Giliberti, Giuseppe - Elementi Di Storia Del Diritto Romano

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ELEMENTI DI STORIA DEL DIRITTO ROMANO Terza edizione Giuseppe Giliberti G. Giappichelli Editore, Torino 2001

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Ed. Giappichelli, 2001

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  • ELEMENTI DISTORIA DEL DIRITTO

    ROMANOTerza edizione

    Giuseppe Giliberti

    G. Giappichelli Editore, Torino 2001

  • INDICE

    PREMESSA ALLA TERZA EDIZIONECAPITOLO I DIRITTO ROMANO E TRADIZIONE ROMANISTICA

    1. Il giurista e la storia2. Diritto3. Fatti, atti, rapporti4. Ius5. La tradizione romanistica6. Dai Culti alla romanistica moderna

    CAPITOLO II LE ORIGINI DI ROMA1. Periodizzazione del diritto romano2. L'Italia preromana3. L'origine della citt e l'ipotesi gentilizia4. La regalit latina

    CAPITOLO III DALLA MONARCHIA ETRUSCA ALLA REPUBBLICA1. La monarchia dei Tarquini2. Gli organi della citt etrusca3. L'ordinamento serviano e la plebe4. Origine della magistratura

    CAPITOLO IV RESPUBLICA PATRIZIA E CONQUISTE DELLA PLEBE1. Lotte sociali e organizzazione della plebe2. Il decemvirato legislativo3. I tribuni militum . Il pareggiamento delle classi4. Le leges Liciniae Sextiae5. Nascita della nobilitas6. Senato e popolo. Rinvio

    CAPITOLO V IUS CIVILE E GIURISPRUDENZA PONTIFICALE1. L' ius civile arcaico2. Le legis actiones3. Crimini e delitti privati4. Il processo criminale e la provocatio ad populum5. La giurisprudenza pontificale

    CAPITOLO VI LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA1. La libertas repubblicana2. Aequitas e dignitas3. I magistrati4. Magistrature maggiori5. Magistrature minori e plebee6. Il Senato7. La partecipazione alle assemblee. Rinvio

  • CAPITOLO VII LE ASSEMBLEE POLITICHE1. I comizi curiati2. I comizi centuriati3. I comizi tributi4. I concilia plebis5. Leges e plebiscita

    CAPITOLO VIII L'APOGEO DELLA REPUBBLICA1. L'imperialismo romano2. I rapporti internazionali3. I Latini e gli Italici4. Il sistema municipale5. Le coloniae6. Le province in et repubblicana7. L'organizzazione finanziaria

    CAPITOLO IX LA TARDA REPUBBLICA1. Conflitti sociali e lotte politiche nel II secolo2. Il movimento graccano3. Mario. I populares e la questione italica4. Silla. La reazione della nobilitas5. Pompeo. Il princeps ciceroniano6. Cesare e la crisi dell'egemonia aristocratica7. Antonio e Ottaviano. La fine della Repubblica

    CAPITOLO X L' IUS HONORARIUM1. Ius civile e ius gentium2. La giurisdizione del praetor peregrinus3. L'editto pretorio e la procedura formulare4. Gli altri editti

    CAPITOLO XI IL PROCESSO CRIMINALE DELLE QUAESTIONES1. Le quaestiones extraordinariae2. La quaestio repetundarum3. Le altre quaestiones perpetuae

    CAPITOLO XII LA GIURISPRUDENZA LAICA DELL'ET REPUBBLICANA1. Il processo di laicizzazione2. Le attivit dei giuristi laici3. La giurisprudenza della tarda Repubblica4. Generi letterari5. I metodi dei giuristi6. Avvocati e giuristi

    CAPITOLO XIII GENESI DEL PRINCIPATO1. La leadership carismatica e i poteri del 272. La titolatura e il culto imperiale3. I poteri del 234. La successione. Le dinastie5. Natura giuridica del Principato

  • CAP. XIV ORGANI REPUBBLICANI E AMMINISTRAZIONE IMPERIALE1. Gli organi costituzionali di origine repubblicana2. I funzionari imperiali. Il consilium principis3. Aerarium e fiscus imperiale4. L'Italia e l'Impero

    CAP. XV IL DIRITTO NELL'ET DEL PRINCIPATO1. Il sistema delle fonti. Le constitutiones2. La giurisprudenza. Rinvio3. Caratteri del nuovo diritto4. Procedure civili extra ordinem5. Diritto e procedura penale6. Gli iura personarum . Ordini e classi sociali

    CAP. XVI LA GIURISPRUDENZA CLASSICA1. Attivit e produzione letteraria dei giuristi2. Il problema del metodo nell'et del Principato3. La giurisprudenza pre-adrianea. Sabiniani e Proculiani4. Da Adriano ai Severi5. La giurisprudenza tardo-classica

    CAP. XVII IL BASSO IMPERO1. La Constitutio Antoniniana2. La crisi del III secolo3. Diocleziano e la tetrarchia4. Il Cristianesimo e l'Impero5. Costantino. L'impero romano-cristiano6. Dalla tarda romanit all'Impero Bizantino

    CAP. XVIII L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA NEL BASSO IMPERO1. Le capitali. Il Senato e i magistrati2. Gli organi centrali di governo3. L'amministrazione periferica4. La riforma fiscale

    CAP. XIX LEGISLAZIONE IMPERIALE E GIURISPRUDENZA POSTCLASSICA1. Il sistema delle fonti2. La giurisprudenza postclassica3. Il Codice Teodosiano4. Le leggi romano-barbariche

    CAP. XX DIRITTO CIVILE E CRIMINALE NEL BASSO IMPERO1. Il diritto civile nel Basso Impero2. Gli status personarum . Il colonato3. Il processo civile4. Processo e diritto criminale

    CAP. XXI LA COMPILAZIONE GIUSTINIANEA1. Giustiniano. Il primo Codice2. Il Digesto3. Le Institutiones

  • 4. Il Codex repetitae praelectionis5. Le Novelle. Fonti post-giustinianee

    APPENDICE1. Dal Liber singularis enchiridii di Pomponio2. Dalle Res Gestae Divi Augusti3. Dalla Geografia di Strabone4. Gli imperatori romani

  • PREMESSA ALLA TERZA EDIZIONE

    La terza edizione di questo manuale viene pubblicata a ridosso di una riformauniversitaria dagli esiti incerti, ma che di sicuro produrr notevoli cambiamentinella didattica delle materie romanistiche, e non mancher di riaprire il dibattitosul loro contributo alla formazione del giurista. Spero che in questa fase complessae difficile si colga anche l'occasione per esprimere tutte le potenzialit di rinnova-mento di una disciplina cos antica. Quand'ero studente all'Universit di Napoli,l'antecessor Casavola spiegava che gli studi romanistici sono un'introduzione stori-co-comparativa alla comprensione della nostra cultura giuridica. Il proprium diquest'arco disciplinare non consiste tanto nell'approfondire gli antefatti degliistituti contemporanei, che oltretutto si stanno allontanando e in certi settori an-che molto velocemente dalla tradizione romanistica. Studiare il fenomeno giuri-dico da un punto di vista storico (nelle forme, nel linguaggio, nelle logiche, negliinteressi sociali che lo hanno determinato) , piuttosto, un esercizio di critica deldiritto. La romanistica, inoltre, dovrebbe offrire come, del resto, la filosofia deldiritto e la storia del diritto italiano utili collegamenti interdisciplinari fra glistudi giuridici e quelli umanistici.

    Nell'emendare questo testo, mi sono avvalso dei preziosi suggerimenti dei colle-ghi Mariagrazia Bianchini e James Caimi, dell'Universit di Genova. Ringraziocordialmente entrambi per la cortese collaborazione che hanno voluto offrirmi.

    G. GILIBERTI

    Urbino, 1 settembre 2001

  • CAPITOLO IDIRITTO ROMANO E

    TRADIZIONE ROMANISTICA

    1. Il giurista e la storia

    Il diritto pu essere rappresentato come una complessa rete di normegiuridiche, cio di proposizioni che prescrivono dei comportamenti, minac-ciano delle sanzioni, o attribuiscono delle competenze. una struttura pi omeno coerente, tessuta in base a una logica e a dei principi, in modo che cia-scuno dei nodi possa essere collegato a tutti gli altri. La sua funzione dareforma ai rapporti sociali, contenendo i conflitti in limiti accettabili.

    Per comprendere questo sistema di comandi coercitivi, e collegarlo ai fattidella vita, richiesto un procedimento mentale altamente sofisticato.1 Infattinessuna norma costituisce un oggetto isolato e dotato di una stabile realt:ciascuna pu assumere diversi significati, secondo i casi e i momenti.2 Non1 Interprete della legge pu essere lo stesso legislatore (interpretazione autentica), il giudice (in-

    terpretazione giudiziale), o lo studioso del diritto (interpretazione dottrinale). Il risultato del-l'interpretazione pu confermarne la lettera (interpretazione dichiarativa); oppure ampliare ilcampo di applicazione della norma ad altre ipotesi non esplicitate o non originariamente pre-viste (interpretazione estensiva); ovvero restringerlo (interpretazione restrittiva). Nell'inter-pretazione vengono utilizzate una serie di tecniche, elaborate dai giuristi antichi e medievali,spesso enunciate in forma di regole sintetiche e quasi proverbiali (brocardi). Sono in realtdegli argomenti e principi tradizionali di buonsenso, che partono dal punto di vista che le nor-me hanno la funzione di dirigere effettivamente i comportamenti sociali, e quindi debbono es-sere comprensibili e coerenti. Tra i principali argomenti interpretativi, che si propongono so-prattutto qualora si evidenzi una lacuna del diritto, figura l'analogia, ovvero argomento a pari(al caso non previsto va applicata una norma concepita per regolare una fattispecie simile).

    2 un luogo comune che una sola decisione del legislatore possa mandare al macero intere bi -blioteche giuridiche. Ma anche quando apparentemente nulla cambia nel sistema delle norme,il diritto esposto in ogni caso al fenomeno dell'interpretazione. Cfr. Betti, Teoria generale del-l'interpretazione, 2 voll. (1955); Kantorowicz, The Definition of Law (1958); Perelman, La rforme del'enseignement du droit et la nouvelle rhthorique, in Giuliani, Picardi, L'educazione giuridica. I: Mo-delli di Universit e Progetti di riforma (1975), 3 ss.; Tarello, L'interpretazione della legge (1980). A

  • baster, quindi, un'analisi letterale della norma (vox iuris = voce del diritto),ma sar necessario ricostruirne la ratio (= senso). Si dovr tenere presente l'ar-chitettura logico-formale del sistema, ma anche la realt empirica degli inte-ressi da regolare. L'interprete dovr, perci, possedere una vasta gamma diconoscenze e competenze, che vanno ben al di l del diritto stesso.

    Al non esperto sembra invece tutto molto pi semplice: per essere avvoca-to, o magistrato, necessario imparare il maggior numero possibile dileggi, che si trovano scritte, nero su bianco, nei Codici o sulla Gazzetta Uffi-ciale. Non c' bisogno di conoscenze storiche, sociologiche, filosofiche, econo-miche. Un avvocato non avr che da sfogliare il suo bravo elenco di leggi, evedr subito quella da applicare. Altrettanto far il giudice, emanando con ra-zionalit matematica l'unica sentenza possibile. Anzi, perch non sostituire imagistrati con dei computer, evitando spese, incertezze, ricorsi? Purtropponon affatto cos: da millenni sappiamo che una giustizia che voglia esseretroppo semplice e meccanica non genera ordine, ma caos.

    Il giurista non pretende di raggiungere la conoscenza di verit eterne einoppugnabili, ma si accontenta di ritrovare soluzioni accettabili, per conflittidi interessi che si verificano in un dato contesto storico-sociale. necessario,quindi, che nella sua educazione abbiano ampio spazio le discipline che affi-nano la sensibilit giuridica, cio la maturit del metodo di ricerca e di ar-gomentazione. Egli deve comprendere il processo storico che ha formato gliinteressi materiali e morali della societ in un certo modo, e non in un altro.Deve inoltre padroneggiare un linguaggio tecnico che si formato nei secoli,e che spesso non corrisponde a quello comune, anche quando ne adopera itermini apparentemente pi banali. Come affermava il giurista classico Celso,conoscere le leggi non significa solo comprenderne le parole, ma soprattuttolo spirito e il valore.3 L'attitudine a decifrare la ragione storica e funzionaledella norma, per trarne le sue possibili applicazioni, distinguer il giurista daaltre figure professionali di esperti.4 Il giurista quindi non solo un tecnicodel diritto, ma una persona di ampia formazione culturale, consapevole del-la relativit e storicit del sapere giuridico.

    Le norme giuridiche, come qualunque altro prodotto della civilt umana,

    rendere ancora pi incerto e opinabile il lavoro del giurista, interviene anche l'ampio marginedi discrezionalit che sempre connesso alla funzione del giudice. Cfr. Viola, Il diritto come pra-tica sociale (1990), 124 ss.

    3 In D. 1.3.17 (Cels. 26 dig.): scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem.4 Cfr. Bobbio, Sul ragionamento dei giuristi, in Comanducci, Guastini, L'analisi del ragionamento giuri-

    dico, 2 (1989), 174 ss.; Casavola, Diritto romano tra passato e futuro, in Il diritto romano nella forma-zione del giurista, oggi (1989), 114 ss.

  • acquistano intellegibilit solo in rapporto con la cultura che le ha generate.5

    Questo corso si propone appunto di mettere alla luce le radici della nostracultura giuridica, che affondano nell'esperienza storica di Roma. Senza unaconsapevolezza di quanto ci lega al diritto romano, e al patrimonio di concettie schemi argomentativi che stato trasmesso a noi moderni, il nostro stessoCodice Civile risulterebbe in larga misura incomprensibile.

    2. Diritto

    Il termine diritto presenta un'ampia gamma di accezioni. Nel primo diquesti significati, sinonimo di giurisprudenza ovvero scienza giuridica.Il suo scopo lo studio sistematico delle norme su cui si fonda la comunitpolitica,6 cio l'interpretazione delle regole del gioco che ne rendono possi-bile l'esistenza.

    In un'altra accezione, il diritto (questa volta nel senso di ordinamento giu-ridico), pu essere definito come il complesso di regole coercitive destinatead organizzare la comunit politica. Questo concetto, dal quale siamo partiti,attraverso la metafora della rete, si esprime tradizionalmente nell'aforismaubi civitas ibi ius (= dove c' comunit politica, c' diritto). Certo esistono in-finite altre forme di organizzazione sociale, cio di gruppi costituiti sulla basedi regole: per esempio una comunit religiosa, o due giocatori di scacchi. Maquesto non basta a determinare l'esistenza di un ordinamento giuridico: ne-cessaria un'autorit che sia in grado di ottenere l'obbedienza. La comunit po-litica (che nella societ contemporanea ha come forma paradigmatica lo Statosovrano) definibile come un gruppo sociale autonomo, stabilito su un terri-torio, e governato da responsabili in grado di emanare norme di ogni genere,facendole rispettare anche con la forza.

    Abbiamo visto che le norme giuridiche sono regole vincolanti, che spessoconsistono in ordini espliciti, che appositi organi della societ politica rivol-gono ai consociati. Il Codice di Hammurabi di Babilonia (XVIII secolo a.C.),una delle pi antiche codificazioni del mondo, prescrive ad esempio: Se5 Sul rapporto fra interpretazione della norma e tradizione giuridica, cfr. Ross, Diritto e giustizia

    (1958; tr. it. 1965 e 1990), 93 ss. Sulle famiglie del diritto e i sistemi giuridici europei, cfr. H-berle, La cultura giuridica europea, in Ridola, La costituzione europea tra cultura e mercato (1997), 15ss.

    6 Si suole anche distinguere ulteriormente fra la teoria generale del diritto (che analizza la rego-la in quanto tale), e la giurisprudenza propriamente detta, che studia i contenuti delle regole.Sulla questione della scientificit della giurisprudenza, cfr. Bobbio, Scienza del diritto e analisi dellinguaggio, in Scarpelli, Diritto e analisi del linguaggio (1976), 287 ss.

  • qualcuno cava un occhio ad un altro, si cavi un occhio a lui (art. 196). Perchci siano norme, e perch queste si compongano nel complesso mosaico di unordinamento, deve esistere un'autorit pubblica effettivamente in grado di ot-tenere obbedienza, o in mancanza di consentire una sanzione per i trasgresso-ri.

    Il fenomeno giuridico concerne norme di diritto positivo, cio posto daistituzioni umane per regolare interessi terreni, la cui corretta applicazionedetermina una situazione di giustizia. Non si tratta di regole della morale pri-vata, di prescrizioni religiose o di costume, la cui violazione pu s comporta-re inconvenienti di vario genere, ma non necessariamente una sanzione di ca-rattere giuridico. Certo in ogni cultura esistono ideali di giustizia pi alti del-la pura applicazione della legge positiva, precetti considerati conformi alla ra-gione, alla natura, o alle concezioni religiose e morali pi diffuse. Ma questodiritto naturale bench alla lunga eserciti una profonda influenza nell'in-terpretazione e nell'evoluzione dell'ordinamento non diritto in senso stret-to.

    Gli ordinamenti pi evoluti privilegiano le prescrizioni astratte, cio for-mulate in maniera generale e impersonale. Le norme, intese in questo sensoristretto, sono dunque concepibili come delle ipotesi, o meglio come dei co-mandi, rivolti a destinatari generici, in riferimento a fattispecie ipotetiche.

    L'ordinamento pu essere inquadrato in due grandi complessi normativi: ildiritto pubblico e quello privato. Il primo regola l'esercizio della potest digoverno ed i rapporti tra gli organi dello Stato e i cittadini; le norme che locompongono sono essenzialmente dirette al soddisfacimento di interessi ge-nerali della collettivit.7 Il diritto privato presiede invece ai rapporti fra priva-ti, in vista della tutela di interessi particolari.8

    Le norme possono scaturire da pi fonti, cio essere introdotte in un ordi-namento in conseguenza di fatti o atti diversi. Si tenga presente che dalle fon-ti di produzione vanno distinte le fonti di cognizione del diritto, cio i docu-menti o comunque i mezzi che consentono di conoscere l'esistenza dellenorme. Negli ordinamenti moderni, tra le fonti di produzione del diritto,quella suprema e originaria la costituzione. Essa definisce i principi fonda-mentali dell'ordinamento, l'origine e la natura delle norme, la struttura e ilfunzionamento degli organi dello Stato. Viene integrata da numerose altre

    7 Esso comprende il diritto costituzionale (che disciplina la struttura e le funzioni degli organidello Stato, ed il sistema delle fonti giuridiche), l'amministrativo, il penale, il processuale, ecce-tera.

    8 Sue branche sono il diritto civile (tradizionalmente relativo a buona parte dei rapporti privati,tranne quelli connessi con le attivit imprenditoriali), il commerciale, eccetera.

  • fonti, la cui consistenza e gerarchia varia nei diversi ordinamenti.Rispetto al tipo di fonti pi rilevanti, gli ordinamenti si distinguono in con-

    suetudinari, legislativi, giudiziari, giurisprudenziali.9 La consuetudine, la piantica fonte del diritto, il comportamento uniforme e inveterato che i conso-ciati adottano, nella convinzione di obbedire a un imperativo giuridico. unafonte che generalmente occupa negli ordinamenti moderni un ruolo seconda-rio.10 La legge, fonte prevalente nell'Europa continentale odierna, invece ilprovvedimento normativo (di solito scritto), formulato da un'autorit pubbli-ca competente. Nel diritto a base giudiziaria (in inglese common law) la normascaturisce invece soprattutto dall'autorit dei precedenti giudiziari: fondatacio sulle sentenze rese dai giudici in casi analoghi.11

    L'insieme delle sentenze degli organi giudiziari, e particolarmente di quellipi importanti, prende impropriamente il nome di giurisprudenza. Sicchoccorrer fare attenzione nel distinguere il senso attuale del termine (la giuri-sprudenza giudiziaria) da quello pi antico (la giurisprudenza dottrinale).Il diritto giurisprudenziale di enorme importanza nell'esperienza romana prodotto dalla dottrina di esperti privati, che non hanno un rapporto orga-nico con la pubblica amministrazione. Come vedremo, non sono magistrati,n giudici, n funzionari. Ma alle loro opinioni, responsi, trattati, si riconoscel'autorit di interpretare e, cos facendo, modificare il diritto vigente.

    3. Fatti, atti, rapporti

    Inquadrando la realt dal punto di vista dell'ordinamento, si vedr che ungran numero di accadimenti corrispondono all'astratta previsione di una nor-

    9 Il nostro ordinamento a base legislativa, e si inserisce nella tradizione romanistica dell'Euro-pa continentale, risentendo di influenze soprattutto francesi e tedesche. La giurisprudenza del-la Corte di Cassazione (e a maggior ragione degli altri organi giudiziari) determina linee inter-pretative particolarmente autorevoli, ma non crea dei precedenti vincolanti: dunque non unafonte del diritto. Ci vale anche per il parere dei giuristi privati. Perci, in riferimento al nostroordinamento, non parleremo di giurisprudenza dottrinale, ma semplicemente di dottrina.

    10 Nel nostro ordinamento essa obbliga solo se espressamente richiamata in testi normativi (con-suetudo secundum legem = consuetudine secondo la legge), o se regola materie non previste daaltre fonti (praeter legem = al di l della legge); ma in nessun caso pu essere contra legem.

    11 Nel sistema di common law si applica la regola dello stare decisis (= attenersi alle decisioni). Inve-ce il sistema derivante dall'equity, cio originariamente dalla giurisdizione della ChanceryCourt, svincolato dalla regola dei precedenti. Una crescente importanza va assumendo an-che la statutory law, cio il diritto a base legislativa. Nel 1966 la House of Lords ha dichiarato ilproprio potere di allontanarsi dal sistema dei precedenti. Viceversa emerge in Europa un ruolosempre pi incisivo della giurisprudenza delle corti.

  • ma. Essi producono degli effetti giuridici, cio creano, modificano o estinguo-no dei rapporti. Tutti i soggetti dell'ordinamento sono, quindi, implicati in unnumero incalcolabile di rapporti giuridici, cio di relazioni aventi per oggettoun interesse giuridicamente rilevante.12

    Tralasceremo per il momento il campo del diritto penale (e di quello pub-blico in genere), concentrandoci invece su una terminologia tipicamente pri-vatistica. L'ordinamento individua sempre, nel rapporto, una situazione atti-va (potere) e una passiva, di soggezione agli interessi altrui (dovere). In parti-colare, la situazione attiva pi intensamente tutelata il diritto soggettivo,cio il potere che l'ordinamento riconosce al soggetto di realizzare un propriointeresse all'interno di un rapporto giuridico. Il soggetto attivo pu cio pre-tendere un determinato comportamento dal soggetto passivo e, nel caso que-sti non adempia volontariamente, costringerlo a sottostare a una sanzione.Per fare questo di regola necessario il ricorso (azione) ad un organo giudi-ziario.13

    I rapporti giuridici si distinguono in assoluti e relativi. I primi intercorronotra uno o pi soggetti attivi da un lato, e tutti gli altri consociati: ad esempio ildiritto proprietario ha erga omnes (= nei confronti di tutti) la pretesa che ci siastenga dal turbare il godimento del bene. I rapporti relativi intercorrono in-vece tra soggetti attivi e passivi determinati.14

    Un'altra distinzione che torner utile ricordare ai fini di questo corso quella tra rapporti di debito e rapporti di responsabilit. I primi che posso-no essere tanto assoluti che relativi derivano da atti leciti o da fatti involon-tari. Gli altri tutti relativi sono prodotti da atti illeciti che abbiano pregiu-dicato gli interessi del soggetto attivo.15

    Si suole distinguere gli accadimenti giuridicamente rilevanti in fatti invo-

    12 Rispetto al tipo di interesse materiale o morale tutelato, i rapporti giuridici possono essere di-stinti in pubblici e privati, extra-patrimoniali e patrimoniali. I rapporti patrimoniali possonodeterminare l'attribuzione di un'immediata signoria su una cosa (diritti reali); oppure il poteredi un soggetto creditore di esigere una prestazione da parte di un debitore (diritti di credito).

    13 Cfr. Frosini, s. v. Diritto soggettivo, in NNDI, 5 (1960), 1047 ss. Altre situazioni soggettiveattive sono: le potest, cio i poteri confidati dall'ordinamento a soggetti per tutelareinteressi altrui (per esempio la moderna patria potest); le aspettative (situazioni di at-tesa di un diritto in formazione, nelle quali l'ordinamento tutela degli effetti prelimina-ri); gli interessi legittimi, eccetera.

    14 Alcuni rapporti strutturalmente relativi (quali l'usufrutto o le servit) ricevono una tutela giu-diziaria erga omnes, essendo da questo punto di vista equiparati a quelli assoluti.

    15 La responsabilit civile pu essere: primaria (o extra-patrimoniale) se deriva dalla violazio-ne di un rapporto assoluto; secondaria (o contrattuale) se stata originata dall'inadempi-mento di un obbligo relativo. La responsabilit primaria detta anche aquiliana, perch re-golata per la prima volta da una lex Aquilia.

  • lontari (determinati dalla natura, o da un comportamento del terzo) e atti, aloro volta leciti o illeciti.16 Tra gli atti leciti, le categorie pi importanti sono iprovvedimenti (legislativi, amministrativi o giudiziari) e i negozi giuridici.17

    Con quest'ultimo termine, la tradizione pandettistica (sulla quale torneremopi avanti) intende gli atti privati i cui effetti sono disposti autonomamentedai suoi autori. Una classe di negozi particolarmente importante nella societmoderna costituita dai contratti, cio gli accordi tra due o pi parti volti acostituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale.

    Ricordiamo infine che gli ordinamenti moderni attribuiscono a tutti, dallanascita, la capacit giuridica, cio la possibilit di essere soggetto di rapporti.Ma perch l'autore di un atto giuridico riesca a produrre gli effetti da lui vo-luti, deve possedere anche la capacit di agire. Essa l'idoneit a porre in es-sere autonomamente degli atti giuridici.

    4. Ius

    Nell'emblema delle Facolt di Giurisprudenza, come nelle aule giudiziarie, presente la stadera, la bilancia a due piatti in equilibrio fra di loro. Essa generalmente brandita da una donna con gli occhi bendati, che rappresenta lagiustizia. Si tratta di un simbolo pi antico della stessa societ romana: la tro-viamo ad esempio raffigurata nelle pitture funerarie egiziane. Le anime veni-vano pesate dalla divinit dell'oltretomba, per dividere quelle buone da quel-

    16 Gli atti possono essere inquadrati in una vasta tipologia, della quale riporteremo solo alcuniaspetti. Ad esempio, sulla base degli interessi coinvolti, si possono distinguere gli atti pubblicida quelli privati; secondo il numero degli agenti, gli atti unilaterali da quelli plurilaterali; ri -spetto all'osservanza delle norme, gli atti leciti da quelli illeciti.

    17 Elementi essenziali del negozio sono: la volont, la forma, e la causa. In particolare, la forma la manifestazione esterna che lo rende individuabile. Pu essere libera, oppure vincolata a ca-ratteristiche determinate. La forma pu essere vincolata per iniziativa degli autori del negozio,o ope legis (= ad opera della legge). La forma vincolata ha la funzione di elemento insostituibiledel negozio, senza il quale esso sarebbe invalido (f. vincolata ad substantiam); oppure pu essererichiesta solo una forma vincolata ad probationem, per individuare il negozio. Il negozio la cuiforma sia vincolata ad substantiam prende il nome di negozio formale. Per causa negoziales'intende la funzione sociale che il negozio obiettivamente in grado di realizzare. Ad esempiolo scambio di una merce contro un prezzo la causa del contratto di compravendita, a prescin-dere dai motivi individuali che possono avere indotto le parti a contrarre. Rispetto alla causa, inegozi possono essere a causa lecita o illecita. L'illiceit si distingue in piena, quando implical'invalidit del negozio; semipiena, che comporta una sanzione per l'autore, ma non l'invali-dit; generica, che determina la semplice riprovazione, senza n sanzioni n invalidit. Si di-stingue anche tra i negozi a titolo oneroso (o di corresponsione) e gratuito (di gratificazio-ne).

  • le appesantite dalla colpa. L'allegoria della bilancia viene ripresa anche nelmondo greco e romano, ove Dike (per i Romani Iustitia), figlia e consigliera diZeus (Giove), lo aiuta ad attribuire a ciascuno il suo. I piatti vuoti sono allostesso livello, l'indicatore del peso perfettamente verticale: la giustizia al-lora pronta ad operare mediante l'uso di una ragione formale ed astratta, cheletteralmente non guarda in faccia a nessuno, applicando soluzioni similiper i casi simili. Dunque la giustizia implica l'imparzialit, la neutralit ri-spetto agli interessi in gioco. Come affermer il giurista classico Ulpiano, inD. 1.1.10 pr.: iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi(= la giustizia la volont costante e perpetua di riconoscere a ciascuno il suodiritto).

    Nella Roma arcaica iustum ci che conforme a quanto detto da Giove,consigliato da Iustitia.18 Il re, come il suo archetipo celeste, dice il diritto (iusdicit) come un oracolo, assistito dai pontefici. Ma c' un sistema di regole pioscuro e ancor pi direttamente connesso con il divino: il fas. Il termine deri-va dalla radice indoeuropea bha, cui connesso il latino fari (= parlare). Al fassi contrappone il nefas: evidente il senso di una rivelazione oracolare di ciche si deve fare o non fare.

    A differenza dei Greci, i Romani non credettero all'assoluta soggezione del-la specie umana al volere divino. Nemmeno il fato era visto come un destinoimmutabile, cui persino Giove doveva soggiacere. La volont divina, secondoi Romani, poteva essere capita e modificata, seguendo le prescrizioni degliesperti del rituale. Cos anche i divieti in campo religioso si potevano aggira-re, conoscendo le tecniche appropriate. In fondo, si trattava di divinit ragio-nevoli e poco esigenti, per cui ci che era nefas costituiva un campo molto ri-stretto delle attivit umane.

    Fin dall'epoca arcaica, si delinea una sempre pi netta separazione del di-ritto posto dagli uomini (ius) dalle regole del fas. Evidentemente ci derivaanche dalla connotazione utilitaristica e poco emotiva della religiosit roma-na. Come i privati, la res publica ha una sorta di rapporto contrattuale congli Dei (la pax deorum), che ha per oggetto uno scambio tra atti di culto e pro-tezione divina. Gli Dei non guardano nel cuore dei fedeli: ne osservano i ge-sti, valutano i risultati concreti delle loro azioni, ben pi che le loro intenzio-ni. Questo lascia gli uomini forse pi soli, ma liberi di costruirsi un propriospazio di regole positive. Il loro diritto non rivelato dalla divinit, ma basatosui costumi degli antenati (mos, al plurale mores). Al riguardo si elaborer ben18 Giove (Iuppiter) evidentemente il patrono o il generatore (pater) dello ius. Minor credito ha

    l'opinione che ius sia originariamente quanto prescritto dal rito religioso. Cfr. Bral, Sur l'Ori-gine des Mots dsignant le Droit et la Loi en Latin, in NRHD, 7 (1883), 604 ss.

  • presto anche una precisa distinzione tra l'ius e la morale tradizionale, perchnon tutti i costumi diventeranno diritto. D'altra parte, come afferm il giuri-sta classico Paolo, non tutto ci che lecito anche moralmente buono (D.50.17.144).

    Una caratteristica notevole della cultura occidentale, sia romana che con-temporanea, dunque il fatto che essa tende a distinguere, pi o meno accen-tuatamente, il sistema delle norme giuridiche da quelle delle regole morali ereligiose (ius sacrum). Secondo la definizione di Isidoro di Siviglia (Origines,5.2.2): fas lex divina, ius lex humana est (= le regole religiose sono legge divi-na, il diritto legge umana). Il diritto, nella tradizione occidentale un pro-dotto della storia, pi che di un'astratta ragione universale, o della rivelazionedivina. La relativa autonomia tra due ambiti della vita di relazione, giuridico-politico ed etico-religioso, la premessa minima perch gli individui possanoincontrarsi in uno spazio pubblico comune.

    Altre tradizioni antiche e moderne, per esempio quella cinese, l'indiana, l'e-braica, l'islamica, non conoscono una cos netta separazione fra etica religiosae diritto, inteso come sistema di regole razionali e positive (cio poste dagliuomini). Ad esempio la legge islamica (Shari'a) sostanzialmente diritto rive-lato: sicch il testo giuridico fondamentale il Corano; e l'interprete della pa-rola di Dio insieme giurista, moralista e teologo. Al contrario, la distinzionedelle regole sociali in due ambiti non estranea alla tradizione cristiana(date a Cesare quel che di Cesare, a Dio quel che di Dio) permette algiurista di lavorare su un apparato concettuale pi limitato, senza svolgere al-cuna funzione di maestro di morale.

    Sia nell'accezione oggettiva che in quella soggettiva, il termine diritto tro-va notevoli corrispondenze nel latino ius.19 Eppure in italiano e in numerosealtre lingue moderne troviamo, accanto ad una costellazione di termini chederiva da ius, una seconda serie di tutt'altra radice: definiamo ad esempiogiuridico ci che ha a che fare col diritto. In realt i termini latini da con-siderare sono due: uno ius e l'altro derectum (o directum), da cui derivanoRecht, droit, right, derecho, eccetera. Non si tratta di un termine originaria-mente tecnico-giuridico. un aggettivo sostantivato, collegato con il concettogeometrico di retta. In senso traslato esprime ci che moralmente corret-to, non obliquo. Il termine ebbe un notevole successo, sopravanzando ius, trail VI e il IX secolo. Nell'Europa cristiana si era infatti, in buona parte, ricom-posta la distinzione tra diritto e morale che era stata caratteristica di Roma, ri-

    19 Cfr. in generale Lauria, Jus. Visioni romane e moderne, III ed. (1967).

  • tenendosi che le regole religiose e quelle civili dovessero tendere all'unit.20

    Anche come materia di studio, l'ius aveva perso autonomia, assorbito dall'eti-ca (per la sua natura prescrittiva), e dalla logica (per le tecniche argomentati-ve che in esso vengono utilizzate). Viceversa si ritorn a separare morale reli-giosa e diritto nella cultura giuridica moderna, che da questo punto di vista pi vicina a quella romana che a quella medievale.

    Oltre alla laicit e alla razionalit, un altro grande lascito della civilt giuri-dica romana la propensione a garantire all'individuo uno spazio entro cuirealizzare autonomamente i propri interessi. Per questo, in et contempora-nea, il diritto romano accusato di intrinseca immoralit, poich esso allente-rebbe i legami fra individuo e comunit. Facendo leva su due potenti leve, l'e-goismo e la libert, esso avrebbe contribuito alla creazione di una societaperta.21 Rovesciando il giudizio di valore, si tratta forse di una conclusionenon del tutto infondata.

    Ma se necessario conoscere le basi storiche della cultura giuridica con-temporanea, perch risalire ad un'epoca cos remota, attribuendole per di pitanta importanza? Cos' il diritto romano e perch viene insegnato nelle Uni-versit italiane?

    5. La tradizione romanistica

    Per diritto romano intendiamo il sistema normativo effettivamente vi-gente, dalle origini della citt fino alla decadenza dell'Impero e alla codifica-zione di Giustiniano. un campo di studi enorme, che si sviluppa senza solu-zione di continuit dall'VIII secolo a.C. per quasi un millennio e mezzo, co-prendo fasi assai differenziate.

    Ma esaurita questa lunghissima esperienza storica, il diritto romano fu, inun certo senso, capace di sopravvivere alla societ che lo aveva creato.22 Unacultura fondata sul sapere giuridico romano riusc a fornire i principi di un

    20 Cfr. Cruz, Ius. Derectum (directum), VII ed. (1986), 37 ss.; Cesarini Sforza, s. v. Diritto soggettivo, inED., 12 (1964), 659 ss.

    21 Nel programma del Partito Nazionalsocialista del 1920, ad esempio, si sollecitava la messa albando dell'insegnamento del diritto romano, considerato materialista e individualista. Cfr.Koschaker, L'Europa e il diritto romano (1958; tr. it. 1962), 529 ss.

    22 Cfr. in generale Calasso, Medioevo del diritto. 1. Le fonti (1954); Schiavone, Storiografia giuridica eapologia del diritto moderno, in Democrazia e diritto, 13 (1973), 65 ss.; Raggi, Storia esterna e storia in-terna del diritto nella letteratura romanistica, in Scritti (1975), 73 ss.; Astuti, Tradizione romanistica ecultura giuridica europea, 1 (1984); Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano (1987).

  • diritto comune, condiviso da tutti gli ordinamenti dell'Occidente cristia-no.23 In altri termini, si continu a studiare e, in un certo senso, ad applicare, ildiritto romano anche molto tempo dopo la morte dell'organismo politico chelo aveva creato.

    Per avere una prima idea dell'importanza di questo fenomeno, ed anchedella sua singolarit, basti considerare che il diritto romano (in realt una suarielaborazione moderna) era applicato in Germania fino al 1900, anno in cuifu emanato il Codice Civile. La cultura giuridica di quasi tutti i paesi dell'Eu-ropa contemporanea, fatta esclusione (almeno per molti aspetti) dell'Inghil-terra, affonda le radici in una tradizione romanistica. Per questo l'ordina-mento italiano, quello francese, quello tedesco, hanno in comune dei concettidi fondo, soprattutto nell'ambito del diritto privato, proposti dai giuristi ro-mani e rielaborati in et medievale e moderna. Inoltre, la cultura giuridica eu-ropea continentale, soprattutto francese e tedesca, ha esportato valori, concet-ti, tecniche in culture lontanissime dalla nostra: il Giappone, molti paesi del-l'Africa e dell'Asia, l'America Latina.24

    Cerchiamo di capire l'origine di questo fenomeno, che tuttora ci coinvolge. logico che ciascuno studi l'ordinamento vigente e la cultura giuridica delproprio paese: ma come si spiega che si sia attribuita tanta importanza al di-ritto di una societ scomparsa, fino al punto da adottare per secoli il latinocome lingua degli studiosi e dei pratici?

    L'ultimo lembo dell'Impero d'Occidente cadde nel 476. Il tentativo di Giu-stiniano di recuperarne i territori sort un successo effimero. Ma tutto questonon imped che il diritto romano e il mito politico-religioso di Roma si perpe-tuassero. A partire dall'incoronazione di Carlo Magno, nell'800, la missione diunificare la Cristianit sembr reincarnarsi per molti secoli in un Impero cheera s germanico, ma anche sacro e romano.25 Gli imperatori si consideravanoeredi di una missione universale: il potere di sovrano del mondo, spostatosida Roma a Bisanzio, infine traslato in Germania. A partire dal X secolo, esoprattutto pi avanti, nell'epoca dei conflitti tra Impero e Papato, il diritto

    23 Cfr. Orestano, Del problema del diritto romano e della sua storicit, in Rivista trimestrale di diritto eprocedura civile, 39 (1985), 535 ss.

    24 Il diritto europeo a base legislativa (per gli anglosassoni, civil law) si diffonde nel mondo alprincipio dell'Ottocento, sotto forma di ordinamenti codificati reciprocamente indipendenti.La common law invece si afferma a partire dal Seicento come insieme di ordinamenti comuni-canti fra loro, che caratterizza tuttora i paesi che hanno fatto parte dell'Impero britannico. LaScozia ha in parte mantenuto la sua adesione alla civil law. Negli USA una piccola isola di civillaw la Louisiana, un tempo colonia francese.

    25 Nel 1805 Francesco II d'Asburgo, ultimo sovrano del Sacro Romano Impero, ormai praticamen-te distrutto da Napoleone, rinunzi al titolo, assumendo quello di imperatore d'Austria.

  • romano sembr adatto a congiungere la tradizione cristiana all'idea imperia-le. Obiettivamente, non esisteva nessun'altra tradizione giuridica cos com-plessa e raffinata, che potesse meglio prestarsi a funzionare da substrato uni-ficante di tutti gli ordinamenti e statuti particolari nei quali risultava fraziona-to l'Impero Romano Germanico.

    Come vedremo, il diritto romano era stato sottratto all'oblio, cui sembravaavviato, dall'imperatore bizantino Giustiniano. Questi aveva ordinato nel 528di compilare una grande raccolta pi tardi definita Corpus iuris civilis com-posta da: un Codice di leggi imperiali, un manuale ufficiale di diritto (Institu-tiones), e un'antologia dei maggiori giuristi del I-III secolo (Digesto, ovveroPandette). Una prevista ulteriore compilazione di provvedimenti imperiali,le Novelle, fu poi invece compiuta da privati. Tutto ci venne fatto nella con-vinzione che l'ius Romanum fosse la pi avanzata approssimazione ad un di-ritto universale ed eterno. Si pensava che l'Impero continuato da Bisanzio(la seconda Roma) fosse stato uno strumento della Provvidenza, per crea-re le condizioni politiche pi favorevoli all'affermazione della religione cri-stiana. Il Messia era infatti nato nell'Impero, S. Paolo aveva la cittadinanza ro-mana, da Costantino in poi l'imperatore si ergeva a difensore del Cristianesi-mo. Dunque anche il diritto romano, che insieme alla armi aveva creato l'Im-pero, doveva essere in qualche modo provvidenziale. Sicch il Digesto venneinteso come donum Dei (= dono di Dio).

    Anche in Occidente, le tracce del diritto romano (tramandato dalla compi-lazione giustinianea e dal precedente Codice Teodosiano del 438) erano note-voli, nonostante il predominio delle istituzioni feudali e dei costumi germani-ci. Ancora ci s'ispirava alla tradizione nella Francia meridionale, in Italia, nel-la penisola iberica.26

    Gi a partire dall'et carolingia circolavano scadenti collezioni di testi ro-mani, sunti e formulari ad uso di giudici e notai. Ma la vera riscoperta del di-ritto romano legata alla diffusione di copie frammentarie del Digesto, e allosviluppo dello Studium di Bologna, fondato alla fine dell'XI secolo.27 Secondouna leggenda diffusa in et rinascimentale, l'imperatore Lotario II, conquista-ta Amalfi, vi avrebbe rinvenuto l'unica copia del Digesto ancora esistente, el'avrebbe donato ai suoi alleati Pisani. In conseguenza del fortunato ritrova-mento di questo manoscritto (littera Pisana), il giurista Irnerio avrebbe chiestoall'imperatore di diffondere la conoscenza del diritto romano, e di introdurlo

    26 Soprattutto in Italia, accanto al diritto longobardo, la sancta lex Romana continu a godere ilprestigio di madre di tutte le leggi umane. Cfr. Cortese, Teoria e scienza del diritto (storia), inED., 44 (1992), 137 ss.

    27 Cfr. Stein, Il diritto romano nella storia europea (1996; tr. it. 2001), 47 ss.

  • nei tribunali. Il testo, del VI-VII secolo, pressoch integro, si trovava effettiva-mente a Pisa nel XII secolo. Caduto nelle mani dei Fiorentini, dall'inizio del'400 custodito alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, e divenuto quindi litteraFlorentina. Ma non dovette trattarsi dell'unica copia in circolazione, benchfosse la pi completa e attendibile. Da quell'archetipo vennero ricavate le co-pie utilizzate a Bologna (littera Bononiensis, ovvero Vulgata). Secondo un'altraleggenda, diffusa nel XIII secolo, lo Studio bolognese avrebbe invece ereditatola funzione e la dotazione di testi da un'antica scuola romana, spostata a Ra-venna da Carlo Magno, e alla sua morte di nuovo trasferita. Irnerio fu poi in-vitato da Matilde di Canossa a curare un'edizione attendibile dei testi romani.

    In realt a Bologna, gi nell'XI secolo fioriva una scuola di diritto (forse fi-liazione di una scuola di arte notaria), nell'ambito della quale per primo ilmaestro Pepo si dedic alla lettura dei testi romani. Da tale nucleo con l'in-coraggiamento di Matilde, vicaria imperiale per l'Italia si svilupp all'iniziodel XII secolo uno Studium generale a carattere laico. Esso ebbe all'inizio la solafunzione di insegnare il diritto, come materia resa autonoma dalle tradiziona-li arti liberali.28 Attorno al grande maestro Irnerio ed ai suoi successori (Marti-no, Bulgaro, Ugo, Iacopo, Azone), inizi un'attivit didattica fondata sulla let-tura e sulla spiegazione dei passaggi oscuri (glossae) del Digesto. I risultati dellavoro esegetico dei Glossatori sul Digesto e sulle altre opere del Corpus Iurisvennero raccolti in varie Summae, e da Accursio alla met del XIII secolo nellaGlossa ordinaria. Il successo di questa istituzione, e di altre che ne seguirono leorme, fu grandissimo: a costo di grandi sacrifici, giovani di tutta Europa in-traprendevano lunghe e costose peregrinationes per studiare l'ordinamento diuno stato che non c'era pi, e che tuttavia svolgeva la funzione di diritto co-mune dell'Impero.

    Quindi la storia dell'Universit, quale si sviluppata in Europa a partiredal modello bolognese, muove appunto dall'esigenza di studiare il diritto ro-mano, l'ius civile per antonomasia. Ad esso si contrappone, ed in seguito sicoordina un altro diritto, quello canonico, sistematizzato nel Decretum delmonaco Graziano, ancora una volta a Bologna.29 Sicch il perfetto giurista me-dievale e rinascimentale civilista e canonista, esperto in entrambi i diritti(doctor utriusque iuris), quello di Roma e quello della Chiesa, che si completa-no reciprocamente.

    28 Cfr. Cencetti, Studium fuit Bononiae, in Arnaldi, Le origini dell'Universit (1974), 11329 La Concordantia discordantium canonum (ovvero Decretum) collegava testi biblici, patristica, Codi-

    ce Teodosiano, Corpus Iuris. Al testo di Graziano (1139-1149) si aggiunsero nel 1234 le Decretalesdi Gregorio IX, e le Clementinae del 1317. L'insieme di queste fonti venne definito Corpus iuris ca-nonici.

  • Giudici, avvocati, notai si ispirano ai testi giustinianei per emanare senten-ze, argomentare difese, redigere contratti, in base a principi ritenuti commu-nes omnium (= comuni a tutti). Questo concetto di diritto comune ispiratoanch'esso al pensiero dei giuristi romani di epoca classica. Nelle prime paginedel Digesto (D. 1.1.9), un brano delle Institutiones di Gaio dichiara infatti:Tutti i popoli che hanno un ordinamento giuridico, fanno uso in parte di undiritto proprio, in parte del diritto comune a tutti. Questo diritto razionale euniversale che pu essere derogato dai singoli ordinamenti di ciascun po-polo, restando comunque astrattamente in vigore viene identificato nel di-ritto romano, consegnato ai posteri dalla compilazione giustinianea.

    Come ogni altro campo della cultura medievale, anche il diritto (al pari del-le arti liberali o della medicina) fu oggetto di un'indagine razionale nelle tec-niche, anche se dogmatica nelle premesse. Gli studenti e maestri delle scuolelaiche deducevano cio i principi della loro materia da testi di indiscussa au-torit. Per i giuristi di tutta Europa, un valore di ragione scritta (ratio scrip-ta) ebbe soprattutto il Digesto, studiato come un dono di Dio, con un atteggia-mento di venerazione quasi religiosa.30 I diritti consuetudinari erano invececonsiderati troppo volgari, per essere degni di un insegnamento a carattereteorico. Essi variavano enormemente secondo i luoghi e la condizione dellepersone, ed erano per lo pi improntati ai diritti di ceppo germanico, diver-sissimi da quello romano. Dopo la morte di Federico II, nel 1250, l'autoritdell'Imperatore si rivel spesso puramente teorica e l'unit religiosa della Cri-stianit si dimostr inattuabile. Eppure si continu a credere in un evidenteprogetto divino: una sola respublica Christiana, con la stessa fede, lo stesso im-peratore, la stessa legge. Le norme della tradizione romanistica furono consi-derate diritto comune,31 e cio fonte sussidiaria, per regolare i rapporti nonprevisti espressamente; o quanto meno vennero utilizzate dai giudici comeprincipi generali alla cui luce interpretare gli ordinamenti particolari.32

    30 Il Digesto era un libro di autorit, quasi un Vangelo del diritto: essere giurista significava inprimo luogo padroneggiare quel testo. Cfr. Cannata, Gambaro, Lineamenti di storia della giuri-sprudenza europea, IV ed., 2 (1989), 14 ss. Anche la figura di Giustiniano assunse un aspetto pro-fetico. Nella Divina Commedia (Paradiso, 6.22 ss.) egli si riferisce alla codificazione in questi ter-mini: Tosto che con la Chiesa mossi i piedi / a Dio per grazia piacque di spirarmi / l'alto lavo -ro, e tutto in lui mi diedi.

    31 Cfr. in generale Bellomo, L'Europa del diritto comune, V ed. (1991).32 In particolare, la Francia era divisa in due zone: i pays de droit crit, al Sud, e i pays de droit

    coutumier al Nord. Nei primi il diritto romano era considerato diritto comune, cui ricorrerequando non esisteva una norma specifica di diritto consuetudinario locale. Nei secondi il rap-porto col diritto romano era meno evidente: esso valeva come ratio scripta, applicabile dai giu-dici se riconosciuto conforme al diritto consuetudinario o a criteri di giustizia equitativa. Cfr.Piano Mortati, Diritto romano e diritto nazionale in Francia nel secolo XVI (1962), 8 ss.

  • Un importante contributo all'attualizzazione del diritto romano fu operatodai maestri italiani del XIV secolo, tra i quali emergono Cino da Pistoia, Baldodegli Ubaldi e soprattutto la figura di Bartolo da Sassoferrato. Ricercando lafunzione obbiettiva (ratio) della norma, non si limitavano a glossare i testi, mali commentavano applicando ad essi il metodo dialettico, e ne ricomponevanoi contenuti all'interno di opere monografiche. La nuova scuola, conosciuta colnome di Commentatori, colleg il diritto romano gi filtrato attraverso laGlossa alle consuetudini, agli statuti comunali, ed al diritto canonico, favo-rendo l'interpretazione evolutiva dei sistemi normativi dell'epoca. Un lavoroaltrettanto importante per la formazione di principi generali di diritto euro-peo era fatto dai giudici con le loro decisioni, e dai pi illustri avvocati con iloro pareri.

    Anche dopo la formazione di stati nazionali indipendenti dall'Impero, siconserv la convinzione che il diritto romano fosse universale perch provvi-denziale, o quanto meno aderente ad una ragione comune a tutta l'umanit.Nel 1495, in pieno Rinascimento, esso conobbe un'ulteriore affermazione inGermania, ove fu recepito come ordinamento vigente. Ma il diritto romanodei fori tedeschi era ancora una volta, ovviamente, un adattamento dellascienza dei Commentatori, destinato a favorire l'integrazione delle moltissimeconsuetudini locali ed a prevalere rispetto ad esse.

    6. Dai Culti alla romanistica moderna

    Il diritto privato romano decisamente centrato sulla propriet privata e ilcontratto. I giuristi esaminano con particolare attenzione tutti i possibili con-flitti di interesse all'interno di un mercato, e i modi con i quali dirimere lecontroversie tra i soggetti che operano al suo interno. La diffusione della cul-tura romanistica all'interno della societ medievale, si accompagna appuntoall'affermazione del mercato e di una propriet privata svincolata dai pesifeudali. Ma arrivati all'et rinascimentale, proprio quando le borghesie conso-lidano il loro potere economico, si pone un nuovo problema: se effettivamen-te il diritto romano abbia un carattere razionale e metastorico.

    La cultura umanistica basata sull'esaltazione della dignit dell'uomo inquanto essere dotato di ragione. La ripresa della letteratura greco-romana,connessa con l'Umanesimo, un modo per tagliare i ponti senza esitazionecon il Medio Evo, inteso come una parentesi barbarica fra civilt antica equella contemporanea. Sembra naturale riprendere, oltre alla letteratura, alla

  • filosofia, alle concezioni politiche, anche il diritto degli antichi. La lettura delDigesto, secondo la nuova mentalit umanistica, significa per valutarlocome documento storico, creazione dell'uomo.

    Fino a quando il diritto romano fu considerato in qualche modo vigente (senon altro come ratio scripta), fu poco avvertita la necessit di studiarlo dalpunto di vista storico. Una prima reazione contro la tradizione di origine ita-liana (mos Italicus), fu operata dagli umanisti francesi del XVI secolo, che pro-posero l'applicazione ai testi giuridici romani delle stesse tecniche di indagineutilizzate per le altre opere dell'antichit (mos Gallicus). Sottoponendo a criticafilologica il testo, si cerc di recuperare il contenuto originario dei testi, primacio che la commissione incaricata da Giustiniano li guastasse irreparabil-mente. Si evidenziarono cos con sdegno gli interventi criminali dei compi-latori coordinati da Triboniano; si cercarono i segni lasciati da quegli uomi-ni di un'epoca decadente, sulle opere perfette dei primi secoli dell'Impero. aquesti studiosi (i Culti), molto pi attenti alle ragioni della scienza che a quel-le della pratica forense, che dobbiamo i primi passi dello studio storico del di-ritto romano.

    In verit per la pratica era molto pi importante lo studio di Bartolo: so-prattutto in Italia, ius commune era il commento, non il testo originale dei clas-sici. Ma le ricerche di Andrea Alciati, Cuiacio (Jacques Cujas), Donello (Hu-gues Doneau), Denis e Jacques Godefroy, sortirono l'effetto pratico di favorireuna presa di distanza dall'ius Romanum. Se il diritto un fenomeno storico,perch non affidarsi ad una codificazione nazionale moderna, o in alternativaad una completa rielaborazione sistematica delle norme romane?33

    Tramontato il sogno dell'unit politica e religiosa della Cristianit, agli statinazionali sovrani non sembrava pi indispensabile un diritto civile comuneeuropeo. La volont del re si poteva proporre come fonte suprema di un dirit-

    33 Sono soprattutto gli oppositori della monarchia assoluta che sostengono le ragioni della con-suetudine locale come effettivo diritto civile francese. Cos Hotman nell'Antitribonianus negaalla compilazione giustinianea il valore di manifestazione di una ragione universale. NellaFrancogallia incita ad abbandonare la tradizione romana inconciliabile con le strutture statalifrancesi e lontana dal diritto civile contemporaneo e a dotarsi di un corpo di leggi nazionali,ispirato pi all'esperienza dei Francesi e alla Bibbia, che al Digesto. Viceversa tra il '500 e il '600il vero difensore del diritto romano il monarca assoluto, che vede nel particolarismo giuridi -co dei costumi locali un ostacolo all'unit nazionale. Si dovr perci attendere il 1679 perchl'Universit di Parigi si decida a istituire una cattedra di Diritto comune francese, affidata a deipratici, che non insegnano pi in latino. Quanto allo studio del diritto pubblico romano, nono-stante il geniale commento di Gotofredo (Denis Godefroy) al Codice Teodosiano, rimane relati-vamente ai margini, terreno di ricerche piuttosto antiquarie che propriamente storico-giuridi-che. Sulla storiografia in materia di diritto pubblico romano, cfr. Giuffr, Il diritto pubblico nel-l'esperienza romana (1977).

  • to nazionale codificato. In consonanza con i nuovi orientamenti delle monar-chie assolute, correnti giusnaturalistiche e razionalistiche mettevano in di-scussione la tradizione declinante italiana. Il Giusnaturalismo seicentesco ilcui capofila fu l'olandese Ugo Grozio, e che annover grandi studiosi di dirit-to romano come Jean Domat attribu per lo pi ai Romani il merito di avereritrovato le regole di un diritto razionale, universale ed eterno. Il diritto roma-no poneva individuo, propriet privata e commercio al centro dell'ordina-mento, e quindi se ne apprezz la valenza anti-feudale. Bisognava per depu-rarlo e riordinarlo secondo un sistema pi coerente di quello tradizionale. Sipoteva ad esempio riscrivere il diritto romano, mettendo al centro l'uomo ed idiritti soggettivi, riconoscendo all'individuo la capacit di realizzare da solo ilproprio progetto di vita. Tutto il diritto poteva essere ripensato intorno alprincipio della libert considerato come un prodotto tipico della cultura clas-sica. Si pens che i problemi giuridici potessero essere risolti con metodi rigo-rosi quanto quelli della matematica e della geometria. Le norme potevano es-sere dedotte da assiomi di per s evidenti. Il diritto andava riformulato, ispi-randosi ad una logica geometrica, i cui principi erano connaturati alla ra-gione.34

    Portando alle estreme conseguenze le tematiche giusnaturalistiche, la cul-tura illuministica del Settecento mosse all'attacco della tradizione romanisti-ca, in nome di un diritto razionale, composto di un numero ridotto di regole,ordinate in sistema e facili da interpretare. Questa semplificazione avrebbereso le norme certe, sottraendole all'arbitrio interpretativo dei dottori, e so-prattutto dei giudici. Separando il diritto dalla storia, il razionalismo illumini-sta apr la strada in vari paesi europei, a un fenomeno di codificazione legisla-tiva. Un ordinamento positivo a base legislativa era quanto aveva auspicato,ad esempio, Ludovico Muratori, nei Difetti della giurisprudenza. Il processo dirazionalizzazione ebbe di fatto le sue massime espressioni nel Codice Genera-le prussiano del 1794, nel Codice Napoleone del 1804 e nel Codice Civile au-striaco del 1811. Dividendo la legge fonte primaria del diritto, anche il sapereromanistico doveva subire un drastico ridimensionamento. Lo studio del di-ritto romano assunse in molti paesi un carattere antiquario, perdendo il colle-gamento con la pratica.34 Il razionalismo giuridico trov soprattutto alimento in un'opera di Leibniz, la Nova methodus di-

    scendi docendaeque jurisprudentiae (1667): un metodo nuovo di studiare il diritto, per postulatie teoremi, alla maniera della geometria. Con questo non si contestava apparentemente il valo-re dei giuristi classici, cui anzi veniva attribuita una logica razionalista e matematica. All'in-fluenza di Christian Wolff (1679-1754) si deve la diffusione nelle universit tedesche dello stu-dio del diritto romano come diritto naturale. Cfr. Bretone, Il diritto a Roma, in Bretone, Tala-manca, Il diritto in Grecia e a Roma (1981), 95 ss.

  • In Germania invece, in assenza di una codificazione civile, prosegu l'ususmodernus Pandectarum (= uso moderno delle Pandette). Anzi la Scuola Storica,tra la fine del XVIII secolo e la met del XIX, si propose di valorizzare la rece-zione del diritto romano contrapponendola alla prospettiva di una codifica-zione.35 Secondo questa corrente, il diritto romano attuale (cos Savigny) in-dicava ai professori delle universit tedesche e all'intera nazione un modellodi ordinamento, creato da un ceto di giuristi piuttosto che dal legislatore. PerHugo, il diritto romano il nostro diritto naturale, ormai connaturato allatradizione germanica. Non c' nessun bisogno di abbandonarlo, poich essopermette al Volksgeist (= spirito del popolo) tedesco di esprimersi megliodi qualunque Codice. Lo studio delle Pandette, per i romanisti di questa scuo-la, avrebbe dovuto vertere, piuttosto che sulle antichit giuridiche slegatedal presente, sulla storia dei dogmi su cui era fondato il diritto vigente. Ilconflitto fra razionalismo e Scuola Storica era in realt molto meno radicale diquanto apparisse. Infatti la possibilit di riutilizzare il diritto romano sarebbestata consentita dall'estrema razionalit del metodo dei giuristi classici. Gra-zie a questa capacit di astrazione scientifica, essi avevano fondato un sistemadi diritto privato capace di sfidare i secoli.

    Sulla scia della Scuola Storica, gli ultimi tentativi di attualizzazione si ebbe-ro in Germania con la Pandettistica della seconda met del XIX secolo. Il suoobiettivo era quello di studiare non tanto il diritto romano puro, quanto diprocedere a un'indagine sistematica sul diritto privato comune tedesco diorigine romana (cos il Windscheid nel Diritto delle Pandette, del 1862). Il ri-sultato pi notevole fu in effetti quello di proporre nei manuali un caratteri-stico apparato di concetti e definizioni dogmatiche, slegati dalla prassi socia-le. Tale parte generale influenz poi a lungo gli studiosi di diritto privato ditutt'Europa. L'autorevolezza della Pandettistica fuori della Germania fu so-prattutto notevole in Italia, a partire dall'opera del Serafini. Quindi gli inse-gnamenti romanistici furono considerati strettamente funzionali allo studiodel diritto privato, cui dovevano offrire una introduzione dogmatica ed unapanoramica dei precedenti storici dei vari istituti.36 Un'influenza pandetti-stica in particolar modo evidente nella tradizione didattica di Istituzioni di

    35 Il giurista razionalista Anton Thibaut aveva proposto in un'opera del 1814, Sulla necessit di undiritto civile generale per la Germania, l'adozione di un codice ispirato a quello napoleonico. Nellostesso anno Friedrich von Savigny (1779-1861) rispose con La vocazione del nostro tempo per la le-gislazione e la giurisprudenza, offrendo una sorta di manifesto programmatico alla corrente stori-cistica che si era da qualche anno sviluppata in Germania con Gustav Hugo. Cfr. in generale DeMarini, Savigny (1980).

    36 Cfr. Schiavone, Un'identit perduta: la parabola del diritto romano, in Stato e cultura giuridica in Italiadall'Unit alla Repubblica (1990), 275 ss.

  • diritto romano, materia comunemente ritenuta propedeutica allo studio degliistituti del diritto privato vigente.

    Il tramonto della Pandettistica, dopo il 1900, segn la fine di ogni seria vel-leit di attualizzazione del diritto romano. Venne a crearsi invece un nuovosettore della ricerca storica in campo giuridico, la romanistica. Essa abban-don del tutto l'idea di un diritto romano vigente, per studiarlo invece comeesperienza giuridica del passato, unica per la sua perfezione tecnica, per iltempo eccezionalmente lungo della sua vigenza, l'abbondanza di documentitrasmessi ai posteri, e l'influenza che ha avuto. Non interess pi soltanto stu-diare i testi della codificazione di Giustiniano, ricercando in essi il modellouniversale, ma si valorizzarono altre fonti di conoscenza, anche archeologichee letterarie. Inizi lo studio sistematico di settori dell'ordinamento, e di perio-di fino a quel momento poco esplorati perch meno funzionali all'uso pratico:per esempio il diritto penale, o l'epoca arcaica.

    La ripartizione attuale tra Storia, Istituzioni, Diritto, e le altre materie roma-nistiche ausiliarie si stabilita nella forma attuale per esigenze didattiche, allafine del secolo scorso. In precedenza lo studio della nostra materia avevacome oggetto dominante e quasi esclusivo il diritto privato romano. Il nostroordinamento infatti figlio della tradizione romana soprattutto in questocampo, e cio in materia di propriet, contratti, successioni.

    Una traccia di questa impostazione si mantenuta anche dopo l'afferma-zione della romanistica moderna, poich si distinto da un lato le Istituzionidi Diritto Romano, che forniscono un'esposizione didattica a carattere genera-le e sistematico (institutiones, appunto) del diritto privato e del processo civile;e dall'altro la Storia del Diritto Romano. Quest'ultima si occupa soprattuttodell'assetto politico e amministrativo; del diritto e del processo penale; e infi-ne della giurisprudenza, e in particolare delle tecniche e delle ideologie deigiuristi. A parte, infine, una terza materia romanistica, il Diritto Romano, ap-profondisce, di anno in anno, un singolo argomento, per lo pi privatistico.Questa ripartizione di argomenti non per essenzialmente fondata su basiscientifiche, ma risponde piuttosto ad esigenze didattiche, tipiche dell'orga-nizzazione degli studi italiana. La riforma universitaria in atto porter verosi-milmente nei prossimi anni a una revisione dell'intero impianto didattico del-le discipline romanistiche, e a una diversa distribuzione delle materie fra lalaurea di base e quella specialistica. Terremo dunque conto della tradizionedidattica, ma senza rinunciare a ricostruire almeno alcune linee di sviluppostorico del processo e del diritto privato.

  • CAPITOLO IILE ORIGINI DI ROMA

    1. Periodizzazione del diritto romano

    Tradizionalmente la romanistica estende il suo campo di indagine fino atutto il regno di Giustiniano (527-565), l'imperatore d'Oriente al quale si devela pubblicazione del complesso di fonti pi importante per il nostro studio.La storia del diritto romano occupa quindi un arco di tempo cos lungo (dal-l'VIII secolo a.C. al VI d.C.), da rendere necessaria una scansione in periodi. un'operazione in parte arbitraria, che dipende dalla scelta dei fattori che in-tendiamo privilegiare e degli avvenimenti che per noi rivestono maggiore in-teresse.

    La societ romana cambia in modo radicale pi volte nel corso della suastoria: nasce come una comunit di agricoltori e pastori; diventa una citt-sta-to di tipo schiavistico, con un mercato agricolo, manifatturiero e finanziariomolto evoluto; infine si trasforma in una societ chiusa che prelude al Me-dioevo. Alle mutazioni della struttura sociale, si accompagnano altrettantograndi cambiamenti dell'ordinamento giuridico. Evidentemente faremo usodi periodizzazioni riguardanti non la civilt romana nel suo complesso, bensil fenomeno giuridico, occupandoci in particolar modo delle istituzioni politi-che, del diritto privato e della giurisprudenza. Quando ci riferiremo allastruttura delle istituzioni politiche (la costituzione romana, per riprendereil titolo di un famoso trattato di Francesco De Martino), prenderemo comepunto di riferimento una scansione in tre grandi periodi, ciascuno dei qualidiviso in due fasi.

    I) Il RegnoIl periodo monarchico si articola in una fase latina, dalla met dell'VIII secolo a.C.,

    alla met del VII; e in una etrusca, fino agli ultimi anni del VI. La prima inizia con

  • l'aggregazione di villaggi e clan gentilizi sotto il coordinamento di un capo federale,il rex. Poi, con la dominazione etrusca, si creano le strutture della citt-stato, nellaquale il re titolare del potere politico-militare (imperium). Alla classe dominantedei patrizi, membri degli antichi clan, si contrappone la massa dei plebei.

    II) La RepubblicaScomparsa la monarchia (secondo la tradizione nel 509), si costituisce un ordina-

    mento aristocratico, caratterizzato altres da magistrature elettive ed assemblee popo-lari. A una prima Respublica dominata dal patriziato succede, dopo aspre lotte per ilpareggiamento delle classi, una Repubblica patrizio-plebea. Le leggi Liciniae Sextiaedel 367 costituiscono la base di un duraturo patto politico. Esso consentir la sostan-ziale fusione di patrizi ed lites plebee in una nuova e pi ampia classe aristocratica:la nobilitas. La seconda fase della costituzione repubblicana durer fino al 27 a.C.

    III) L'ImperoLe istituzioni repubblicane sono superate dall'avvento al potere di Augusto e dalla

    sovrapposizione del potere personale del princeps agli organi della costituzione re-pubblicana, formalmente ancora in vigore. All'interno del periodo imperiale, distin-guiamo tradizionalmente due fasi: il Principato e il Dominato. La linea di demarca-zione tra queste due fasi di solito posta convenzionalmente in coincidenza con l'av-vento al trono di Diocleziano (284). Come vedremo, preferiamo invece collocare ilpassaggio al Basso Impero nel periodo dei Severi, all'inizio della cosiddetta crisi delIII secolo. Proporremo come data simbolica il 212, anno della costituzione di Cara-calla che estese la cittadinanza ai sudditi provinciali, consolidando il carattere territo-riale e universale dell'Impero.

    La storia di Roma si conclude in modo diverso nella pars Orientis e in quellaOccidentis. Quest'ultima crolla sotto la spinta delle invasioni barbariche,scomparendo ufficialmente nel 476, con la deposizione di Romolo Augustolo.Da questo periodo si dipartono due distinti percorsi storici: ad Occidentequello dei regni barbarici, e ad Oriente quello di Bisanzio. L'Impero Bizan-tino, di lingua greca, che si professava tuttavia erede di Roma, ebbe a sua vol-ta uno sviluppo storico ancora enormemente lungo. Scomparve definitiva-mente con la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi, il 29 maggio del1453.

    La scansione del tempo dal punto di vista delle istituzioni politico-giuridi-che sar il nostro punto di riferimento prevalente, ma non esclusivo. Possia-mo infatti anche vedere la storia del diritto romano attraverso un'altra pro-

  • spettiva: lo sviluppo della giurisprudenza, che abbiamo ripartito come prassi largamente seguita in quattro periodi.

    A) La giurisprudenza arcaica (o pontificale)Si sviluppa all'origine della citt fino alla met del III secolo a.C. Probabilmente in

    et monarchica lo stesso re, in quanto mediatore tra la comunit umana e gli dei, am-ministrava la giustizia e diceva il diritto. solo in un'epoca successiva alla fonda-zione della citt che ha inizio una vera e propria attivit giurisprudenziale, nella qua-le gli interpreti del diritto fanno la loro comparsa come collegio sacerdotale pubblico,specializzato nel fornire responsi giuridici. Ma dalla met del V secolo, in conseguen-za della codificazione parziale dei mores maiorum (le XII Tavole), vengono poste lelontane premesse per la laicizzazione della giurisprudenza.

    B) La giurisprudenza preclassica (o laica)Occupa parte della storia repubblicana, arrivando fino alla creazione del Principa-

    to. A partire dalla met del III secolo, i pontefici sono affiancati e superati dall'inter-vento di esperti privati. Essi vengono richiesti, dalle pubbliche autorit e dai cittadi-ni, di dare pareri su come vadano interpretati i costumi degli antenati e le altre fontinormative. In questo modo, pur conservando un legame profondo con la tradizione,riescono ad orientare lo sviluppo dell'ordinamento in senso innovativo, facendo levasul loro prestigio sociale e culturale. Le loro tecniche, inizialmente analoghe a quelledei pontefici, si vanno raffinando dopo l'introduzione dalla Grecia di nuovi metodi diindagine.

    C) La giurisprudenza classica il periodo pi importante, da cui trarr poi alimento la tradizione romanistica.

    Corrisponde pi o meno all'et del Principato. L'attivit giurisprudenziale resta lafonte pi autorevole e creativa del diritto, ma deve confrontarsi con il peso sempremaggiore della legislazione imperiale. I maggiori giuristi vengono insigniti da Augu-sto del privilegio di dare pareri in suo nome. Dall'epoca di Adriano figureranno sem-pre pi spesso nel consiglio del Principe. Sotto la dinastia dei Severi, i maggiori giu-risti occuperanno le pi alte cariche della carriera burocratica.

    D) La giurisprudenza postclassicaArriva fino all'epoca di Giustiniano. Nell'et del Dominato, si avr un periodo di

    decadenza della cultura e delle tecniche dei giuristi, e di ulteriore burocratizzazionedella loro funzione. In quest'epoca i giuristi applicheranno la loro scienza soprattuttonel lavoro all'interno della cancelleria imperiale e nelle scuole di diritto. La giuri-

  • sprudenza perder il suo ruolo creativo e finir emarginata a vantaggio della legisla-zione imperiale.

    Abbiamo accennato alla differenza profonda tra la funzione sociale dellostudioso di diritto nel mondo moderno e quella del giurista romano. Que-st'ultimo, con i suoi responsi e le sue opere scientifiche, contribuiva a creare lenorme dell'ordinamento. La giurisprudenza era per i Romani sia scienza chefonte del diritto. Volendo illustrare lo sviluppo storico del diritto privato, ciriferiremo quindi in linea di massima alla stessa periodizzazione che abbiamoproposto per la giurisprudenza. Ma anche in questo caso, l'equivalenza sommaria e richiede qualche precisazione. L'ordinamento fu sempre costitui-to da una combinazione di diversi complessi di norme, prodotti da fonti dif-ferenti: i costumi degli antenati, le leggi votate dal popolo, l'attivit giurisdi-zionale di particolari magistrati, eccetera. Con un atteggiamento insieme con-servatore e pragmatico, i Romani considerarono in vigore ciascuno di questisistemi, anche quelli pi remoti e desueti. In linea di principio, nessun nuovocomplesso normativo aboliva gli altri: sicch le loro inevitabili contraddizionidovevano essere coordinate dall'attivit interpretativa dei giuristi.

    L'evoluzione del diritto privato non accompagnava meccanicamente le mo-dificazioni che insorgevano negli ordinamenti statuali. I giuristi rivendicava-no anzi orgogliosamente l'autonomia della loro scienza e della loro tradizio-ne, rinunciando persino ad analizzare scientificamente il governo della res pu-blica, e la repressione criminale. Erano settori, infatti, nei quali la civilt giuri-dica romana concedeva una discrezionalit assai ampia alle autorit politiche.Perci dal punto di vista dei giuristi, almeno fino all'et del Principato, questiargomenti sembrarono piuttosto ricadere nel dominio della politica, o dellaprassi amministrativa, che in quello della ragione giurisprudenziale. Essi pre-ferirono isolarsi dalla sfera del pubblico1 e rimanere invece, in buona so-stanza, dei consulenti in materia di rapporti giuridici tra privati. soprattuttonell'ambito del diritto privato, del quale erano interpreti e custodi, che la loroscienza funzionava da fonte dell'ordinamento.

    1 Cos Schulz, nei Principii del diritto romano (1934; tr. it. 1949), 16 ss.; Id., Storia della giurisprudenzaromana, II ed. (1953; tr. it. 1968), 156 ss. Non vogliamo ora anticipare il tema della distinzionetra ius publicum e ius privatum. Ci limiteremo a concludere che il diritto pubblico cio l'insie-me delle norme che presiedono all'organizzazione dei poteri pubblici e ai rapporti tra questi e icittadini per i giuristi ius in senso debole, rispetto al vero diritto. Cfr. in generale Breto-ne, Tecniche e ideologie dei giuristi romani, II ed. (1989), 1 ss.

  • 2. L'Italia preromana

    A partire dalla tarda et del bronzo, intorno al 1200 a.C., si svilupp in Ita-lia una cultura materiale a carattere stanziale: la civilt proto-villanoviana.2

    Si trattava della propaggine locale di una cultura indoeuropea, gi estesa inEuropa centrale, caratterizzata dall'incinerazione dei defunti: la civilt deicampi d'urne.3 Gli Indoeuropei della penisola, pur avendo tratti culturali incomune, non costituivano necessariamente una popolazione omogenea. Anzi,una caratterizzazione regionale in rapido sviluppo si nota gi in epoca moltorisalente. Nell'et del ferro, intorno al 900, si possono individuare delle etnieormai, ben differenziate. Convenzionalmente, i popoli indoeuropei dell'Italiapeninsulare, legati alla cultura proto-villanoviana o venuti dopo (come i Ve-neti), sono denominati Italici. Non ne fanno parte gli stanziamenti greci,perch il centro di diffusione della loro civilt altrove, n il popolo etrusco,che assume caratteristiche del tutto autonome, che lo allontanano dall'origineindoeuropea.

    Uno dei gruppi principali che ebbero vita dai Protovillanoviani si sviluppnella pianura padana: la civilt villanoviana (dall'insediamento di Villanova,presso Bologna). Essa si dedic con successo alla metallurgia, e ai trafficicommerciali con la Grecia micenea e l'Europa centro-settentrionale.4 Un'altralinea di espansione invest la valle del Tevere e i Colli Albani (il gruppo lati-no-falisco). Una terza, successiva, si svilupp in Umbria, Sabina, parte della

    2 Per un quadro sintetico delle civilt preistoriche in Italia, cfr. D'Agostino, Preistoria e protostoria,in Cherubini, Della Peruta, Lepore, Storia della societ italiana. 1. Dalla preistoria all'espansione diRoma (1981), 105 ss.

    3 Nel 1786 William Jones rilev per primo che il sanscrito, il greco, il latino, il persiano, il gotico,il celtico erano imparentati al punto da potersi ipotizzare una matrice comune. In realt la fa-miglia indoeuropea risult poi ancora pi estesa, comprendendo anche le lingue slave, quellebaltiche, l'armeno e l'albanese, oltre a numerosi idiomi estinti. La teoria tradizionale che vede-va gli Indoeuropei affluire dall'Asia in due ondate, propagatesi in Italia in momenti distinti, oggi messa in discussione. Cfr. Renfrew, Origini indoeuropee: verso una sintesi, in Bocchi, Ceruti,Le radici prime dell'Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici (2001), 116 ss. Grande seguito haattualmente la teoria di Marjia Gimbutas, sull'esistenza di una cultura proto-indoeuropea(cultura Kurgan), diffusasi a partire dalle steppe della Russia meridionale verso l'Occidentedalla fine del V millennio a.C. fino al 2500 a.C. La societ Kurgan, nomade e guerriera, dominatada re e capi, avrebbe soppiantato le culture sedentarie e matrilineari dell'Europa neolitica. Irami principali degli Indoeuropei del nostro continente deriverebbero da ondate successive dimigrazione. Cfr. Gimbutas, Il linguaggio della Dea: mito e culto della Dea Madre nell'Europa neolitica(1989; tr. it. 1990).

    4 Cfr. Mansuelli, Bosi, Le civilt dell'Europa antica (1967; tr. it. 1984), 130 ss.; M.A. Levi, L'Italia anti-ca, II ed. (1984), 15 ss. Come vedremo, questa popolazione costituisce la radice principale da cuitraggono origine gli Etruschi.

  • Campania, Lucania, Calabria (gruppo osco-umbro-sabello).5

    Fra il IX e l'VIII secolo altre popolazioni fecero la loro comparsa: gruppi illi-rici, che occuparono le coste dell'Adriatico; i Fenici in Sicilia occidentale e inSardegna; le colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia, gi alla finedell'VIII secolo numerose e potenti. Cartagine, la futura grande antagonista diRoma, era stata fondata solo da pochi anni dai Fenici di Tiro. Nel momento incui la tradizione colloca il fatidico e improbabile Natale di Roma (21 aprile753), due grandi forze, in piena espansione, sembravano destinate a scontrar-si per il predominio sulla penisola: le colonie greche e le citt etrusche.

    L'origine degli Etruschi (Rasenna nella loro lingua, Tirreni per i Greci), fuun problema che appassion gli antichi. Erano forse immigrati dalla Lidiapoco prima della guerra di Troia, come raccontava Erodoto, e piaceva crederea loro stessi? O discendevano dai misteriosi Pelasgi, antichi abitatori dellaGrecia, approdati alle foci del Po, secondo la tesi di Ellanico? Oppure eranosemplicemente autoctoni, come riteneva Dionigi? Le tre teorie sembrano nonescludersi: probabilmente gli Etruschi furono il risultato di una lenta infiltra-zione di gruppi immigrati dall'area greca (i Pelasgi) e anatolica (i Lidi), in unazona occupata dai Villanoviani. In stretti rapporti culturali e commerciali conil mondo greco, essi crearono una civilt peculiare, che si differenzi netta-mente da quelle italiche. In essa rivestivano grande importanza la metallurgia(eredit diretta dei Villanoviani), un'agricoltura tecnicamente avanzata, e ilcommercio. Nell'VIII e nel VII secolo la popolazione era organizzata in centrifortificati indipendenti, governati da monarchi. Verso il 600, si form una legadi dodici citt, che eleggevano un re. Nonostante la frammentazione politica,le classi aristocratiche delle varie citt intrattennero intensi scambi commer-ciali e alleanze matrimoniali, anche all'esterno dell'area etrusca. Come hannoconstatato gli archeologi negli ultimi anni, era frequente il caso che ricchi stra-nieri si stabilissero in citt, adottando un nome etrusco. La tradizione chevuole re Tarquinio Prisco figlio di un greco di Corinto, immigrato a Tarquinia,appare dunque in s perfettamente plausibile.

    Tra il VI e il V secolo, le monarchie etrusche cedettero il posto a repubbli-che aristocratiche rette da magistrati elettivi. Il territorio etrusco, mai unifica-to politicamente, continu ad estendersi verso sud in direzione del Lazio, del-la Campania (dove il conflitto con i Greci sar inevitabile), e verso l'Emilia. Alcentro tra Magna Grecia ed Etruria, esposto ai benefici del traffico commer-ciale e alle tensioni politico-militari tra le due aree, si trovava il Lazio.5 ipotesi antica e tuttora accreditata che dal nome di una trib umbro-sabella, i Vitelioi della

    Calabria, i Greci avessero ricavato il termine Italioi. Esso fu esteso poi a gran parte degli abitantidella penisola da loro definita Hesperia (= terra d'occidente). Cfr. Strab., Geogr., 5.1.1.

  • Le popolazioni indoeuropee penetrate intorno all'XI secolo tra la valle delTevere e i colli Ausoni, definirono quel territorio relativamente pianeggianteLatium, terra aperta, termine da cui successivamente derivarono il nome diLatini.6 I Romani attribuivano a quest'epoca primitiva i caratteri di una miticaet dell'oro: abbondanza, eguaglianza e semplicit erano gli effetti beneficidel regno di Saturno, bandito da Giove, e rifugiatosi nella regione del Campi-doglio.

    Una leggenda, elaborata nel IV secolo a.C., permetteva di ricollegare l'oscu-ra origine di Roma al ciclo troiano, vanto della civilt greca. Uno dei discen-denti di Saturno, il re Latino, avrebbe dato in sposa sua figlia ad Enea, sbarca-to in Lazio alla testa di una piccola schiera di superstiti. Ereditato il trono, l'e-roe troiano avrebbe fondato Lavinio, e dato ai propri sudditi il nome di Latini.In seguito, il figlio di Enea, Iulo (progenitore della romana gens Iulia), avrebbeedificato Alba Longa. Da una discendente di questa stirpe regale, e dal dioMarte sarebbe nato infine Romolo. probabile che la tradizione abbia poisdoppiato il fondatore nella coppia di gemelli Romolo-Remo, nella quale po-trebbe vedersi incarnato il conflitto tra gli agricoltori e gli allevatori, margina-lizzati dalla creazione di un centro urbano. Nell'et augustea il mito di fonda-zione, che ispir l'opera di Virgilio, venne rielaborato nella sua versione defi-nitiva. In esso infatti giocava un ruolo essenziale Iulo, progenitore della casa-ta giulio-claudia al potere. Quel che potrebbe esserci di vero in questa sagacentrata intorno ad Alba Longa, capoluogo di una lega religiosa dedicata aGiove Laziare, che il misero villaggio latino di capanne, presente sul Palati-no, e da cui forse Roma trasse origine, fosse un antico insediamento albano.

    Il territorio dell'antico Lazio, pi ristretto di quello attuale, fu abitato alme-no a partire dalla media et del bronzo (met del II millennio a.C.). Ospit dalIX secolo una civilt del ferro, che utilizzava sia l'incinerazione che l'inuma-zione. Essa era diffusa in un gran numero di comunit (populi), insediate in

    6 I primi insediamenti della cultura laziale, dell'et del bronzo finale e della prima et del ferro,sono concentrati sui Colli Albani (Grottaferrata, Marino, Castel Gandolfo) e sulla costa romana(Anzio, Pratica di Mare). A Roma vi sono resti di sepolture nel Foro. Fra il X e il IX secolo si svi -lupparono grandi necropoli a Osteria dell'Osa e Castiglione (nel territorio di Gabii), Ardea, Sa-tricum e Crustumerium. La popolazione di questi centri protourbani appare divisa in gruppi dialcune centinaia di persone, articolati in grandi famiglie. Fra il IX e VII secolo (et del ferro),vengono fondati i centri di Castel di Decima, Fidenae, Tivoli, Palestrina ed altri. A Roma iniziaun processo di urbanizzazione, analogo a quello di Lavinio e di numerosi altri centri laziali. Sicrea una struttura gentilizia, nella quale i grandi gruppi parentali pongono sotto di s gruppi diclienti. Fra l'VIII e il VI secolo i ritrovamenti archeologici testimoniano la definitiva emersionedi un ricco ceto aristocratico e la formazione di una piccola propriet agricola. Cfr. Bietti Se-stieri, De Santis, Roma e il Lazio dall'et della pietra alla fondazione della citt (1985), 129 ss.; La ne-cropoli laziale di Osteria dell'Osa (1992).

  • piccoli villaggi (vici), ciascuno dei quali situato al centro di territori agricoli esilvestri (pagi). La frammentazione politica della regione veniva in parte con-trobilanciata dalla formazione di leghe attorno a santuari comuni (ad esempioi trenta populi Albenses ricordati da Plinio), che funzionavano in particolari ri-correnze anche da luogo di scambi.

    3. L'origine della citt e l'ipotesi gentilizia

    Dopo oltre cent'anni di discussioni, che hanno portato alla formulazione diipotesi divergenti e spesso in assoluto contrasto con le fonti, si ritornati adammettere che la nascita della citt da collocarsi in prossimit della data tra-dizionale del 753 (o 754) a.C. Nell'VIII secolo certamente il Palatino, l'Esquili-no e il Quirinale erano abitati, come dimostra il ritrovamento di fondi di ca-panne, mentre il Foro venne utilizzato come sepolcreto fino al 650 circa. Labonifica del Foro, alla met del VII secolo, collegata con l'inizio di una veraurbs (= centro urbano), con i primi edifici monumentali: il tempio di GioveCapitolino, la Regia, la Curia, eccetera. Ma come si fosse formata, resta tuttoramateria di congetture, pi o meno convalidate da sporadiche evidenze ar-cheologiche.

    Dai primitivi insediamenti ebbe verosimilmente origine un sinecismo, cioun'aggregazione in un solo centro urbano di villaggi preesistenti. Questo pro-cesso di unificazione dovette assumere all'inizio la forma di una lega, con fi-nalit religiose e di scambio commerciale: le fonti romane conservano il ricor-so di un Septimontium, che potrebbe identificarsi con un organismo del gene-re. Le modeste alture della zona romana erano i montes Palatino (o meglio, lesue tre cime: Palatium, Cermalo, Velia), Esquilino (Cispio, Oppio, Fagutale),Celio. L'Aventino, il Campidoglio, e i colles Quirinale e Viminale rimasero alungo fuori dal confine storico del pomerium.7

    All'epoca il Tevere, ampiamente navigabile, costituiva un'arteria commer-ciale che collegava l'area etrusca al Lazio e al mare. Nella zona, esso offrivaapprodi e un agevole guado mediante l'Isola Tiberina; inoltre alle sue foci gia-cevano ingenti depositi salini, preziosi per le popolazioni dell'entroterra. Ad

    7 I Romani nutrirono sempre la convinzione che la loro citt avesse sette colli. Ma il loro elencoha subito vari cambiamenti nel corso della storia: di alcuni sono state contate le diverse cime,altri si sono aggiunti alla lista, o sono stati tralasciati, o semplicemente eliminati a causa dellosviluppo edilizio. Cfr. Coarelli, Il Foro romano. I. Periodo arcaico (1983); Id., Roma, in Braudel, Il Me-diterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, V ed. (1995), 83 ss.; Pallottino, Origini e storiaprimitiva di Roma (1993).

  • est del fiume, ai piedi delle colline, una piana acquitrinosa occupava il postoove un giorno sarebbe sorto il Foro romano. Non si trattava certo di un luogoche promettesse un grande sviluppo agricolo, ma le alture offrivano un rifu-gio di facile difesa e poco esposto alla malaria. Non a caso, sul Palatino, chepermetteva di dominare l'isola Tiberina e il suo guado del Tevere, a partiredal IV secolo a.C. fu venerata una presunta casa di Romolo, di tipo villano-viano.

    La fondazione della citt e la genesi delle sue istituzioni sono avvolte nellaleggenda. Bisogna premettere che i Romani, nel campo dell'indagine storica,come in quasi tutti gli altri tranne il diritto, sono debitori dei Greci. Non han-no avuto, fino al III-II secolo a.C., nessun quadro razionale e attendibile dellaloro stessa storia. Dovremo dunque partire dal racconto leggendario sullafondazione di Roma, per confrontarlo con i risultati della ricerca moderna, ericavarne un'immagine necessariamente incerta e approssimativa delle strut-ture costituzionali della Roma arcaica. I dati tradizionali vengono riferiti da-gli annalisti, ripresi da Livio e, nell'edizione pi estesa e complessa, dal grecoDionigi di Alicarnasso. Roma sarebbe stata fondata dal mitico principe albanoRomolo, a capo di un gruppo di sbandati di varia provenienza. La data dellafondazione pi diffusa tra le fonti antiche quella proposta da Varrone, an-che se non mancano indicazioni che la riportano a decenni prima o dopo. Ipunti di riferimento ritenuti sicuri erano la data del 509 a.C. come inizio delregime repubblicano, e il numero di sette re. Quindi si dovette applicare unaconvenzione usata spesso dagli storici greci: in mancanza di dati certi, attri-buire trentacinque anni a ogni regno. Si risaliva cos al 753 o al 754, secondoche si contasse o no l'anno di partenza.8

    Tracciato il confine sacro sul Palatino, e presi gli auspici, Romolo sarebbestato confermato re da segni del favore di Giove. Dopo di che avrebbe divisola cittadinanza in tre trib (Ramnes, Tities, Luceres) ciascuna con a capo un tri-buno; in trenta curie, con a capo ciascuna un curione; in trecento decurie, sot-to la responsabilit di decurioni. Avrebbe inoltre creato un Senato di centomembri, che lo affiancassero come una sorta di Consiglio di Stato. Dopo diche, avrebbe diviso ulteriormente la cittadinanza in due classi: patrizi e ple-bei. I primi si sarebbero occupati degli affari pubblici; gli altri, dediti al lavoroagricolo, erano dispensati da questa fatica.

    Dion. 2.8 ss.: Romolo distinse quelli di stirpe illustre, di specchiata virt ebenestanti dalla gente comune, umile e povera. Denomin plebei quelli di

    8 Cfr. Cassola, Labruna, Linee di una storia delle istituzioni repubblicane, III ed. (1991), 1 ss.

  • basso ceto e padri quelli di alto lignaggio... poi decret quali compiti at-tribuire a ciascuna classe. I patrizi dovevano ricoprire i sacerdozi e le magi-strature, esercitare la giustizia e provvedere con lui alla comunit, dedicar-si dunque all'amministrazione cittadina. I plebei erano esentati da questeresponsabilit perch inesperti e privi di tempo. Mancando di mezzi, essidovevano invece dedicarsi all'agricoltura, all'allevamento e alle attivit cheportano guadagno. Ci fece perch non creassero disordini, come nelle altrecitt, a causa del fatto che i magistrati maltrattavano gli umili, o perchricchi e poveri detestavano le autorit.

    Quindi si tratterebbe, per la leggenda, di una societ costruita secondo unpiano razionale, in maniera del tutto volontaristica. Le curiae dovettero esseredei distretti a carattere militare e religioso. L'assemblea generale di tutte lecurie avrebbe avuto il compito di votare le leggi. Esclusi dalla cittadinanza, iclienti persone immigrate o declassate, prive di mezzi di sussistenza si sa-rebbero poi affidati alla protezione delle famiglie pi importanti.

    Sempre secondo la tradizione, a Romolo successe una serie di re latini, sa-bini ed etruschi, fino ad una rivolta nazionale dell'elemento autoctono latinocontro Tarquinio il Superbo. Dalla sua cacciata cominci la Repubblica, conl'elezione della prima coppia di consoli.

    Gli storici moderni si sono ovviamente proposti di spiegare la fondazionedi Roma, e la sua organizzazione sociale, in modo diverso dalla tesi anticadella sua creazione immediata, per impulso di un solo uomo. Hanno cercatodunque di sviluppare gli indizi, impliciti in molte tradizioni e leggende, chesugg