Gil 3 2012

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GIORNALE ITALIANO DI LINFOLOGIA Organo Ufficiale della Società Italiana di Linfologia Oncologica PUBBLICAZIONE PERIODICA TRIMESTRALE - AUT. TRIBUNALE DI BOLOGNA N. 8205 DEL 22/09/2011 3 ANNO 1 NUMERO OTTOBRE 2012 ISSN 2240-7278

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GIORNALE ITALIANO

DI LINFOLOGIA

Organo Ufficiale della Società Italiana di Linfologia Oncologica

PUBBLICAZIONE PERIODICA TRIMESTRALE - AUT. TRIBUNALE DI BOLOGNA N. 8205 DEL 22/09/2011

3

ANNO 1

NUMERO

OTTOBRE

2012

ISSN 2240-7278

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Giornale Italiano di Linfologia 2012;1(3):2

GIORNALE ITALIANO DI LINFOLOGIA

ANNO N. 1 - N. 3 - OTTOBRE 2012 Ronchi

Direttore Responsabile

Dr. Daniele Aloisi

Giornale Italiano di Linfologia

Periodico trimestrale a carattere medico-

scientifico edito da:

Società Italiana di Linfologia Oncologica

- Sede Legale:

Via Fosse Ardeatine, 14 - 40139 Bologna

- Sede Operativa: c/o ADB Eventi & Congressi

Via San Felice, 28 - 40122 Bologna

Tel. 051 0959160

E-mail: [email protected]

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di

Bologna, n. 8205 del 22/09/2011.

Pubblicazione online a diffusione gratuita sul sito:

www.linfologiaoncologica.it

© E’ vietata la riproduzione totale o parziale di articoli o

illustrazioni pubblicate sul Giornale Italiano di Linfologia

senza autorizzazione scritta da parte dell’Editore.

Numero Speciale

ATTI DEL

V CONGRESSO NAZIONALE

DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA

FONDAZIONE IRCCS

ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI

MILANO 16-17 NOVEMBRE 2012

Pag. 3

Abstract

Pag. 19

Lavori Originali

SOMMARIO

Page 3: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

ATTI del

V Congresso Nazionale di Linfologia Oncologica

Milano, 16-17 novembre 2012

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

V Congresso Nazionale di Linfologia Oncologica

ABSTRACT DEI LAVORI

ANATOMIA FUNZIONALE DEI LINFATICI

CUTANEI: EVIDENZE LINFOSCINTIGRAFICHE

G. Picciotto Primario Emerito di Medicina Nucleare - Azienda

Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino

L’esatta conoscenza di tutte le possibili vie di

drenaggio linfatico che si dipartono da ogni punto

della nostra superficie corporea costituisce una

guida sicura per le mani del chirurgo che si

appresta ad eseguire la dissezione di uno o più

bacini linfonodali, così come lo è per le mani del

fisioterapista che si accinge a praticare,

correttamente, le manovre di linfodrenaggio

manuale.

Oltre venti anni di utilizzo, sistematico e capillare,

della ricerca scintigrafica del/i Linfonodo/i

Sentinella nei pazienti con melanoma cutaneo

hanno significativamente ampliato,

aggiornandolo, il nostro sapere sull’anatomia

funzionale dei linfatici cutanei.

Oggi la comunità scientifica ha a disposizione

decine di migliaia di linfoscintigrafie, eseguite in

tutto il mondo e disponibili come immagini

fotografiche del reale, condotte sul paziente e

non sul cadavere disseccato, sfruttando, senza

interferire sullo stesso, il fisiologico processo di

rimozione spontanea di una piccolissima quantità

di minuscoli colloidi radioattivi iniettati nel derma

circostante la lesione primaria.

E’ il patrimonio di esperienze accumulato in un

paio di decenni di ricerca scintigrafica del/i

Linfonodo/i Sentinella che ha permesso a John

Thompson e Roger Uren, rispettivamente chirurgo

e medico nucleare presso la più importante Unità

Melanomi del mondo (Sidney Melanoma Unit), di

scrivere: Prediction of skin lymphatic drainage

based on historical assumptions are probably

incorrect in 30 % of individuals1.

Questa comunicazione vuole portare a

conoscenza degli interessati i risultati del brillante

lavoro svolto dalla Dott.ssa Hayley Maria Reynolds,

bioingegnere di Auckland che, partendo dalla

banca dati di 5239 pazienti, sottoposti a ricerca

scintigrafica del Linfonodo/i Sentinella per

melanoma cutaneo presso la Sidney Melanoma

Unit, è riuscita a mettere a punto un programma

interattivo, accessibile on-line, che permette

all’utente, una volta individuata sulla sagoma del

sito l’esatta sede del melanoma cutaneo, di

sapere “a priori” quali e quanti potrebbero essere i

bacini di drenaggio per quel melanoma e con

quale percentuale di probabilità.

L’indirizzo del Sito interattivo è:

http://sites.bioeng.auckland.ac.nz/hrey004/ ed il

lavoro della Reynolds è condensato in forma di

Articolo sulla prestigiosa rivista The Lancet

Oncology2.

Bibliografia

1) Thompson JF,Uren RF.Lymphaticmapping in

management of patients with primarycutaneous

melanoma.

Lancet Oncol, 2005; 6(11): 877-885

2) Reynolds HM, Dumbar PR, Uren RF, Blackett SA,

Thompson JF, Smith NP. Three-dimensionalvisualization

of lymphaticdrainagepatterns in patients with

cutaneous melanoma.

Lancet Oncol, 2007; 8(9): 806-812

~

NUOVE TECNICHE CHIRURGICHE

SENOLOGICHE: PREVENZIONE DEL LINFEDEMA

CORRELATO CON IL TRATTAMENTO

CHIRURGICO DEL CARCINOMA MAMMARIO

M. Gennaro Dirigente Medico - S.C. Chirurgia Generale Indirizzo

Oncologico 3, IRCCS - Istituto Nazionale Tumori di Milano

Introduzione

La dissezione linfonodale ascellare ha

progressivamente ridotto il proprio ruolo nel

trattamento chirurgico del carcinoma mammario,

come anche riportano i recenti risultati dal trial

Z0011 dell’American College of Surgeons

Oncology Group. Malgrado questa tendenza, in

molti casi rimane indicata, sia per finalità

terapeutiche, sia per indirizzare le terapie adiuvanti

(radianti e mediche). Il così detto Breast Cancer

Related Lymphedema (BCRL), che è

indubbiamente la complicanza più temuta del

trattamento chirurgico, viene riportato in una

quota variabile di pazienti e fino al 65 %, in

relazione al diverso tipo di trattamento loco

regionale ed al diverso metodo di rilevazione e

diagnosi applicato.

Attraverso una linfoscintigrafia retrograda del

braccio (ARM – Axillary Reverse Mapping) è

possibile individuare efficacemente i linfonodi e le

vie di drenaggio linfatico del braccio che

potrebbero venire rispettati durante la dissezione

ascellare proprio con l’intento di ridurre il BCRL.

Questa dissezione ascellare, indirizzata al

drenaggio linfatico della mammella, con il rispetto

4

Page 5: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

del drenaggio dell’arto, viene definita selettiva

(SAD – Selective Axillary Dissection)

L’applicazione di questa metodica si basa

essenzialmente su due presupposti:

1. I linfonodi ascellari che drenano il braccio sono

raramente coinvolti dalla disseminazione

linfatica del carcinoma mammario.

2. Il rispetto di questi linfonodi e delle vie linfatiche

afferenti ed efferenti preserva dal rischio di

BCRL.

Pazienti e metodi

Da giugno 2009 a febbraio 2012, 60 pazienti

candidate alla dissezione ascellare per carcinoma

mammario sono state sottoposte ad ARM

preoperatoria. La SAD estesa fino al terzo livello di

Berg è stata condotta con successo in 45 di queste

pazienti, con la documentazione, al termine

dell’intervento, di un hot spot residuo, mediante la

stessa sonda in uso per la biopsia del linfonodo

sentinella che ha guidato l’intervento selettivo.

Nello stesso periodo 13 pazienti sono state

sottoposte alla dissezione ascellare completa con

la tecnica tradizionale. Tutte le pazienti sono state

sottoposte a valutazione fisiatrica e linfoscintigrafia

sequenziale del braccio bilaterale comparativa a

un mese dall’intervento e ogni sei mesi per la

rilevazione-diagnosi del BCRL.

Nel confronto le 45 pazienti che con successo

sono state operate con la SAD rappresentano il

Gruppo A, mentre le 13 pazienti sottoposte a

dissezione tradizionale e le 15 pazienti che non

hanno ottenuto la dissezione selettiva dopo ARM

(28 pazienti) rappresentano il Gruppo B.

Risultati

La mediana di follow up è di 16 mesi (6-36) e

durante questo periodo 12 pazienti hanno

sviluppato un BCRL (Tabella 1 e Tabella 2). Nessuna

paziente ha sviluppato una recidiva linfonodale

durante il follow up.

Conclusioni

La conservazione dei linfonodi hot dopo ARM può

progressivamente migliorare il drenaggio linfatico

del braccio per l’intrinseca capacità plastica della

rete linfatica. Questa capacità plastica spiega

perché il linfedema non si è sviluppato in tutti i casi

nei quali i linfonodi hot sono stati rimossi durante la

dissezione ascellare.

La SAD ha prodotto una riduzione significativa del

BCRL (9% vs 29%; p=0.048). con una sensibile

riduzione della morbidità delle pazienti candidate

a dissezione ascellare.

Table 1. Patients, treatment and tumour characteristics at

surgery in group A and B.

Group A

(45 patients)

Group B

(28 patients)

p

Age 49 (30-76) 48.5 (28-86) NS

BMI 24.1(16-34.8) 23.8(17.6-32.4) NS

Tumour size 1.5 (0.1-3.5) 1.5 (0.2-3) NS

Lymph nodes

removed

18 (11 – 28) 21 (11 – 36) NS

Lymph nodes

involved

1-3

4-9

≥10

36

8

1

23

3

2

NS

Type of breast

surgery

BCS

TM

22

23

13

15

NS

Radiotherapy

YES

NO

29

16

19

9

NS

Table 2. Occurrence of BCRL in group A and B.

Group A

(45 patients)

Group B

(28 patients)

p

%

BCRL

(N)

9% (4)

29% (8)

.048

ALND

(13

patients)

23% (3)

SAD +

Hot nodes

(15 patients)

33% (5)

NS

Bibliografia 1. Shah C, Wilkinson JB, Baschnagel A, Ghilezan M,

Riutta J, Dekhne N, Balaraman S, Mitchell C, Wallace

M, Vicini F. Factors associated with the development

of breast cancer-related lymphedema after whole-

breast irradiation. Int J Radiat Oncol Biol Phys. 2012 Jul

15;83(4):1095-100.

2. Ozcinar B, Guler SA, Kocaman N, Ozkan M, Gulluoglu

BM, Ozmen V. Breast cancer related lymphedema in

patients with different loco-regional treatments.

Breast. 2012 Jun;21(3):361-5.

3. Cheville A. Prevention of lymphoedema after axillary

surgery for breast cancer. BMJ. 2010 Jan

12;340:b5235.

4. McLaughlin SA, Wright MJ, Morris KT, Giron GL,

Sampson MR, Brockway JP, Hurley KE, Riedel ER, Van

Zee KJ. Prevalence of lymphedema in women with

breast cancer 5 years after sentinel lymph node

biopsy or axillary dissection: objective measurements.

J Clin Oncol. 2008 Nov 10;26(32):5213-9.

5. Clough KB, Nasr R, Nos C, Vieira M, Inguenault C,

Poulet B. New anatomical classification of the axilla

with implications for sentinel node biopsy. Br J Surg.

2010 Nov;97(11):1659-65.

6. Thompson M, Korourian S, Henry-Tillman R, Adkins L,

Mumford S, Westbrook KC, Klimberg VS. Axillary

reverse mapping (ARM): a new concept to identify

and enhance lymphatic preservation. Ann Surg

Oncol. 2007 Jun;14(6):1890-5.

7. Nos C, Lesieur B, Clough KB, Lecuru F. Blue dye

injection in the arm in order to conserve the

lymphatic drainage of the arm in breast cancer

patients requiring an axillary dissection. Ann Surg

Oncol. 2007 Sep;14(9):2490-6.

8. Ponzone R, Cont NT, Maggiorotto F, Cassina E,

Mininanni P, Biglia N, Sismondi P. Extensive nodal

5

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

disease may impair axillary reverse mapping in

patients with breast cancer. J Clin Oncol. 2009 Nov

20;27(33):5547-51.

9. Bedrosian I, Babiera GV, Mittendorf EA, Kuerer HM,

Pantoja L, Hunt KK, Krishnamurthy S, Meric-Bernstam F.

A phase I study to assess the feasibility and oncologic

safety of axillary reverse mapping in breast cancer

patients. Cancer. 2010 Jun 1;116(11):2543-8.

10. Han JW, Seo YJ, Choi JE, Kang SH, Bae YK, Lee SJ. The

efficacy of arm node preserving surgery using axillary

reverse mapping for preventing lymphedema in

patients with breast cancer.J Breast Cancer. 2012

Mar;15(1):91-7.

11. Fisher B, Anderson S, Bryant J, Margolese RG, Deutsch

M, Fisher ER, Jeong JH, Wolmark N. Twenty-year

follow-up of a randomized trial comparing total

mastectomy, lumpectomy, and lumpectomy plus

irradiation for the treatment of invasive breast

cancer. N Engl J Med. 2002 Oct 17;347(16):1233-41.

12. Martelli G, Boracchi P, De Palo M, Pilotti S, Oriana S,

Zucali R, Daidone MG, De Palo G. A randomized trial

comparing axillary dissection to no axillary dissection

in older patients with T1N0 breast cancer: results after

5 years of follow-up. Ann Surg. 2005 Jul;242(1):1-6;

discussion 7-9.

13. International Breast Cancer Study Group, Rudenstam

CM, Zahrieh D, Forbes JF, Crivellari D, Holmberg SB,

Rey P, Dent D, Campbell I, Bernhard J, Price KN,

Castiglione-Gertsch M, Goldhirsch A, Gelber RD,

Coates AS. Randomized trial comparing axillary

clearance versus no axillary clearance in older

patients with breast cancer: first results of

International Breast Cancer Study Group Trial 10-93. J

Clin Oncol. 2006 Jan 20;24(3):337-44.

14. Giuliano AE, Hunt KK, Ballman KV, Beitsch PD,

Whitworth PW, Blumencranz PW, Leitch AM, Saha S,

McCall LM, Morrow M. Axillary dissection vs no axillary

dissection in women with invasive breast cancer and

sentinel node metastasis: a randomized clinical trial.

JAMA. 2011 Feb 9;305(6):569-75.

15. Noguchi M, Yokoi M, Nakano Y. Axillary reverse

mapping with indocyanine fluorescence imaging in

patients with breast cancer. J Surg Oncol. 2010 Mar

1;101(3):217-21.

16. Boneti C, Korourian S, Diaz Z, Santiago C, Mumford S,

Adkins L, Klimberg VS. Scientific Impact Award:

Axillary reverse mapping (ARM) to identify and

protect lymphatics draining the arm during axillary

lymphadenectomy. Am J Surg. 2009 Oct;198(4):482-7.

17. Britton TB, Solanki CK, Pinder SE, Mortimer PS, Peters

AM, Purushotham AD. Lymphatic drainage pathways

of the breast and the upper limb. Nucl Med

Commun. 2009 Jun;30(6):427-30.

18. Nos C, Kaufmann G, Clough KB, Collignon MA, Zerbib

E, Cusumano P, Lecuru F. Combined axillary reverse

mapping (ARM) technique for breast cancer patients

requiring axillary dissection. Ann Surg Oncol. 2008

Sep;15(9):2550-5. Epub 2008 Jul 11.

19. Paskett ED, Dean JA, Oliveri JM, Harrop JP. Cancer-

related lymphedema risk factors, diagnosis,

treatment, and impact: a review. J Clin Oncol. 2012

Oct 20;30(30):3726-33.

20. Weber WP, Barry M, Stempel MM, Junqueira MJ,

Eaton AA, Patil SM, Morrow M, Cody HS 3rd. A 10-year

trend analysis of sentinel lymph node frozen section

and completion axillary dissection for breast cancer:

are these procedures becoming obsolete? Ann Surg

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21. Galper SR, Lee SJ, Tao ML, Troyan S, Kaelin CM, Harris

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22. Shih YC, Xu Y, Cormier JN, Giordano S, Ridner SH,

Buchholz TA, Perkins GH, Elting LS. Incidence,

treatment costs, and complications of lymphedema

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2-year follow-up study. J Clin Oncol. 2009 Apr

20;27(12):2007-14.

23. Verry H, Lord SJ, Martin A, Gill G, Lee CK, Howard K,

Wetzig N, Simes J. Effectiveness and cost-

effectiveness of sentinel lymph node biopsy

compared with axillary node dissection in patients

with early-stage breast cancer: a decision model

analysis. Br J Cancer. 2012 Mar 13;106(6):1045-52.

~

LE COMPLICANZE LINFOLOGICHE NEL

TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL MELANOMA

CUTANEO

R. Patuzzo, A. Maurichi, R. Ruggeri, GF. Gallino e M.

Santinami Unità Melanoma e Sarcoma - IRCCS Istituto Nazionale dei

Tumori di Milano

La chirurgia del melanoma prevede interventi

demolitivi di ampie zone cutanee e sottocutanee

spesso combinati a dissezioni linfonodali che

pertanto sconvolgono le naturali vie di drenaggio

linfatico e sono responsabili di importanti

complicanze e deficit cronici di interesse

linfologico.

Incidenza

L’incidenza del melanoma è in costante

incremento in Occidente, con aumenti del 3-7%

nella ultima decade (1). Negli USA l’incremento è

stato del 4% per anno negli ultimi quindici anni. Il

tasso più elevato di incidenza per melanoma è

tuttora osservato in Australia e Nuova Zelanda (50

nuovi casi l’anno ogni 100.000 abitanti), il più basso

in Giappone. In Italia il tasso di incidenza è di circa

8-10 nuovi casi/anno ogni 100.000 abitanti.

Evoluzione

L’evoluzione clinica della malattia è fortemente

correlata alle caratteristiche istologiche del tumore

primitivo come lo spessore (il Breslow), la presenza

di ulcerazione e l’indice mitotico. La maggior

parte dei melanomi si presenta inizialmente con

uno stadio iniziale (Stage I o II) (2). Dalle casistiche

della letteratura internazionale si evince che,

nonostante il trattamento precoce, circa il 16-20%

di tutti i melanomi svilupperà una recidiva di

malattia. La ripresa di malattia si può presentare,

nel 20-28% dei casi, sottoforma di recidiva locale o

di metastasi in transit; nel 15-50% dei casi si sviluppa

malattia metastatica a distanza, ma più

frequentemente la ripresa oncologica si presenta

6

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Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

con interessamento linfonodale di tipo regionale

(26-60%) (3).

Le principali stazioni linfonodali di interesse

chirurgico nel melanoma sono:

regione laterocervicale e parotidea

regione ascellare

regione inguinale

regione epitrocleare, poplitea

Regione Laterocervicale e parotidea

Circa il 10-25% di tutti i melanomi origina nel

distretto “testa-collo” (10) La ricerca del linfonodo

sentinella nei melanomi di questa sede è spesso

difficile e richiede molta esperienza ed un centro

oncologico specializzato (11). Il drenaggio linfatico

in questi casi è, infatti, complesso e articolato: i

linfonodi sono spesso di dimensioni millimetriche e

le strutture anatomiche “nobili” sono molte. Per

questi motivi associati ad un rischio elevato di

morbidità gli specialisti hannoa cercato tecniche

sempre meno invasive.

La Dissezione Radicale classica prevede la

demolizione dello sternocleidomastoideo, della

vena giugulare interna oltre al sacrificio del nervo

accessorio spinale (12). Questo approccio

chirurgico è stato il trattamento di scelta per molti

anni nelle patologie neoplastiche del distretto

cervico facciale mentre oggi, viene riservato solo

a casi particolari di malattia avanzata loco

regionale (spesso pluri-recidiva dopo chirurgia).

La Dissezione Radicale Modificata, attualmente,

rappresenta la tattica terapeutica di elezione per il

controllo della malattia loco regionale

consentendo una riduzione della morbidità e la

conservazione di tutte le strutture nobili, compreso

il muscolo sternocleidomastoideo, la vena

giugulare ed il nervo accessorio spinale (13).

La Dissezione Selettiva di gruppi linfonodali limitati

rientra in una logica di trattamento personalizzato

che può essere presa in considerazione solo in casi

selezionati.

Alcuni autori, per esempio, eseguono dissezione

del distretto cervicale “anteriore” in caso di

malattia della regione facciale o in caso di

interessamento linfonodale delle stazioni

sottomandibolari; le stazioni linfatiche “posteriori”

dal II° al V° livello possono essere dissecate

selettivamente solo in caso di malattia dello scalpo

posteriore, del collo posteriore o della regione

sovraclaveare.

Un capitolo a parte merita il discorso sulla

parotidectomia: è dimostrato dall’esperienza

comune e dalla letteratura che in caso di malattia

linfonodale della regione parotidea, si ha un

rischio potenziale di avere una malattia occulta

nel collo nel 50% dei casi. Per tale motivo si

effettua sempre una dissezione radicale

modificata del collo in combinazione con la

parotidectomia. Diverso è il discorso per la

patologia laterocervicale che può interessare la

parotide: in letteratura si ritrova una percentuale

intorno al 12% di metastasi occulte della regione

parotidea in pazienti dissecati per malattia

avanzata del collo (14,15).

Complicanze:

Nella dissezione laterocervicale le complicanze

precoci sono relativamente ridotte rispetto agli altri

distretti; le infezioni di ferita e il sanguinamento

non superano il 2%. La lesione del dotto toracico si

può verificare raramente nelle importanti

demolizioni dell’angolo claveare sinistro e può

portare a chilorrea significativa (output>1500

cc/die).

Le complicanze tardive più frequenti sono legate

alla denervazione superficiale con parestesie

nell’area auricolare e limitazioni funzionali dovute

al danno permanente di alcuni rami del facciale o

del nervo accessorio spinale che avvengono nell’8

% dei casi (1).

Regione ascellare

La dissezione ascellare presenta degli standard

qualitativi di tecnica chirurgica che sono noti

anche ai chirurghi generali perché praticata

diffusamente anche nel tumore della mammella.

Noto però è il fatto che, nel caso della chirurgia

senologica, il valore della dissezione ascellare ha

un significato puramente stadiativo e di controllo

della malattia locale mentre nella tattica

terapeutica del melanoma la necessità di eseguire

una dissezione radicale riveste ancora un valore

fondamentale.

La letteratura conferma la necessità di eseguire

una dissezione radicale che impatta non solo

sull’allungamento della sopravvivenza libera da

malattia (DFS), ma anche sulla sopravvivenza

globale (16,17). L’estensione della dissezione,

valutata tramite il numero dei linfonodi asportati, è

correlato con l’incremento della sopravvivenza .

Complicanze:

Nella letteratura internazionale l’incidenza di

linfedema cronico dopo dissezione ascellare per

melanoma è in media molto bassa (2%) (1,18). Lo

spessore dei lembi cutanei e l’ampiezza della

demolizione cutanea rimangono i fattori

determinanti per l’evoluzione di un linfedema

cronico che ovviamente è favorito nei pazienti

con malattia loco regionale avanzata

La necessità di preservare il piccolo pettorale per

ridurre le complicanze non è dimostrata dalla

letteratura; in casi selezionati di localizzazione

linfonodale micro metastatica, il piccolo pettorale

può essere rispettato. In caso di localizzazione

linfonodale macroscopica o di recidiva

linfonodale dopo inadeguata dissezione, la

chirurgia deve essere più demolitiva per

mantenere un intento radicale.. La linforrea nelle

prime settimane che seguono la chirurgia rimane

la complicanza più frequente insieme alle

parestesie.

parestesie 70-80 %

affaticamento, pesantezza 80 %

linfocele, linforrea 5-20 %

limitazioni funzionali 9 %

dolore 6 %

linfedema 1-4 %

7

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

Regione inguino-iliaca

Capitolo controverso rimane l’estensione della

linfadenectomia inguinale. In caso di

interessamento linfonodale in regione inguinale, lo

standard attuale prevede l’esecuzione di una

dissezione radicale estesa sino alla biforcazione

iliaca e comprendente il distretto pelvico

otturatorio.

La letteratura ha dimostrato che anche in caso di

micro metastasi, individuate attraverso la

metodica del linfonodo sentinella in regione

inguinale superficiale, si può avere un

interessamento della stazione profonda iliaco-

otturatoria nel 20% dei casi (19): per questo motivo

riteniamo importante associare alla dissezione

inguino crurale superficiale anche una dissezione

retro peritoneale iliaco otturatoria radicale.

I dettagli tecnici della dissezione inguinale possono

essere diversi: nella dissezione della stazione

superficiale importante è la preparazione dei

lembi cutanei e la rimozione della vena safena a

livello della cross safeno-femorale dove si

concentrano il maggior numero di adenopatie. In

caso di dissezione iliaco-otturatoria si può incidere

il legamento inguinale a livello del decorso dei vasi

femorali o lateralmente in vicinanza della spina

iliaca: questo permette una maggiore esposizione.

Diversi operatori eseguono la dissezione retro

peritoneale senza incidere il legamento inguinale

tramite una seconda incisione superiore.

Complicanze:

La dissezione inguinale si associa ad un elevato

numero di complicanze rispetto alle altre dissezioni

(50-64% comparata al 14-17% della dissezione

ascellare); oltre il 20% dei pazienti presenta un

linfedema cronico (1).

Le complicanze precoci includono infezioni di

ferita e necrosi dei lembi, linfocele, linforrea e

parestesie. Tra le complicanze tardive le parestesie

ed il linfedema cronico sono sicuramente quelle di

maggiore impatto sulla qualità di vita.

parestesie 90 %

affaticamento, pesantezza 80 %

limitazioni funzionali 6-20 %

linfocele, linforrea 5-27 %

dolore 8 %

laparocele 4-5 %

linfedema 20-40 %

Il potenziale sviluppo di un linfedema dopo la

dissezione linfonodale è favorito da molteplici

fattori:

necessità di eseguire lembi sottili e poco

vascolarizzati;

l’obesità (minore numero di linfatici per cm

cubo);

la contemporanea presenza di un’ampia

exeresi del primitivo nella parte alta della

gamba

orientamento delle incisioni chirurgiche

(opposta alla direzione dei vasi linfatici);

lo sviluppo di una cellulite-linfangite non

adeguatamente trattata.

evoluzione della malattia

Nelle prime fasi del trattamento la diagnosi

precoce dell’interessamento linfonodale è il primo

passo per ridurre la morbidità e le complicanze

operatorie: Sebel et al (4) e altri autori hanno

dimostrato come si osservi una netta differenza di

complicanze di ferita nei pazienti dissecati per una

localizzazione micro metastatica linfonodale (LS+)

rispetto al gruppo che presenta malattia

linfonodale palpabile (14% vs 28%). Anche il

linfedema cronico si presenta in percentuale

minore nel primo caso (24% vs 41%) (5): gli autori

ipotizzano che l’elevata morbidità nel gruppo di

pazienti con malattia più avanzata possa essere

legata alla necessità di eseguire lembi cutanei più

sottili e alla esecuzione di incisioni più ampie.

La riduzione della morbidità può essere migliorata

anche da una buona programmazione della

tecnica della biopsia del linfonodo sentinella:

quando il linfonodo sentinella è mappato nella

porzione crurale sotto il legamento inguinale,

l’incisione dovrebbe essere eseguita con

orientamento verticale, circa mezzo centimetro

sotto il legamento; quando il sentinella risulta sopra

il legamento inguinale l’incisione dovrebbe essere

orientata invece, in modo leggermente obliquo: la

corretta pianificazione del sentinella permette di

eseguire in corso di dissezione una incisione più

limitata e minore sacrificio di tessuti (5).

Molti autori hanno proposto la modificazione di

alcuni passaggi chirurgici della dissezione al fine di

ridurre le morbidità: Judson et al (6) hanno

valutato l’impatto della trasposizione del muscolo

sartorio sulle complicanze non rilevando nessuna

differenza significativa. Altri gruppi hanno proposto

di conservare la vena safena nel corso della

dissezione crurale (4,7) dimostrando una riduzione

del linfedema dal 30 al 13% e una riduzione delle

complicanze di ferita dal 20 al 7%. Questi studi

sono relativamente piccoli e non randomizzati e

non giustificano una trattamento

oncologicamente non sicuro: la maggior parte dei

linfonodi metastatici si trova infatti nella regione

della cross safeno femorale (8,9).

La giusta programmazione dell’intervento, la

profilassi antibiotica e antitrombotica rientrano tra

gli elementi fondamentali per ridurre il rischio di

complicanze. Nell’immediato postoperatorio una

precoce mobilizzazione, l’utilizzo di sistemi di

compressione e di fisioterapia precoce hanno

dimostrato una riduzione della morbidità e una

riduzione importante del linfedema cronico (23).

Bibliografia

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Page 9: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

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~

VALUTAZIONE A DISTANZA DELLA PERVIETA’

DELLE ANASTOMOSI LINFATICHE DOPO

MICROCHIRURGIA DERIVATIVA DEL LINFEDEMA

PERIFERICO

S. Mukenge Dirigente Medico, U.O. Chirurgia Generale - Epatobiliare,

Istituto Scientifico Universitario San Raffaele - Milano

Il linfedema secondario periferico, esito di una

chirurgia oncologica radicale, si riscontra

principalmente a carico degli arti superiori, inferiori

e degli organi genitali esterni maggiormente nei

maschi con una minima incidenza nel sesso

femminile. Per la sua specificità la chirurgia

demolitiva, exeresi dell’organo ammalato con una

linfoadenectomia loco-regionale estesa, ha come

scopo la radicalità oncologica e, non di poca

importanza, lo staging della malattia.

Le varie tecniche chirurgiche sono ormai a portata

di chiunque voglia intraprendere la strada dello

studio e cure delle malattie del sistema linfatico

periferico.

La mia relazione si interesserà in particolare dei

risultati a breve. media e lunga distanza di tempo

dalla chirurgia del linfedema, focalizzandosi sulle

due tecniche microchirurgiche maggiormente in

uso nei grandi centri italiani e mondiali: lo shunt

linfatico-venoso ed il grafting (innesto) linfatico.

Sono stati presi in studio 45 pazienti sottoposti nel

periodo tra 2005-2011 ad intervento di

microchirurgia per linfedema che rispondevano ai

seguenti criteri di inclusioni:

Età compresa tra 25-75 anni; linfedema di III

grado; pazienti sottoposti a terapia fisica senza

duraturo beneficio; non prima di un anno dal

termine della terapia oncologica(radio-

chemioterapia).adiuvante; non oltre 15 anni dalla

comparsa del linfedema.

Dei 45 pazienti, 32 sono stati sottoposti ad

anastomosi linfo-venosa degli arti inferiori; 7

pazienti affetti da linfedema degli organi genitali

esterni maschili sono stati sottoposti a shunt linfo-9

Page 10: Gil 3 2012

V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

venoso a carico del funicolo spermatico, mentre i

6 restanti affetti da linfedema degli arti superiori

sono stati candidati al grafting linfatico tra i

collettori della regione giugulo-sovraclaveare e

quelli brachiali in prossimità dell’ascella mediante

innesto di un collettore linfatico prelevato alla

coscia sana.

Oltre all’obiettività riscontrata durante il follow-up

dei pazienti, l’indice di gradimento acquisito

mediante la risposta scritta alle domande inviate a

domicilio, la pervietà delle anastomosi

confezionate è stata principalmente studiata con

la Linfografia con indocianina verde

photodynamic PDE.

A distanza di 6 mesi 36 dei 45 pazienti candidati

alla chirurgia hanno avuto una ottima risposta

all’intervento (vedi grafici ed immagini nel testo

definitivo della relazione) Oltre alla

documentazione della pervietà anastomotica, la

linfografia con indocianina verde, ha anche

permesso di osservare la presenza di multipli vasi

linfatici neoformati emergenti a livello dell’area

peri-anastomotica linfo-venosa ma anche tra i

collettori prossimali alle anastomosi. Questi meshes

che abbiamo osservato sembrano essere

determinanti nel meccanismo di drenaggio

linfatico traumatico, un nuovo fenomeno di

riparazione tissutale riscontrato in tutti i distretti

interessati dalla microchirurgia, ed espressione di

linfoangiogenesi locale, capitolo già ampiamente

sviscerato dai biologi e fisiologi negli animali di

laboratorio, ma mai prima d’ora documentato

nell’ essere umano.

Bibliografia

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~

NUOVI SVILUPPI SULLA FISIOLOGIA E

FISIOPATOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO

INIZIALE

D. Negrini Professore Ordinario di Fisiologia Umana, Università degli

Studi dell’Insubria - Varese

Nella maggior parte dei tessuti, il volume del fluido

interstiziale dipende dall’interazione di vari

meccanismi:

a) la filtrazione di liquido e soluti dai capillari

ematici verso l’interstizio circostante,

b) la rimozione di liquido tissutale ad opera del

sistema linfatico;

c) il comportamento meccanico della matrice

interstiziale.

Nonostante all’estremo venoso del capillare

ematico la pressione idraulica sia inferiore rispetto

a quella dell’estremo arterioso, nella maggior

parte dei tessuti (solamente con eccezione del

tessuto interstiziale cerebrale e della midollare

renale) il liquido tende ad essere filtrato anche a

livello dell’estremo venulare (6,10).

Pertanto, l’asportazione di liquido e soluti

dall’interstizio e quindi il mantenimento del

normale volume interstiziale si basa sull’intervento

drenante del sistema vascolare linfatico.

Quest’ultimo rappresenta infatti il meccanismo

fisiologico più efficiente di rimozione di acqua

interstiziale e l’unico utilizzabile per l’eliminazione di

macromolecole idrofiliche e cellule dal tessuto; in

questo senso il sistema linfatico svolge un

importante funzione di prevenzione nei confronti

del potenziale sviluppo di edema tissutale.

La rete linfatica iniziale origina direttamente dal

tessuto interstiziale mediante piccoli capillari

linfatici a fondo cieco la cui parete è costituta da

uno strato di cellule endoteliali contornate dalla 10

Page 11: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

corrispondente membrana basale, spesso

discontinua (1,4). La linfa neo-formata nei vasi

linfatici iniziali viene poi convogliata verso i dotti

collettori, di dimensioni maggiori, la cui parete è

composta da endotelio e la cui membrana basale

continua è supportata da uno strato più esterno di

cellule muscolari lisce (1, 2). L’azione drenante dei

linfatici iniziali si basa sull’insorgenza, al loro interno,

di variazioni cicliche della pressione intraluminare

linfatica (Plinf). In una prima fase del ciclo, Plinf è

inferiore alla pressione interstiziale, Pi, circostante: si

instaura quindi un gradiente di pressione netto

(ΔPlinf = Pi - Plinf) tra interstizio e lume linfatico, in

grado di sostenere un flusso di liquido dall’interstizio

al lume vasale e la formazione della linfa.

L’accumulo di linfa nel vaso determina l’aumento

di Plinf, forzando la progressione centripeta della

linfa neo-formata verso i dotti collettori. Il

funzionamento e l’efficienza di questo

meccanismo necessitano della presenza di valvole

linfatiche unidirezionali:

a) primarie (4), dislocate nella parete del linfatico

iniziale, che consentono un accesso unidirezionale

del liquido e dei soluti nel lume linfatico;

b) intraluminari (1,4), posizionate lungo il decorso

del vaso, che impediscono il reflusso della linfa

verso l’interstizio e ne favoriscono la progressione

centripeta.

Le variazioni cicliche di Plinf rispetto a Pi,

presupposto fondamentale per la formazione e

progressione della linfa, sono sostenute:

a) da un meccanismo “estrinseco” legato al

movimento del tessuto (per esempio attività

muscolare) e correlato allo stress meccanico

trasmesso alle pareti del vaso linfatico tramite le

macromolecole della matrice interstiziale (1,6,7);

b) da un meccanismo “intrinseco” che consiste

nella contrazione e rilasciamento spontanei

(attività miogenica (1,2,3,5,12,13) della

muscolatura liscia di cui è provvista la parete dei

vasi linfatici di calibro superiore.

Nonostante il recente impulso dato dalla biologia

molecolare allo studio del sistema linfatico, esso

rimane attualmente la componente meno

studiata e meno conosciuta dell’intero sistema

vascolare.

In particolare, sono note solo parzialmente (8) le

modalità attraverso cui i due meccanismi

intrinseco ed estrinseco si coordinano nel garantire

sia la formazione e propulsione della linfa che la

modulazione del flusso linfatico in condizioni di

aumentato volume interstiziale. Di conseguenza, le

terapie comunemente utilizzate per la remissione

del linfedema secondario sono a tutt’oggi

inadeguate ad affrontare in modo efficiente e

sicuro il quadro clinico del paziente.

Bibliografia

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~

RETE DELLE MALATTIE RARE DEL PIEMONTE E

DELLA VALLE D’AOSTA

D. Roccatello Direttore del Centro di Ricerche di Immunopatologia e

Documentazione su Malattie Rare (CMID), Ospedale G.

Bosco e Università di Torino, Coordinamento

Interregionale delle Malattie Rare del Piemonte e della

Valle d’Aosta

Definizione di Malattia Rara

Il concetto di malattia rara è stato per la prima

volta introdotto negli USA negli anni ’80 del secolo

scorso da parte di lobby di pazienti interessate a

stimolare la produzione di farmaci per malattie a

bassa prevalenza (farmaci orfani).

In Italia la problematica delle malattie rare è stata

affrontata in maniera organica con il Decreto

Ministeriale 279/2001. In questo documento il

legislatore, coerentemente con lo spirito del

Programma d’azione comunitario sulle malattie

rare 1999-2003 – che definisce come rare le

patologie con prevalenza < 5 su 10.000 abitanti

della Comunità Europea - e avvalendosi dei criteri 11

Page 12: Gil 3 2012

V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

indicati nel decreto legislativo 124/1998 relativo al

riordino della disciplina sulle esenzioni (gravità

clinica, grado di invalidità associato, onerosità

della quota di partecipazione al costo del

trattamento) ha identificato circa 700 patologie

rare ritenute meritevoli di esenzione dalla

partecipazione ai costi sanitari. Il DM 279/2001 ha

posto anche le basi per la realizzazione di un

Registro Nazionale con finalità epidemiologiche e

di sanità pubblica.

La Rete delle Malattie Rare del Piemonte e della

Valle d’Aosta

Nel Marzo del 2004 è stata istituita la Rete

Regionale Piemontese per le malattie Rare, più di

recente estesa alla Valle d’Aosta, con l’obiettivo

di fornire un’assistenza sanitaria diffusa

capillarmente. In questo senso il “modello

Piemonte e Valle d’Aosta” si sta rivelando

esperienza unica in Italia: fondato sul principio

dell’agevolazione dell’accesso alle strutture di

eccellenza per la fase diagnostica e sul

decentramento delle attività terapeutiche e

riabilitative presso le Aziende Sanitarie Locali (ASL),

soprattutto nel caso di interventi assistenziali non

episodici che, nel caso delle malattie rare,

rappresentano la modalità di intervento più

frequente.

Il modello organizzativo consiste di un Centro di

Coordinamento Interregionale, che ha sede

presso il Centro di Ricerche di Immunopatologia e

Documentazione su Malattie Rare (CMID)

dell’Ospedale Giovanni Bosco di Torino, e di un

Tavolo Tecnico-Specialistico dove sono

rappresentati, oltre all’Assessorato alla Sanità della

Regione Piemonte, il Coordinamento

interregionale, ed i Referenti delle ASO piemontesi

e dell’AUSL di Aosta. Il modello si fonda

sull’identificazione di percorsi ottimali sviluppati da

“Consorzi clinico-assistenziali”, gruppi di lavoro

multispecialistici che elaborano protocolli

diagnostici e terapeutici condivisi (PDTA) al fine di

garantire una gestione del paziente che sia

ispirata a consensus statement nazionali e

internazionali ed uniforme sul territorio delle due

regioni. La Rete si inserisce organicamente nel

network nazionale disegnato dal DM 279/2001.

Il Registro interregionale delle Malattie Rare del

Piemonte e della Valle d’Aosta

è un Registro informatizzato accessibile tramite

web pur nel rispetto dei più elevati standard di

sicurezza attuali. E’ strumento critico della rete,

funzionale non solo alla raccolta di dati

epidemiologici, ma anche alla validazione e

all’accreditamento delle attività dei presidi che

sono tenuti, nei settori identificati come di interesse

strategico dal Tavolo Tecnico-Specialistico, alla

sistematica applicazione dei PDTA. Vi possono

accedere tutti gli specialisti ospedalieri del SSR (per

i quali la segnalazione è obbligatoria, al fine

dell’ottenimento dell’esenzione dalle spese

sanitarie da parte dei pazienti). Il Registro prevede

siano indicati i criteri diagnostici applicati e sia

stilata una scheda di programma terapeutico, nel

caso di prescrizioni farmacologiche, che consenta

l’analisi di efficacia, di effetti avversi e di costo di

trattamento di singole patologie.

Il Registro interregionale delle Malattie Rare

rappresenta pertanto uno strumento di

identificazione di criticità, un parametro non

autoreferenziale di attività assistenziale dei

presidi della Rete, un indicatore potenziale di

investimento di risorse una fonte di condivisione e

di collaborazione fra gi operatori coinvolti. Il

Registro consente di estrapolare i dati richiesti

dall’Istituto Superiore di Sanità che vengono

inoltrati con frequenza semestrale. La Tabella 1

riassume i dati aggiornati al Giugno del 2012.

DEFINITIVA 17127

STORICA 1902

TEMPORANEA 4730

NON VALIDATE 410

Tabella 1: segnalazioni di malattia rara censite nel

registro interregionale delle Malattie Rare del Piemonte e

della Valle d’Aosta nel periodo dal 30.06.2005 al

30.06.2012. Legenda: definitiva: si riferisce a pazienti con

diagnosi certa di malattia rara; storica: si riferisce a

pazienti con diagnosi certa di malattia rara effettuata

precedentemente alla realizzazione del registro;

temporanea: si riferisce a pazienti in cui si sospetta una

malattia rara; non validate: si riferisce a schede per cui

mancano i criteri minimi per la diagnosi di malattia rara

e che sono attualmente in fase di revisione da parte

degli specialisti curanti.

Attività consortili

Le attività consortili multidisciplinari sono

rappresentate da gruppi di lavoro dedicati alla

ricerca applicativa ed alla preparazione e

diffusione di consensus statement su malattie rare

indicate dal Tavolo Tecnico-Specialistico come di

interesse prioritario per il Sistema Sanitario

Regionale. Questi gruppi di lavoro coinvolgono

specialisti provenienti dalla maggior parte delle

Aziende Sanitarie del Piemonte e della Valle

d’Aosta e provvedono ad elaborare i PDTA ed

organizzare in collaborazione col Centro di

Coordinamento eventi formativi rivolti agli

operatori ed informativi per l’utente e le

Associazioni. Attualmente sono attive in Piemonte

e Valle d’Aosta attività consortili dedicate alle

patologie indicate nella Tabella 2.

12

Page 13: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

Neuropatie periferiche immunomediate

S. di Arnold Chiari, siringomielia e siringobulbia

Neurofibromatosi

Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi

Ipertensione polmonare primitiva

Connettivite indifferenziata

Sclerodermia

Amiloidosi

Pubertà precoce

Porfirie

Osteodistrofie congenite

Malattie lisosomiali

S. di Prader-Willi

Sindromi Surreno-Genitali

Sindromi Poliendocrino Autoimmuni

Sindrome di Klinefelter

Disturbi ereditari emorragici

Transizione dall’età evolutiva all’attività adulta

Tabella 2: le attività consortili attualmente presenti in

Piemonte e in Valle d’Aosta

Centri esperti

Una naturale evoluzione delle attività consortili è la

costituzione di Centri Esperti che realizzino di

concerto con le ASL di residenza dei pazienti un

piano di cura personalizzato, che vigilino

sull’effettiva realizzazione del piano assistenziale e

svolgano, in collaborazione con il Centro di

Coordinamento della Rete, un’attività di

formazione degli operatori coinvolti nella presa in

carico del paziente.

Attualmente la Regione Piemonte ha individuato

due Centri Esperti per la Sclerosi Laterale

Amiotrofica (presso l’Ospedale Molinette di Torino

e presso l’Ospedale Maggiore della Carità di

Novara) ed un Centro Esperto per la Siringomielia-

Siringobulbia e Sindrome di Chiari presso

l’Ospedale CTO di Torino.

Procedure di esenzione dalla partecipazione alle

spese sanitarie per i pazienti affetti da malattia

rara

In Piemonte ed in Valle d’Aosta l’esenzione è

possibile non solo per i soggetti affetti dalle

patologie indicate nel DM 279/2001 ma anche per

circa 40 patologie, e gruppi di patologie, esentati

localmente con la DGR 38-15326 del 12 aprile

2005.

Qualora lo specialista confermi la diagnosi di

malattia rara, ottenuto il consenso per il

trattamento dei dati da parte del paziente,

censisce il caso nel Registro Regionale delle

Malattie Rare e stampa un modulo di richiesta di

esenzione. Il paziente può quindi recarsi presso

l’Ufficio esenzioni della propria ASL di residenza per

ottenere il certificato di esenzione definitivo.

Se fossero necessarie ulteriori indagini per

formulare una diagnosi certa, viene richiesta

un’esenzione temporanea (di validità limitata a 12

mesi) che permette al paziente di completare le

indagini necessarie.

Nel caso in cui la diagnosi di malattia rara sia

posta in un’altra Regione (o in un altro Stato)

l’ufficio esenzioni dell’ASL di residenza deve

contattare il Centro di Coordinamento della Rete

Interregionale per le Malattie Rare che provvederà

agli accertamenti necessari e a censire il paziente

nel registro interregionale.

Accesso alla rete da parte del medico di

medicina generale e del pediatra di libera scelta

in caso di sospetto di malattia rara

I medici di medicina generale/pediatri di libera

scelta (MMG / PLS) possono inviare il paziente ad

una valutazione specialistica presso qualunque

Centro della Rete Interregionale per le Malattie

Rare del Piemonte e della Valle d’Aosta o presso i

presidi accreditati delle altre regioni.

I MMG / PLS ed i pazienti possono ricercare i centri

con maggiore esperienza nella sezione “Offerta

assistenziale” del Sito Regionale dedicato o

contattare direttamente il CMID (vedi i riferimenti

in calce).

Il paziente potrà effettuare la visita specialistica in

regime di esenzione dal pagamento delle spese

sanitarie se il MMG /PLS avrà indicato

sull’impegnativa il codice di esenzione R99. In caso

di malattia rara di origine ereditaria anche gli sui

familiari sono gratuiti.

Opportunità terapeutiche

La Regione Piemonte e la Regione Valle d’Aosta

hanno esteso la possibilità di accesso ai farmaci in

fascia C, ai galenici con caratteristiche salvavita

ai farmaci innovativi la cui

commercializzazione è autorizzata in altri Stati, ai

farmaci impiegati per un’indicazione terapeutica

diversa da quella autorizzata, nonché ai farmaci

utilizzati a dosaggio non previsto dal foglietto

informativo.

La fornitura è subordinata alla stesura di un piano

terapeutico informatizzato da parte del medico

specialista.

Eventi scientifici

Il CMID, organizza per l’Università di Torino un

Master biennale di II livello sulle Malattie Rare, e

numerosi Meeting formativi, ad includere il

Convegno di Immunopatologia e Malattie Orfane,

che, giunto alla sua 16° edizione, coinvolge

quest’anno un centinaio di relatori tra i massimi

esperti di settore (Torino Incontra, Piazzale Fusi,17-

19 Gennaio 2013).

Contatti

Per ulteriori informazioni sulle attività consortili e dei

Centri Esperti, per i nominativi dei coordinatori

delle diverse attività e per gli eventi scientifici è

possibile contattare il Centro di Coordinamento

della Rete Interregionale (tel. 011-2402127 (dal

13

Page 14: Gil 3 2012

V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

Lunedì al Venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 17.00) o

inviare una email all'indirizzo:

[email protected].

~

LA CRONICIZZAZIONE DEL LINFEDEMA

PRIMARIO E SECONDARIO: INTEGRAZIONE TRA

PROGETTO SANITARIO E SOCIALE

L. Panella, L. Volontè Medicina Fisica e Riabilitazione - Istituto Ortopedico

Gaetano Pini - Milano

Il sistema sanitario italiano dispone da decenni di

sistemi di sorveglianza per le patologie acute ma

non esiste invece alcuna infrastruttura di

sorveglianza per le malattie cronico-degenerative,

che pure rappresentano la causa di gran lunga

più rilevante in termini quantitativi dei decessi e

delle richieste di assistenza sanitaria. Le malattie

croniche tendono anche ad accumularsi a livello

individuale, possono cioè coesistere

contemporaneamente diverse patologie ed

hanno un’origine multifattoriale, derivano da

interazioni complesse tra gli individui e il loro

ambiente, ma anche dalle effettive opportunità di

promozione della salute e di riduzione dei principali

rischi. Hanno un impatto significativo sulla salute e

sull’assistenza socio-sanitaria, in termini di morte

prematura, cronicità o disabilità. Il linfedema per le

problematiche psicosociali correlate deve avere

una continuità di indirizzo anche nelle fasi di

cronicizzazione: le donne con linfedema hanno

dimostrato di avere una maggiore morbilità

psichiatrica e maggiore disabilità funzionale1.

La richiesta di riabilitazione, anche in questi esiti, è

spesso difficile da controllare e rischia di essere

intesa come ammortizzatore sociale di situazioni di

inappropriatezza clinica che spesso non trovano

risposte di continuità nel sociale. Il programma

riabilitativo ha, rispetto al progetto sul paziente, un

inizio ed una fine che prevede una continuità di

intervento in setting diversi, dall’ospedale al

territorio, con metodiche di approccio diverse,

con risorse diverse anche per competenze. Questo

approccio è in linea con quanto affermato

dall’OMS che sostiene l’opportunità di coniugare

l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale,

integrando le varie dimensioni della disabilità in un

intervento bio-psico-sociale.

L’attività fisica svolta con regolarità induce noti

effetti benefici per la salute a tutte le età della

vita2.

E’ noto in letteratura che uno dei principali ostacoli

al trattamento riabilitativo di successo sia spesso la

mancanza di partecipazione e l'impegno del

paziente quindi gruppi di sostegno sociale possono

essere utili per migliorare l'impegno e la

motivazione sia per il contenimento del disagio

comportamentale che per il mantenimento della

funzione nel linfedema3.

L'esercizio fisico è un elemento essenziale nella

gestione del linfedema. Molti studi supportano

l’ipotesi che l'esercizio fisico migliora il flusso

linfatico ed il riassorbimento proteico, diminuisce la

pressione intratoracica attraverso gli atti inspiratori

facilitando il flusso linfatico, modifica la pressione

interstiziale dei tessuti facilitando la propulsione

della linfa 4. Ciò che non sembra chiarito dalla

letteratura è la tipologia dell’esercizio. Vengono

infatti proposti una varietà di programmi che

variano dal lavoro resistente all’idroterapia, dal Tai

Chi all’esercizio in gruppo basato su contrazione e

rilasciamento accompagnato da respirazione

profonda 5,.

La diversità delle situazioni disabilitanti e la

complessità delle caratteristiche dell’esercizio

inteso come strumento di terapia in cui definire

posologia e timing portano il ragionamento sulla

gestione della continuità terapeutica del paziente

affetto da linfedema cronicizzato a riconsiderare il

paradigma dell’assistenza spostandolo verso un

modello per le malattie croniche che migliori

l’integrazione tra le diverse strutture assistenziali, (di

assistenza primaria, ospedali, territoriali) per

esempio attraverso la gestione dei casi e

l’istituzione di team multidisciplinari. L’ospedale è

attrezzato, dal punto di vista tecnico-organizzativo,

per fornire una risposta ad alta intensità operativa,

ma non è in grado, per le sue caratteristiche

peculiari, di farsi carico della dimensione

diacronica richiesta dalle malattie degenerative a

sede extra-ospedaliera. Il limite anagrafico del

paziente si è spostato e continua a spostarsi verso

confini un tempo impensabili con un notevole

aumento del problema di salute che ne deriva. Se

quindi l’ospedale non può fronteggiare la

cronicità, sia per l’episodicità dell'intervento sia

per la separazione geografica dal territorio, va

recuperato il ruolo della “multidisciplinarietà” e del

collegamento con le cure primarie, anche e non

solo per il radicamento geografico che esse

hanno. La logica vorrebbe che i vari professionisti

della salute entrassero in sinergia per fronteggiare

in modo complementare la “sfida della cronicità”,

compensando l’uno ciò che è carente nell'altro:

da un lato, le competenze specialistiche

(sincroniche) dell’organizzazione ospedaliera e,

dall’altro, la continuità relazionale e spazio-

temporale (dia-cronica) e il radicamento

territoriale delle cure primarie. Se considerassimo il

territorio come un ipotetico reparto ospedaliero

per gli aspetti di relazione e di consulenza tra

professionisti il modello potrebbe essere funzionale

nel garantire centralità delle cure del paziente.

Bibliografia

1. Susan R. Harris, Maria R. Hugi, Ivo A. Olivotto, Mark

Levine, Clinical practice guidelines for the care and

treatment of breast cancer: 11. Lymphedema CMAJ

• JAN. 23, 2001; 164 (2):191-199

13 14

14

Page 15: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

2. U.S. Department of Health and Human Services 2008

Physical Activity Guidelines for Americans Be Active,

Healthy, and Happy! www.health.gov/paguidelines

2008 Physical Activity Guidelines for Americans

3. Katherine Kerchner, Anne Fleischer, Gil Yosipovitch

Lower extremity lymphedema Update:

Pathophysiology, diagnosis, and treatment guidelines

2008; American Academy of Dermatology, Inc

doi:10.1016/j.jaad.2008.04.013:324-331

4. Dorothy N. S. Chan, Winnie K. W. SO Developing an

Evidence-Based Exercise Guideline on Improving

Shoulder Motion and Lessening the Severity of

Lymphedema for Breast Cancer Patients a Amanda L

Moseley, Neil B Piller Exercise for limb lymphoedema:

evidence that it is beneficial Journal of

Lymphoedema, 2008, Vol 3, No 1 51-56

5. Schmitz KH, Ahmed RL, Troxel A, Cheville A, Smith R,

Lewis-Grant L, Bryan CJ, Williams-Smith CT, Greene

QP. Weight lifting in women with breast-cancer-

related lymphedema. N Engl J Med. 2009 Aug

13;361(7):664-73.

~

STILI DI VITA, PREVENZIONE DELLE RECIDIVE E

DEL LINFEDEMA

M.P. Mano Dirigente Medico, S.C. Epidemiologia dei Tumori 2, A.O.U

Città della Salute e della Scienza, Torino.

Dalla recente letteratura emerge una significativa

correlazione sulla riduzione del rischio di ammalarsi

di carcinomi della mammella, colon prostata ed

endometrio in persone che svolgono attività fisica

in modo regolare; gli studi hanno dimostrato che si

riduce anche il rischio di recidiva di tali malattie.

Il motivo di questo effetto protettivo è

probabilmente legato alla modificazione della

composizione corporea a favore della massa

magra sulla massa grassa: la massa grassa correla

fortemente con la sindrome metabolica, ed

entrambe correlano con il rischio oncologico.

Le donne sottoposte a trattamento per carcinoma

mammario possono avere esiti funzionali se

sottoposte a dissezione ascellare (18-20%), a

linfonodo sentinella (3%), o a ricostruzione

mammaria che utilizza il muscolo pettorale e /o

lembo del muscolo Gran dorsale.

Oggi la dissezione ascellare, grazie ai recenti

risultati della letteratura e alla metodica del

linfonodo sentinella, trova sempre meno

indicazioni mentre, grazie a metodiche

diagnostiche più sensibili (Risonanza Magnetica),

la mastectomia è in fase di leggero aumento così

come sono in aumento fortunatamente le

tecniche di ricostruzione.

Storicamente tutte le raccomandazioni

suggerivano di non usare il lato interessato

dall’intervento per portare carichi o eseguire

attività lavorative pesanti; queste

raccomandazioni sono vissute da molte donne

come aspetto invalidante che riduce la qualità

della vita e in effetti il mancato utilizzo dell’arto

interessato comporta una riduzione progressiva

della mobilità e della forza, oltre che un impatto

sulla performance fisica in generale.

Recentemente però in letteratura sono emersi

interessanti dati che dimostrano che l’attività fisica,

non solo di flessibilità ma anche di tonificazione

con l’utilizzo di carichi crescenti, non comporta un

aumento di rischio di linfedema, anzi il lavoro di

massaggio muscolare sui linfatici porterebbe sui

tempi lunghi ad una riduzione. Inoltre, le

perfomance fisiche e posturali generali migliorano

molto, aumentando nettamente la qualità di vita.

~

EVOLUZIONE DELLE CICATRICI E LORO

TRATTAMENTO

F. Gariboldi Dirigente Medico S.C. di Riabilitazione e Cure

Palliative, IRCCS - Istituto Nazionale Tumori di Milano

La guarigione delle ferite è un processo dinamico

che è inizialmente scandito in tre fasi:

infiammatoria, proliferativi e della maturazione,

concluse le quali (di solito da sei mesi ad un anno)

la cicatrice assume le caratteristiche definitive.

Ogni individuo guarisce dalle ferite in tempi

determinati ma diversi fattori condizionano la

cicatrizzazione e sono locali (sede, tipo di

medicazione e complicanze) e generali

(metabolici, farmacologici, alimentari, razza, età,

ecc.).

Anche le modalità di chiusura della lesione ne

condizionano l’aspetto e, spesso, anche la

funzionalità: l’eversione dei margini, la tensione nel

sito di chiusura, l’orientamento del taglio chirurgico

e la guarigione per seconda intenzione sono

causa di ferite esteticamente scadenti e

funzionalmente inadeguate a sostenere la forza

tensile che non sarà mai come quella del tessuto

integro.

Lo stesso sistema somatosensoriale è aggredito

dalla lesione e produce, nell’area circostante,

disestesie che vanno dall’anestesia al dolore.

La cicatrice pertanto, essendo potenzialmente

responsabile di tensioni e resistenza tissutali, di

limitazioni articolari, di rigidità muscolari e di

modificazioni posturali, deve e può essere curata

anche se non recente.

Il trattamento delle cicatrici prevede tecniche di

massaggio, distensione fasciale, recupero dello

scorrimento dei piani di clivaggio, stretching e

mobilizzazione del distretto anatomico interessato.

~ 15

Page 16: Gil 3 2012

V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

INTERMITTENT PNEUMATIC (IPC) IN THE

TREATMENT OF CANCER RELATED

LYMPHEDEMA

A. Szuba Professor of Medicine - Department of Internal Medicine

4th Military Hospital in Wroclaw, Poland

Pneumatic compression pump was developed

bydrJobst as a device with a single chamber

sleeve IPC with a single chamber sleeve was

shown to reduce arm lymphedema.

In 1980s Zelikovsky introduced a high pressure

pump with multichamber sleeves IPC with such a

pump was shown to be very effective in reduction

of lymphedema volume.

Pneumatic compression pumps evolved and

currently many different varieties are in use. It

includes single or multi-chamber sleeves, different

compression cycles, pressures and inflation

sequences.

Effect of IPC is related to increase of lymph flow

through stimulation of lymphatic transport and on

pushing interstitial fluid through extracellular

channels.

Several clinical trials were conducted showing

efficacy of IPC on edema volume reduction in

patients with cancer related lymphedema. The

therapy is considered safe , however several

adverse effects were reported. Controversial

issues regarding IPC treatment will be discussed.

~

RISULTATI DEL BENDAGGIO LINFOLOGICO

APPLICATO SECONDO UNA PROCEDURA DI

TIPO ALGORITMICO

G. Farina Day Hospital flebolinfologico, Istituto Clinico Città Studi di

Milano

Il linfedema rappresenta per il paziente una grave

disabilità fisica e psicologica e per il nostro paese

un forte impegno sociale ed economico.

Tutti i principali autori internazionali concordano

nel ritenere necessaria nel trattamento del

linfedema una combinazione di diversi trattamenti

denominata “Complex physical therapy”,

nell’ambito della quale la terapia compressiva

riveste sempre più un ruolo di primaria importanza,

favorendo l’acquisizione di rapidi ed evidenti

risultati clinici.

Il bendaggio linfologico risulta però di non facile

realizzazione e la letteratura internazionale non

fornisce delle indicazioni chiare, definite e

inequivocabili tali da non indurre l’operatore in

“errore” ed in grado al contempo di condurlo

verso l’acquisizione di risultati prevedibili e

riproducibili.

Attraverso la conduzione di uno studio

sperimentale sulla terapia compressiva del

linfedema dell’arto superiore post-intervento

oncologico si è confermata l’ipotesi della ricerca

secondo la quale, seguendo una “procedura a

passi” di tipo algoritmico¹, si possa ottenere una

più ridotta marginalità di errore e dei risultati

prevedibili.

I risultati dello studio convincono sempre più che le

procedure algoritmiche applicate al bendaggio

linfologico siano un strumento di ricerca ottimale di

immediato e pratico impiego clinico. Altresì, tali

procedure, viste le imposizioni poste e l’alto grado

di definizione, risultano una “piattaforma ideale”

da cui partire per iniziare a realizzazione studi

multicentrici ed R.C.T. (randomized controller Trial)

sulla terapia compressiva del linfedema.

Bibliografia

1. Procedure algoritmiche applicate alla terapia

compressiva G.Farina anno 2012 n° 2 Giornale di

Linfologia.

2. L’uso dei sistemi di marcatura nel bendaggio

multistrato G.Farina pubblicazione n 1 Giornale

italiana di linfologia anno 2012

3. Atti del corso ”trattamento delle ulcere degli arti

inferiori” del dr.Giovanni Mosti 2006

4. M.Foldi, E. Foldi, S.Kubik :Textbook of Lymphology.

Urban & Fischer, 2003

5. Atti del corso di”terapia integrata dell’edema” del dr.

Daniele Aloisi 2003

6. Terapia compressiva nel trattamento delle ulcere

venose degli arti inferiori:un algoritmo diagnostico-

terapeutico C.Allegra per International Leg Ulcer

Advisory Board anno II nº1 luglio 2003

7. Atti del corso di “bendaggio compressivo” del dr.

Paolo Mondani 2002

8. Atti del corso di “bendaggio flebologico” del dr. Loris

Stella 2002

9. Atti del corso di “operatore di trattamento

linfodrenante e di bendaggio

multistrato ad indirizzo riabilitativo” diretto dal

prof.Giovanni.B.Augus 2001

10. Traitement compressif des membres del dr. H.

Partsch- dr. E. Rabe-dr.R.Stemmer 2000

11. Rééducation des œdèmes des membres infèrieurs

Jean-Claude Ferrandez, Serge Theys, Jean-Yves

Bouchet Masson 1999

12. Fisioterapia complessa decongestionante di E. Földi e

M. Földi Marrapese Editore-Roma 1998

13. C. Jambon, R Cluzan “Lymphologie Ed Masson – 1995

14. Casley-Smith J e J.R. Moder treatment for

lymphoedema L.A.A. ed Adelaide (Aus), 1994

~

16

15

16

Page 17: Gil 3 2012

Abstract dei lavori

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

RISCHI DI DIFFUSIONE METASTATICA DELLA

TERAPIA DECONGESTIONANTE: MITO O

REALTÀ?

R. Bartoletti Coordinatore Assistenziale - Unità Operativa di

Riabilitazione Oncologica - Istituto Dermopatico

dell’Immacolata, IDI-IRCCS, Roma

Nell’ambito oncologico, il linfedema secondario

(LN) degli arti rappresenta ancora oggi una delle

più frequenti complicanze a medio e lungo

termine d’interesse riabilitativo. I dati

epidemiologici attualmente reperibili in letteratura,

poiché parziali ed approssimativi, rappresentano

verosimilmente una sottostima della sua reale

incidenza.

L’esperienza clinica individua nella diagnosi

precoce un elemento prioritario per garantire una

corretta gestione nel tempo del LN, patologia per

definizione cronica, di non facile controllo, con

una spiccata tendenza all’evoluzione spontanea.

Sul piano fisiopatologico è caratterizzato da un

edema interstiziale ad elevata concentrazione

proteica conseguenza della ridotta capacità di

trasporto del sistema linfatico. Qualora trascurato

può determinare un significativo incremento del

volume dell’arto fino ad arrivare a deformità dello

stesso con conseguente riduzione dei Range of

Motion (ROM) articolari dell’estremità interessata.

Il management clinico dei pazienti affetti o a

rischio di linfedema reclama un approccio

interprofessionale con la contemporanea

presenza di più figure specialistiche con l’intento di

formulare un progetto riabilitativo personalizzato

che tenga conto della stadiazione del linfedema,

dello stato di malattia, della disabilità secondaria,

della QdV e del disagio psicologico del paziente

nel tempo.

Sul piano strettamente riabilitativo il gold standard

per il trattamento del LN è la Terapia Fisica

Combinata (TFC), nota anche come Terapia

Decongestiva Complessa. La TFC viene attuata in

due fasi; la prima, della durata media di due

settimane, include l’applicazione giornaliera di più

provvedimenti fisici quali l’igiene e la cura della

pelle, il linfodrenaggio manuale, la pressoterapia

sequenziale ad aria ed il bendaggio compressivo

multistrato associato ad esercizi muscolari di tipo

isotonico. Scopo delle attività proprie della prima

fase, detta intensiva, è la riduzione del volume e

della consistenza tessutale dell’arto interessato.

La seconda fase, detta di mantenimento prevede

l’applicazione giornaliera di tutori elastici con

l’obiettivo di mantenere ed eventualmente

ottimizzare i risultati in precedenza raggiunti.

Esistono diverse controindicazioni all’utilizzo

sistematico della TFC. Un concetto ancora in voga

nell’ambiente riabilitativo è il timore che la

malignità di un linfedema o la presenza di

metastasi possa comportare un rischio per il

paziente quando riceve la TFC e/o il

Linfodrenaggio Manuale (LM). L'intento di questo

lavoro è di esaminare i dati scientifici attualmente

disponibili relativamente al problema specifico.

~

DINAMICA DEI LINFATICI NEL LINFEDEMA.

M. Cavallo Dirigente Medico, U.O. di Medicina - Ospedale Civile di

Lonigo (VI)

Il sistema linfatico trasporta i fluidi (linfa) e li veicola

nel sistema vascolare, trasporta i prodotti del

metabolismo cellulare e promuove un’azione di

filtraggio dei batteri. Nella regolazione della

circolazione linfatica l’alternanza delle pressioni

idrostatica, oncotica e tessutale giocano un ruolo

importante per gli scambi dei liquidi nei tessuti.

I linfedemi secondari a insufficienza del sistema

linfatico si possono suddividere in :

1) linfedemi da ostruzione delle vie linfatiche per :

neoplasie,cisti, parassiti, obesità etc.

2) ostruzione-lesione dei collettori/ gangli linfatici

per: chirurgia, radioterapia, ustioni etc.

3) insufficienza funzionale per : immobilità,

emiparesi etc.

Nel linfedema secondario a obesità, infezioni e

parassitosi, i vasi linfatici presentano un’infiltrazione

di cellule infiammatorie ( leucociti, macrofagi etc.)

con rallentamento/alterazione del flusso. Tali

condizioni comportano:

1) l’incapacità dei vasi linfatici di veicolare la linfa

2) la formazione di linfedemi che tendono a

cronicizzare nel tempo con successiva fibrosi

vasale.

~

INDICAZIONE ALL’IMPIEGO DEL BENDAGGIO

MULTISTRATO NEL LINFEDEMA EVOLUTIVO IN

HOSPICE

A. Balzarini, C. Piazza, L. Craba, P. Campanini, C.

Martini, A. Caraceni S.C. Cure Palliative, Terapia del Dolore e Riabilitazione -

Fondazione IRCCS - Istituto Nazionale dei Tumori di

Milano

Nell’ambito del programma di intervento

riabilitativo per pazienti ricoverati in Hospice,

abbiamo voluto valutare indicazione ed efficacia

del bendaggio multistrato nel trattamento del

linfedema evolutivo di arto.

Abbiamo trattato 30 pazienti con linfedema di arto

inferiore, secondario a tumore primitivo

addominale o a recidiva addomino-pelvica di

varie neoplasie.

17

Page 18: Gil 3 2012

V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

Dei 30 pazienti, 11 uomini e 19 donne, 25

presentavano linfedema bilaterale e 5

monolaterale. L’età media era di 65 anni.

Il linfedema era di entità severa o moderata

(circonferenza alla caviglia > 30 cm per i severi,

circonferenza ≤ 30 per quelli moderati) ed aveva

le caratteristiche proprie del linfedema evolutivo

(cute sottile, traslucida, colorito eritematoso,

impronta marcata e persistente,dolore).

Prima dell’inizio del trattamento i pazienti sono stati

sottoposti a misurazione centimetrica dei due arti e

a valutazione clinica (colorito, consistenza, fovea,

dolore, funzionalità dell’arto, sensazioni

soggettive). L’esame clinico e la misurazione sono

state ripetute con le stesse modalità al termine del

trattamento.

Il bendaggio è stato effettuato giornalmente per

un periodo medio di 10 giorni.

Sono state impiegate bende monoelastiche a

corta estensibilità, applicate in mono o multistrato

e senza materiale di sottobendaggio.

Il trattamento di bendaggio ha portato in tutti i

pazienti un miglioramento soggettivo e oggettivo.

Si è avuta in tutti i casi una riduzione percentuale

media del 7,4%, accompagnata a miglioramento

della consistenza, del colorito e del dolore.

~

SCELTA DEL TUTORE ELASTICO IN FUNZIONE

DEGLI ESITI DEL TRATTAMENTO

E. Stasi Centro di Ricerche di Immunopatologia e

Documentazione sulle Malattie Rare - Centro di

Coordinamento Interregionale delle Malattie Rare del

Piemonte e Valle d’Aosta

Sebbene il tutore elastico rappresenti un elemento

fondamentale nella corretta gestione del

linfedema, non esistono evidenze dalle quali

estrapolare dei criteri precisi che possano

indirizzarci verso un’indicazione di sicura efficacia.

Tuttavia la letteratura offre alcuni spunti di

riflessione con i quali può essere utile confrontarsi,

allo scopo di non sottovalutare una scelta

terapeutica delicata, che andrà ad incidere

notevolmente sulla qualità di vita del paziente.

Grazie alla valutazione strumentale (volumetria,

linfoscintigrafia, ecografia, tonometria) sappiamo

che con l’utilizzo di una corretta applicazione

dell’elasto-compressione, possono essere raggiunti

importanti obbiettivi terapeutici quali: riduzione del

volume dell’edema, incremento della cinetica

linfatica, assottigliamento del tessuto fibrotico,

riduzione del flusso venoso.

Grazie all’utilizzo del bendaggio multistrato i risultati

ottenuti durante il trattamento intensivo

decongestivo se valutati a fronte di un’ attenta

raccolta di dati oggettivi ( volumetria, tipo di

bendaggio) e soggettivi ( stile di vita del paziente,

compliance), rappresentano un aiuto

indispensabile per poter identificare tutore più

adeguato.

Il mercato di oggi offre una vasta gamma di

prodotti standard e su misura, a trama piatta o

circolare con i quali poter andare incontro alle

esigenze del paziente,ottenendo al tempo stesso

una pressione terapeutica che più si avvicini a

quella ideale. Tuttavia i risultati a lungo termine

non sono sempre incoraggianti, le variabili da

tenere sotto controllo sono innumerevoli:

compliance, resistenza dei materiali, classe di

compressione ecc.

Da ciò nasce la necessità di costruire studi mirati

ad utilizzare meglio i dati raccolti durante la fase

intensiva, al fine di ottenere un reale

mantenimento dei risultati ottenuti durante la fase

intensiva della terapia.

~

18

18

Page 19: Gil 3 2012

Lavori Originali

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

SCALE DI VALUTAZIONE DELLA DISABILITA’ NEL

LINFEDEMA

Lia Rusca, Monica Gasparini

S.O.C. di Medicina Riabilitativa - ASL Biella

Come noto il linfedema, che conta nella

maggioranza dei casi un’eziopatogenesi

secondaria a tumore mammario, altri tumori,

sequele chirurgiche, radioterapia, traumatismi, è

tipicamente caratterizzato dalla presenza di

sintomi motori e sensitivi e da menomazioni quali

dolore, affaticabilità, tensione, ridotto range di

movimento, paralisi di nervi periferici, alterati

pattern motori o di reclutamento muscolare,

pesantezza e gonfiore dell’arto e/o delle regioni

corporee affette (mammella, addome ecc).

La morbilità dell’arto superiore è tipicamente

associata alle alterazioni dell’uso e della funzione

della parte superiore del corpo e a ricadute

negative sugli aspetti fisici, psicosociali e sociali

che influenzano profondamente la vita quotidiana

e quindi la qualità della vita1,2. L’analisi della

letteratura, focalizzata sulle revisioni sistematiche e

sulle linee guida, evidenzia come il linfedema sia

stato valutato principalmente sulle misurazioni

(centrimentriche o volumetriche), sulla presenza e

sul controllo dei sintomi, in particolare la tensione e

l’edema.3

Nel 2005 MN Kirbaum4, esaminando 29 lavori

considerati rilevanti (9 RCTs e 20 di altro tipo per un

totale di 2211 pazienti reclutate) per valutare la

forza dell’evidenza dell’efficacia dell’esercizio

fisico nelle pazienti operate di tumore mammario,

riportava come gli studi utilizzassero come

strumenti valutativi di outcome le più disparate

misurazioni, e nella loro più svariata combinazione.

Citiamo a titolo di esempio: SLGXT (Symptom-

Limited Graded Exercise Test, che misura l’uptake

di ossigeno), POMS (Profile Of Mood States),

Somatization Scale, misurazioni circonferenziali,

range of motion, effetti psicologici, peso

corporeo, composizione corporea, Rosenberg Self-

estern Scale, funzionamento del sistema

immunitario, Freiberg Personalità Inventory, HADS

(Hospital Anxiety and Depression Scale), MAC

(Mental Adjustement to Cancer), Cancer

Inventory of Problem Situation, Karnofsky

Performance, Cooper 12-minutes test, PAIS

(Psychological Adjustment to Illness Scale), PANAS

(Positive and Negative Affect Scale), scale di

valutazione dei sintomi (fatica, nausea,

depressione, disturbi del sonno), Body Image Visual

Analogic, Brief Symptom Inventory, Tennessee Self-

concept Scale, Spielberg State-anxiety Inventory,

Schwarz Cancer Fatigue Scale, consumo

energetico durante l’esercizio e le abilità

funzionali, Physical Activity Readiness, misurazioni

cardiovascolari, Rockport one-mile walk test.

Compaiono in 6 studi due strumenti validati e

riconosciuti di valutazione della qualità della vita, il

generico Medical Survey Short Form 36 (MOS SF-36)

e i cancro-specifici Functional Assessment of

Cancer Therapy (FACT) General (FACT-G) e Breast

Version (FACT-B), somministrati al tempo zero e

dopo 26 settimane. Nessuno di questi strumenti

può tuttavia essere considerato una scala di

valutazione della disabilità.

Analogo risultato emerge dalla revisione

sistematica di N. Devoogdt5 su 15 studi e 656

pazienti, e da quella di ML Mc Neely6 su 25 studi e

1018 partecipanti: quest’ultima, focalizzata sugli

interventi dietologici per il linfedema correlate al

cancro, privilegia le misurazioni volumetriche e

circonferenziali e la rilevazione dei sintomi come il

dolore (VAS, Visual Analogical Scale), la

pesantezza, la tensione, le parestesie,

l’affaticabilità; la rilevazione degli eventi avversi, e

solo in tre studi viene la qualità della vita, di cui

non viene specificato lo strumento di valutazione.

La qualità della vita è un outcome comunque più

comune da trovare nelle revisioni sistematiche

rispetto a strumenti di misurazione della disabilità.

Questi ultimi appaiono il più delle volte limitati alle

abilità di un distretto corporeo7,8,9 come DASH

(Disability of the Arm, Shoulder and Hand

Questionnaire), nella sua forma completa o Short,

che valuta il livello di difficoltà incontrata nelle

performance che contemplano attività specifiche

delle normali attività, a cui viene attribuito un

punteggio, dove il punteggio più alto configura

una povera funzione e quindi una elevata

disabilità. E’ stato riportato come questo strumento

abbia un effetto pavimento che può aver

influenzato la risposta dello strumento nelle donne

a con migliore funzionalità, quelle che occupano i

punteggi più bassi della scala.

JC Cormier2 analizzando la letteratura indicizzata

dal 1972 al 2008, selezionava 47 studi di buona

qualità, riportando come strumenti valutativi i

metodi di misurazione del linfedema (volumetrico,

misurazione circonferenziale, soggettivo), con

stadiazione di gravità differente nei diversi studi.

Nella revisione effettuata da A.Karki10 nessun

lavoro tra i 14 RTCs identificati con un campione

complessivo di 658 pazienti misurava come

outcome primario gli outcomes correlati al

paziente come ad esempio gli eventi avversi, la

19

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

qualità della vita o le abilità funzionali. In alcuni

trials sono stati utilizzati come outcomes secondari

il dolore, il funzionamento dell’arto superiore, le

abilità lavorative, la qualità della vita, senza

alcuna modalità sistematica nell’utilizzo di queste

misurazioni e i risultati non erano riportati

numericamente o le differenze tra i gruppi non

erano analizzate statisticamente. I metodi self-

report (come ad esempio il Norman Questionnaire,

il Lymphedema Breast Cancer Questionnaire, il

Lypmhedema Quality of Life Inventory). item

validati (es. da FACT-B o da European

Organization for Research and Treatment of

Cancer, QLC-C30) o ancora, item non validati,

tengono conto della percezione sensoriale e dei

cambiamenti di dimensioni, così come della

presenza e intensità dei sintomi correlati.

E’ noto tuttavia che se la presenza dei sintomi è

comune nel linfedema, questa è indipendente

dallo stato del linfedema 1.

Una valutazione della disabilità testata attraverso

questionari inviati via mail utilizzando il WHO-DAS II

(World Health Organization, Disability Assessment

Schedule II, 2001) nella versione 36-item

autosomministrati è stata valutata da A.

Charchaj11 in uno studio finalizzato a correlare i

fattori associati al peggioramento della

funzionalità dell’arto affetto e dei disturbi

emozionali ed emozionali delle donne

sopravvissute a un tumore mammario con

linfedema dell’arto superiore. Tale valutazione

effettuata su un campione di 328 pazienti di cui

117 senza LE e 211 con LE comprendeva anche

l’autosomministrazione di altri questionari correlati

alla qualità della vita, in particolare EORTC QLC-30

e EORTC QLC-BR23., GHQ-30 (General Health

Questonnaire). I limiti sono stati nel campione di

persone che hanno risposto ai questionari (33,7%

del totale), che potrebbe rappresentare un

gruppo fisicamente e psicologicamente differente

dalle donne che hanno scelto di non rispondere.

Queste ultime potrebbero infatti essere più disabili

o meno disabili di quelle che hanno risposto. Un

secondo limite è l’assoluta soggettività delle

risposte al questionario come anche delle

automisurazioni circonferenziali del braccio

richieste nella stessa indagine (calcolando come

limite ulteriore che già nella popolazione normale

una misurazione circonferenziale può dimostrare

un arto dominante che presenta una misurazione

circonferenziale di 2 cm in più rispetto all’arto

controlaterale senza che questa possa essere

considerata patologica).

Da questa analisi emerge quindi una premessa

condivisa sulla presenza di significativi problemi

fisici e psicosociali nel linfedema, ma l’assenza di

strumenti di valutazione della disabilità

conseguente che abbiano le caratteristiche di

affidabilità, (test-retest, consistenza interna,

variabilità delle misurazioni) e di validità

(contenuto e strutturazione) richieste a una scala

di valutazione.

E’ quindi evidente come da un lato il linfedema

possa e debba essere misurato nella sua

dimensione fisica di volume (misurazioni

volumetriche, circonferenziali), di strutturazione

(metodiche strumentali come bioimpedenzo-

metria, ecografia, tomografia assiale com-

puterizzata, risonanza magnetica nucleare,

linfoscintigrafia…), ma dall’altro non si può

prescindere dal concetto che debba essere

valutata la ricaduta di questo segno-sintomo

sull’attività e sulla partecipazione del paziente.

Questo comporta la valutazione di altre

menomazioni, come il dolore, la limitazione di

mobilità della spalla, la resistenza cutanea, la

debolezza-affaticabilità dell’arto affetto, l’ansia, la

depressione e l’alterata immagine corporea12. E’

altrettanto importante considerare che il

linfedema può portare a limitazioni dell’attività e a

restrizioni della partecipazione che comprendono

la ridotta abilità a stirare, cucinare, occuparsi delle

pulizie, sollevare pesi e in generale eseguire

hobbies e sport, trovare vestiti che devono essere

adatti o adattati al braccio con linfedema e a

guidare sulla lunga distanza.

Ad oggi non c’è uno strumento di valutazione

complessivo per determinare le menomazioni nella

funzione, le limitazioni dell’attività e le restrizioni

della partecipazione e per monitorare

l’andamento del trattamento in questi pazienti. E’

altresì noto che le comuni scale di valutazione

della disabilità (FIM, Indice di Barthel per citare le

più utilizzate) non sono sufficientemente sensibili

alla ricaduta disabilitante del linfedema.

Oltre a quelli citati, erano stati costruiti alcuni

questionari per misurare le conseguenze del

linfedema. Oltre a quelli sopra citati si ricordano

anche la Wesley Clinic Lymphedema Scale

(WCLS), la Freiburg Life Quality Assessment (FLQA-I)

e la Upper Limb Lymphedema 27 (ULL-27), ma ogni

questionario presenta alcune limitazioni. La WCLS

consiste solo di 5 domande, la sua affidabilità e

validità non sono mai state determinate. La FLQA-I

consiste di 92 item e ha lo scopo di valutare

l’impatto del linfedema primario e secondario

dell’arto inferiore e dell’arto superiore e non solo

del linfedema insorto dopo i trattamenti per

tumore mammario. La ULL-27 è un questionario

con dimostrata consistenza interna e validità di

costrutto ma non dimostrata affidabilità a test-

retest né validità di contenuto.

Inoltre nessuno di questi questionari utilizza la

terminologia ICF, dove il concetto di disabilità è

associato al concetto di attività e il concetto di

menomazione a quello di funzione corporea e

struttura corporea, mentre il concetto di handicap

viene associato al concetto di partecipazione.

Un gruppo di Autori12 ha pubblicato un articolato

studio sull’elaborazione di uno strumento

descrittivo e valutativo chiamato Lymph-ICF. Tale

strumento non è inquadrabile in una scala di

valutazione, ma è un questionario ICF-oriented,

diviso in 5 domini (funzioni fisiche, funzioni mentali, 20

Page 21: Gil 3 2012

Lavori Originali

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

attività domestiche, mobilità, e attività di vita e

sociali) e si compone di 29 domande sulla

menomazione nella funzione, sulle limitazioni delle

attività e sulle restrizioni della partecipazione. La

sua affidabilità e validità sono stati esaminati su 60

pazienti con linfedema all’arto superiore correlato

al tumore mammario e su 30 pazienti senza

linfedema. L’esito di questo studio è che il Lymph-

ICF è il primo affidabile e valido questionario

olandese basato sulla terminologia ICF per

valutare la menomazione nella funzione, sulle

limitazioni delle attività e sulle restrizioni della

partecipazione.

CONSIDERAZIONI

Le scale di valutazione della disabilità sono state

considerate uno strumento di valutazione del

livello di indipendenza o al contrario della quantità

di assistenza necessaria a un paziente che subisce

delle menomazioni a seguito di un evento

patologico. Le scale di valutazione della disabilità

dovrebbero essere per definizione patologia-

indipendenti, anche se inevitabilmente la loro

strutturazione le rende più sensibili e specifiche in

alcune condizioni patologiche rispetto ad altre,

rendendo così necessario valutare

l’appropriatezza della scala stessa. Il linfedema è

un esempio emblematico di questa discrepanza,

in quanto le scale di valutazione della disabilità

che indagano le ADL non sono sufficientemente

sensibili a modificazioni della vita che coinvolgono

più attività strumentali, psicologiche e sociali che

non attività relative alla propria persona.

Le revisioni sistematiche hanno evidenziato come i

vari autori abbiano preferito valutare la qualità

della vita o utilizzare scale costruite sulla disabilità

specifica, nessuna delle quali sufficientemente

esaustiva, né rispondente ai requisiti intrinseci di

ogni scala: affidabilità, validità, sensibilità,

specificità, economicità, utilità. Lo scopo della

misurazione quantitativa consentito dall’uso di una

scala si configura nella possibilità di monitorare la

progressione o meno della disabilità, l’efficacia o

meno dei vari trattamenti, fino a diventare

indicatore di efficacia degli stessi ancor più delle

valutazioni meramente strumentali. Alcuni Autori,

utilizzando in via sperimentale una valutazione ICF

oriented con associate valutazioni cliniche13

suggeriscono che l’attività e la partecipazione

sono più condizionate dai sintomi percepiti che

dal volume del braccio.

Rimane pertanto ancora aperta la possibilità o

meno di conciliare il concetto ICF che riconduce a

una classificazione (descrittiva, semiquantitativa

non strutturata a punteggio, non riconducibile alle

caratteristiche di una scala a intervalli) con uno

strumento di misurazione quantitativa.

Le misurazioni semiquantitative o qualitative (che

misurano le gradazioni es. in assente-lieve-

moderato-grave) presentano tra gli svantaggi forti

elementi di soggettività e rischio di

approssimazione/imprecisione. Hanno il vantaggio

di consentire un impiego rapido ed economico, un

uso nullo o limitato di strumenti, assenza di disagio

per il paziente e si dimostrano strumenti di

valutazioni validi ed efficaci in varie applicazioni.

Gli svantaggi delle scale semiquantitative e

qualitative possono essere superati dalle scale

quantitative, che sono rigorosamente basate

sull’uso sistematico di misure quantitative ben

definite, applicate da operatori formati. L’uso di

valutazioni quantitative può anche essere

strumentale, con il vantaggio che lo strumento di

misura se usato correttamente può garantire

oggettività e stabilità del dato misurato, e

migliorarne sensibilità e accuratezza e ripetibilità.

Lo svantaggio delle valutazioni quantitative

strumentali sta nel fatto che l’uso di uno strumento

di per sé non garantisce né l’oggettività né l’utilità

della misura ai fini della valutazione della disabilità.

Inoltre il ricorso all’uso di strumenti non è né

immediato né semplice.

In quest’ottica altri strumenti ICF-oriented, alcuni in

corso di costruzione anche in Italia (es. Indice di

Ricci14) possono raggiungere una validazione in

merito all’affidabilità inter-rater e al test-retest ma

rimane molto più difficile la validazione dei

punteggi e dei loro intervalli (quindi sono affidabili

ma senza ancora il requisito della validità e della

scalabilità). Altri strumenti in corso di pubblicazione

come ad esempio il Lymphathic Clinical Severity

Score (LDSS) (S.Michelini e altri, in press) che

indagano sintomi e funzioni assegnando loro un

punteggio (dolore, range of motion, elasticità

della cute, presenza di ulcere, gravità dell’edema

ecc) non hanno la funzione di scala della disabilità

ma nascono per scopi differenti (ad esempio

l’individuazione del setting appropriato di

trattamento).

L’ambito di discussione pertanto oggi si sposta

dalla scala di valutazione della disabilità (legata a

funzioni e di tipo quantitativo) a strumenti ICF-

oriented che riprendendo le indicazioni del WHO

passano dal concetto di disabilità al concetto di

limitazione di attività. Questo implica una

sostanziale riflessione sul concetto di scale della

disabilità nel linfedema e apre un ampio spazio di

ricerca.

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

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Page 23: Gil 3 2012

Lavori Originali

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

ONDE D’URTO NEL LINFEDEMA FIBROTICO

Giancarlo Rando

Ambulatorio Fisiatrico Linfologico – ASL CN2 – Ospedale San Lazzaro – Alba (CN)

COSA SONO LE ONDE D’URTO

Le onde d’urto impiegate in medicina sono onde

acustiche convogliate nel tessuto secondo

diversi livelli di energia e protocolli di

somministrazione (tipo di apparecchiatura

utilizzata, livello di energia impiegato , numero di

colpi somministrati) . Esse sono caratterizzate da

un’elevata pressione di picco ( > 500 bar), dalla

breve durata ( < 10 µs), dal rapido innalzamento

della pressione (< 10 ns) e dall’ampio spettro di

frequenza (16 Hz – 20 MHz).

Il principio di base utilizzato per la generazione

dell’onda d’urto in un’apparecchiatura

elettromedicale per la creazione dell’ evento

iniziale è un rapidissimo innalzamento della

pressione nell’acqua contenuta nella speciale

camera della testa terapeutica.

Questa è anche dotata di una superficie interna

riflettente, avente lo scopo di focalizzare l’energia

dell’onda d’urto in un definito Volume Focale

terapeutico ad una precisa Profondità Focale.

Le onde d’urto generano forze elevate di

sollecitazione che agiscono sulle interfacce fra

materiali di diversa densità e forze di trazione che

causano bolle di cavitazione

L’azione terapeutica delle onde d’urto, nelle

applicazioni muscolo-scheletriche, non è stata

ancora chiarita completamente

Per mettere in atto tutte le ricerche per una sua

totale comprensione, occorre prendere in

considerazione non solo l’energia totale, ma

anche gli altri parametri che caratterizzano le

onde d’urto

Non avendo ancora raggiunto una completa

spiegazione di tutti i processi indotti nel tessuto

biologico dall’azione delle onde d’urto, è

particolarmente importante poter correlare i

risultati clinici a parametri fisici riproducibili.

L’EFFETTO DETERMINATO È DOSE DIPENDENTE. Esso

dipende dalla “Modularità di somministrazione “

ovvero dalla corretta gestione dei requisiti

tecnici della sorgente terapeutica impiegata e

dalla preparazione specifica dell’operatore. Esso

dipende anche da altre variabili come :

Le indicazioni classiche della terapia

Le Indicazioni e moderne applicazioni in

Medicina Rigenerativa

La corretta applicazione della metodica

L’attenta considerazione dei meccanismi

ultrastrutturali (neoangiogenesi, produzione di

fattori di crescita ) che sottendono all’effetto

biologico delle Onde d’Urto

SONO DISPONIBILI DIVERSI TIPI DI APPARECCHI.

SI DISTINGUONO :

Generatori di onde d’urto focalizzate, con

caratteristiche fisiche di emissione

caratterizzate da elevato picco di energia

(>500 bar), rapido innalzamento di pressione

(<10 nsec) e breve durata (<10 μsec) e che

danno possibilità di focalizzazione

intracorporea dell’impulso con distanza

regolabile;

Generatori di onde d’urto defocalizzate, con

parametri fisici analoghi, salvo un minore picco

di energia e una diversa focalizzazione (minor

“convergenza”) dell’energia stessa che è

finalizzata a determinati scopi terapeutici;

Generatori di onde radiali, o balistiche, con

ridotto picco di energia, di maggior durata e

andamento radiale (divergente) e, quindi, non

danno possibilità di focalizzazione

intracorporea;

Le onde d’urto focalizzate vengono prodotte da

tre tipi di generatori: piezo-elettrico, elettro-

magnetico ed elettro-idraulico. Le onde

focalizzate:

- convergono l’energia in un determinato target;

- modificano le dimensioni del fuoco terapeutico

in base al livello energetico impiegato.

Le onde d’urto radiali sono delle onde balistiche

(di pressione) generate per impulso meccanico; le

onde radiali:

- non focalizzano l’impulso;

- non possono far convergere l’energia in

profondità;

- non contemplano l’impiego di numerosi livelli di

energia.

L’impiego delle onde radiali deve essere

circoscritto alle patologie muscolo-tendinee

superficiali.

EFFETTI BIOLOGICI DELLE ONDE D’URTO

Per valutare il livello di successo della terapia, non

può essere utilizzata la misurazione della capacità

di disintegrazione del calcolo, utilizzata invece in

Litotrissia

Non è stata ancora trovata una precisa

correlazione fra le proprietà del campo acustico e

l’impatto biologico delle onde d’urto. Tuttavia è

dimostrato che il trattamento con le onde d’urto 23

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

determina una cascata di effetti che inizia

dall’applicazione fisica di energia in forma di

onda acustica che si completa con la

neoformazione di vasi e l’incremento di attività

metaboliche attraverso diversi meccanismi

fisiologici.

Recenti studi istologici, biochimici ed immunologici

hanno dimostrato che il trattamento dei tessuti

con le onde d’urto può avere diversi effetti come:

stimolare la neoangiogenesi;

incentivare il rilascio dei fattori di crescita;

stimolare l’osteogenesi;

inibire selettivamente l’attività di determinati

effetti neurologici;

inibire l’attività infiammatoria.

Sono stati descritti anche effetti sulla sintesi

endoteliale di ossido nitrico e del fattore di

crescita endoteliale.

Un gruppo di parametri, i più rappresentativi del

campo acustico, è stato scelto, in accordo con

tutti i produttori di apparecchiature ad onde

d‘urto, per consentire agli utilizzatori misurazioni

attendibili e utili per la ricerca

COMPLICANZE DELLE ONDE D’URTO

Sono infrequenti e possono includere: lievi

ecchimosi, petecchie, lievi ematomi, lieve

edema, iperemia cutanea transitoria. Esse sono

usualmente evitabili con un’accurata procedura,

l’assunzione di un posizionamento appropriato

del paziente e la stretta osservanza del protocollo

di trattamento.

COME POSSIAMO INTUIRE CHE GLI EFFETTI NOTI

DELLE ONDE D’URTO SIANO EFFICACI NEL

TRATTAMENTO DEL LINFEDEMA?

Diversi studi dimostrano che il trattamento terapico

con le vibrazioni meccaniche ed, in particolare,

con le onde acustiche stimola la

microcircolazione e la permeabilità cellulare nei

tessuti. La stimolazione meccanica vibratoria

oltre 35 Hz determina oscillazioni fisiologiche

delle fibre muscolari che favoriscono

l’incremento dell’efflusso e dell’afflusso dei fluidi

nel sistema micro circolatorio e quindi un effetto

drenante delle terminazioni artero – venose e del

sistema linfatico. Tale effetto drenante dura

circa 24 ore dopo l’applicazione.

L’impiego dell’azione meccanica vibratoria sul

microcircolo è indicato dopo un evento

traumatico con presenza di edema, dopo

interventi chirurgici ortopedici e dopo traumi

sportivi con danni del microcircolo

Studi dermatologici relativi al trattamento del

lipedema e della cellulite con le onde d’urto a

bassa energia hanno dimostrato diversi effetti

che qui di seguito si possono riassumere :

Stimolazione della lipolisi , rimozione dei radicali

liberi, riduzione della lipo.ossidazione e dello

stress ossidativo, aumento dell’azione anti-

ossidante, aumento della sintesi del collageno,

oggettivo aumento dell’elasticità della pelle,

riduzione dei fattori pro-infiammatori, aumento

della linfangiogenesi e della neoangiogenesi,

aumento delle proprietà biomeccaniche della

pelle con aumento oggettivo dell’elasticità ed

ammorbidimento del derma e della superficie

ipodermica, riduzione del meccanismo

infiammatorio , prevenzione della liposclerosi nel

lipedema e nella cellulite, drenaggio del fluido

linfatico e riduzione del linfedema.

IL RAZIONALE DEL TRATTAMENTO DEL LINFEDEMA

CON LE ONDE D’URTO

La linfa nasce dalle cellule argentofile di tutti i

tessuti e si forma nella matrice interstiziale.

Le piccole gocce nascono e vivono negli spazi

interstiziali scivolando tra guaine e canalicoli

laddove si crea una connessione tra linfa, acqua

e metabolismo dell’adipocita.

L’adipocita secondo le necessità decide la

liberazione dell’acqua ed il trasporto delle

proteine come linfa.

C’è una relazione importante tra formazione

della linfa e la via metabolica dell’adipocita,

dove il momento di raccordo è l’acqua della

matrice interstiziale. Questa può restare legata,

costituire la linfa, o essere usata per i processi

metabolici.

La linfa è un plasma privo di piastrine, ma con

capacità coagulative. Essa può aumentare o 24

Page 25: Gil 3 2012

Lavori Originali

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

ristagnare per aumento della pressione capillare,

per la variazione della permeabilità o dei gradienti

osmotici .

L’ipossia tessutale aumenta all’inizio il deflusso

linfatico, successivamente si nota una stagnazione

con aumento di pressione interstiziale.

Il sistema linfatico è una via facoltativa per i soluti

e per l’acqua dell’interstizio, ma è invece una via

obbligatoria per il trasporto delle proteine, ha due

principali funzioni: una funzione primaria di

trasporto delle proteine al sangue ed una funzione

omeostatica per il mantenimento del gradiente di

pressione transcapillare e di pressione oncotica. I

lipoprotidi sottostanno ad una circolazione

extravascolare definita “sangue-interstizio-linfa-

sangue“.

Nel derma e nel sottocute sono rappresentati: le

cellule del fibroblasta e le macromolecole di

collagene e l’elastina. I fibroblasti emettono

filamenti sui quali scivolano e scorrono le gocce di

acqua o linfa. Collagene ed elastina sono i

maggiori prodotti dei fibroblasti, essi hanno un

ruolo plastico nella matrice fondamentale. La

matrice extracellulare è composta da

proteoglicani e da glicoproteine che agiscono

nella regolazione e nei movimenti dei fluidi.

L’adipocita agisce come recettore ormonale,

esso reagisce con lipolisi o lipogenesi.

La lipolisi segue stimoli nervosi ed endocrini e l’

aumento del flusso sanguigno.

La riduzione del flusso inibisce la lipolisi o l’uscita

degli acidi grassi liberi e del glicerolo (lipodistrofia

superficiale degli aa.ii. nei pz non flebolinfopatici

che indossano calze elastiche non indicate).

LINFA, LIPOLISI E LIPOGENESI

Le turbe del microcircolo sono alla base del

determinismo della liposclerosi e della lipodistrofia

Le alterazioni sottocutanee interessano

maggiormente la matrice ect. ed il sistema

linfoadiposo

La proporzione di flusso sanguigno e linfatico

attraverso il tessuto adiposo sarebbe

inversamente proporzionale al suo incremento

Il rallentamento della microcircolazione comporta

: la stasi linfatica, il lipoedema, l’alterazione della

permeabilità del capillare venulare, la

diminuizione della quantità di gag nei manicotti

vascolari, le alterazioni della membrana.

Le modificazioni del tessuto adiposo portano ad

un accumulo di acqua legata nell’interstizio

attorno ai capillari e nella matrice

La conseguente degenerazione del flusso venoso

e linfatico di ritorno dei vasi sanguigni sarebbe una

conseguenza diretta dell’ulteriore danno

microcircolatorio diffuso

Il quadro flogistico presenta: infiltrati infiammatori

acuti a carico della matrice perilinfatica,

l’alterazione morfostrutturale con l’incremento

della matrice perilinfatica e della matrice

interstiziale

C’e una relazione tra lipolisi e linfa e tra

lipogenesi e linfa: ad una circolazione lenta

corrisponde una lipogenesi , ad una circolazione

veloce corrisponde una lipolisi

ALTERAZIONI MORFOSTRUTTURALI DEI TESSUTI NEL

LINFEDEMA

Il linfedema determina dei cambiamenti delle

proprietà biomeccaniche dei tessuti: flogosi,

fibrosi, incremento di volume , progressivo

addensamento ed ispessimento del sottocutaneo,

papillomatosi, cellulite/dermoipodermite, erisipela.

ECOGRAFIA AD ALTA RISOLUZIONE

Pur riconoscendo che la metodica è strettamente

dipendente dall’operatore, l’ecografia è di

grande utilità nella diagnosi del linfedema, nella

prognosi e nel follow-up durante e dopo il

trattamento riabilitativo. I parametri ecografici da

rilevare nel linfedema sono: lo spessore cutaneo,

lo spessore sottofasciale, lo spessore soprafasciale,

la presenza di laghi linfatici e/o canali, la presenza

di fibrosi, la presenza di calcificazioni, (pregresse

linfangiti), il grado di compressibilità tissutale.

FRAMES ECOGRAFICI il tipo di frame è correlato

allo stadio clinico:

N - normale, A - a prevalente componente idrica,

B - con componente tissutale mista (parte fluida,

parte fibrotica), C - con prevalente componente

fibrosa, D – con ostruzione e fibrosi dei collettori –

danno tessutale.

FRAME N

Iso-ecogenicità cutanea , spessore soprafasciale

sovrapponibile in entrambi gli arti, spessore del

sottocute normale , parete dei collettori normale;

FRAME A

Ipoeco-genicità con buona comprimibilità

tissutale, prevalente imbibizione idrica dei tessuti

con interposizione di laghi e canali linfatici ectasici,

ectasia dei collettori linfatici, incremento dello

spessore sopra fasciale.

FRAME B

Incremento dello spessore soprafasciale con zone

di ipoecogenicità, alternate ad altre di

iperecogenicità moderata, comprimibilità

tissutale, congestione dello strato epifasciale,

zone di imbibizione dello strato profondo

sottocutaneo, laghi e canali linfatici ectasci.

FRAME C

Accumulo di linfa negli spazi extra-vasali,

incremento dello spessore soprafasciale, diffusa ed

evidente iperecogenicità causata dalla fibrosi

tissutale, scarsa componente ipoecogenica,

presenza di linfa negli spazi extra-vascolari dagli

strati profondi a quelli superficiali, possibile

presenza di laghi linfatici, scarsa comprimibilità

tissutale.

FRAME D

Ostruzione e fibrosi dei collettori, danno

tessutale, ispessimento del tessuto sottocutaneo

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

ulteriormente aumentato, fibrosi con aspetto a “

celle d’alveare“, calcificazioni, tessuto non

comprimibile

LA NOSTRA ESPERIENZA

11 Pazienti selezionati con linfedema stadio III-IV

dell’arto superiore o dell’arto inferiore.

ESAME ECOGRAFICO PRE – TRATTAMENTO: diffusa

imbibizione edematosa dei piani sottocutanei con

iperdensità del derma, aree anecogene

serpiginose e tubulariformi da riferire a laghi linfatici

nel contesto del sottocute, non alterazioni a carico

del sottostante piano muscolare.

TIPO DI TRATTAMENTO: protocollo decompressivo

integrato/SW, terapia medica.

TERAPIA CON ONDE D’URTO: 18 sedute,

3/settimana, testina radiale, 2 bar, profondità fino

a 3.5, frequenza 4 Hz, 2.000-3.000 colpi).

RISULTATI

ASPETTO SEMEIOLOGICO: modesta e parziale

riduzione del volume dell’arto, cute elastica,

eutrofica, netto miglioramento della consistenza

dei tessuti sottocutanei , morbida ed elastica.

GALLERIA CASI CLINICI

ASPETTO ECOGRAFICO: riduzione dell’iperdensità

del derma, riduzione dell’ispessimento

sottofasciale e del tessuto sottocutaneo, netta

riduzione dell’imbibizione di linfa negli spazi extra-

vascolari, riduzione o scomparsa dell’aspetto a “

celle d’alveare “, scomparsa delle calcificazioni,

aumentato grado di comprimibilità del tessuto

sottocutaneo.

CONSIDERAZIONI FINALI

La scarsa esperienza sull’applicazione della

metodica in linfologia, i pochi casi studiati in

letteratura, la prevalenza di studi su animali, la

mancanza di un protocollo standardizzato/

omologato, indicano l’opportunità di condurre

uno studio societario multicentrico con unico

protocollo.

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Page 27: Gil 3 2012

Lavori Originali

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

VASOREATTIVITA’ VENOSA NEL LINFEDEMA PRECOCE E

TARDIVO POST-MASTECTOMIA

Massimiliano Farina, Raffaello Pagani*

Centro Studi Patologie Veno-Linfatiche, Policlinico di Monza, Monza (MB)

* U.O. Chirurgia Vascolare, Casa di Cura Villa Igea, Acqui Terme (AL)

INTRODUZIONE

Partendo dalla considerazione che qualsiasi forma

di edema rappresenta l’espressione della rottura di

un equilibrio tra filtrazione capillare e capacità

drenante veno – linfatica.1 Si deve ricordare che,

oggigiorno, l’edema post-mastectomia (PME)

rappresenta una frequente, nonché invalidante

complicanza del trattamento della neoplasia

mammaria, con una sempre elevata incidenza (in

Italia 8000 nuovi caso/anno) nonostante

l’introduzione di tecniche più conservative

(linfonodo sentinella). L’estrema variabilità dei dati

presenti in letteratura è comunque in relazione alla

tipologia d’intervento intrapresa (chirurgia

associata o meno a linfoadenectomia o

radioterapia mammario - ascellare), alle modalità

classificative e al tempo trascorso dal

trattamento.2 Sulla base di tali evidenze l’incidenza

di PME tende ad incrementare in associazione a

resezione linfonodale e radioterapia (RT) (dal 25%

al 38%) e la sua prevalenza aumenta nel tempo

(22% ad 1 mese dall’intervento – 36% ad 1 anno)

soprattutto dopo RT (23% a 2 anni – 45% a 15

anni).3-6 Il tempo medio di comparsa

dall’intervento è di 14 mesi (range 2-92 mesi) e nel

97% dei soggetti l’edema si sviluppa entro 4 anni

dal trattamento.7 Il volume dell’arto edematoso si

correla strettamente alla durata della

sintomatologia dopo l’intervento (dolore,

parestesie, debolezza, limitazione funzionale) e

all’estensione della chirurgia ascellare.8-10

L’incidenza sarebbe inoltre più alta nei pazienti

sottoposti a RT ascellare (58%) rispetto alla sede

parasternale/sovraclavicolare (17%) e ai non

trattati (21%).11 In condizioni fisiologiche la maggior

parte degli scambi tra plasma e liquido interstiziale

avviene per diffusione semplice, sia attraverso i

pori della parete capillare che attraverso le cellule

endoteliali. Tale diffusione è subordinata all’azione

di due forze (idrostatica e oncotica) definite da un

equazione, quella di Starling, per la quale il

movimento di un liquido attraverso la parete di un

capillare è determinato dalla pressione netta

attraverso questa membrana, che è data dalla

somma delle pressioni idrostatiche e oncotiche.

Secondo tale principio a livello dell’estremità

arteriosa si avrebbe filtrazione netta e a livello di

quella venosa assorbimento netto, con

riassorbimento di circa l’85% della quota filtrata.

Alla luce di più recenti osservazioni il movimento di

fluidi a livello capillare non sarebbe tanto

subordinato ai valori di pressione idrostatica e

oncotica interstiziali, ma al gradiente pressorio a

cavallo dei canali inter-endoteliali, con

riassorbimento prevalente del filtrato attraverso i

capillari linfatici.12 La demolizione della

componente linfatica ascellare, secondaria

all’atto chirurgico combinato con la terapia

radiante, produrrebbe pertanto l’incremento delle

resistenze lungo le vie linfatiche, con riduzione

della capacità drenante ed aumento della

pressione linfatica a livello dei capillari e dei pre-

collettori. Tale situazione porterebbe, per effetto

della dilatazione prodotta, ad incontinenza

valvolare, con conseguente reflusso dermico

(dermal blackflow) ed incremento della pressione

interstiziale. Si determinerebbe da un lato una

compressione estrinseca venulare, con riduzione

dell’outflow venoso, dall’altro l’alterato controllo

locale degli sfinteri pre-capillari, con caduta delle

resistenze locali e aumento dell’afflusso arterioso

(del 35,3% rispetto all’arto sano a 34 oC e del 113%

a 44 oC).13 L’amplificazione sequenziale di tali

processi aggraverebbe la stasi interstiziale, anche

per la contemporanea attivazione di shunts artero-

venosi a livello muscolo-cutaneo, per fenomeni di

neo-angiogenesi capillare e per la coesistenza di

steno-ostruzioni venose (57% a livello ascellare) e

congestione locale (14%).14-17 In questo ambito

s’inserisce il nostro studio, con l’obbiettivo di

valutare l’andamento temporale di alcuni indici

velocimetrici, in relazione all’insorgenza di PME ed

individuare eventuali correlazioni tra edema

linfatico post mastectomia e vasoreattività venosa

ascellare.

MATERIALI E METODI

Sono state arruolate 151 donne (età media 53,6

anni) giunte alla nostra osservazione nel periodo

2007-2009, sottoposte ad intervento di

mastectomia radicale (90 lato sinistro, 61 lato

destro) con linfoadenectomia ascellare e

successiva RT locale. Tutte le pazienti sono state

avviate ad un programma riabilitativo precoce

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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

(mobilizzazione del cingolo scapolo-omerale,

avambraccio e mano – ginnastica isometrica a

partire dalla 2-3 giornata – sopraelevazione

dell’arto) Per quanto attiene la valutazione

dell’edema, sono stati presi in considerazione gli

incrementi delle circonferenze dell’arto,

omolaterale alla sede d’intervento, superiori ai 2

cm rispetto al controlaterale. I soggetti hanno

aderito volontariamente allo studio previa visione

e sottoscrizione del relativo consenso informato,

con esclusione di quelli con pregressi interventi

locali di varia natura e in caso di comparsa di

processi trombotici a livello succlavio – ascellare.

Tre i parametri d’indagine: velocità sistolica,

velocità diastolica e ΔV (differenza tra sistolica e

diastolica), con rilevazione clinostatica a livello del

punto di trapasso della vena ascellare in succlavia

(margine laterale della 1 costa). I controlli sono

stati eseguiti per la valutazione dell’edema

precoce post-operatorio ai tempi T0 (pre-

intervento), T1 (3 giornata post-op), T2 (6 giornata

post-op) e T3 (15 giornata post-op). Per l’edema

precoce “ritardato” (nel corso di trattamento

radiante) ai tempi T0 (comparsa dell’edema), T1 (3

giornata dopo l’insorgenza), T2 (6 giornata dopo

l’insorgenza) e T3 (15 giornata dopo l’insorgenza).

Per l’edema tardivo le valutazioni sono state

effettuate alla comparsa dello stesso, con

successivo monitoraggio per l’anno seguente (T0:

comparsa – T1: 3 mesi dalla comparsa – T2: 6 mesi

dalla comparsa – T3: 12 mesi dalla comparsa). I

dati sono stati sottoposti a test statistico di analisi

della varianza (ANOVA).

RISULTATI

Tutti i soggetti sottoposti a procedura chirurgica e

successiva terapia radiante sono andati incontro

ad edema precoce post-operatorio, comparso

mediamente intorno alle 76,3 ore dal trattamento

(range 36-87). 93 donne (61,6%) hanno inoltre

sviluppato un secondo edema (ritardato) nel corso

del trattamento radiante, con insorgenza media

intorno alla settima settimana dall’intervento

(range 5-9). 52 donne del gruppo di studio (34,4%)

hanno successivamente avuto come complicanza

tardiva un edema cronico, mediamente intorno ai

19,7 mesi (range 18-24). 41 di queste pazienti

(78,8%) avevano sviluppato un edema precoce

durante il ciclo RT.

Per quanto riguarda l’andamento dei parametri

velocimetrici ai controlli programmati per le varie

tipologie di edema (precoce, precoce ritardato e

tardivo), i valori di velocità sistolica non hanno

subito variazioni statisticamente significative.

Diverso è stato il comportamento delle velocità

diastoliche e dei correlati ΔV, con variazioni

significative (incremento delle prime e

decremento dei secondi) nei soggetti che hanno

sviluppato edema precoce e precoce ritardato e

non rilevanti per quelli con edema tardivo (Fig. 1-

3).

Fig. 1 – Edema precoce

Fig. 2 – Edema precoce durante RT

Fig. 3 – Edema tardivo

Confrontando, inoltre, le donne con edema in

corso di RT, che hanno successivamente

sviluppato edema tardivo, con quelle che, al

contrario, non lo hanno manifestato, si è

riscontrato nelle prime rispetto alle seconde, un

incremento significativo dei valori di velocità

diastolica e un decremento del ΔV per tutti i

controlli programmati (Fig. 4-6).

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6 28

Page 29: Gil 3 2012

Lavori Originali

Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia

Il confronto degli stessi parametri nei due gruppi di

soggetti, ad 1 anno dalla comparsa di edema

tardivo, ha evidenziato un andamento

diametralmente opposto (decremento

significativo delle velocità diastoliche e

incremento del ΔV) (Fig. 7).

Fig. 7

DISCUSSIONE

Questo studio ha voluto ricreare quelle condizioni,

riportate in letteratura, di massimo rischio per

l’insorgenza di PME, ossia l’associazione di terapia

radiante all’atto chirurgico, nella sua massima

espressività demolitiva della componente linfatica

ascellare (linfoadenectomia). Al fine di escludere

eventuali interferenze sull’azione drenante

suppletiva della componente venosa distrettuale,

sono stati esclusi quei soggetti con insorgenza di

complicanze steno-ostruttive a livello venoso. I

nostri dati confermano la sensibilità degli indici di

velocità (diastolica ed il correlato ΔV) a

rappresentare repentinamente le variazioni

emodinamiche che sottendono gli edemi precoci

post mastectomia. Le velocità diastoliche

sarebbero infatti degli ottimi indicatori della

capacità drenante di compenso del distretto

venoso sottoposto a sovraccarico, per effetto del

default delle strutture linfatiche ascellari,

secondario all’atto chirurgico e alla successiva

terapia radiante. L’incremento significativo

(p<0,05) dei valori di velocità diastolica (e il

correlato decremento del ΔV), solo nei soggetti

con comparsa di edema precoce in corso di RT,

che successivamente hanno sviluppato un edema

tardivo, potrebbe rappresentare un indice

predittivo di sviluppo di tale tipo di edema.

Parallelamente la riduzione significativa delle

velocità diastoliche nei pazienti con edema

tardivo, rispetto a quelli che non lo hanno

sviluppato, deporrebbe per la comparsa di

fenomeni di vasoparesi a livello venoso, come del

resto descritti in letteratura.18 La compromissione

della capacità di adattamento della parete

venosa, avrebbe pertanto un ruolo fondamentale

nell’alterare il precario equilibrio interstiziale,

conseguente alla compromessa funzione

drenante linfatica. Limite principale dello studio è

l’impossibilità di prevedere la comparsa di edema

tardivo nei pazienti che al momento non lo

presentano, oltre quelle che sono le tempistiche

dei controlli stabilite per l’attuale studio. I risultati

relativi all’epoca d’insorgenza delle varie tipologie

di edema (precoce e tardivo) e la percentuale di

soggetti che hanno sviluppato tali complicanze,

sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli di altri

lavori citati in letteratura.

CONCLUSIONI

L’edema post mastectomia rappresenta tuttora

una complicanza invalidante degli interventi per

neoplasia mammaria, con importanti risvolti

psicologici e costi sociali elevati. Se da un lato

sono stati ipotizzati differenti meccanismi

eziopatogenetici, avvallati da numerose evidenze

sperimentali, dall’altro le sue reali cause non sono

state ancora chiaramente individuate. In tal senso

l’atto chirurgico svolgerebbe un ruolo di primaria

importanza soprattutto se associato a

linfoadenectomia complementare e radioterapia

locale. Tali fattori, come dimostrato da diversi

lavori, incrementerebbero in maniera esponenziale

l’incidenza di PME. Un attento studio Eco-Color-

Doppler dei segmenti venosi succlavio ascellari di

tali pazienti sarebbe in grado, attraverso l’analisi di

parametri velocimetrici diastolici, di individuare

quei soggetti con maggiori probabilità di sviluppo

di edema linfatico tardivo, garantendo in questo

modo l’adozione di tutte quelle misure preventive

e degli strumenti terapeutici, in grado di

contrastare anticipatamente e in modo efficace

la comparsa di questa grave complicanza.

RINGRAZIAMENTI

Un sentito ringraziamento al Dott. Piero Montesanto, biologo

(Centro di Ricerca e Studio sullo Stress Ossidativo, Lissone, Italia)

per la preziosa collaborazione fornita alla stesura del lavoro. Un

ulteriore ringraziamento per il supporto tecnico agli Ing. Sara

D’Onofrio e Leonardo Forzoni (Esaote S.p.A., Firenze, Italia)

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GIORNALE ITALIANO DI LINFOLOGIA

AUT. TRIBUNALE DI BOLOGNA N. 8205 DEL 22/09/2011

ISSN 2240-7278

Anno 1 - Numero 3 - Ottobre 2012