Gil 3 2012
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GIORNALE ITALIANO
DI LINFOLOGIA
Organo Ufficiale della Società Italiana di Linfologia Oncologica
PUBBLICAZIONE PERIODICA TRIMESTRALE - AUT. TRIBUNALE DI BOLOGNA N. 8205 DEL 22/09/2011
3
ANNO 1
NUMERO
OTTOBRE
2012
ISSN 2240-7278
Giornale Italiano di Linfologia 2012;1(3):2
GIORNALE ITALIANO DI LINFOLOGIA
ANNO N. 1 - N. 3 - OTTOBRE 2012 Ronchi
Direttore Responsabile
Dr. Daniele Aloisi
Giornale Italiano di Linfologia
Periodico trimestrale a carattere medico-
scientifico edito da:
Società Italiana di Linfologia Oncologica
- Sede Legale:
Via Fosse Ardeatine, 14 - 40139 Bologna
- Sede Operativa: c/o ADB Eventi & Congressi
Via San Felice, 28 - 40122 Bologna
Tel. 051 0959160
E-mail: [email protected]
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di
Bologna, n. 8205 del 22/09/2011.
Pubblicazione online a diffusione gratuita sul sito:
www.linfologiaoncologica.it
© E’ vietata la riproduzione totale o parziale di articoli o
illustrazioni pubblicate sul Giornale Italiano di Linfologia
senza autorizzazione scritta da parte dell’Editore.
Numero Speciale
ATTI DEL
V CONGRESSO NAZIONALE
DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA
FONDAZIONE IRCCS
ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI
MILANO 16-17 NOVEMBRE 2012
Pag. 3
Abstract
Pag. 19
Lavori Originali
SOMMARIO
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
ATTI del
V Congresso Nazionale di Linfologia Oncologica
Milano, 16-17 novembre 2012
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
V Congresso Nazionale di Linfologia Oncologica
ABSTRACT DEI LAVORI
ANATOMIA FUNZIONALE DEI LINFATICI
CUTANEI: EVIDENZE LINFOSCINTIGRAFICHE
G. Picciotto Primario Emerito di Medicina Nucleare - Azienda
Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino
L’esatta conoscenza di tutte le possibili vie di
drenaggio linfatico che si dipartono da ogni punto
della nostra superficie corporea costituisce una
guida sicura per le mani del chirurgo che si
appresta ad eseguire la dissezione di uno o più
bacini linfonodali, così come lo è per le mani del
fisioterapista che si accinge a praticare,
correttamente, le manovre di linfodrenaggio
manuale.
Oltre venti anni di utilizzo, sistematico e capillare,
della ricerca scintigrafica del/i Linfonodo/i
Sentinella nei pazienti con melanoma cutaneo
hanno significativamente ampliato,
aggiornandolo, il nostro sapere sull’anatomia
funzionale dei linfatici cutanei.
Oggi la comunità scientifica ha a disposizione
decine di migliaia di linfoscintigrafie, eseguite in
tutto il mondo e disponibili come immagini
fotografiche del reale, condotte sul paziente e
non sul cadavere disseccato, sfruttando, senza
interferire sullo stesso, il fisiologico processo di
rimozione spontanea di una piccolissima quantità
di minuscoli colloidi radioattivi iniettati nel derma
circostante la lesione primaria.
E’ il patrimonio di esperienze accumulato in un
paio di decenni di ricerca scintigrafica del/i
Linfonodo/i Sentinella che ha permesso a John
Thompson e Roger Uren, rispettivamente chirurgo
e medico nucleare presso la più importante Unità
Melanomi del mondo (Sidney Melanoma Unit), di
scrivere: Prediction of skin lymphatic drainage
based on historical assumptions are probably
incorrect in 30 % of individuals1.
Questa comunicazione vuole portare a
conoscenza degli interessati i risultati del brillante
lavoro svolto dalla Dott.ssa Hayley Maria Reynolds,
bioingegnere di Auckland che, partendo dalla
banca dati di 5239 pazienti, sottoposti a ricerca
scintigrafica del Linfonodo/i Sentinella per
melanoma cutaneo presso la Sidney Melanoma
Unit, è riuscita a mettere a punto un programma
interattivo, accessibile on-line, che permette
all’utente, una volta individuata sulla sagoma del
sito l’esatta sede del melanoma cutaneo, di
sapere “a priori” quali e quanti potrebbero essere i
bacini di drenaggio per quel melanoma e con
quale percentuale di probabilità.
L’indirizzo del Sito interattivo è:
http://sites.bioeng.auckland.ac.nz/hrey004/ ed il
lavoro della Reynolds è condensato in forma di
Articolo sulla prestigiosa rivista The Lancet
Oncology2.
Bibliografia
1) Thompson JF,Uren RF.Lymphaticmapping in
management of patients with primarycutaneous
melanoma.
Lancet Oncol, 2005; 6(11): 877-885
2) Reynolds HM, Dumbar PR, Uren RF, Blackett SA,
Thompson JF, Smith NP. Three-dimensionalvisualization
of lymphaticdrainagepatterns in patients with
cutaneous melanoma.
Lancet Oncol, 2007; 8(9): 806-812
~
NUOVE TECNICHE CHIRURGICHE
SENOLOGICHE: PREVENZIONE DEL LINFEDEMA
CORRELATO CON IL TRATTAMENTO
CHIRURGICO DEL CARCINOMA MAMMARIO
M. Gennaro Dirigente Medico - S.C. Chirurgia Generale Indirizzo
Oncologico 3, IRCCS - Istituto Nazionale Tumori di Milano
Introduzione
La dissezione linfonodale ascellare ha
progressivamente ridotto il proprio ruolo nel
trattamento chirurgico del carcinoma mammario,
come anche riportano i recenti risultati dal trial
Z0011 dell’American College of Surgeons
Oncology Group. Malgrado questa tendenza, in
molti casi rimane indicata, sia per finalità
terapeutiche, sia per indirizzare le terapie adiuvanti
(radianti e mediche). Il così detto Breast Cancer
Related Lymphedema (BCRL), che è
indubbiamente la complicanza più temuta del
trattamento chirurgico, viene riportato in una
quota variabile di pazienti e fino al 65 %, in
relazione al diverso tipo di trattamento loco
regionale ed al diverso metodo di rilevazione e
diagnosi applicato.
Attraverso una linfoscintigrafia retrograda del
braccio (ARM – Axillary Reverse Mapping) è
possibile individuare efficacemente i linfonodi e le
vie di drenaggio linfatico del braccio che
potrebbero venire rispettati durante la dissezione
ascellare proprio con l’intento di ridurre il BCRL.
Questa dissezione ascellare, indirizzata al
drenaggio linfatico della mammella, con il rispetto
4
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
del drenaggio dell’arto, viene definita selettiva
(SAD – Selective Axillary Dissection)
L’applicazione di questa metodica si basa
essenzialmente su due presupposti:
1. I linfonodi ascellari che drenano il braccio sono
raramente coinvolti dalla disseminazione
linfatica del carcinoma mammario.
2. Il rispetto di questi linfonodi e delle vie linfatiche
afferenti ed efferenti preserva dal rischio di
BCRL.
Pazienti e metodi
Da giugno 2009 a febbraio 2012, 60 pazienti
candidate alla dissezione ascellare per carcinoma
mammario sono state sottoposte ad ARM
preoperatoria. La SAD estesa fino al terzo livello di
Berg è stata condotta con successo in 45 di queste
pazienti, con la documentazione, al termine
dell’intervento, di un hot spot residuo, mediante la
stessa sonda in uso per la biopsia del linfonodo
sentinella che ha guidato l’intervento selettivo.
Nello stesso periodo 13 pazienti sono state
sottoposte alla dissezione ascellare completa con
la tecnica tradizionale. Tutte le pazienti sono state
sottoposte a valutazione fisiatrica e linfoscintigrafia
sequenziale del braccio bilaterale comparativa a
un mese dall’intervento e ogni sei mesi per la
rilevazione-diagnosi del BCRL.
Nel confronto le 45 pazienti che con successo
sono state operate con la SAD rappresentano il
Gruppo A, mentre le 13 pazienti sottoposte a
dissezione tradizionale e le 15 pazienti che non
hanno ottenuto la dissezione selettiva dopo ARM
(28 pazienti) rappresentano il Gruppo B.
Risultati
La mediana di follow up è di 16 mesi (6-36) e
durante questo periodo 12 pazienti hanno
sviluppato un BCRL (Tabella 1 e Tabella 2). Nessuna
paziente ha sviluppato una recidiva linfonodale
durante il follow up.
Conclusioni
La conservazione dei linfonodi hot dopo ARM può
progressivamente migliorare il drenaggio linfatico
del braccio per l’intrinseca capacità plastica della
rete linfatica. Questa capacità plastica spiega
perché il linfedema non si è sviluppato in tutti i casi
nei quali i linfonodi hot sono stati rimossi durante la
dissezione ascellare.
La SAD ha prodotto una riduzione significativa del
BCRL (9% vs 29%; p=0.048). con una sensibile
riduzione della morbidità delle pazienti candidate
a dissezione ascellare.
Table 1. Patients, treatment and tumour characteristics at
surgery in group A and B.
Group A
(45 patients)
Group B
(28 patients)
p
Age 49 (30-76) 48.5 (28-86) NS
BMI 24.1(16-34.8) 23.8(17.6-32.4) NS
Tumour size 1.5 (0.1-3.5) 1.5 (0.2-3) NS
Lymph nodes
removed
18 (11 – 28) 21 (11 – 36) NS
Lymph nodes
involved
1-3
4-9
≥10
36
8
1
23
3
2
NS
Type of breast
surgery
BCS
TM
22
23
13
15
NS
Radiotherapy
YES
NO
29
16
19
9
NS
Table 2. Occurrence of BCRL in group A and B.
Group A
(45 patients)
Group B
(28 patients)
p
%
BCRL
(N)
9% (4)
29% (8)
.048
ALND
(13
patients)
23% (3)
SAD +
Hot nodes
(15 patients)
33% (5)
NS
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5
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
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~
LE COMPLICANZE LINFOLOGICHE NEL
TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL MELANOMA
CUTANEO
R. Patuzzo, A. Maurichi, R. Ruggeri, GF. Gallino e M.
Santinami Unità Melanoma e Sarcoma - IRCCS Istituto Nazionale dei
Tumori di Milano
La chirurgia del melanoma prevede interventi
demolitivi di ampie zone cutanee e sottocutanee
spesso combinati a dissezioni linfonodali che
pertanto sconvolgono le naturali vie di drenaggio
linfatico e sono responsabili di importanti
complicanze e deficit cronici di interesse
linfologico.
Incidenza
L’incidenza del melanoma è in costante
incremento in Occidente, con aumenti del 3-7%
nella ultima decade (1). Negli USA l’incremento è
stato del 4% per anno negli ultimi quindici anni. Il
tasso più elevato di incidenza per melanoma è
tuttora osservato in Australia e Nuova Zelanda (50
nuovi casi l’anno ogni 100.000 abitanti), il più basso
in Giappone. In Italia il tasso di incidenza è di circa
8-10 nuovi casi/anno ogni 100.000 abitanti.
Evoluzione
L’evoluzione clinica della malattia è fortemente
correlata alle caratteristiche istologiche del tumore
primitivo come lo spessore (il Breslow), la presenza
di ulcerazione e l’indice mitotico. La maggior
parte dei melanomi si presenta inizialmente con
uno stadio iniziale (Stage I o II) (2). Dalle casistiche
della letteratura internazionale si evince che,
nonostante il trattamento precoce, circa il 16-20%
di tutti i melanomi svilupperà una recidiva di
malattia. La ripresa di malattia si può presentare,
nel 20-28% dei casi, sottoforma di recidiva locale o
di metastasi in transit; nel 15-50% dei casi si sviluppa
malattia metastatica a distanza, ma più
frequentemente la ripresa oncologica si presenta
6
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
con interessamento linfonodale di tipo regionale
(26-60%) (3).
Le principali stazioni linfonodali di interesse
chirurgico nel melanoma sono:
regione laterocervicale e parotidea
regione ascellare
regione inguinale
regione epitrocleare, poplitea
Regione Laterocervicale e parotidea
Circa il 10-25% di tutti i melanomi origina nel
distretto “testa-collo” (10) La ricerca del linfonodo
sentinella nei melanomi di questa sede è spesso
difficile e richiede molta esperienza ed un centro
oncologico specializzato (11). Il drenaggio linfatico
in questi casi è, infatti, complesso e articolato: i
linfonodi sono spesso di dimensioni millimetriche e
le strutture anatomiche “nobili” sono molte. Per
questi motivi associati ad un rischio elevato di
morbidità gli specialisti hannoa cercato tecniche
sempre meno invasive.
La Dissezione Radicale classica prevede la
demolizione dello sternocleidomastoideo, della
vena giugulare interna oltre al sacrificio del nervo
accessorio spinale (12). Questo approccio
chirurgico è stato il trattamento di scelta per molti
anni nelle patologie neoplastiche del distretto
cervico facciale mentre oggi, viene riservato solo
a casi particolari di malattia avanzata loco
regionale (spesso pluri-recidiva dopo chirurgia).
La Dissezione Radicale Modificata, attualmente,
rappresenta la tattica terapeutica di elezione per il
controllo della malattia loco regionale
consentendo una riduzione della morbidità e la
conservazione di tutte le strutture nobili, compreso
il muscolo sternocleidomastoideo, la vena
giugulare ed il nervo accessorio spinale (13).
La Dissezione Selettiva di gruppi linfonodali limitati
rientra in una logica di trattamento personalizzato
che può essere presa in considerazione solo in casi
selezionati.
Alcuni autori, per esempio, eseguono dissezione
del distretto cervicale “anteriore” in caso di
malattia della regione facciale o in caso di
interessamento linfonodale delle stazioni
sottomandibolari; le stazioni linfatiche “posteriori”
dal II° al V° livello possono essere dissecate
selettivamente solo in caso di malattia dello scalpo
posteriore, del collo posteriore o della regione
sovraclaveare.
Un capitolo a parte merita il discorso sulla
parotidectomia: è dimostrato dall’esperienza
comune e dalla letteratura che in caso di malattia
linfonodale della regione parotidea, si ha un
rischio potenziale di avere una malattia occulta
nel collo nel 50% dei casi. Per tale motivo si
effettua sempre una dissezione radicale
modificata del collo in combinazione con la
parotidectomia. Diverso è il discorso per la
patologia laterocervicale che può interessare la
parotide: in letteratura si ritrova una percentuale
intorno al 12% di metastasi occulte della regione
parotidea in pazienti dissecati per malattia
avanzata del collo (14,15).
Complicanze:
Nella dissezione laterocervicale le complicanze
precoci sono relativamente ridotte rispetto agli altri
distretti; le infezioni di ferita e il sanguinamento
non superano il 2%. La lesione del dotto toracico si
può verificare raramente nelle importanti
demolizioni dell’angolo claveare sinistro e può
portare a chilorrea significativa (output>1500
cc/die).
Le complicanze tardive più frequenti sono legate
alla denervazione superficiale con parestesie
nell’area auricolare e limitazioni funzionali dovute
al danno permanente di alcuni rami del facciale o
del nervo accessorio spinale che avvengono nell’8
% dei casi (1).
Regione ascellare
La dissezione ascellare presenta degli standard
qualitativi di tecnica chirurgica che sono noti
anche ai chirurghi generali perché praticata
diffusamente anche nel tumore della mammella.
Noto però è il fatto che, nel caso della chirurgia
senologica, il valore della dissezione ascellare ha
un significato puramente stadiativo e di controllo
della malattia locale mentre nella tattica
terapeutica del melanoma la necessità di eseguire
una dissezione radicale riveste ancora un valore
fondamentale.
La letteratura conferma la necessità di eseguire
una dissezione radicale che impatta non solo
sull’allungamento della sopravvivenza libera da
malattia (DFS), ma anche sulla sopravvivenza
globale (16,17). L’estensione della dissezione,
valutata tramite il numero dei linfonodi asportati, è
correlato con l’incremento della sopravvivenza .
Complicanze:
Nella letteratura internazionale l’incidenza di
linfedema cronico dopo dissezione ascellare per
melanoma è in media molto bassa (2%) (1,18). Lo
spessore dei lembi cutanei e l’ampiezza della
demolizione cutanea rimangono i fattori
determinanti per l’evoluzione di un linfedema
cronico che ovviamente è favorito nei pazienti
con malattia loco regionale avanzata
La necessità di preservare il piccolo pettorale per
ridurre le complicanze non è dimostrata dalla
letteratura; in casi selezionati di localizzazione
linfonodale micro metastatica, il piccolo pettorale
può essere rispettato. In caso di localizzazione
linfonodale macroscopica o di recidiva
linfonodale dopo inadeguata dissezione, la
chirurgia deve essere più demolitiva per
mantenere un intento radicale.. La linforrea nelle
prime settimane che seguono la chirurgia rimane
la complicanza più frequente insieme alle
parestesie.
parestesie 70-80 %
affaticamento, pesantezza 80 %
linfocele, linforrea 5-20 %
limitazioni funzionali 9 %
dolore 6 %
linfedema 1-4 %
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Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
Regione inguino-iliaca
Capitolo controverso rimane l’estensione della
linfadenectomia inguinale. In caso di
interessamento linfonodale in regione inguinale, lo
standard attuale prevede l’esecuzione di una
dissezione radicale estesa sino alla biforcazione
iliaca e comprendente il distretto pelvico
otturatorio.
La letteratura ha dimostrato che anche in caso di
micro metastasi, individuate attraverso la
metodica del linfonodo sentinella in regione
inguinale superficiale, si può avere un
interessamento della stazione profonda iliaco-
otturatoria nel 20% dei casi (19): per questo motivo
riteniamo importante associare alla dissezione
inguino crurale superficiale anche una dissezione
retro peritoneale iliaco otturatoria radicale.
I dettagli tecnici della dissezione inguinale possono
essere diversi: nella dissezione della stazione
superficiale importante è la preparazione dei
lembi cutanei e la rimozione della vena safena a
livello della cross safeno-femorale dove si
concentrano il maggior numero di adenopatie. In
caso di dissezione iliaco-otturatoria si può incidere
il legamento inguinale a livello del decorso dei vasi
femorali o lateralmente in vicinanza della spina
iliaca: questo permette una maggiore esposizione.
Diversi operatori eseguono la dissezione retro
peritoneale senza incidere il legamento inguinale
tramite una seconda incisione superiore.
Complicanze:
La dissezione inguinale si associa ad un elevato
numero di complicanze rispetto alle altre dissezioni
(50-64% comparata al 14-17% della dissezione
ascellare); oltre il 20% dei pazienti presenta un
linfedema cronico (1).
Le complicanze precoci includono infezioni di
ferita e necrosi dei lembi, linfocele, linforrea e
parestesie. Tra le complicanze tardive le parestesie
ed il linfedema cronico sono sicuramente quelle di
maggiore impatto sulla qualità di vita.
parestesie 90 %
affaticamento, pesantezza 80 %
limitazioni funzionali 6-20 %
linfocele, linforrea 5-27 %
dolore 8 %
laparocele 4-5 %
linfedema 20-40 %
Il potenziale sviluppo di un linfedema dopo la
dissezione linfonodale è favorito da molteplici
fattori:
necessità di eseguire lembi sottili e poco
vascolarizzati;
l’obesità (minore numero di linfatici per cm
cubo);
la contemporanea presenza di un’ampia
exeresi del primitivo nella parte alta della
gamba
orientamento delle incisioni chirurgiche
(opposta alla direzione dei vasi linfatici);
lo sviluppo di una cellulite-linfangite non
adeguatamente trattata.
evoluzione della malattia
Nelle prime fasi del trattamento la diagnosi
precoce dell’interessamento linfonodale è il primo
passo per ridurre la morbidità e le complicanze
operatorie: Sebel et al (4) e altri autori hanno
dimostrato come si osservi una netta differenza di
complicanze di ferita nei pazienti dissecati per una
localizzazione micro metastatica linfonodale (LS+)
rispetto al gruppo che presenta malattia
linfonodale palpabile (14% vs 28%). Anche il
linfedema cronico si presenta in percentuale
minore nel primo caso (24% vs 41%) (5): gli autori
ipotizzano che l’elevata morbidità nel gruppo di
pazienti con malattia più avanzata possa essere
legata alla necessità di eseguire lembi cutanei più
sottili e alla esecuzione di incisioni più ampie.
La riduzione della morbidità può essere migliorata
anche da una buona programmazione della
tecnica della biopsia del linfonodo sentinella:
quando il linfonodo sentinella è mappato nella
porzione crurale sotto il legamento inguinale,
l’incisione dovrebbe essere eseguita con
orientamento verticale, circa mezzo centimetro
sotto il legamento; quando il sentinella risulta sopra
il legamento inguinale l’incisione dovrebbe essere
orientata invece, in modo leggermente obliquo: la
corretta pianificazione del sentinella permette di
eseguire in corso di dissezione una incisione più
limitata e minore sacrificio di tessuti (5).
Molti autori hanno proposto la modificazione di
alcuni passaggi chirurgici della dissezione al fine di
ridurre le morbidità: Judson et al (6) hanno
valutato l’impatto della trasposizione del muscolo
sartorio sulle complicanze non rilevando nessuna
differenza significativa. Altri gruppi hanno proposto
di conservare la vena safena nel corso della
dissezione crurale (4,7) dimostrando una riduzione
del linfedema dal 30 al 13% e una riduzione delle
complicanze di ferita dal 20 al 7%. Questi studi
sono relativamente piccoli e non randomizzati e
non giustificano una trattamento
oncologicamente non sicuro: la maggior parte dei
linfonodi metastatici si trova infatti nella regione
della cross safeno femorale (8,9).
La giusta programmazione dell’intervento, la
profilassi antibiotica e antitrombotica rientrano tra
gli elementi fondamentali per ridurre il rischio di
complicanze. Nell’immediato postoperatorio una
precoce mobilizzazione, l’utilizzo di sistemi di
compressione e di fisioterapia precoce hanno
dimostrato una riduzione della morbidità e una
riduzione importante del linfedema cronico (23).
Bibliografia
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VALUTAZIONE A DISTANZA DELLA PERVIETA’
DELLE ANASTOMOSI LINFATICHE DOPO
MICROCHIRURGIA DERIVATIVA DEL LINFEDEMA
PERIFERICO
S. Mukenge Dirigente Medico, U.O. Chirurgia Generale - Epatobiliare,
Istituto Scientifico Universitario San Raffaele - Milano
Il linfedema secondario periferico, esito di una
chirurgia oncologica radicale, si riscontra
principalmente a carico degli arti superiori, inferiori
e degli organi genitali esterni maggiormente nei
maschi con una minima incidenza nel sesso
femminile. Per la sua specificità la chirurgia
demolitiva, exeresi dell’organo ammalato con una
linfoadenectomia loco-regionale estesa, ha come
scopo la radicalità oncologica e, non di poca
importanza, lo staging della malattia.
Le varie tecniche chirurgiche sono ormai a portata
di chiunque voglia intraprendere la strada dello
studio e cure delle malattie del sistema linfatico
periferico.
La mia relazione si interesserà in particolare dei
risultati a breve. media e lunga distanza di tempo
dalla chirurgia del linfedema, focalizzandosi sulle
due tecniche microchirurgiche maggiormente in
uso nei grandi centri italiani e mondiali: lo shunt
linfatico-venoso ed il grafting (innesto) linfatico.
Sono stati presi in studio 45 pazienti sottoposti nel
periodo tra 2005-2011 ad intervento di
microchirurgia per linfedema che rispondevano ai
seguenti criteri di inclusioni:
Età compresa tra 25-75 anni; linfedema di III
grado; pazienti sottoposti a terapia fisica senza
duraturo beneficio; non prima di un anno dal
termine della terapia oncologica(radio-
chemioterapia).adiuvante; non oltre 15 anni dalla
comparsa del linfedema.
Dei 45 pazienti, 32 sono stati sottoposti ad
anastomosi linfo-venosa degli arti inferiori; 7
pazienti affetti da linfedema degli organi genitali
esterni maschili sono stati sottoposti a shunt linfo-9
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
venoso a carico del funicolo spermatico, mentre i
6 restanti affetti da linfedema degli arti superiori
sono stati candidati al grafting linfatico tra i
collettori della regione giugulo-sovraclaveare e
quelli brachiali in prossimità dell’ascella mediante
innesto di un collettore linfatico prelevato alla
coscia sana.
Oltre all’obiettività riscontrata durante il follow-up
dei pazienti, l’indice di gradimento acquisito
mediante la risposta scritta alle domande inviate a
domicilio, la pervietà delle anastomosi
confezionate è stata principalmente studiata con
la Linfografia con indocianina verde
photodynamic PDE.
A distanza di 6 mesi 36 dei 45 pazienti candidati
alla chirurgia hanno avuto una ottima risposta
all’intervento (vedi grafici ed immagini nel testo
definitivo della relazione) Oltre alla
documentazione della pervietà anastomotica, la
linfografia con indocianina verde, ha anche
permesso di osservare la presenza di multipli vasi
linfatici neoformati emergenti a livello dell’area
peri-anastomotica linfo-venosa ma anche tra i
collettori prossimali alle anastomosi. Questi meshes
che abbiamo osservato sembrano essere
determinanti nel meccanismo di drenaggio
linfatico traumatico, un nuovo fenomeno di
riparazione tissutale riscontrato in tutti i distretti
interessati dalla microchirurgia, ed espressione di
linfoangiogenesi locale, capitolo già ampiamente
sviscerato dai biologi e fisiologi negli animali di
laboratorio, ma mai prima d’ora documentato
nell’ essere umano.
Bibliografia
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NUOVI SVILUPPI SULLA FISIOLOGIA E
FISIOPATOLOGIA DEL SISTEMA LINFATICO
INIZIALE
D. Negrini Professore Ordinario di Fisiologia Umana, Università degli
Studi dell’Insubria - Varese
Nella maggior parte dei tessuti, il volume del fluido
interstiziale dipende dall’interazione di vari
meccanismi:
a) la filtrazione di liquido e soluti dai capillari
ematici verso l’interstizio circostante,
b) la rimozione di liquido tissutale ad opera del
sistema linfatico;
c) il comportamento meccanico della matrice
interstiziale.
Nonostante all’estremo venoso del capillare
ematico la pressione idraulica sia inferiore rispetto
a quella dell’estremo arterioso, nella maggior
parte dei tessuti (solamente con eccezione del
tessuto interstiziale cerebrale e della midollare
renale) il liquido tende ad essere filtrato anche a
livello dell’estremo venulare (6,10).
Pertanto, l’asportazione di liquido e soluti
dall’interstizio e quindi il mantenimento del
normale volume interstiziale si basa sull’intervento
drenante del sistema vascolare linfatico.
Quest’ultimo rappresenta infatti il meccanismo
fisiologico più efficiente di rimozione di acqua
interstiziale e l’unico utilizzabile per l’eliminazione di
macromolecole idrofiliche e cellule dal tessuto; in
questo senso il sistema linfatico svolge un
importante funzione di prevenzione nei confronti
del potenziale sviluppo di edema tissutale.
La rete linfatica iniziale origina direttamente dal
tessuto interstiziale mediante piccoli capillari
linfatici a fondo cieco la cui parete è costituta da
uno strato di cellule endoteliali contornate dalla 10
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
corrispondente membrana basale, spesso
discontinua (1,4). La linfa neo-formata nei vasi
linfatici iniziali viene poi convogliata verso i dotti
collettori, di dimensioni maggiori, la cui parete è
composta da endotelio e la cui membrana basale
continua è supportata da uno strato più esterno di
cellule muscolari lisce (1, 2). L’azione drenante dei
linfatici iniziali si basa sull’insorgenza, al loro interno,
di variazioni cicliche della pressione intraluminare
linfatica (Plinf). In una prima fase del ciclo, Plinf è
inferiore alla pressione interstiziale, Pi, circostante: si
instaura quindi un gradiente di pressione netto
(ΔPlinf = Pi - Plinf) tra interstizio e lume linfatico, in
grado di sostenere un flusso di liquido dall’interstizio
al lume vasale e la formazione della linfa.
L’accumulo di linfa nel vaso determina l’aumento
di Plinf, forzando la progressione centripeta della
linfa neo-formata verso i dotti collettori. Il
funzionamento e l’efficienza di questo
meccanismo necessitano della presenza di valvole
linfatiche unidirezionali:
a) primarie (4), dislocate nella parete del linfatico
iniziale, che consentono un accesso unidirezionale
del liquido e dei soluti nel lume linfatico;
b) intraluminari (1,4), posizionate lungo il decorso
del vaso, che impediscono il reflusso della linfa
verso l’interstizio e ne favoriscono la progressione
centripeta.
Le variazioni cicliche di Plinf rispetto a Pi,
presupposto fondamentale per la formazione e
progressione della linfa, sono sostenute:
a) da un meccanismo “estrinseco” legato al
movimento del tessuto (per esempio attività
muscolare) e correlato allo stress meccanico
trasmesso alle pareti del vaso linfatico tramite le
macromolecole della matrice interstiziale (1,6,7);
b) da un meccanismo “intrinseco” che consiste
nella contrazione e rilasciamento spontanei
(attività miogenica (1,2,3,5,12,13) della
muscolatura liscia di cui è provvista la parete dei
vasi linfatici di calibro superiore.
Nonostante il recente impulso dato dalla biologia
molecolare allo studio del sistema linfatico, esso
rimane attualmente la componente meno
studiata e meno conosciuta dell’intero sistema
vascolare.
In particolare, sono note solo parzialmente (8) le
modalità attraverso cui i due meccanismi
intrinseco ed estrinseco si coordinano nel garantire
sia la formazione e propulsione della linfa che la
modulazione del flusso linfatico in condizioni di
aumentato volume interstiziale. Di conseguenza, le
terapie comunemente utilizzate per la remissione
del linfedema secondario sono a tutt’oggi
inadeguate ad affrontare in modo efficiente e
sicuro il quadro clinico del paziente.
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RETE DELLE MALATTIE RARE DEL PIEMONTE E
DELLA VALLE D’AOSTA
D. Roccatello Direttore del Centro di Ricerche di Immunopatologia e
Documentazione su Malattie Rare (CMID), Ospedale G.
Bosco e Università di Torino, Coordinamento
Interregionale delle Malattie Rare del Piemonte e della
Valle d’Aosta
Definizione di Malattia Rara
Il concetto di malattia rara è stato per la prima
volta introdotto negli USA negli anni ’80 del secolo
scorso da parte di lobby di pazienti interessate a
stimolare la produzione di farmaci per malattie a
bassa prevalenza (farmaci orfani).
In Italia la problematica delle malattie rare è stata
affrontata in maniera organica con il Decreto
Ministeriale 279/2001. In questo documento il
legislatore, coerentemente con lo spirito del
Programma d’azione comunitario sulle malattie
rare 1999-2003 – che definisce come rare le
patologie con prevalenza < 5 su 10.000 abitanti
della Comunità Europea - e avvalendosi dei criteri 11
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
indicati nel decreto legislativo 124/1998 relativo al
riordino della disciplina sulle esenzioni (gravità
clinica, grado di invalidità associato, onerosità
della quota di partecipazione al costo del
trattamento) ha identificato circa 700 patologie
rare ritenute meritevoli di esenzione dalla
partecipazione ai costi sanitari. Il DM 279/2001 ha
posto anche le basi per la realizzazione di un
Registro Nazionale con finalità epidemiologiche e
di sanità pubblica.
La Rete delle Malattie Rare del Piemonte e della
Valle d’Aosta
Nel Marzo del 2004 è stata istituita la Rete
Regionale Piemontese per le malattie Rare, più di
recente estesa alla Valle d’Aosta, con l’obiettivo
di fornire un’assistenza sanitaria diffusa
capillarmente. In questo senso il “modello
Piemonte e Valle d’Aosta” si sta rivelando
esperienza unica in Italia: fondato sul principio
dell’agevolazione dell’accesso alle strutture di
eccellenza per la fase diagnostica e sul
decentramento delle attività terapeutiche e
riabilitative presso le Aziende Sanitarie Locali (ASL),
soprattutto nel caso di interventi assistenziali non
episodici che, nel caso delle malattie rare,
rappresentano la modalità di intervento più
frequente.
Il modello organizzativo consiste di un Centro di
Coordinamento Interregionale, che ha sede
presso il Centro di Ricerche di Immunopatologia e
Documentazione su Malattie Rare (CMID)
dell’Ospedale Giovanni Bosco di Torino, e di un
Tavolo Tecnico-Specialistico dove sono
rappresentati, oltre all’Assessorato alla Sanità della
Regione Piemonte, il Coordinamento
interregionale, ed i Referenti delle ASO piemontesi
e dell’AUSL di Aosta. Il modello si fonda
sull’identificazione di percorsi ottimali sviluppati da
“Consorzi clinico-assistenziali”, gruppi di lavoro
multispecialistici che elaborano protocolli
diagnostici e terapeutici condivisi (PDTA) al fine di
garantire una gestione del paziente che sia
ispirata a consensus statement nazionali e
internazionali ed uniforme sul territorio delle due
regioni. La Rete si inserisce organicamente nel
network nazionale disegnato dal DM 279/2001.
Il Registro interregionale delle Malattie Rare del
Piemonte e della Valle d’Aosta
è un Registro informatizzato accessibile tramite
web pur nel rispetto dei più elevati standard di
sicurezza attuali. E’ strumento critico della rete,
funzionale non solo alla raccolta di dati
epidemiologici, ma anche alla validazione e
all’accreditamento delle attività dei presidi che
sono tenuti, nei settori identificati come di interesse
strategico dal Tavolo Tecnico-Specialistico, alla
sistematica applicazione dei PDTA. Vi possono
accedere tutti gli specialisti ospedalieri del SSR (per
i quali la segnalazione è obbligatoria, al fine
dell’ottenimento dell’esenzione dalle spese
sanitarie da parte dei pazienti). Il Registro prevede
siano indicati i criteri diagnostici applicati e sia
stilata una scheda di programma terapeutico, nel
caso di prescrizioni farmacologiche, che consenta
l’analisi di efficacia, di effetti avversi e di costo di
trattamento di singole patologie.
Il Registro interregionale delle Malattie Rare
rappresenta pertanto uno strumento di
identificazione di criticità, un parametro non
autoreferenziale di attività assistenziale dei
presidi della Rete, un indicatore potenziale di
investimento di risorse una fonte di condivisione e
di collaborazione fra gi operatori coinvolti. Il
Registro consente di estrapolare i dati richiesti
dall’Istituto Superiore di Sanità che vengono
inoltrati con frequenza semestrale. La Tabella 1
riassume i dati aggiornati al Giugno del 2012.
DEFINITIVA 17127
STORICA 1902
TEMPORANEA 4730
NON VALIDATE 410
Tabella 1: segnalazioni di malattia rara censite nel
registro interregionale delle Malattie Rare del Piemonte e
della Valle d’Aosta nel periodo dal 30.06.2005 al
30.06.2012. Legenda: definitiva: si riferisce a pazienti con
diagnosi certa di malattia rara; storica: si riferisce a
pazienti con diagnosi certa di malattia rara effettuata
precedentemente alla realizzazione del registro;
temporanea: si riferisce a pazienti in cui si sospetta una
malattia rara; non validate: si riferisce a schede per cui
mancano i criteri minimi per la diagnosi di malattia rara
e che sono attualmente in fase di revisione da parte
degli specialisti curanti.
Attività consortili
Le attività consortili multidisciplinari sono
rappresentate da gruppi di lavoro dedicati alla
ricerca applicativa ed alla preparazione e
diffusione di consensus statement su malattie rare
indicate dal Tavolo Tecnico-Specialistico come di
interesse prioritario per il Sistema Sanitario
Regionale. Questi gruppi di lavoro coinvolgono
specialisti provenienti dalla maggior parte delle
Aziende Sanitarie del Piemonte e della Valle
d’Aosta e provvedono ad elaborare i PDTA ed
organizzare in collaborazione col Centro di
Coordinamento eventi formativi rivolti agli
operatori ed informativi per l’utente e le
Associazioni. Attualmente sono attive in Piemonte
e Valle d’Aosta attività consortili dedicate alle
patologie indicate nella Tabella 2.
12
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
Neuropatie periferiche immunomediate
S. di Arnold Chiari, siringomielia e siringobulbia
Neurofibromatosi
Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi
Ipertensione polmonare primitiva
Connettivite indifferenziata
Sclerodermia
Amiloidosi
Pubertà precoce
Porfirie
Osteodistrofie congenite
Malattie lisosomiali
S. di Prader-Willi
Sindromi Surreno-Genitali
Sindromi Poliendocrino Autoimmuni
Sindrome di Klinefelter
Disturbi ereditari emorragici
Transizione dall’età evolutiva all’attività adulta
Tabella 2: le attività consortili attualmente presenti in
Piemonte e in Valle d’Aosta
Centri esperti
Una naturale evoluzione delle attività consortili è la
costituzione di Centri Esperti che realizzino di
concerto con le ASL di residenza dei pazienti un
piano di cura personalizzato, che vigilino
sull’effettiva realizzazione del piano assistenziale e
svolgano, in collaborazione con il Centro di
Coordinamento della Rete, un’attività di
formazione degli operatori coinvolti nella presa in
carico del paziente.
Attualmente la Regione Piemonte ha individuato
due Centri Esperti per la Sclerosi Laterale
Amiotrofica (presso l’Ospedale Molinette di Torino
e presso l’Ospedale Maggiore della Carità di
Novara) ed un Centro Esperto per la Siringomielia-
Siringobulbia e Sindrome di Chiari presso
l’Ospedale CTO di Torino.
Procedure di esenzione dalla partecipazione alle
spese sanitarie per i pazienti affetti da malattia
rara
In Piemonte ed in Valle d’Aosta l’esenzione è
possibile non solo per i soggetti affetti dalle
patologie indicate nel DM 279/2001 ma anche per
circa 40 patologie, e gruppi di patologie, esentati
localmente con la DGR 38-15326 del 12 aprile
2005.
Qualora lo specialista confermi la diagnosi di
malattia rara, ottenuto il consenso per il
trattamento dei dati da parte del paziente,
censisce il caso nel Registro Regionale delle
Malattie Rare e stampa un modulo di richiesta di
esenzione. Il paziente può quindi recarsi presso
l’Ufficio esenzioni della propria ASL di residenza per
ottenere il certificato di esenzione definitivo.
Se fossero necessarie ulteriori indagini per
formulare una diagnosi certa, viene richiesta
un’esenzione temporanea (di validità limitata a 12
mesi) che permette al paziente di completare le
indagini necessarie.
Nel caso in cui la diagnosi di malattia rara sia
posta in un’altra Regione (o in un altro Stato)
l’ufficio esenzioni dell’ASL di residenza deve
contattare il Centro di Coordinamento della Rete
Interregionale per le Malattie Rare che provvederà
agli accertamenti necessari e a censire il paziente
nel registro interregionale.
Accesso alla rete da parte del medico di
medicina generale e del pediatra di libera scelta
in caso di sospetto di malattia rara
I medici di medicina generale/pediatri di libera
scelta (MMG / PLS) possono inviare il paziente ad
una valutazione specialistica presso qualunque
Centro della Rete Interregionale per le Malattie
Rare del Piemonte e della Valle d’Aosta o presso i
presidi accreditati delle altre regioni.
I MMG / PLS ed i pazienti possono ricercare i centri
con maggiore esperienza nella sezione “Offerta
assistenziale” del Sito Regionale dedicato o
contattare direttamente il CMID (vedi i riferimenti
in calce).
Il paziente potrà effettuare la visita specialistica in
regime di esenzione dal pagamento delle spese
sanitarie se il MMG /PLS avrà indicato
sull’impegnativa il codice di esenzione R99. In caso
di malattia rara di origine ereditaria anche gli sui
familiari sono gratuiti.
Opportunità terapeutiche
La Regione Piemonte e la Regione Valle d’Aosta
hanno esteso la possibilità di accesso ai farmaci in
fascia C, ai galenici con caratteristiche salvavita
ai farmaci innovativi la cui
commercializzazione è autorizzata in altri Stati, ai
farmaci impiegati per un’indicazione terapeutica
diversa da quella autorizzata, nonché ai farmaci
utilizzati a dosaggio non previsto dal foglietto
informativo.
La fornitura è subordinata alla stesura di un piano
terapeutico informatizzato da parte del medico
specialista.
Eventi scientifici
Il CMID, organizza per l’Università di Torino un
Master biennale di II livello sulle Malattie Rare, e
numerosi Meeting formativi, ad includere il
Convegno di Immunopatologia e Malattie Orfane,
che, giunto alla sua 16° edizione, coinvolge
quest’anno un centinaio di relatori tra i massimi
esperti di settore (Torino Incontra, Piazzale Fusi,17-
19 Gennaio 2013).
Contatti
Per ulteriori informazioni sulle attività consortili e dei
Centri Esperti, per i nominativi dei coordinatori
delle diverse attività e per gli eventi scientifici è
possibile contattare il Centro di Coordinamento
della Rete Interregionale (tel. 011-2402127 (dal
13
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
Lunedì al Venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 17.00) o
inviare una email all'indirizzo:
~
LA CRONICIZZAZIONE DEL LINFEDEMA
PRIMARIO E SECONDARIO: INTEGRAZIONE TRA
PROGETTO SANITARIO E SOCIALE
L. Panella, L. Volontè Medicina Fisica e Riabilitazione - Istituto Ortopedico
Gaetano Pini - Milano
Il sistema sanitario italiano dispone da decenni di
sistemi di sorveglianza per le patologie acute ma
non esiste invece alcuna infrastruttura di
sorveglianza per le malattie cronico-degenerative,
che pure rappresentano la causa di gran lunga
più rilevante in termini quantitativi dei decessi e
delle richieste di assistenza sanitaria. Le malattie
croniche tendono anche ad accumularsi a livello
individuale, possono cioè coesistere
contemporaneamente diverse patologie ed
hanno un’origine multifattoriale, derivano da
interazioni complesse tra gli individui e il loro
ambiente, ma anche dalle effettive opportunità di
promozione della salute e di riduzione dei principali
rischi. Hanno un impatto significativo sulla salute e
sull’assistenza socio-sanitaria, in termini di morte
prematura, cronicità o disabilità. Il linfedema per le
problematiche psicosociali correlate deve avere
una continuità di indirizzo anche nelle fasi di
cronicizzazione: le donne con linfedema hanno
dimostrato di avere una maggiore morbilità
psichiatrica e maggiore disabilità funzionale1.
La richiesta di riabilitazione, anche in questi esiti, è
spesso difficile da controllare e rischia di essere
intesa come ammortizzatore sociale di situazioni di
inappropriatezza clinica che spesso non trovano
risposte di continuità nel sociale. Il programma
riabilitativo ha, rispetto al progetto sul paziente, un
inizio ed una fine che prevede una continuità di
intervento in setting diversi, dall’ospedale al
territorio, con metodiche di approccio diverse,
con risorse diverse anche per competenze. Questo
approccio è in linea con quanto affermato
dall’OMS che sostiene l’opportunità di coniugare
l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale,
integrando le varie dimensioni della disabilità in un
intervento bio-psico-sociale.
L’attività fisica svolta con regolarità induce noti
effetti benefici per la salute a tutte le età della
vita2.
E’ noto in letteratura che uno dei principali ostacoli
al trattamento riabilitativo di successo sia spesso la
mancanza di partecipazione e l'impegno del
paziente quindi gruppi di sostegno sociale possono
essere utili per migliorare l'impegno e la
motivazione sia per il contenimento del disagio
comportamentale che per il mantenimento della
funzione nel linfedema3.
L'esercizio fisico è un elemento essenziale nella
gestione del linfedema. Molti studi supportano
l’ipotesi che l'esercizio fisico migliora il flusso
linfatico ed il riassorbimento proteico, diminuisce la
pressione intratoracica attraverso gli atti inspiratori
facilitando il flusso linfatico, modifica la pressione
interstiziale dei tessuti facilitando la propulsione
della linfa 4. Ciò che non sembra chiarito dalla
letteratura è la tipologia dell’esercizio. Vengono
infatti proposti una varietà di programmi che
variano dal lavoro resistente all’idroterapia, dal Tai
Chi all’esercizio in gruppo basato su contrazione e
rilasciamento accompagnato da respirazione
profonda 5,.
La diversità delle situazioni disabilitanti e la
complessità delle caratteristiche dell’esercizio
inteso come strumento di terapia in cui definire
posologia e timing portano il ragionamento sulla
gestione della continuità terapeutica del paziente
affetto da linfedema cronicizzato a riconsiderare il
paradigma dell’assistenza spostandolo verso un
modello per le malattie croniche che migliori
l’integrazione tra le diverse strutture assistenziali, (di
assistenza primaria, ospedali, territoriali) per
esempio attraverso la gestione dei casi e
l’istituzione di team multidisciplinari. L’ospedale è
attrezzato, dal punto di vista tecnico-organizzativo,
per fornire una risposta ad alta intensità operativa,
ma non è in grado, per le sue caratteristiche
peculiari, di farsi carico della dimensione
diacronica richiesta dalle malattie degenerative a
sede extra-ospedaliera. Il limite anagrafico del
paziente si è spostato e continua a spostarsi verso
confini un tempo impensabili con un notevole
aumento del problema di salute che ne deriva. Se
quindi l’ospedale non può fronteggiare la
cronicità, sia per l’episodicità dell'intervento sia
per la separazione geografica dal territorio, va
recuperato il ruolo della “multidisciplinarietà” e del
collegamento con le cure primarie, anche e non
solo per il radicamento geografico che esse
hanno. La logica vorrebbe che i vari professionisti
della salute entrassero in sinergia per fronteggiare
in modo complementare la “sfida della cronicità”,
compensando l’uno ciò che è carente nell'altro:
da un lato, le competenze specialistiche
(sincroniche) dell’organizzazione ospedaliera e,
dall’altro, la continuità relazionale e spazio-
temporale (dia-cronica) e il radicamento
territoriale delle cure primarie. Se considerassimo il
territorio come un ipotetico reparto ospedaliero
per gli aspetti di relazione e di consulenza tra
professionisti il modello potrebbe essere funzionale
nel garantire centralità delle cure del paziente.
Bibliografia
1. Susan R. Harris, Maria R. Hugi, Ivo A. Olivotto, Mark
Levine, Clinical practice guidelines for the care and
treatment of breast cancer: 11. Lymphedema CMAJ
• JAN. 23, 2001; 164 (2):191-199
13 14
14
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
2. U.S. Department of Health and Human Services 2008
Physical Activity Guidelines for Americans Be Active,
Healthy, and Happy! www.health.gov/paguidelines
2008 Physical Activity Guidelines for Americans
3. Katherine Kerchner, Anne Fleischer, Gil Yosipovitch
Lower extremity lymphedema Update:
Pathophysiology, diagnosis, and treatment guidelines
2008; American Academy of Dermatology, Inc
doi:10.1016/j.jaad.2008.04.013:324-331
4. Dorothy N. S. Chan, Winnie K. W. SO Developing an
Evidence-Based Exercise Guideline on Improving
Shoulder Motion and Lessening the Severity of
Lymphedema for Breast Cancer Patients a Amanda L
Moseley, Neil B Piller Exercise for limb lymphoedema:
evidence that it is beneficial Journal of
Lymphoedema, 2008, Vol 3, No 1 51-56
5. Schmitz KH, Ahmed RL, Troxel A, Cheville A, Smith R,
Lewis-Grant L, Bryan CJ, Williams-Smith CT, Greene
QP. Weight lifting in women with breast-cancer-
related lymphedema. N Engl J Med. 2009 Aug
13;361(7):664-73.
~
STILI DI VITA, PREVENZIONE DELLE RECIDIVE E
DEL LINFEDEMA
M.P. Mano Dirigente Medico, S.C. Epidemiologia dei Tumori 2, A.O.U
Città della Salute e della Scienza, Torino.
Dalla recente letteratura emerge una significativa
correlazione sulla riduzione del rischio di ammalarsi
di carcinomi della mammella, colon prostata ed
endometrio in persone che svolgono attività fisica
in modo regolare; gli studi hanno dimostrato che si
riduce anche il rischio di recidiva di tali malattie.
Il motivo di questo effetto protettivo è
probabilmente legato alla modificazione della
composizione corporea a favore della massa
magra sulla massa grassa: la massa grassa correla
fortemente con la sindrome metabolica, ed
entrambe correlano con il rischio oncologico.
Le donne sottoposte a trattamento per carcinoma
mammario possono avere esiti funzionali se
sottoposte a dissezione ascellare (18-20%), a
linfonodo sentinella (3%), o a ricostruzione
mammaria che utilizza il muscolo pettorale e /o
lembo del muscolo Gran dorsale.
Oggi la dissezione ascellare, grazie ai recenti
risultati della letteratura e alla metodica del
linfonodo sentinella, trova sempre meno
indicazioni mentre, grazie a metodiche
diagnostiche più sensibili (Risonanza Magnetica),
la mastectomia è in fase di leggero aumento così
come sono in aumento fortunatamente le
tecniche di ricostruzione.
Storicamente tutte le raccomandazioni
suggerivano di non usare il lato interessato
dall’intervento per portare carichi o eseguire
attività lavorative pesanti; queste
raccomandazioni sono vissute da molte donne
come aspetto invalidante che riduce la qualità
della vita e in effetti il mancato utilizzo dell’arto
interessato comporta una riduzione progressiva
della mobilità e della forza, oltre che un impatto
sulla performance fisica in generale.
Recentemente però in letteratura sono emersi
interessanti dati che dimostrano che l’attività fisica,
non solo di flessibilità ma anche di tonificazione
con l’utilizzo di carichi crescenti, non comporta un
aumento di rischio di linfedema, anzi il lavoro di
massaggio muscolare sui linfatici porterebbe sui
tempi lunghi ad una riduzione. Inoltre, le
perfomance fisiche e posturali generali migliorano
molto, aumentando nettamente la qualità di vita.
~
EVOLUZIONE DELLE CICATRICI E LORO
TRATTAMENTO
F. Gariboldi Dirigente Medico S.C. di Riabilitazione e Cure
Palliative, IRCCS - Istituto Nazionale Tumori di Milano
La guarigione delle ferite è un processo dinamico
che è inizialmente scandito in tre fasi:
infiammatoria, proliferativi e della maturazione,
concluse le quali (di solito da sei mesi ad un anno)
la cicatrice assume le caratteristiche definitive.
Ogni individuo guarisce dalle ferite in tempi
determinati ma diversi fattori condizionano la
cicatrizzazione e sono locali (sede, tipo di
medicazione e complicanze) e generali
(metabolici, farmacologici, alimentari, razza, età,
ecc.).
Anche le modalità di chiusura della lesione ne
condizionano l’aspetto e, spesso, anche la
funzionalità: l’eversione dei margini, la tensione nel
sito di chiusura, l’orientamento del taglio chirurgico
e la guarigione per seconda intenzione sono
causa di ferite esteticamente scadenti e
funzionalmente inadeguate a sostenere la forza
tensile che non sarà mai come quella del tessuto
integro.
Lo stesso sistema somatosensoriale è aggredito
dalla lesione e produce, nell’area circostante,
disestesie che vanno dall’anestesia al dolore.
La cicatrice pertanto, essendo potenzialmente
responsabile di tensioni e resistenza tissutali, di
limitazioni articolari, di rigidità muscolari e di
modificazioni posturali, deve e può essere curata
anche se non recente.
Il trattamento delle cicatrici prevede tecniche di
massaggio, distensione fasciale, recupero dello
scorrimento dei piani di clivaggio, stretching e
mobilizzazione del distretto anatomico interessato.
~ 15
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
INTERMITTENT PNEUMATIC (IPC) IN THE
TREATMENT OF CANCER RELATED
LYMPHEDEMA
A. Szuba Professor of Medicine - Department of Internal Medicine
4th Military Hospital in Wroclaw, Poland
Pneumatic compression pump was developed
bydrJobst as a device with a single chamber
sleeve IPC with a single chamber sleeve was
shown to reduce arm lymphedema.
In 1980s Zelikovsky introduced a high pressure
pump with multichamber sleeves IPC with such a
pump was shown to be very effective in reduction
of lymphedema volume.
Pneumatic compression pumps evolved and
currently many different varieties are in use. It
includes single or multi-chamber sleeves, different
compression cycles, pressures and inflation
sequences.
Effect of IPC is related to increase of lymph flow
through stimulation of lymphatic transport and on
pushing interstitial fluid through extracellular
channels.
Several clinical trials were conducted showing
efficacy of IPC on edema volume reduction in
patients with cancer related lymphedema. The
therapy is considered safe , however several
adverse effects were reported. Controversial
issues regarding IPC treatment will be discussed.
~
RISULTATI DEL BENDAGGIO LINFOLOGICO
APPLICATO SECONDO UNA PROCEDURA DI
TIPO ALGORITMICO
G. Farina Day Hospital flebolinfologico, Istituto Clinico Città Studi di
Milano
Il linfedema rappresenta per il paziente una grave
disabilità fisica e psicologica e per il nostro paese
un forte impegno sociale ed economico.
Tutti i principali autori internazionali concordano
nel ritenere necessaria nel trattamento del
linfedema una combinazione di diversi trattamenti
denominata “Complex physical therapy”,
nell’ambito della quale la terapia compressiva
riveste sempre più un ruolo di primaria importanza,
favorendo l’acquisizione di rapidi ed evidenti
risultati clinici.
Il bendaggio linfologico risulta però di non facile
realizzazione e la letteratura internazionale non
fornisce delle indicazioni chiare, definite e
inequivocabili tali da non indurre l’operatore in
“errore” ed in grado al contempo di condurlo
verso l’acquisizione di risultati prevedibili e
riproducibili.
Attraverso la conduzione di uno studio
sperimentale sulla terapia compressiva del
linfedema dell’arto superiore post-intervento
oncologico si è confermata l’ipotesi della ricerca
secondo la quale, seguendo una “procedura a
passi” di tipo algoritmico¹, si possa ottenere una
più ridotta marginalità di errore e dei risultati
prevedibili.
I risultati dello studio convincono sempre più che le
procedure algoritmiche applicate al bendaggio
linfologico siano un strumento di ricerca ottimale di
immediato e pratico impiego clinico. Altresì, tali
procedure, viste le imposizioni poste e l’alto grado
di definizione, risultano una “piattaforma ideale”
da cui partire per iniziare a realizzazione studi
multicentrici ed R.C.T. (randomized controller Trial)
sulla terapia compressiva del linfedema.
Bibliografia
1. Procedure algoritmiche applicate alla terapia
compressiva G.Farina anno 2012 n° 2 Giornale di
Linfologia.
2. L’uso dei sistemi di marcatura nel bendaggio
multistrato G.Farina pubblicazione n 1 Giornale
italiana di linfologia anno 2012
3. Atti del corso ”trattamento delle ulcere degli arti
inferiori” del dr.Giovanni Mosti 2006
4. M.Foldi, E. Foldi, S.Kubik :Textbook of Lymphology.
Urban & Fischer, 2003
5. Atti del corso di”terapia integrata dell’edema” del dr.
Daniele Aloisi 2003
6. Terapia compressiva nel trattamento delle ulcere
venose degli arti inferiori:un algoritmo diagnostico-
terapeutico C.Allegra per International Leg Ulcer
Advisory Board anno II nº1 luglio 2003
7. Atti del corso di “bendaggio compressivo” del dr.
Paolo Mondani 2002
8. Atti del corso di “bendaggio flebologico” del dr. Loris
Stella 2002
9. Atti del corso di “operatore di trattamento
linfodrenante e di bendaggio
multistrato ad indirizzo riabilitativo” diretto dal
prof.Giovanni.B.Augus 2001
10. Traitement compressif des membres del dr. H.
Partsch- dr. E. Rabe-dr.R.Stemmer 2000
11. Rééducation des œdèmes des membres infèrieurs
Jean-Claude Ferrandez, Serge Theys, Jean-Yves
Bouchet Masson 1999
12. Fisioterapia complessa decongestionante di E. Földi e
M. Földi Marrapese Editore-Roma 1998
13. C. Jambon, R Cluzan “Lymphologie Ed Masson – 1995
14. Casley-Smith J e J.R. Moder treatment for
lymphoedema L.A.A. ed Adelaide (Aus), 1994
~
16
15
16
Abstract dei lavori
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
RISCHI DI DIFFUSIONE METASTATICA DELLA
TERAPIA DECONGESTIONANTE: MITO O
REALTÀ?
R. Bartoletti Coordinatore Assistenziale - Unità Operativa di
Riabilitazione Oncologica - Istituto Dermopatico
dell’Immacolata, IDI-IRCCS, Roma
Nell’ambito oncologico, il linfedema secondario
(LN) degli arti rappresenta ancora oggi una delle
più frequenti complicanze a medio e lungo
termine d’interesse riabilitativo. I dati
epidemiologici attualmente reperibili in letteratura,
poiché parziali ed approssimativi, rappresentano
verosimilmente una sottostima della sua reale
incidenza.
L’esperienza clinica individua nella diagnosi
precoce un elemento prioritario per garantire una
corretta gestione nel tempo del LN, patologia per
definizione cronica, di non facile controllo, con
una spiccata tendenza all’evoluzione spontanea.
Sul piano fisiopatologico è caratterizzato da un
edema interstiziale ad elevata concentrazione
proteica conseguenza della ridotta capacità di
trasporto del sistema linfatico. Qualora trascurato
può determinare un significativo incremento del
volume dell’arto fino ad arrivare a deformità dello
stesso con conseguente riduzione dei Range of
Motion (ROM) articolari dell’estremità interessata.
Il management clinico dei pazienti affetti o a
rischio di linfedema reclama un approccio
interprofessionale con la contemporanea
presenza di più figure specialistiche con l’intento di
formulare un progetto riabilitativo personalizzato
che tenga conto della stadiazione del linfedema,
dello stato di malattia, della disabilità secondaria,
della QdV e del disagio psicologico del paziente
nel tempo.
Sul piano strettamente riabilitativo il gold standard
per il trattamento del LN è la Terapia Fisica
Combinata (TFC), nota anche come Terapia
Decongestiva Complessa. La TFC viene attuata in
due fasi; la prima, della durata media di due
settimane, include l’applicazione giornaliera di più
provvedimenti fisici quali l’igiene e la cura della
pelle, il linfodrenaggio manuale, la pressoterapia
sequenziale ad aria ed il bendaggio compressivo
multistrato associato ad esercizi muscolari di tipo
isotonico. Scopo delle attività proprie della prima
fase, detta intensiva, è la riduzione del volume e
della consistenza tessutale dell’arto interessato.
La seconda fase, detta di mantenimento prevede
l’applicazione giornaliera di tutori elastici con
l’obiettivo di mantenere ed eventualmente
ottimizzare i risultati in precedenza raggiunti.
Esistono diverse controindicazioni all’utilizzo
sistematico della TFC. Un concetto ancora in voga
nell’ambiente riabilitativo è il timore che la
malignità di un linfedema o la presenza di
metastasi possa comportare un rischio per il
paziente quando riceve la TFC e/o il
Linfodrenaggio Manuale (LM). L'intento di questo
lavoro è di esaminare i dati scientifici attualmente
disponibili relativamente al problema specifico.
~
DINAMICA DEI LINFATICI NEL LINFEDEMA.
M. Cavallo Dirigente Medico, U.O. di Medicina - Ospedale Civile di
Lonigo (VI)
Il sistema linfatico trasporta i fluidi (linfa) e li veicola
nel sistema vascolare, trasporta i prodotti del
metabolismo cellulare e promuove un’azione di
filtraggio dei batteri. Nella regolazione della
circolazione linfatica l’alternanza delle pressioni
idrostatica, oncotica e tessutale giocano un ruolo
importante per gli scambi dei liquidi nei tessuti.
I linfedemi secondari a insufficienza del sistema
linfatico si possono suddividere in :
1) linfedemi da ostruzione delle vie linfatiche per :
neoplasie,cisti, parassiti, obesità etc.
2) ostruzione-lesione dei collettori/ gangli linfatici
per: chirurgia, radioterapia, ustioni etc.
3) insufficienza funzionale per : immobilità,
emiparesi etc.
Nel linfedema secondario a obesità, infezioni e
parassitosi, i vasi linfatici presentano un’infiltrazione
di cellule infiammatorie ( leucociti, macrofagi etc.)
con rallentamento/alterazione del flusso. Tali
condizioni comportano:
1) l’incapacità dei vasi linfatici di veicolare la linfa
2) la formazione di linfedemi che tendono a
cronicizzare nel tempo con successiva fibrosi
vasale.
~
INDICAZIONE ALL’IMPIEGO DEL BENDAGGIO
MULTISTRATO NEL LINFEDEMA EVOLUTIVO IN
HOSPICE
A. Balzarini, C. Piazza, L. Craba, P. Campanini, C.
Martini, A. Caraceni S.C. Cure Palliative, Terapia del Dolore e Riabilitazione -
Fondazione IRCCS - Istituto Nazionale dei Tumori di
Milano
Nell’ambito del programma di intervento
riabilitativo per pazienti ricoverati in Hospice,
abbiamo voluto valutare indicazione ed efficacia
del bendaggio multistrato nel trattamento del
linfedema evolutivo di arto.
Abbiamo trattato 30 pazienti con linfedema di arto
inferiore, secondario a tumore primitivo
addominale o a recidiva addomino-pelvica di
varie neoplasie.
17
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
Dei 30 pazienti, 11 uomini e 19 donne, 25
presentavano linfedema bilaterale e 5
monolaterale. L’età media era di 65 anni.
Il linfedema era di entità severa o moderata
(circonferenza alla caviglia > 30 cm per i severi,
circonferenza ≤ 30 per quelli moderati) ed aveva
le caratteristiche proprie del linfedema evolutivo
(cute sottile, traslucida, colorito eritematoso,
impronta marcata e persistente,dolore).
Prima dell’inizio del trattamento i pazienti sono stati
sottoposti a misurazione centimetrica dei due arti e
a valutazione clinica (colorito, consistenza, fovea,
dolore, funzionalità dell’arto, sensazioni
soggettive). L’esame clinico e la misurazione sono
state ripetute con le stesse modalità al termine del
trattamento.
Il bendaggio è stato effettuato giornalmente per
un periodo medio di 10 giorni.
Sono state impiegate bende monoelastiche a
corta estensibilità, applicate in mono o multistrato
e senza materiale di sottobendaggio.
Il trattamento di bendaggio ha portato in tutti i
pazienti un miglioramento soggettivo e oggettivo.
Si è avuta in tutti i casi una riduzione percentuale
media del 7,4%, accompagnata a miglioramento
della consistenza, del colorito e del dolore.
~
SCELTA DEL TUTORE ELASTICO IN FUNZIONE
DEGLI ESITI DEL TRATTAMENTO
E. Stasi Centro di Ricerche di Immunopatologia e
Documentazione sulle Malattie Rare - Centro di
Coordinamento Interregionale delle Malattie Rare del
Piemonte e Valle d’Aosta
Sebbene il tutore elastico rappresenti un elemento
fondamentale nella corretta gestione del
linfedema, non esistono evidenze dalle quali
estrapolare dei criteri precisi che possano
indirizzarci verso un’indicazione di sicura efficacia.
Tuttavia la letteratura offre alcuni spunti di
riflessione con i quali può essere utile confrontarsi,
allo scopo di non sottovalutare una scelta
terapeutica delicata, che andrà ad incidere
notevolmente sulla qualità di vita del paziente.
Grazie alla valutazione strumentale (volumetria,
linfoscintigrafia, ecografia, tonometria) sappiamo
che con l’utilizzo di una corretta applicazione
dell’elasto-compressione, possono essere raggiunti
importanti obbiettivi terapeutici quali: riduzione del
volume dell’edema, incremento della cinetica
linfatica, assottigliamento del tessuto fibrotico,
riduzione del flusso venoso.
Grazie all’utilizzo del bendaggio multistrato i risultati
ottenuti durante il trattamento intensivo
decongestivo se valutati a fronte di un’ attenta
raccolta di dati oggettivi ( volumetria, tipo di
bendaggio) e soggettivi ( stile di vita del paziente,
compliance), rappresentano un aiuto
indispensabile per poter identificare tutore più
adeguato.
Il mercato di oggi offre una vasta gamma di
prodotti standard e su misura, a trama piatta o
circolare con i quali poter andare incontro alle
esigenze del paziente,ottenendo al tempo stesso
una pressione terapeutica che più si avvicini a
quella ideale. Tuttavia i risultati a lungo termine
non sono sempre incoraggianti, le variabili da
tenere sotto controllo sono innumerevoli:
compliance, resistenza dei materiali, classe di
compressione ecc.
Da ciò nasce la necessità di costruire studi mirati
ad utilizzare meglio i dati raccolti durante la fase
intensiva, al fine di ottenere un reale
mantenimento dei risultati ottenuti durante la fase
intensiva della terapia.
~
18
18
Lavori Originali
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
SCALE DI VALUTAZIONE DELLA DISABILITA’ NEL
LINFEDEMA
Lia Rusca, Monica Gasparini
S.O.C. di Medicina Riabilitativa - ASL Biella
Come noto il linfedema, che conta nella
maggioranza dei casi un’eziopatogenesi
secondaria a tumore mammario, altri tumori,
sequele chirurgiche, radioterapia, traumatismi, è
tipicamente caratterizzato dalla presenza di
sintomi motori e sensitivi e da menomazioni quali
dolore, affaticabilità, tensione, ridotto range di
movimento, paralisi di nervi periferici, alterati
pattern motori o di reclutamento muscolare,
pesantezza e gonfiore dell’arto e/o delle regioni
corporee affette (mammella, addome ecc).
La morbilità dell’arto superiore è tipicamente
associata alle alterazioni dell’uso e della funzione
della parte superiore del corpo e a ricadute
negative sugli aspetti fisici, psicosociali e sociali
che influenzano profondamente la vita quotidiana
e quindi la qualità della vita1,2. L’analisi della
letteratura, focalizzata sulle revisioni sistematiche e
sulle linee guida, evidenzia come il linfedema sia
stato valutato principalmente sulle misurazioni
(centrimentriche o volumetriche), sulla presenza e
sul controllo dei sintomi, in particolare la tensione e
l’edema.3
Nel 2005 MN Kirbaum4, esaminando 29 lavori
considerati rilevanti (9 RCTs e 20 di altro tipo per un
totale di 2211 pazienti reclutate) per valutare la
forza dell’evidenza dell’efficacia dell’esercizio
fisico nelle pazienti operate di tumore mammario,
riportava come gli studi utilizzassero come
strumenti valutativi di outcome le più disparate
misurazioni, e nella loro più svariata combinazione.
Citiamo a titolo di esempio: SLGXT (Symptom-
Limited Graded Exercise Test, che misura l’uptake
di ossigeno), POMS (Profile Of Mood States),
Somatization Scale, misurazioni circonferenziali,
range of motion, effetti psicologici, peso
corporeo, composizione corporea, Rosenberg Self-
estern Scale, funzionamento del sistema
immunitario, Freiberg Personalità Inventory, HADS
(Hospital Anxiety and Depression Scale), MAC
(Mental Adjustement to Cancer), Cancer
Inventory of Problem Situation, Karnofsky
Performance, Cooper 12-minutes test, PAIS
(Psychological Adjustment to Illness Scale), PANAS
(Positive and Negative Affect Scale), scale di
valutazione dei sintomi (fatica, nausea,
depressione, disturbi del sonno), Body Image Visual
Analogic, Brief Symptom Inventory, Tennessee Self-
concept Scale, Spielberg State-anxiety Inventory,
Schwarz Cancer Fatigue Scale, consumo
energetico durante l’esercizio e le abilità
funzionali, Physical Activity Readiness, misurazioni
cardiovascolari, Rockport one-mile walk test.
Compaiono in 6 studi due strumenti validati e
riconosciuti di valutazione della qualità della vita, il
generico Medical Survey Short Form 36 (MOS SF-36)
e i cancro-specifici Functional Assessment of
Cancer Therapy (FACT) General (FACT-G) e Breast
Version (FACT-B), somministrati al tempo zero e
dopo 26 settimane. Nessuno di questi strumenti
può tuttavia essere considerato una scala di
valutazione della disabilità.
Analogo risultato emerge dalla revisione
sistematica di N. Devoogdt5 su 15 studi e 656
pazienti, e da quella di ML Mc Neely6 su 25 studi e
1018 partecipanti: quest’ultima, focalizzata sugli
interventi dietologici per il linfedema correlate al
cancro, privilegia le misurazioni volumetriche e
circonferenziali e la rilevazione dei sintomi come il
dolore (VAS, Visual Analogical Scale), la
pesantezza, la tensione, le parestesie,
l’affaticabilità; la rilevazione degli eventi avversi, e
solo in tre studi viene la qualità della vita, di cui
non viene specificato lo strumento di valutazione.
La qualità della vita è un outcome comunque più
comune da trovare nelle revisioni sistematiche
rispetto a strumenti di misurazione della disabilità.
Questi ultimi appaiono il più delle volte limitati alle
abilità di un distretto corporeo7,8,9 come DASH
(Disability of the Arm, Shoulder and Hand
Questionnaire), nella sua forma completa o Short,
che valuta il livello di difficoltà incontrata nelle
performance che contemplano attività specifiche
delle normali attività, a cui viene attribuito un
punteggio, dove il punteggio più alto configura
una povera funzione e quindi una elevata
disabilità. E’ stato riportato come questo strumento
abbia un effetto pavimento che può aver
influenzato la risposta dello strumento nelle donne
a con migliore funzionalità, quelle che occupano i
punteggi più bassi della scala.
JC Cormier2 analizzando la letteratura indicizzata
dal 1972 al 2008, selezionava 47 studi di buona
qualità, riportando come strumenti valutativi i
metodi di misurazione del linfedema (volumetrico,
misurazione circonferenziale, soggettivo), con
stadiazione di gravità differente nei diversi studi.
Nella revisione effettuata da A.Karki10 nessun
lavoro tra i 14 RTCs identificati con un campione
complessivo di 658 pazienti misurava come
outcome primario gli outcomes correlati al
paziente come ad esempio gli eventi avversi, la
19
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
qualità della vita o le abilità funzionali. In alcuni
trials sono stati utilizzati come outcomes secondari
il dolore, il funzionamento dell’arto superiore, le
abilità lavorative, la qualità della vita, senza
alcuna modalità sistematica nell’utilizzo di queste
misurazioni e i risultati non erano riportati
numericamente o le differenze tra i gruppi non
erano analizzate statisticamente. I metodi self-
report (come ad esempio il Norman Questionnaire,
il Lymphedema Breast Cancer Questionnaire, il
Lypmhedema Quality of Life Inventory). item
validati (es. da FACT-B o da European
Organization for Research and Treatment of
Cancer, QLC-C30) o ancora, item non validati,
tengono conto della percezione sensoriale e dei
cambiamenti di dimensioni, così come della
presenza e intensità dei sintomi correlati.
E’ noto tuttavia che se la presenza dei sintomi è
comune nel linfedema, questa è indipendente
dallo stato del linfedema 1.
Una valutazione della disabilità testata attraverso
questionari inviati via mail utilizzando il WHO-DAS II
(World Health Organization, Disability Assessment
Schedule II, 2001) nella versione 36-item
autosomministrati è stata valutata da A.
Charchaj11 in uno studio finalizzato a correlare i
fattori associati al peggioramento della
funzionalità dell’arto affetto e dei disturbi
emozionali ed emozionali delle donne
sopravvissute a un tumore mammario con
linfedema dell’arto superiore. Tale valutazione
effettuata su un campione di 328 pazienti di cui
117 senza LE e 211 con LE comprendeva anche
l’autosomministrazione di altri questionari correlati
alla qualità della vita, in particolare EORTC QLC-30
e EORTC QLC-BR23., GHQ-30 (General Health
Questonnaire). I limiti sono stati nel campione di
persone che hanno risposto ai questionari (33,7%
del totale), che potrebbe rappresentare un
gruppo fisicamente e psicologicamente differente
dalle donne che hanno scelto di non rispondere.
Queste ultime potrebbero infatti essere più disabili
o meno disabili di quelle che hanno risposto. Un
secondo limite è l’assoluta soggettività delle
risposte al questionario come anche delle
automisurazioni circonferenziali del braccio
richieste nella stessa indagine (calcolando come
limite ulteriore che già nella popolazione normale
una misurazione circonferenziale può dimostrare
un arto dominante che presenta una misurazione
circonferenziale di 2 cm in più rispetto all’arto
controlaterale senza che questa possa essere
considerata patologica).
Da questa analisi emerge quindi una premessa
condivisa sulla presenza di significativi problemi
fisici e psicosociali nel linfedema, ma l’assenza di
strumenti di valutazione della disabilità
conseguente che abbiano le caratteristiche di
affidabilità, (test-retest, consistenza interna,
variabilità delle misurazioni) e di validità
(contenuto e strutturazione) richieste a una scala
di valutazione.
E’ quindi evidente come da un lato il linfedema
possa e debba essere misurato nella sua
dimensione fisica di volume (misurazioni
volumetriche, circonferenziali), di strutturazione
(metodiche strumentali come bioimpedenzo-
metria, ecografia, tomografia assiale com-
puterizzata, risonanza magnetica nucleare,
linfoscintigrafia…), ma dall’altro non si può
prescindere dal concetto che debba essere
valutata la ricaduta di questo segno-sintomo
sull’attività e sulla partecipazione del paziente.
Questo comporta la valutazione di altre
menomazioni, come il dolore, la limitazione di
mobilità della spalla, la resistenza cutanea, la
debolezza-affaticabilità dell’arto affetto, l’ansia, la
depressione e l’alterata immagine corporea12. E’
altrettanto importante considerare che il
linfedema può portare a limitazioni dell’attività e a
restrizioni della partecipazione che comprendono
la ridotta abilità a stirare, cucinare, occuparsi delle
pulizie, sollevare pesi e in generale eseguire
hobbies e sport, trovare vestiti che devono essere
adatti o adattati al braccio con linfedema e a
guidare sulla lunga distanza.
Ad oggi non c’è uno strumento di valutazione
complessivo per determinare le menomazioni nella
funzione, le limitazioni dell’attività e le restrizioni
della partecipazione e per monitorare
l’andamento del trattamento in questi pazienti. E’
altresì noto che le comuni scale di valutazione
della disabilità (FIM, Indice di Barthel per citare le
più utilizzate) non sono sufficientemente sensibili
alla ricaduta disabilitante del linfedema.
Oltre a quelli citati, erano stati costruiti alcuni
questionari per misurare le conseguenze del
linfedema. Oltre a quelli sopra citati si ricordano
anche la Wesley Clinic Lymphedema Scale
(WCLS), la Freiburg Life Quality Assessment (FLQA-I)
e la Upper Limb Lymphedema 27 (ULL-27), ma ogni
questionario presenta alcune limitazioni. La WCLS
consiste solo di 5 domande, la sua affidabilità e
validità non sono mai state determinate. La FLQA-I
consiste di 92 item e ha lo scopo di valutare
l’impatto del linfedema primario e secondario
dell’arto inferiore e dell’arto superiore e non solo
del linfedema insorto dopo i trattamenti per
tumore mammario. La ULL-27 è un questionario
con dimostrata consistenza interna e validità di
costrutto ma non dimostrata affidabilità a test-
retest né validità di contenuto.
Inoltre nessuno di questi questionari utilizza la
terminologia ICF, dove il concetto di disabilità è
associato al concetto di attività e il concetto di
menomazione a quello di funzione corporea e
struttura corporea, mentre il concetto di handicap
viene associato al concetto di partecipazione.
Un gruppo di Autori12 ha pubblicato un articolato
studio sull’elaborazione di uno strumento
descrittivo e valutativo chiamato Lymph-ICF. Tale
strumento non è inquadrabile in una scala di
valutazione, ma è un questionario ICF-oriented,
diviso in 5 domini (funzioni fisiche, funzioni mentali, 20
Lavori Originali
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
attività domestiche, mobilità, e attività di vita e
sociali) e si compone di 29 domande sulla
menomazione nella funzione, sulle limitazioni delle
attività e sulle restrizioni della partecipazione. La
sua affidabilità e validità sono stati esaminati su 60
pazienti con linfedema all’arto superiore correlato
al tumore mammario e su 30 pazienti senza
linfedema. L’esito di questo studio è che il Lymph-
ICF è il primo affidabile e valido questionario
olandese basato sulla terminologia ICF per
valutare la menomazione nella funzione, sulle
limitazioni delle attività e sulle restrizioni della
partecipazione.
CONSIDERAZIONI
Le scale di valutazione della disabilità sono state
considerate uno strumento di valutazione del
livello di indipendenza o al contrario della quantità
di assistenza necessaria a un paziente che subisce
delle menomazioni a seguito di un evento
patologico. Le scale di valutazione della disabilità
dovrebbero essere per definizione patologia-
indipendenti, anche se inevitabilmente la loro
strutturazione le rende più sensibili e specifiche in
alcune condizioni patologiche rispetto ad altre,
rendendo così necessario valutare
l’appropriatezza della scala stessa. Il linfedema è
un esempio emblematico di questa discrepanza,
in quanto le scale di valutazione della disabilità
che indagano le ADL non sono sufficientemente
sensibili a modificazioni della vita che coinvolgono
più attività strumentali, psicologiche e sociali che
non attività relative alla propria persona.
Le revisioni sistematiche hanno evidenziato come i
vari autori abbiano preferito valutare la qualità
della vita o utilizzare scale costruite sulla disabilità
specifica, nessuna delle quali sufficientemente
esaustiva, né rispondente ai requisiti intrinseci di
ogni scala: affidabilità, validità, sensibilità,
specificità, economicità, utilità. Lo scopo della
misurazione quantitativa consentito dall’uso di una
scala si configura nella possibilità di monitorare la
progressione o meno della disabilità, l’efficacia o
meno dei vari trattamenti, fino a diventare
indicatore di efficacia degli stessi ancor più delle
valutazioni meramente strumentali. Alcuni Autori,
utilizzando in via sperimentale una valutazione ICF
oriented con associate valutazioni cliniche13
suggeriscono che l’attività e la partecipazione
sono più condizionate dai sintomi percepiti che
dal volume del braccio.
Rimane pertanto ancora aperta la possibilità o
meno di conciliare il concetto ICF che riconduce a
una classificazione (descrittiva, semiquantitativa
non strutturata a punteggio, non riconducibile alle
caratteristiche di una scala a intervalli) con uno
strumento di misurazione quantitativa.
Le misurazioni semiquantitative o qualitative (che
misurano le gradazioni es. in assente-lieve-
moderato-grave) presentano tra gli svantaggi forti
elementi di soggettività e rischio di
approssimazione/imprecisione. Hanno il vantaggio
di consentire un impiego rapido ed economico, un
uso nullo o limitato di strumenti, assenza di disagio
per il paziente e si dimostrano strumenti di
valutazioni validi ed efficaci in varie applicazioni.
Gli svantaggi delle scale semiquantitative e
qualitative possono essere superati dalle scale
quantitative, che sono rigorosamente basate
sull’uso sistematico di misure quantitative ben
definite, applicate da operatori formati. L’uso di
valutazioni quantitative può anche essere
strumentale, con il vantaggio che lo strumento di
misura se usato correttamente può garantire
oggettività e stabilità del dato misurato, e
migliorarne sensibilità e accuratezza e ripetibilità.
Lo svantaggio delle valutazioni quantitative
strumentali sta nel fatto che l’uso di uno strumento
di per sé non garantisce né l’oggettività né l’utilità
della misura ai fini della valutazione della disabilità.
Inoltre il ricorso all’uso di strumenti non è né
immediato né semplice.
In quest’ottica altri strumenti ICF-oriented, alcuni in
corso di costruzione anche in Italia (es. Indice di
Ricci14) possono raggiungere una validazione in
merito all’affidabilità inter-rater e al test-retest ma
rimane molto più difficile la validazione dei
punteggi e dei loro intervalli (quindi sono affidabili
ma senza ancora il requisito della validità e della
scalabilità). Altri strumenti in corso di pubblicazione
come ad esempio il Lymphathic Clinical Severity
Score (LDSS) (S.Michelini e altri, in press) che
indagano sintomi e funzioni assegnando loro un
punteggio (dolore, range of motion, elasticità
della cute, presenza di ulcere, gravità dell’edema
ecc) non hanno la funzione di scala della disabilità
ma nascono per scopi differenti (ad esempio
l’individuazione del setting appropriato di
trattamento).
L’ambito di discussione pertanto oggi si sposta
dalla scala di valutazione della disabilità (legata a
funzioni e di tipo quantitativo) a strumenti ICF-
oriented che riprendendo le indicazioni del WHO
passano dal concetto di disabilità al concetto di
limitazione di attività. Questo implica una
sostanziale riflessione sul concetto di scale della
disabilità nel linfedema e apre un ampio spazio di
ricerca.
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Lavori Originali
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
ONDE D’URTO NEL LINFEDEMA FIBROTICO
Giancarlo Rando
Ambulatorio Fisiatrico Linfologico – ASL CN2 – Ospedale San Lazzaro – Alba (CN)
COSA SONO LE ONDE D’URTO
Le onde d’urto impiegate in medicina sono onde
acustiche convogliate nel tessuto secondo
diversi livelli di energia e protocolli di
somministrazione (tipo di apparecchiatura
utilizzata, livello di energia impiegato , numero di
colpi somministrati) . Esse sono caratterizzate da
un’elevata pressione di picco ( > 500 bar), dalla
breve durata ( < 10 µs), dal rapido innalzamento
della pressione (< 10 ns) e dall’ampio spettro di
frequenza (16 Hz – 20 MHz).
Il principio di base utilizzato per la generazione
dell’onda d’urto in un’apparecchiatura
elettromedicale per la creazione dell’ evento
iniziale è un rapidissimo innalzamento della
pressione nell’acqua contenuta nella speciale
camera della testa terapeutica.
Questa è anche dotata di una superficie interna
riflettente, avente lo scopo di focalizzare l’energia
dell’onda d’urto in un definito Volume Focale
terapeutico ad una precisa Profondità Focale.
Le onde d’urto generano forze elevate di
sollecitazione che agiscono sulle interfacce fra
materiali di diversa densità e forze di trazione che
causano bolle di cavitazione
L’azione terapeutica delle onde d’urto, nelle
applicazioni muscolo-scheletriche, non è stata
ancora chiarita completamente
Per mettere in atto tutte le ricerche per una sua
totale comprensione, occorre prendere in
considerazione non solo l’energia totale, ma
anche gli altri parametri che caratterizzano le
onde d’urto
Non avendo ancora raggiunto una completa
spiegazione di tutti i processi indotti nel tessuto
biologico dall’azione delle onde d’urto, è
particolarmente importante poter correlare i
risultati clinici a parametri fisici riproducibili.
L’EFFETTO DETERMINATO È DOSE DIPENDENTE. Esso
dipende dalla “Modularità di somministrazione “
ovvero dalla corretta gestione dei requisiti
tecnici della sorgente terapeutica impiegata e
dalla preparazione specifica dell’operatore. Esso
dipende anche da altre variabili come :
Le indicazioni classiche della terapia
Le Indicazioni e moderne applicazioni in
Medicina Rigenerativa
La corretta applicazione della metodica
L’attenta considerazione dei meccanismi
ultrastrutturali (neoangiogenesi, produzione di
fattori di crescita ) che sottendono all’effetto
biologico delle Onde d’Urto
SONO DISPONIBILI DIVERSI TIPI DI APPARECCHI.
SI DISTINGUONO :
Generatori di onde d’urto focalizzate, con
caratteristiche fisiche di emissione
caratterizzate da elevato picco di energia
(>500 bar), rapido innalzamento di pressione
(<10 nsec) e breve durata (<10 μsec) e che
danno possibilità di focalizzazione
intracorporea dell’impulso con distanza
regolabile;
Generatori di onde d’urto defocalizzate, con
parametri fisici analoghi, salvo un minore picco
di energia e una diversa focalizzazione (minor
“convergenza”) dell’energia stessa che è
finalizzata a determinati scopi terapeutici;
Generatori di onde radiali, o balistiche, con
ridotto picco di energia, di maggior durata e
andamento radiale (divergente) e, quindi, non
danno possibilità di focalizzazione
intracorporea;
Le onde d’urto focalizzate vengono prodotte da
tre tipi di generatori: piezo-elettrico, elettro-
magnetico ed elettro-idraulico. Le onde
focalizzate:
- convergono l’energia in un determinato target;
- modificano le dimensioni del fuoco terapeutico
in base al livello energetico impiegato.
Le onde d’urto radiali sono delle onde balistiche
(di pressione) generate per impulso meccanico; le
onde radiali:
- non focalizzano l’impulso;
- non possono far convergere l’energia in
profondità;
- non contemplano l’impiego di numerosi livelli di
energia.
L’impiego delle onde radiali deve essere
circoscritto alle patologie muscolo-tendinee
superficiali.
EFFETTI BIOLOGICI DELLE ONDE D’URTO
Per valutare il livello di successo della terapia, non
può essere utilizzata la misurazione della capacità
di disintegrazione del calcolo, utilizzata invece in
Litotrissia
Non è stata ancora trovata una precisa
correlazione fra le proprietà del campo acustico e
l’impatto biologico delle onde d’urto. Tuttavia è
dimostrato che il trattamento con le onde d’urto 23
V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
determina una cascata di effetti che inizia
dall’applicazione fisica di energia in forma di
onda acustica che si completa con la
neoformazione di vasi e l’incremento di attività
metaboliche attraverso diversi meccanismi
fisiologici.
Recenti studi istologici, biochimici ed immunologici
hanno dimostrato che il trattamento dei tessuti
con le onde d’urto può avere diversi effetti come:
stimolare la neoangiogenesi;
incentivare il rilascio dei fattori di crescita;
stimolare l’osteogenesi;
inibire selettivamente l’attività di determinati
effetti neurologici;
inibire l’attività infiammatoria.
Sono stati descritti anche effetti sulla sintesi
endoteliale di ossido nitrico e del fattore di
crescita endoteliale.
Un gruppo di parametri, i più rappresentativi del
campo acustico, è stato scelto, in accordo con
tutti i produttori di apparecchiature ad onde
d‘urto, per consentire agli utilizzatori misurazioni
attendibili e utili per la ricerca
COMPLICANZE DELLE ONDE D’URTO
Sono infrequenti e possono includere: lievi
ecchimosi, petecchie, lievi ematomi, lieve
edema, iperemia cutanea transitoria. Esse sono
usualmente evitabili con un’accurata procedura,
l’assunzione di un posizionamento appropriato
del paziente e la stretta osservanza del protocollo
di trattamento.
COME POSSIAMO INTUIRE CHE GLI EFFETTI NOTI
DELLE ONDE D’URTO SIANO EFFICACI NEL
TRATTAMENTO DEL LINFEDEMA?
Diversi studi dimostrano che il trattamento terapico
con le vibrazioni meccaniche ed, in particolare,
con le onde acustiche stimola la
microcircolazione e la permeabilità cellulare nei
tessuti. La stimolazione meccanica vibratoria
oltre 35 Hz determina oscillazioni fisiologiche
delle fibre muscolari che favoriscono
l’incremento dell’efflusso e dell’afflusso dei fluidi
nel sistema micro circolatorio e quindi un effetto
drenante delle terminazioni artero – venose e del
sistema linfatico. Tale effetto drenante dura
circa 24 ore dopo l’applicazione.
L’impiego dell’azione meccanica vibratoria sul
microcircolo è indicato dopo un evento
traumatico con presenza di edema, dopo
interventi chirurgici ortopedici e dopo traumi
sportivi con danni del microcircolo
Studi dermatologici relativi al trattamento del
lipedema e della cellulite con le onde d’urto a
bassa energia hanno dimostrato diversi effetti
che qui di seguito si possono riassumere :
Stimolazione della lipolisi , rimozione dei radicali
liberi, riduzione della lipo.ossidazione e dello
stress ossidativo, aumento dell’azione anti-
ossidante, aumento della sintesi del collageno,
oggettivo aumento dell’elasticità della pelle,
riduzione dei fattori pro-infiammatori, aumento
della linfangiogenesi e della neoangiogenesi,
aumento delle proprietà biomeccaniche della
pelle con aumento oggettivo dell’elasticità ed
ammorbidimento del derma e della superficie
ipodermica, riduzione del meccanismo
infiammatorio , prevenzione della liposclerosi nel
lipedema e nella cellulite, drenaggio del fluido
linfatico e riduzione del linfedema.
IL RAZIONALE DEL TRATTAMENTO DEL LINFEDEMA
CON LE ONDE D’URTO
La linfa nasce dalle cellule argentofile di tutti i
tessuti e si forma nella matrice interstiziale.
Le piccole gocce nascono e vivono negli spazi
interstiziali scivolando tra guaine e canalicoli
laddove si crea una connessione tra linfa, acqua
e metabolismo dell’adipocita.
L’adipocita secondo le necessità decide la
liberazione dell’acqua ed il trasporto delle
proteine come linfa.
C’è una relazione importante tra formazione
della linfa e la via metabolica dell’adipocita,
dove il momento di raccordo è l’acqua della
matrice interstiziale. Questa può restare legata,
costituire la linfa, o essere usata per i processi
metabolici.
La linfa è un plasma privo di piastrine, ma con
capacità coagulative. Essa può aumentare o 24
Lavori Originali
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
ristagnare per aumento della pressione capillare,
per la variazione della permeabilità o dei gradienti
osmotici .
L’ipossia tessutale aumenta all’inizio il deflusso
linfatico, successivamente si nota una stagnazione
con aumento di pressione interstiziale.
Il sistema linfatico è una via facoltativa per i soluti
e per l’acqua dell’interstizio, ma è invece una via
obbligatoria per il trasporto delle proteine, ha due
principali funzioni: una funzione primaria di
trasporto delle proteine al sangue ed una funzione
omeostatica per il mantenimento del gradiente di
pressione transcapillare e di pressione oncotica. I
lipoprotidi sottostanno ad una circolazione
extravascolare definita “sangue-interstizio-linfa-
sangue“.
Nel derma e nel sottocute sono rappresentati: le
cellule del fibroblasta e le macromolecole di
collagene e l’elastina. I fibroblasti emettono
filamenti sui quali scivolano e scorrono le gocce di
acqua o linfa. Collagene ed elastina sono i
maggiori prodotti dei fibroblasti, essi hanno un
ruolo plastico nella matrice fondamentale. La
matrice extracellulare è composta da
proteoglicani e da glicoproteine che agiscono
nella regolazione e nei movimenti dei fluidi.
L’adipocita agisce come recettore ormonale,
esso reagisce con lipolisi o lipogenesi.
La lipolisi segue stimoli nervosi ed endocrini e l’
aumento del flusso sanguigno.
La riduzione del flusso inibisce la lipolisi o l’uscita
degli acidi grassi liberi e del glicerolo (lipodistrofia
superficiale degli aa.ii. nei pz non flebolinfopatici
che indossano calze elastiche non indicate).
LINFA, LIPOLISI E LIPOGENESI
Le turbe del microcircolo sono alla base del
determinismo della liposclerosi e della lipodistrofia
Le alterazioni sottocutanee interessano
maggiormente la matrice ect. ed il sistema
linfoadiposo
La proporzione di flusso sanguigno e linfatico
attraverso il tessuto adiposo sarebbe
inversamente proporzionale al suo incremento
Il rallentamento della microcircolazione comporta
: la stasi linfatica, il lipoedema, l’alterazione della
permeabilità del capillare venulare, la
diminuizione della quantità di gag nei manicotti
vascolari, le alterazioni della membrana.
Le modificazioni del tessuto adiposo portano ad
un accumulo di acqua legata nell’interstizio
attorno ai capillari e nella matrice
La conseguente degenerazione del flusso venoso
e linfatico di ritorno dei vasi sanguigni sarebbe una
conseguenza diretta dell’ulteriore danno
microcircolatorio diffuso
Il quadro flogistico presenta: infiltrati infiammatori
acuti a carico della matrice perilinfatica,
l’alterazione morfostrutturale con l’incremento
della matrice perilinfatica e della matrice
interstiziale
C’e una relazione tra lipolisi e linfa e tra
lipogenesi e linfa: ad una circolazione lenta
corrisponde una lipogenesi , ad una circolazione
veloce corrisponde una lipolisi
ALTERAZIONI MORFOSTRUTTURALI DEI TESSUTI NEL
LINFEDEMA
Il linfedema determina dei cambiamenti delle
proprietà biomeccaniche dei tessuti: flogosi,
fibrosi, incremento di volume , progressivo
addensamento ed ispessimento del sottocutaneo,
papillomatosi, cellulite/dermoipodermite, erisipela.
ECOGRAFIA AD ALTA RISOLUZIONE
Pur riconoscendo che la metodica è strettamente
dipendente dall’operatore, l’ecografia è di
grande utilità nella diagnosi del linfedema, nella
prognosi e nel follow-up durante e dopo il
trattamento riabilitativo. I parametri ecografici da
rilevare nel linfedema sono: lo spessore cutaneo,
lo spessore sottofasciale, lo spessore soprafasciale,
la presenza di laghi linfatici e/o canali, la presenza
di fibrosi, la presenza di calcificazioni, (pregresse
linfangiti), il grado di compressibilità tissutale.
FRAMES ECOGRAFICI il tipo di frame è correlato
allo stadio clinico:
N - normale, A - a prevalente componente idrica,
B - con componente tissutale mista (parte fluida,
parte fibrotica), C - con prevalente componente
fibrosa, D – con ostruzione e fibrosi dei collettori –
danno tessutale.
FRAME N
Iso-ecogenicità cutanea , spessore soprafasciale
sovrapponibile in entrambi gli arti, spessore del
sottocute normale , parete dei collettori normale;
FRAME A
Ipoeco-genicità con buona comprimibilità
tissutale, prevalente imbibizione idrica dei tessuti
con interposizione di laghi e canali linfatici ectasici,
ectasia dei collettori linfatici, incremento dello
spessore sopra fasciale.
FRAME B
Incremento dello spessore soprafasciale con zone
di ipoecogenicità, alternate ad altre di
iperecogenicità moderata, comprimibilità
tissutale, congestione dello strato epifasciale,
zone di imbibizione dello strato profondo
sottocutaneo, laghi e canali linfatici ectasci.
FRAME C
Accumulo di linfa negli spazi extra-vasali,
incremento dello spessore soprafasciale, diffusa ed
evidente iperecogenicità causata dalla fibrosi
tissutale, scarsa componente ipoecogenica,
presenza di linfa negli spazi extra-vascolari dagli
strati profondi a quelli superficiali, possibile
presenza di laghi linfatici, scarsa comprimibilità
tissutale.
FRAME D
Ostruzione e fibrosi dei collettori, danno
tessutale, ispessimento del tessuto sottocutaneo
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V CONGRESSO NAZIONALE DI LINFOLOGIA ONCOLOGICA – ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO – 16-17/11/2012
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
ulteriormente aumentato, fibrosi con aspetto a “
celle d’alveare“, calcificazioni, tessuto non
comprimibile
LA NOSTRA ESPERIENZA
11 Pazienti selezionati con linfedema stadio III-IV
dell’arto superiore o dell’arto inferiore.
ESAME ECOGRAFICO PRE – TRATTAMENTO: diffusa
imbibizione edematosa dei piani sottocutanei con
iperdensità del derma, aree anecogene
serpiginose e tubulariformi da riferire a laghi linfatici
nel contesto del sottocute, non alterazioni a carico
del sottostante piano muscolare.
TIPO DI TRATTAMENTO: protocollo decompressivo
integrato/SW, terapia medica.
TERAPIA CON ONDE D’URTO: 18 sedute,
3/settimana, testina radiale, 2 bar, profondità fino
a 3.5, frequenza 4 Hz, 2.000-3.000 colpi).
RISULTATI
ASPETTO SEMEIOLOGICO: modesta e parziale
riduzione del volume dell’arto, cute elastica,
eutrofica, netto miglioramento della consistenza
dei tessuti sottocutanei , morbida ed elastica.
GALLERIA CASI CLINICI
ASPETTO ECOGRAFICO: riduzione dell’iperdensità
del derma, riduzione dell’ispessimento
sottofasciale e del tessuto sottocutaneo, netta
riduzione dell’imbibizione di linfa negli spazi extra-
vascolari, riduzione o scomparsa dell’aspetto a “
celle d’alveare “, scomparsa delle calcificazioni,
aumentato grado di comprimibilità del tessuto
sottocutaneo.
CONSIDERAZIONI FINALI
La scarsa esperienza sull’applicazione della
metodica in linfologia, i pochi casi studiati in
letteratura, la prevalenza di studi su animali, la
mancanza di un protocollo standardizzato/
omologato, indicano l’opportunità di condurre
uno studio societario multicentrico con unico
protocollo.
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Lavori Originali
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
VASOREATTIVITA’ VENOSA NEL LINFEDEMA PRECOCE E
TARDIVO POST-MASTECTOMIA
Massimiliano Farina, Raffaello Pagani*
Centro Studi Patologie Veno-Linfatiche, Policlinico di Monza, Monza (MB)
* U.O. Chirurgia Vascolare, Casa di Cura Villa Igea, Acqui Terme (AL)
INTRODUZIONE
Partendo dalla considerazione che qualsiasi forma
di edema rappresenta l’espressione della rottura di
un equilibrio tra filtrazione capillare e capacità
drenante veno – linfatica.1 Si deve ricordare che,
oggigiorno, l’edema post-mastectomia (PME)
rappresenta una frequente, nonché invalidante
complicanza del trattamento della neoplasia
mammaria, con una sempre elevata incidenza (in
Italia 8000 nuovi caso/anno) nonostante
l’introduzione di tecniche più conservative
(linfonodo sentinella). L’estrema variabilità dei dati
presenti in letteratura è comunque in relazione alla
tipologia d’intervento intrapresa (chirurgia
associata o meno a linfoadenectomia o
radioterapia mammario - ascellare), alle modalità
classificative e al tempo trascorso dal
trattamento.2 Sulla base di tali evidenze l’incidenza
di PME tende ad incrementare in associazione a
resezione linfonodale e radioterapia (RT) (dal 25%
al 38%) e la sua prevalenza aumenta nel tempo
(22% ad 1 mese dall’intervento – 36% ad 1 anno)
soprattutto dopo RT (23% a 2 anni – 45% a 15
anni).3-6 Il tempo medio di comparsa
dall’intervento è di 14 mesi (range 2-92 mesi) e nel
97% dei soggetti l’edema si sviluppa entro 4 anni
dal trattamento.7 Il volume dell’arto edematoso si
correla strettamente alla durata della
sintomatologia dopo l’intervento (dolore,
parestesie, debolezza, limitazione funzionale) e
all’estensione della chirurgia ascellare.8-10
L’incidenza sarebbe inoltre più alta nei pazienti
sottoposti a RT ascellare (58%) rispetto alla sede
parasternale/sovraclavicolare (17%) e ai non
trattati (21%).11 In condizioni fisiologiche la maggior
parte degli scambi tra plasma e liquido interstiziale
avviene per diffusione semplice, sia attraverso i
pori della parete capillare che attraverso le cellule
endoteliali. Tale diffusione è subordinata all’azione
di due forze (idrostatica e oncotica) definite da un
equazione, quella di Starling, per la quale il
movimento di un liquido attraverso la parete di un
capillare è determinato dalla pressione netta
attraverso questa membrana, che è data dalla
somma delle pressioni idrostatiche e oncotiche.
Secondo tale principio a livello dell’estremità
arteriosa si avrebbe filtrazione netta e a livello di
quella venosa assorbimento netto, con
riassorbimento di circa l’85% della quota filtrata.
Alla luce di più recenti osservazioni il movimento di
fluidi a livello capillare non sarebbe tanto
subordinato ai valori di pressione idrostatica e
oncotica interstiziali, ma al gradiente pressorio a
cavallo dei canali inter-endoteliali, con
riassorbimento prevalente del filtrato attraverso i
capillari linfatici.12 La demolizione della
componente linfatica ascellare, secondaria
all’atto chirurgico combinato con la terapia
radiante, produrrebbe pertanto l’incremento delle
resistenze lungo le vie linfatiche, con riduzione
della capacità drenante ed aumento della
pressione linfatica a livello dei capillari e dei pre-
collettori. Tale situazione porterebbe, per effetto
della dilatazione prodotta, ad incontinenza
valvolare, con conseguente reflusso dermico
(dermal blackflow) ed incremento della pressione
interstiziale. Si determinerebbe da un lato una
compressione estrinseca venulare, con riduzione
dell’outflow venoso, dall’altro l’alterato controllo
locale degli sfinteri pre-capillari, con caduta delle
resistenze locali e aumento dell’afflusso arterioso
(del 35,3% rispetto all’arto sano a 34 oC e del 113%
a 44 oC).13 L’amplificazione sequenziale di tali
processi aggraverebbe la stasi interstiziale, anche
per la contemporanea attivazione di shunts artero-
venosi a livello muscolo-cutaneo, per fenomeni di
neo-angiogenesi capillare e per la coesistenza di
steno-ostruzioni venose (57% a livello ascellare) e
congestione locale (14%).14-17 In questo ambito
s’inserisce il nostro studio, con l’obbiettivo di
valutare l’andamento temporale di alcuni indici
velocimetrici, in relazione all’insorgenza di PME ed
individuare eventuali correlazioni tra edema
linfatico post mastectomia e vasoreattività venosa
ascellare.
MATERIALI E METODI
Sono state arruolate 151 donne (età media 53,6
anni) giunte alla nostra osservazione nel periodo
2007-2009, sottoposte ad intervento di
mastectomia radicale (90 lato sinistro, 61 lato
destro) con linfoadenectomia ascellare e
successiva RT locale. Tutte le pazienti sono state
avviate ad un programma riabilitativo precoce
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Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
(mobilizzazione del cingolo scapolo-omerale,
avambraccio e mano – ginnastica isometrica a
partire dalla 2-3 giornata – sopraelevazione
dell’arto) Per quanto attiene la valutazione
dell’edema, sono stati presi in considerazione gli
incrementi delle circonferenze dell’arto,
omolaterale alla sede d’intervento, superiori ai 2
cm rispetto al controlaterale. I soggetti hanno
aderito volontariamente allo studio previa visione
e sottoscrizione del relativo consenso informato,
con esclusione di quelli con pregressi interventi
locali di varia natura e in caso di comparsa di
processi trombotici a livello succlavio – ascellare.
Tre i parametri d’indagine: velocità sistolica,
velocità diastolica e ΔV (differenza tra sistolica e
diastolica), con rilevazione clinostatica a livello del
punto di trapasso della vena ascellare in succlavia
(margine laterale della 1 costa). I controlli sono
stati eseguiti per la valutazione dell’edema
precoce post-operatorio ai tempi T0 (pre-
intervento), T1 (3 giornata post-op), T2 (6 giornata
post-op) e T3 (15 giornata post-op). Per l’edema
precoce “ritardato” (nel corso di trattamento
radiante) ai tempi T0 (comparsa dell’edema), T1 (3
giornata dopo l’insorgenza), T2 (6 giornata dopo
l’insorgenza) e T3 (15 giornata dopo l’insorgenza).
Per l’edema tardivo le valutazioni sono state
effettuate alla comparsa dello stesso, con
successivo monitoraggio per l’anno seguente (T0:
comparsa – T1: 3 mesi dalla comparsa – T2: 6 mesi
dalla comparsa – T3: 12 mesi dalla comparsa). I
dati sono stati sottoposti a test statistico di analisi
della varianza (ANOVA).
RISULTATI
Tutti i soggetti sottoposti a procedura chirurgica e
successiva terapia radiante sono andati incontro
ad edema precoce post-operatorio, comparso
mediamente intorno alle 76,3 ore dal trattamento
(range 36-87). 93 donne (61,6%) hanno inoltre
sviluppato un secondo edema (ritardato) nel corso
del trattamento radiante, con insorgenza media
intorno alla settima settimana dall’intervento
(range 5-9). 52 donne del gruppo di studio (34,4%)
hanno successivamente avuto come complicanza
tardiva un edema cronico, mediamente intorno ai
19,7 mesi (range 18-24). 41 di queste pazienti
(78,8%) avevano sviluppato un edema precoce
durante il ciclo RT.
Per quanto riguarda l’andamento dei parametri
velocimetrici ai controlli programmati per le varie
tipologie di edema (precoce, precoce ritardato e
tardivo), i valori di velocità sistolica non hanno
subito variazioni statisticamente significative.
Diverso è stato il comportamento delle velocità
diastoliche e dei correlati ΔV, con variazioni
significative (incremento delle prime e
decremento dei secondi) nei soggetti che hanno
sviluppato edema precoce e precoce ritardato e
non rilevanti per quelli con edema tardivo (Fig. 1-
3).
Fig. 1 – Edema precoce
Fig. 2 – Edema precoce durante RT
Fig. 3 – Edema tardivo
Confrontando, inoltre, le donne con edema in
corso di RT, che hanno successivamente
sviluppato edema tardivo, con quelle che, al
contrario, non lo hanno manifestato, si è
riscontrato nelle prime rispetto alle seconde, un
incremento significativo dei valori di velocità
diastolica e un decremento del ΔV per tutti i
controlli programmati (Fig. 4-6).
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6 28
Lavori Originali
Anno 1 - Num. 3 Giornale Italiano di Linfologia
Il confronto degli stessi parametri nei due gruppi di
soggetti, ad 1 anno dalla comparsa di edema
tardivo, ha evidenziato un andamento
diametralmente opposto (decremento
significativo delle velocità diastoliche e
incremento del ΔV) (Fig. 7).
Fig. 7
DISCUSSIONE
Questo studio ha voluto ricreare quelle condizioni,
riportate in letteratura, di massimo rischio per
l’insorgenza di PME, ossia l’associazione di terapia
radiante all’atto chirurgico, nella sua massima
espressività demolitiva della componente linfatica
ascellare (linfoadenectomia). Al fine di escludere
eventuali interferenze sull’azione drenante
suppletiva della componente venosa distrettuale,
sono stati esclusi quei soggetti con insorgenza di
complicanze steno-ostruttive a livello venoso. I
nostri dati confermano la sensibilità degli indici di
velocità (diastolica ed il correlato ΔV) a
rappresentare repentinamente le variazioni
emodinamiche che sottendono gli edemi precoci
post mastectomia. Le velocità diastoliche
sarebbero infatti degli ottimi indicatori della
capacità drenante di compenso del distretto
venoso sottoposto a sovraccarico, per effetto del
default delle strutture linfatiche ascellari,
secondario all’atto chirurgico e alla successiva
terapia radiante. L’incremento significativo
(p<0,05) dei valori di velocità diastolica (e il
correlato decremento del ΔV), solo nei soggetti
con comparsa di edema precoce in corso di RT,
che successivamente hanno sviluppato un edema
tardivo, potrebbe rappresentare un indice
predittivo di sviluppo di tale tipo di edema.
Parallelamente la riduzione significativa delle
velocità diastoliche nei pazienti con edema
tardivo, rispetto a quelli che non lo hanno
sviluppato, deporrebbe per la comparsa di
fenomeni di vasoparesi a livello venoso, come del
resto descritti in letteratura.18 La compromissione
della capacità di adattamento della parete
venosa, avrebbe pertanto un ruolo fondamentale
nell’alterare il precario equilibrio interstiziale,
conseguente alla compromessa funzione
drenante linfatica. Limite principale dello studio è
l’impossibilità di prevedere la comparsa di edema
tardivo nei pazienti che al momento non lo
presentano, oltre quelle che sono le tempistiche
dei controlli stabilite per l’attuale studio. I risultati
relativi all’epoca d’insorgenza delle varie tipologie
di edema (precoce e tardivo) e la percentuale di
soggetti che hanno sviluppato tali complicanze,
sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli di altri
lavori citati in letteratura.
CONCLUSIONI
L’edema post mastectomia rappresenta tuttora
una complicanza invalidante degli interventi per
neoplasia mammaria, con importanti risvolti
psicologici e costi sociali elevati. Se da un lato
sono stati ipotizzati differenti meccanismi
eziopatogenetici, avvallati da numerose evidenze
sperimentali, dall’altro le sue reali cause non sono
state ancora chiaramente individuate. In tal senso
l’atto chirurgico svolgerebbe un ruolo di primaria
importanza soprattutto se associato a
linfoadenectomia complementare e radioterapia
locale. Tali fattori, come dimostrato da diversi
lavori, incrementerebbero in maniera esponenziale
l’incidenza di PME. Un attento studio Eco-Color-
Doppler dei segmenti venosi succlavio ascellari di
tali pazienti sarebbe in grado, attraverso l’analisi di
parametri velocimetrici diastolici, di individuare
quei soggetti con maggiori probabilità di sviluppo
di edema linfatico tardivo, garantendo in questo
modo l’adozione di tutte quelle misure preventive
e degli strumenti terapeutici, in grado di
contrastare anticipatamente e in modo efficace
la comparsa di questa grave complicanza.
RINGRAZIAMENTI
Un sentito ringraziamento al Dott. Piero Montesanto, biologo
(Centro di Ricerca e Studio sullo Stress Ossidativo, Lissone, Italia)
per la preziosa collaborazione fornita alla stesura del lavoro. Un
ulteriore ringraziamento per il supporto tecnico agli Ing. Sara
D’Onofrio e Leonardo Forzoni (Esaote S.p.A., Firenze, Italia)
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GIORNALE ITALIANO DI LINFOLOGIA
AUT. TRIBUNALE DI BOLOGNA N. 8205 DEL 22/09/2011
ISSN 2240-7278
Anno 1 - Numero 3 - Ottobre 2012