Giorgieri Anaḫi, anaḫiti. luvio o hurrico, Fs Carruba 2012

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INTERFERENZE LINGUISTICHE E CONTATTI CUXTURALI IN ANATOLIA TRA II E I MILLENNIO A.C. Studi in onore di Onofrio Carruba in occasione del suo 80" compleanno a cura di Paola Cotticelli Kurras, Mauro Giorgieri, Clelia Mora, Alfredo Rizz con la collaborazione di Federico Giusfredi Itnrmr.t Ur.rrrryRsnYPREss

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Giorgieri Anaḫi, anaḫiti. luvio o hurrico

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STUDIA MEDITERRANEA 24

INTERFERENZE LINGUISTICHEE CONTATTI CUXTURALI IN ANATOLIA

TRA II E I MILLENNIO A.C.

Studi in onore di Onofrio Carrubain occasione del suo 80" compleanno

a cura diPaola Cotticelli Kurras, Mauro Giorgieri, Clelia Mora, Alfredo Rizza

con la collaborazione diFederico Giusfredi

Itnrmr.tUr.rrrryRsnYPREss

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STUDIA MEDITERRANEA

collana fondata da Onofrio Carruba

lnterferenze linguistiche e contatti culturaliin Anatolia tra lle I millennio a.C.

Studi in onore diOnofrio Carruba in occasione del suo 80" compleanno

a cura diPaola Cotticelli Kurras, Mauro Giorgieri, Clelia Mora, Alfredo Rizza

con la collaborazione di Federico Giusfredi

PROPRI ETA LETTERARIA RISERVATA

Copyright Maggio 20.12 lrnr-rer'r UnveRsrv Pnpss s-R-r-

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ISB N : 978-8 8-8258-1 40-4

Volume pubblicato con un finanziamento del Dipartimento di Filologia,

Letteratura e Linguistica dell'Università degli Studi diVerona.

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Sommario Introduzione 5 Anatolien im Fokus. Onofrio Carruba – Sprachwissenschaftler, Philologe, Historiker di G. Wilhelm

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Pubblicazioni di Onofrio Carruba a c. di F. Giusfredi / A. Intilia 13

Between Anatolia and Syria: High Officials at Emar and Syro-Anatolian Cultural Contacts. The Case of Marianni, Scribe of Ini-Teššup di M. E. Balza

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Šauška e il suo awiti di B. Bellucci 43

Integrazione lessicale e categorie morfologiche dei prestiti luvi in ittito di P. Cotticelli Kurras 73

Notes on Anatolian Hieroglyphic Palaeography: An Investigation of the Sign *439, wa/wi di L. d'Alfonso 87

I segni dipinti del bacino di Isma (Giordania Meridionale). Problemi e prospettive di ricerca di R. Fasani 107

anaḫi, anaḫiti: luvio o hurrico? di M. Giorgieri 139

Note sui prestiti accadici e urartei in luvio-geroglifico di età del Ferro di F. Giusfredi 153

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TELL AHMAR 5: One Inscription or Two? di A. Intilia 173

Un “leone errante” e altre evidenze di contatti, di influenze, di trasmissione di motivi nella glittica ittita di C. Mora 191

“A margine” di alcune iscrizioni e raffigurazioni di epoca neo-ittita di P. Poli 207

Polveri di parole - polveri di spezie. Sulle tracce dello zafferano nell'area indo-mediterranea antica di A. Rizza 231

La concezione di “mare” presso gli Ittiti tra simbolo e realtà di M. Vigo 267

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Mauro Giorgieri

anaḪi, anaḪiti: luvio o hurrico?

In the present article the words anaḫi and anaḫiti are discussed. Contrary to the now widespread Luwian etymology of the term anaḫi(t)-, the article is aimed at demonstrating the Hurrian origin of the substantive anaḫi (an=aā=i) and of the cognate word anaḫiti (an=aā=idi), on the basis of their derivation from the Hurrian root an- “rejoice”, attested also in the form an=aḫḫ- with the root-complement -aḫ(ḫ)-. The basic meaning proposed here for an=aā=i is it. delizia (“joy, delight”), whereas an=aā=idi probably denotes a more concrete object (it. delicatezza, “delicacy”, germ. Delikatesse). In the technical language of the rituals of West-Hurrian provenance both words were used to indicate the “advance sample”, the “test morsel” of the sacrificial offering, which was intended to entice the deities and to put them into a positive, joyful state of mind towards the sacrifice, so that they will be more inclined to aid the ritual client. In the Indo-European Anatolian languages the two terms merged in a single word reinterpreted as anaḫi(t)-, following the pattern of other loanwords borrowed from Hurrian and incorporated into Luwian and Hittite1. 0. In un succinto, quanto fondamentale lavoro del 19672, Onofrio Carruba fu il primo a chiarire l’esatta natura di un elemento -t- presente nella declinazione di alcune forme nominali dell’ittita di chiara origine straniera, che fino ad allora era stato erroneamente interpretato come un morfema flessivo di provenienza hurrica. Era questa l’opinione tradizionale, condivisa per esempio da F. Sommer e J. Friedrich3. Sull’inadeguatezza di questa interpretatio hurritica per le forme che presentavano una tematizzazione in dentale, Carruba (1967: 151) si esprimeva nel modo seguente:

Die Erklärung des Ursprungs dieser Endungen und die sich daraus ergebende Bezeichnung ist jedoch u. E. abwegig. [...] Im allgemeinen ist zu allen Wörtern mit sogenannten “churritischen” Flexions-Elementen des

1 Desidero ringraziare P. Cotticelli Kurras e A. Rizza per aver letto il manoscritto ed avermi fornito utili osservazioni e suggerimenti. Le abbreviazioni seguono H.G. Güterbock† / H.A. Hoffner Jr. / Th.P.J. van den Hout (edd.), The Hittite Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago (CHD), 1989-. 2 Carruba 1967. 3 Cf. Sommer 1947: 93, che parlava di “gelegentliche Beibehaltung hurrischer Flexion in heth. Kontext, namentlich des Richtungskasus auf -tī [sic!], der manchmal neben den hethitischen Formen auftritt”; alla stessa maniera Friedrich 1947-48: 16 s. riteneva che “die Erklärung des t-Elements” fosse da ricercare nel hurrico (“Auszugehen ist gewiss von dem churritischen Direktiv auf -ta”), senza però trovare tuttavia una ragione valida per cui “gerade das Suffix des Direktivs von allen churritischen Kasussuffixen im Hethitischen so produktiv geworden ist”.

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Hethitischen folgendes zu bemerken: Seitdem man das Luwische besser kennt, wird es immer wahrscheinlicher, daß diese churritischen Wörter durch die Vermittlung des Luwischen ins Heth. eingedrungen sind. Das Material zeigt deutlich, daß das -t-Element zum Stamm gehörte [...]. Das Nebeneinander von einem [...] vokalischen und einem t-Stamm in einem Flexionssystem ist aber an und für sich ein typisches Merkmal der Deklination der luw. Neutra auf -ḫi(t)- (Abstrakta) und -i(t)-. E più oltre (Carruba 1967: 153): Resümierend also, haben wir hier nicht churritische Deklinationsformen, sondern churritische Lehnwörter, die über das Luwische und mit luw. Stammbildung in die hethitische Deklination mit den in dieser vor allem bei Lehnwörtern üblichen Schwankungen [...] übernommen wurden. Non v’è oggi dubbio alcuno tanto sull’esattezza dell’interpretazione fornita per queste forme da Carruba4, quanto sui rapporti che egli ricostruisce tra ittita, luvio e hurrico. È stato soprattutto Starke (1990: 210 ss.) a sviluppare questa tematica e a mostrare come molti dei sostantivi luvi che presentano l’uscita tematica in -i(t)- siano prestiti, per lo più dal hurrico5, passati poi per tramite del luvio all’ittita6. Oggetto del presente contributo, che ho l’onore e il piacere di dedicare al mio maestro Onofrio Carruba e che in qualche modo prende spunto proprio dal suo lavoro citato in apertura, è il vocabolo anaḫi, che ben si presta ad illustrare la complessità dei contatti linguistici tra ittita, luvio e hurrico. Secondo l’ipotesi correntemente più diffusa ed accettata, il vocabolo in questione viene infatti ritenuto come un termine di origine luvia a suffisso -i(t)-; in conseguenza di ciò il suo tema viene posto come anaḫit-7. Secondo questa ipotesi, il vocabolo

4 È curioso constatare come ancora oggi permanga in alcuni casi l’abitudine di definire “hurritizzanti” le forme con tema in dentale; cf. per es. Kloekhorst 2008: 1027, che a proposito del vocabolo zakki(t)- scrive: “The dat.-loc. sg. zakkiti shows a Hurrian case ending, which indicates that the word is of Hurrian origin” (su questo sostantivo v. Starke 1990: 221; Melchert 1993: 275). Oppure in HED A-E/I: 284 riguardo al vocabolo erḫui- si dice: “Hurrian origin has been suggested because of the dat.-loc. -ti”, forma che successivamente viene indicata come “grammatical foreignism”. 5 Cf. a tal proposito anche Melchert 2003: 198, che nota come una delle principali funzioni del suffisso -i(t)- in luvio sia “to adapt loanwords, especially from Hurrian”. 6 Va ricordato che fu per prima Kammenhuber 1959: 33 ad avanzare questa ipotesi riguardo ai prestiti hurrici in ittita (“das Churrit. erst durch das Medium des Luv. auf das Heth. eingewirkt hat”). Riguardo ai prestiti lessicali dal luvio all’ittita cf., più in generale, Melchert 2005 e il contributo di P. Cotticelli Kurras in questo volume, con ulteriore bibliografia. Su fenomeni di interferenza grammaticale tra hurrico e luvio v. Yakubovich 2009: 51 s. 7 L’ipotesi di un’origine luvia del vocabolo risale a Laroche 1970: 68 ss.; è poi stata sviluppata soprattutto da Starke 1990: 158 s. ed è ora generalmente accolta (v. più diffusamente infra § 3).

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sarebbe passato come prestito sia in ittita che in hurrico, dove presenterebbe forme ad alternanza tematica con e senza uscita in dentale. In realtà, un’attribuzione del vocabolo alla lingua luvia mi sembra presentare non pochi problemi, soprattutto a causa dell’analisi morfologica proposta da F. Starke (v. infra § 3). Al contrario, ritengo più plausibile un ritorno alla tradizionale ipotesi di attribuzione del termine in questione alla lingua hurrica8, riveduta però sulla scorta di nuove acquisizioni nell’ambito del lessico e della morfologia del hurrico, che permettono da un lato di definire meglio la semantica del vocabolo anaḫi, dall’altro di dimostrare come esistesse un altro termine di significato affine, anaḫiti, derivato dalla medesima base radicale9. 1. anaḫi(t)- in ittita In numerosi testi di rituali e di cerimonie cultuali di origine hurrico-kizzuwatnea è attestato, nelle sezioni in lingua ittita che descrivono, in maniera stereotipata, i riti di offerta da compiere nei confronti delle divinità, il vocabolo anaḫi(t)-10. Con esso si indicano le parti di un’offerta, sia di pane (tra gli altri soprattutto NINDA.SIG, NINDA.GUR4.RA, NINDAalattari-, NINDAiduri-) che di animali (in genere uccelli e ovini)11, che l’officiante del rito preleva e dà preventivamente alla divinità da assaggiare12, affinché essa possa pregustare ciò che l’attende nel successivo sacrificio e disporsi quindi con un’inclinazione

8 Per un’interpretazione del vocabolo come prestito hurrico in ittita, anche se fondata su argomentazioni oggi non più accettabili (cf. § 3), v. Friedrich 1947-48: 15 s.; HW: 21; HW2 A: 72 ss.; HEG A-K: 25. Incerto sull’etimologia J. Puhvel in HED A-E/I: 58. 9 La proposta di riconoscere due diversi vocaboli, anaḫi ed anaḫiti, derivanti dalla stessa radice hurrica an=aā- (ampliamento di an- “gioire”) era stata da me già avanzata in Giorgieri 2000: 200 s. n. 81 e in de Martino / Giorgieri 2008: 84, senza avere tuttavia in quelle sedi la possibilità di sviluppare le argomentazioni a favore di questa interpretazione. 10 Per le occorrenze e le diverse grafie del termine, nella maggior parte dei casi scritto con la seconda sillaba in grafia plene (a-na-a-), v. HW2 A: 72 s.; HED A-E/I: 57 s.; Salvini / Wegner 1986: II 46 s.; Wegner / Salvini 1991: 255; Wegner 2004: 84 s. Per un’analisi della funzione e dello svolgimento dei riti di offerta che prevedono l’uso di anaḫi v. Kammenhuber 1986: 106, 402 ss. e soprattutto Kühne 1993: 272 ss. (anche sui parallelismi con la tradizione greca). Contrariamente a quanto affermato da Starke 1990: 158, il vocabolo non è attestato solo nel XIII sec., ma compare già in testi dell’epoca medio-ittita, come giustamente osservato da Kühne 1993: 274. 11 Cf. HW2 A: 72 s. per la diversa casistica delle sostanze da cui si preleva l’anaḫi. Kühne 1993: 272 ss. ha dimostrato che le parti prese dagli animali sono peli (per gli ovini) o piume (per gli uccelli), non pezzi di carne, come voleva invece Kammenhuber 1986 (così anche in HW2 A: 72). Gli animali in questione sono infatti ancora vivi, dopo che è stato loro prelevato l’anaḫi. 12 Il rito prevede in genere che, una volta prelevato, l’anaḫi sia o gettato direttamente nel fuoco (per es. in KBo 5.1 III 17-20 e 33-37) oppure prima intinto nell’olio contenuto nell’incensiere-aḫrušḫi e poi gettato nel braciere-ḫuprušḫi sul focolare (per es. in ChS I/2 Nr. 1 I 32-34 e passim in questo testo).

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positiva nei confronti delle richieste del mandante del rituale13. Di qui l’abitudine di tradurre questo termine con “Kostprobe” (così per es. HW: 21; HW2 A: 72; Kühne 1993: 274: “‘Kostprobe’ oder ‘Anbruch’”), “advance sample, test morsel (of the sacrificial offering)” (così HED A-E/I: 57; Melchert 1993: 12 “sample, taste”), “bouchée, morceau” (Laroche 1970: 69). In quest’ottica, la traduzione migliore in italiano, oltre naturalmente ad una resa con il concetto più generico di “assaggio”, risulterebbe essere a mio avviso “prelibatezza”, sia nel senso etimologico del termine (da lat. praelibāre), sia nel senso di “bocconcino, boccone prelibato”. Il vocabolo ricorre solitamente nella forma anaḫi (nella grafia a-na-(a)-ḫi), più raramente nella forma con uscita tematica in dentale anaḫita (nella grafia a-na-(a)-ḫi-ta). Dal punto di vista morfologico, le due forme possono essere interpretate rispettivamente come un nom.-acc. sg. neutro la prima e come un nom.-acc. pl. neutro a desinenza -a la seconda14. Come è stato giustamente notato, una simile alternanza tematica può essere spiegata solo a partire dal luvio: essa è infatti del tutto analoga a quella dei sostantivi luvi a suffisso -it-15. Benché non compaia in testi genuinamente in lingua luvia, il termine anaḫi(t)- è dunque con ogni probabilità entrato in ittita dal luvio. A partire dal tema in dentale esiste anche una forma aberrante di acc. sg. di genere comune ittita anaḫitin, non registrata nei dizionari, ma discussa da Laroche (1970: 69)16. Sempre dal tema in dentale si forma, per mezzo del suffisso -aḫit-, l’astratto luvio anaḫitaḫit-, che compare al caso dat.-loc. sg. (anaḫitaḫiti “alla maniera dell’a.”)17. Al di fuori dei contesti stereotipati che trattano di offerte alle divinità, il termine anaḫi(t)- compare nel testo di indagine mantica KUB 46.37 Vo 7 s.: nu-kán a-na-ḫi-ta!(ŠA)18 URUA-ru-uš-na (8) [ ]x x pé-e-[d]a-i. Colui che porta gli anaḫita ad Arušna è verosimilmente “il Mio Sole” (cf. Vo 4 DUTUŠI, 2x). In precedenza (Vo 6) si dice che egli va a Nerik, per poi proseguire verso

13 Così Kühne 1993: 276 descrive la finalità del rito dell’anaḫi: “Der Brauch wäre mithin zu verstehen als ein kunstvoller, das eigentliche Opfer avisierender Anreiz für die Gottheit, ihre Distanz zu dem ihrer Zuwendung bedürftigen Menschen zu überwinden und ihn umso gewisser beim Opfermahl mit ihrer segenverheißenden Gegenwart zu belohnen”. 14 Bisogna tuttavia osservare come la forma anaḫi talvolta funga da nom.-acc. pl. (per es. in KBo 8.80 I 10 dove anaḫi concorda con la forma di nom.-acc. pl. neutro del pronome relativo kue), probabilmente per influenza dell’uscita di nom.-acc. pl. neutro plurale ittita in -i. 15 Laroche 1970: 70; Starke 1990: 158. 16 La forma è attestata in KBo 7.60 Vo 9; v. Wegner 2004:84. 17 Per le attestazioni v. HW2 A: 74 (con errata lemmatizzazione anaḫitaḫiti(ya)); Otten 1976: 103 (“auf a.-weise [Fladenbrote brechen]”); HED A-E/I: 58 (“sampling, taking of morsels”); Melchert 1993: 13; v. anche Starke 1990: 157 e Laroche 1970: 69 s. 18 Il segno sembra effettivamente ŠA, non TA, in base a collazione su fotografia; cf. anche HED A-E/I: 58 (anaḫita).

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Tumanna (URUNe-ri-iq-qa pa-iz-zi pa-ra-a-ma URUTu-ma-an-na pa-iz-zi). Il contesto in parte frammentario non permette di comprendere appieno in che cosa consista l’atto di portare gli anaḫita ad Arušna, ma può essere utile osservare come poche righe prima, in Vo 5, si dica: M]EŠ? a-na-ḫi-da-u-wa-zi PEGIR-pa?P19 DU-zi. Il verbo anaḫidai- (qui all’infinito, seguendo HED A-E/I: 58) è generalmente considerato un derivato di anaḫi(t)- col significato di “assaggiare”20, anche se in questo caso, tuttavia, per la frammentarietà del contesto è difficile stabilire il senso preciso della frase “(il Mio Sole) va indietro ad anaḫidai-”. E poco aiutano le altre occorrenze del verbo in KUB 46.37, tutte in contesti assai frammentari, per meglio definirne il significato (Vo 46 ]x a-na-ḫi-d[a-a]n-zi; 51 L]UGAL a-na-ḫi-da-<iz>-zi; 52 nu a-pí-ia a-na-ḫi-da-an-zi). Il medesimo verbo ricorre anche in una serie di frammenti, la maggior parte dei quali è ancora inedita, che appartengono ad un complesso testuale che raccoglie 6 rituali legati alla città di Arušna, ricostruito recentemente da J. Miller21. Alcune delle occorrenze del verbo anaḫidai- nei frammenti inediti che compongono questo complesso testuale sono state rese note da Otten 1976: 10322, che tuttavia non fornisce nessuna traduzione dei passi: Bo 3288+ Vo 35’23 ]x pé.-an ar-ḫa UDU an-da a-na-ḫi-da-iz-zi ÉRINMEŠ LUGAL-ia-za a-na-ḫi-da-iz-[zi, 71’ ]NUMUN GIŠKIRI6 a-na-ḫi-da-an-zi, 74’ ]EN.SISKUR-ia a-na-ḫi-da-u-wa-an-zi ze-en-na-an-zi; Bo 6730+ col. ds. 9’ s. URU-an ḫu-u-ma-an ḫa-aš-du-ir-ra-za [... ...] a-na-ḫi-da-iz-zi. Proprio quest’ultimo passo è di un certo interesse, poiché in KUB 46.39+, un frammento che si unisce per join diretto a Bo 673024, in III 9’25 è contenuta una frase analoga: URULUM TUR-ma ḫa-aš-du-ir-ra-za pu-ru-ud-da-za IŠ-T[U. Come giustamente interpretato in HW2 Ḫ: 438b abbiamo verosimilmente a che fare in questo caso con un modellino di città (“eine kleine Stadt (als Nachbildung) aus (Stroh?)-Häksel, Lehm (und) aus [X]“), interpretazione questa condivisa anche da CHD P: 396a. Quale sia in questo contesto il significato del verbo anaḫidaizzi non mi risulta chiaro. Così come non mi risulta chiara la forma anaḫiyaš, che in KUB 46.39+ ricorre più volte,

19 Mi sembra questa la lettura preferibile in base a collazione su fotografia. 20 HED A-E/I: 58 (“sample”); Melchert 1993: 13 (“take a sample, taste”); HHW: 15 (“eine Kostprobe nehmen, probieren”?); su questo verbo v. anche Otten 1976: 103 e Starke 1990: 157 n. 505. 21 V. preliminarmente, sulla ricostruzione e su alcune caratteristiche di questo testo, Miller 2010 (con ulteriore bibliografia). 22 Riprese in Starke 1990: 157 n. 505 e HED A-E/I: 58. 23 Si noti che mantengo qui la numerazione delle righe data da Otten; essa probabilmente cambia sulla base dei joins stabiliti tra questi frammenti da Miller. 24 V. la foto del join fornita da Miller 2010: 508 (Fig. 5a). 25 Anche in questo caso mantengo la numerazione della riga indipendentemente dal computo generale risultante dal join tra Bo 6730 e KUB 46.39 (v. la foto sopra citata in Miller 2010).

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nel primo caso nella riga immediatamente successiva al passo sopra discusso: III 10’ 1 UDU-ma a-na-ḫi-ia-aš EGIR-an i-ia-at-ta-ri “una pecora invece cammina dietro agli anaḫi” (qui anaḫiyaš è probabilmente un dat.-loc. pl. retto da peran). E poi in III 16' pár-na-aš a-na-ḫi-ia-[ (“a. della casa”) e III 22' šal-la-ia-aš a-na-ḫi-ia-aš pár-ra-an-d[a (“ai? grandi a.”). Abbiamo a che fare con una forma del sostantivo anaḫi(t)- senza l’attesa uscita tematica in dentale, tipica dei casi obliqui? Data la frammentarietà dei contesti preferisco lasciare aperta la possibile interpretazione sia di questa forma nominale sia delle forme verbali derivate da anaḫidai-, in attesa che l’edizione completa del testo ad opera di J. Miller permetta una migliore comprensione del contenuto di questi rituali. 2. Le testimonianze in lingua hurrica: anaḫi, anaḫiti26 In diversi casi, alla sezione in lingua ittita contenente la descrizione dei riti da compiere con l’utilizzazione di anaḫi(t)-, fa seguito una formula recitata in lingua hurrica, in cui compaiono due sostantivi: anaḫi oppure anaḫiti27. Lascio provvisoriamente aperto il problema dell’esatta interpretazione morfologica dei due vocaboli, chiaramente correlati tra loro e chiaramente corrispondenti ad anaḫi(t)- della sezione ittita, per ritornarvi nel successivo § 3, dove si discute l’origine linguistica di questi termini e si propone una loro analisi morfematica. Mi limito per ora ad osservare che essi appaiono in contesti analoghi, nelle medesime formule stereotipate, ma presentano tuttavia una distribuzione complementare: il termine anaḫi risulta essere attestato solo nelle tavole appartenenti alla festa (ḫ)išuwa (edite da Wegner / Salvini 1991 come ChS I/4), tra l’altro, come si vedrà, in una forma dalla morfologia problematica, mentre il termine anaḫiti ricorre in una serie di rituali eseguiti dal sacerdote LÚAZU (editi da Salvini / Wegner 1986 come ChS I/2). Comincio con il passare brevemente in rassegna le formule contenute nella festa (ḫ)išuwa dove compare la forma anaḫi. Le attestazioni sono raccolte in Wegner / Salvini 1991: 229 s., mentre alcune formule sono discusse da Schwemer 1995: 96 s. Comune a queste formule è la presenza della voce verbale all’ottativo kel=o=ž (in alcune varianti kel=o) dalla radice kel- “soddisfare (trans.) / essere soddisfatto (intrans.)”, mentre il sostantivo anaḫi compare al caso ergativo in funzione di agente28. Tuttavia la forma in cui

26 Per il sistema di trascrizione morfematica delle forme in lingua hurrica adottato qui di seguito rimando a Giorgieri 2000: 171. 27 Come giustamente osservato da Salvini / Wegner 1986: I 2 la funzione di queste formule non è quella di “Beschwörungen”, bensì di “Anpreisungen der Opfergaben”; così anche Kammenhuber 1986: 109 con n. 11. 28 Sulle forme di ottativo in -o=ž (con vocale tematica -o- tipica delle forme modali, indicante un’azione verbale risultativa dal punto di vista del paziente) rimando in generale alla trattazione di Campbell 2007 e 2008 (che definisce tali forme “patientive optative”), pur non

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questo vocabolo è attestato nelle formule della festa (ḫ)išuwa è problematica dal punto di vista grammaticale: esso compare infatti nelle grafie a-na-(a)-ḫu-(u)-iš, a-na-ḫu-(u)-eš, a-na-ḫu-(u)-uš, preceduto sempre dal pronome-aggettivo anaforico ani/anu-, anch’esso nella forma grammaticalmente poco chiara a-(a)-nu-(u)-iš o a-(a)-nu-(u)-(e)-eš (per le occorrenze v. Wegner / Salvini 1991: 230 s.). La forma grammaticalmente corretta di ergativo attesa per i due elementi del sintagma dovrebbe essere rispettivamente anaḫi=ž (o eventualmente anaḫi=ne=ž, con inserzione del cosiddetto “articolo” -ne-) per il sostantivo e anu=ž per il pronome-aggettivo, sul modello per es. di akku=ž (pron. alternativo: “l’uno (di due)”)29. È possibile, a mio avviso, che si sia giunti a queste forme, difficilmente spiegabili da un punto di vista grammaticale, a seguito di corruzioni dovute al lungo e complesso processo di trasmissione di queste formule religiose tra parlanti lingue differenti30. In ogni caso, quella che doveva essere la forma base tradizionale si è conservata nell’ittita anaḫi, e la corrispondenza di questo termine (o del suo plurale anaḫita) con l’anaāu=e/iž (e anaāu=ž) delle formule in lingua hurrica è innegabile, nonostante lo scetticismo a tal riguardo espresso da Starke 1990: 15831. Le formule in cui ricorre il termine anaḫi nella festa (ḫ)išuwa sono estremamente stereotipate. Si va da una forma chiaramente abbreviata, con soppressione del soggetto-paziente della frase, come mostrano i seguenti esempi (1)-(2): (1) ChS I/4 Nr. 23 Vo V 2-5 namma=kan anāḫita DUGāḫrušḫiaz (3) dāi n=at=šan DUGḫuprušḫiya (4) ḫaššī parā dāi nu memai (5) ānu=iž anaāu=ēž kēl=o “poi (il celebrante) prende gli a. dall’incensiere-a. e li ripone nel braciere-ḫ. sul focolare e dice: ‘Che questo a. soddisfi!’ ” (2) ChS I/4 Nr. 7 Vo V 14-15 [n]=ašta ANA NINDA.GUR4.RA NINDA.SIGMEŠ-ya anāḫi dāi (15) [nu mema]i ānu=ēž anaā[u]=ēž kel=o=ž tēa

condividendo l’analisi morfologica -o=(e)ž lì proposta. Più nello specifico sul particolare uso dell’ergativo in funzione di agente con queste forme modali “risultative” (o “patientive”) v. Campbell 2007: 185 ss.; 2008: 287; 2011: 28. 29 V. Giorgieri 2000: 221. 30 Cf. anche Schwemer 1995: 97 n. 77, che a proposito di queste forme osserva: “der /u/-Vokal (oder /v/?) entzieht sich einer Deutung”. L’ipotesi di Laroche 1970: 69, ricordata anche da Schwemer 1995: 97 n. 77, che possa trattarsi del suffisso possessivo di 2. pers. sg. -v- non mi convince, anche se la possibilità che alla base della forma anaāu=e/iž (o anaā=v=e/iž?) possa esservi un originario anaā(i)=v=už (cf. la variante anaāu=ž o anaā=v=už?) non è da scartare completamente. 31 Si noti che in hurrico il termine è sempre al singolare, non abbiamo mai una forma di plurale. Questo vale sia per le occorrenze di anaḫi nella festa (ḫ)išuwa, sia per quelle di anaḫiti nei rituali officiati dal LÚAZU.

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“dalla pagnotta e dai pani sottili (il celebrante) prende l’a. [e dic]e: ‘Che questo a. soddisfi!’ ”, a forme invece più estese, con espressione del soggetto-paziente della frase, come mostrano i seguenti esempi: (3) ChS I/4 Nr. 132 Ro III 36-44 (integr. in base a dupl. Nr. 5 Ro III 23-30) nu=kan ANA NINDA.SIGMEŠ (37) anāḫi dāi n=at=kan ANA Ì.GIŠ (38) anda šunniezzi (39) n=an(sic)=šan ḫūprušḫi (40) ḫaššī peššiezzi (41) nu memāi ānu=ēž [(anaāu=ēž)] (42) kel=o=ž DLe[(llure=nna)] (43) DAbade[=nna D?(Tiyare=nna)] (44) Manuz(i)=[o=<āe>=nn(a)] “dai pani sottili (il celebrante) prende l’a., lo intinge nell’olio profumato e lo getta nel braciere-ḫ. sul focolare e dice: ‘Che questo a. soddisfi Lelluri, Abadi, il fuso? di Manuzi!’ ”33 (4) ChS I/4 Nr. 21 Ro III 6’-9’ namma=ššan NINDA.SIGMEŠ paršiyan[da] (7’) ḫūprušḫi ḫūmanda=pat parā [peššiyazzi?] (8’) nu memāi anū=ēž anaāu=iž (9’) keldi=iy=a ambašši kel=o=ž [t]ēa “poi (il celebrante) [getta] tutti i suddetti ( -pat) pani sottili sbriciolati nel braciere-ḫ. e dice: ‘Che questo a. renda assai soddisfacente? il sacrificio per mezzo del fuoco per il suo benessere!’ ” In quasi tutti i casi, alla forma anaāu=e/iž della formula hurrica corrisponde, nella sezione di descrizione dello svolgimento dei riti, la forma itt. anaḫi (più raramente anaḫita, come in ChS I/4 Nr. 18 Vo V 9’-11’); tuttavia, l’ultimo esempio (nr. 4) mostra come non sempre sia così: qui infatti ad anaāu=iž della formula hurrica corrisponde nella parte ittita NINDA.SIGMEŠ paršiyanda. Volgiamo ora brevemente lo sguardo al gruppo di rituali officiati dai sacerdoti LÚAZU: come si è accennato in precedenza, in questo gruppo di testi compare, nelle formule in hurrico, la forma anaḫiti34. Le formule sono assai simili grammaticalmente a quelle della festa (ḫ)išuwa, con la forma verbale modale di tipo “risultativo” kel=o(=m/mma)35 e il sostantivo anaḫiti al caso ergativo in funzione di agente (nella forma anaāide/i=ne=ž36, con “articolo” -ne-

32 Per la nuova Textzusammenstellung di KBo 15.48++ v. ora la “Konkordanz” online. Il passo in questione tuttavia non è interessato da nuovi joins. 33 Per l’analisi di questa formula v. Schwemer 1995: 96 s. 34 Su queste formule v. lo studio di Kammenhuber 1986: 402 e Salvini / Wegner 1986: I 3 ss. 35 Il morfema -m/-mma che talvolta compare affisso alla vocale tematica verbale rappresenta con ogni probabilità il pron. encl. di 2. pers. sg. 36 In un caso abbiamo la forma aberrante a-na-ḫi-ti-na-aš (ChS I/2 Nr.11 col. ds. 13’).

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prima della desinenza del caso ergativo)37, determinato dall’attributo tad=o=šše=ne=ž (dalla radice tad- “amare”)38. Anche in questo caso abbiamo formule di tipo abbreviato, con esclusione del soggetto-paziente dell’azione, come mostra l’esempio che segue e che ricorre diverse volte in ChS I/2 Nr. 1: (5) ChS I/2 Nr. 1 I 32-35 [nu=š]ši=kan LÚAZU ANA UZUGABA-ŠU anāḫi d[ā]i [n]=˹at˺=kan (33) [DUGā]ḫrušḫi Ì.GIŠ anda šūniēzzi [n=a]t=[š]an (34) [ḫūpr]ušḫi ḫaššī piššiyazzi ḫ[url]ili=ma (35) [anā]ḫidē=ne=ž tād=ō=šše=ne=ž kēl=o [me]māi “Il sacerdote AZU gli (scil. a un uccello) prende un a. dal suo petto, lo intinge dentro l’[in]censiere-a., lo getta nel [bra]ciere.-ḫ. e in hurrico [di]ce: ‘Che l’a. che è amato soddisfi!’ ”, accanto a formule con espressione del paziente, come quella che segue: (6) ChS I/2 Nr. 40 I 25-2839 namma=ši=kan ZAG-ni partauni pankur dāi n=at=kan (26) DUGaḫrušḫi ANA Ì anda šuniezzi n=at=kan ḫupruš[ḫi] (27) parā peššiyazzi nu ḫurlili kiššan memai (28) anaāide=ne=ž tād=o=šše=ne=ž šī=b kel=o=m(m)a “poi (il sacerdote AZU) gli (scil. a un uccello) pone p. sull’ala destra, lo intinge dentro l’olio nell’incensiere-a., lo getta nel braciere-ḫ. e così dice in hurrico: ‘Che l’a. che è amato soddisfi te, (cioè) il tuo occhio!’ ”. Anche questo passo mostra come non necessariamente ad anaḫiti della formula hurrica debba corrispondere anaḫi(t)- nelle istruzioni rituali in ittita (cf. supra nr. 4). Il perché di questa distribuzione nell’uso di anaḫi (festa (ḫ)išuwa) vs. anaḫiti (rituali dei sacerdoti AZU) è difficile da spiegare; è probabile che ci troviamo di

37 Per le attestazioni del termine v. Salvini / Wegner 1986: II 8. 38 Da intendere o come forma participiale-aggettivale passiva (“che è amato”; così Schwemer 1995: 89), o come forma verbale di erg. 2.pers. sg. nominalizzata (così Kammenhuber 1986: 402, 407; Campbell 2007: 132). L’oscillazione occasionale con la forma tad=a=šše (attestazioni in Salvini / Wegner 1986: II 36) mi fa propendere per la prima ipotesi. 39 Per il testo v. ora l’edizione online di D. Bawanypeck e S. Görke sul portale di Mainz al link: http://www.hethport.uni-wuerzburg.de/txhet_besrit/intro.php?xst=CTH701.c.VI&prgr=&lg=DE&ed=D. Bawanypeck / S. Görke.

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fronte a tradizioni ritualistiche diverse, dove, per esprimere il medesimo concetto, si ricorreva ad una diversa terminologia40. 3. Sull’etimologia hurrica di anaḫi (an=aā=i) e anaḫiti (an=aā=idi) Come accennato nel paragrafo iniziale, oggi si tende a privilegiare, rispetto al passato, un’etimologia luvia del vocabolo anaḫi(t)-. Fu per primo E. Laroche ad avanzare questa ipotesi (Laroche 1970: 69 s.; ripetuta anche in Laroche 1980: 48), ormai ampiamente accettata, soprattutto dopo le argomentazioni addotte da Starke 1990: 158 s.41 Secondo Starke un’origine hurrica del termine appare infondata (“ohne Begründung”), mentre a favore di un’ipotesi di etimologia luvia vi sarebbe proprio la forma hurrica con tema in dentale anaḫiti sopra discussa, che per Starke può solo essere spiegata a partire dal luvio. Inoltre, Starke appare assai scettico circa la possibilità di una identificazione della forma anaḫue/iš della festa (ḫ)išuwa con anaḫi. In considerazione di ciò, Starke propone di derivare il sostantivo anaḫit-, che nella sua opinione rappresenterebbe un nomen actionis a suffisso -aḫit-, da una radice verbale luvia con suppletivismo anayi-/anyi-, per altro di difficile definizione semantica. Secondo Starke, alla base anayi- è riconducibile la forma a-na-a-it-ta-ri di KUB 35.107+ III 5’, che è in contesto frammentario, ma che sembra aver a che fare con il fuoco (alla riga precedente III 4’ compare infatti il vocabolo pāḫūr; così pure in III 24’-25’)42. Starke stesso ammette, tuttavia, che la determinazione del significato di anayi- resti difficile da stabilire sulla base di questo passo43. Molto più probante, anzi sostanzialmente decisiva per derivare anaḫit- da una base verbale luvia, è invece per Starke la forma a-ni-e-ia-an-t[i di KUB 35.15 III! 12’, che secondo la sua interpretazione sarebbe un pres. 3. pers. pl. riconducibile alla forma suppletiva della radice anyi-. Egli propone di interpretare a-ta a-ni-e-ia-an-t[i come “sie werden es (-ata) kosten” (con riferimento al pane e alla birra offerti dalla MUNUSŠU.GI nelle righe precedenti). Melchert 1993: 17 (s.v. ānni-/an(i)ya-) respinge però questa interpretazione. Egli

40 Si noti che non c’è alcun rapporto tra la presenza della forma di pl. anaḫita nella sezione ittita e la presenza di anaḫiti nella formula in hurrico, come sembra invece doversi evincere da Kammenhuber 1986: 403. 41 Cf. Kühne 1993: 274; Melchert 1993: 13. 42 KUB 35.107+ è un rituale bilingue luvio-ittita. Lo studio più recente su questo testo è di Torri 2010, cui rimando per la ricostruzione testuale e per la bibliografia precedente. Il passo in questione recita (III 4’-5’): (4’) [ ]x-ša a-an-na-an pa-a-ḫu-u-ur_ [...] (5’) [ ]x pa-al-pa-ti-it-ta-ri a-na-a-it-ta-r[i (in maniera ancor più frammentaria il medesimo passo ritorna anche in III 24’-25’). Torri 2010: 387 rende il passo in questione con “Under [...] the fire [...] burns and consumes”. Questo passo in luvio trova corrispondenza in paḫḫur urāni della versione ittita nella col. I. 43 Melchert 1993: 13 s.v. anā(i)- accetta la proposta di Starke che il fuoco sia il probabile soggetto di anaittari e che questa radice verbale possa essere la base di anaḫit-.

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attribuisce la suddetta forma alla radice verbale ānni-/an(i)ya- “compiere, trattare” e ritiene, secondo me giustamente, che non possa trattarsi di un pres. 3. pers. pl., poiché l’unica forma verbale conservata in questo passo, peraltro anch’esso assai frammentario, è l’imper. 3. pers. pl. ašandu, che ricorre due volte44. Pertanto Melchert (1993: 17) ritiene che a-ni-e-ia-an-t[i- sia piuttosto una forma frammentaria di participio in -ant(ī)-45, mentre a p. 2 s.v. -a- interpreta a-ta del passo in questione come contenente il nom. pl. comune -ata (a differenza di quanto faceva Starke). In conseguenza di ciò, cade la possibilità di vedere in un supposto verbo luvio anayi-/anyi- la base verbale per la formazione di anaḫit-. Ma altri argomenti possono essere addotti contro l’ipotesi di Starke. Melchert (1993: V) nega infatti decisamente che esistano radici a suppletivismo -yi-/-ayi- come vorrebbe Starke, arrivando ad affermare che “this fictitious suppletion and the many consequences drawn from it must be rejected”. In conseguenza di ciò, andrebbe rifiutata in toto la spiegazione che Starke 1990: 153 ss. dà delle forme con suffisso -aḫit-, tra cui anche anaḫit-. Questo è affermato da Melchert stesso (1993: IV), laddove dice che Starke “arbitrarily reconstructs several dozen unattested and totally unmotivated verb stems”, cosa che secondo Melchert ha ricadute sull’interpretazione che Starke dà di diversi suffissi nominali tra cui -aḫit- stesso, che serve invece alla costruzione di astratti (v. Melchert 2003: 198). Ritengo dunque di poter affermare che il tentativo di attribuire il sostantivo anaḫi alla lingua luvia si scontra con problemi difficili da superare. Mi sembra invece che sussistano elementi abbastanza sicuri per un’attribuzione alla lingua hurrica del vocabolo in questione, partendo tuttavia da nuove basi rispetto a quanto ipotizzato in anni passati (v. bibliografia citata a n. 8). Punto di partenza è la tavoletta bilingue hurrico-ittita KBo 32.15 appartenente al “Canto della liberazione”. Grazie a questo testo si è infatti scoperta la radice verbale hurrica an-, che trova corrispondenza nell’ittita dušk- e significa “gioire (intrans.) / rallegrare (trans.)”46. Tutta una serie di termini hurrici legati alla sfera cultuale e del sacrificio possono essere ricondotti con buona verosimiglianza a questa radice: ani, anani, ananareški, ananeški, ananišḫe47. Propongo pertanto di far derivare dalla radice an- anche i due termini sopra discussi anaḫi ed anaḫiti. Il

44 KUB 35.15 III! 12 s. [ a-š]a-an-du a-ta a-ni-e-ia-an-t[i- ] (13’) [ a-š]a-an-du. 45 Formazione tuttavia assai rara in luvio e limitata a participi lessicalizzati; v. Melchert 2003: 198. 46 Per questa radice, i suoi derivati e le corrispondenze con l’ittita rimando alla bibliografia e alle forme raccolte in de Martino / Giorgieri 2008: 82 ss. Va sottolineato come a suo tempo Starke non avesse questi nuovi importanti dati, acquisiti grazie alla bilingue hurrico-ittita, a sua disposizione. 47 Per questi termini v. de Martino / Giorgieri 2008: 84 s. (con bibliografia relativa).

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primo andrà analizzato morfologicamente come an=aā=i (sostantivo deverbativo costruito con la vocale tematica nominale -i; cf. per es. ḫan=i “figlio” da ḫan- “generare”), il secondo invece come an=aā=idi (sostantivo che presenta il suffisso nominale di recente individuazione -idi, isolabile per es. in tar=idi “un tipo di vaso”, da tari “fuoco”, o in naḫḫ=idi “un tipo di seggio”, da naḫḫ- “porre, sedere”, e che serve a formare sostantivi indicanti oggetti concreti a partire da base sia nominale che verbale48). Questa interpretazione etimologica trova un valido supporto dal punto di vista testuale, a mio avviso, nel seguente passo dal rituale di purificazione itkaḫi, dove troviamo attestata in una formula sacrificale una forma verbale derivata dalla radice an- ampliata per mezzo del suffisso -aḫ(ḫ)-49, che rappresenta la base su cui si costruiscono i due sostantivi an=aā=i ed an=aā=idi: ChS I/1 Nr. 3 Vo 37-38 ḫažar(i)=re(<ne)=ž pāār(i)=ō=ži=ne=ž kīl=o=m [... ...]x /? ḫō(=o)?ž=i=ll=ai=n (38) an=aḫḫ=ož=i=ll=ae “che l’olio pregiato soddisfi te [... ...] che ..., che gioisca!” Il passo è purtroppo in parte frammentario, ma mi sembra difficile non identificare nella forma an=aḫḫ=ož=i=ll=ae la radice an- “gioire”, all’interno di un contesto di sacrificio in cui si invoca il benessere della divinità dato dalle sostanze pregiate a lei offerte. Il soggetto della forma verbale modale an=aḫḫ=ož=i=ll=ae50 è, a mio avviso, una parte del corpo della divinità (l’occhio?) perduta in lacuna prima dell’altra forma verbale ḫō(=o)?ž=i=ll=ai=n di difficile analisi ed interpretazione51. In conseguenza di ciò, an=aā=i ed an=aā=idi sono le prelibatezze che vengono preventivamente offerte alle divinità affinché suscitino in loro gioia e le dispongano in maniera positiva nell’attesa di ricevere l’offerta. Come significato di base per anaḫi (an=aā=i) e per anaḫiti (an=aā=idi) vorrei proporre, mantenendo il motivo del legame etimologico tra i due vocaboli, rispettivamente “delizia” e “delicatezza”. Secondo Il grande dizionario della lingua italiana (a cura di S. Battaglia; UTET, Torino), delizia è “ciò che produce un intenso piacere [...] avvincendo l’animo, eccitando l’immaginazione o lusingando i sensi”, e per estensione può anche significare “cosa squisita,

48 Su questo suffisso v. Giorgieri 2000: 200 s. Si noti che non rappresenta un ostacolo a questa interpretazione il fatto che il vocabolo sia quasi sempre scritto con la sillaba TE: a-na-ḫi-TE-; nei testi hurrici di Boğazköy il segno TE è usato anche con valore /ti/; v. Giorgieri / Wilhelm 1995: 55. 49 Per questo ampliamento radicale, che alterna nella forma -aḫḫ- ed -aā-, rimando a Giorgieri 2000: 196. 50 Sulle forme modali in -ož=i=ll=ae/i(=n) v. Campbell 2007: 410. 51 Cf. Campbell 2007: 408 ss.

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prelibata, pregiata; ghiottoneria, leccornia” (vol. IV, p. 159); delicatezza invece è “gradevolezza, squisitezza (di una bevanda, di un cibo) [...] In senso concreto: cibi particolarmente raffinati e ricercati, ghiottoneria” (vol. IV, p. 149). Come accennavo sopra, i due termini “delizia” e “delicatezza”, proprio come anaḫi ed anaḫiti, sono collegati etimologicamente, derivando entrambi in ultima analisi dal verbo lat. dēlicĕre “sedurre”, a sua volta composto di lacĕre “attrarre, sedurre”. I due vocaboli anaḫi ed anaḫiti di significato affine ed usati in contesti analoghi di offerte agli dei sono entrati nel luvio, dove evidentemente sono stati reinterpretati, alla stregua di altri prestiti dal hurrico, come un unico sostantivo a suffisso -it-, e dal luvio sono poi passati all’ittita (hurr. anaḫi / anaḫiti > luv.-itt. anaḫi(t)-). In conclusione, dunque, soprattutto alla luce delle nuove acquisizioni nel campo del lessico e della morfologia del hurrico, mi sembra di poter affermare che un’attribuzione a questa lingua del termine anaḫi (“delizia”) – così come del termine ad esso imparentato anaḫiti (“delicatezza”) – non solo non risulta essere priva di fondamento, come voleva Starke, bensì si mostra senz’altro preferibile rispetto ad una derivazione del suddetto vocabolo dalla lingua luvia. Il luvio, in questo processo di contatto linguistico, è stato inizialmente lingua replica dal hurrico, ha uniformato i termini integrandoli nel sistema morfologico dei temi in -it- e successivamente ha funto da lingua modello all’ittita, come tramite per l’entrata di questi termini tecnici dell’ambito cultuale nella lingua ittita. Mauro Giorgieri Pavia, Università degli Studi Bibliografia

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