per l’impresa

sociale, non sollevano, a mio parere, il problema della deroga al diritto so-cietario comune per quanto riguarda i connotati generali della fattispeciesocietaria ex art. 2247 e, in particolare, lo scopo di lucro soggettivo, cioè ilfine della divisione degli utili tra i soci. Vero è, infatti, che tra i requisiti difatto che la società deve osservare per poter accedere alla qualifica di startup e per poterla mantenere vi è, tra gli altri, quello di non distribuire e di

(8) Per condivisibili osservazioni critiche su quest’ultima regola cfr. Cagnasso, Note intema di start up innovative, riduzione del capitale e stato di crisi. Dalla « nuova » alla « nuo-vissima » s.r.l., Scritto presentato al V Convegno annuale dell’Associazione Orizzonti delDiritto commerciale, Roma 21-22 febbraio 2014, in Nuovo dir. soc., 5/2014, p. 7 ss.

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non aver distribuito utili (art. 25, comma 2o, lett. e) (9), ma il vincolo ètransitorio, nel senso che vale solo per il periodo massimo di quattro anniper il quale è possibile usufruire della qualifica (art. 31, comma 4o, l. n.179/12) e, soprattutto, non implica che gli utili debbano essere destinatialtruisticamente, cosicché, una volta cessata la qualifica transitoria di startup, la società (se s.r.l. o s.p.a.) potrà distribuire tra i soci tutti gli utili, an-che quelli eventualmente accantonati in regime di start up; conclusioneche, ovviamente non vale qualora la società start up sia essa stessa un’im-presa sociale (come ipotizzato dall’art. 25, comma 4o), che, in quanto tale,si caratterizza, come si è visto, per l’assenza del fine di lucro soggetti-vo (10).Una volta verificata la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 25 della

legge – il che avviene attraverso un procedimento che si conclude con unaseconda iscrizione in una sezione speciale del Registro delle imprese (cfr.comma 8o e ss. dell’art. 25) (11) – la società otterrà la qualifica di start upinnovativa e ciò le consentirà di usufruire, per un periodo massimo di quat-tro anni, di una disciplina agevolata sia sul piano privatistico sia su quellopubblicistico. Infatti, oltre alle già ricordate deroghe al diritto societariocomune, ne sono previste altre in materia di diritto finanziario (art. 30), didiritto del lavoro (artt. 27 bis e 28), nonché agevolazioni camerali (art. 26,comma 8o) e tributarie (artt. 27 e 29).

7. – Ma il caso più interessante da esaminare con riferimento alla tema-tica della normativa di agevolazione nella sua duplice accezione è, a mioparere, quello della s.r.l. semplificata e ciò in quanto nel breve volgere dipoco più di un anno e mezzo, dal gennaio 2012 all’agosto del 2013, questa« variante » di s.r.l. ha conosciuto più versioni, all’interno delle quali l’in-tento agevolativo del legislatore ha assunto significati via via diversi, nelquadro di quella suddivisione tra agevolazioni in senso privatistico e age-volazioni in senso pubblicistico che si è prospettata all’inizio.L’evoluzione normativa al riguardo si può scandire in quattro fasi tem-

porali.a) Nella prima fase (d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in l. 24 marzo

2012, n. 27 che ha introdotto nel c.c. l’art. 2463 bis) i due profili (agevola-zione privatistica e pubblicistica) si cumulavano ed erano collegati.Quanto all’agevolazione privatistica, infatti, alle persone fisiche di età

non superiore ai trentacinque anni era consentito accedere al regime di ir-responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali pur in assenza del capi-tale minimo di 10.000 euro richiesto dalla disciplina di diritto comune,cioè da quella delle s.r.l. ordinarie (cfr. art. 2463 bis che fissa il capitale

(9) Nel senso che si tratta di un requisito di fatto che dovrà essere attestato dagli ammi-nistratori (per far conseguire alla società la qualifica di start up, tramite il secondo adempi-mento pubblicitario di cui al testo) cfr. Maltoni e Spada, L’impresa start up innovativacostituita in società a responsabilità limitata, in Riv. not., 2013, I, p. 1113 ss., ivi, p. 1117.

(10) Cfr. Maltoni e Spada, op. cit., p. 1115.(11) Cfr. Marasà, Considerazioni sulle nuove s.r.l.: s.r.l. semplificate, s.r.l. ordinarie e

start up innovative prima e dopo la l. n. 99/2013 di conversione del d.l. n. 76/2013, in Socie-tà, 2013, p. 1086 ss., ivi, p. 1094.

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della s.r.l. semplificata tra 1 e 9999 euro). L’accesso a questa « variante »di s.r.l. richiedeva che: a) i conferimenti fossero tutti in denaro e intera-mente versati al momento della costituzione; b) gli amministratori fosserosoci; c) l’atto costitutivo fosse redatto in conformità ad un modello mini-steriale standardizzato (12). Il rispetto di quest’ultimo requisito era, ed ètuttora, previsto come presupposto per poter fruire anche delle ulterioriagevolazioni concesse per la costituzione della s.r.l. semplificata. Infatti,« l’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle imprese sono esenti dadiritti di bollo e di segreteria e non sono dovuti gli onorari notarili » (cosìl’art. 3, comma 3o, d.l. n. 1/12). In questo senso all’agevolazione privatisti-ca – della deroga alla regola del capitale minimo di 10.000, imposto alle s.r.l.ordinarie – si collegavano e si cumulavano quelle pubblicistiche (13).b) Successivamente (con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7agosto

2012, n. 134) alla s.r.l. semplificata è stata affiancata una variante per cosidire « parallela », la s.r.l. a capitale ridotto, aperta a tutte le persone fisi-che, senza limite di età e che fruiva della stessa agevolazione privatisticadella s.r.l. semplificata (capitale da 1 a 9999 euro) ma non delle agevola-zioni di altra natura, cioè dei risparmi fiscali, camerali e notarili, previstiper la costituzione della s.r.l. semplificata; d’altra parte, non era soggetta,diversamente dalla s.r.l. semplificata, ad alcun limite di autonomia privatain fase di costituzione.c) Nella terza fase (d.l. 28 giugno 2013, n. 76) si è realizzata una sorta di

« fusione » tra la s.r.l. semplificata e la s.r.l. a capitale ridotto, per effettodella quale le s.r.l. a capitale ridotto sono scomparse (art. 9, comma 13o) equelle esistenti sono state riqualificate come s.r.l. semplificate (art. 9, com-ma 14o) ma sono state queste ultime, cioè le s.r.l. semplificate, ad assume-re le caratteristiche delle prime perché è caduto il vincolo anagrafico del-l’età non superiore a 35 anni per i soci (e la correlata regola del divieto ditrasferimento agli over 35) e non è più imposto che gli amministratori sia-no soci. Dal nostro punto di vista, l’effetto di tali modifiche è che le agevo-lazioni non privatistiche, previste per la fase della costituzione, sono stateestese gli over 35.d) E veniamo all’ultimo periodo, cioè all’esame del quadro normativo

attuale (risultante dalle modifiche introdotte dalla l. 9 agosto 2013, n. 99,di conversione del d.l. n. 76/13), nel quale l’agevolazione privatistica è sta-ta, in sostanza, vanificata.

(12) Nel senso che la s.r.l. semplificata si configura come mera variante di s.r.l. e non co-me distinto tipo di società cfr. M. Cian, Una nuova geometria del sistema o un sistema di-sarticolato?, in Riv. società, 2012, p. 1101 ss., ivi, p. 1104 ss.; M. Rescigno, La società a re-sponsabilità limitata e a capitale ridotto (art. 2463 bis c.c.; art. 44 d.l. n. 83/2012; d.m. Giu-stizia, n. 138), in questa Rivista, 2013, p. 65 ss., ivi, p. 68 ss.; Gius. Ferri, jr., Prime osser-vazioni in tema di società a responsabilità limitata semplificata e di società a responsabilitàlimitata a capitale ridotto, in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 135 ss., ivi, p. 140 ss.; con riferi-mento al quadro normativo attuale, cioè successivo alla l. n. 99/13, Spolidoro, Una socie-tà a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), in Riv. società, 2013, p. 1085 ss., ivi,p. 1107 ss.; Gius. Ferri, jr., Recenti novità legislative in materia di società a responsabilitàlimitata, in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 415 ss., ivi, pp. 419 e 423.

(13) Sottolinea il carattere di « beneficio » della disciplina della s.r.l. semplificata Gius.Ferri jr., Recenti novità legislative, cit., pp. 141 s. e 146.

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Infatti, dall’integrazione dell’art. 2463, c.c. (art. 9, comma 15o ter, l. n.99/13) deriva che anche la s.r.l. ordinaria può costituirsi con un capitalesociale inferiore a 10.000 euro (con conferimenti esclusivamente in dena-ro e da versare per intero). Dunque, questa disciplina non si può più consi-derare come un’agevolazione sul piano privatistico. La variante della s.r.l.semplificata perde, quindi, buona parte della sua ragion d’essere sul pianodel diritto privato e la sua disciplina tende ad assimilarsi a quella dellas.r.l. ordinaria. Tale conclusione è rafforzata dal rilievo che la regola delnuovo art. 2463 – là dove impone la formazione di una riserva legale « ac-celerata » per la s.r.l. ordinaria costituita con un capitale sociale inferiore a10.000 euro – deve ritenersi applicabile anche alla s.r.l. semplificata, sullabase del criterio della compatibilità ex art. 2463 bis, ult. comma, c.c. (14).Il senso residuo del mantenimento della variante della s.r.l. semplificata,

pur dopo le modifiche alla disciplina della s.r.l. ordinaria introdotte dallal. n. 99/13, sta dunque nella possibilità, concessa alle sole persone fisichedi qualunque età – ove siano disposte ad accettare il vincolo all’autonomiaprivata che deriva dal rispetto dello statuto tipizzato dal ministero – di po-ter fruire dei risparmi notarili, fiscali e camerali previsti per il procedi-mento costitutivo dall’art. 3. comma 3o, d.l. n. 1/12 (15).La s.r.l. semplificata, quindi, non è più una forma organizzativa agevola-

ta su entrambi i piani, privatistico e pubblicistico, come lo era inizialmen-te, in quanto l’agevolazione privatistica non può più considerarsi tale do-po che a tutte le s.r.l. è stato consentito di potersi costituire con un capi-tale sociale inferiore a 10.000 euro. In altre parole, la s.r.l. semplificata èuna « variante » che corre parallela alla s.r.l. ordinaria a capitale « ribassa-to » e che i soci hanno ragione di percorrere solo se sono disposti a scam-biare una riduzione della propria autonomia statutaria – più o meno signi-ficativa a seconda dell’interpretazione che si voglia dare alla disposizionesecondo cui: « le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili »(cfr. nuovo art. 2463 bis, comma 3o, introdotto dall’art. 9, comma 13o, l. n.99/13) – con i surricordati risparmi di spesa nella fase della costituzione,cioè con agevolazioni che non si configurano come deroghe al regime didiritto comune delle s.r.l.

8. – In altri termini, la compressione dell’autonomia statutaria è il« prezzo » da pagare per poter usufruire delle suddette agevolazioni ed èchiaro, quindi, che quanto più alto è il prezzo tanto minore risulterà l’ap-petibilità della variante s.r.l. semplificata. È questo lo scenario che si vadelineando e che, a mio parere, finirà per determinare la progressiva mar-ginalizzazione della s.r.l. semplificata rispetto alla sua alternativa, cioè allas.r.l. ordinaria a capitale « ribassato ».A questo pronostico inducono almeno due considerazioni: per un verso,

(14) In tal senso cfr. Marasà, Considerazioni sulle nuove s.r.l., cit., pp. 1091-1092;Spolidoro, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), cit., pp.1095, 1103; Rescio, Le s.r.l. con capitale ridotto (semplificate e non semplificate), in Liberamicorum Pietro Abbadessa, cit.; Gius. Ferri jr., Recenti novità legislative, cit., p. 421ss.

(15) Nello stesso senso Gius. Ferri jr., op. ult. cit., pp. 421-423.

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il modello ministeriale standard – che, essendo stato predisposto nel vigo-re della disciplina originaria della s.r.l. semplificata, impone vincoli ormaisuperati dalla successiva evoluzione legislativa – non è ancora stato aggior-nato, creando così una situazione di incertezza nei potenziali fruitori dellas.r.l. semplificata e nel ceto notarile, già di per sé non particolarmente en-tusiasta di dover prestare gratuitamente la propria opera; per altro verso,il Ministero dello Sviluppo economico, in risposta ad un quesito posto dauno studio professionale, ha recentemente diffuso un parere (prot. 6404del 15 gennaio 2014), secondo il quale qualsiasi intervento dell’autonomiastatutaria in sede di costituzione della s.r.l. semplificata sarebbe contrarioalla regola – sancita dal novellato art. 2463 bis, comma 3o – dell’inderoga-bilità delle clausole del modello standard e ciò anche quando tali clausolenon siano state alterate ma integrate da scelte, consentite dalla disciplinacomune delle s.r.l. (16).Questa posizione non può essere condivisa per almeno tre ragioni: anzi-

tutto perché contraria alla lettera della legge che fa riferimento alle soleclausole dello statuto tipizzato e, nell’ult. comma dell’art. 2463 bis, richia-ma per la s.r.l. semplificata la disciplina della s.r.l. ordinaria nei limiti dellacompatibilità; poi, perché l’autonomia statutaria costituisce uno dei prin-cipi generali in materia di s.r.l., come si ricava dall’art. 3, comma 1o, lett.b, della legge delega per la riforma del diritto societario (l. n. 366/01) e,quindi, se ne deve tenere conto in sede di interpretazione (17); infine, per-ché una regola generale in materia di interpretazione, contenuta nellostesso d.l. n. 1/12 che ha introdotto nel nostro ordinamento la s.r.l. sem-plificata, impone l’interpretazione restrittiva di tutte le disposizioni recan-ti restrizioni, oneri o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività eco-nomiche e tale si deve ritenere, a mio parere, la disposizione dell’art. 2463bis, comma 3o.Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’obiettivo dichiarato a suo tempo

dal legislatore per giustificare l’introduzione della s.r.l. semplificata eraquello di favorire l’avvio di nuove iniziative economiche da parte dei gio-vani e l’odierno orientamento ministeriale, prospettando una radicale li-mitazione dell’autonomia statutaria, non sembra coerente con la ratio legisin quanto certamente non incoraggia l’uso della variante s.r.l. semplificata.In realtà, sembrano ormai venire al pettine i difetti dell’attuale discipli-

na. Infatti, il legislatore del 2013, una volta autorizzata la possibilità delcapitale « ribassato » anche per la s.r.l. ordinaria, avrebbe dovuto chieder-si se fosse indispensabile salvare la s.r.l. semplificata o non fosse, invece,preferibile, raggiungere i medesimi obiettivi, cioè conseguire risultati so-stanzialmente analoghi sul piano normativo, con qualche semplice ritoccoalla disciplina delle ordinarie s.r.l. Infatti, con riferimento alle agevolazio-ni ancora mantenute per le s.r.l. semplificate, sarebbe stato, a mio parere,molto più lineare – una volta preso atto del superamento delle ragioni che,a suo tempo, avevano suggerito l’introduzione delle s.r.l. semplificate,

(16) In senso contrario a tale opinione e, quindi, per un ridimensionamento della porta-ta della disposizione dell’art. 2463 bis, comma 3o, Rescio, op. cit.

(17) Per la rilevanza dei principi della legge delega sul piano interpretativo cfr. Zanaro-ne, Società a responsabilità limitata, in Comm. Schlesinger, Milano, 2010, p. 9.

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(cioè, favorire le iniziative imprenditoriali dei soli under 35, consentendoloro di accedere al regime di responsabilità limitata delle s.r.l., pur non di-sponendo del normale capitale minimo di 10.000 euro) – abrogare la s.r.l.semplificata, consentendo alla nuova s.r.l. ordinaria a capitale « ribassa-to », se costituita da sole persone fisiche, di fruire delle agevolazioni fiscali ecamerali per la fase della costituzione e, se conforme anche allo statuto mi-nisteriale tipizzato (opportunamente aggiornato), di beneficiare dell’esen-zione dagli onorari notarili.Quest’ultima soluzione, cioè la scissione delle agevolazioni fiscali e ca-

merali da quelle sul versante notarile, avrebbe eliminato l’altro difetto ori-ginario della disciplina in esame: avere previsto per i soci delle s.r.l. sem-plificate benefici che gravano in parte a carico della collettività, in parte acarico di una categoria di professionisti, i notai, a cui viene imposta la ri-nunzia agli onorari per il rogito dell’atto costitutivo (18). Il beneficio suquesto secondo versante, ma solo questo, si giustifica in funzione dell’ado-zione del modello standard e, quindi, della modestia della prestazione for-nita dal notaio rogante. Avere collegato tale beneficio agli altri non sem-bra, invece, scelta razionale: perché mai, se le parti necessitano di una pre-stazione notarile più complessa per integrare la scarna disciplina ministe-riale, devono perdere anche le agevolazioni fiscali e camerali?In altri termini, se l’obiettivo del legislatore è di stimolare nuove inizia-

tive economiche da parte di persone fisiche e, in funzione di questo inte-resse generale, si concede a loro (non solo di accedere al regime di respon-sabilità limitata delle s.r.l. pur se prive dell’ordinario capitale minimo maanche) di fruire di agevolazioni fiscali e camerali, perché queste agevola-zioni, per quanto economicamente modeste, debbono venire meno soloperché i soci desiderano sfruttare gli spazi di autonomia che sono propridel tipo societario utilizzato ?Il futuro ci dirà se il legislatore si farà carico di questo problema oppure

se, rimanendo inalterato il quadro normativo e ministeriale, le s.r.l. sem-plificate saranno di fatto abbandonate al loro destino dalla convergenteostilità della burocrazia ministeriale e del ceto notarile.

(18) In senso critico su tale scelta legislativa Spolidoro, op. cit., p. 1097.

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TUTELA PER EQUIVALENTEDI UN CONTRATTO ANNULLABILE

E PRINCIPIO DI EFFETTIVITÀ:APPUNTI PER UNO STUDIO [,]

diStefano Pagliantini

(Professore nell’Università di Siena)

Sommario: 1. Prologo. – 2. Cass. n. 20260/2006 e l’eredità sviante della natura bicefaladel dolo. – 3. La tutela risarcitoria di un contratto annullabile come rimedio infungibileper un’impossibilità della restitutio in integrum: il principio di effettività ed un abbozzodi possibile casistica. – 4. Annullamento v. tutela per equivalente e le suggestioni di unmodello francese (in movimento). Un risarcimento a prescindere? – 5. Segue: il risarci-mento come double peine. – 6. Per un risarcimento sostitutivo a maglie strette. – 7. Di-retta esperibilità del rimedio risarcitorio ed espressa previsione di legge: l’equivoco sul-l’art. 30 c.p.a. – 8. Segue: ...e l’interpretazione sistematicamente corretta dell’art. 2377,commi 2o e 4o, c.c. – 9. Il caso del recesso datoriale illegittimo e la fattispecie dell’art. 55CESL. – 10. Epilogo.

1. – Danno da reato, si è avuto modo di scrivere altrove (1): Cir ha dirit-to al risarcimento dei danni perché Fininvest, corrompendo il giudice cheaveva reso possibile la rescissione del lodo Pratis, è riuscita a negoziareuna transazione a condizioni artatamente vantaggiose. Questa transazioneperò, come già si è sostenuto, era annullabile per dolo di una Fininvest re-sasi artefice di una condotta criminosa deliberatamente volta alla contraf-fazione delle condizioni prodromiche ad un accordo transattivo, non a ca-so poi perfezionatosi in un modo alquanto pregiudizievole per Cir (2). E,se non si rinviene un animus decipiendi in una macchinazione diacronica-mente finalizzata a falsare proprio il fondamento della successiva transa-

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Sia consentito il rinvio a Pagliantini, Il danno (da reato) ed il concetto di differenzapatrimoniale nel caso CIR-Fininvest: una prima lettura di Cass. n. 21255/2013, in Contratti,2014, p. 113 ss., spec. p. 115 s. Per un precedente (misconosciuto) che poteva tornare utilev. Cass. 11 febbraio 1995, n. 1540, in Foro amm., 1995, p. 1822, ove la testuale notazioneche, quando il danno deriva da un reato, l’ingiustizia è in re ipsa e non v’è bisogno che siaricollegata alla lesione di un diritto soggettivo. Per inciso, la rilevanza primaria dell’art. 185c.p., senza il medio cioè dell’art. 2043, è motivata con l’argomento letterale che l’art. 185c.p. rinvia alle leggi civili – comma 1o – soltanto per le restituzioni e l’individuazione deisoggetti responsabili, a fronte di un comma 2o che contempla incondizionatamente un ri-sarcimento del danno, patrimoniale e non, quando origini da un reato. Se così non fosse,prosegue la Corte con un argomentare lineare, « non si spiegherebbe come mai il legisla-tore abbia sdoppiato la formulazione dell’art. 185 c.p. in due distinti commi, (concernentil’uno le restituzioni e l’altro il risarcimento) e rinviato, in linea generale, alla disciplina del-le leggi civili solo in relazione alle prime, quando, invece, sarebbe stato certamente piùsemplice riferire, con un’unica proposizione, tale rinvio sia alle restituzioni che al risarcimen-to del danno » (c.vo aggiunto).

(2) Nel senso del testo, seppur col medio del canone fraus omnia corrompit, Palmieri,Pardolesi e Romano, 191, o giù di lì, in Danno e resp., 2014, p. 165. Amplius G. Lener,La « retta via » per il risarcimento del danno, ibidem, p. 172.

Tutela

per equivalente

di contratto

annullabile

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zione, vien da chiedersi quand’è che la fattispecie del dolo di cui all’art.1439 c.c. dovrebbe trovare realisticamente modo di concretizzarsi (3).Nell’attività corruttiva di Fininvest, l’intento di raggirare la controparteera, per così dire, in re ipsa.Il fatto però, come ormai ben si sa, è che un annullamento della transa-

zione rischiava di non giovare in alcun modo a Cir: i titoli azionari del1991 non esistevano più, nel contempo una sentenza di annullamentoavrebbe sì operato una restitutio in integrum ma dello scenario conse-guente alla sentenza di quella Corte d’Appello di Roma che aveva rescissoil lodo Pratis, favorevole invece a Cir. E questa sentenza, ingiusta perchéfrutto di corruzione del magistrato estensore, era passata in giudicato: colrisultato, notazione ormai altrettanto incontrastata (4), che l’annullamentoavrebbe allora riprodotto la vexata quaestio sulla revocabilità di una pro-nuncia sí inficiata dal dolo di uno dei giudici (art. 395, n. 6, c.p.c.) ma pursempre frutto di una decisione collegiale (5). Insomma, combinando i duefattori, poteva comprendersi un difetto di interesse di Cir all’annullamentodi quella transazione che la Cassazione non ha invece esitato ad etichetta-re come titolo (valido) di una spartizione corrotta.Tutto chiaro allora? Non è detto, se è vero che, compulsando in modo

più minuzioso lo spartito normativo dell’azione di annullamento, la Cas-sazione forse sarebbe potuta addivenire al medesimo risultato – compen-sare Cir del pregiudizio subito – senza tirare in ballo il danno da reato ov-vero la figura – ancora in fieri – di una culpa in contrahendo da contrattovalido ma sconveniente.Il come, nell’ottica di un primato dell’invalidazione dell’atto, si proverà a

dimostrarlo nei paragrafi che seguono.

2. – Sulla scia per la verità di quanto sono aduse fare da tempo le cortifrancesi (6), la Cassazione ha di recente sentenziato che non esiste un rap-

(3) Sull’intenzionalità dell’inganno come elemento costitutivo del dolo v., in luogo ditanti, Del Prato, Le annullabilità, in Tratt. Roppo, IV, I rimedi, a cura di Gentili, 1, Mi-lano, 2006, p. 270 s.

(4) V., per tutti, C. Scognamiglio, Effettività della tutela e rimedio risarcitorio per equi-valente: la Cassazione sul caso Fininvest c. Cir, in Resp. civ. e prev., 2014, p. 42 ss.

(5) Sulla questione, in termini corrosivamente critici, v. Impagnatiello, Chiovenda, lostudente medio e la revocazione per dolo del giudice, in Danno e resp., 2014, p. 146 ss.

(6) Affezionate, pressoché da sempre, all’immagine di un dolo nel contempo délit civil evice du consentement. Nel panorama giurisprudenziale più recente, a mo’ di leading case, v.Cass. civ. 4 marzo 1975, in Rev. trim. dr. civ., 1975, p. 537, con nota diDurry. In dottrina,per tutti, Ghestin, Serinet e Loiseau, in Ghestin (a cura di), Traité de droit civil. Laformation du contrat, I, Le contrat. Le consentement, LGDJ, 2013, nn. 1294, 1301, 1321,1437, 1438, 1441, 1457 e 1460 e, a livello monografico, Guelfucci-Thibierge, Nullité,restitutions et responsabilité, LGDJ, 1994, nn. 405 e 778 ss. Ma l’idea di una coesistenza,nella forma beninteso di un’autonomia, tra annullamento e risarcimento, probabilmenteconiata da Chardon, Trattato del dolo e della frode in materia civile e commerciale, I, Na-poli, 1829, § 3, 44, è articolatamente motivata già in Savatier, Étude sur le dol, de sa na-ture, de son influence sur les faits juridiques volontaires en droit romain et en droit français(Thèse), Paris, 1881, p. 86 e p. 205 ss. La questione, per il clamore suscitato da alcune sen-tenze di opposto segno, è tornata recentemente alla ribalta, tanto da alimentare un dialogoa più voci – L’absorption du dol par la responsabilità civile: pour ou contre? – nell’appendicemonografica che si legge in Rev. contrats, 2013, p. 1155 ss. Utili, per ciò che qui interessa,

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per equivalente

di contratto

annullabile

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porto di pregiudizialità tra l’azione di annullamento e quella di responsa-bilità: è ammissibile perciò, se dovesse reputarlo più conveniente, che ildeceptus scarti la tutela invalidante ai sensi dell’art. 1439 c.c. e domandisoltanto i danni, denunciando la scorrettezza precontrattuale del deceptor.Cass. n. 20260/2006 (7) trova il suo unico precedente esplicito, se si ac-cantonano le ambigue e fuorvianti Cass. n. 2445/1968 e n. 862/1952 (8),nella sentenza n. 921 del 1980 (9), un caso nel quale al raggiro dell’acqui-rente aveva concorso l’agente immobiliare. Per inciso, nella pronuncia del2006, la fattispecie constava di una mutuataria che aveva taciuto il falli-mento del marito, con una banca risoltasi ad agire in via risarcitoria senzaimpugnare il contratto.Si percepisce nitidamente quale sia il retroterra concettuale di questo ar-

resto: l’idea antica – e mai sopita (10) – del dolo come un illecito civile,causa di risarcimento dell’ingiusta lesione patrimoniale inferta al deceptus,che si affianca e doppia quella più moderna di un dolo quale vizio che de-termina un difetto del consenso. E di primo acchito, si dirà, neanche c’ètroppo da sorprendersi: proprio per questa congenita doppiezza del dolo,l’interesse della parte danneggiata, come già rilevarono Ascoli nel 1910 eTrabucchi nel 1937 (11), può mutevolmente indirizzarsi verso due azioni,l’annullamento ed il risarcimento dei danni, esperibili sia in cumulo cheseparatamente (12). Per inciso, pure coloro che, senza impingere diretta-mente nel disposto dell’art. 2043, passano per il medio dell’art. 1337, nonè che poi decampino troppo dall’idea di un dolo che, in quanto délit civil,

si mostrano in special modo i contributi di Barthez (ivi, p. 1155 ss.), Ghestin (ivi, p.1162 ss.) e Lardeaux (ivi, p. 1179 ss.), Rémy (ivi, p. 1195 ss.) e Savaux (ivi, p. 1201 ss.).

(7) V. Cass. 19 settembre 2006, n. 20260, in Resp. civ. e prev., 2007, p. 2113 ss., fattispe-cie di dolo omissivo causam dans. Ma già, in senso contrario, v. Cass. 25 luglio 2006, n.16937, in Giust. civ., 2006, I, p. 2717 ss., che nega una tutela risarcitoria autonoma ex art.2043, per una denunziata slealtà precontrattuale, al promissario acquirente di un prelimi-nare annullabile perché stipulato con un’incapace.

(8) Ambigue perché la prima probabilmente concerne un caso di dolo incidente mentrela seconda, consultabile per esteso in Foro it., 1952, I, c. 1529, ragiona sì di un illecito exart. 2043: ma del terzo, venendo in rilievo una situazione nella quale l’annullamento delcontratto era escluso perché la parte avvantaggiata era risultata di buona fede. Quindi vie-ne sentenziata una responsabilità aquiliana del terzo perché, in realtà, non si poteva doman-dare l’annullamento ai sensi dell’art. 1439, comma 2o, c.c.

(9) Cass. 9 febbraio 1980, n. 921, si legge per esteso in Visintini, I fatti illeciti, Padova,1990, II, p. 249 ss.

(10) V., anche per una puntuale ricostruzione storica dell’intera vicenda evolutiva deldolo, Mantovani, « Vizi incompleti » del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, p.31 ss.

(11) V., rispettivamente, lo scritto Responsabilità per danni nel caso di annullamento dicontratto per dolo, in Riv. dir. civ., 1910, p. 836 ss. e le classiche pagine della monografia Ildolo nella teoria dei vizi del volere, Padova, 1937 (rist. anastatica Napoli 2010), spec. pp.314 ss., 326, 328 s. e 332 s.

(12) L’equivoco, come si vedrà, sta nel leggere l’azione di annullamento alla stregua diuna riparazione reale – non a caso di una tecnica « riparatoria – restitutoria » discorreMantovani, « Vizi incompleti » del contratto e rimedio risarcitorio, cit., p. 77, sulla scia diquel Trabucchi, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, cit., p. 333, che faceva dell’annul-lamento una tecnica rientrante « in un ampio concetto di riparazione » – e non, come in-vece dovrebbe essere, nei termini di un rimedio tipico chiamato a neutralizzare un quidche ha viziato il consenso.

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è fonte di un autonomo obbligo di risarcimento. Vero che, mutando il ti-tolo della responsabilità, si para l’obiezione di un art. 1439 non più deru-bricabile evidentemente ad una concretizzazione settoriale dell’art. 2043:epperò concepire una rilevanza separata della condotta viziante perchéantigiuridica, pur se a fare da cornice al tutto non è il generico dovere delneminem laedere ma il principio di buona fede, in concreto ha il significatodi una rivisitazione aggiornante i termini della questione senza davveromutarli. Sempre infatti si rimane nel perimetro di un’autonoma valutazio-ne dell’agire fraudolento, vista adesso nella dimensione della slealtà incontrahendo, quale comportamento illecito (13).Spazio, dunque, ad una alternativa pacifica tra i due rimedi, perché uno,

l’invalidazione, « legato al profilo di vizio del consenso », l’altro, la tutelaper equivalente, « connesso [invece] alla rilevanza di una condotta illecita[o scorretta] » (14), col risultato così di avere un risarcimento, pur se si faquestione di un contratto annullabile, oscillante tra la forma di un (comple-mentare) interesse negativo ex art. 1338 e quella di un ammontare pari allediverse e più vantaggiose condizioni alle quali il contratto sarebbe statoconcluso?È quel che molti (15), di là dalla differenza di accenti e toni, ritengono:

nell’ottica, quando il contratto non cada, di un risarcimento per la diffe-renza trovante così titolo in un art. 1440 c.c. vocato, quale norma generale,a reprimere qualsiasi slealtà che sia causa od occasione di un’ingiustiziadello scambio.Ora, sebbene il fitto argomentare di Cass. n. 21255/2013 si presti obli-

quamente a ragionare così, netta è la sensazione che il discorso sia per ve-rità più sofisticato e nel contempo, dovendo passare per il medio di dueproposizioni di segno opposto, assai più articolato. Alle corte: nulla quae-stio sulla circostanza che il deceptus possa rinunciare ad una tutela di im-pugnazione a vantaggio di una di mero risarcimento: è scritto in quell’art.

(13) Emblematica di quanto si va dicendo è la densa pagina di Rovelli, La responsabi-lità precontrattuale, in Tratt. Bessone, XIII, Il contratto in generale, II, a cura di Alpa,Chinè, Gazzoni, Realmonte e Rovelli, Torino 2000, p. 334 s., il quale se da un lato reputa« impraticabile » una rinunzia all’annullamento per poi domandare il risarcimento a titoloprecontrattuale, non esclude dall’altro che il deceptus possa agire in via aquiliana.

(14) Così Mantovani, « Vizi incompleti » del contratto e rimedio risarcitorio, cit., p. 103e, prima ancora, Carresi, In tema di responsabilità precontrattuale, in Temi, 1965, p. 458.Di un dolo che, in quanto infrazione ad un dovere di condotta si iscrive « nel contesto del-l’illecito extracontrattuale (art. 2043), e, più specificamente, precontrattuale (art. 1337) »,discorre pure del Prato, Le annullabilità, cit., p. 270.

(15) V. ex professo Benatti, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, p. 78;Franzoni, Il contratto annullabile, in Tratt. Bessone, XIII, Il contratto in generale, VII, acura di di Majo, Ferri e Franzoni, Torino, 2002, p. 372, nell’ottica conclamata di una tutelaaquiliana delle posizioni contrattuali. Recentemente Pagni, La responsabilità della pubbli-ca amministrazione e l’assetto dei rapporti tra tutela specifica e tutela risarcitoria dopo l’in-tervento delle sezioni unite della Cassazione, in Foro it., 2009, I, c. 2726. Più in generale,per l’idea che « la domanda di risarcimento [sia] autonoma e non rend[a] necessario ilpreventivo annullamento del contratto » v. Tommasini e La Rosa, Dell’azione di annulla-mento, in Commentario Schlesinger, Milano, 2009, p. 48. Ma l’idea che l’art. 1338 sia invo-cabile anche senza procedere ad una previa declaratoria di invalidità del contratto si incon-tra pure in G. Patti e S. Patti, Responsabilità preontrattuale e contratti standard, in Com-mentario Schlesinger, Milano, 1993, p. 220 ss.

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1440 che dà ingresso alla liquidazione di un risarcimento pari all’« ipoteti-co interesse “positivo” che sarebbe sorto in capo al soggetto se il regolamen-to contrattuale fosse stato definito in assenza del dolo » (16). Se viene ec-cepito un dolo, il pendolare della tutela tra invalidazione e risarcimento inparte qua è, si vuol dire, in re ipsa, in quanto si deve proprio alla legge ilsubordinare « ad una decisione meramente “soggettiva” l’alternativa traannullamento o conservazione del contratto » (17). Il deceptus, d’altronde,potrebbe pure risolversi a non agire nell’attesa che il deceptor domandil’esecuzione per poi opporgli l’eccezione di annullabilità ai sensi dell’art.1442, comma 4o, c.c. Dopodiché, è vero che la coppia degli artt. 1439 e1440 si differenzia, come la Cassazione a più riprese ha sentenziato (18),sul piano dell’onere della prova: che non involge, quando si versa nell’ipo-tesi del c.d. dolo incidente, la dimostrazione di un’efficienza determinantedel raggiro. Epperò, in virtù delle regole che governano il processo civile,mai un giudice potrà, ov’anche lo volesse, rigettare la domanda risarcito-ria perché si è appurato che il dolo opposto in realtà è determinante. Perconseguenza l’immagine di un art. 1440 che, « per una qualche ragio-ne » (19), fagocita o fa concorrenza all’art. 1439, è insopprimibile. Il fattoperò è che, venendo così alla seconda proposizione, l’art. 1440, nonostan-te tutti i tentativi di interpretarlo diversamente, nasce e rimane una normaeccezionale (20): il dolo, non anche le altre situazioni di vizio complete od in-complete che siano, è causa di un (meramente potestativo) risarcimento deidanni. Quella che, convertendo una causa di invalidità in un’obbligazionerisarcitoria, l’art. 1440 codifica è infatti una fictio iuris (21), vocata sì ad as-secondare la conservazione del contratto ma in ragione della rilevanza ec-

(16) Così D’Amico, La responsabilità precontrattuale, in Tratt. Roppo, V, Rimedi, a curadi Roppo, 2, cit., p. 1137.

(17) Così, ma criticamente, D’Amico, « Regole di validità » e principio di correttezza nel-la formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 123, nt. 66.

(18) V., tra le tante, in special modo, Cass. 19 giugno 2008, n. 16663, in Giust. civ., 2008,I, p. 2761 ss., il cui periodare standard torna, per es., in Cass. 16 aprile 2012, n. 5965, inContratti, 2012, p. 888 ss. Mostra di pensarla diversamente, di recente, Piraino, Intornoalla responsabilità precontrattuale, al dolo incidente e a una recente sentenza giusta ma er-roneamente motivata, in Eur. dir. priv., 2013, in corso di stampa, p. 23 (del manoscritto)ma nella prospettiva di un giudizio di incidenza del dolo concentrato « sull’idoneità rego-lativa del contratto concluso ». Il che può pure essere: epperò presuppone si ribalti l’im-magine, di un art. 1440 come fattispecie formalizzante una fictio iuris, che ha dalla sua piùdi un argomento.

(19) Così Roppo e Afferni, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermidella Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 2006,p. 34 s.

(20) V., per tutti, Mengoni, « Metus causam dans » e « metus incidens », in Riv. dir.comm., 1952, I, p. 26 s.

(21) Nonostante infatti tutte le critiche opposte – v. Mantovani, « Vizi incompleti » delcontratto e rimedio risarcitorio, cit., p. 127 ss. – rimane incontrovertibile la circostanza che,incidente rispetto al contratto ipotetico che non è stato concluso, il dolo è risultato deter-minante per quello invece sottoscritto. Sicché mantiene un intatto rilievo persuasivo l’af-fermazione secondo cui « affermare che il dolo non è (stato) “determinante” (rispetto alconcreto negozio che è stato concluso), rigorosamente parlando, non può che significare chenon c’è dolo » (così D’Amico, « Regole di validità » e principio di correttezza nella forma-zione del contratto, cit., p. 117).

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cezionale accordata ex lege ad una « volontà potenziale » del deceptus (22):non già perché qui sia abbia una pena irrogata al deceptor per riparare aldanno ch’egli abbia cagionato. E, se così stanno le cose, l’idea, quando ilcontratto sia annullabile, di una tutela risarcitoria autonoma ex art. 1440,se non si indugia nella prospettiva di un cannocchiale rovesciato che ap-piattisce le differenze, tramonta – ci sembra – irrimediabilmente.Non solo.Pur con tutti i caveat di circostanza, l’impressione è che la novitas di

Cass. n. 21255/2013 trascenda in realtà la pura dimensione di un panaqui-lismo risarcitorio e vada cercata altrove, segnatamente nella rivisitazionedella caratura di satisfattività che deve assistere una tutela invalidante chesia calibrata sul principio di effettività. Si tratta di una prospettiva senzadubbio singulare ma non sistematicamente eversiva. Concepire una sosti-tuibilità della tutela risarcitoria, a motivo di una sua uniqueness funziona-le, lascia infatti intravedere una competizione tra i rimedi che non scadeperò in un far svaporare le differenze tra property e liability rules. Il che di-schiude un approccio che, non mandando in cortocircuito la tutela di im-pugnazione, già dovrebbe lasciarsi preferire non foss’altro in termini dipulizia concettuale. Il passo della motivazione ove Cass. n. 21255/2013 di-scorre di una « sopravvenuta inutilità [del rimedio specifico con una cor-relata] sopravvenuta carenza di effettività di tutela, in spregio alla stessanorma costituzionale di cui all’art. 24 della Carta fondamentale » (23), è, alriguardo, illuminante. Perché dell’art. 24, comma 1o, Cost. possono noto-riamente offrirsi diverse declinazioni, riflesso della natura polisemica cheha l’espressione effettività della tutela giurisdizionale: altrettanto evidenteperò, stando almeno all’uso ormai invalso in dottrina (24), è che la formulade qua, nella gamma dei significati in cui è scomponibile, annovera a pienotitolo la versione del « diritto ad un prodotto giustiziale atipico ed elasticonell’ottica rimediale » (25). Sicché, nell’ottica di un’interpretazione costi-tuzionalmente orientata, parrebbe che una sussidiarietà della tutela risar-citoria ampli la gamma delle tecniche giudiziali esperibili al fine di garan-tire « la piena soddisfazione dell’interesse azionato » (26).Ma, per evitare equivoci, è meglio illustrare il discorso con ordine.

3. – Cir - Fininvest, come ricordato altrove (27), non ha infatti nulla a chespartire colla fattispecie decisa nella sentenza del 2006: c’era piuttostoun’esecuzione della transazione impugnabile che aveva irrimediabilmente

(22) Cfr. Mengoni, « Metus causam dans » e « metus incidens », cit., p. 27.(23) Tanto è vero che, in un passo di poco precedente, la motivazione parla di un rime-

dio puntuale, nel caso notoriamente era la revocazione di cui all’art. 395, n. 6, c.p.c., co-niato dal legislatore « con “priorità di percorrenza”, senza l’annesso potere, ove sia prati-cabile, di “instare alternativamente ed autonomamente per il risarcimento” ».

(24) V., diffusamente, Comoglio, Giurisdizione e processo nel quadro delle garanzie co-stituzionali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, p. 1070.

(25) Così limpidamente Oriani, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Na-poli, 2008, p. 11.

(26) Cfr. Oriani, op. ult. cit., p. 66.(27) V. Pagliantini, Il danno (da reato) ed il concetto di differenza patrimoniale nel caso

CIR-Fininvest: una prima lettura di Cass. n. 21255/2013, cit., p. 118.

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compromesso la fattibilità delle restituzioni. Sicché un annullamento dellatransazione, per l’impossibilità giuridica e materiale di operare una ridu-zione in pristino, avrebbe rappresentato per Cir una vicenda totalmentepriva di senso. Di qui allora il presentarsi della tutela risarcitoria, a motivodi una conclamata impossibilità di eliminare il danno in forma specifica,come il solo rimedio in grado di assicurare un ristoro per il danno pati-to (28). Vero infatti che l’annullamento, privando di efficacia un consensocarpito con dolo, è senz’altro la tecnica più adeguata per evitare o ripararead un danno: conditio sine qua non è che la sentenza costitutiva, per il me-dio delle restituzioni ex artt. 2033 e 2037, comma 2o, c.c., riesca però a ri-muovere la perdita. E, come tra breve si avrà modo di evidenziare, non ècosì inconsueto che si profilino ipotesi nelle quali l’annientamento del-l’obbligazione non servirebbe perché inutile ovvero, pure a supporre unarestituzione del corrispondente valore monetario, in quanto pregiudizie-vole per l’interesse patrimoniale della controparte (29).Detto diversamente: quando si registra un’incertezza delle restituzioni

che scaturiranno dalla caducazione retroattiva del contratto, la sola doman-da di risarcimento del danno è catalogabile come atipica perché provvista diuna sua intrinseca ed imprescindibile giustificazione (30). Poi, naturalmente,la latitudine operativa di questo risarcimento sostitutivo sarà crescente odecrescente a seconda che rigoroso o elastico sia il modo col quale vieneconcepito il giudizio sulla possibilità della restitutio in integrum: da cuiuna valenza massima se la valutazione del giudice dovesse ispirarsi a crite-ri assoluti, minima se invece la si strutturerà come una stima relativa, de-clinata per ciò stesso in termini di obbiettiva somiglianza, con una prefe-renza per questa seconda ipotesi sembrando che sia più utile pensare aduna possibilità delle obbligazioni restituende ogni qualvolta il ripristino sipresenti come una vicenda che non dà luogo ad un stato di fatto sostan-zialmente diverso dal pregresso. Qualsiasi esecuzione del contratto tenden-zialmente muta, infatti, l’ordine delle cose: ed il risarcimento, sebbene si

(28) V. D’Amico, Responsabilità precontrattuale anche in caso di contratto valido? (L’iso-la che non c’è), p. 15, nt. 43 (del manoscritto.: c.vo nel testo) che parla di « un’impossibilitàdi eliminare il danno in forma specifica ... e [di] necessità di rimuovere gli effetti pregiudi-zievoli (solo) per equivalente ».

(29) Il problema, seppur dopo che l’impugnazione per nullità fosse stata rigettata, della« tutela da accordare alla parte costretta a constatare l’impossibilità di ottenere il ripristinodello stauts quo antea », affiora incidenter anche in Impagnatiello, Chiovenda, lo studen-te medio e la revocazione per dolo del giudice, cit., p. 148.

(30) Volendo così generalizzare quell’intuizione di D’Amico, Responsabilità precontrat-tuale anche in caso di contratto valido? (L’isola che non c’è), cit., di cui si è detto sopra. Si-gnificativamente l’interazione tra annullamento e restitutio in integrum è già nel periodaredi quella fine dottrina – v. Piazza, Convalida, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 2000, p. 7– che subordina la rilevanza della protestatio, opposta da chi convalida per esecuzione, allaconcreta possibilità delle restituzioni, nel senso che la riserva di impugnare non vale allor-ché sarebbe impossibile ottenere, nonostante la successiva pronunzia di una sentenza d’an-nullamento, il ripristino dello status quo ante. Il tutto evidentemente muovendo dalla pre-messa che possa esservi un adempimento che importa una trasformazione irreversibile. Dacui l’immagine di un interesse – al ripensamento – del convalidante peccante di una qual-che meritevolezza di tutela. Ora, il discorso sulla meritevolezza dell’azione risarcitoria al-lorché l’annullamento avrebbe un effetto ablativo puramente virtuale, non è che segua unascansione argomentativa troppo diversa.

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trovi ad impingere nella lettera dell’art. 1440 (31), qui è della situazioneipotetica che si sarebbe determinata senza il fatto dannoso unicamente inragione di un’impossibile restaurazione della situazione preesistente allastipula viziata. Non è – caveat – una scelta di convenienza della parte dan-neggiata.Dunque, non un’impossibilità di restituzione in forma specifica che fac-

cia perdere il diritto a domandare l’annullamento, secondo una prospetti-va che più volte, in passato, è stata adombrata (32): ma neanche, pur se po-trebbe sembrarlo, un adattamento di quella comparative adequacy che, se-condo i dettami dell’EAL, governa il rapporto tra risarcimento ed adem-pimento coattivo; più semplicemente, se l’impossibilità della restitutio inintegrum vanifica la retroattività della sentenza di annullamento perché larimozione ex tunc del contratto viziato non è acconcia a restaurare piena-mente l’interesse violato, allora torna utile pensare che si dischiuda unospazio nel quale il degradare della regola di invalidità a « presupposto ma-teriale del rimedio risarcitorio » (33) risponde ad un valore di intrinsecagiustezza. Con una formula sintetica, si può parlare di una sussidiarietà re-lativa o in senso debole: che è l’esatto contrario di un risarcimento come ri-medio contraddistinto da una valenza « tendenzialmente pervasiva » (34).Si ha così una tutela risarcitoria sostitutiva, la quale sopravviene quandol’annullamento sarebbe una spada spuntata, perché comportamento stra-tegico che non scalza le aspettative di lucro di colui che ha ingiustamenteprofittato, onde così ovviare ad una lacuna di protezione fortemente so-spetta ex artt. 24 e 111 Cost. (35). Insomma un risarcimento rilevante allastregua di una tecnica che asseconda l’entitlement del contraente danneg-giato a prevalere sulla controparte. La sentenza n. 21255/2013, sotto que-sto profilo, è prodiga di spunti: si discorre, nell’ordine, a) di un diritto aduna tutela effettiva, nel senso b) di un diritto al rimedio che concretizzi ilbisogno di tutela del danneggiato, approdando coerentemente alla decli-nazione di un principio costituzionale di effettività quale legittimazione adesperire il « rimedio adeguato al soddisfacimento del bisogno di tutela diquella specifica, unica, talvolta irripetibile situazione sostanziale di inte-resse ». E se la valorizzazione della tutela passa per il realizzarsi di un’effet-

(31) Ma non in presa diretta, come invece vorrebbe Lener, La « retta via » per il risarci-mento del danno, cit., p. 172.

(32) L’idea (alquanto discutibile) di una preclusione è già in Barassi, Istituzioni di dirit-to civile, Milano, 1948, p. 634, torna ex professo in Cicala, Il negozio di cessione del con-tratto, Napoli, 1962, p. 122 e viene enfatizzata in uno scritto diMaresca, Impossibilità del-la restitutio in integrum e risolubilità, rescindibilità, annullabilità del contratto, in Riv. dir.civ., 1977, II, p. 92 s. Per una messa a punto contraria, di recente, Tommasini e La Rosa,Dell’azione di annullamento, cit., p. 113.

(33) Così, efficacemente, di Majo, Impugnativa delle delibere assembleari, in Sarcina eGarcìa Cruces (a cura di), L’attività gestoria nelle società di capitali. Profili di diritto so-cietario italiano e spagnolo a confronto, Bari, 2010, p. 100.

(34) In questo senso, invece, di Majo, Impugnativa delle delibere assembleari, cit., p. 99.(35) Per un quadro d’insieme v. Pagni, Tutela specifica e per equivalente. Situazioni sog-

gettive e rimedi nelle dinamiche dell’impresa, del mercato, del rapporto di lavoro e dell’atti-vità amministrativa, Milano, 2004, pp. 65 ss. e 124 ss.

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tività qualitativa della protezione (36), diventa allora un corollario di questovalore – sovraordinato (art. 13 CEDU ed art. 47 della Carta dei diritti fon-damentali) (37) – evitare « scarti tra i vantaggi promessi a livello sostanzialee quelli conseguibili attraverso l’utilizzo dello strumento processua-le » (38).Ma è meglio, anche per dare una più vivida concretezza al discorso, pro-

cedere con degli esempi.Un primo caso può essere quello, già sperimentato nell’esperienza fran-

cese (39), dell’acquirente di un immobile, ingannato dal venditore, il qualeabbia fatto eseguire degli importanti lavori di ristrutturazione: chiaro chel’annullamento del contratto – qui – risulterà più pregiudizievole di un ri-sarcimento che, assecondando un interesse conservativo, corregga loscambio. Non diversamente nel caso di un pc, venduto come nuovo seb-bene sia usato, se il compratore vi ha fatto installare dei programmi sofi-sticati, costosi ed intrasferibili su di un altro modello. Anche qui si haun’esecuzione, modificante la situazione, che rende l’annullamento assaimeno conveniente di una tutela risarcitoria. E sarà lo stesso, proseguendo,se il deceptus è una società che ha pianificato, intorno ai titoli azionari ac-quistati con raggiro, una strategia di investimenti che non si può più arre-stare, ad es. perché i titoli in sovrapprezzo sono quelli di una holding.Si può ragionevolmente parlare, negli esempi riferiti, di un risarcimento

che diventa un surrogato infungibile dell’annullamento vista la possibilità,in tutti e tre i casi esposti, di eliminare il danno soltanto per equivalente.Come si legge in Cass. n. 21255/2013, qualsiasi forma di tutela specifica ècontorniata dalla cortina di limiti, « naturali e insuperabili, che derivanodall’impossibilità materiale di raggiungere un certo risultato » (40). E tut-tavia qui non c’è una responsabilità aquiliana che debordi dal suo ambitofacendo concorrenza alla tutela (tipica) di impugnazione. Come non c’è,beninteso se l’inutile decorso del termine non fa orientare per una rinun-zia tacita all’azione di annullamento (41), quando l’impugnazione sia pre-scritta. Pure qui, infatti, si ha un’azione di annullamento che, in quanto

(36) Di « un’effettività oggettiva della “tutela”, in funzione dei tipi di situazione indivi-duale », si legge nella bella pagina di Oriani, Il principio di effettività della tutela giurisdi-zionale, cit., p. 11.

(37) Amplius in Comoglio, L’effettività della tutela giurisdizionale nella Carta dei dirittifondamentali dell’Unione europea, in Etica e tecnica del « giusto processo », Torino, 2004, p.129 ss.

(38) Così Oriani, op. ult. cit., p. 25.(39) Per un acuto resoconto critico v. Ghestin, Contre l’absorption du dol par la respon-

sabilité civile, cit., p. 1177.(40) Oppure, come il passo prosegue, in senso opposto « dalla scelta dell’ordinamento

orientata verso un interesse maggiormente rilevante »: il che, come si vedrà, è quanto av-viene in materia societaria, per es. rispetto a quell’art. 2504 quater, caso sintomatico di un« arretramento della linea di tutela del socio dal piano reale al piano obbligatorio »: cosìOriani, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, cit., p. 65.

(41) Questione antica: v., per l’ammissibilità, giàMontel, Azione di danni e prescrizionedell’azione di annullamento, in Riv. dir. comm., 1933, p. 558 s., in replica a Motta, L’azio-ne extracontrattuale di danni per dolo e la prescrizione dell’azione di annullamento del nego-zio, in Foro lomb., 1932, I, p. 759 ss., che viceversa ravvisava nell’inerzia quinquennale unafattispecie incontrovertibile di sanatoria.

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non più esperibile, lascerebbe il danno là dov’è: e per una sorta di conver-sione necessaria l’annullamento declina, tranne se l’inerzia del deceptusconsapevole non si dovesse palesare come contraria a buona fede (42), inun risarcimento pur sempre incistato tuttavia sull’accertamento incidenta-le di un’invalidità del contratto. Nel dettaglio, quindi, una tutela obbliga-toria che si avvia quando, per ragioni giuridiche contingenti, quella di an-nullamento è preclusa, traducendosi in una « sostanziale ablazione del di-ritto » (43): un’azione risarcitoria, questo si vuol dire, autonoma perché inluogo di una di annullamento che non si può, non che non s’abbia da fare.Un vizio del consenso non è infatti sanzionabile sul « seul terrain de [la]responsabilité [civile] » (44), quasi a mo’ di un risultato minore dell’effettodemolitorio. Ma se si ha una situazione irrimediabilmente ostativa, nonpotrà essere d’ostacolo il fatto di un omesso esperimento dell’azione di an-nullamento. Cass. n. 21255/2013, allorché ipotizza che una sentenza perdolo del giudice possa valere da fatto storico, con un giudice chiamato cosìa conoscere incidenter tantum della sua revocabilità, stilizza un canovacciomolto simile. E poi, per la verità, la Cassazione già da tempo conosce la fi-gura del contratto annullabile ma non annullato (45), con una Corte che va-glia il vizio del negozio senza emettere una sentenza ablativa, trovandosponda nel disposto dell’art. 1442, comma 4o, c.c.Gioverebbe a poco, al riguardo, usare l’argomento che l’esigenza di tu-

tela di chi è incorso in un vizio del consenso reclama la « plus grande lati-tude possibile dans l’élection du mode de réparation » (46). Una scelta trai rimedi, in caso di contratto annullabile, dipendente dal contesto circo-stanziale finirebbe infatti per invischiare ed attentare alla certezza dei rap-porti contrattuali (47). Non a caso, il canovaccio torna anche in quella ma-

(42) Nell’ottica di quella Verwinkung la quale potrebbe qui venire in rilievo quale formadi perenzione dell’azione: pur se tuttora, notoriamente, si mostra prevalente l’idea che re-puta questa figura non concettualizzabile nell’ordinamento italiano « perché in contrastocon le regole che disciplinano la prescrizione »: così Tommasini e La Rosa, Dell’azione diannullamento, cit., p. 63.

(43) Così Cass. n. 21255/2013, cit., p. 71 della motivazione.(44) Così, invece, Ghestin, Contre l’absorption du dol par la responsabilité civile, cit., p.

1163. Nel dibattito italiano, negli stessi termini, Gazzoni, Obbligazioni e contratti12, Na-poli, 2006, p. 968.

(45) L’enucleazione della figura si deve a Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, inTratt. Sacco, Torino, 2004, II, p. 534. Per la giurisprudenza si vedano Cass. 30 marzo 1989,n. 1556, in Arch. civ., 1989, c. 837, e Cass. 29 luglio 2002, n. 11182, in Giust. civ., 2003, I,p. 1046 ss.

(46) Così Deshayes, Le dommage reparable en case de dol dans la formation du contrat,in Rev. Contrats, 2013, p. 97.

(47) Tanto per chiarire. Se A acquista da B un terreno al prezzo di 100, raggirato sul fat-to che il bene è libero da pesi o da diritti di terzi, nel caso poi scopra l’esistenza di una ser-vitù o di un diritto personale di godimento incidenti sul valore del terreno per una percen-tuale pari a 20, non è detto che si orienti per un risarcimento dei danni ai sensi dell’art.1440. Lo farà se nel frattempo il valore del fondo è rimasto inalterato. Se invece, per unacongiuntura negativa di mercato, il valore del terreno fosse sceso da 80 (100-20) a 50, èmolto probabile che A si risolverà a domandare l’annullamento del contratto. Qui la tutelaablativa finirà così per accollare al deceptor anche un rischio che dovrebbe risultargli estra-neo. Ma il risarcimento ai sensi dell’art. 1440, secondo la consueta logica del minor van-taggio o maggior aggravio, permetterebbe ad A di ottenere il risarcimento soltanto di ven-

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teria societaria, troppo spesso impropriamente, come si vedrà, citata aconfutazione (48). Tutte le volte che l’annullamento di una deliberazione,finanche negativa, è funzionale a soddisfare l’interesse dei soci legittimatiad impugnare ex art. 2377 c.c., la tutela risarcitoria, seppur rimedio con-corrente (49), mantiene infatti una natura sussidiaria (50). È invero la deli-berazione invalida, come viene giustamente notato, a costituire il titolo diuna responsabilità per danni. Da cui una pregiudizialità dell’impugnazio-ne e nessuna separatezza della tutela risarcitoria (51).Qualche dubbio, certamente, potrà aversi nel caso, diverso dai prece-

denti, di un annullamento possibile perché l’attuazione del contratto im-pugnabile non pregiudica una successiva restitutio, epperò implicante ildover sopportare un alto costo economico: per es. la parte vittima del-l’abuso si è impegnata con un terzo a conservare, per un certo periodo ditempo, una quota azionaria nella società acquistata per un prezzo sovrasti-mato. Se domandasse l’annullamento, astrattamente possibile perché l’at-tore non potrà qui dare la prova di una « “unicità” del rimedio risarcitoriorispetto a quello restitutorio » (52), il deceptus risponderebbe di un ina-dempimento più oneroso del ripristino dello status quo ante. Quindi, seb-bene il risultato dell’esecuzione non si trovi davvero a fungere da fatto im-peditivo di una successiva sentenza costitutiva per l’intrinseca impossibili-tà di un suo contenuto restitutorio, pure qui in realtà una scelta tra i duerimedi manca giacché l’inadempimento sarebbe (in)efficiente: il che indu-ce a ragionare di una perdita economica, se la si vuole trasferire all’appro-

ti. Come si vede, se la logica dell’autonomia della tutela risarcitoria viene parametrata sulcriterio del massimo effetto utile per il deceptus, non è escluso che si possa avere il caso diun annullamento che premia più di un risarcimento.

(48) Sul fatto che la tutela risarcitoria dei soci ammessi ad impugnare una delibera exart. 2377 sia sussidiaria per il primato di un rimedio ripristinatorio (che sia utile) e per i ri-flessi perniciosi che la tutela risarcitoria potrebbe avere sul patrimonio societario, v, pertutti, Guerrera, La responsabilità « deliberativa » nelle società di capitali, Torino, 2004,pp. 233 e 239 ss. Per inciso, anche chi lo mette in dubbio, v. Nuzzo, L’abuso della mino-ranza. Potere, responsabilità e danno nell’esercizio del voto, Torino, 2003, p. 270 s., in realtàsembra far valere un’ipotesi di inutilità dell’azione di annullamento, alludendo al caso incui la sentenza costitutiva pecchi degli effetti propri di un giudicato nel separato procedi-mento risarcitorio che si abbia, allorquando le due azioni vedano come parti dei soggettidiversi (rispettivamente socio e società ovvero tra soci).

(49) V., tra i tanti, Lener, sub art. 2377, in Società di capitali. Commentario, a cura di Ni-colini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, p. 561 ss. Di un « ulteriore ampliamento » dellatutela risarcitoria (se, com’è corretto ritenere, vi possono ricorrere anche i soci ammessi al-la tutela reale) discorre di Majo, Impugnativa delle delibere assembleari, cit., p. 99.

(50) V. di Majo, Impugnativa delle delibere assembleari, cit., p. 100 (è l’invalidità che« determina il carattere ingiusto del danno subito dal socio »). È critico invece, sull’esisten-za di una sequenza gerarchica tra tutela invalidante e risarcimento, Cian, Abus d’égalité,tutela demolitoria e tutela risarcitoria, in Corr. giur., 2008, pp. 404 e 407: ma gli argomentiche questo A. adduce, sulla premessa di una pretesa neutralità al riguardo dell’art. 2377,fanno pensare ad una sussidiarietà declinata con un diverso fondamento, legato principal-mente al carattere circostanziale dell’interesse leso. Come dimostra, per inciso, il richiamodiffuso alla concezione della mancata impugnazione quale omissione che rileva ai sensidell’art. 1227, comma 2o, c.c.

(51) Puntualmente Guerrera, La responsabilità « deliberativa » nelle società di capitali,cit., p. 220.

(52) Così Cass. n. 21255/2013, cit., p. 77 della motivazione.

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fittatore, neutralizzabile soltanto per equivalente. In caso contrario, sicco-me l’annullamento del contratto è da intendere come antieconomico, ildeceptus non sarebbe incentivato ad agire, restando così privo di tutela. Ilnodo nevralgico del ragionamento – al contraente danneggiato « non puòaccollarsi l’onere di instaurare e proseguire un giudizio sostanzialmenteinutile [o, in via comparativa eccessivamente oneroso] » – parrebbe cosìtenere.

4. – Se questo è lo stato delle cose, dovrebbe allora avere ancora un sen-so sostenere che un contratto annullabile genera responsabilità se annulla-to ovvero, come nell’ipotesi de qua, quando non può procedersi ad una re-stitutio in integrum mimante un’effettiva reintegrazione. Il che, per inciso,sottende una valutazione di insufficienza dell’annullamento come rimedio.Ciò detto il risarcimento, nel primo caso, completa la tutela invalidante

nel modo di cui all’art. 1338 c.c.: nel secondo, vale invece a supplire al pa-radosso di un danno che l’annullamento del titolo lascerebbe intatto nelpatrimonio della vittima. Quindi è un substitut innescato dalla sopravve-nienza di una « constatata impossibilità che quella tutela specifica non ri-sponda (più) al principio dell’effettività dell’interesse della parte » (53).Da questo ordito, giova ripeterlo, decampa il dolo: ma – cave – tutto

questo avviene per via di quella norma (eccezionale) dell’art. 1440 che ri-conosce al deceptus, non anche viceversa a chi si duole di un vizio incom-pleto, la facoltà di riappropriarsi in via risarcitoria del profitto preventiva-to. Sostenere il contrario, immaginando un risarcimento autonomo il qua-le, così inteso, avrebbe tutta l’aria di essere una specie di supplementumiusti pretii (54), è its on face di là da convincere.Pensare, infatti, che la responsabilità aquiliana possa giocare da rime-

dio separato, rimodellativo del sinallagma contrattuale, è discutibile: in-tanto per il motivo che la disciplina dei vizi del consenso non si esauriscenella violazione del principio di buona fede, richiedendo nel contempoun quid pluris ed un quid alii e poi perché la responsabilità extracontrat-tuale, secondo l’insegnamento più rigoroso (55), è una Jedermann Haf-tung, cioè esattamente l’opposto di un rapporto obbligatorio tra le parti.Un risarcimento indipendente da una pregiudiziale invalidazione non si-gnifica soltanto trasformare la tutela demolitoria in una variabile serventead un giudizio di stretta convenienza (56): una responsabilité civile seule,nel senso di una lex Aquilia a prescindere, alternativa e non cumulativaad una di annullamento, archivia il distinguo tra responsabilità contrat-tuale ed extracontrattuale. Segnatamente, perciò, quel che si profila è un

(53) Cfr. Cass. n. 21255/2013, cit., p. 71 della motivazione.(54) V. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto2, Milano, 2000, pp. 174 e 664; Mantovani,

« Vizi incompleti » del contratto e rimedio risarcitorio, cit., p. 75 ss. (sulla scorta propriodell’esperienza francese) e Lobuono, sub art. 1439, in Dei contratti in generale, a cura diNavarretta ed Orestano, Torino, 2011, IV, p. 191. Ma, nella schiera, sono da annoverare,tra gli altri, anche gli AA. citati nelle ntt. 9, 12 e 17.

(55) Per tutti Castronovo, L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto etorto. Le ragioni del diritto, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995, I, p. 147 ss.

(56) Col risultato che si avrebbe una tutela in forma specifica se ed in quanto ottemperiad una logica di massimo effetto utile per il legittimato.

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altro caso sintomatico di abuso della (o di fuga nella) responsabilità civi-le (57).Altrove si è scritto che, quando un’azione di impugnativa contrattuale

sia utilmente esperibile, non è prospettabile un risarcimento ex art. 2043trasformante la responsabilità civile in quel « passaggio a nord-ovest » chesalta, secondo l’idea francese (58), la tutela invalidante candidandosi a ri-medio contro il contratto. La tutela demolitoria, se non si dà il caso di unmutamento azionario irreversibile come nel caso Cir - Fininvest, è e rima-ne esclusiva. Non conosce un equipollente.Insomma sostenere, ad imitazione pedissequa del modello francese (59),

che « la struttura del vizio del volere » è simile a quella « di un fatto illeci-to » (60), forse spazzerà via un danno ma nel contempo ha come sicuro ef-fetto di meticciare il delicato congegno dei vizi del consenso qual è statoequilibratamente delineato nel combinato disposto degli artt. 1441 e 1444c.c. Ergo, quando l’annullamento non pecchi di effettività sub specie resti-tutionis, non si potrà domandare una tutela pecuniaria nella forma del re-cupero di quel surplus di prezzo che sia stato slealmente pagato. Non sipuò invocare una slealtà « pour conclure seulement à une reduction deprix » (61): lo impedisce la circostanza che, se l’annullamento restituiscealla parte la situazione che aveva prima del contratto viziato, la sanzionenon è double face: il rimedio di legge è uno soltanto. Chi pensa ad unaréfaction du contrat domandata a titolo esclusivo omette di considerareche l’abusato qui si duole di un danno occasionato da un contratto che nelcontempo pretende sia eseguito. È la logica di quell’art. 1382 code civil chenon è trapiantabile né direttamente né per via analogica nell’ordinamento

(57) Evidente, anche lessicalmente, il riferimento alle pagine di Castronovo, Antitruste abuso della responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, p. 469 ss.: sulla sua scia di recen-te, con ampia e puntuale argomentazione, Piraino, Intorno alla responsabilità precontrat-tuale, cit., p. 8.

(58) Ben condensata in Lequette, Responsabilité civile versus vices du consentement, inMélanges en l’honneur Marie-Stephane Payet, Paris, 2011, p. 363 ss. Voce isolata è Caffin-Moi, Dol dans la formation du contrat: la question dèlicate du préjudice réparable, in Dalloz,2012, c. 2772 ss., in part. nn. 9 e 10.

(59) Il riferimento è alla (diffusa) tesi di Sacco, Il contratto, cit., I, 620 ss.: alla quale mo-strano – ex multis – di aderire Marini, Il contratto annullabile, cit., p. 396 ss., ed Afferni,Il quantum del danno nella responsabilità precontrattuale, Torino, 2008, p. 187 ss.

(60) Così Sacco, Il contratto, cit., p. 623: e, in luogo di tanti, Roppo, Il contratto, inTratt. Iudica-Zatti, Milano, 2011, pp. 758 e 770 s. che parla di rimedi in alternativa, sceltidalla vittima. Il deceptus può « rinunciare all’annullamento del contratto pur annullabile elimitarsi a chiedere il risarcimento ».

(61) V. Barthez, Contre l’autonomisation de la responsabilité civile délictuelle en ma-tière de dol, cit., p. 1158, e Cass. civ. 6 giugno 2012, n. 11 – 15973, in Rev. contrats, 2012,p. 1180 ss., con nota di Genicon. Ma v. pure, almeno, Cass. com., 23 novembre 1993, n.92-10284, in Rev. trim. dr. civ., 1995, p. 354 ss., con nota di Mestre; Cass. civ. 14 novem-bre 1979, ivi, 1980, p. 763, con nota di Chabas, e Cass. com. 14 marzo 1972, in Dalloz,1972, c. 653, con nota di Ghestin. Chi, nella dottrina italiana, scrive che il vizio del con-senso ha la potenzialità di innescare un annientamento del contratto ovvero, in alternativa,una « riduzione a giustizia del rapporto contrattuale mediante decurtazione della presta-zione del contraente vittima o imposizione di una prestazione supplementare alla contro-parte » – così Sacco, Il contratto, cit., p. 621 – quasi traduce nel linguaggio domestico ilmodus operandi tipico di questi arresti giurisprudenziali.

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italiano. Se A acquista un immobile ad un prezzo eccessivo perché raggi-rato sul reddito che poteva trarne locandolo per un certo periodo di tem-po, ha diritto ad un danno corrispondente alla differenza tra i canoni spe-rati e quelli realmente percepiti nel medesimo arco temporale se si versanell’ipotesi, che la Cassazione in realtà ha in mente (62), di cui all’art. 1440:diversamente non si potrà domandare un risarcimento senza proporreun’azione di annullamento. Ritenere che la riprovevolezza dell’agire mali-zioso o scorretto solleciti una sanzione perché l’inganno altera una giusti-zia contrattuale da restaurare (63), non regge: per la semplice ragione chel’idea di una pena, vestita coi panni separati di un’invalidità o di un risar-cimento ambedue di protezione del danneggiato, è del dolo per come fog-giato ex iure non anche di altre situazioni. Pur se con un diverso frasario,il sottinteso di questo ragionamento continua ad essere quello di un vizio(completo od incompleto) del consenso rilevante perché causa di una le-sione da riparare: in forma specifica o per equivalente. E così, rispetto al-l’art. 2043 c.c., la disciplina dell’annullamento prende esattamente la fog-gia che avevano gli artt. 1115 ss. del codice previgente (64): norme vassalledell’art. 1151.Naturalmente è vero che l’interesse ad impugnare il contratto è da valu-

tare al momento della scoperta dell’inganno, non all’atto della stipula delcontratto. Ad exemplum, se A, perché circuito da B, acquista una societàprossima al fallimento e poi, per la sopravvenienza di circostanze fortuite,questa torna in attivo rendendo l’acquisto conveniente, è probabile che Anon avrà interesse ad agire per l’annullamento pur se, avendo pagato 100quel che valeva 50, potrebbe residuare un danno ora per allora di 50. L’ar-gomento tradizionale, che meriterebbe per altro un approfondimento (65),è infatti nel senso che la sopravvenienza non azzeri quella perdita chel’abuso o la tromperie hanno occasionato. Poi, il fatto che il deceptus si tro-vi adesso nella condizione di rivendere la stessa società ad un « prezzo su-periore » (66), rileverà nell’ottica di orientare la sua scelta per convalidareil contratto, non anche nell’accampare una pretesa risarcitoria, special-mente se il quantum liquidabile dovesse risultare inferiore o pari alle spesedi causa. Stesso discorso, naturalmente, per l’acquisto di un quadro d’au-tore poi rivelatosi opera di un falsario: nel caso la quotazione commercialedel vero esecutore sia nel frattempo cresciuta a fronte di un deprezzamen-

(62) V. Cass. 11 luglio 1968, n. 2445, cit.(63) Anche questa un’idea antica, rivisitata analiticamente da Ripert, La règle morale

dans les obligations civiles4, Paris, 1947, n. 41, p. 76. Nella dottrina italiana sembra farglieco Franzoni, Il contratto annullabile, cit., pp. 372 e 401.

(64) Non a caso Trabucchi, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, cit., p. 328 osservache, quando è questione di « un distinto obbligo di risarcimento, la responsabilità deve ri-tenersi di carattere nettamente extracontrattuale ».

(65) Come si legge in Cass. n. 920/1980, il deceptor neanche potrebbe invocare che nonè invocabile una compensatio lucri cum damno perché l’incremento patrimoniale della par-te ingannata non trova titolo nello stesso fatto illecito originante il pregiudizio. Il che, purse vero, fa residuare più di un dubbio però sulla giusta causa dell’arricchimento del decep-tus.

(66) L’espressione si legge in M. Barcellona, Responsabilità extracontrattuale e vizidella volontà contrattuale, in www.studiumunict.it.

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to dell’originale (67). Potrebbe però anche accadere che, in luogo di undanno emergente, A si dolga del mancato acquisto di un altro quadro chepoteva negoziare con un diverso gallerista. E qui il discorso cambia: il de-ceptus, in questo caso, non domanderebbe il risarcimento per le condizio-ni svantaggiose subite bensì per l’occasione – migliore – andata perduta. Lasua domanda di risarcimento avrebbe così ad oggetto l’interesse negativodi cui all’art. 1338 c.c. Il che non sarebbe poi tanto paradossale. La choixtra i rimedi, se si è proprio dell’avviso di ammetterla, bisogna infatti pren-derla sul serio: non la si può irragionevolmente limitare all’alternativa traun annullamento del contratto ed un risarcimento che unicamente emen-da le condizioni sconvenienti o pregiudizievoli (68). La scoperta del dolo,come si fa notare altrove, non fornisce nessuna indicazione su quale ipote-tico contratto, in assenza dell’inganno, la parte avrebbe stipulato: se quel-lo (non più) viziato a condizioni migliori oppure un diverso contratto conun terzo (69). Sul piano delle probabilità, le due ipotesi pari sono. Una do-manda di mero risarcimento non consente minimamente di « préjuger duchoix qu’aurait fait l’acquéreur “au moment de la vente” » (70), se non cifosse stato il dolo. Sentenziare che la scelta di non domandare l’annulla-mento del contratto influisce e vincola sul tipo di danno risarcibile, nelsenso di limitarlo unicamente a quello corrispondente « à la perte d’unechance d’avoir pu contracter à des conditions plus avantageuses » (71), èuna petitio principii. Se la tutela risarcitoria si vuole che sia autonoma, nonsi può trovare contraddittorio domandare l’esecuzione del contratto an-nullabile (per com’è) ed il danno per un altro contratto che non si è, a ca-gione del primo, potuto stipulare. Vietato – evidentemente – sarà il cumu-lo dei due danni.Naturalmente, nell’esempio richiamato, il deceptus dovrebbe dare prova

(67) Onde evitare fraintendimenti va chiarito che il parlare di un danno economico nonsottende in alcun modo una configurazione della lesione patrimoniale quale pre – condi-zione di rilevanza del dolo, reiterando così quella concezione dell’annullamento, rigettatapoc’anzi, che lo traduce in una species di risarcimento in forma specifica (v. Lucarelli,Lesione d’interesse e annullamento del contratto, Milano, 1964, p. 169 ss. ma giustamente,in senso critico, per tutti, Scognamiglio, Il risarcimento del danno in forma specifica, inRiv. trim. dir. e proc. civ., 1957, p. 221 s., e P. Barcellona, Profili della teoria dell’errorenel negozio giuridico, Milano, 1962, p. 208). Si vuol semplicemente sostenere che il danno(giuridico), cioè quella libertà negoziale dimidiata o perturbata che da sola funge da con-ditio sine qua non per domandare l’annullamento ex art. 1439, normalmente supporteràun’azione invalidante del deceptus se costui lamenterà anche un pregiudizio patrimoniale.Cioè un danno mediato al proprio patrimonio.

(68) Così, invece, nella controversa esperienza giurisprudenziale francese: da ultimoCass. com. 10 luglio 2012, che si legge in più di un luogo: v. Rev. trim. dr. civ., 2012, p.725, con nota di Fages, e p. 732, con nota di rdain. In dottrina, inter alios, Deshayes, Ledommage réparable en cas de dol dans la formation du contrat, cit., p. 91 ss.

(69) V. Ghestin, Contre l’absorption du dol par la responsabilité civile, cit., p. 1178.Contra Lequette, Responsabilité civile versus vices du consentement, cit., p. 376 s.

(70) Cfr. Ghestin, Contre l’absorption du dol par la responsabilité civile, cit., p. 1178,che giustamente nota come non debba confondersi « le choix de conclure ou non un con-trat, avec un choix postérieur, purement procédural, entre une action en annulation ou endommages – intérêts ».

(71) V. la discussa Cass. com. 10 luglio 2012, cit. Già prima, per altro, Cass. civ. 25 mar-zo 2010, in Rev. trim. dr. civ., 2010, p. 322, con nota di Fages.

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dell’occasione perduta: il deceptor non può certo rispondere di un rischiocommerciale che il circuito abbia consapevolmente deciso di correre. Mase riesce a darla, ad es. viene dimostrato che la trattativa per l’immobile Xè abortita proprio perché è stato callidamente acquistato quell’y in realtàassai meno lucroso, l’idea di un’autonomia della tutela risarcitoria nonscaccia il danno dell’occasione perduta. Questa, nel caso sia stata reale,esisteva al momento in cui è stato stipulato il contratto annullabile. Si trat-ta, perciò, di un danno che è « conséquence directe de la tromperie » (72).Il quantum, c’è da credere, sarebbe così pari alla differenza tra l’interessenegativo e l’utile che il deceptus trae dal contratto sí viziato epperò pen-dente (73). Diversamente A verrebbe a trovarsi in una condizione miglioredi quella che avrebbe avuto se non avesse stipulato il contratto, con tuttoquello che poi ne consegue in termini di iusta causa del suo arricchimento.

5. – Quindi, se non soccorre l’art. 1440, un risarcimento che scaccial’annullamento è un rimedio extra ordinem: segnatamente un mezzo chepersegue obliquamente una (discutibile) finalità di giustizia contrattua-le (74). Niente più che una pura riscrittura giudiziale del contratto (75).Ed infatti.Nell’ordito degli artt. 1441 ss. la facultas eligendi è tra domandare l’an-

nullamento o convalidare il contratto. Ammettendo un risarcimento extraordinem, i rimedi invece diventano tre (76): e tuttavia la correzione giudi-ziale non si limita ad emendare il vizio, nell’ottica di un « rééquilibrageéconomique du contrat purgé » (77). C’è un secondo effetto: il contraentesleale diventerà parte di un contratto riveduto che forse mai avrebbe sti-pulato alle nuove condizioni. Quindi questa correzione è in realtà una penache premia la parte danneggiata, collocandola in una situazione miglioredi quella che avrebbe avuto se il vizio o la turbativa non vi fossero stati:migliore perché il giudice obbliga ex post l’approfittatore ad un contrattoche, sulla scorta dell’id quod plerumque accidit, costui probabilmente nonavrebbe scelto di negoziare. E, se così è, desta più di un dubbio che l’in-tenzione storica del legislatore italiano fosse quella di comminare una pe-

(72) Cfr. Ghestin, Contre l’absorption du dol par la responsabilité civile, cit., p. 1178(« un tel préjudice n’a rien d’indirect, ni d’hypothétique »).

(73) Non quindi un quantum che sommi l’utile del contratto all’intero interesse negativo.(74) Non a caso una lettura siffatta dell’art. 1440 affiora nello scritto, improntato a dare

corpo ad un supposto principio di adeguatezza dello scambio, di Gallo, Responsabilitàprecontrattuale: il quantum, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 505 s.

(75) Formulata fuori « dalle ipotesi in cui tale attività di adeguamento è normativamenteconsentita »: così Rovelli, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 335.

(76) Il trittico campeggia nella pagine di Franzoni, Il contratto annullabile, cit., p. 372che mette in relazione la fattispecie di cui nel testo al caso del mandato senza rappresen-tanza allorché la parte che ne tratto utilità non risulta sia stata al corrente del raggiro pra-ticato dal terzo. Se non fosse che le due ipotesi sono molto diverse: mentre infatti il decep-tus si troverebbe a scegliere tra una tutela reale ed una obbligatoria, nell’ipotesi del man-dato senza rappresentanza il contratto non è annullabile. Ecco per quale ragione non sem-bra pertinente dire che il contestare un’autonomia all’azione di danni ha « ormai il saporedi cose lontane ».

(77) V. Barthez, Contre l’autonomisation de la responsabilité civile délictuelle en ma-tière de dol, cit., p. 1158.

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na al deceptor, già legittimato passivo di un’azione di annullamento e tenu-to nel contempo al risarcimento degli eventuali danni. Questo risarcimen-to, quando un annullamento sia possibile, diviene infatti parente prossimodi un’azione di riduzione del prezzo: ma una quanti minoris, come altrovesi segnala (78), è estranea all’area dei vizi del consenso.Ribattere, come verrà istintivo, che una tripartizione dei rimedi assicura

il vantaggio empirico di « diversifier les sanctions » (79), tratteggiando mo-delli di tutela meno rigidi o più pragmatici di quelli codicistici intesi allavecchia maniera, non convince; per la semplice ragione che, se non si faquestione di un dolo normativamente qualificato come incidente, chi abu-sa o approfitta corre il rischio di un annullamento del contratto, non an-che quello di una « double peine » (80): quale si riconoscerà è un risarci-mento coabitante con l’esecuzione del contratto.Non solo.Sempre altrove si è scritto che chi domanda il risarcimento di un con-

tratto annullabile, in realtà tacitamente lo convalida: la figura sarebbequella, fortemente spuria, di una convalida onerosa. Ora, è vero che la po-testatività della convalida implica che il responsabile del vizio debba su-birla: ma rispetto al contratto per come era, non per quello che giudizial-mente lo si faccia diventare. La soggezione alla convalida trova infatti lasua ragion d’essere nella circostanza che il deceptus si risolve successiva-mente a riconoscere un valore positivo « al risultato » che il contratto« realizza » (81): ma se giudizialmente si modifica la vicenda effettuale diquel contratto, il risultato non sarà più quello originario. Può tornare utileil riferimento a quei casi, come sono stati efficacemente definiti, di nego-ziazione « all’ombra » del contratto annullabile (82): una pluralità di figu-re, tipiche od atipiche, fuori dall’ambito della convalida, aventi in comuneil tratto di veicolare una correzione del regolamento impugnabile (83). Sol-tanto che, ogni qual volta la modifica del sinallagma annullabile è connes-sa alla dazione di una somma di denaro, « entra in gioco la disciplina (...)dei contratti ». Quindi, c’è un accordo: mentre un risarcimento indipen-dente mette tra parentesi la bilateralità (84).

6. – Quindi, nessuna tutela aquiliana che sia versus (85) o, meglio ancora,che oltrepassi i vizi del consenso. Non regge pensare ad uno schema nel

(78) Per un’ampia dimostrazione v. Genicon, Obs. in Rev. contrats, 2012, p. 1180.(79) Cfr. Barthez, Contre l’autonomisation de la responsabilité civile délictuelle en ma-

tière de dol, cit., p. 1161.(80) Secondo l’interpretazione che invece caldeggia Barthez, op. loc. ultt. citt.(81) Così Lucarelli, Lesione d’interesse e annullamento del contratto, cit., p. 285.(82) Così Marini, Il contratto annullabile, cit., p. 429 (al quale è da riferire pure la cita-

zione che segue).(83) Di un « effetto di convalida come elemento costitutivo del nesso di corrispettività

con l’altro effetto attributivo » discorre, incisivamente, Piazza, La convalida nel diritto pri-vato. I. La convalida espressa, Napoli, 1973, p. 128.

(84) Si vuol dire che le parti hanno sicuramente la facoltà di rinegoziare uno scambio vi-ziato: supporre però una convalida onerosa decampa dalla logica di una rinegoziazioneperché chiama in causa una regola di responsabilità a necessario esercizio giudiziale.

(85) Così invece, già dal titolo, Lequette, Responsabilité civile versus vices du consente-ment, cit., p. 377.

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quale l’annullamento sta al vizio del consenso mentre la tutela risarcitoriascivola verso la condotta abusiva della parte che ha approfittato. Un de-ceptus che sceglie ad nutum un rimedio in luogo di un altro, senza dubbiospecula (86): ma, fuori dal perimetro del dolo, questa valutazione potesta-tiva non trova un qualche addentellato che la autorizzi a circuitare la di-sciplina di cui agli artt. 1441 ss., norme la cui cifra complessiva sembratutta addensata intorno alla premessa che i danni-interessi subentrano al-l’invalidazione solo quando sono ex lege reputati idonei, nel senso di« sufficient[i] », a soddisfare l’interesse della parte ingannata. È correttoperciò dire che il risarcimento può « “surrogare” il rimedio dell’annulla-mento » (87): ma questa sostituzione, se non vengono in soccorsoun’espressa previsione di legge (88) o l’impossibilità di addivenire ad unarestitutio, non è rimessa alla libera disponibilità delle parti. Una surroga-zione ad nutum, per le ragioni che si è cercato di evidenziare, snatura inrealtà il sistema delle tutele. Il potere di far annullare il contratto non« costituisce un di più di tutela, che non assorbe tutte le altre difese » (89).D’altra parte, pure a volersi mettere nell’ottica di una sostituibilità a ma-glie larghe, non è forse vero che un approccio tendente a selezionare tra leragioni che possano indurre la parte danneggiata a preferire la tutela risar-citoria ad una invalidante, distinguendo così tra motivi apprezzabili equelli non meritevoli, renderebbe il quadro dei rimedi molto incerto, ta-randolo su di un canone troppo aleatorio? Ed ancora: un’autonomia del-l’azione di danni si può comprendere allorché la tutela di invalidazione,com’è per esempio in materia societaria, sia assoggetta a termini di eserci-zio particolarmente ristretti. Ma questo aspetto non ricorre nell’ipotesi diun contratto annullabile perché, giusta il combinato disposto degli artt.1442, comma 2o, e 2947 c.c., non è ipotizzabile un’azione per il risarci-mento che si prescriva posteriormente rispetto a quella di annullamen-to (90). A meno che, valorizzando Cass. n. 27648/2011 (91), il vizio quale

(86) Si faccia il caso di un deceptus il quale abbia acquistato per 200 un bene che, seavesse presentato le qualità promesse, sarebbe costato 210 ed invece, per com’è, vale 150.Se si reputa che il danno risarcibile ex art. 1440 sia pari alla differenza tra il valore stimatoe quello reale, andrà liquidato un quantum di 60. Ebbene, qui il deceptus, ad invocare l’art.1440 in luogo di 1439 che tutt’al più gli garantirebbe il rimborso delle spese, ci guadagna.

(87) Cfr. D’Amico, « Regole di validità » e principio di correttezza nella formazione delcontratto, cit., p. 123, nt. 65 (anche per la citazione che precede).

(88) Spiegabile, com’è per l’appunto nell’art. 1440, col rilievo che la tutela reale talorarappresenti « un rimedio eccessivo (rectius: eccedente lo scopo di tutela) e che il risarci-mento si palesi in concreto come tutela sufficiente »: cosìD’Amico, « Regole di validità » eprincipio di correttezza nella formazione del contratto, cit., p. 119. Torna utile qui rilevarecome, pure nell’ipotesi di cui all’art. 2377, comma 4o, il diniego dell’impugnativa per alcu-ni soci si debba, v. infra il par. che segue, al fatto che un potere di annullamento avrebbefinito per sporgere, legittimando azioni ostruzionistiche (o di disturbo) ad opera di mino-ranze marginali nella vita della compagine societaria.

(89) Così invece Trabucchi, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, cit., p. 333 (c.vo ag-giunto).

(90) V. significativamente Rovelli, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 334.(91) Sulla quale v., per tutti, Castronovo, La Cassazione supera sé stessa e rivede la re-

sponsabilità precontrattuale, in Eur. dir. priv., 2012, p. 1227 ss., e C. Scognamiglio, Tute-la dell’affidamento, violazione dell’obbligo di buona fede e natura della responsabilità pre-contrattuale, in Resp. civ. e prev., 2012, p. 1949 ss.

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slealtà in contrahendo chiami in causa una responsabilità ex art. 1337avente natura contrattuale: epperò è davvero auspicabile la figura di unaparte danneggiata che si può dolere, prescritto l’annullamento, di unascorrettezza nel termine di dieci anni?

7. – Residua, è vero, il catalogo degli argomenti, decampanti stricto sen-su dall’area contrattuale, che starebbero a certificare come un risarcimentoindipendente troverebbe oramai varie epifanie settoriali, donde il convin-cimento che la suddetta regola avrebbe fatto decisamente breccia nell’or-dinamento.Se non fosse che, pure al riguardo, il discorso va forse meglio contestua-

lizzato. Allo stato non sembra infatti che esista un principio in forza delquale si può liberamente abdicare ad una tutela invalidante « senza perquesto rinunciare all’altra conseguenza che è il risarcimento » (92). Più neldettaglio.Chi nota, ad esempio, che l’art. 30, comma 1o, del c.p.a. proclama una

(sicura) regola di autonomia dell’azione di danni rispetto alla tutela demo-litoria, formula in realtà un’asserzione che solo parzialmente coglie nel se-gno. Per la semplice ragione che, se il comma 1o affranca, il comma 3o del-l’art. 30 rimette pur sempre al giudice amministrativo valutare se la man-cata impugnazione ha inciso sul prodursi del danno. L’azione di risarci-mento può così risultare infondata ogni qual volta il giudice prudenzial-mente reputi che l’omessa domanda di annullamento ha causalmente inci-so sul prodursi o l’aggravarsi del danno, escludendo così che questo siaeziologicamente riconducibile soltanto all’azione dell’amministrazione.Quindi, nel dettaglio

primo, vero che non c’è più la pregiudizialità del rimedio impugnato-rio e tuttavia, con una tutela di impugnazione apprezzata alla stregua diun diritto-dovere (93), è pacifico che non si fa questione ex lege di un’au-tonomia piena;

secondo, la domanda risarcitoria è solitamente intesa come contraria abuona fede se viene data prova che una tempestiva domanda di annulla-mento avrebbe escluso o ridotto il danno (94). Sicché l’azione risarcitoria

(92) Così, con un periodare tornato attualissimo, Trabucchi, Il dolo nella teoria dei vizidel volere, cit., p. 334.

(93) Criticamente Scoca, Risarcimento del danno e comportamento del danneggiato daprovvedimento amministrativo, in Corr. giur., 2011, p. 979 ss.

(94) Sintomatico quanto si legge in TAR Lazio 2 ottobre 2013, n. 8533, in Foro amm.TAR, 2013, p. 3059, secondo cui non potrà essere richiesto « il risarcimento del danno inpresenza delle seguenti condizioni preclusive: a) che esista un nesso di consequenzialità di-retta tra l’omissione dello strumento di tutela e l’insorgenza del danno; b) che l’annulla-mento dell’atto lesivo, ove tempestivamente perseguito, fosse idoneo a soddisfare compiu-tamente l’interesse fatto valere dal ricorrente ». Ma il canovaccio argomentativo, sulla rile-vanza eziologica dell’omessa impugnazione dell’atto lesivo come fatto rilevante al fine diescludere la risarcibilità dei danni invocati, torna pressoché identico in tutta una sequenzadi decisioni: v., a titolo soltanto esemplificativo, TAR Sicilia 11 aprile 2013, n. 1021, ibi-dem, p. 1399; TAR Puglia 6 febbraio 2013, n. 159, in wwwdejure.it; TAR Lazio 11 gennaio2013, n. 247, in Foro amm. TAR, 2013, p. 109, e TAR Puglia 16 luglio 2012, n. 1450, ivi,2012, p. 2509.

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pura è « marginale » (95) anche prescindendo dal (discutibile) ed assaibreve termine decadenziale.

terzo, il doppio binario della tutela, nei casi rariores ove il comma 3o

dell’art. 30 non giocherà da fatto impeditivo, è comunque sancito ex lege;quarto, guarda caso proprio quando la vicenda va ad impingere nel-

l’area del contratto, la c.d. pregiudizialità amministrativa torna nell’art.121 c.p.a., per l’ipotesi dell’inefficacia del contratto nei casi di gravi viola-zioni (lett. a-d) (96). Questa inefficacia postula infatti un giudice ammini-strativo che annulla l’aggiudicazione: se non fosse che un previo annulla-mento del provvedimento amministrativo implica un art. 121 bypassantel’art. 30, comma 1o. Un’autonomia della tutela risarcitoria, ricorrendo « ipresupposti previsti dall’art. 2058 cod. civ. » invocabile anche « in formaspecifica », dovrebbe invero comportare la domanda di subingresso del-l’impresa ricorrente nel contratto illegittimamente aggiudicato, senza do-ver ricorrere contro l’aggiudicazione nel termine di impugnazione prescrit-to. Ma un risarcimento in forma specifica contro il contratto, che soppiantail rimedio demolitorio, non è contemplato per tabulas (97). Lo schema ne-cessariamente si dipana tra un posterius, il subentro perché è stata accoltala domanda di aggiudicazione del ricorrente, ed un prius, tutt’uno con ladeclaratoria di invalidità dell’altrui aggiudicazione (98);

quinto, l’annullamento dell’atto amministrativo talora abbina all’effet-to demolitorio uno di carattere ripristinatorio idoneo a soddisfare l’inte-resse del danneggiato, per es. se il vizio si è manifestato nell’atto di nomi-na della commissione giudicatrice precludendo così l’accertamento del-l’offerta migliore. Qui l’annullamento è « la sola tutela possibile » (99) do-vendosi procedere ad una rinnovazione dell’atto.Ed allora, volendo fare un primo sunto, il parallelismo, specie dopo il

decisum di quell’adunanza plenaria (100) vera artefice dell’attuale approc-cio restrittivo delle corti amministrative, non regge. O, per meglio dire, sepuò farsi questione di una domanda di danni che in realtà maschera una

(95) Come già ha fatto notare Pajno, Il codice del processo amministrativo tra « cambiodi paradigma » e paura della tutela, in Giorn. dir. amm., 2010, p. 885 ss.

(96) Da ultimo Simonetti, Tutela in forma specifica e tutela per equivalente nelle contro-versie relative all’affidamento dei contratti pubblici, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p.674 ss.

(97) Altro evidentemente sarebbe il discorso se l’impresa, che si duole di essere stata il-legittimamente pretermessa, nel frattempo ha partecipato vittoriosamente ad un altro ban-do di gara e, non avendo la liquidità necessaria per fare fronte contemporaneamente a duecommesse, si risolve a domandare, in luogo di una tutela in forma specifica, il risarcimentodei danni: con un quantum che evidentemente sarà rapportato all’interesse negative per lespese inutilmente sostenute.

(98) Nel dettaglio, qui si registra una domanda di subentro soggetta alla doppia condi-zione di due provvedimenti ablativi (dell’aggiudicazione e del contratto).

(99) Che, per di più, restaura o ricrea « una possibilità di aggiudicazione ancora esisten-te »: cfr. Simonetti, Tutela in forma specifica e tutela per equivalente, cit., p. 674.

(100) V. Cons. Stato, ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, in Giorn. dir. amm., 2011, p. 962 ss,con nota di Cortese. Successivamente, ma anche qui soltanto ad exemplum, Cons. Stato31 ottobre 2012, n. 5556, in wwwdejure.it; Cons. Stato 30 luglio 2012, n. 4309, in Foroamm. Cons. Stato, 2012, p. 1901, e Cons. Stato 2 novembre 2011, n. 5837, in www.deju-re.it.

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tardiva domanda di annullamento, è un parallelismo che rischia di rivelar-si mentitorio. Per inciso, lo schema descritto non è di esclusiva pertinenzadel comparto giusamministrativistico: anche in quella materia societariainvocata spesso, come subito si vedrà, a suggello di una diretta esperibilitàdella tutela risarcitoria, è largamente sperimentata l’idea di una preclusio-ne al risarcimento ogni qualvolta risulti acclarato che un’azione ripristina-toria avrebbe impedito il realizzarsi di quel danno che la mancata impu-gnazione della deliberazione annullabile ha invece reso possibile. La dot-trina si divide tra chi invoca l’art. 1227, comma 2o, e chi preferisce vederenella suddetta preclusione una forma di concretizzazione del divieto di ve-nire contra factum proprium: ma è soltanto una questione di argomentazio-ne, non di risultato (101).

8. – Riguardo invece agli altri argomenti che si è adusi allegare per fon-dare un’autonomia dell’agire in via risarcitoria, vale osservare, nell’ordine:

sub a) chi, per l’appunto, invoca il disposto dell’art. 2377, comma 4o,sulla legittimazione dei soci a domandare il risarcimento dei danni subitida un delibera non conforme alla legge od allo statuto, sembra trascurareche costoro sono quelli che, siccome non possiedono la quota minima diazioni attributiva del diritto di voto, non hanno per legge la legittimazionead una tutela invalidante (102). Nessun concorso, perciò, di rimedi. E loschema di una tutela risarcitoria, alternativa per esclusione di quella c.d.reale, è riprodotto nell’art. 2504 quater, sul risarcimento del danno quan-do l’atto di fusione perché iscritto non è più impugnabile: norma che, asua volta, fa poi da paradigma agli artt. 2500 bis (in materia di trasforma-zione), 2504 novies (per il caso della scissione), 2379 ter, comma 3o (deli-berazioni di aumento o riduzione del capitale e di emissione di obbliga-zioni) e 2434 bis (deliberazioni di approvazione del bilancio) (103). Forse èimproprio ragionare di una conversione ex lege dell’annullamento inun’azione di risarcimento dei danni (104): fatto sta che, ai sensi dell’art.2377, comma 4o, sebbene si abbia un’annullabilità denunziabile, a certisoci è inibito, ov’anche lo volessero, opporla perché (de)legittimati (105).

(101) V., per la prima concezione,D’Alessandro, La tutela delle minoranze tra strumen-ti ripristinatori e strumenti risarcitori, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 713, e Guerrieri, sub art.2377, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, I, Padova, 2005, p. 539, nt.111. La seconda si incontra in Guerrera, La responsabilità « deliberativa » nelle società dicapitali, cit., p. 230 ss.

(102) V., in luogo di tanti, Sacchi, Tutela reale tutela obbligatoria della minoranza, in Ilnuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessae Portale, Torino, 2006, II, p. 155 ss., e Oriani, Il principio di effettività della tutela giuri-sdizionale, cit., p. 64.

(103) V. anche, per effetto dei richiami che fanno all’art. 2377, comma 3o, gli artt. 2388,2409 quater, 2416 e 2447 octies.

(104) Così Tommasini e La Rosa, Dell’azione di annullamento, cit., p. 88. Molto meglio,probabilmente, ragionare di una tutela in termini di indennizzo: v. di Majo, La tutela civi-le dei diritti4, Milano, 2003, p. 418.

(105) V. Trib. Roma 7 luglio 2011, n. 14708, in Giur. comm., 2013, II, p. 274 ss. Sul fattoche la tutela risarcitoria faccia emergere un « interesse sociale contendibile attraverso for-me di negoziazione endosocietaria » v. di Majo, Impugnativa delle delibere assembleari,cit., p. 99.

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Dopodiché, è vero che la giurisprudenza ha trovato modo di statuire che isoci legittimati ad impugnare una delibera assembleare possono doman-dare altresì il risarcimento di quei danni che l’annullamento non riesca ariparare, sulla scorta del rilievo che la « tutela risarcitoria di cui all’art.2377, comma 4o, c.c., non ha carattere eccezionale, né è sostitutiva diquella invalidatoria, [in quanto] concorrente con quest’ultima » (106). Ep-però va pure rilevata la circostanza che i suddetti soci potranno ottenere ilrisarcimento soltanto se pregiudizialmente sarà domandata un’invalidazio-ne della delibera impugnata (107). Gli è infatti che, mentre per i soci di cuiall’art. 2377, comma 4o, non si può fare questione di un risarcimento pre-cluso da un’acquiescenza alla delibera, per chi viceversa non ha impugna-to ma è legittimato a farlo, una deliberazione assembleare non impugnataovvero non più impugnabile va intesa come « equiparata dall’ordinamen-to ad una legittima » (108).Su quest’ultima asserzione, anche a causa della sua eccessiva stringatez-

za, molte perplessità potrebbero certamente fioccare. Ma notare, comeviene fatto (109), che la sussidiarietà della tutela risarcitoria è una regolache deve conoscere delle eccezioni, non incrina il quadro che qui si propo-ne. L’esempio ricorrente, una sentenza che annulli la deliberazione nega-tiva di rigetto del bilancio serve a poco quando i soci ricorrenti rappresen-tino il 50% del capitale azionario perché si limita a rendere possibile laconvocazione di una nuova assemblea nella quale i soci dissenzienti pre-sumibilmente si opporranno ancora, è infatti esattamente un calco del ca-novaccio fin qui delineato: che vede il risarcimento come un rimedio dop-piante l’annullamento quando questo sia inutile (110). Di nuovo quindi unasussidiarietà con la variabile del risarcimento quale surrogato infungibile av-verso una perdita altrimenti ineliminabile (111). Un risarcimento, quale

(106) Così Trib. Catania 10 agosto 2007, in Riv. dir. comm., 2009, II, p. 17 ss. Nella spe-cie, la narrativa del fatto sintetizza quasi alla perfezione il problema del rapporto tra tecni-che diverse di tutela dei diritti, il tribunale etneo si doveva pronunciare su di una domandadi risarcimento danni presentata nei confronti di soci ostruzionisti i quali avevano fatto ri-gettare per ben tre volte consecutive il progetto di bilancio presentato dagli amministrato-ri, provocando così lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento del-l’assemblea.

(107) V., in modo nitido, Guerrera, La responsabilità « deliberativa » nelle società di ca-pitali, cit., p. 233 ss. Più problematico, nel senso che reputa non semplice setacciare il fon-damento sul quale si incista la regola di una sussidiarietà della tutela risarcitoria, si mostraD’Alessandro, Il conflitto di interessi nei rapporti tra socio e società, in Giur. comm., 2007,I, p. 11 s. La pregiudizialità di una tutela invalidante è chiara infine nella pagina di Weig-

mann, Società per azioni, in Digesto IV ed., Disc. priv., Sez. comm., XIV, Torino, 1997, p.396.

(108) V. Trib. Catania 10 agosto 2007, cit.(109) Segnatamente da Cian, Abus d’égalité, tutela demolitoria e tutela risarcitoria, cit.,

p. 407.(110) Ed infatti, come si diceva prima, si parla in realtà di una sussidiarietà da vagliarsi in

concreto, « alla luce dell’interesse leso e dell’idoneità del rimedio demolitorio a reintegrar-lo efficacemente, trattandosi pur sempre (...) di apprezzare la correttezza e la coerenza delcomportamento tenuto dal socio danneggiato »: così Cian, op. loc. ultt. citt.

(111) O in vista di un risultato altrimenti irraggiungibile. Non a caso, proprio nella fatti-specie decisa dal tribunale catanese, la sussidiarietà della tutela risarcitoria avrebbe trovatouna sua precisa ragion d’essere se, a tutela dell’interesse specifico dei soci ricorrenti, vi fos-

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« tecnica di protezione » (112), ammesso per ovviare ad una virtualità di tu-tela dell’interesse leso. Non è vero d’altronde che, se all’annullamento del-l’aggiudicazione illegittima non fa seguito una declaratoria di inefficaciadel contratto, per ragioni imperative « connesse ad un interesse generale »(art. 121 c.p.a.), è il risarcimento per equivalente che torna a recitare ilruolo di rimedio che compensa di un danno inemendabile e permanen-te? (113). La logica amministrativistica di un’inefficacia che da necessariavolge in possibile, talora pure su domanda dell’impresa danneggiata (114),non è ovviamente trapiantabile altrove: ma la circostanza che il destino diun contratto annullabile talora segua la declinazione di una vicenda biva-lente o bifasica, sulla scorta delle esemplificazioni riportate non si puòcerto più scambiare per un unicum.

9. – Ed ancora:b) chi richiama il risarcimento del danno nel caso di un recesso dato-

riale illegittimo tace sul fatto che la giurisprudenza, per la verità piuttostoaltalenante, ammette l’azione di danni solo quando sia preclusa, ad es. perdecadenza, l’impugnativa del licenziamento (115). L’azione risarcitoria didiritto comune supplisce insomma alla circostanza che non si possa agireai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Non a caso il risarcimentosegue i criteri di liquidazione ordinari e non corrisponde al quantum, iviprevisto, rapportato alle retribuzioni non corrisposte. Di nuovo, perciò,nessun concorso indipendente tra forme di protezione.Infine:

c) chi adduce i principi che si leggono in alcuni progetti di soft lawtrascura che gli artt. 8.102 dei PECL e 3.102 del DCFR contemplano síuna cumulations of remedies ma col limite di una compatibilità, ricono-sciuta – per inciso – soltanto quando il cumulo vede insieme l’exceptio ina-

se stato, tramite la sentenza di annullamento, la possibilità di rimuovere la deliberazionenegativa evitando nel contempo lo scioglimento della società. L’interesse dei soci ricorrentiproprio a questo infatti mirava: e la sterilità del rimedio di impugnazione avrebbe giust’ap-punto dovuto comportare una lettura della tutela risarcitoria quale sola tecnica di tutelaidonea a garantire un’effettività di protezione all’interesse leso.

(112) Così Guerrera, La responsabilità « deliberativa » nelle società di capitali, cit., p.224 (c.vo nel testo).

(113) In termini che qui, più propriamente, sono di alternatività tra i due rimedi. Giovaevidenziare che la tutela per equivalente, salvo che non si dia il caso di gravi infrazioni, èrimedio esclusivo nell’ipotesi di infrastrutture strategiche: ai sensi dell’art. 125 c.p.a. Cfr.Simonetti, Tutela in forma specifica e tutela per equivalente nelle controversie relative al-l’affidamento dei contratti pubblici, cit., p. 675.

(114) La quale potrebbe avere interesse, se la parte prevalente dell’opera è stata eseguita,al solo risarcimento dei danni ov’anche la prestazione sia divisibile. A venire in rilievo èquell’art. 1181 c.c., sul diritto del creditore a rifiutare un adempimento parziale, che hatrovato una sponda in Cons. Stato 25 gennaio 2008, n. 213, in Foro amm. Cons. Stato,2008, I, p. 577.

(115) V. Cass. 10 gennaio 2007, n. 245, in Rep. Foro it., 2007, voce Lavoro (rapporto), n.1359, e Cass. 10 marzo 2010, n. 5804, ivi, 2010, voce cit., n. 1393. Ma contra, per l’ideache, se l’onere di impugnare nel termine di sessanta giorni non viene assolto, la decadenzasvolga un effetto preclusivo comprendente le conseguenze risarcitorie di diritto comune,Cass. 3 marzo 2010, n. 5107, per esteso in www.deiure.it e, prima ancora, Cass. 4 maggio2009, n. 10235, ibidem.

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dimpleti contractus e la risoluzione ovvero questa ed il risarcimento. Piùcomplesso il discorso per la CESL: anche se rispetto all’art. 55, rubricatorisarcimento dei danni, e non sub art. 29. Vi si legge – è vero – che la parteavente il diritto di annullare il contratto o che l’abbia perduto per decor-renza dei termini o per convalida può esigere, « indipendentemente dal-l’effettivo annullamento del contratto, il risarcimento del danno subito acausa dell’errore, del dolo, delle minacce o dell’iniquo sfruttamento ».Parrebbe così che, non solo il dolo, ma tutti i vizi abilitano ad una tutelaper equivalente, complementare o alternativa a quella demolitoria. Matrattasi, all’evidenza, di una disposizione in itinere, limitata ai contratti divendita transfrontalieri e contenuta in un regolamento di tipo opzionale.La si può perciò intendere come indice di un sistema in movimento, noncerto come una previsione dotata di una generale azione destrutturante.Di nuovo, dunque, un quadro tutt’al più chiaroscurale.Ricapitolando, allora: la violenza e l’errore non hanno quella natura bi-

cefala che è tipica del dolo. Di conseguenza non sarebbe probante osser-vare la premialità infondata che avrebbe una tutela risarcitoria dell’errantenei casi di cui all’art. 1429, nn. 1 e 3, c.c. È esatto notare che, se l’erroresull’identità dell’altro contraente si è rivelato ex post ininfluente perché ladiversa identità della controparte non ha impedito la realizzazione dell’in-teresse programmato, l’errante che abbia convalidato non si può opportu-nisticamente dolere del vizio in vista di un « surplus che economicamentesi mostra del tutto ingiustificato » (116). E tuttavia l’obiezione non è davve-ro pertinente perché il discorso non si attaglia a quel dolo che indubbia-mente ha una fisionomia anomala unica. Nel contempo è vero che, se unsoggetto è titolare di una pretesa, la sua libertà non si arresta al decidere seagire oppure no ma include anche lo scegliere quale rimedio invoca-re (117). Epperò il concorso tra diverse forme di tutela dev’essere sancito daun’espressa previsione di legge: come nel caso di cui all’art. 1453 c.c. ov-vero nell’ipotesi di cui all’art. 2377, comma 8o, quanto al risarcimento deldanno nonostante la delibera impugnata sia stata sostituita, nell’ottica diun’autotutela rinnovativa che è la stessa società a promuovere (118), daun’altra presa in conformità della legge e dello statuto (119). Insomma, lachoix oppure la « discrasia » (120) tra omessa sentenza di invalidità e risar-cimento del danno dev’essere tipica: e nell’area dei vizi del consenso, toltal’eccezione dell’art. 1440, questa autonomia non risulta contemplata. Salvoil dolo, entro il limite perimetrale di un regime delle restituzioni che siaancora possibile, la tutela demolitoria dell’annullamento rappresenta unprius specifico incontrastato. Non c’è, nel giro di orizzonte del codice subartt. 1441 ss., un altro punto di equilibrio tra tutela in forma specifica e tu-

(116) Sono parole di M. Barcellona, Responsabilità extracontrattuale e vizi della volon-tà contrattuale, cit.

(117) V. Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254, in Foro it., 2009, I, c. 2721 ss.(118) Vanificando così l’interesse ad impugnare seguendo una prospettiva nella quale è

come se la tutela reale si trasformasse ex lege in tutela risarcitoria.(119) Spunti preziosi in Nigro, Tutela demolitoria e tutela risarcitoria nel nuovo diritto

societario, in Riv. società, 2004, pp. 885 s. e 893 s.(120) Così Pagni, La responsabilità della pubblica amministrazione e l’assetto dei rapporti

tra tutela specifica e tutela risarcitoria, cit., c. 2724.

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tela per equivalente. L’invalidità del contratto, se non c’è l’impedimentodi una restituzione antitetica, forgia la fattispecie costitutiva della parte le-gittimata ad impugnare in un solo modo, delineando un risarcimento nellaforma di cui all’art. 1338 c. c.

10. – L’idea di un panaquilismo della tutela civile non è una novitas:c’era già, conviene ricordarlo, nella pagina di Carnelutti (121), a margine diun caso ove si faceva questione di un probabile raggiro in danno di un co-struttore che lamentava di essere stato circuito sulla cubatura dell’edificioda edificare. Secondo il Maestro friulano invalidità del contratto e respon-sabilità del contraente, nell’ipotesi di una « formazione contrattuale ano-mala », « possono coesistere come possono essere disgiunte »: un vizio,anche se incompleto, sempre si presta ad essere causa, « secondo le regolegenerali degli artt. 1151 ss. » di « responsabilità » (122). Quindi, esperibili-tà del risarcimento in absentia oppure ov’anche la tutela ripristinatoria siaidonea a soddisfare l’interesse pregiudicato, oltrepassando una pregiudi-zialità dell’invalidazione.L’immagine carneluttiana, non v’è chi non lo veda, stilizza il prospetto

di una responsabilità extracontrattuale slegata e volta a riequilibrare ilcontratto iniquo: col risultato allora che, sic stantibus rebus, molto banal-mente si dovrà parlare di un contratto del terzo millennio che sta tornan-do (...) a Carnelutti. E tuttavia l’idea di una Subsidiarität des Schadensersa-tzanspruchs, se la si declina in relazione al tipo di interesse leso e sempreche la tutela ripristinatoria specifica non sia asfittica o sterile per l’avvenu-ta modificazione della realtà materiale (123), ha – si spera di averlo eviden-ziato – una sua intrinseca logica.

(121) Osservazioni a Cass. Firenze 19 maggio 1923, in Foro it., 1923, I, c. 605 s.(122) Cfr. Carnelutti, Osservazioni, cit., c. 606.(123) E quindi, lo si ripete, inutile.

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OPERE ORFANE: LA SOLUZIONE EUROPEA [,]

(Dir. 2012/28/UE del Parlamento europeo e del Consigliodel 25 ottobre 2012 su taluni utilizzi consentiti di opere orfane,

in G.U.C.E. L 299 del 27 ottobre 2012)

diCristiana Sappa

(Professeur Assistant a ESCP Europe)

Sommario: 1. Brevi considerazioni introduttive sulle opere orfane: cause e ragioni dell’in-teresse per il tema. – 2. Segue: sulla gestione delle opere orfane: le soluzioni possibili. – 3.La direttiva europea: genesi. – 4. Segue: ambito di applicazione: prime considerazioni. –5. Segue: profili oggettivi e soggettivi – 6. Segue: utilizzi consentiti di opere orfane – 7.Sui limiti alla proliferazione delle opere orfane.

1. – L’appellativo « orfano » ricorre in diversi ambiti della proprietà in-tellettuale. Per esempio nel campo dei brevetti i medicinali orfani sono in-venzioni destinate a curare malattie rare, e quindi con scarsa richiesta sulmercato: anche prezzi di vendita elevati non riuscirebbero a coprire gli alticosti di produzione di questi farmaci e pertanto l’assenza di incentivi sco-raggia gli investimenti sulla commercializzazione di questi brevetti (1). Neldiritto d’autore si qualificano generalmente come orfane le opere di cui ri-sulta eccessivamente oneroso identificare o localizzare (2) i titolari dei re-lativi diritti.Causa delle opere orfane (3) è l’assenza di informazione iniziale o so-

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Sul tema v. Rai, Pharmacogenetic Intervention, Distributed Justice and Orphan Drugs:the Role of Cost-Benefit Analysis, Journal of Social Philosophy and Policy, 2001, p. 246 ss.;Jacchia, Il nuovo regolamento comunitario sui medicinali pediatrici, IDI, 2008, p. 213 ss.V. anche le interessanti considerazioni sul tema più ampio del rapporto tra brevetti, inven-zione ed innovazione: Stres, Non Practising Entities’s and IP Funds. Innovation and Inven-tions in IPR system. A Slovenian case study, Collection of Research Paper of the LL.M inIntellectual Property jointly organized by the WIPO Academy, the ITC-ILO and the To-rino Law School, WIPO Publications, Ginevra, 2012.

(2) O non attendibili secondo WIPO, Report on the Online Forum on Intellectual Pro-perty in the Information Society, WIPO, Ginevra, 1-5 giugno 2005 (prima disponibile sulsito ufficiale www.wipo.int). V. poi Society of American Archivists, Orphan Works: State-ment of best Practices 3, 2009, disponibile su http://www.archivists.org/standards/OWBP-V4.pdf, che parla anche di titolari « non determinabili ». Vi è da notare che il riferimentoalla localizzazione dei titolari dei diritti potrebbe sollevare incertezza giuridica: infatti èpossibile che il titolare dei diritti sia stato localizzato correttamente, ma non intenda ri-spondere alla richiesta del potenziale fruitore; in questa ipotesi si esorbiterebbe dal temadelle opere orfane (v. infra). V. poi De Beer e Bouchard, Canada’s « Orphan Works »Regime: Unlocatable Copyright Owners and the Copyright Board, in Oxford UniversityCommonwealth L. Journal, 2010, p. 215 ss., spec. nt. 3, che precisano che talvolta gli autorinon affiliati ad una società di gestione collettiva sono detti orfani; questo riferimento atec-nico non deve creare confusione con le opere orfane ai sensi di questo lavoro.

(3) Due sarebbero le cause congiunte del problema delle opere orfane: una di matricegiuridica ed una di matrice tecnologica secondo Romano, Attribuzione e revoca dello sta-

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pravvenuta, che può dipendere da diverse ragioni, ed in particolare sem-bra conseguire ad alcuni principi normativi.a) Si pensi per esempio all’assenza di formalità costitutive (4) o necessa-

rie alla circolazione dei diritti. Questo principio da un lato limita l’inge-renza degli stati nella tutela dei creatori (5); agevola l’accesso ad una pro-tezione relativamente debole perché sulla forma e non sul contenuto; esembra corrispondere al mancato interesse di operatori di settore del pas-sato per pubblicizzare gli atti di alienazione (6). D’altro canto ad esso con-segue che ogni opera tutelata è potenzialmente orfana.b) Si pensi poi alle regole di attribuzione ed al principio di indipenden-

za dei diritti patrimoniali, che producono come effetto la frammentazionenecessaria o volontaria delle esclusive (7). La prima interviene in partico-lare per le opere che risultano dalla collaborazione di più soggetti (8), oche sono assoggettabili ad un cumulo di tutele (9); si riscontra per le opereoggetto di atti negoziali con un ente pubblico (10), o conclusi nell’era ana-

tus di opera orfana ovvero nemesi dell’iperprotezionismo, in AIDA, 2013, p. 146 ss. La pri-ma farebbe riferimento all’assenza di formalità costitutive del diritto; la seconda al rilievocentrale delle informazioni nell’ambito digitale, che ha comportato un’intensificazione del-la tutela: su questo secondo punto v. infra 1. a) e c).

(4) Le formalità ai fini della tutela non sono assenti da sempre nei vari ordinamenti, co-me spiega Rosloff, « Some rights Reserved »: Finding the Space Between All Rights Reser-ved and the Public Domain, in Columbia J. of Law and the Arts 2009, p. 5 ss.; ma ancheVan Gompel, Formalities in Copyright Law: An Analysis of Their History, Rationales andPossible Future, The Hague, 2011. Sulle ragioni dell’assenza di formalità costitutive nel di-ritto d’autore v. Falce, La modernizzazione del diritto d’autore, Torino, 2012, spec. p. 79ss., che ne ripropone una rilettura in particolare in ragione della diffusione delle opere acontenuto informativo.

(5) Ricolfi, Il diritto d’autore, in Abriani, Cottino e Ricolfi, Diritto industriale, III,Padova, 2001, p. 338 ss.; Ginsburg e Ricketson, International Copyright and Neighbou-ring Rights2, New York, 2006, p. 322; Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore,Roma, 2010, p. 70; v. anche alcuni spunti in Spolidoro, Eccezioni e limitazioni, in AIDA,2007, p. 184 ss.

(6) Sul punto già Piola Caselli, Codice del diritto di autore, Torino, 1943, p. 534 ss.; eCogo, I contratti di diritto d’autore nell’era digitale, Torino, 2010, p. 76.

(7) Sulla frammentazione volontaria e necessaria Ricolfi, Il diritto d’autore, cit., p. 485ss. Sulla moltiplicazione dei titolari dei diritti conseguente alla frammentazione delle esclu-sive disciplinata dal Copyright Act del 1976 nel diritto statunitense v. Litman, Sharing andStealing, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cf.m?abstract_id=472141, spec. p. 18 ss.

(8) Ipotesi che permea sempre più la società della conoscenza è quella delle opere cherisultano da collaborazioni informali e diffuse, come per esempio pagine web, blogs, i cuiautori possono essere anche centinaia. Riporta questo esempio Lifshitz-Goldberg, Or-phan Works, WIPO Seminar, Lecture summary, maggio 2010, http://www.wipo.int/edocs/mdocs/sme/en/wipo_smes_ge_10/wipo_smes_ge_10_ref_theme11_02.pdf.

(9) Specialmente se complesse, come le banche dati, spesso composte di materiale tute-labile ed eventualmente protette da dispositivi tecnici o Digital Rights Management(DRM). Basti pensare ad un catalogo di fotografie accessibile on-line, ma non riproducibi-le.

(10) Per esempio in Italia l’art. 29, l. n. 633/41 che indica che: « La durata dei dirittiesclusivi di utilizzazione economica spettanti, a termini dell’art. 11, alle amministrazionidello stato, al partito nazionale fascista, alle provincie, ai comuni, alle accademie, agli entipubblici culturali nonché agli enti privati che non perseguano scopi di lucro, è di vent’annia partire dalla prima pubblicazione, qualunque sia la forma nella quale la pubblicazione èstata effettuata. Per le comunicazioni e le memorie pubblicate dalle accademie e dagli altri

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logica ed in vigore anche in quella digitale, o ancora stipulati precedente-mente ad un’estensione della tutela per un periodo che succede al terminedella protezione iniziale (11). La frammentazione volontaria interviene in-vece in ragione dell’esistenza di diritti esclusivi indipendenti ed autonomidi cui si può disporre per esempio trasferendoli in modo anche parzia-le (12), contemporaneo o succedaneo, per atti inter vivos o mortis causanon necessariamente conclusi in forma scritta (13) ed il cui aggiornamentoè raramente reso pubblico. A tutto ciò consegue che le possibilità di scon-trarsi con il fenomeno delle opere (almeno parzialmente) orfane sono sta-tisticamente molto elevate (14).c) Si pensi poi ancora al principio di territorialità, che determina la leg-

ge applicabile alle opere sfruttate: e cioè quella del paese in cui un’opera èsfruttata almeno per la determinazione del contenuto della tutela e dellacircolazione dei diritti; e poi (probabilmente) quella del paese di originedell’opera per la definizione dell’oggetto della tutela e nell’identificazionedei titolari dei diritti. Il principio è in chiara tensione con la tendenza allacircolazione delle opere, in particolare nella realtà digitale. E cioè più sa-ranno le leggi applicabili alle opere in campo e maggiori potranno esserele difficoltà di interpretazione delle norme in materia di identificazionedei titolari dei diritti (15).Nonostante quanto appena indicato suggerisca che il problema delle

opere orfane esiste sin dall’introduzione della tutela d’autore, esso ha pre-

enti pubblici culturali tale durata è ridotta a due anni; trascorsi i quali, l’autore riprendeintegralmente la libera disponibilità dei suoi scritti ». Questa norma si pone in contrastocon l’accentramento dei diritti presso l’ente pubblico committente per l’intera durata dellatutela perché trascorsi i vent’anni dalla pubblicazione i diritti tornano presumibilmente incapo all’autore. Peraltro l’effetto di incertezza giuridica che deriva di questa norma è par-ticolarmente ampio: si sollevano infatti quesiti anche in merito a licenze non revocabili co-me le Creative Commons-Attribution: quid una volta decorsi i vent’anni previsti dall’art.29, l. n. 633/41?

(11) Il trasferimento delle esclusive è infatti limitato alle modalità di sfruttamento cono-sciute al momento della conclusione di un atto negoziale; con l’introduzione del digitale siè pertanto verificata una scissione tra diritti ceduti e diritti mantenuti dai titolari e creatoriche avevano concluso contratti nell’era puramente analogica. Allo stesso modo l’estensio-ne temporale della tutela non implica una corrispondente estensione della durata delle ces-sioni o concessioni, bensì comporta in via di principio il recupero dei diritti da parte delcreatore una volta trascorso il periodo prepattuito.

(12) Per esempio nel caso in cui un autore abbia trasferito i diritti esclusivi a soggetti di-versi e si sia riservato il diritto consultazione o di veto per ogni licenza che il cessionariovoglia firmare. Cfr. Ginsburg, Recent Developments in US Copyright Law: Part I – Or-phan Works, in RIDA, 2008, 217, p. 98 ss., spec. p. 118. In questa ipotesi chiaramente i co-sti sostenuti dal primo cessionario sono particolarmente elevati.

(13) V. per esempio le norme tedesche in materia: artt. 31 ss UrhG.(14) Van Gompel, Unlocking the Potential of Pre-Existing Content How to Address the

Issue of Orphan Works in Europe?, IIC, 2007, p. 669 ss. Sulla moltiplicazione dei titolaridei diritti conseguente all’introduzione del principio di frammentazione delle privative delCopyright Act del 1976 negli Stati Uniti v. Litman, Sharing or Stealing, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cf.m?abstract_id=472141, spec. p. 18 ss.

(15) In via marginale sembra che anche il cambiamento di confini di una nazione possaavere un effetto sulle opere orfane secondo Ginsburg, Contracts, Orphan Works, inWithin the Boundaries of Intellectual Property. Innovation Policy for the Knowledge Society,a cura di Dreyfuss, Zimmerman e First, New York, 2010, part III, p. 15 ss.

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potentemente attirato l’attenzione di studiosi e legislatori solo di recen-te (16). Diverse ragioni principali sembrano poter spiegare perché l’inte-

(16) Come dimostrano i testi espressamente dedicati alle opere orfane consultati per lastesura di questo lavoro: US Copyright Office, Report on Orphan Works, 15 gennaio 2006,http://www.copyright.gov/orphan/orphan-report-full.pdf; (su commissione di HM Treasu-ry), Gowers Review of Intellectual Property, 2006, http://www.official-documents.gov.uk/document/other/0118404830/0118404830.pdf; British Screen Advisory Council, Copyrightand theOrphanWorks, 31 agosto 2006, http://www.bsac.uk.com/reports/orphanworkspaper.pdf; IVIR, Recasting of Copyright and Related Rights for the Knowledge Economy, no-vembre 2006, http://www.ivir.nl/publications/other/IViR_Recast_Final_Report_2006.pdf;Commission française pour la relance de la politique culturelle, Livre blanc pour la relancede la politique culturelle, 22 febbraio 2007, http://bat8.inria.fr/;lang/orphan/documents/france/LivreblancCPRC.pdf, p. 69 ss.; CSPLA, Commission sur les oeuvres orphelines. Rap-port, 19 marzo 2008, http://www.culture.gouv.fr/culture/cspla/rapoeuvor08.pdf; CSPLA,Commission sur les oeuvres orphelines. Avis, 10 aprile 2008, http://www.cspla.culture.gouv.fr/CONTENU/avisoo08.pdf; Commissione Europea, Livre vert sur le droit d’auteurdans l’économie de la connaissance, http://www.ec.europa.eu/internal_market/copyright/docs/copyright-infso/greenpaper_fr.pdf; Vetulani, The Problem of Orphan Works in theEU: An Overview of Legislative Solutions and Main Actions in This Field, Report preparedfor the EC, DG Information Society and Media, Unit E4: Digital Libraries and Public SectorInformation, febbraio 2008, http://ec.europa.eu/information_society/activities/digital_libraries/doc/reports_orphan/report_orphan_v2.pdf; i2010: Digital Libraries. High LevelExpert Group – Copyright Subgroup, Final Report on Digital Preservation, Orphan Worksand Out-of-Print Works, 3 giugno 2008, http://www.ifap.ru/library/book305.pdf. In dottri-na ex multis: Brito e Dooling, An Orphan Work Affirmative Defense to Copyright In-fringment Actions, in Mich. Telecomm. Tech. Law Review, 2005, p. 75 ss.; Hickman, CanYou Find A Home For This « Orphan » Copyright Work? A Statutory Solution For Copyri-ghted-Protected Works Whose Owners Cannot Be Located, in Syracuse Law Rev., 2006, p.123 ss.; Huang, U.S. Copyright Office Orphan Works Inquiry: Finding Homes for the Or-phans, in Berkley Tech. Law Journal, 2006, p. 265 ss.; Van Gompel, Unlocking the Poten-tial of Pre-Existing Content: How to Address the Issue of Orphan Works in Europe?, cit., p.669 ss.; Khong, Orphan Works, Abandonware and the Missing Market for CopyrightedGoods, in Int. Journal of Law and Inf. Tech., 2007, p. 54 ss.; Sherman, Cost and ResourceAllocation Under the Orphan Works Act of 2006: Would the Act Reduce Transaction Costs,Allocate Orphan Works Efficiently and Serve the Goals of Copyright Law?, in Virginia Jour-nal of Law and Tech., 2007, p. 121 ss.; Ginsburg, Recent Developments in US CopyrightLaw: Part I – Orphan Works, cit., p. 98 ss.; Bronder, Note, Saving the Right Orphans: theSpecial Case of Unpublished Orphan Works, in Columbia Journal of Law & Arts, 2008, p.409 ss.; Piriou, Les « oeuvres orphelines »: en quête de solution juridique, in RIDA, 2008,pp. 218, 3 ss.; Fabiani, Opere orfane e diritti orfani, in IDA, 2009, p. 225 ss.; Ferry-Fall,La tentation de la dépossession: les oeuvres orphelines, in RLDI, 2009, supplemento al n. 49contenente gli atti del convegno: La propriété littéraire et artistique en quête de sens, Parigi,26 marzo 2009, p. 10 ss.; Van Gompel, Rights Clearance for Orphan Works, in Harmoni-zing European Copyright Law: the Challenges of Better Lawmaking, a cura di Guibault eHugenholtz, Amsterdam, 2009; Ginsburg, Contracts, Orphan Works, cit., p. 15 ss.;Khong, The (Abandoned) Orphan-Works Provision of the Digital Economy Bill, in EIPR,2010, p. 560 ss.; Lang, Orphan Works and the Google Books Search Settlement as Copyri-ght Reform, in NY Law School Law Review, 2011, p. 116 ss.; Samuelson, The GoogleBook Search Settlement as Copyright Reform, in Wisconsin Law Review, 2011, p. 479 ss.,spec. p. 483; Pollaud-Dulian, Utilisations autorisées des oeuvres orphelines, in RTDCom., 2012, p. 782 ss.; Bellani, Orphan work in cerca d’autore, in Riv. dir. aut., 2013, p.262 ss.; Carraro, Le opere orfane nella prospettiva delle formalità constitutive e pubblicita-rie, in AIDA, 2013, p. 107 ss.; Derieux, Oeuvres orphelines ou état de déshérence?, in RL-DI, 2013, p. 10 ss. V. anche WIPO, Report on the Online forum on Intellectual Property inthe Information Society, cit., dove si menziona che le opere orfane meritano attenzione « infavor of an enriched public domain ».

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Opere orfane

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resse verso queste opere è sempre apparso tiepido, ha quasi improvvisa-mente raggiunto un picco nell’ultimo decennio e risulta attualmente cre-scente.a) Una prima ragione è correlata allo sviluppo tecnologico a cui conse-

gue la facilità d’archiviazione e d’accesso alle opere, il loro sfruttamentointenso e di massa; questa componente tipica dell’era digitale deriva damolteplici e talvolta nuove modalità di fruizione delle opere, in tempi ce-leri ed a basso costo. Questo momento storico da un lato ha abituato gliutenti a cambiare con frequenza i formati di fruizione delle opere (17) ed’altro canto ha favorito la consapevolezza dell’alto potenziale anche eco-nomico di informazioni e contenuti. Ciò significa anche che nella societàdell’informazione ogni ostacolo tecnico o giuridico all’utilizzo di creazionidell’ingegno è percepito in modo amplificato dagli operatori del mercatoin particolare e dalla collettività in generale (18), poiché indice di unosfruttamento insufficiente delle risorse a disposizione e quindi con conse-guenti ricadute economiche e sociali negative. In questo contesto ci si èaccorti dell’elevato numero di opere attualmente orfane (19), delle relativedifficoltà di sfruttamento e delle conseguenti implicazioni che questo fe-nomeno può avere sullo sviluppo di una società (20).b) Una seconda ragione è correlata ai nuovi soggetti intermediari inte-

ressati alla fruizione di opere. In particolare le istituzioni culturali hannodi recente intrapreso iniziative di sfruttamento delle opere collezionate ul-teriori rispetto all’archiviazione ed esposizione intra muros. Sempre piùmusei, biblioteche ed archivi si avvalgono della tecnologia per realizzare ipropri scopi istituzionali, e cioè la preservazione e l’ampia diffusione del-l’informazione sul patrimonio culturale. A questo fine i soggetti qui men-zionati tentano di digitalizzare le proprie collezioni sulle quali raramentedetengono i diritti: questa attività ha permesso loro di scoprire le numero-se opere orfane esistenti e le relative difficoltà di sfruttamento. E cioè pri-ma dell’era della digitalizzazione di massa del patrimonio culturale, le isti-tuzioni culturali riuscivano più facilmente ad eludere i problemi connessi

(17) V. Hansen, Orphan Works: Causes of the Problem, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2038068, spec. p. 9. La proliferazione dei formati avrebbe implica-zioni sull’aumento delle opere orfane.

(18) La rete ha infatti comportato l’attenuazione della distinzione tra imprenditori edutenti senza scopi commerciali. Sul punto Ricolfi, Il diritto d’autore, cit., p. 338 ss.

(19) Le opere orfane costituirebbero almeno il 40% delle opere esistenti secondo Vetu-

lani, The Problem of Orphan Works in the EU, cit., p. 8 ss. V. anche in questo senso BritishLibrary, Orphan Works and Mass Digitization, http://pressandpolicy.bl.uk/imagelibrary/downloadMedia.ashx?MediaDetailsID=635. Se si contano le opere non publicate commer-cialmente, chiaramente i numeri aumentano. V. Hansen, Orphan Works: Definitional Is-sues, cit., p. 10, in particolare su libri, foto e audiovisivi. Ed anche Vuopala, Assessment ofthe Orphan Works Issue and Costs for Rights Clearance, Report for the European Commis-sion 2010, http://ec.europa.eu/information_society/activities/digital_libraries/doc/reports_orphan/anna_report.pdf.

(20) Ma v. Hansen, Orphan Works: Definitional Issues, cit., p. 8 ss., che nota l’assenzadi stime esatte in materia e dunque sottolinea la necessità di sviluppare studi sul numeroeffettivo di opere orfane attualmente presenti e sulle reali implicazioni economiche e socia-li del fenomeno; queste indagini infatti servirebbero per identificare eventuali soluzioni adhoc.

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allo sfruttamento delle opere orfane (21); i costi relativi all’identificazionedei titolari dei diritti erano affrontati dagli intermediari tradizionali delmercato in modo puntuale ed in altri contesti; e non è possibile sapere concertezza quante volte questi operatori rinunciassero all’utilizzo oppure as-sumessero il rischio derivante da uno sfruttamento non autorizzato. Di-versamente oggi le istituzioni culturali sembrano potersi facilmente anno-verare tra gli intermediari che mirano ad agevolare la fruizione di esem-plari digitali delle opere collezionate, con la peculiarità di non disporredei finanziamenti necessari per le attività preliminari di right clearance.Questo ragionamento sembra poter essere esteso anche alle pubblicheamministrazioni ed agli enti pubblici in generale, che sempre più spessointraprendono iniziative di messa a disposizione di dati pubblici on-lineper favorirne l’accesso ed un ampio riutilizzo.c) Una terza ragione è correlata al trend protezionistico che ha caratte-

rizzato la proprietà intellettuale principalmente negli ultimi decenni, e piùprecisamente all’ampliamento dell’oggetto della tutela ed all’intensifica-zione del suo contenuto (22). Nel corso degli anni infatti sempre più opere,prestazioni o investimenti sono rientrati nell’oggetto della tutela. L’am-pliamento dell’oggetto della tutela esclusiva ha comportato una crescita diopere potenzialmente orfane; in particolare queste si rivelano in alcunisettori con più frequenza rispetto ad altri; e sembra che proprio negli am-biti raggiunti più tardi dal diritto d’autore la proliferazione di opere orfa-ne sia più sostanziale: per esempio le opere audiovisive (23) o fotografichee le fotografie semplici risultano più frequentemente orfane rispetto allecomposizioni musicali (24). In particolare le attività principalmente econo-miche di sfruttamento di immagini nel campo multimediale, oltre che au-diovisivo hanno avuto una crescita esponenziale grazie alla tecnologia di-gitale per le ragioni accennate nel paragrafo a) (25). Anche per questo in-termediari tradizionali e nuovi hanno preso coscienza delle dimensioni delfenomeno delle opere orfane. Inoltre l’intensificazione della tutela ha in-fluenzato l’interesse nei confronti delle opere orfane: in particolarel’estensione del diritto di comunicazione al pubblico alla messa a disposi-zione, la stretta perimetrazione delle libere utilizzazioni, l’introduzione dinuove forme di protezione, la possibilità di cumulo delle tutele, ma anchel’allungamento della durata del diritto hanno contribuito a ridurre i mar-gini di azione dei fruitori di opere senza previo consenso e contempora-

(21) Sul tema in generale mi si permetta di rinviare a Sappa, La propriété littéraire et ar-tistique au service des institutions muséales à l’ère du numérique. Analyse comparée en droitfrançais et italien, Lille, 2011, 1 ss. In particolare sull’adattamento del diritto positivo perfavorire lo sfruttamento intra muros delle opere di alcune istituzioni culturali, v. la Partie Idel lavoro.

(22) Ed anche – per esempio – all’abolizione delle formalità inizialmente richieste per latutela dall’ordinamento statunitense. Sul punto v. Hansen, Orphan Works: Causes of theProblem, cit., p. 2 ss.

(23) Sembra che una delle ragioni principali sia fallimento delle società che le distribui-scono e alle quali spesso appartengono almeno alcuni dei diritti di sfruttamento.

(24) Vetulani, The Problem of Orphan Works in the EU, cit., p. 7.(25) Mallet-Poujol, La création multimédia et le droit, Parigi, 2003, p. 20, definisce la

creazione di opere multimediali come « golosa » di immagini.

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neamente ad aumentare le possibilità di trovarsi di fronte ad opere orfa-ne (26). A questo proposito si nota che il fenomeno delle opere orfanesembra maggiormente diffuso con riferimento alle opere non pubblicate ea quelle meno recenti: più è lunga la vita dell’opera, più aumentano le pos-sibilità di disperdere l’informazione relativa alla titolarità dei diritti (27).

2. – Le opere orfane pongono anzitutto un problema di gestione, chealcuni ordinamenti hanno voluto risolvere adottando soluzioni specifichein materia, oppure applicando principi de iure condito al fenomeno,mentre altri paesi stanno ancora studiando le possibili strade da percor-rere (28). Le diverse soluzioni in campo sembrano snodarsi sulla base dielementi comuni. Anzitutto le iniziative politiche in materia paiono sem-pre mirare ad un obiettivo principale: l’equilibrio tra l’interesse della col-lettività di avere più opere a disposizione, quello degli utenti in buonafede a poterne fruire, quello degli autori ad essere riconosciuti comecreatori delle opere, e quello dei titolari dei diritti a non subire un’ecces-siva circoscrizione della tutela (29). In secondo luogo le definizioni diopere orfane adottate nei diversi disegni e testi di legge sono alquantoomogenee, e questo ha forse il vantaggio di limitare eventuali conflitti inuna prospettiva internazional-privatistica (30). In terzo luogo una ricercaqualificata (31) appare sempre come condizione necessaria per la qualifi-cazione di opera orfana; questa condizione richiede che l’utente abbiaintrapreso (in vano) ogni iniziativa possibile per identificare o localizzare

(26) Caso, I libri nella « tempesta perfetta »: dal copyright al controllo delle informazionidigitali, in Riv. crit. dir. priv., 2013, p. 97 ss., riconduce il problema delle opere orfane allalunga durata della tutela. V. però Hansen, Orphan Works: Causes of the Problem, cit., p.7, il quale nota che negli Stati Uniti le opere non pubblicate inizialmente erano protetteper un tempo perpetuo, mentre dall’introduzione del Copyright Act del 1976 sono stateassoggettate a termini di protezione più brevi. Sul tema in generale v. A. Reese, Public butPrivate: Copyright’s New Unpublished Public Domain, in Texas Law Review 2007, p. 585ss., spec. pp. 605 e 606.

(27) Come riprovano gli esempi di Hickman, Can You Find A Home For This « Or-phan » Copyright Work?, cit., p. 123 ss. Hansen, Orphan Works: Causes of the Problem,cit., p. 7. Peraltro ci si chiede anche se le opere meno recenti siano ancora protette o giàcadute in pubblico dominio. E cioè l’età dell’opera ha diverse implicazioni in termini dicertezza del diritto.

(28) V. la descrizione dello status quo (precedente all’introduzione della direttiva sulleopere orfane) di Van Gompel, Rights Clearance for Orphan Works, cit.

(29) In questo senso i2010: Digital Libaries. High Level Expert Group – Copyright Su-bgroup, Report on Digital Preservation, cit.; e Hansen, Orphan Works: Mapping the Possi-ble Solution Spaces, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2019121.

(30) Se la nozione di opera orfana non fosse comune nei diversi ordinamenti, le diversedefinizioni accolte dovrebbero essere almeno mutualmente riconosciute. V. sul puntoi2010: Digital Libaries. High Level Expert Group – Copyright Subgroup, Report on Digi-tal Preservation, cit., pp. 8 e 14 ss., che sottolinea in particolare che un’interoperabilità trastati membri UE è auspicabile. Così anche Vetulani, The Problem of Orphan Works inthe EU, cit., p. 13. In ragione della facile circolazione transfrontaliera dell’informazione edelle opere, sembra che la nozione di opera orfana dovrebbe essere identica o interopera-bile in tutta l’area UE e EEE, ma anche al di fuori di essa.

(31) Secondo Ginsburg, Contracts, Orphan Works, cit., p. 15 ss., una ricerca non qua-lificata escluderebbe la compatibilità di una tutela non esclusiva delle opere orfane con ilprimo requisito del three step test (che fà riferimento a « certain and special cases »).

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i titolari dei diritti; la valutazione della ragionevolezza della ricerca è ten-denzialmente rimessa alla discrezionalità del giudice ed a ciò conseguenaturalmente una benché minima incertezza giuridica che potrebbe forseessere limitata dal legislatore attraverso l’introduzione di linee guida o al-tri strumenti non vincolanti con riferimento a categorie di opere specifi-che (32). In quarto luogo i diversi ordinamenti giuridici condividono lacompressione del diritto come soluzione al fenomeno, che però realizza-no seguendo impostazioni differenti (33).a) Una prima impostazione risolve il fenomeno ex post. Per esempio la

soluzione statunitense attenua sanzioni ed altre misure riparatorie nel casoin cui i titolari dei diritti riappaiano e siano contrari ad un utilizzo del-l’opera senza previo consenso già avvenuto o in corso (34); più precisa-mente in questa ipotesi: sono esclusi i punitive damages, è previsto un sem-plice indennizzo a favore dei titolari dei diritti, e l’inibitoria dello sfrutta-mento decorre da una data successiva al loro ritorno. Si tratta di una solu-zione che valorizza la buona fede degli utilizzatori che svolgono ricerchedei titolari secondo i criteri di serietà e ragionevolezza prestabiliti. Essasembrerebbe condivisibile in quanto facilita lo sfruttamento di opere conricadute positive sulla produzione culturale. Tuttavia ci si chiede se i prin-cipi anche internazionali della proprietà intellettuale siano rispettati: daun lato alcuni autori sostengono che le regole rilevanti in materia contenu-te nell’accordo TRIPs e nella Convenzione di Berna siano de minimis enon impediscano l’introduzione di liability rules di questo tipo (35); d’altrocanto però il margine che questo sistema lascia alla creazione di opere de-rivate a scapito del consenso dei titolari dei diritti è spesso criticato (36); ead ogni modo questa soluzione non sarebbe applicabile in Europa in ra-gione della dir. 2004/48/CE sull’enforcement (37).

(32) Questa impostazione da un lato non impone condizioni troppo stringenti ed onero-se agli utenti, ma d’altro canto l’assenza di parametri ex ante per considerare la serietà del-la ricerca lascia un margine di incertezza presso i fruitori di opere che sembra avere un im-patto in termini di trasparenza e partecipazione democratica alla produzione culturale:quando un utente non è certo di cosa si può fare, nel dubbio non agisce secondo Radin,Incomplete Commodification in the Computerized World, in Commodification of Informa-tion, a cura di Elkin-Koren, Weinstock e Netanel, L’Aia, 2002, p. 3 ss., spec. p. 9. V.anche Hetcher, Orphan Works and Google’s Global Library Project, in Wake Forest In-tell. Prop. Law Journal 2007, p. 5 ss., che nota che se il criterio della ragionevolezza rimanevago, la norma risulta inapplicabile. Le linee guida potrebbero anche essere redatte a livel-lo supra-nazionale per evitare un panorama eccessivamente frammentato a livello naziona-le e locale. Sul quadro attuale UE v. infra nt. 54 e 55.

(33) Queste impostazioni sono talvolta introdotte da iniziative istituzionali e talvolta dainiziative di rappresentanti di categorie di soggetti interessati. V. sul punto la ricostruzioneesaustiva di Van Gompel, Rights Clearance for Orphan Works, cit.

(34) Questa soluzione è stata introdotta con due Bills nel 2008, tuttora oggetto di valu-tazione del Copyright Office. Questa attenzione rivela che la questione è delicata e sembraanche essere stata legata alle vicende giudiziarie di Google. Sul punto per tutti Hansen,Orphan Works: Mapping the Possible Solution Spaces, cit., p. 2 ss.; e Van Gompel, RightsClearance for Orphan Works, cit.

(35) Ginsburg, Contracts, Orphan Works, cit., p. 15 ss.(36) Piriou, Les « oeuvres orphelines »: enquête de solution juridique, cit., p. 90.(37) Ed inoltre v. Radin, Incomplete Commodification in the Computerized World, cit.,

p. 9.

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b) Una seconda impostazione risolve il problema ex ante, comprimendoil diritto esclusivo attraverso due tecniche differenti.La prima è quella di avviare un sistema di licenze che possono essere

in via alternativa centralizzate, collettive, obbligatorie o estese. La solu-zione delle licenze amministrate si adotta introducendo un organo ad hocal quale è confidata la gestione dei diritti; in particolare quest’autoritàpotrebbe rilasciare licenze agli utenti che provino di aver condotto in va-no ricerche ragionevoli ed in buona fede dei titolari dei diritti su opereoggetto del loro interesse (38). La soluzione delle licenze collettive obbli-gatorie imporrebbe a tutti i creatori una gestione da parte della società digestione collettiva (SGC) competente (39). La soluzione delle licenze col-lettive estese rimetterebbe la gestione dei diritti su determinate opere oper determinati usi ad una SGC competente; più precisamente la SGCgestirebbe anche i diritti dei creatori non associati ad essa, a meno chequesti non richiedano esplicitamente di poter uscire dal sistema (opt-out). Quest’ultima soluzione applicata da tempo nei paesi scandinavi peralcuni tipi di sfruttamento delle opere dell’ingegno e almeno per un pe-riodo estesa anche alle opere orfane (40) sembrerebbe ad oggi quella pre-ferita dalla dottrina (41), in particolare perché contrariamente alla primaopzione qui menzionata non comporterebbe costi relativi all’introduzio-ne di un’autorità ad hoc; e forse diversamente dalla seconda sembrerebbein linea con i principi del diritto internazionale (42). Quale che sia la so-luzione adottata le norme in merito dovrebbero specificare alcune que-stioni di dettaglio, come per esempio l’eventuale revocabilità delle licen-ze nel caso in cui riappaia il titolare dei diritti o se l’utente non ne rispet-

(38) Il Canada ha scelto questa soluzione introducendo un’autorità amministrativa indi-pendente che gestisce in modo centralizzato le richieste degli utenti e concede licenze nonesclusive per opere orfane canadesi. L’Ungheria sembra aver introdotto un modello simile.Per un’analisi dettagliata sul Board Canadese v.De Beer e Bouchard, Canada’s « OrphanWorks » Regime: Unlocatable Copyright Owners and the Copyright Board, cit., che discuto-no i costi relativi all’introduzione di questo tipo di sistema e le questioni che ancora riman-gono aperte.

(39) Alcuni paesi sembrano aver adottato questa soluzione ricorrendo ad una società digestione collettiva, ma anche ad un’autorità competente. V. per esempio gli artt. 67 e 70,comma 1o, della legge sul diritto d’autore giapponese disponibile in inglese su http://www.cric.or.jp/cric_e/clj/cl2_2.html#cl2_2+S8. Così anche in Israele come suggerisce Li-

fshitz-Goldberg, Orphan Works, cit. In Francia la definizione di opera orfana è conte-nuta nell’art. 2 della l. n. 287/12, che introduce un sistema di licenze collettive estese perl’utilizzo digitale dei libri indisponibili del ventesimo secolo; tuttavia questa disciplina nonpare estendersi anche alle opere orfane che ad oggi sembrerebbero assoggettate agli artt. L122-9 e L 211-2 del code de la propriété intellectuelle secondo cui il giudice ordinario di-sporrà sulla gestione dei diritti.

(40) Van Gompel, Rights Clearance for Orphan Works, cit. In generale sulle licenze col-lettive estese nei paesi scandinavi v. Koskinen e Olsson, Collective Management in theNordic Countries, in Collective Management of Copyright and Related Rights, a cura di Ger-vais, New York, 2006, p. 257 ss.

(41) Per tutti Van Gompel, Rights Clearance for Orphan Works, cit. V. anche da ultimoTorremans, Ginsburg, Ficsor, Rosen, Walter, Marzano e Bouchard, OrphanWorks – Compatibility with the Draft Directive with the International Norms, http://www.copyrightseesaw.net/archive/?sw_10_item=21.

(42) Ma sulla compatibilità delle licenze obbligatorie col diritto internazionale v. Gin-

sburg, Contracts, Orphan Works, cit., p. 15 ss.

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ti i termini; o anche le eventuali modalità di cessione delle licenze con-cesse ad un utente.La seconda tecnica è quella di introdurre una libera utilizzazione speci-

fica (43). Questa soluzione sembrerebbe in linea con i principi del dirittointernazionale ed in particolare con il three step test (44). Nei paesi membriUE il legislatore nazionale non avrebbe potuto introdurre questa eccezio-ne in ragione della lista esaustiva di eccezioni e limitazioni al contenutodella tutela prevista all’art. 5 della dir. 2001/29/CE; la prerogativa spetta-va al legislatore europeo, che non ha aggiunto un’eccezione alla lista oramenzionata, ma ha introdotto un’eccezione ad hoc attraverso la dir. 2012/28/UE.

3. – Da qualche anno le istituzioni comunitarie cercavano una soluzionesoddisfacente per agevolare lo sfruttamento (ad alcune) delle opere orfa-ne (45). Dapprima il 10o considerando della racc. 2006/585/CE (46) sulladigitalizzazione ed accessibilità on-line del materiale culturale e sulla con-servazione digitale incoraggiava gli stati membri ad introdurre meccani-smi di concessione di licenze in materia; poi le Conclusioni del ConsiglioEuropeo 2006/C297/01 del 13 novembre 2006 sempre sulla digitalizza-zione e accesso on-line del materiale culturale e la preservazione digita-le (47) invitavano gli stati membri a migliorare le condizioni generali per la

(43) Sulla possibilità di far rientrare alcune fruizioni delle opere orfane nel fair use v.Hansen, Orphan Works: Mapping the Possible Solution Spaces, cit. Sul tema specifico V.poi Sag, Orphan Works as Grist for the Data Mill, http://ssrn.com/abstract=2038889, se-condo cui la riproduzione di massa di opere anche orfane rientrerebbe nel fair use: questoautore argomenta la sua tesi sostenendo che l’elaborazione ed estrazione di dati automaticasarebbero utilizzazioni non espressive e quindi rientrerebbero nel fair use, così come la ri-produzione preliminare necessaria dei dati in quanto non pubblica.

(44) A condizione di determinare con esattezza il caso speciale al quale si applicherebbel’eccezione. Ginsburg, Copyright, Contracts, cit., p. 15 ss., sottolinea che il primo scalinodel three step test non è necessariamente soddisfatto se la ricerca dei titolari è valutata co-me seria e ragionevole con troppa generosità, e se rientrano nella nozione anche le operenon divulgate (più sono i possibili beneficiari dell’eccezione, più ci si allontana da « deter-minati casi speciali »).

(45) Dapprima nel contesto della strategia i2010, come riprova la descrizione di Vetu-lani, The Problem of Orphan Works in the EU, cit., p. 15 ss. V. sul tema anche Ricolfi,Copyright Policy for Digital Libraries in the Context of the i2010 Strategy, http://cms.communia-project.eu. E poi anche nella Comunicazione della Commissione Europea alParlamento ed al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo ed al Comitato del-le Regioni, Digital Agenda For Europe, del 19 maggio 2010, disponibile su http://ec.europa.eu / information_society / digital-agenda / documents / digital-agenda-communication-en.pdf,spec. pp. 9 e 37. V. sui provvedimenti che hanno preceduto l’emanazione della direttivaCogo, I contratti di diritto d’autore nell’era digitale, Torino, 103, nt. 247.

(46) La seconda parte del 10o considerando indica che: « I meccanismi di concessionedelle licenze in casi quali quello delle « opere orfane » – vale a dire opere soggette a dirittod’autore per le quali è impossibile o particolarmente arduo determinare chi siano i titolaridei diritti – e quello delle opere fuori stampa o non più distribuite (audiovisivi) possonofacilitare la gestione dei diritti e di conseguenza le attività di digitalizzazione e la loro suc-cessiva accessibilità on-line. È pertanto opportuno incoraggiare tali meccanismi in strettacollaborazione con i titolari dei diritti ».

(47) Disponibile sulla gazzetta ufficiale dell’UE http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2006:297:0001:0005:IT:PDF.

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digitalizzazione del materiale culturale ai fini dell’accessibilità on-line ed arafforzare il coordinamento tra di essi sulle questioni correlate. In attesadi un testo normativo, un gruppo di lavoro istituito nell’ambito delle ini-ziative per la strategia i2010 redigeva nel 2008 un rapporto dal valore nonvincolante, ma fonte di ispirazione per iniziative legislative ulteriori: inquesto rapporto si annoveravano i principi generali e spunti per soluzionidi cui al paragrafo 2 che precede. Si può osservare che tutti i testi di questilavori preparatori rinviano in modo più o meno diretto al materiale cultu-rale ed in particolare al contenuto di collezioni appartententi ad istituzioniculturali, suggerendo che questo fosse il campo in cui un’azione era ri-chiesta in via prioritaria. Le iniziative a seguire confermavano poi questoapproccio. Nell’ambito della strategia Europa 2020, finalizzata ad unacrescita intelligente, sostenibile ed inclusiva (48), il 24 maggio 2011 infattila Commissione Europea emanava una proposta di direttiva su alcuni usidelle opere orfane (49). Il 25 ottobre 2012, questa proposta diventava poil’attuale dir. 2012/28/UE su taluni utilizzi delle opere orfane.Attraverso i lavori preparatori ed il testo della direttiva che ne risulta si

evince così che l’intento del legislatore europeo si incastona in un proget-to culturale finalizzato principalmente alla realizzazione di un grande por-tale europeo nel quale confluiranno in formato digitale alcune opere con-servate in istituzioni culturali pubbliche: Europeana (50). Ne consegue chequesta direttiva, che dovrebbe essere recepita dagli stati membri entro il29 ottobre 2014, risolve solo parzialmente il fenomeno qui analizzato perle ragioni che si tenterà di spiegare nei paragrafi che seguono.

4. – La dir. 2012/28/UE disciplina alcuni utilizzi di alcune opere i cui ti-tolari non sono individuabili o rintracciabili e più precisamente liberalizzaa determinate condizioni la riproduzione e la messa a disposizione di ope-re orfane collezionate nell’ambito di istituzioni culturali ed altri enti conmissione di interesse pubblico (51). Con questi riferimenti il legislatore eu-ropeo circoscrive l’ambito di applicazione della direttiva qui studiata.La disciplina si applica infatti alle opere qualificabili come orfane per-

ché i titolari non risultano individuabili o rintracciabili in seguito ad unaricerca diligente svolta in buona fede (52) da parte del potenziale fruitore,

(48) Disponibile su http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm.(49) La proposta di direttiva è disponibile sul sito ufficiale della CE http://eur-lex.

europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0289:FIN:EN:PDF.(50) Il 1o e il 2o considerando della direttiva qui studiata indicano infatti che fra le prio-

rità europee vi è l’esigenza di promuovere la libera circolazione della conoscenza e l’inno-vazione del mercato interno, valorizzano il ruolo che biblioteche e altri istituti svolgononell’opera di digitalizzazione su vasta scala di opere dell’ingegno e illustrano il progetto co-munitario di Europeana.

(51) Pur lasciando impregiudicate modalità di gestione dei diritti come licenze collettiveestese o presunzioni legali di trasferimento adottate e concordate in uno stato membro, co-me suggerisce il 24o considerando della direttiva.

(52) Una ricerca secondo questi parametri è prevista anche in altri paesi, come per esem-pio il Canada, su cuiMusso, Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie ed artistiche,in Comm. Scialoja-Branca, Bologna, 2008, p. 363 ss.; gli Stati Uniti, su cui Ginsburg, Re-cent Developments in US Copyright Law, cit., p. 5. Ed era fortemente voluta da alcuni paesieuropei prima dell’introduzione della direttiva qui studiata: v. in Francia, CSPLA, Com-

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non invece quelle per cui è molto difficile ottenere il consenso per l’utiliz-zo anche dopo aver identificato e localizzato i titolari dei diritti (53). L’art.3 della direttiva offre un ausilio interpretativo qualificando come diligentela ricerca che avvenga su fonti appropriate (54), e cioè quelle indicate nel-l’allegato della norma, come per esempio le banche dati costruite per esi-genze di deposito legale, o detenute da società di gestione collettiva, o an-cora da associazioni di editori per libri o produttori per opere audiovisive.L’introduzione dell’opera all’interno di queste fonti non è tuttavia obbli-gatoria, così che la visura di queste banche dati non sembrerebbe risoluti-va per l’acquisizione di informazioni sui titolari dei diritti (55). Lo status diorfana ha poi termine quando i titolari dei diritti sull’opera o sul fono-gramma riappaiono per rivendicarne l’esercizio, attraverso una revoca lecui modalità dovrebbero essere regolamentate dal legislatore naziona-le (56); così, i titolari possono richiedere un equo compenso per gli usi già

mission sur les oeuvres orphelines. Rapport, cit., pp. 10 e 16; ma anche in Danimarca edin Ungheria, su cui informa Zuddas, Espressioni culturali tradizionai e opere orfane nel-l’era della rete: spunti dalla direttiva 28/2012/UE, in I battelli del Reno, http://www.ibattellidelreno.it/reno/index.php?option = com_docman&task = cat_view&gid =36&limit=5&limitstart=5&order=hits&dir=DESC&Itemid=29, 15, nt. 39.

(53) Diversamente il Google Books Search Settlement fà riferimento alle opere che nonsono commercialmente disponibili e copre quindi un insieme più ampio rispetto a quellodelle opere orfane così come appena definito. Sul punto Hansen, Orphan Works: Defini-tional Issues, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1974614&, p. 5. Questaprecisazione offre uno spunto. Ci si chiede infatti se almeno in alcuni casi la questione del-le opere orfane non potrebbe essere affrontata in un’ottica del diritto antitrust e più preci-samente della teoria delle essential facilities. E quindi ci si chiede se la giurisprudenza cheha compresso i diritti esclusivi di proprietà intellettuale in alcune ipotesi di rifiuto di licen-ze sia applicabile anche alle opere orfane strictu sensu ed alle opere non commercialmentedisponibili secondo il riferimento del Google Book Settlement. Anche ad ammettere un’in-terpretazione ampia dei principi giurisprudenziali del diritto della concorrenza e quindiestendere alle opere non commercialmente disponibili e orfane, questa soluzione generalenon sembrerebbe particolarmente adatta ad iniziative di digitalizzazione di massa. Ne è ri-prova il fatto che nessun ordinamento ha sino ad oggi pensato di adottarla. V. l’analisi in-centrata sul diritto antitrust di Picker, The Google Book Search Settlement: A New Or-phan-Works Monopoly, http://www.law.uchicago.edu/Lawecon/index.html, secondo ilquale grazie alla opt-out class action della Author Guild, Google sembrerebbe avere dirittianche sulle opere orfane; pertanto sarebbe opportuno liberare queste opere con appositelicenze.

(54) Ed anche secondo criteri geografici ragionevoli, come suggeriscono l’art. 3 ed il 15o

considerando della direttiva. Peraltro, in un’ottica di collaborazione tra stati, la ricerca di-ligente dovrebbe anche essere agevolata da una banca dati contenente informazioni sulleopere qualificate come orfane ed ogni relativa modifica del loro status che l’Ufficio perl’armonizzazione del mercato interno di Alicante (UAMI) dovrebbe costituire e gestire aisensi del 16o considerando della direttiva.

(55) Romano, Attribuzione e revoca dello status di opera orfana ovvero nemesi dell’iper-protezionismo, cit., p. 146 ss. L’autore ritiene inoltre che le modalità specifiche affinchéuna ricerca possa essere diligente verranno poi individuate a livello nazionale. Ed è pertan-to verosimile che un rigore diverso possa essere adottato nei vari stati membri per un me-desimo risultato: la qualifica come opera orfana in tutto il territorio UE. Ci pare allora chealcuni quesiti di diritto internazionale privato rimangano irrisolti non solo a livello interna-zionale, ma anche in seno all’UE. V. anche supra nt. 32.

(56) V. il 18o considerando. In dottrina ancora Romano, ibid., suggerisce che per porrefine all’utilizzazione legittimata dall’eccezione introdotta dalla direttiva qui studiata, non

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avvenuti e lecitamente sottratti al proprio consenso (57), e ripristinano ilparadigma proprietario tipico dei diritti di proprietà intellettuale per ognisfruttamento posteriore al loro manifestarsi ed alla revoca (58).La disciplina riguarda poi (solo alcune del)le opere che sono ancora tu-

telate dal diritto d’autore o dal diritto connesso sulla produzione dei fono-grammi. Non riguarda invece le opere che non raggiungono i requisiti ditutela previsti dalla normativa sui diritti d’autore (59) e connessi e, più ingenerale, quelle in pubblico dominio (60). Non riguarda le opere anonime,né quelle pseudonime (61). L’art. 2 della direttiva esclude poi dalla disci-plina le opere parzialmente orfane, e cioè quelle risultanti da una molte-plicità di contribuzioni creative e per cui solo qualche titolare dei dirittinon è identificabile o rintracciabile (62). E ancora il 12o considerando della

sarà sufficiente che il titolare dei diritti si palesi, bensì sarà necessario ottenere la revocadello status di opera orfana, e quindi compiere un passaggio ulteriore rispetto al sempliceesercizio dei propri diritti. Le modalità di questo passaggio ulteriore non sono però spie-gate dalla direttiva.

(57) V. 18o considerando della direttiva.(58) In questo senso sembra il Rapporto ALAI, Oeuvres orphelines. Compatibilité du

projet de directive avec les normes internationales, in http://www.alai.org/assets/files/resolutions/avis-oeuvres-orphelines.pdf.

(59) Giordano, L’ambito di applicazione della direttiva europea 2012/28 sulle orphanworks, in AIDA, 2013, p. 130 ss.

(60) Benché queste opere possano essere coperte dal diritto morale e da eventuali altridiritti di diversa derivazione e natura. Si pensi in particolare al diritto all’immagine di sog-getti riprodotti in quotidiani o riviste, o alle norme sulla tutela dei beni culturali.

(61) CSPLA, Commission sur les oeuvres orphelines, Rapport, 19 marzo 2008, cit., p. 8,spiega che non si possono far rientrare le opere anonime nella categoria diversa delle opereorfane, in ragione delle implicazioni finanziarie conseguenti al rientro in pubblico dominiodelle prime, che si calcola secondo criteri specifici e diversi rispetto a quelli relativi alleopere orfane. È pur vero che le opere anonime presentano alcune affinità con le opere or-fane: per esempio entrambe possono dipendere da un atto volontario dei creatori anche ti-tolari dei diritti. Sottolinea che le opere anonime derivano da una scelta arbitraria dell’au-tore Fabiani, Opere orfane e diritti orfani, in IDA, 2009, p. 225 ss. Inoltre in entrambi i ca-si lo status delle opere è reversibile: per le opere anonime sempre in seguito ad un’iniziati-va discrezionale dell’autore anche non titolare dei diritti patrimoniali; per le opere orfanenel momento in cui i titolari dei diritti (ri)appaiono per gestirli, come sottolinea CSPLA,Commission sur les oeuvres orphelines, Rapport, 19 marzo 2008, cit., p. 8. Tuttavia le even-tuali difficoltà di fruizione di opere orfane ed anonime non sono assimilabili; per queste ul-time infatti sono previste norme capaci di sbloccare possibili impedimenti allo sfruttamen-to, come per esempio l’art. 9 l. n. 633/41 secondo cui il soggetto che pubblica per primol’opera ha diritto di far valere i diritti dell’autore anonimo. Sugli argomenti che giustifica-no un trattamento disparitario tra opere anonime, pseudonime e orfane v. anche Romano,Attribuzione e revoca dello status di opera orfana ovvero nemesi dell’iperprotezionismo, cit.,p. 146 ss., secondo cui in particolare l’inerzia dell’esercizio del diritto (di proprietà intel-lettuale) comporta conseguenze anche rilevanti.

(62) Parte dell’analisi sulle opere orfane sembrerebbe potersi estendere anche alle operedi collaborazione i cui titolari sono almeno in parte identificabili; tuttavia il legislatore eu-ropeo suggerisce una via diversa forse nel tentativo di circoscrivere un’eventuale disciplinaspecifica al fenomeno e rinviare per quanto possibile ai principi generali del diritto civile.V. l’art. 2 della direttiva oggetto di quest’analisi e già il 14o considerando della proposta didir. del 24 maggio 2011 da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo su certiusi consentiti delle opere orfane, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0289:FIN:IT:PDF. Nello stesso senso v. anche l’art. 2 della l. francese n. 287/12sullo sfruttamento digitale dei libri indisponibili del XXmo secolo.

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medesima direttiva suggerisce l’esclusione dall’ambito di applicazionedelle opere non divulgate (63). Infine, secondo il 4o considerando esorbita-no dall’ambito d’applicazione della direttiva le opere fuori commercio,cioè quelle opere che non sono più a disposizione nei canali commerciali,indipendentemente dagli esemplari presenti nelle biblioteche o in mercatid’antiquariato o di seconda mano (64).Questa disciplina introdotta dalla direttiva concerne solo le opere tute-

late ed i trasferimenti dei diritti e gli atti conclusi dal 29 ottobre 2014 inpoi: e cioè alla data limite di recepimento del testo nei diversi stati mem-

(63) Per le ragioni in generale v. Bronder, Note, Saving the Right Orphans: the SpecialCase of Unpublished Orphan Works, in Columbia Journal of Law & Arts 2008, p. 409 ss.Sembra infatti ragionevole pensare che l’autore abbia un interesse legittimo a determinarese e con quali modalità il proprio lavoro può essere diffuso presso un pubblico; e cioè ladivulgazione di un’opera da parte di un terzo senza previo consenso del creatore risulte-rebbe in contrasto con la terza condizione del three step test, oltre che con il diritto moraledi divulgazione tipico di alcuni ordinamenti. Sul diritto morale v. per esempio l’art. L121-2 del Code de propriété intellectuelle francese; ed anche App. Parigi 23 giugno 2000,Propriétés Intellectuelles, 2001, p. 60 ss., che suggerisce che questo diritto non si esauriscein seguito alla prima divulgazione in una forma determinata e dunque conferisce una tutelaintensa all’autore anche dopo il suo decesso. Ma contra: App. Parigi 14 febbraio 2001, ibid.Sul three step test di cui all’art. 11 dell’Accordo TRIPs (e in diritto interno art. 71 l. n. 633/41) v. Ginsburg, Recent Developments in US Copyright Law: Part I – Orphan Works, cit.;e Id., Contracts, Orphan Works, cit., p. 15, che trova un argomento a supporto di questatesi nell’art. 10, comma 2o, TRIPs, il quale prevede un’eccezione di citazione solo per i te-sti già a disposizione del pubblico; l’autrice si premura di distinguere tra opere non divul-gate e non pubblicate, specificando che il secondo insieme è una species del primo e solo leopere mai divulgate rimangono escluse dalla nozione di opere orfane; questo ragionamen-to sembra potersi estendere anche al diritto europeo ed a quello italiano. L’autrice ritieneinoltre che i legittimi interessi degli autori deceduti rispetto alle proprie opere non divul-gate debbano ritenersi compressi rispetto all’interesse della collettività a poter trarre bene-ficio dalla divulgazione postuma di un’opera orfana. E similmente, gli interessi legittimi diquesti autori deceduti non sembrerebbero irragionevolmente pregiudicati in caso di digi-talizzazione, in particolare a fini di preservazione, di opere non divulgate che esistono soloin alcuni archivi ad accesso limitato. Per esempi de iure condito v. il Copyright Act del Ca-nada, sec 77(1)(a). Sul punto cf. Van Gompel, Unlocking the Potential of Pre-ExistingContent, cit., spec. p. 693. L’attuale Bill americano sulle opere orfane non prevede dispo-sizioni sulle opere non divulgate, come nota Bronder, Note, Saving the Rights Orphans,cit., p. 409 ss. In questo senso v. anche British Library – Copyright Subgroup, OrphanWorks and Mass Digitization, http://www.bl.uk/ip/pdf/orphanworks.pdf.

Almeno in parte diverso è il discorso sulla pubblicazione: la direttiva qui studiata siestende anche alle opere non pubblicate (ma già divulgate). Sottolinea le implicazioni diquesto trattamento paritario Hansen, Orphan Works: Definitional Issues, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1974614&, nt. 10.

(64) Una definizione è fornita dal Memorandum d’intesa sui principi relativi alla digita-lizzazione e messa a disposizione di opere fuori commercio, firmato a Bruxelles, il 20 set-tembre 2011, da rappresentanti di biblioteche, autori, editori e società di gestione colletti-va europei, alla presenza della Commissione europea, e consultabile in http://ec.europa.eu/internal_market/copyright/docs/copyright-infso/20110920-mou_en.pdf. La direttiva quistudiata lascia impregiudicato questo memorandum d’intesa che disciplina così lo sfrutta-mento di alcune opere fuori commercio. La scelta di rinviare a schemi di licenza su basevolontaria e quindi l’esclusione delle opere fuori commercio è stata voluta dagli editoriperché la loro pubblicazione in formato digitale avrebbe potuto causare una perdita diprofitti non facilmente quantificabile per questi operatori del mercato. Sul punto, Lüder,The « orphan works » challenge, in GRUR Int., 2010, p. 678 ss. V. anche supra nt. 55.

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bri. Fino ad allora sembrano perciò restare in vigore le soluzioni talvoltaadottate dai legislatori nazionali dei paesi UE (65).In tutti questi termini la direttiva qui studiata sembra rispettare il prin-

cipio di proporzionalità. L’affievolimento così circoscritto del diritto pa-trimoniale costituirebbe infatti un ragionevole punto di equilibrio tra gliinteressi in campo: quello generale alla diffusione della conoscenza e quel-lo particolare degli autori e titolari dei diritti ad essere remunerati per losfruttamento delle proprie opere (66).

5. – Più difficili da comprendere rimangono le delimitazioni oggettive esoggettive indicate nella direttiva. L’intervento cauto ed affatto invasivodel legislatore europeo che mira a soddisfare il principio di proporziona-lità solleva tuttavia dubbi sul rispetto del principio di non discriminazio-ne (67).Sotto un profilo oggettivo la direttiva qui analizzata riguarda infatti rivi-

ste, libri, quotidiani, rotocalchi ed altre pubblicazioni; e cioè opere lette-rarie, individuate non in funzione del genere, ma della forma utilizzata perla loro pubblicazione (68). La direttiva copre poi le opere cinematografi-che o audiovisive ed i fonogrammi ed inoltre le opere o i contenuti incor-porati o inclusi nelle opere summenzionate. L’art. 1, comma 3o specificache tutte queste opere devono essere state pubblicate o trasmesse nell’UE,oppure rese pubblicamente accessibili presso i locali dei beneficiari dellaliberalizzazione qui studiata con il consenso dei titolari dei diritti. Diver-samente la direttiva non riguarda le opere fotografiche e le opere d’arte fi-gurativa e plastica (69). Così come non riguarda i prodotti culturali tutelatida diritti connessi diversi dai fonogrammi: ad esempio le interpretazionidi opere, le fotografie semplici, le editiones principes, le edizioni critiche ele banche dati (70). Eppure le considerazioni sulle opere che la direttivaqualifica come orfane potrebbero certamente estendersi ad opere fotogra-fiche e d’arte grafica o plastica ed anche ragionevolmente in certa misuraai prodotti culturali esclusi dalla norma (71).

(65) Come le licenze collettive estese in Danimarca, gli artt. L 122-9 e L 211-2 du code depropriété intellectuelle in Francia, il § 137l UrhG Übergangsregelung für neue Nutzungsar-ten in Germania.

(66) Sul tema v. le considerazioni di Giordano, L’ambito di applicazione della direttivaeuropea 2012/28 sulle orphan works, cit., p. 130 ss.

(67) Giordano, ibid., p. 130 ss., suggerisce anche dubbi sul criterio di ragionevolezza.(68) Ancora Giordano, ibid., p. 130 ss.(69) Come sottolinea Mansani, Proprietà intellettuale e giacimenti culturali, in AIDA,

2013, p. 117 ss.; e ancora Giordano, cit., ibid., p. 130 ss. Questo significa che la riprodu-zione e messa a disposizione di queste opere potrà avvenire in ragione di altre eventuali ec-cezioni, come per esempio quella prevista dall’art. 5, comma 3o, lett. a), dir. 2001/29/CE erecepita in Italia dall’art. 70.1 bis l. n. 633/41. E per quanto riguarda le sole opere fotogra-fiche, alla luce del 24o considerando della direttiva qui studiata, forse una soluzione potreb-be anche essere trovata attraverso un’interpretazione estensiva della presunzione legale dicui all’art. 89 l. n. 633/41.

(70) Sulla ricostruzione dei criteri che permettono di identificare alcune esclusive comediritti connessi, Bertani, Impresa culturale e diritti esclusivi, Milano, 2001.

(71) Sull’esempio di CSPLA, Commission sur les oeuvres orphelines, Rapport, 19 marzo2008, http://www.culture.gouv.fr/culture/cspla/rapoeuvor08.pdf, 9, che riguarda sia le ope-

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Sotto un profilo soggettivo solo alcuni sarebbero i beneficiari della libe-ra utilizzazione: più precisamente la proposta si riferisce a istituti di istru-zione, biblioteche e musei pubblicamente accessibili, inoltre ad archivi,istituti per il patrimonio cinematografico o sonoro ed emittenti di serviziopubblico. La direttiva si applica a condizione che le iniziative di questisoggetti beneficiari siano finalizzate a conseguire gli obiettivi connessi allaloro missione di interesse pubblico. Questo requisito sembra potersi in-terpretare nel senso di includere nell’ambito di applicazione della diretti-va solo i soggetti pubblici che perseguono istituzionalmente un interessepubblico in quanto articolazioni di uno stato o di un ente pubblico terri-toriale (72).Da un punto di vista operativo si constata che solo una (minima) parte

di opere orfane cade sotto la disciplina della direttiva. Da un punto di vi-sta teorico invece ci si chiede la ratio del trattamento non paritario traopere di natura diversa all’interno delle istituzioni beneficiarie della liberautilizzazione; ed anche se una disciplina differente per alcune istituzioniculturali e soggetti con missione di servizio pubblico da un lato ed entiprivati e pubblici in generale dall’altro sia davvero giustificabile alla lucedel principio di non discriminazione (73).

6. – L’art. 6 della direttiva sulle opere orfane introduce un’eccezione aidiritti di riproduzione e di messa a disposizione previsti dalla dir. 2001/29/CE a beneficio di alcuni soggetti. Più precisamente lo sfruttamento èliberalizzato quando mira a permettere iniziative in linea con la missionedi interesse pubblico di digitalizzazione, indicizzazione, catalogazione,conservazione, restauro e concessione dell’accesso a fini culturali o forma-

re che i prodotti culturali orfani. In dottrina Van Gompel, Rights Clearance for OrphanWorks, cit., fà riferimento ai diritti connessi di artisti-interpreti, produttori di fono e video-grammi e organismi di radiodiffusione, ma non ai diritti su edizioni critiche, fotografiesemplici, ecc. Questa assenza dipende probabilmente dal fatto che la tutela attraverso undiritto connesso dei prodotti culturali da ultimo menzionati non è imposta a tutti i paesiUE da norme comunitarie e pertanto non è stata introdotta in ogni singolo stato. Parte del-la dottrina dunque tende a far riferimento solo ai diritti connessi tradizionalmente ricono-sciuti ed armonizzati nei vari stati membri UE, ed a tralasciare le forme di tutela non pre-viste dai propri ordinamenti di provenienza.

(72) Giordano, L’ambito di applicazione della direttiva europea 2012/28 sulle orphanworks, cit., p. 130 ss., individua tre argomenti a supporto di questa posizione: il carattereeccezionale delle limitazioni dei diritti d’autore e la conseguente interpretazione restrittivadi queste; l’art. 6, comma 4o, e i 21o e 22o considerando della direttiva sulle opere orfaneche, facendo riferimento a partners privati, sembrano indicare che la norma si applica aisoli soggetti pubblici; il 20o considerando della direttiva sulle opere orfane che sembra suf-fragare l’accezione dell’espressione « missione di interesse pubblico » quale quella di sog-getti pubblici o incaricati di un servizio pubblico che svolgono istituzionalmente un’attivi-tà di conservazione del patrimonio culturale, così come definita da ogni stato. Il secondoed il terzo argomento paiono convincenti, mentre il primo argomento solleva qualche dub-bio, anche alla luce della lettura di Angelicchio, Spunti sistematici sulle utilizzazioni libe-re, nota a Trib. Roma 13 ottobre 2004, in AIDA, 2005, p. 569 ss.

(73) Tenuto conto delle sempre più frequenti iniziative di messa a disposizione dei datipubblici intraprese dagli enti pubblici e dall’evoluzione delle norme in materia: v. peresempio le norme del codice dell’amministrazione digitale.

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tivi di opere o fonogrammi collezionati dai soggetti di cui all’art. 1 delladirettiva qui studiata.Per quanto riguarda la riproduzione e messa a disposizione per finalità

di digitalizzazione o conservazione non sembrano sorgere particolari pro-blemi interpretativi. Per quanto riguarda la riproduzione per finalità di in-dicizzazione o catalogazione invece la dottrina si è chiesta se le attività co-me il data-mining o text-mining, che richiedono atti di riproduzione deicontenuti per estrarne informazioni tramite specifiche tecniche analiti-che (74), siano coperte dall’eccezione: una risposta positiva avrebbe il me-rito di agevolare i beneficiari della liberalizzazione nell’adozione di talitecniche sui propri contenuti digitalizzati (75).Qualche parola merita di essere spesa su riproduzione e messa a dispo-

sizione ai fini di concedere l’accesso alle opere orfane. Un’attività prelimi-nare di riproduzione risulta spesso funzionale a mettere un’opera a dispo-sizione, e cioè accessibile dal pubblico nel momento e nel luogo che pre-ferisce: in altri termini, al fine di mettere un’opera on-line è necessariocompiere prima un upload di questa su un server. Una prima considerazio-ne riguarda allora il rapporto tra riproduzione e messa a disposizione:quest’ultima è possibile proprio perché la direttiva impone agli stati mem-bri di liberalizzare anche la prima (76). Una seconda considerazione ri-guarda la possibilità di mettere le opere a disposizione in via indiretta, ecioè non attraverso l’uploading sul server dell’istituzione beneficiaria del-l’eccezione, ma attraverso un collegamento ipertestuale: un link che rinviialla pagina iniziale del sito all’interno del quale vi è l’opera da mettere adisposizione oppure direttamente all’opera saltando la pagina iniziale chela ospita. Questa affermazione offre lo spunto per due quesiti. i) Ci sichiede anzitutto se la messa a disposizione di un’opera per via indiretta sialecita; sembrerebbe che non vi sia alcuna violazione del diritto d’autorequando le opere alle quali si rinvia sono state messe a disposizione in reteda parte di chi ne aveva il diritto e non vi sono misure che escludono lapossibilità di collegamenti ipertestuali (77). ii) Ci si chiede poi se sia possi-bile mettere a disposizione le opere orfane tramite collegamenti iperte-

(74) Questi esempi rientrerebbero nell’automated text processing, definito in Borghi eKarapapa, Copyright and Mass Digitization, Oxford, 2013, p. 45 ss.

(75) Montagnani, Le utilizzazioni delle opere orfane, in AIDA, 2013, p. 162 ss.(76) Ed evita così che a livello nazionale vi sia un quadro giuridico non pienamente coe-

rente: l’esempio tipico è quello che risulta dalla lettura combinata degli artt. 68, comma 2o,e 71 ter l.a. Il primo liberalizza la riproduzione nel solo formato analogico; il secondo lamessa a disposizione su terminali ad hoc delle istituzioni culturali; ne consegue che solo leopere collezionate dalle istituzioni culturali che siano già digitalizzate possono essere mes-se a disposizione su terminali dislocati nei propri locali espositivi, poiché questi soggettinon beneficiano di un’eccezione di riproduzione adeguata. La ragione di questa discrepan-za è il carattere facoltativo del recepimento della lista di eccezioni previste dalla dir. 2001/29/UE: e più precisamente si parla qui delle eccezioni di cui all’art. 5, comma 3o, lett. n),ma anche art. 5, comma 2o, lett. c), della direttiva del 2001. Sul tema amplius Mezzetti,Deposito legale, diritto d’autore e digitalizzazione, in Archivi e biblioteche d’Italia, 2007, p.22 ss.; e Sappa, op. cit., p. 151 ss.

(77) Corte giust. CE 13 febbraio 2014, causa 466/12, Nils Svensson, Sten Sjogren, Made-leine Sahlman c. Retriever Sverige AB, disponibile sul sito ufficiale www.curia.eu, sembraconfermare questa impostazione.

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stuali anche quando queste siano ospitate su server di terzi che per esem-pio ne abbiano realizzato la digitalizzazione e messa a disposizione tramiteaccordi di partenariato. La dottrina sembrerebbe dare una risposta positi-va alla domanda (78); tuttavia l’art. 6, comma 2o della direttiva qui analiz-zata specifica che la concessione dell’accesso è relativa ad « opere e fono-grammi contenuti nella propria collezione »: e cioè secondo un’interpre-tazione restrittiva della norma, ogni soggetto beneficiario della direttivapuò rinviare alle sole opere orfane collezionate presso i propri locali,eventualmente digitalizzate e messe a disposizione sul portale di Europea-na o da altri terzi, ma non ad opere orfane di altre collezioni (79). Una ter-za considerazione riguarda gli usi consentiti delle opere orfane digitalizza-te e messe a disposizione: è possibile accedere a queste opere per semplicifinalità culturali o formative, ma non per fruirne in modo più ampio; equindi per esempio la creazione di opere derivate non è liberalizzata; e al-lora sembra di poter dire che la direttiva da un lato non pare mettere gliutenti della rete nelle condizioni di sfruttare il reale potenziale di questeopere nell’era digitale, e d’altro canto non si direbbe pienamente in lineacon la strategia UE 2020, che annovera tra i suoi punti cardine la diffusio-ne e il riutilizzo di informazioni pubbliche, tra cui rientrano anche le ope-re di alcuni soggetti sopra menzionati o certamente molte opere orfa-ne (80).Sotto un profilo economico vi sono da aggiungere ancora due elementi

su alcune disposizioni della direttiva qui studiata. Anzitutto i beneficiaridell’eccezione possono sfruttare la riproduzione e messa a disposizioneper generare entrate al solo scopo di coprire i costi sostenuti per queste at-tività. Si può allora immaginare che l’accesso alle opere orfane digitalizza-te non sia gratuito; che il costo a carico di chi ha interesse all’accesso siapresumibilmente determinato dall’istituzione che ha intrapreso l’iniziati-va; e che questa lo determini in via discrezionale, benché con un tetto al-l’altezza della spesa sopportata per l’iniziativa. Questa misura sembra in li-nea con l’intento di incoraggiare la messa a disposizione del più gran nu-mero di opere possibile, anche da parte delle istituzioni più scettiche perragioni di incertezza economica, oltre che giuridica. In secondo luogol’art. 6, comma 4o della direttiva sulle opere orfane indica che la libertàcontrattuale dei beneficiari dell’eccezione non è pregiudicata, in partico-

(78) Montagnani, Le utilizzazioni delle opere orfane, cit., p. 167 ss.(79) Questa interpretazione sarebbe poco auspicabile da un punto di vista della politica

del diritto. Tuttavia sembra in linea con altre norme eccezionali, come l’art. 5, comma 3o,lett. n), dir. 2001/29/CE che liberalizza la messa a disposizione di opere su terminali adhoc a condizione che queste siano collezionate dalle istituzioni culturali che si cimentanoin questa iniziativa. A ben vedere quanto precede è in linea con la dottrina che sostiene chenonostante quanto annunciato nei primi consideranda, la direttiva sulle opere orfane non èpensata per progetti di digitalizzazione su larga scala. Sul punto v. Montagnani, Le uti-lizzazioni delle opere orfane, cit., p. 167 ss.

(80) V. in tema i lavori delle reti tematiche LAPSI e LAPSI 2.0, www.lapsi-project.eu.Sul punto mi si permetta di rinviare a Sappa, Les utilisations autorisées des oeuvres orphe-lines, certains principes fondamentaux et les objectifs du législateur européen. Regard croisésur les directives 2012/28/UE, 2003/98/CE et 2013/37/UE, in Les humanités numériques,Paris, 2014, in corso di pubblicazione.

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lare per quanto riguarda gli accordi di partenariato pubblico-privato; que-ste convenzioni sono tipicamente stipulate da soggetti privati che si cari-cano dei costi relativi alla digitalizzazione e messa a disposizione delleopere in cambio di alcuni vantaggi economici, come per esempio la possi-bilità di sfruttare anche commercialmente i formati digitali ottenuti, tal-volta in via esclusiva (81); tuttavia le disposizioni specifiche della direttivanon sembrano incoraggiare realmente la stipulazione di questi accordi: in-fatti il 22o considerando della direttiva pare suggerire che il privato che sti-puli un tale accordo possa ottenere vantaggi reputazionali (82), ma non di-ritti « a utilizzare le opere orfane o a controllarne l’utilizzo »; d’altro can-to, ancora in un’ottica di tutela delle istituzioni culturali e con missione diinteresse pubblico, lo stesso considerando specifica che un accordo di par-tenariato non dovrebbe imporre alcuna restrizione ai beneficiari della di-rettiva per quanto riguarda il loro utilizzo delle opere orfane.

7. – La direttiva qui studiata non si esprime su possibili soluzioni fina-lizzate a limitare la proliferazione delle opere orfane. Tuttavia alcune con-siderazioni sul tema sembrerebbero opportune.Come accennato sembra che le cause delle opere orfane siano legate

principalmente alla mancanza di informazione sui titolari dei diritti. Sem-bra inoltre che il numero di opere orfane potrebbe diminuire grazie all’in-troduzione di una registrazione ai fini della tutela (83). Di primo acchitoquesta formalità si direbbe in conflitto di con le attuali norme internazio-nali, e più precisamente con l’art. 5, comma 2o della Convenzione di Ber-na (CUB) (84), ora incorporato nell’accordo TRIPs e quindi vincolante nei

(81) Google è uno degli attori principali delle istituzioni culturali nella stipulazione dicontratti di partenariato. Un inquadramento dei contratti di digitalizzazione di massa sti-pulati da Google è offerto da Frosio, Google Books Rejected: Taking the Orphans to theDigital Public Library of Alexandria, in Santa Clara Computer and High Technology LawJournal 2011, p. 81 ss. Sui problemi che questi accordi di partenariato sollevano: Monta-

gnani, Le utilizzazioni delle opere orfane, cit., p. 167 ss., la quale si sofferma anche suaspetti relativi al diritto della concorrenza. E Mansani, Proprietà intellettuale e giacimenticulturali, cit., p. 117 ss.

(82) Montagnani, Le utilizzazioni delle opere orfane, cit., p. 167 ss.(83) Comité des sages, The New Renaissance, Rapporto, http://ec.europa.eu/information_

society/activities/digital_libraries/doc/refgroup/final_report_cds.pdf « future orphan worksmust be avoided. Some form of registration should be considered as a precondition for a fullexercise of rights. A discussion on adapting Berne convention on this point in order to makeit fit for the digital age should be taken up in the context of WIPO and promoted by theEC ». In dottrina sulla funzione dei diversi registri quali strumenti per contrastare la caren-za di informazioni sulle opere Bellani, Orphan work in cerca d’autore, cit., p. 262 ss.

(84) A meno di ritenere che la CUB possa essere interpretata alla luce del droit coutu-mier internazionale nel quale rientra la Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del1969 (CVDT); ed in particolare di leggere l’art. 5, comma 2o, CUB alla luce dell’art. 62,comma 1o, CVDT, secondo cui: « Un fondamentale mutamento delle circostanze che si siaprodotto in relazione a quelle che esistevano al momento della conclusione di un trattato eche non era stato previsto dalle parti, non può essere invocato coma motivo per porre ter-mine al trattato o per ritirarsi da esso, a meno che: a) l’esistenza di tali circostanze non ab-bia costituito una base essenziale per il consenso delle parti ad essere vincolate dal trattato;e che b) tale cambiamento non abbia l’effetto di trasformare radicalmente il peso degli ob-blighi che restano da eseguire in base al trattato ».

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confronti degli stati membri dell’Organizzazione Mondiale del Commer-cio (OMC). Tuttavia l’art. 5, comma 2o, CUB impedisce che ai fini dellatutela siano introdotte misure di registrazione o notifica obbligatorie, manon proibisce agli stati membri di usare pubblici registri o altri strumentiinformativi, in particolare per agevolare l’identificazione dei titolari dei di-ritti e delle opere in pubblico dominio (85). Sembrerebbe dunque oppor-tuno incoraggiare autori e titolari dei diritti a facilitare la ricostruzionedelle titolarità (86), ma l’assenza di iniziative di questo tipo potrebbe risul-tare conforme ai princìpi internazionali se ed in quanto non determini unaperdita della tutela o la preclusione di un’azione in giustizia. Questa solu-zione sarebbe del resto solamente parziale, poiché non permetterebbe dicontrollare agevolmente ogni modifica apportata all’informazione iniziale.Pertanto, quand’anche auspicabile (87), l’introduzione di un sistema di re-gistrazione ab initio dovrebbe essere affiancata da altre misure. Per esem-pio una soluzione più esaustiva potrebbe essere l’introduzione in via com-plementare di un aggiornamento pubblico della registrazione in occasionedi ogni trasferimento del diritto (88). Benché più completa, anche questasoluzione lascia spazio a diversi interrogativi: ci si chiede per esempio sequesto tipo di registrazione sia compatibile con la possibilità di trasferire idiritti nei paesi che non richiedono una cessione in forma scritta; se la re-gistrazione debba riguardare solo i trasferimenti o anche gli atti successo-ri; chi dovrebbe occuparsi della registrazione e dell’aggiornamento e comeandrebbero ripartiti i costi relativi. Soprattutto (non potendosi sanzionarela mancata registrazione pubblica con una perdita della tutela o la preclu-sione di un’azione in giustizia) ci si domanda in che modo questa misura

(85) Ginsburg e Ricketson, International Copyright and Neighbouring Rights, cit., p.328: « Berne does not declare that a member state may not institute a system of formalities;it prohibits making enjoyment and exercise of copyright in non-domestic works subject tothem ». Sull’opportunità di introdurre una registrazione volontaria per limitare la prolife-razione di opere orfane v. Colin, Registers, Databases and orphan Works, in Copyright andCultural Heritage. Preservation and Access to Works in a Digital World, a cura di Derclaye,Cheltenham, 2010, 28 ss.

(86) Varian, Copyright Term Extension and Orphan Works, http://ssrn.com/abstract=1116430, secondo cui il « venditore » dovrebbe avere incentivi ad aggiornare l’informazio-ne che lo riguarda e l’« acquirente » dovrebbe averne a cercare; pertanto un registro pub-blico aggiornato potrebbe essere una soluzione almeno parziale al problema delle opereorfane.

(87) L’importanza della registrazione è sottolineata già da Lessig, The Future of Ideas:the fate of the commons in a connected world, New York, 2001; Ricolfi, Consume and Sha-re: Making Copyright Fit for the Digital Agenda, in The Digital Public Domain. Foundationfor an Open Culture, a cura di Dulog De Rosnay e De Martin, Cambridge, 2012, p. 49 ss.;Saez, Copyright Issues in the Use of Visual Images in the New Media, in Exploiting Imagesand Image Collections in the New Media. Gold Mine or Legal Minefield?, a cura di Hoff-mann, Londra, 1999, p. 26. Più precisamente quest’ultima autrice indica che una registra-zione è necessaria per permettere al mercato di prodotti derivati dai beni culturali di svi-lupparsi; tuttavia non è chiaro se l’autrice suggerisce una registrazione ai sensi del dirittod’autore oppure ai sensi delle norme sui beni culturali. D’altronde vi è da dire che le even-tuali disposizioni di diritto pubblico che impongono una registrazione non garantiscononecessariamente indicazioni esatte sulle informazioni relative alla titolarità dei diritti diproprietà intellettuale che coprono opere o prodotti culturali.

(88) In questo sensoGinsburg, Recent Developments in US Copyright Law, cit., p. 3, nt.8.

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possa effettivamente funzionare, anche ad ammetterne l’obbligatorie-tà (89). Una possibile risposta potrebbe essere quella di fornire ai titolaridei diritti che aggiornano l’informazione rilevante in materia vantaggiquali la possibilità di ricorrere a misure sanzionatorie ulteriori rispetto aquelle normalmente previste (90), di ottenere una tutela ulteriore su even-tuali metadati apposti alle opere (91), o ancora l’impossibilità di veder de-clinare il proprio diritto esclusivo in diritto a compenso (92).

(89) Ginsburg e Ricketson, International Copyright and Neighbouring Rights, cit., p.328 non fa riferimento all’obbligatorietà, ma suggerisce di moltiplicare le fonti dell’infor-mazione per aumentare le possibilità di identificare i titolari dei diritti con esattezza. Suquesto punto in dottrina vi è chi ha suggerito di ricorrere a soluzioni di fatto, come la co-stituzione di una banca dati con le informazioni sui titolari dei diritti, l’utilizzo di DRM odi pratiche contrattuali specifiche. Già Van Gompel, Unlocking the Potential of Pre-Exi-sting Content, cit., p. 681 ss.; ma anche più recentemente Id., Rights Clearance for OrphanWorks, cit. In questo senso cfr. anche CSPLA, Commission sur les oeuvres orphelines. Rap-port, cit., p. 16 ss. In via complementare sembra che anche iniziative di fatto che fornisca-no informazioni sulle opere orfane possano essere d’aiuto. Tra gli esempi v. Accessible Re-gistries of Rights on Orphan Works, About ARROW, http://www.arrow-net.eu/.

(90) Ancora Ginsburg e Ricketson, International Copyright and Neighbouring Rights,cit., p. 328.

(91) Van Gompel, Unlocking the Potential of Pre-Existing Content, cit., p. 680 ss.; Id.,Rights Clearance for Orphan Works, cit., suggerisce che un sistema di Right ManagementInformation (RMI) potrebbe ricevere tutela solo se il titolare abbia messo a disposizionedel pubblico un’informazione minima ed aggiornata in merito alla titolarità dei diritti; que-sta formalità non condizionerebbe né l’esitenza, né l’esercizio del diritto d’autore, bensìsolo la tutela del RMI. E cioè questo meccanismo incentiverebbe la diffusione dell’infor-mazione sull’opera senza contrastare i principi della CUB.

(92) Poiché la Convenzione di Berna tutela l’interesse degli autori ad ottenere un ritornoeconomico in seguito allo sfruttamento delle loro opere; questo interesse può essere perse-guito anche ma non necessariamente attraverso l’introduzione di un diritto assoluto. Inquesto senso già Springman, Reform(aliz)ing Copyright, in Stanford Law Review, 2004, p.485 ss., spec. p. 494.

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IL CONTRATTO DI TRATTAMENTO MEDICONEL BGB. UNA PRIMA LETTURA [,]

diRocco Favale

(Professore nell’Università di Camerino)

Sommario: 1. Rilievi introduttivi. – 2. La natura del contratto di trattamento e le parti. –3. La posizione del paziente. – 4. La posizione del medico. – 5. La responsabilità delprofessionista. – 6. Alcune note conclusive.

1. – All’indomani del nuovo secolo, la strada dell’integrazione del codi-ce civile in Germania ha evidenziato sempre di più come il BGB sia diven-tato un corpo di regole in continua trasformazione. Se l’evoluzione del no-stro ordinamento si mostra con la moltiplicazione dei codici secondi, neldiritto tedesco è il codice civile a subire continue modificazioni, la quasimaggioranza delle quali rappresentano le conseguenze delle spinte del-l’Unione Europea.In questo caso il legislatore tedesco non ha recepito la solita Direttiva

europea, spesso in materia consumeristica, ma, in guisa un po’ sorpren-dente, non ha sopportato che la disciplina dei diritti dei pazienti fosse de-positata nelle decisioni giurisprudenziali. Come accaduto per la Schuldre-chtsreform del 2002, anche questo intervento legislativo porta a compi-mento un dibattito che risale agli anni Settanta e Ottanta (1).La conoscenza e la certezza dei diritti del paziente non possono trovare

soddisfazione nel Richterrecht (2), ma soltanto nel Gesetz (3). Un legislato-re che però dimentica il contributo del Richterrecht allo sviluppo e all’in-tegrazione del BGB (4), basti soltanto menzionare, ad esempio, le vicende

[,] Contributo pubblicato previo parere favorevole formulato da un componente delComitato per la valutazione scientifica.

(1) Cfr. Deutsch e Geiger, Der medizinische Behandlungsvertrag, in Gutachten undVorschläge zur Überarbeitung des Schuldrechts, II, Köln, 1981, p. 1049 ss.; utili anche i con-tributi a cavallo del nuovo secolo: Laufs, Patientenrechte, in NJW, 2000, p. 846 ss.; Kat-zenmeier, Individuelle Patientenrechte – Selbstbindung oder Gesetz, in JR, 2002, p. 444ss.; Bollweg e Brahms, Patientenrechte in Deutschland – Neue Patientencharta stärkt Re-chte der Patienten, in NJW, 2003, p. 1505 ss.

(2) Sul problema del diritto giudiziale in Germania v’è lo studio di Orrù, Richterrecht.Il problema della libertà e autorità giudiziale nella dottrina tedesca contemporanea, Milano,1988. Per un recente inquadramento generale del problema del diritto giudiziale, cfr. G.Zaccaria, La giurisprudenza come fonte del diritto. Un’evoluzione storica e teorica, Napoli,2007.

(3) In proposito non va dimenticata la rilevanza della parte non positivizzata del dirittopositivo, sulla quale v. le classiche pagine di Esser, Grundsatz und Norm in der richterli-chen Fortbildung des Privatrechts, Tübingen, 1956, p. 19 ss. e p. 40 ss.

(4) Classico è il contributo di Esser, Richterrecht, Gerichtsgebrauch und Gewohnenheit-srecht, in Festschrift für Fritz von Hippel zum 70. Geburtstag a cura di Esser e Thieme, Tü-bingen, 1967, p. 95 ss. Più di recente: Richterrecht und Rechtsfortbildung in der Europäi-schen Rechtsgemeinschaft a cura di R. Schulze e U. Seif, Tübingen, 2003; F. Bydlinski, Ri-chterrecht über Richterrecht, in 50. Jahre Bundesgerichtshof. Festgabe aus der Wissenschaft acura di Canaris, Heldrich, Schmidt, Roxin, Widmaier, II, München, 2000, p. 1 ss.; Richar-

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della culpa in contrahendo, delle positive Vertragsverletzungen, della Ge-schäftsgrundlage, del Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte. Regole giuri-sprudenziali che hanno operato come regole legali per quasi un secolo, fi-no al varo della legge sulla modernizzazione del diritto delle obbligazio-ni (5).Oggi il legislatore tedesco dimostra di considerare il Richterrecht uno

strumento quasi inadeguato per tutelare i diritti dei soggetti privati (6).Con riferimento alla protezione della posizione del paziente, il formantegiurisprudenziale è reputato insufficiente (7). Da queste premesse nasce lalegge sul miglioramento dei diritti delle pazienti e dei pazienti, pubblicatail 20 febbraio 2013 ed entrata in vigore il 26 febbraio dello stesso anno (8).Con questo provvedimento si è creduto che la materia uscirebbe dal lim-bo dell’incertezza per approdare ad una maggiore trasparenza ed affidabi-lità (9). Non a torto si è replicato che in realtà ciò ha poco senso nel campo

di, Richterrecht als Rechtsquelle, in Festschrift für Wolfgang Zöllner, Köln, 1998, p. 935 ss.;Langenbucher, Die Entwicklung und Auslegung von Richterrecht, München, 1996.

(5) Per un primo quadro della disciplina cfr. Schmidt-Räntsch, Zehn Jahre Schuldre-chtsreform, in ZJS, 2012 p. 301 ss.; e gli Atti del Convegno di Monaco del 2012 Zehn JahreSchuldrechtsmodernisierung a cura di Artz, Gsell e Lorenz, Tübingen, 2014.

(6) Così nel progetto governativo si legge che i pazienti devono poter avere conoscenzadei loro diritti più importanti direttamente dalla legge e che con la codificazione si puògiungere a quella chiarezza che è mancata nella giurisprudenza più recente (BT-Drucksa-che 17/10488, 15 agosto 2012, p. 9).

(7) Per sintetiche ma chiare indicazioni cfr. Katzenmeier, Der Behandlungsvertrag –Neuer Vertragstypus im BGB, in NJW, 2013, p. 817 ss.

(8) Gesetz zur Verbesserung der Rechte von Patientinnen und Patienten, in BGBl, 25 feb-braio 2013, I, p. 277. Sui diversi progetti della legge cfr. Olzen e Uzunovic, Der Behan-dlungsvertrag im BGB – Ein Vergleich des Referenten- und Regierungsentwurfs für ein Ge-setz zur Stärkung der Patientenrechtein, in JR, 2012, p. 447 ss.; Olzen e Metzmacher, Er-ste Überlegungen zum Referentenentwurf für ein Patientenrechtegesetz, in JR, 2012, p. 271ss.; Spickhoff, Patientenrechte und Gesetzgebung, in ZRP, 2012, p. 65 ss.; Katzenmeier,Die Rahmenbedigungen der Patientenautonomie. Eine kritische Betrachtung des Patienten-rechtegesetz-Regierungsentwurf, in MedR, 2012, p. 576 ss.; Middendorf, Das Patientenre-chtegesetz – was ist neu, was muss ich den Mandanten mitgeben?, in ZMGR, 2012, p. 324ss.; Wagner, Kodifikation des Arzthaftungsrechts? – Zum Entwurf eines Patientenrechtege-setzesin, in VersR, 2012, p. 789 ss.; Reuter e Hahn, Der Referentenentwurf zum Patien-tenrechtegesetz – Darstellung der wichtigsten Änderungsvorschläge für das BGB, in VuR,2012, p. 247 ss. Hart, Ein Patientenrechtegesetz ohne Eigenschaften. Über den Mangel anlegislativer Eigenständigkeit, in GesR, 2012, p. 385 ss. Per un primo commento esegeticodella legge tedesca in lingua italiana, cfr. Stagl, La « legge sul miglioramento die diritti delpaziente » in Germania, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 35 ss.

(9) Cfr., in proposito, Thole, Das Patientenrechtegesetz- Ziele der Politik, in MedR,2013, p. 146; Geiger, Wie kann die Rechtsstellung der Patienten, insbesondere nach ärztli-chen Behandlungsfehlern, verbessert werden? – Ein Plädoyer für ein umfassendes Patienten-rechtegesetz und die Schaffung alternativer Entschädigungsmöglichkeiten, in Grundrechteund Solidarität. Durchsetzung und Verfahren. Festschrift für Renate Jaeger, Kehl am Rhein,2011, p. 433 ss., spec. 439. Reuter e Hahn, Der Referentenentwurf zum Patientenrechte-gesetz – Darstellung der wichtigsten Änderungsvorschläge für das BGB, in VuR, 2012, p.259, sostengono che la legge rappresenta un « bedeutender Schritt der Medizinrechtsge-setzgebung, dessen Wert vor allem in der (...) Kodifikation selbst und damit in einer fürRechtstransparenz sorgenden Rückkehr des Medizinrechts aus einer unüberschaubarenKasuistik in einem niedergeschriebenen und dadurch mit legislativer Kompetenz ausge-stattenen Normentext liegt ».

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della responsabilità medica (10). Fissare i diritti dei pazienti in una leggenon significa garantire un grado di trasparenza e di certezza giuridica su-periore ad una disciplina che ha le sue regole nel formante giurispruden-ziale (11). In ogni caso appare scontato che la novella non potrà fermare ilnaturale sviluppo della giurisprudenza, soprattutto in una materia ad altacomplessità quale quella sanitaria (12).Sarebbe impresa vana ridurre in poche pagine una tematica così vasta,

tuttavia si vuole semplicemente provare ad abbozzare un quadro descrit-tivo della nuova disciplina, che inserisce la disciplina del nuovo contrattotipico di trattamento (Behandlungsvertrag) come parte integrante del BGBnel titolo dedicato al contratto di servizio. Ciò potrebbe risultare utile pervalutare se, eventualmente, anche al nostro sistema un analogo provvedi-mento legislativo possa portare giovamento, potenziando la disciplina delcontratto di prestazione d’opera intellettuale attraverso la tipizzazione delcontratto di spedalità.

2. – La disposizione del § 630a BGB statuisce che il contratto di tratta-mento è concluso fra il medico, che promette il trattamento medico di unpaziente, e quest’ultimo inteso come persona fisica.Il professionista promittente non necessariamente deve sovrapporsi alla

figura dell’operatore che esegue la prestazione, come accade nel caso delmedico ospedaliero, che esegue la prestazione sanitaria, quale ausiliariodella struttura medica debitrice (13).Il legislatore, in realtà, mostra di aver tenuto ben presenti le diverse ti-

pologie operanti nella prassi di contratti di prestazione sanitaria conclusidagli enti ospedalieri.Il contratto di spedalità (Krankenhausvertrag) è definito un contratto di

trattamento ospedaliero in regime di ricovero (denominato Krankenhau-saufnahmevertrag). Esso rappresenta una specie del contratto di tratta-mento, caratterizzato dal fatto che al paziente si contrappone l’ente ospe-daliero o il medico a seconda del rapporto costituito.Di solito il paziente conclude un contratto ospedaliero (totale

Krankenhausvertrag) con il relativo ente, il quale fornisce direttamente di-verse prestazioni di alloggio, infermieristiche e mediche, a fronte dellequali ha diritto di chiedere il compenso al paziente privato ovvero all’assi-curazione in caso di soggetto assicurato.Una variante a siffatto schema si ha nell’ipotesi di contratto ospedaliero

affiancato da un contratto supplementare (totale Krankenhausvertrag mitArztzusatzvertrag), in cui il paziente si accorda oltre che sulle prestazioniregolari dell’ospedale, anche su prestazioni aggiuntive con un medico, di

(10) Così, Thurn, Das Patientenrechtegesetz – Sicht der Rechtsprechung, in MedR, 2013,p. 153 s.

(11) Spickhoff, Patientenrechte und Gesetzgebung, cit., p. 65 s.; Wagner, Kodifikationdes Arzthaftungsrechts? – Zum Entwurf eines Patientenrechtegesetzesin, cit., p. 798 s.

(12) Cfr. Katzenmeier, Der Behandlungsvertrag – Neuer Vertragstypus im BGB, cit., p.823.

(13) Olzen e Kaya, Der Behandlungsvertrag, §§ 630a-h BGB, in JURA, p. 661.

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solito il primario (14). In questa ipotesi il paziente conclude due contratti:quello ospedaliero con l’ente e l’altro aggiuntivo con il medico.Infine esiste il contratto ospedaliero con un medico esterno (gespaltene

Arzt-Krankenhaus-Vertrag), caratterizzato da una dualità di prestazione:ospedaliera generale in capo all’ente e medica in senso stretto in capo adun operatore esterno (Belegarzt) con apposito contratto individuale.Il contratto di trattamento avvolge anche gli altri contratti di prestazione

sanitaria, come quelli concernenti le varie specializzazioni oppure ipotesidi medicina in senso lato o non convenzionale (15). Sono esclusi i contrattidi medicina veterinaria, in quanto il paziente non può essere che una per-sona umana (16), nonché i contratti conclusi dai farmacisti, in quanto nonsono legittimati al trattamento dei pazienti.A differenza della denominazione legale del contratto, il suo oggetto è

molto esteso e comprende il trattamento medico nel suo senso più ampio,principalmente l’intervento terapeutico, comprendendo sia la diagnosi,sia la terapia e ogni altro intervento sul corpo dell’uomo al fine di curaremalattie, danni alla persona, psichici, o altri impedimenti (17). Vanno ri-compresi anche i trattamenti a fini di cosmesi, come gli interventi di chi-rurgia estetica (18).La disposizione contenuta nel § 630b BGB conferma che il contratto di

trattamento costituisce un sottotipo del contratto di servizio, in sintoniacon la nuova denominazione del titolo 8, sezione 8, libro secondo « Con-tratto di servizio e contratti simili ». Nessuna novità sotto questo punto divista, in quanto l’Arztvertrag è sempre stato qualificato Dienstvertrag (19),mediante il quale il prestatore professionale di regola si obbliga ad esegui-

(14) Il paziente va informato sulle prestazioni opzionali, sul loro contenuto, sui costi e ilcontratto va redatto in forma scritta e sottoscritto da entrambe le parti (paziente e medi-co).

(15) Nel progetto legislativo del governo (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 11 e p. 18)emerge la volontà di ampliare le prestazioni del contratto di trattamento: « Die ver-tragscharakteristische Leistung des Behandlungsvertrages ist damit die medizinische Be-handlung von Patienten. Erfasst werden Behandlungen im Bereich der Humanmedizindurch Angehörige der Heilberufe und damit primär Behandlungen durch (Zahn-)Ärzte,Psychologische Psychotherapeuten, Kinder- und Jugendlichenpsychotherapeuten. Dar-über hinaus sollen unter Absatz 1 aber auch Behandlungen durch Angehörige andererHeilberufe, deren Ausbildung nach Artikel 74 Absatz 1 Nummer 19 des Grundgesetzesdurch Bundesgesetz (Hebammen, Masseure und medizinische Bademeister, Ergothera-peuten, Logopäden, Physiotherapeuten u. a.) geregelt ist, oder Heilpraktiker fallen. Insbe-sondere Letztere, für die keine besondere medizinische Ausbildung vorgeschrieben istund die nur nach einer Überprüfung ihrer Kenntnisse und Fähigkeiten zur Heilbehand-lung zugelassen werden, müssen die Voraussetzungen fachgemäßer Behandlung kennenund beachten » (p. 18).

(16) Così, BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 11 e p. 18, secondo cui « Patient im Sinnedes Absatzes 1 ist nur ein Mensch, nicht aber ein Tier » (p. 11).

(17) In proposito, Kern, in Laufs e Kern, Handbuch des Arztrechts, München, 2010, §50, Rn. 3.

(18) BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 17.(19) Istruttiva, BGH 18 marzo 1980, in NJW, 1980, p. 1452, spec. p. 1453, che affronta

il problema con riguardo ad un intervento di sterilizzazione. La prestazione di servizi è ri-chiamata anche per gli interventi di chirurgia estetica: cfr. OLG Köln, 17 settembre 1987,in VersR, 1988, p. 1049.

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re a regola d’arte il trattamento e non a garantire un determinato risulta-to (20).Non è stata disciplinata l’ipotesi della pattuizione di un certo risultato,

ma nel silenzio della legge le parti potrebbero accordarsi in tal senso e ciòporterebbe all’applicazione della disciplina del contratto d’opera (§ 631ss. BGB) al rapporto professionale (21).

3. – Gli obblighi di prestazione delle parti sono enunciati in apertura dal§ 630a BGB. Altri diritti, obblighi ed oneri in capo ai contraenti sono re-golati nelle successive disposizioni dei §§ 630c-g BGB. Quanto al versantedella responsabilità per inadempimento contrattuale trovano applicazionele norme generali di cui ai §§ 280 ss. BGB.Il paziente ha come obbligo principale il pagamento del compenso pat-

tuito (§ 630a, comma 1o, BGB), salvo che risulti obbligato un terzo, comeaccade nell’ipotesi di paziente coperto da apposita assicurazione legaleper malattia (22).Il paziente ha, secondo il § 630c, comma 1o, BGB, l’onere di collaborare

col professionista per l’esecuzione del trattamento. In questo senso vienerafforzato il rapporto fiduciario fra le parti come risvolto immediato delPartneschaftsgedanken (23). Il paziente deve modulare il suo comporta-mento, in linea con le indicazioni dell’operatore professionale, al fine difavorire il successo della terapia e inoltre deve rivelare tutte le informazio-ni utili che servono per evitare danni o per garantire un percorso migliorenel trattamento. Non adempiere questo onere significa per il paziente su-bire il rischio di una diminuzione del risarcimento per concorso di colpaai sensi del § 254 BGB (24).La disposizione del § 630g, comma 1o, BGB attribuisce al paziente il di-

(20) Nel progetto di legge si dà atto che, per la complessità dei processi che interessanoil corpo umano, ben difficilmente è possibile garantire in via generale il risultato di un trat-tamento su un organismo vivente (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 17).

(21) Così, Olzen e Kaya, Der Behandlungsvertrag, §§ 630a-h BGB, cit., p. 662.(22) Il progetto di legge richiama questa ipotesi: « Es ist der besonderen Konstruktion

der gesetzlichen Krankenversicherung geschuldet, dass der Patient und der Arzt zwar ei-nen privatrechtlichen Behandlungsvertrag abschließen und der Arzt aus diesem Vertragdie Leistung der fachgerechten Behandlung schuldet. Gleichwohl überlagert das Rechtder gesetzlichen Krankenversicherung an dieser Stelle das Privatrecht mit der Folge, dasssich der ansonsten synallagmatische Behandlungsvertrag zwischen dem Arzt und dem Pa-tienten in ein partiell einseitiges Vertragsverhältnis umwandelt. Während der Arzt weiter-hin die Leistung der versprochenen Behandlung schuldet, entsteht keine Vergütungs-pflicht des gesetzlich versicherten Patienten für solche Behandlungen, die von der gesetz-lichen Krankenversicherung erstattet werden » (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 19).

(23) Dai lavori preparatori (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 21) emerge che tale disci-plina ha proprio la finalità di rafforzare il rapporto di fiducia esistente tra chi effettua iltrattamento ed il paziente, per giungere insieme ad una cura quanto più possibile ottimale,e che in tale contesto la legge si basa sull’idea di una Partnerschaft tra questi due soggetti.

(24) Così esplicitamente BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 21: « In dem Behandlungs-verhältnis trifft den Patienten die allgemein anerkannte Obliegenheit, für die Behandlungbedeutsamen Umstände zeitnah offen zu legen und dem Behandelnden auf diese Weiseein Bild von seiner Person und seiner körperlichen Verfassung zu vermitteln. Verstößt derPatient dagegen, so kann ihm dies im Schadensfall gegebenenfalls zu seinen Lasten alsMitverschulden im Sinne des § 254 für den eingetretenen Schaden zugerechnet werden ».

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ritto di prendere visione della sua cartella clinica (25) presso la struttura sa-nitaria secondo la regola contenuta nel § 811 BGB (26).Questo diritto del paziente può trovare limiti all’esercizio in presenza di

rilevanti motivi terapeutici o di altri diritti di terzi. La deroga – totale oparziale – può giustificarsi per evitare che le informazioni possano cagio-nare un danno al paziente. Resta tuttavia sicuro che i motivi di esclusionedebbano essere intesi in via restrittiva e quale risultato di una valutazionedel caso concreto (27).La disposizione statuisce la necessità della motivazione nell’ipotesi di ri-

fiuto a far accedere il paziente alla cartella clinica (28). In mancanza di mo-tivazione, il titolare del diritto può farlo valere in giudizio.Il diritto all’accesso, infine, spetta agli eredi o ad altri parenti del pazien-

te deceduto per la tutela di interessi patrimoniali e non patrimoniali, salvovolontà contraria, presunta od esplicita, del titolare (29).

4. – Per quanto riguarda la posizione giuridica del professionista, essa ègravata da un ampio catalogo di obblighi.Innanzitutto la prestazione principale consiste nel trattamento promes-

so, per l’adempimento del quale l’operatore deve seguire gli standard tec-nici generalmente riconosciuti, se non è convenuto diversamente (§ 630a,comma 2o, BGB), integrando la regola generale contenuta nel § 276, com-ma 2o, BGB. L’inadempimento comporta l’applicazione della disposizio-

(25) Va aggiunto che nel comma 2o il legislatore stabilisce che il paziente può esigere co-pia elettronica della sua cartella clinica, ma deve rimborsare i costi alla struttura.

(26) Nel progetto governativo si precisa che « der Patient hat ein schutzwürdiges Inter-esse zu wissen, wie mit seiner Gesundheit umgegangen wurde, welche Daten sich dabei er-geben haben und wie die weitere Entwicklung eingeschätzt wird » (BT-Drucksache17/10488, cit., p. 26). Il legislatore accoglie la posizione della Corte costituzionale per larealizzazione del diritto del paziente alla « informationelle Selbstbestimmung » (BVerfG, 9gennaio 2006, in NJW, 2006, p. 1116). Allo stesso tempo il legislatore ammette che il pa-ziente ha diritto ad accedere anche alle impressioni personali e percezioni soggettive delprofessionista riguardanti la sua persona, senza che rilevi un problema di diritto alla pri-vacy (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 27).

(27) Così chiaramente BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 27.(28) Questa regola è stata aggiunta successivamente dalla Commissione della salute, la

quale osserva che « für die Akzeptanz einer die Einsichtnahme ablehnenden Entscheidungist die Begründung der Ablehnungsentscheidung unverzichtbar. Auch wird der Patientdurch das Begründungserfordernis in die Lage versetzt, den Grund der Ablehnung zu-mindest in seinen wesentlichen Zügen nachvollziehen zu können. Wird die Akteneinsichtohne Begründung verweigert oder liegt nach Auffassung des Patienten kein Ablehnungs-grund vor, kann der Patient die Akteneinsicht notfalls gerichtlich einklagen » (BT-Druck-sache 17/11710, 28 novembre 2012, p. 29).

(29) Il progetto osserva che « Absatz 3 regelt das Einsichtsrecht von Erben und näch-sten Angehörigen des Patienten und erklärt die Absätze 1 und 2 für entsprechend an-wendbar. Satz 1 gewährt das Einsichts- recht zu Gunsten der Erben. Den Erben steht einAnspruch auf Einsicht in die Patientenakte nach Absatz 3 Satz 1 in Verbindung mit § 1922Absatz 1 zu, soweit sie vermögens- rechtliche Interessen geltend machen. Die Rechte ausden Absätzen 1 und 2 stehen nach Absatz 3 Satz 2 auch den nächsten Angehörigen des Pa-tienten wie etwa dem Ehegatten, Lebenspartner, Kindern, Eltern, Geschwistern und En-keln zu, soweit es um die Geltendmachung von immateriellen Interessen geht » (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 27). Questa soluzione è in sintonia con la giurisprudenzadella S. Corte (BGH 14 maggio 2002, in NJW, 2002, p. 2317 ss.).

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ne generale del § 280 BGB sulla Pflichtverletzung. Le possibili violazionipossono oscillare da errori di diagnosi a errori di terapia a consulenze er-rate (30). Il trattamento costituisce esatto adempimento quando si basa suastratti e riconosciuti criteri di diligenza caratterizzanti un determinatosettore professionale al quale appartiene l’operatore. Lo standard medicoè in diretto rapporto con il modo di eseguire la prestazione, non poggian-do su uno scopo astratto ma su un modello di condotta adottato nellaprassi (31). La giurisprudenza più recente reputa determinante lo statodelle conoscenze scientifiche e dell’esperienza medica necessarie per rag-giungere lo scopo del trattamento, a condizione di seguire le direttive del-le diverse società scientifiche (32).Quanto alla parte finale del comma 2o del § 630a BGB, essa riconosce il

potere di disposizione delle parti, ma allo stesso tempo stimola quei trat-tamenti sanitari concernenti ipotesi nuove, per cui in mancanza di stan-dard riconosciuti possono essere giustificati eventuali errori (33). La giuri-sprudenza del BGH in proposito richiama, in assenza di apposito stan-dard, la diligenza di un operatore prudente (34).All’obbligo di prestazione si aggiungono gli obblighi di informazione

che si sviluppano alle pendici del principio di collaborazione fra medico epaziente. La loro violazione porta all’applicazione della norma generaledella Pflichtverletzung contenuta nel § 280 BGB. Per converso, anche ilpaziente è tenuto a fornire al professionista tutte le informazioni utili, qua-le mero onere, al fine di agevolarlo nell’attività professionale (35).Il medico è obbligato innanzitutto – secondo il dettato del § 630c, com-

ma 2o – ad illustrare al paziente in ogni fase del trattamento tutte le circo-

(30) Il progetto di legge mette in evidenza come le ipotesi di possibili violazioni dellostandard professionale generalmente riconosciuto nel comma 2o costituiscono un ampioventaglio: « So kann der Behandelnde schon zu Beginn der Behandlung die Diagnostik-oder Therapiemethode falsch gewählt bzw. festgelegt haben. Zwar liegt die Wahl der Dia-gnostik- oder Therapiemethode im pflichtgemäßen Ermessen des Behandelnden. Übt ersein Ermessen jedoch fehlerhaft aus, etwa indem er falsche Feststellungen trifft oder sichnicht umfassend über etwaige Vorerkrankungen und über die Anamnese des Patienten er-kundigt, so kann dieser Fehler zu der Wahl einer falschen Behandlungsmethode undschließlich zu einer Schädigung des Patienten führen. Weiterhin gehört auch die Erteilungvon Schutz- und Warnhinweisen zum Pflichtenprogramm Behandelnder, um eine poten-tielle Selbstgefährdung des Patienten zu vermeiden » (BT-Drucksache 17/10488, cit., p.20).

(31) In questo senso, utili le pagine di Taupitz, Medizinische Infomationstechnologie,leitliniengerechte Medizin und Haftung des Arztes, in AcP, 211, 2011, p. 352 ss., spec. p.358.

(32) Così, BGH 10 novembre 2009, in VersR, 2010, p. 214 s.(33) In questa ipotesi di deroga opera una regola affine alla nostra disposizione dell’art.

2236 c.c. che mitiga il criteri di responsabilità.(34) Così, BGH 27 marzo 2007, in VersR, 2007, p. 995, spec. p. 997 s.(35) Nell’ult. comma del § 630c BGB sono previste eccezioni agli obblighi di informa-

zione. Innanzitutto, il professionista è esonerato da informare il paziente in presenza diparticolari circostanze che le rendono non necessarie, come nelle ipotesi di trattamentoimprocrastinabile (si pensi ad un intervento in stato di necessità per salvare la vita del pa-ziente) o per rinunzia esplicita del paziente alle informazioni. Il numero delle eccezioninon esclude altri casi che possono sorgere, come avverte BT-Drucksache 17/10488, cit., p.22 s.

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stanze essenziali riguardanti la diagnosi, la terapia e tutte le misure da os-servare successivamente. In questo caso il legislatore richiama il concettodi informazione di sicurezza o terapeutica (Sicherungsaufklärung o thera-peutische Aufklärung) diretto a rafforzare il diritto di autodeterminazionedel paziente riguardo soprattutto alla garanzia in ordine agli effetti sullaguarigione (36).Dal medesimo comma emerge che il legislatore ha trasformato in norma

la giurisprudenza sulla rivelazione di errori di trattamento (37). La dispo-sizione fonda di conseguenza un obbligo di informazione del medico inordine ad errori professionali propri o di terzi, in presenza di apposita ri-chiesta del paziente ovvero per pericoli alla salute indipendentemente dal-l’iniziativa del paziente (38). La violazione di siffatto obbligo assume carat-tere autonomo entro l’ambito della cura sanitaria del paziente (39).Accanto all’obbligo di informazione medica si pone l’obbligo di infor-

mazione economica che obbliga il medico a comunicare al paziente primadel trattamento i relativi costi probabili. La giurisprudenza già da qualchetempo esige che il medico indichi non solo l’entità dei costi sanitari, maanche se risultino coperti dall’assicurazione (40). Il professionista è l’unicosoggetto in grado di avere l’esatta percezione dei costi sanitari, mentre, alcontrario, il paziente non è spesso capace di valutare la sua possibilità disostenerne le spese (41).Nella trama normativa il legislatore non poteva non disciplinare gli ob-

blighi di informazione (Aufklärungspflichten) diretti a chiarire al pazientetutte le circostanze essenziali per un suo valido consenso (§ 630e BGB). Ildettato legale si allinea all’orientamento giurisprudenziale consolidato, se-

(36) Secondo Olzen e Kaya, Der Behandlungsvertrag, §§ 630a-h BGB, cit., p. 664, le in-formazioni terapeutiche non vengono adempiute attraverso semplici moduli predisposti,bensì a seguito di colloqui fra i soggetti del rapporto professionale.

(37) Sul tema cfr. i contributi di Taupitz, Die zivilrechtliche Pflicht zur unaufgefordertenOffenbarung eigenen Fehlverhaltens, Tübingen, 1989, p. 13 s., p. 66 ss. e p. 78 ss.; Kleu-ser, Die Fehleroffenbarungspflicht des Arztes, Karlsruhe, 1995, p. 77 s.; Prütting, Gibt eseine ärztliche Pflicht zur Fehleroffenbarung?, in Festschrift für Adolf Laufs, Berlin, 2005, p.1909 ss.; Fündling e Rathgeber, Ärztliche Fehleroffenbarung im Spannungsfeld zwischenZivil- und Strafrecht, in ZMGR, 2012, p. 88 ss.; Schelling e Warntjen, Die Pflicht desArztes zur Offenbarung von Behandlungsfehlern, in MedR, 2012, p. 506 ss.

(38) Secondo il progetto governativo, il disposto legale mette a confronto l’interesse delprofessionista alla tutela della sua sfera personale e quello del paziente alla tutela della suasalute: la norma « regelt zunächst den Fall, dass der Patient den Behandelnden ausdrück-lich nach etwaigen Behandlungsfehlern befragt. Es ist die Pflicht des Behandelnden, indieser Situation wahrheitsgemäß zu antworten, wenn er Umstände erkennt, die die An-nahme eines Behandlungsfehlers begründen, auch wenn er dabei Gefahr läuft, nicht nureinen Behandlungsfehler eines Dritten, sondern auch eigene Fehler offenbaren zu müssen.[...] Fragt der Patient nicht ausdrücklich nach einem Behandlungsfehler, so trifft den Be-handelnden die Informationspflicht über erkennbare Behandlungsfehler auch dann ausSatz 2, soweit dies zur Abwendung von gesundheitlichen Gefahren für den Patienten er-forderlich ist » (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 21).

(39) Olzen e Kaya, Der Behandlungsvertrag, §§ 630a-h BGB, cit., p. 665.(40) OLG Stuttgart, 9 aprile 2002, in NJW-RR, 2002, p. 1604; OLG Köln, 23 marzo

2005, in VersR, 2005, p. 1589.(41) Schelling, Die Pflicht des Arztes zur wirtschaftlichen Aufklärung im Lichte zuneh-

mender ökonimischer Zwänge im Gesundheitswesen, in MedR, 2004, p. 422 s.

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condo il quale le informazioni fornite al paziente costituiscono la base delsuo Selbstbestimmungsrecht. Il conditor iuris precisa che le informazionidevono riguardare il tipo, la portata, l’esecuzione degli interventi sanitarinonché gli effetti, i rischi e la loro necessità, urgenza, idoneità e probabi-lità di successo (42). V’è inoltre il richiamo ai trattamenti alternativi, neicasi in cui esistano più metodi consigliati che potrebbero portare a diversirischi e probabilità di guarigione.Per quanto riguarda i requisiti formali, le informazioni devono essere

comunicate verbalmente attraverso colloqui personali, tempestive e infinecomprensibili per il paziente (§ 630e, comma 2o, BGB) (43). In via eccezio-nale, la disposizione del § 630e, comma 3o, BGB esclude le informazioniquando sussistono particolari circostanze, ossia quando l’intervento è im-prorogabile ovvero il paziente abbia esplicitamente rinunziato al suo dirit-to ad essere informato.Le disposizioni sul contratto di trattamento disciplinano altresì il rile-

vante profilo della documentazione sanitaria (§ 630f BGB), la quale assu-me natura di vertragliche Pflicht. Il professionista ha l’obbligo di redigerlain forma scritta od elettronica in stretto collegamento temporale con iltrattamento, dalla quale devono risultare le misure adottate o da adottaree i relativi esiti (44). La norma appena citata richiama in via esemplificatival’anamnesi, le diagnosi, gli esami e i relativi risultati, i pareri, le terapie e irisultati, gli interventi e i loro effetti, i consensi e le informazioni (§ 630f,comma 2o, BGB) (45).All’obbligo di documentazione del medico si contrappone il diritto del

paziente a prendere visione della documentazione sanitaria in via imme-diata a seguito di apposita richiesta (§ 630g BGB) (46).

5. – Nella disposizione del § 630h BGB il formante giurisprudenzialesulla distribuzione dell’onere della prova in seno alla responsabilità me-dica diventa formante legale (47). Il fondamento normativo di base riposanella norma generale contenuta nel § 280, comma 1o, BGB, mentre la re-

(42) Katzenmeier, Der Behandlungsvertrag – Neuer Vertragstypus im BGB, cit., p. 820,mette in evidenza come la norma non menziona le informazioni sullo sviluppo della malat-tia.

(43) La norma ammette anche riferimenti informativi su supporti in Textform, di cui al §126b BGB.

(44) Nel progetto governativo si fa menzione che la disciplina era meramente giurispru-denziale. Nei lavori preparatori si ricorda che « die Dokumentation dient in erster Liniedem Zweck, durch die Aufzeichnung des Behandlungsgeschehens eine sachgerechte the-rapeutische Behandlung und Weiterbehandlung zu gewährleisten (vgl. BGH NJW 1988,762, 763) » (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 25).

(45) La documentazione sanitaria deve essere conservata per dieci anni, salvo diversotermine più breve o più lungo disposto da norme speciali.

(46) Il rifiuto deve essere motivato, mentre in caso di morte del paziente il diritto passaagli eredi o ai parenti, salvo diversa volontà del de cuius.

(47) Così, Katzenmeier, Der Behandlungsvertrag – Neuer Vertragstypus im BGB, cit., p.821. Il progetto governativo precisa che obiettivo della norma è riassumere sistematica-mente in una norma i principi sulle agevolazioni probatorie sviluppati dalla giurisprudenzanel campo del diritto della responsabilità medica ed estenderne l’applicazione a tutti i con-tratti di trattamento medico (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 28).

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gola su citata esprime le peculiarità del contratto di trattamento.La violazione colposa dell’obbligo da parte del medico nel trattamento

fonda il diritto contrattuale ed extracontrattuale (48) al risarcimento deldanno patrimoniale e non patrimoniale, nella misura in cui l’errore siacausalmente legato al danno. Il paziente è tenuto a provare i presuppostidella pretesa al risarcimento, ossia la violazione dell’obbligo del medico, ildanno subito, il nesso causale fra errore e danno e, infine, la colpa del pro-fessionista (49).La norma fondamentale contenuta nel § 280, comma 1o, periodo 2,

BGB prevede una presunzione di responsabilità del debitore, onerandoquest’ultimo della prova di non imputabilità dell’inadempimento. Nell’al-veo professionale medico, il progetto governativo esplicita l’idea che lapresunzione di cui alla regola appena citata non riguardi il mancato risul-tato, bensì un errore di trattamento (50). Il vero nodo resta quello proba-torio, dove il paziente paga i deficit di conoscenza nell’ambito medico edè per questo che le corti si sono fatte carico di riequilibrare le posizioniprobatorie delle parti attraverso la realizzazione di una Waffengleichheitall’interno del processo di responsabilità medica (51). Poi siffatto sviluppogiurisprudenziale ha trovato definitivo riconoscimento entro il formantelegale.La disposizione del § 630h regola un catalogo di ipotesi, sicuramente

non chiuso, che riguarda i problemi di prova nel processo sulla responsa-bilità medica; nella specie vengono regolate fattispecie di inversione del-l’onere della prova attraverso la tecnica della presunzione relativa (disci-plinata nel § 292 ZPO) della responsabilità del professionista.La prima regola (§ 630h, comma 1o, BGB) concerne la figura sviluppata

dalla giurisprudenza dei rischi professionali generali pienamente control-labili (52). Come esempi sintomatici si richiamano i casi di carenza di igie-ne nelle strutture, di deficit nel coordinamento e nell’organizzazione nelcorso del trattamento, di utilizzazione inadeguata di apparecchiatura tec-nica che cagiona danni al paziente (53). Parte della dottrina ritiene infeliceil richiamo della norma ai rischi di trattamento generali, in quanto anche irischi speciali, se pienamente controllabili, rientrano sotto la regola dellapresunzione di errore professionale (54). Per tutti gli altri profili, come laprova del danno subito, della colpa professionale, del nesso di causa, val-

(48) Il progetto governativo precisa con chiarezza che resta inalterata la responsabilitàche si basa sulle disposizioni dettate in tema di illecito aquiliano dal § 823 ss. BGB (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 27).

(49) V. BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 27 s.(50) BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 28.(51) In questo senso, Olzen e Kaya, Der Behandlungsvertrag, §§ 630a-h BGB, cit., p.

668.(52) Su questo problema, cfr. BGH 25 giugno 1991, in NJW, 1991, p. 2960; in VersR,

1991, p. 1058 s.; BGH 24 gennaio 1995, in NJW, 1995, p. 1618. Successivamente, utileBGH 20 marzo 2007, in NJW, 2007, p. 1682, e in VersR, 2007, p. 847.

(53) BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 28.(54) In questo senso, Deutsch, Deutsche Sonderwege zur Arzthaftung, in NJW, 2012, p.

2011; Spickhoff, Patientenrechte und Patientenpflichten – Die medizinische Behandlungals kodifizierter Vertragstypus, in VersR, 2013, p. 279; Katzenmeier, Der Behandlungsver-trag – Neuer Vertragstypus im BGB, cit., p. 821.

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gono le regole generali che pongono l’onere della relativa prova in capo alpaziente.La seconda regola concerne l’informazione al paziente e il suo consenso

(§ 630h, comma 2o, BGB), il cui onere della prova cade in capo al profes-sionista. Questi deve provare che ha adempiuto esattamente all’obbligo diinformazione e che è seguito il relativo consenso del paziente. In questomodo il medico è responsabile allorquando si realizza il rischio sul qualeera necessario fornire informazioni, ma queste sono mancate.Al medico spetta la possibilità di provare che anche in presenza di

un’adeguata informazione il paziente avrebbe egualmente espresso il suoconsenso. Alla prova del consenso ipotetico la norma non riconosce al pa-ziente il potere di eccepire l’esistenza di un ernsthafte Entscheidungskon-flikt (55) e rendere così illecito il trattamento nei suoi confronti (56).Il comma 3o della norma su citata prescrive le conseguenze di una docu-

mentazione insufficiente, precisando che la violazione degli obblighi alladocumentazione e alla custodia dei documenti sanitari fa presumere che lerelative misure non sia state eseguite (57). Il professionista ha sempre lapossibilità di provare il fatto contrario e superare la presunzione.Il penultimo comma del § 630h BGB prevede l’ipotesi dell’intervento di

professionisti non sufficientemente competenti, sia perché agli esordi del-la carriera sia perché non dispongono ancora della necessaria esperien-za (58). Per i casi di « errori dei principianti » (Anfängerfehler) (59) provatidal paziente la norma presume l’esistenza di un nesso causale fra l’erroreprofessionale e il danno cagionato al paziente. Al medico spetta, quindi,dimostrare che il danno subito dal paziente non è dovuta all’inesperienzao alla qualifica del professionista (60).La regola più importante sull’inversione dell’onere della prova risiede

nell’ult. comma del § 630h BGB, che codifica le regole giurisprudenziali

(55) Sul punto la giurisprudenza è chiara: BGH 26 giugno 1990, in NJW, 1990, p. 2928;BGH 17 marzo 1998, in NJW, 1998, p. 2734; BGH 15 marzo 2005, in NJW, 2005, p. 1718.

(56) Sul punto, Spickhoff, Patientenrechte und Patientenpflichten – Die medizinischeBehandlung als kodifizierter Vertragstypus, cit., p. 279, sostiene che la giurisprudenza sulconflitto di decisione trova applicazione anche in presenza della nuova normativa.

(57) La regola è esplicata da BGH 14 febbraio 1995, in BGHZ, 129, 1995, p. 6 ss., e inVersR, 1995, p. 707.

(58) La situazione è spiegata nel BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 30: « In Anlehnungan die Rechtsprechung soll in Absatz 4 eine weitere Vermutung für die Fälle von Anfän-gerfehlern geregelt werden. Die Norm basiert auf § 630a Absatz 2, wonach derjenige, dereine medizinische Behandlung durch einen Behandelnden zusagt, die Behandlung unterEinhaltung der anerkannten fachlichen Standards schuldet. War der Behandelnde für dievon ihm vorgenommene Behandlung nicht befähigt, so stellt bereits die Übertragung derArbeiten auf diesen Behandelnden einen Verstoß gegen den geschuldeten Standard dar.An der erforderlichen Befähigung fehlt es dem Behandelnden, soweit er nicht über dienotwendige fachliche Qualifikation verfügt. Dies kommt insbesondere bei Behandelndenin Betracht, die sich noch in der medizinischen Ausbildung befinden oder die als Berufs-anfänger noch nicht über die notwendige Erfahrung verfügen ».

(59) Su questi casi, cfr. BGH 15 giugno 1993, in NJW, 1993, p. 2989, e in VersR, 1993,p. 1231, p. 1233.

(60) Così, BGH 10 marzo 1992, in NJW, 1992, p. 1560; KG, 14 aprile 2008, in VersR,2008, p. 1267; Deutsch, Das Organisationsverschulden des Krankenhausträgers, in NJW,2000, p. 1745, p. 1748 ss.

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sull’errore professionale grave o grossolano (grober Behandlungsfehler)nonché l’errore di diagnosi.Nel formante giurisprudenziale l’errore è grave quando il medico viola

le regole sperimentate di trattamento o le conoscenze mediche acquisitecagionando un errore che appare obiettivamente incomprensibile inquanto non poteva sfuggire assolutamente ad un professionista (61). Inquesta figura rientrano quelle mancanze del professionista che rivelanocome non abbia seguito le regole della professione più elementari; si pensiall’intervento chirurgico su un organo sano o sulla dimenticanza della for-bice nell’addome del paziente.L’onere della prova dell’errore grave del professionista spetta al pazien-

te; se alla negligenza professionale seguono i danni di diversa specie, allorala norma fonda la presunzione del nesso causale fra errore e danno. Almedico, tuttavia, spetta la possibilità di superare la presunzione di causa-lità (62), allorquando dimostri che si sia verificato un caso eccezionale cherenda improbabile l’esistenza del nesso di causa, oppure quando non si èverificato il rischio che il medico non tenendo in considerazione facevaapparire come grave il suo errore professionale (63), o infine quando il pa-ziente col suo comportamento ha contribuito, al pari dell’errore grave delprofessionista, al mancato chiarimento dell’evoluzione del trattamento edell’origine del danno (64).Il legislatore nei lavori preparatori (65) recepisce la distinzione giurispru-

denziale fra errore nella diagnosi ed errore nel referto (66). Il primo si haquando il medico ha interpretato in maniera errata il reperto da lui richie-sto o altrimenti già esistente. Il secondo si verifica quando il medico omet-te di richiedere un esame necessario sotto il profilo sanitario (67).Nel progetto legislativo chiaramente il fundamentaler Diagnosefehler

rappresenta una Fallgruppe della figura dell’errore di trattamento che fascattare l’inversione dell’onere della prova. Infatti qui il medico effettua

(61) Così, di recente, BGH 25 ottobre 2011, in NJW, 2012, p. 227 s.; già prima, BGH 8gennaio 2008, in NJW, 2008, p. 1304; BGH 27 aprile 2004, in JZ, 2004, p. 1029, con notadi C. Katzenmeier, Umkehr der Beweislast bei groben Behandlungsfehlern.

(62) Il professionista ha l’onere di provare che anche senza l’errore il danno sarebbe su-bentrato egualmente. Così, BGH 8 gennaio 2008, in NJW, 2008, p. 1304; prima, BGH 11aprile 1967, in NJW, 1967, p. 1508, statuisce che « Ein Arzt, der schuldhaft einen grobenBehandlungsfehler begeht, der geeignet ist, einen Schaden der Art herbeizuführen, dertatsächlich eingetreten ist, muß beweisen, daß es auch ohne den Behandlungsfehler zudem Schaden gekommen wäre ».

(63) BGH 16 giugno 1981, in NJW, 1981, p. 2513; BGH 27 aprile 2004, cit., p. 1029.(64) BGH 16 novembre 2004, in NJW, 2005, p. 427 s.; BGH 28 maggio 2002, in VersR,

2002, p. 1026 ss.; KG, 30 aprile 1990, in VersR, 1991, p. 928.(65) BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 31.(66) Cfr. BGH 21 dicembre 2010, in NJW, 2011, p. 1672 s.(67) Esplicitamente BGH 21 dicembre 2010, cit., p. 1673: « Ein Befunderhebungsfehler

ist gegeben, wenn die Erhebung medizinisch gebotener Befunde unterlassen wird. Im Un-terschied dazu liegt ein Diagnoseirrtum vor, wenn der Arzt erhobene oder sonst vorliegen-de Befunde falsch interpretiert und deshalb nicht die aus der berufsfachlichen Sicht seinesFachbereichs gebotenen – therapeutischen oder diagnostischen - Maßnahmen ergreift »;già prima cfr. BGH 12 febbraio 2008, in VersR, 2008, p. 644 s.; BGH 8 luglio 2003, in Ver-sR, 2003, p. 1256 s.; BGH 8 ottobre 1994, in VersR, 1995, p. 46; BGH 23 marzo 1993, inVersR, 1993, p. 836 ss.; BGH 10 novembre 1987, in VersR, 1988, p. 293 s.

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una inesatta interpretazione del referto degli esami che sotto il profiloobiettivo non poteva sfuggire al professionista (68).Il Befunderhebungsfehler, per contro, presuppone una condotta omissi-

va del medico, che integra un semplice errore di trattamento cagionanteun danno al paziente, in quanto altrimenti sarebbe stato sottoposto a di-verse misure impedendo il progresso della malattia a seguito della man-canza di esami (69). Per questa ipotesi trova applicazione il secondo perio-do dell’ult. comma del § 630h BGB.

6. – Dopo l’illustrazione – secondo i tratti essenziali della nuova discipli-na del contratto di trattamento – sembra opportuno soffermare l’attenzio-ne sulla collocazione e soprattutto sulla interazione con la disciplina pre-gressa della responsabilità medica.Agli esordi degli anni Ottanta nell’incipit della sua opera fondamentale

sulla responsabilità medica Dieter Giesen sottolineava che nessuno Statoeuropeo aveva dedicato regole speciali sulla Arzthaftung (70). Siffatta areaprofessionale rientrava nell’alveo della disciplina generale della responsa-bilità, con la conseguenza che il corpo di regole è stato creato dai giudi-ci (71).Venticinque anni dopo, questa conclusione può essere rivista in ambito

europeo, con le discipline introdotte in Olanda nel 1995 all’interno delnuovo codice civile (72), in Francia, con la legge n. 2002-303 di riforma deldiritto sanitario (73), e infine entro il nuovo diritto europeo, nel corpo delDCFR che prevede nel Libro Quarto il Treatment (74).Quanto poi al problema della natura giuridica della responsabilità me-

dica, essa può rientrare in entrambi i campi della responsabilità contrat-tuale ed extracontrattuale (75). Il sistema tedesco della responsabilità me-

(68) Così, BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 31, ove aggiunge: « Dies ist insbesonderedann der Fall, wenn die Kenntnis der richtigen Diagnose grundlegend ist und schon beieinem Examenskandidaten erwartet werden kann, weil sie zu dem medizinischen Basis-wissen eines Behandelnden derselben Fachrichtung gehört ».

(69) Giurisprudenza consolidata: BGH 13 febbraio 1996, in VersR, 1996, p. 633 s.;BGH 6 luglio 1999, in VersR, 1999, p. 1282, p. 1284; BGH 7 giugno 2011, in NJW, 2011,p. 2508 ss.; BGH 5 novembre 2013, in VersR, 2014, p. 247 ss.

(70) Giesen, Arzthaftungsrecht. Die zivilrechtliche Verantwortlichkeit des Arztes in recht-svergleichender Sicht, Bielefeld, 1981, p. 1.

(71) Un quadro generale ed esaustivo è offerto da Gaisbauer, Die Rechtsprechung zumArzthapflichtsrecht 1966-1970. Eine Übersicht, in VersR, 1972, p. 419 ss.; Id., Die Recht-sprechung zum Arzthapflichtsrecht 1971-1974, in VersR, 1976, p. 241 ss.; Laufs, Arztrechtim Wandel – Die Entwicklung des Arztrechts 1976/77, in NJW, 1977, p. 1081 ss.; Id., DieEntwicklung des Arztrechts 1978/79, in NJW, 1979, p. 1793 ss. Lo stesso progetto gover-nativo apre il documento constatando che « Auf dem Gebiet des Behandlungs- und Arzt-haftungsrechts steht Wesentliches nicht im Gesetz, sondern ist Richterrecht » (BT-Druck-sache 17/10488, cit., p. 1).

(72) Artt. 446-468, Boek 7, Burgelijk Wetboek; sul punto v. Kubella, Patientenrechte-gesetz, Berlin-Heidelberg, 2011, p. 38 ss.

(73) Ancora Kubella, Patientenrechtegesetz, cit., p. 74 ss.(74) Cfr., in proposito, Wagner, Das Arzthaftungsrecht im Gemeinsamen Referenzrah-

men für ein Europäisches Privatrecht, in Festschrift für Gerda Müller zum 65. Geburtstag acura di Greiner, Gross, Nehm e Spickhoff, Köln, 2009, p. 335 ss.

(75) Fondamentali: RG, 13 ottobre 1916, in RGZ, 88, 1917, p. 433; BGH 13 maggio

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dica si colloca principalmente nella Deliktsmaterie, e la novella, secondoun’attenta dottrina, non sarebbe in grado di sconvolgere la struttura giu-ridica di protezione dei pazienti (76). Il Deliktsrecht resta il luogo naturaledella responsabilità medica e il formante giurisprudenziale resterà la sedeprimaria contenente le regole della disciplina (77). Il legislatore persegueinvece un sistema di Idealkonkurrenz fra le due responsabilità, precisandoche la nuova disciplina mette al centro dell’impianto di protezione del pa-ziente la vertragliche Haftung (78). La prassi chiarirà il rapporto e l’apportodei due sistemi di responsabilità, diretti ovviamente ad una efficace tuteladei pazienti.Nel nostro sistema di responsabilità professionale, nella specie medica,

la relativa disciplina scaturisce dalle norme sul contratto di prestazioned’opera intellettuale, la quale si sviluppa attraverso una fitta rete di regolecreate dalla giurisprudenza. In questo senso il formante giurisprudenzialerappresenta la fonte per eccellenza delle norme sulla responsabilità medi-ca e professionale, la quale si mostra flessibile e adeguata a soddisfare gliinteressi delle parti coinvolte a seguito di un bilanciamento delle loro po-sizioni giuridiche. La complessità della materia esige regole che siano ca-ratterizzate da una forte duttilità, tale da consentire un rapido intervento aprotezione di interessi meritevoli di tutela. Il nostro sistema legale, me-diante la concretizzazione giudiziale di clausole generali, è in grado dipromuovere una struttura di regole coniate dalla giurisprudenza dirette aproteggere gli interessi delle parti. Ciò pare allo stato scongiurare un in-tervento legislativo e – come affermava Montesquieu – se non è necessarioemanare una legge allora è necessario non emanarla.

1955, in BGHZ, 17, 1955, p. 214 ss. Il problema del cumulo in modo comparativo è affron-tato da Schlechtriem, Vertragsordung und außervertragliche Haftung, Frankfurt a.M.,1972. Con l’eccezione della Francia, paese ove sussiste il principio del non-cumul des re-sponsabilités, in cui fino al 1936 la responsabilità medica era esclusivamente di natura ex-tracontrattuale; la Cour de Cassation ha poi stabilito che in presenza di contratto professio-nale opera la disciplina della responsabilità contrattuale, altrimenti trovano applicazione iprincipi di responsabilità extracontrattuale (Cass. 20 maggio 1936, in Dalloz Pér., 1936,1.88, in un caso in cui l’azione extracontrattuale era prescritta). Guarda caso anche nellenostre fondamentali Cass. n. 589/99 e Cass. n. 11593/93 l’azione in torto era prescritta.

(76) Così, Katzenmeier, Der Behandlungsvertrag – Neuer Vertragstypus im BGB, cit., p.823.

(77) In questo senso, Katzenmeier, Der Behandlungsvertrag – Neuer Vertragstypus imBGB, cit., p. 823; Hart, Patientensicherheit nach dem Patientenrechtegesetz, in MedR,2013, p. 165.

(78) Nel progetto del governo chiaramente si dice: « Es besteht auch weiterhin Ideal-konkurrenz zwischen vertraglicher und deliktischer Haftung; daran soll sich durch die Ko-difizierung des Behandlungsvertrages nichts ändern. Allerdings wird die Haftung aus De-likt neben der vertraglichen Haftung womöglich weiter an eigenständiger Bedeutung ein-büßen. Dies kann hingenommen werden. Die deliktische Haftung hat gegenüber der ver-traglichen Haftung bereits mit der Verlagerung des Schmerzensgeldanspruchs des § 847 a.F. in den Allgemeinen Teil des Schuldrechts des BGB an Bedeutung verloren (Laufs/Kern, Handbuch des Arztrechts, 4. Auflage 2010, § 103 Rn. 1 ff.). Die deliktischen Haf-tungsansprüche haben deshalb nur noch eine eigenständige Bedeutung, wenn eine ver-tragliche Haftungsgrundlage fehlt, sei es, dass einer Behandlung kein Behandlungsvertragzugrunde liegt oder der Geschädigte keine vertraglichen Ansprüche aus dem Behand-lungsvertrag gegen denjenigen, der die Behandlung durchgeführt hat, geltend machenkann » (BT-Drucksache 17/10488, cit., p. 17 s.).

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