Gianni Rodari - Il Secondo Libro Delle Filastrocche

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Gianni Rodari

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  • Gianni Rodari.

    "Il secondo libro delle filastrocche"

    Il gatto e il topo

    Un topo di biblioteca

    trov un gatto in figura,

    e subito gli strappa un baffo

    senza un briciolo di paura.

    - Tutto qui? - si vant poi -

    Questo l'orco che ci minaccia?

    Non azzarda rivoltarsi,

    e sa solo di carta straccia.

    E senza esitazione

    l'intrepido topolino

    dalla coda alle orecchie

    divor l'intero felino.

    Ma mentre faceva il chilo

    un gatto lo acchiapp;

    era un gatto in carne e ossa,

    con gli artigli lunghi un bel po'.

    - Eccellenza, c' un equivoco,

    uno scambio di persona...

    Sono un topo letterato,

    la mia carne non buona.

    - Rispetto le belle lettere -

    il gatto disse, - davvero.

  • Ma perch non ha studiato

    un pochino anche dal vero?

    Il gatto e la gallina

    Si dice che il gatto

    parlare non sa.

    Errore. Sa benissimo.

    Soltanto, non gli va.

    Non gli va di raccontare

    al primo venuto

    se la carne era fresca,

    se il latte gli piaciuto.

    Non vanitoso

    come la gallina

    che, se fa l'uovo, canta

    tutta quanta la mattina.

    Per un uovo piccolo cos

    si vanta, l'esagerata,

    come se avesse fatta

    un'intera frittata.

    Il libro dell'avvenire

    Mi rendo conto benissimo

    che vi sembrer incredibile,

    eppure eccovi pronto

    il libro commestibile.

  • E' il libro dell'avvenire,

    strabiliante invenzione:

    ci si mangiano i problemi

    con tutta la soluzione.

    Un capitolo a pranzo,

    un capitolo a cena,

    e la Storia digerita,

    con tutti i retroscena.

    Una pagina al giorno,

    con un po' di acqua minerale,

    al cervello via esofago

    va l'analisi grammaticale.

    Che bellezza, con gli amici

    far merenda in compagnia

    sbocconcellando un trattato

    di mineralogia...

    Chi ha lo stomaco buono

    pu diventar dottore,

    - studiando a due ganasce -

    in meno di ventiquattr'ore.

    Ma in attesa che l'invenzione

    ottenga il brevetto di Stato,

    ti conviene studiare

    come s' sempre studiato.

    Filastrocca delle parole

    Filastrocche delle parole:

    si faccia avanti chi ne vuole.

  • Di parole ho la testa piena,

    con dentro "la luna" e "la balena".

    C' qualche parola un poco bisbetica:

    "peronospera", "aritmetica"...

    Ma le pi belle le ho nel cuore,

    le sento battere: "mamma", "amore".

    Ci sono parole per gli amici:

    "Buon giorno, buon anno, siate felici",

    parole belle e parole buone

    per ogni sorta di persone.

    La pi cattiva di tutta la terra

    una parola che odio: "la guerra".

    Per cancellarla senza piet

    gomma abbastanza si trover.

    L'orologio

    O vecchio orologiaio

    che ascolti come un dottore

    il tic-tac dei vecchi orologi

    un po' deboli di cuore,

    che ti dice, segretamente,

    l'orologio del tuo cliente?

    "Mi racconta la storia

    del tempo che ha contato,

    del minuto felice

    e di quello sciupato.

    Cosa strana, mi dice,

  • non ha segnato mai

    un giorno senza guai.

    Ci dev'essere un guasto...

    Io lo riparer:

    e nella molla nuova

    ore nuove ci metter:

    le pi belle del mondo

    dal primo

    fino all'ultimo secondo".

    Un geometra sfortunato

    Un giovane geometra di Susa

    ballava il valzer dell'ipotenusa.

    Purtroppo due criceti

    rosicchiarono i cateti,

    una capra andalusa

    rosicchi anche l'ipotenusa,

    perci, deluso e molto malcontento

    si ritir in convento

    quello sfortunato geometra di Susa.

    Il mercante di stelle

    Ho conosciuto un tale,

    si chiamava Carmelo,

    e girava per i mercati

    a vendere stelle del cielo.

    Vendeva l'Orsa Maggiore,

  • il Cane, lo Scorpione,

    Arturo per mille lire

    e per duemila il Leone.

    I pianeti li dava

    con lo sconto, perch

    prendono la luce dal sole,

    non la sanno fare da s.

    "Portatevi a casa una stella,

    mi pagherete a rate",

    gridava Carmelo alla fiera

    di Cortona o di Gallarate.

    La gente lo stava a sentire,

    gli batteva le mani, perfino,

    ma non tirava mai fuori

    n il portafoglio n il borsellino.

    "Compratevi una cometa

    per quando non Natale,

    costa meno e fa pi luce

    della corrente industriale".

    Magri affari, faceva

    questo povero Carmelo

    difatti, le stelle sono

    ancora tutte su in cielo.

    Lui, poi, per campare,

    tra un mercato e una fiera

    lavorava in una fabbrica

    di buchi per il groviera.

  • Tanti saluti dai fiumi

    Tutti i fiumi al mare vanno.

    Incontrandosi che diranno?

    "Vengo da Londra, mi chiamo Tamigi".

    "Piacere: la Senna di Parigi".

    "Dov' il Tevere?" - "Sto qua!"

    "Attenti che arriva il Paran..."

    Il Reno e il Nilo, l'Indo e il Giordano

    si fanno l'inchino e il baciamano.

    Il fiume Giallo e il fiume Azzurro

    salutano il Gange con un sussurro.

    Il mare adesso rimescola l'onde,

    il Colorado col Volga confonde,

    cancella i nomi, ne fa solo un mare...

    dove i delfini vanno a giocare.

    selezione da "Tante storie per giocare" di Gianni Rodari.

    Il tamburino magico

    C'era una volta un tamburino che tornava dalla guerra. Era povero, aveva soltanto il suo tamburo, ma era contento lo stesso perch tornava a casa dopo tanti anni. Lo si sentiva suonare di lontano: barabn, barabn, barabn...

    Cammina e cammina, incontra una vecchietta. - Bel soldatino, me lo dai un soldo? - Te ne darei anche due, nonnetta, anche una dozzina, se ne avessi. Ma proprio non ne ho.

    - Sei sicuro?

  • - Ho cercato nelle tasche tutta la mattina e non ho trovato nulla. - Guardaci ancora, guardaci bene.

    - Nelle tasche? Guarder, giusto per farti contenta. Ma sono certo che... Toh, e questo che cos'?

    - Un soldo. Hai visto che ce l'avevi?

    - Ti giuro che non lo sapevo. Che bellezza! Tieni, te lo d volentieri perch devi averne pi bisogno di me.

    - Grazie, soldatino, - dice la vecchietta, - e io ti dar qualcosa in cambio.

    - Davvero? Ma io non voglio niente.

    - S, voglio darti una piccola magia. E sar questa: ogni volta che il tuo tamburo ruller, tutti dovranno ballare.

    - Grazie, nonnetta. E' proprio una magia con i fiocchi.

    - Aspetta, non finita: tutti balleranno, e non potranno fermarsi se tu non smetterai di suonare.

    - Benone! Non so ancora che cosa me ne far, di questa magia, ma sento che mi sar utile.

    - Ti sar utilissima.

    - Addio, soldatino.

    - Addio, nonnetta.

    E il soldatino si rimette in cammino per tornare a casa. Cammina, cammina... . A un tratto dalla foresta saltano fuori tre briganti.

    - O la borsa o la vita!

    - Per carit, accomodatevi, prendete pure la borsa. Ma vi avverto che vuota.

    - Mani in alto o sei morto!

    - Obbedisco, obbedisco, signori briganti.

    - Dove tieni i soldi?

    - Io, per me, li terrei anche nel cappello.

    I briganti guardano nel cappello: non c' niente.

    - Io, per me, li terrei anche in un orecchio.

    Guardano nell'orecchio: niente di niente.

    - Vi dico che li terrei anche sulla punta del naso, se ne avessi.

  • I briganti guardano, cercano, frugano. Naturalmente non trovano nemmeno un centesimo di ferro.

    - Sei proprio un pezzente, - dice il capo brigante. - Pazienza. Ti prenderemo il tamburo per fare un po' di musica.

    - Prendetelo pure, - sospira il soldatino, - mi dispiace separarmene, perch mi ha fatto compagnia per tanti anni. Ma se proprio lo volete... .

    - Lo vogliamo.

    - Mi lascereste fare una suonatina, prima di portarmelo via? Cos vi insegno come si fa, eh?

    - Ma s, facci una suonatina.

    - Ecco, ecco, - dice il tamburino, - io faccio la suonatina. E voi... (barabn, barabn, barabn!) e voi ballate!

    E bisognava vederli ballare quei tre tipacci. Parevano tre orsi alla fiera.

    In principio ci si divertivano, ridevano e scherzavano. -Forza, tamburino! Sotto con il valzer!

    - Ora la polka, tamburino!

    - Avanti con la mazurka!

    Dopo un po' cominciano a soffiare. Provano a fermarsi e non ci riescono. Sono stanchi, hanno il fiatone, gli gira la testa, ma la magia del tamburo li costringe a ballare, ballare, ballare...

    - Aiuto!

    - Ballate!

    - Piet!

    - Ballate!

    - Misericordia!

    - Ballate, ballate!

    - Basta, basta!

    - Posso tenermi il tamburo?

    - Tienilo... Non vogliamo saperne di stregonerie...

    - Tutto quello che vuoi, basta che tu smetta di suonare. Ma il tamburino, per prudenza, smise solo quando li vide cascare per terra senza forze e senza respiro.

  • - Ecco, cos non potrete corrermi dietro!

    E lui, via a gambe.

    Ogni tanto, per precauzione, dava qualche colpetto al tamburo. E subito si mettevano a ballare le lepri nelle loro tane, gli scoiattoli sui rami, le civette nei nidi, costrette a svegliarsi in pieno giorno...

    E via e via, camminava e correva, il bravo tamburino, per tornare a casa sua...

    Primo Finale

    Cammina e cammina, il tamburino comincia a pensare: "Questa magia sar la mia fortuna. In fondo, con quei briganti, sono stato stupido. Potevo farmi consegnare i loro quattrini. Quasi quasi, torno a cercarli... ".

    E gi si voltava per tornare sui suoi passi, quando vide comparire in fondo al sentiero una diligenza.

    - Ecco qualcosa che fa per me.

    I cavalli, trottando, facevano squillare le sonagliere. Il postiglione, a cassetta, fischiettava allegramente una canzone:

    Accanto a lui sedeva un gendarme armato.

    - Salve, tamburino. Vuoi salire?

    - No, sto bene qui.

    - Allora togliti dalla strada perch dobbiamo passare.

    - Un momento. Fate prima un balletto.

    Barabn, barabn... Il tamburo comincia a rullare. I cavalli si mettono a ballare. Il postiglione balza in piedi e attacca a dimenare le gambe. Balla il gendarme, lasciando cadere il fucile.

    Ballano i passeggeri.

    Bisogna sapere che quella diligenza trasportava l'oro di una banca. Tre casse piene d'oro. Saranno stati un trecento chili. Il tamburino, continuando a suonare il tamburo con una mano, con l'altra fa cadere le casse sul sentiero, le spinge con i piedi dietro un cespuglio.

    - Ballate! Ballate!

    - Basta cos! Non ne possiamo pi!

    - Allora via, di gran carriera, e senza voltarvi indietro...

  • La diligenza riparte senza il suo carico prezioso. Il tamburino, eccolo ricco a milioni... Ora pu costruirsi una villa, vivere di rendita, sposare la figlia di un commendatore. E quando gli servono soldi, non ha bisogno di andare in banca: gli basta il suo tamburo.

    Secondo Finale

    Cammina e cammina, il tamburino vede un cacciatore che sta per sparare a un tordo. Barabn, barabn... Il cacciatore lascia cadere la carabina e comincia a ballare. Il tordo scappa.

    - Disgraziato! Me la pagherai!

    - Per intanto, balla. E se mi dai retta, non sparare mai pi agli uccellini.

    Cammina e cammina, vede un contadino che sta bastonando il suo asino.

    - Balla!

    - Aiuto!

    - Balla! Smetter di suonare solo se mi giuri che non picchierai mai pi il tuo asino.

    - Lo giuro!

    Cammina e cammina, il generoso soldatino mette mano al suo tamburo ogni volta che si tratta di impedire una prepotenza, un'ingiustizia, un sopruso. E di prepotenze ne trova tante che non riesce pi a tornare a casa. Ma contento lo stesso e pensa:

    "La mia casa sar dove posso fare del bene con il mio tamburo".

    Terzo Finale

    Cammina e cammina... Mentre cammina il tamburino riflette: "Strano tamburo e strana magia. Vorrei proprio capire come funziona l'incantesimo".

    Guarda le bacchette, le rivolta da tutte le parti: sembrano due normali bastoncini di legno.

    - Forse il segreto dentro, sotto la pelle del tamburo! Il soldatino fa col coltello un piccolo buco nella pelle. - Dar un'occhiata, - dice.

    Dentro, non c' niente di niente.

    - Pazienza, mi terr il tamburo com'. E riprende la sua strada, battendo allegramente le bacchette. Ma ora le lepri, gli scoiattoli, gli uccelli sui rami non ballano pi al suono del tamburo. Le civette non si svegliano.

  • - Barabn, barabn: ...

    Il suono sembra lo stesso, ma la magia non funziona pi. Ci credereste? Il tamburino pi contento cos.

    Pinocchio il furbo

    C'era una volta Pinocchio. Ma non quello del libro di Pinocchio, un altro. Era di legno anche lui, ma non era lo stesso. Non l'aveva fatto Geppetto, si era fatto da solo.

    Diceva le bugie anche lui, come il famoso burattino, e ogni volta che le diceva il naso gli si allungava a vista d'occhio, per era proprio un altro Pinocchio: tanto vero che quando il naso gli si allungava, invece di spaventarsi, piangere, chiedere aiuto alla Fatina eccetera, lui prendeva un coltello, o una sega, e si tagliava via un bel pezzo di naso. Era di legno, vero?, cos non poteva sentire dolore.

    E siccome di bugie ne diceva tante e anche di pi, in poco tempo si trov la casa piena di pezzi di legno.

    - Che bellezza, - dice, - con tutto questo bel legname stagionato mi ci faccio i mobili, mi ci faccio, e risparmio la spesa del falegname.

    Per bravo, era bravo. Lavorando si fece il letto, il tavolo, l'armadio, le sedie, gli scaffali per i libri, una panca. Alla fine stava facendo un cavalletto per metterci su il televisore e gli venne a mancare il legno.

    - Ho capito, - disse, - ci vuole una buona bugia. Corse fuori e cerc il suo tipo. Arrivava, trotterellando sul marciapiede, un omino di campagna, di quelli che sono sempre in ritardo per prendere la corriera.

    - Buongiorno. Ma lo sa che lei proprio fortunato? - Io! E come mai?

    - Non lo sa ancora?! Ha vinto cento milioni alla lotteria, lo ha detto la radio cinque minuti fa.

    - Non possibile!

    - Come sarebbe, non possibile... . Lei, scusi, come si chiama?

    - Roberto Bislunghi.

    - Vede? La radio ha detto proprio il suo nome, Roberto Bislunghi. E che mestiere fa?

  • - Vendo salame, quaderni e lampadine a San Giorgio di Sopra.

    - Allora non ci sono dubbi: il vincitore proprio lei.

    Cento milioni. Mi congratulo vivamente...

    - Grazie, grazie...

    Il signor Bislunghi ci credeva e non ci credeva, ma era emozionatissimo e dovette entrare in un bar per bere un bicchier d'acqua. Solo dopo che ebbe bevuto gli venne in mente che non aveva mai comprato biglietti per la lotteria, dunque ci doveva essere uno sbaglio. Ma Pinocchio, ormai, era tornato a casa soddisfatto. La bugia gli aveva allungato il naso della misura giusta per fare l'ultima gamba del cavalletto. Seg, inchiod, piall: ecco fatto. Un cavalletto cos, a comprarlo e pagarlo, ci sarebbero volute le sue ventimila lire. Un bel risparmio.

    Quando ebbe finito di arredarsi la casa, decise di mettersi in commercio.

    - Vender legname e diventer ricco.

    E difatti, a dire le bugie era cos svelto che in poco tempo divent proprietario di un grande magazzino con cento operai a lavorare e dodici ragionieri a fare i conti. Si compr quattro automobili e due autotreni. Gli autotreni non gli servivano per andare a spasso, ma per trasportare il legname. Ne mandava anche all'estero, in Francia e in Burlandia.

    E gi bugie e gi bugie: il naso non si stancava mai di ricrescere. Pinocchio diventava sempre pi ricco. Adesso nel suo magazzino lavoravano tremilacinquecento operai e quattrocentoventi ragionieri a fare i conti. Purtroppo, a forza di dire bugie gli si svuotava la fantasia. Per trovarne una nuova doveva andare in giro ad ascoltare le bugie degli altri e copiarle: quelle dei grandi, quelle dei bambini...

    Ma erano bugie da poco e facevano crescere il naso solo di pochi centimetri per volta.

    Allora Pinocchio si decise a prendere un suggeritore, un tanto al mese. Il suggeritore passava otto ore al giorno nel suo ufficio a pensare bugie e a scriverle su tanti foglietti, che poi passava al padrone:

    - Dica che la Cupola di San Pietro l'ha costruita lei. - Dica che la citt di Forlimpopoli ha le rotelle e pu andare in giro per le campagne.

    - Dica che andato al Polo nord, ha fatto un buco ed uscito al Polo sud.

  • Il suggeritore guadagnava abbastanza bene, per alla sera, a furia di inventare bugie, gli veniva il mal di testa.

    - Dica che il Monte Bianco suo zio. - Che gli elefanti non dormono n sdraiati n in piedi, ma ritti sulla proboscide.

    - Che il fiume Po stanco di gettarsi nell'Adriatico e vuole gettarsi nell'Oceano Indiano.

    Adesso che era ricco e straricco, Pinocchio non si segava pi il naso da solo: lo servivano due operai specializzati, in guanti bianchi, con una sega d'oro. Questi operai il padrone li pagava due volte: una per il lavoro che facevano, un'altra per stare zitti. Ogni tanto, quando la giornata era stata particolarmente fruttuosa, pagava loro anche un bicchiere d'acqua minerale.

    Primo Finale

    Pinocchio arricchiva ogni giorno di pi. Ma non bisogna credere che fosse avaro. Al suggeritore, per esempio, qualche regalino glielo faceva: una mentina, un bastoncello di liquirizia, un francobollo del Senegal...

    Il paese era molto orgoglioso di lui. Lo volevano sindaco a tutti i costi, ma Pinocchio non accett, perch non se la sentiva di assumersi quella grave responsabilit.

    - Ma lei pu fare molto per il paese - gli dicevano. - Far, far lo stesso. Regaler un asilo infantile, a patto che porti il mio nome. Regaler una panchina per i giardini pubblici, perch i vecchi lavoratori ci si possano sedere quando sono stanchi.

    - Evviva Pinocchio! Evviva Pinocchio!

    Erano tanto contenti che decisero di fargli un monumento. E glielo fecero, di marmo, sulla piazza principale. Raffigurava un Pinocchio alto tre metri che regalava un soldino a un orfanello alto novantacinque centimetri. Intorno, suonava la banda. Ci furono anche i fuochi artificiali. Fu una festa memorabile.

    Secondo Finale

    Pinocchio arricchiva ogni giorno di pi, e pi arricchiva, pi diventava avaro. Il suggeritore, che faceva fatica a inventare nuove bugie, da un pezzo gli chiedeva un aumento di stipendio. Ma lui trovava sempre una scusa per negarglielo:

    - Eh, fate presto a parlare di aumenti, voi. Ieri, per, mi avete rifilato una bugia da quattro soldi: il naso mi si allungato in tutto di dodici millimetri. Dodici millimetri di legno non sono buoni nemmeno per fare uno stuzzicadenti.

  • - Ho famiglia, - diceva il suggeritore, - il prezzo delle patate aumentato.

    - Ma il prezzo dei panettoni diminuito: perch non comprate panettoni, invece di patate?

    And a finire che il suggeritore prese a odiare il suo padrone. E con l'odio nacque in lui il desiderio di vendicarsi.

    - Gliela far vedere io, - borbottava fra se', mentre scribacchiava svogliatamente i suoi foglietti quotidiani.

    Ed ecco che su uno di quei foglietti, quasi senza accorgersene, scrisse: "L'autore delle avventure di Pinocchio Carlo Collodi".

    Il foglietto fin in mezzo a quelli delle bugie. Pinocchio, che non aveva mai letto un libro in vita sua, pens che fosse una bugia come le altre e la mand a mente per snocciolarla al primo venuto.

    Fu cos che per la prima volta in vita sua, e per pura ignoranza, disse la verit. E appena l'ebbe detta, tutto il legname prodotto dalle sue bugie cadde in polvere e segatura e tutte le sue ricchezze si dileguarono come se il vento le avesse soffiate via

    e Pinocchio si ritrov povero, nella sua vecchia casa senza mobili, senza nemmeno un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.

    Terzo Finale

    Pinocchio arricchiva ogni giorno di pi e sarebbe certamente diventato l'uomo pi ricco del mondo se un giorno non fosse capitato da quelle parti un omino che la sapeva lunga, anzi, sapeva tutto e sapeva anche che tutte le ricchezze di Pinocchio si sarebbero dileguate come fumo il giorno in cui egli fosse stato costretto a dire la verit.

    - Signor Pinocchio, cos e cos: stia bene attento a non dire mai la pi piccola verit, nemmeno per isbaglio, altrimenti la festa finita. Capito? Bene, bene. A proposito: sua quella villa?

    - N-no - disse Pinocchio.

    - Allora me la prendo io: sembra fatta su misura per me. Quei magazzini sono suoi?

    - N-no - disse a malincuore Pinocchio, per evitare di dire la verit.

    - Magnifico, allora me li prendo io...

    L'omino, con quel sistema, si prese le automobili, gli autotreni, il televisore, la sega d'oro. Pinocchio diventava sempre pi nero, ma si sarebbe tagliata via la lingua piuttosto che dire la verit.

  • - A proposito, - disse finalmente l'omino: - suo il suo naso?

    Pinocchio sbott: - Certo che mio! E lei non me lo potr portar via! Il naso mio e guai a chi me lo tocca!

    - Questa proprio la verit - sorrise l'omino. E in quel momento tutto il legname di Pinocchio divent segatura, le sue ricchezze caddero in polvere, venne un gran vento e si port via ogni cosa, anche l'omino misterioso, e Pinocchio rimase solo e povero, senza nemmeno una caramella per la tosse da mettersi in bocca.

    Il pifferaio e le automobili

    C'era una volta un pifferaio magico. E' una storia vecchia, la sanno tutti. Parla di una citt invasa dai topi e di un giovanotto che, con il suo piffero incantato, port tutti i topi ad annegare nel fiume. Poi il sindaco non lo volle pagare e lui ricominci a suonare il piffero e si port via tutti i bambini della citt.

    Anche questa storia parla di un pifferaio: forse lo stesso, forse no. C'era, questa volta, una citt invasa dalle automobili.

    Ce n'erano nelle strade, sui marciapiedi, nelle piazze, sotto i portoni. C'erano automobili dappertutto: piccoline come scatolette, lunghe come bastimenti, con il rimorchio, con la roulotte. C'erano automobili, autotreni, furgoni, furgoncini. Ce n'erano tante che si muovevano a fatica, urtandosi, fracassandosi i parafanghi, schiacciandosi i paraurti, strappandosi le marmitte. E finalmente ce ne furono tante che non ebbero pi lo spazio per muoversi e rimasero ferme. Cos la gente doveva andare a piedi. Ma non era tanto facile, con le macchine che occupavano tutto il posto disponibile. Bisognava aggirarle, scavalcarle, passarci sotto. E dalla mattina alla sera si sentiva: - Ahi!Questo era un pedone che aveva battuto la testa contro un cofano.

    - Ahio! Ahia!

    Questi erano due pedoni che si erano scontrati strisciando sotto un camion. La gente, si capisce, diventava matta dalla rabbia.

    - E' ora di finirla!

    - Bisogna fare qualcosa!

    - Perch il sindaco non ci pensa?

    Il sindaco sentiva quelle proteste e borbottava: - Per pensarci, ci penso. Ci penso giorno e notte. Ci ho pensato anche tutto il giorno

  • di Natale. Il fatto che non mi viene in mente nulla. Non so che cosa fare, che cosa dire e che pesci pigliare.

    E la mia testa non pi dura delle altre. Guardate che cerotto.

    Un giorno si present in Comune uno strano giovanotto.

    Portava una giacca di pelle di pecora, le cioce ai piedi, un berretto a cono con un gran nastro. Insomma, pareva proprio uno zampognaro. Uno zampognaro senza zampogna, per. Quando chiese di essere ricevuto dal sindaco, la guardia gli rispose seccamente:

    - Lascialo tranquillo, non ha voglia di ascoltare serenate.

    - Ma io non ho la zampogna.

    - Peggio che mai. Se non hai nemmeno una zampogna, perch mai il sindaco dovrebbe riceverti?

    - Ditegli che io so come liberare la citt dalle automobili.

    - Cosa? cosa? Senti, gira al largo, che qui certi scherzi non vanno.

    - Annunciatemi al sindaco, vi assicuro che non ve ne pentirete...

    Tanto disse e tanto fece che la guardia dovette accompagnarlo dal sindaco.

    - Buongiorno, signor sindaco.

    - Eh, si fa presto a dire buongiorno. Per me sar un buon giorno solamente quello in cui... la citt sar liberata dalle automobili.

    - E io conosco il sistema.

    - Tu? E chi te lo ha insegnato? Una capra?

    - Chi me lo ha insegnato non importa. A lasciarmi fare una prova non ci perdete niente. E se voi mi promettete una certa cosa, entro domattina non avrete pi grattacapi.

    - Sentiamo, che cosa ti dovrei promettere?

    - Che da domani in poi in piazza grande ci potranno giocare sempre i bambini, e ci saranno per loro giostre, altalene, scivoli, palle di gomma e aquiloni.

    - In piazza grande?

    - In piazza grande.

    - E non vuoi altro?

    - Niente altro.

  • - Allora, qua la mano. Promesso. Quando cominci?

    - Subito, signor sindaco...

    - Di, non perdere un minuto.

    Lo strano giovanotto non perdette nemmeno un secondo. Si mise una mano in tasca e ne cav un piccolo zufolo, intagliato in un ramo di gelso. E addirittura l, nell'ufficio del sindaco, cominci a suonare una bizzarra cantilena. E usc suonando dal palazzo del Comune, attravers la piazza, si avvi verso il fiume...

    Di l a un momento ...

    - Guardate! Che fa quella macchina? Si messa in moto da sola! - Anche quell'altra!

    - Ehi! Ma quella la mia! Chi che mi ruba la macchina?

    Al ladro! Al ladro! - Ma non c' nessun ladro, non vede?

    Tutte le automobili si sono messe in moto...

    - Prendono velocit... corrono... - Chi sa dove vanno?

    - La mia macchina! Ferma, ferma! Voglio la mia macchina! - Provi a metterle un pizzico di sale sulla coda... Da ogni punto della citt le macchine correvano, in un frastuono inaudito di motori, scappamenti, trombe, sirene, claxon... . Correvano, correvano da sole.

    A fare bene attenzione, per, si sarebbe sentito sotto il frastuono, eppure pi forte, pi resistente del frastuono, il fischio sottile del piffero, la sua bizzarra, bizzarra cantilena...

    Primo Finale

    Le automobili correvano verso il fiume.

    Il pifferaio, senza mai smettere di suonare, le aspettava sul ponte. Quando arriv la prima macchina - che per combinazione era proprio quella del sindaco - cambi appena la melodia, aggiunse una nota pi alta. Come per un segnale, il ponte croll e l'automobile si tuff nel fiume e la corrente la port lontano. E gi la seconda, gi anche la terza, gi tutte le automobili, una dopo l'altra, a due a due, a grappoli, sprofondavano con un ultimo ruggito del motore, un rantolo della tromba, e la corrente

    le portava via.

    Nelle strade di dove erano scomparse le automobili scendevano i bambini, trionfanti, con i loro palloni, le bambine con le bambole nelle carrozzelle, prendevano a scorrazzare tricicli e biciclette,

  • passeggiavano sorridendo le balie. Ma la gente si metteva le mani nei capelli, telefonava ai pompieri, protestava con i vigili urbani. - E voi lasciate fare quel matto? Ma fermatelo, perdinci, fate tacere quel maledetto pifferaio. - Tuffate un po' lui, nel fiume, col suo piffero... - Anche il sindaco diventato matto! Far distruggere tutte le nostre belle automobili!

    - Con quello che costano!

    - Con quello che costa il burro !

    - Abbasso il sindaco! Dimissioni! - Abbasso il pifferaio!

    - Io rivoglio la mia macchina!

    I pi audaci si scagliarono addosso al pifferaio, ma si fermarono prima di poterlo toccare. Nell'aria, invisibile, c'era come un muro a difenderlo e contro quel muro gli audaci picchiavano invano con i pugni ed i calci. Il pifferaio aspett che l'ultima macchina si fosse tuffata nel fiume, poi ci si tuff anche lui, raggiunse a nuoto l'altra riva, fece un inchino, si volt e disparve nel bosco.

    Secondo Finale

    Le automobili corsero al fiume e l'una dopo l'altra vi si tuffarono, con un ultimo gemito del claxon. L'ultima a tuffarsi fu la macchina del sindaco. A quell'ora gi la piazza grande era gremita di bambini che giocavano e le loro grida festose coprivano i lamenti dei cittadini che avevano visto le loro macchine sparire lontano, trascinate dalla corrente. Il pifferaio, finalmente, smise di suonare, sollev gli occhi, e soltanto allora vide la folla minacciosa che marciava su di lui, e il signor sindaco che marciava davanti alla folla.

    - E' contento, signor sindaco?

    - Adesso te la do io la contentezza! Ti pare di aver fatto una bella cosa? Non sai quanto lavoro e quanto denaro costa un'automobile? Bel modo, di liberare la citt...

    - Ma io... ma voi...

    - Ma tu un bel niente, tu. Tu adesso, se non vuoi passare il resto dei tuoi giorni in prigione, ti attacchi al piffero e fai uscire le automobili dal fiume. E bada che le rivoglio tutte, dalla prima all'ultima. - Bravo! Bene! Viva il signor sindaco!

    Il pifferaio obbed. Obbedienti al suono del suo strumento magico le automobili tornarono a riva, corsero nelle strade e nelle piazze a occupare il posto che occupavano prima, cacciando i bambini, i palloni, i tricicli, le balie. Insomma, tutto torn come prima. Il

  • pifferaio si allontan lentamente, pieno di tristezza, e di lui non si mai pi sentito parlare.

    Terzo Finale

    Le automobili correvano, correvano... . Verso il fiume, come i topi di Hammelin? Macch! Correvano, correvano... . E a un certo punto non ce ne fu pi nemmeno una, in citt , non una sola in piazza grande, vuoto il corso, liberi i viali, deserte le piazzette. Dov'erano scomparse?

    Tendete l'orecchio e le sentirete. Ora corrono sotto terra. Il suo piffero magico quel bizzarro giovanotto ha scavato delle strade sotterranee sotto le strade, e delle piazze sotto le piazze. Laggi corrono le macchine.

    Si fermano, per prendere a bordo il loro proprietario, e ripigliano la corsa. Adesso c' posto per tutti.

    Sotto terra, per le automobili. Sopra, per i cittadini che vogliono passeggiare parlando del governo, del campionato e della Luna, per i ragazzi che vogliono giocare, per le donne che vanno a fare la spesa.

    - Che stupido, - gridava il sindaco, pieno d'entusiasmo, - che stupido sono stato a non averci pensato prima!

    Al pifferaio, poi, in quella citt hanno fatto un monumento.

    Anzi, due. Uno in piazza grande e uno sotto, tra le macchine che corrono instancabili nelle loro gallerie.

    Allarme nel presepio

    Una volta, mancava poco a Natale, un bambino fece il suo presepio. Prepar le montagne di cartapesta, il cielo di carta da zucchero, il laghetto di vetro, la capanna con sopra la stella.

    Dispose con fantasia le statuine, levandole una per una dalla scatola in cui le aveva riposte l'anno prima. E dopo che le ebbe collocate qua e l , al loro posto - i pastori e le pecore sul muschio, i re Magi sulla montagna, la vecchina delle caldarroste presso il sentiero - gli sembr che fossero poche. Restavano troppi spazi vuoti. Che fare? Era troppo tardi per uscire a comprare altre statuine, e del resto lui di soldi non ne aveva tanti...

    Mentre si guardava intorno, in cerca di un'idea, gli capit sotto gli occhi un altro scatolone, quello in cui aveva messo a riposo, in

  • pensione, certi vecchi giocattoli: per esempio, un pellerossa di plastica, ultimo superstite di un'intera trib che marciava all'assalto di Fort Apache... un piccolo aeroplano senza timone, con l'aviatore seduto nella carlinga... una bamboletta un po' "hippy", con la chitarra a tracolla: gli era capitata in casa per combinazione, dentro la scatola del detersivo per la lavatrice. Lui, naturalmente, non ci aveva giocato mai, i maschi non giocano con le bambole. Per , a guardarla, era proprio carina.

    Il bambino la pos sul sentiero del presepe, accanto alla vecchietta delle caldarroste. Prese anche il pellerossa, con l'ascia di guerra in mano, e lo colloc in fondo al gregge,

    presso la coda dell'ultima pecora. Infine appese con un filo l'aeroplano e il suo pilota a un alberello di plastica, abbastanza alto, che una volta era stato un albero di Natale, di quelli che si comprano ai Grandi Magazzini e trov il posto anche per loro, sulla montagna, non lontano dai re Magi e dai loro cammelli.

    Contempl soddisfatto il suo lavoro, poi and, a letto e si addorment subito. Allora si svegliarono le statuine del presepio. Il primo ad aprire gli occhi fu uno dei pastori. Egli not subito che c'era qualcosa di nuovo e di diverso nel presepio. Una novit che non gli piaceva troppo. Anzi, non gli piaceva per niente.

    - Ehi, ma chi quel tipaccio che segue il mio gregge con in mano un'accetta? chi sei? Che cosa vuoi? Vattene in fretta,prima che ti faccia azzannare dai miei cani.

    - Augh - fece per tutta risposta il pellerossa.

    - Come hai detto? Senti, parla chiaro, sai? Meglio ancora, non parlare per niente e porta il tuo muso rosso da un'altra parte.

    - Io restare, - fece il pellerossa, - augh!

    - E quella scure? Che ci fai, d un po'? Ci accarezzi i miei agnelli?

    - Scure stare per tagliare legna. Notte fredda, io volere fare fuoco.

    In quel momento si svegli anche la vecchina delle caldarroste e vide la ragazzetta con la chitarra a tracolla.

    - Dico, quella ragazza, che specie di cornamusa la vostra ?

    - Non una cornamusa, una chitarra.

    - Non sono cieca, lo vedo bene che una chitarra. Non lo sai che qui sono permesse solo le zampogne e i pifferi?

    - Ma la mia chitarra ha un bellissimo suono. Sentite...

  • - Per carit , smettila. Sei matta? Ma senti che roba. Ah, la giovent d'oggigiorno. Dammi retta, fila via prima che ti tiri in faccia le mie castagne. E guarda che scottano, perch sono quasi arrostite.

    - Sono buone le castagne - disse la ragazza.

    - Fai anche la spiritosa? Ti vuoi prendere le mie castagne?

    Ma allora sei pure una ladra, oltre che una svergognata. Ora ti faccio vedere io... Al ladro! Anzi, alla ladra!

    Ma il grido della vecchietta non fu udito. L'aviatore, infatti, aveva scelto proprio quel momento per svegliarsi e accendere il motore. Fece un paio di giri sul presepio, salutando tutti con la mano, e atterr vicino al pellerossa. I pastori lo circondarono minacciosi:

    - Cosa vuoi fare, spaventarmi le pecore?

    - Distruggere il presepio con le tue bombe?

    - Ma io non porto bombe, - rispose l'aviatore, - questo un apparecchio da turismo. Volete fare un giretto?

    - Fallo tu, il giretto: gira bene al largo e non farti pi vedere da queste parti.

    - S, s, - strill la vecchina, - e mandate via anche questa ragazzaccia, che mi vuol rubare le mie castagne...

    - Nonnina, - fece la ragazza, - non dite bugie. Le vostre castagne, se me le volete vendere, ve le pago.

    - Mandatela via, lei e la sua maledetta chitarra!

    - E anche tu, muso rosso - riprese il pastore di prima, - torna alle tue praterie: non vogliamo predoni, tra noi.

    - N predoni n chitarre - aggiunse la vecchina.

    - Chitarra stare strumento molto bello - disse il pellerossa.

    - Ecco, l'avete sentito? Sono d'accordo!

    - Nonnetta, - fece l'aviatore, - ma perch strillate a quella maniera ? Dite piuttosto alla signorina di farci sentire qualcosa.

    La musica mette pace.

    - Facciamola corta, - disse il capo dei pastori, - o ve ne andate tutti e tre con le buone, o sentirete un, altra musica.

    - Io stare qui. Ho detto.

  • - Anch'io stare qui, - fece la ragazza, - come il mio amico Toro Seduto. E anch'io ho detto.

    - Io poi, - fece l'aviatore, - sono arrivato da lontano, figuriamoci se me ne voglio andare. Su, ragazzina, attacca, vediamo se la tua chitarra rabbonisce la compagnia...

    La ragazza non se lo fece ripetere e cominci a pizzicare le corde...

    Primo Finale

    Al primo accordo della chitarra, i pastori alzarono i bastoni e fischiarono ai cani. - Via di qua! Via subito!

    - Acchiappa, Fido! Addenta, Lupo!

    - Sotto, ragazzi: rimandiamoli al loro paese.

    - Anzi, mandiamoli a quel paese...

    Il pellerossa, senza arretrare di un passo, agit la sua scure di guerra. - Io stare pronto, - disse, - augh!

    Ma l'aviatore la pensava in altro modo.

    - Su, - disse, - non il caso di fare un macello. Salta nell'apparecchio, ragazza. E anche tu, Toro Seduto, vieni via. Il motore acceso. Ci siete tutti? Si parte!

    Con un rombo il piccolo apparecchio si stacc dal presepio e cominci a svolazzare intorno per la camera.

    - Dove andiamo? - domand la ragazza, stringendosi al petto la chitarra per paura che il vento del volo gliela portasse via.

    - Conosco un magnifico scatolone dove si stava tanto tranquilli.

    - Anch'io lo conosco.

    - Anche io sapere. Augh!

    - Allora, augh! Allo scatolone! Eccolo laggi, ancora aperto, meno male.

    Festeggeremo per conto nostro, lontano da

    quegli ignoranti.

    - Augh! - fece ancora il pellerossa. Ma non pareva del tutto soddisfatto.

    Secondo Finale

    Al primo accordo della chitarra i pastori agitarono minacciosamente i loro bastoni.

  • - Va bene, va bene, - sospir allora la ragazza, - la chitarra non vi piace. Ecco la faccio a pezzi. Per , per favore, richiamate i cani prima che mi strappino i pantaloni.

    - Brava, cos che si fa, - approv la vecchina delle caldarroste.

    - Vieni, ti dar un po' di castagne.

    - Prima, - disse la ragazza, - datemi un po' di farina. Tingeremo di bianco Toro Seduto, cos i pastori non avranno pi ragione di diventare nervosi a guardarlo.

    - Ben pensata, - dissero i pastori. - Ma lui, muso rosso, d'accordo?

    - Augh - fece il pellerossa. E si lasci tingere tranquillamente di bianco.

    - E l'aeroplano? - domandarono i pastori.

    - Sapete che ne facciamo? - sugger l'aviatore. - Gli diamo fuoco, cos ci scaldiamo.

    - Ben pensata anche questa: tanto pi che la notte fredda.

    Il fuoco riport finalmente la pace sul vecchio presepio. E intorno al fuoco i pastori, al suono dei loro pifferi, ballarono la tarantella.

    Terzo Finale

    Al primo accordo della chitarra i pastori fecero per slanciarsi contro i tre nuovi venuti, ma una voce autorevole e severa li trattenne:

    - Pace! Pace!

    - Chi ha parlato?

    - Guardate, uno dei tre Magi ha lasciato la carovana e sta venendo dalla nostra parte. Maest , quale onore!

    - Il mio nome Gaspare, non Maest . Maest non un nome.

    - Ciao, Gaspare - disse la ragazza con la chitarra.

    - Buona sera, figliuola. Ho sentito la tua musica. Be, non si sentiva un gran che, con tutto quel chiasso. E ho sentito anche della musica migliore. Ma la tua non era da buttar via.

    - Grazie, Gaspare.

    - Augh! - fece il pellerossa.

  • - Salve anche a te, Toro Seduto, o Aquila Nera, o Nube Tonante, o comunque tu voglia essere chiamato. E buona sera a te, pilota. E a voi, pastori, e a te, nonnetta. Ho sentito il profumo delle tue castagne.

    - Questa ragazzaccia me le voleva portar via...

    - Su, su, forse ti sembrato. Non ha l'aria di una ladra.

    - E questo tipaccio con l'accetta? - gridarono i pastori. - Ci si presenta al presepio con quel muso rosso?

    - Avete provato a chiedergli perch arrivato fin qui?

    - Non c' bisogno di chiederglielo. Si vede benissimo: voleva fare una strage...

    - Io avere sentito messaggio, - disse il pellerossa. - Pace agli uomini di buona volont . Io stare uomo di buona volont.

    - Avete sentito? - disse allora Gaspare. - Il messaggio per tutti: per i bianchi e per i rossi, per chi va a piedi e per chi va in aeroplano, per chi suona la zampogna e per chi suona la chitarra. Se odiate chi diverso da voi, vuol dire che del messaggio non avete capito nulla.

    A queste parole fece seguito un lungo silenzio. Poi si sent la vecchina che bisbigliava: - Ehi, ragazzina, ti piacciono le castagne? S prendi, e guarda che non te le vendo, te le regalo... E voi, pilota, ne volete? E voi signor Toro Volante, scusate, non ho capito bene il vostro nome, vi piacciono le castagne?

    - Augh, - disse il pellerossa.

    selezione da "Il libro degli errori" di Gianni Rodari.

    L'acca in fuga

    C'era una volta un'Acca.

    Era una povera Acca da poco: valeva un'acca, e lo sapeva.

    Perci non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano:

  • - E cos, saresti anche tu una lettera dell'alfabeto? Con quella faccia?

    - Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?

    Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all'estero ci sono paesi, e lingue, in cui l'acca ci fa la sua figura.

    "Voglio andare in Germania, - pensava l'Acca, quand'era pi triste del solito. - Mi hanno detto che lass le Acca sono importantissime".

    Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire n uno n due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l'autostop.

    Apriti cielo! Quel che successe da un momento all'altro, a causa di quella fuga, non si pu nemmeno descrivere.

    Le chiese, rimaste senz'acca, crollarono come sotto i bambardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccio un po' dappertutto.

    In compenso, dal cielo caddero gi i cherubini: levargli l'acca, era stato come levargli le ali.

    Le chiavi non aprivano pi, e chi era rimasto fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all'aperto.

    Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole.

    Non vi dico il Chianti, senz'acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perch i bicchieri, diventati "biccieri", schiattavano in mille pezzi.

    Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il "ciodo" si squagli sotto il martello peggio che se fosse stato di burro.

    La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non un solo gallo riusc a fare chicchirich: facevano tutti "cicciric" e pareva che starnutissero. Si temette un'epidemia.

    Cominci una gran caccia all'uomo, anzi, scusate, all'Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza.

    L'Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perch non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: - Resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a

  • pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c' una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione.

    L'Acca era di buon cuore, ve l'ho gi detto. E' rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia.

    Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci pianter in asso un'altra volta.

    Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli "occiali" senz'acca non ci vedo da qui a l.

    La riforma della grammatica

    Il professor Grammaticus, un giorno, decise di riformare la grammatica.

    - Basta, - egli diceva, - con tutte queste complicazioni. Per esempio, gli aggettivi, che bisogno c' di distinguerli in tante categorie? Facciamo due categorie sole: gli aggettivi simpatici e gli aggettivi antipatici. Aggettivi simpatici: buono, allegro, generoso, sincero, coraggioso. Aggettivi antipatici: avaro, prepotente, bugiardo, sleale, e via discorrendo. Non vi sembra pi giusto?

    La domestica che era stata ad ascoltarlo rispose: -Giustissimo.

    - Prendiamo i verbi, - continu il professor Grammaticus. - Secondo me essi non si dividono affatto in tre coniugazioni, ma soltanto in due. Ci sono verbi da coniugare e quelli da lasciar stare, come per esempio: mentire, rubare, ammazzare, arricchirsi alle spalle del prossimo. Ho ragione s o no?

    - Parole d'oro, - disse la domestica.

    E se tutti fossero stati del parere di quella buona donna la riforma si sarebbe potuta fare in dieci minuti.

    Il diavolo

  • Marco e Mirco non hanno alcun rispetto per i verbi, nemmeno per i pi vecchi, quelli con i capelli bianchi che camminano col bastone.

    I due insolenti monelli ieri dovevano coniugare, per compito, certi verbi, formando con essi delle frasi, ovvero pensierini.

    Graziosi pensierini davvero!

    Ecco un esempio dei loro esercizi:

    "Io mangio il gelato,

    tu bevi l'aranciata,

    egli paga il conto

    perch il pi tonto".

    Insistendo nella loro bravata, essi hanno scritto poi:

    "Io vado a Torino,

    tu vai a Torino,

    egli va a Torino,

    noi andiamo a Torino

    voi andate al diavolo

    e starete al caldino".

    Il diavolo, a questo punto, si sentito fischiare le orecchie. C' stato un botto, un gran puzzo di zolfo, e il diavolo era l sulla poltrona, e agitava la forca gridando:

    - Dove sono quelli che devono andare al diavolo?

    Marco, per la paura, stava gi per svenire. Mirco, pi pronto a dire bugie, corso alla finestra e, indicando un punto impreciso verso la piazza, ha esclamato:

    - L, guardi, Eccellenza, sono scappati da quella parte!

    Per fortuna il diavolo c' cascato e si precipitato in piazza, dove voleva per forza portar via il farmacista, dottor Panelli, che stava sulla soglia del suo negozio a prendere il fresco. La signora Panelli per ha salvato il marito, mostrando al diavolo una raccomandazione firmata da un pezzo grosso.

    selezione da "Filastrocche in cielo e in terra" di Gianni Rodari.

  • Teledramma

    Signori e buona gente,

    venite ad ascoltare:

    un caso sorprendente

    andremo a raccontare.

    E' successo a Milano

    e tratta di un dottore

    che caduto nel video

    del suo televisore.

    Con qualsiasi tempo,

    ad ogni trasmissione

    egli stava in poltrona

    a guardare la televisione.

    Incurante dei figli

    e della vecchia mamma

    dalle sedici a mezzanotte

    non perdeva un programma.

    Riviste, telegiornali,

    canzoni oppure balli,

    romanzi oppur commedie,

    telefilm, intervalli,

    tutto ammirava, tutto

    per lui faceva brodo:

    nella telepoltrona

    piantato come un chiodo.

    Ma un d per incantesimo

    o malattia (che ne dite?

    non pu darsi che avesse

  • la televisionite?)

    durante un intervallo

    con la fontana di Palermo

    decoll dalla poltrona

    e cadde nel teleschermo.

    Ora l in mezzo alla vasca

    che sta per affogare:

    parenti, amici in lacrime

    lo vorrebbero aiutare,

    chi lo tira per la cravatta

    chi lo prende per il naso

    non c' verso di risolvere

    il drammatico telecaso.

    Andr in Eurovisione?

    Diventer pastore

    di quei greggi di pecore

    che sfilano per ore?

    Ricever i malati

    da quella scatoletta?

    Come far dopo la visita

    a scrivere la ricetta?

    Ma tra poco, purtroppo,

    la trasmissione finisce:

    e se il video si spegne,

    il misero dove finisce?

    Fortuna che il suo figliolo

    studioso di magnetismo,

    per ripescarlo escogita

    un abile meccanismo.

  • Compra un altro televisore

    e glielo mette davanti;

    il dottore ci si specchia

    e dopo pochi istanti

    per forza d'attrazione

    schizza fuori da quello vecchio

    e gi sta per tuffarsi

    nel secondo apparecchio.

    Ma nel momento preciso

    che galleggia nell'aria,

    pi veloce di gabbiano

    o nave interplanetaria,

    il figlio elettrotecnico,

    svelto di mano e di mente,

    spegne i due televisori

    contemporaneamente.

    Cade il dottor per terra,

    e un bernoccolo si fa:

    meglio cento bernoccoli

    che perdere la libert.

    I colori dei mestieri

    Io so i colori dei mestieri:

    sono bianchi i panettieri,

    s'alzano prima degli uccelli

    e han la farina nei capelli;

    sono neri gli spazzacamini,

    di sette colori gli imbianchini;

  • gli operai dell'officina

    hanno una bella tuta azzurrina,

    hanno le mani sporche di grasso:

    i fannulloni vanno a spasso,

    non si sporcano nemmeno un dito,

    ma il loro mestiere non pulito.

    L'omino della gru

    Filastrocca di sotto in su

    per l'omino della gru.

    Sotto terra va il minatore,

    dov' buio a tutte l'ore;

    lo spazzino va nel tombino,

    sulla terra sta il contadino,

    in cima ai pali l'elettricista

    gode gi una bella vista,

    il muratore va sui tetti

    e vede tutti piccoletti...

    ma pi in alto, lass lass,

    c' l'omino della gru:

    cielo a sinistra, cielo a destra,

    e non gli gira mai la testa.