Giani Stuparich - Scipio Slataper (1922)

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  • QUADERNI DELLA VOCE ^ .RACCOLTI DA GIUSEPPE PREZZOLIMI D -^

    GIANI STUPARICH l

    SCIPIO SLATAPER

    PUBBLICAZIONE DELLA SOC. AN. ED. " LA VOCE QUADERNO 56, SERIE QUARTA-FIRENZE 1922

  • PQ

    PROPRIET RISERVATA

    DI QUESTO LIBRO SONO STATE STAMPATE 2$ COPIENUMERATE SU CARTA A MANO CHE'si VENDONO A

    LIRE jHifi^ CIASCUNAyflNTi

  • Elod moglie mia,

    ho pensato qusto lavoro avendoti sempre presente e

    vicina, e siccome tu vi ritrovi tanta parte del tuo passato,

    esso cosi tuo come mio e perci io lo dedico a te con

    amore.

  • "LA VOCE,,

    Trieste senza tradizioni di coltura Primi tentativi Duegenerazioni Scipio Slataper scolaro Le prime novelle Il movimento vociano Dai < Caratteri alle < Delizieindigene Crisi vociane Impressioni in margine .

  • Scipio Slataper nacque a Trieste nel 1888.Egli non triestino soltanto di nascita, ma di ca-

    rattere e di coscienza. Non un triestino fratello sen-timentale, irredento redento, ma il triestino reden-tore che ha dato a Trieste una realt significativa eair Italia ha scoperto una sua regione ignorata nel fondoe in quel fondo ricca di vita e di nuovi valori.

    Perch egli fu una fresca coscienza d'italiano cre-sciuta da una torbida miscela di razze. ELd ebbe laforza di sradicarsi dal margine in cui si esauriva l'am-biente nativo; e senza rinnegare questo, anzi accettan-dolo in se con piena coscienza, seppe vivere e farlovivere nella corrente della storia.

    Forza tanto pi ammirevole, che dovette foggiarsida sola gli istrumenti per domare la ribelle e contra-stante materia, Trieste non aveva mezzi ne tradizionedi coltura.

    Trieste era stata una citt cosmopolita, s'era fattaitaliana per combattere pi efficacemente, negli inte-ressi per lei vitali del commercio, la rivale di fronte,Venezia, citt italiana. Per i medesimi motivi nel tem-po stesso si concedeva materialmente a un signore stra-niero.

    Questa contradizione da prima non fu sentita, maa poco a poco venne formando quel contrasto di vita

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    cos caratteristico della recente storia triestina. Contra-sto che and radicandosi sempre pi, sino a sbocciarein dramma intimo in qualche coscienza individuale.

    Fu questo sentirsi uniti d'aspirazioni con la madrepatria ed essere staccati anzi opposti nella concorrenzaper le necessit di ogni ora, il fatto che imped la for-mazione di quella base stabile da cui solo pu sorgereuna vita di coltura.

    Prima dell'unificazione d'Italia, la vita di Trieste sisquilibr tra lo sforzo d'ingrandirsi a emporio commer-ciale, con tutto il preoccupante assorbimento delle co-scienze da parte dei piccoli valori pratici, e l'oppostaquiete di alcuni ricercatori di valori astratti. Dopo, es-sendosi acuito quel contrasto, si esaur tra l'ingranaggiodegli interessi e la fiaccante tensione d'una politicaquasi morbosa.

    Per farsi un'idea dell'azione avvelenatrice di que-st'ultima, bisogna considerare in genere come sono vis-sute le popolazioni dell'Austria-Ungheria. Chi s' im-merso per qualche tempo nell'atmosfera compressa incui esse respiravano, pi facilmente pu comprenderee la loro psicologia e l'aspetto tutto speciale delle loro

    colture.

    Nell'intricarsi d'una duplice fronte di battaglia danazione a nazione e da nazione a governo centrale, siviveva sotto l'incubo d'una minaccia continua, tantopi grave quanto era pi oscura e imprecisa. E nonbasta; questa doppia minaccia, di fianco (e il pi dellevolte addirittura incuneata, come era il caso degli slavinella Venezia Giulia), e da lontano, cio da Vienna chedisponeva secondo fini strategici, ((superiori, delle sin-gole porzioni nazionali, veniva complicata, talvolta sino

  • ali esasperazione, da varie abitudini sentimentali natee concresciute nella lotta giornaliera acuta e senzatregue.

    Nascere in questi paesi voleva dire nascere con unaeredit malferma, da puntellare momento per momento.Camminare voleva dire urtare. Non c'era un posto, unosolo, dove riposare in contemplazione. Se t'assidevisulla sponda d'un ruscello, per confonderti col suo cal-mo fluire, dall'altra sponda ti giungeva subitamente ungrido a cui dovevi opporti. Se cercavi in alto la serenitdel cielo che si spiega sulle schiene luminose delle mon-tagne, trovavi sulla stessa cima gi assiso chi al tuoappressarsi avrebbe puntato i piedi per difendersi e ilbastone levato per ferire.

    E cos da bambino ti insegnavano a parlare la tualingua come si maneggia un pugnale, da giovane acomprimere tutta la tua energia verso uno scopo soloe a sbattere il tuo entusiasmo contro una barriera cieca,stregata, che risorgeva come la abbattevi. Uomo, sen-tivi il dovere, ormai conficcato come un pungolo dentrola carne, di stare in guardia per il bene tuo e dei tuoifigliuoli e per la memoria di tuo padre. Un'estenuantee eterna vigilia, senza il cambio e senza la soddisfa-zione di poter dare una volta il segnale d'allarme peruna battaglia campale. Tutto un esercito di uomini ri-versati alla periferia, per difendere il posto centralelasciato vuoto, dove avrebbero dovuto vivere costruen-do; ma non potevano.

    Questa continua tensione di militanti era naturaleche impedisse il formarsi e il disporsi organicamentedi una base di coltura, per la quale necessaria una

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    certa calma in cui si depongano gli strati e si concretinole forme. Nasca cio la tradizione.

    Ora, tradizione in questo senso non esisteva nei paesidell'Austria. Esisteva bens una tradizione sentimentale,in quanto un sentimento di coesione e di lotta perdu-rava attraverso le generazioni, ma anche questa come natura dei sentimenti, saltuaria e nebbiosa. Quindinon vera tradizione di coltura, che soprattutto tra-dizione di giudizi.

    La parola, il giornale, il libro, la scuola che, usaticon libert d'intendimento e di critica, sono efficacimezzi di coltura, erano invece mezzi di propaganda.La propaganda al posto della coltura.

    Mettete la propaganda, intenzionale subdola pove-ramente superficiale e, a rigor di termini, disgregatriceal posto della coltura, libera franca profondamente ric-ca e organicamente critica, e avrete trovato la chiaveper capire la miseria delle storie intellettuali delle va-rie nazioni del vecchio impero danubiano.

    Nessuna si salva. Nessuna riuscita a innalzare nep-pure un vertice in quell'atmosfera in cui guardano lealtezze dei due valori universali, arte e filosofia. La stes-sa nazione czeca, la pi compatta e sviluppata, non hadato che mediocri artisti e pi mediocri filosofi.

    Ma il fenomeno pi caratteristico lo presentano i duebrani di nazioni, tedesca e italiana, che vivendo stac-cati dal loro complesso omogeneo, non hanno potutone saputo fruttificare fuori del terreno fertile delle tra-dizioni materne.

    Vediamo la provincia italiana. Dtie nomi soli che si-gnifichino qualche cosa : Rosmini, Tommaseo. S ancheSegantini, Ma i Prati, i Besenghi, i Revere, gli Zam-

  • boni? Figurano nele storie letterarie accurate; se neparler ancora, si scopriranno magari; solo perch val-gono di pi della dimenticanza, ma non perch rap-presentino o significhino valori imperituri.

    Vediamo Trieste. Questa citt che pur col tempovenne accentrando il flusso vitale della Venezia Giulia,fu intellettualmente pi povera della stessa sua provin-cia; dove dalla calma solitaria di qualche paesello sor-geva pur di tanto in tanto un ingegno di promessa, senon d'affermazione.

    Trieste, se passata nella storia, lo deve ai suoi pi-roscafi, ai suoi moli, ai suoi sacchi di caff. Ma se an-diamo oltre la sua intraprendenza commerciale in ge-nere, troviamo una pagina sola, nei bronzei annali dellastoria, che ricordi Trieste : quella di Guglielmo Ober-dank; che impersona la sua fede e la sua impotenza,la sua volont negativa e il suo martirio.

    E come manc d'uomini, cos naturalmente mancdi centri e di correnti intellettuali. Non un giornale,una rivista, degni d'esser chiamati organi di coltura.Caratteristico verso il 1840 il tentativo de La Favilla .Significativa la lettera che nel fondare questa rivista,Antonio Madonizza capodistriano scriveva all'amicoconte Prospero Antonini il 3 1 agosto 1 835 : Se le miefatiche avessero ad esser derise od in qualunque altrosimile modo vandalico compensate, potrei liberamentetrarre cospicuo argomento per dire che questa gente viva-morta ed incapace di ogni pi piccola aspirazioneverso il migliore . Se tuttavia La Favilla )) dur perqualche anno, fu per la costanza di pochi individui eper i tempi eccitati che preparavano il quarantotto, nonper l'accoglienza n l'aiuto della cittadinanza; la quale

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    dopo il *48, tolto il contatto con le altre Provincie ita-liane, immiser anche pi.

    Quando la giovinezza ambiziosa di Scipio Slataperurgeva per entrare fattore attivo nella vita cittadina, insul primo decennio del secolo ventesimo, le cose nonerano profondamente mutate.

    C'era s un pi largo contatto con la vita spiritualed'Italia, ma tutto di superfcie. Un ricco teatro, del restoil solo svago che avesse sempre attirato i grassi com-mercianti e i banchieri triestini, poteva stare alla paricoi maggiori d'Italia, ma con questi condivideva pure illivello bassissimo delle intenzioni artistiche. Una uni-versit popolare di nome, di fatto un'impresa di con-ferenzieri, ebbe il torto di far conoscere ai triestinitroppo dell'Italia vecchia e parolaia e niente dell'Italianuova; ma in fondo serv a far circolare l'aria nel chiu-so; aria che purtroppo i triestini pigliarono tutta perpura, mentre in gran parte erano zaffate di stantio. Vi-vacchiava una (( Minerva ristretta e prolissa, e untantino infingarda societ di filiazione arcadica. Unabiblioteca, non poverissima di volumi, ma molto disor-dinata e di locali miserabili. Nessuna sala di lettura.Ma in compenso e di questa e della biblioteca, unalibreria modello.

    La libreria del germanico Schimpff, posta nel centro,ospitale, aperta a tutte le correnti, fu veramente bene-merita della coltura triestina. Ci si andava a passaredelle mezz'ore, sfogliando e rovistando, sempre beneaccetti anche quando s'usciva senza comperar nulla;si potevano avere libri in casa, guardarseli con cura erimandarli anche; per le povere saccocce c'erano iconti correnti a piccolissime rate mensili, per cui pi

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    d'uno studente pot farsi quasi senza accorgersene ilprimo nucleo d'una sua biblioteca. E, importante, aquesta liberalit pratica s'aggiungevano una larghezzad'idee e conoscenza del campo librario, del padronestesso e degli impiegati ben scelti, che permettevanol'arrivo e l'esposizione ordinata dei libri pi vari e pinuovi. Questa libreria aveva saputo superare anche ledifficolt del confine e molto prima e meglio dellastampa, fece conoscere a Trieste il nuovo mondo li-brario italiano. Ben presto s'allinearono sul banco spa-zioso te sobrie edizioni Carahba, le variate Formiggini,le aristocratiche Laterza e fra queste di tanto in tanto

    fecero capolino sconosciutissimi editori, come Quattrinidi Firenze, Ricciardi di Napoli, Puccini d'Ancona. Sultavolino delle riviste, fra La Lettura, Il Secolo, La nuovaAntologia eccetera, staccava la copertina severa de LaCritica. E vidino a // Marzocco capit un bel giorno LaVoce, anzi ebbe l'improntitudine di sciorinarvisi tuttalarga e lunga com'era. Dopo pochi numeri, natural-mente. La Voce spar, per qualche ordine dell'alta po-litica triestina o pi semplicem.ente perch non fossedisgustata la maggioranza dei clienti. (Quello Slatapercon quelle sue Lettere triestine ))!). Per certi innamo-rati la ebbero sempre a disposizione quando vollero, inun angolo nascosto della Libreria.

    Oltre alle istituziom predette, Trieste non aveva neun giornale letterario n una rivista di coltura. Si venivas stampando sin dal 1829 VArcheografo triestino, fon-dato da Domenico Rossetti, ma con l'inerzia delle cosemorte che si vogiiono far durare; su duecentomila abi-tanti della citt esso contava cinquantacinque abbonati,comprese societ e librerie. Una simile rispondenza non

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    era tuttavia da ascriversi completamente a colpa deilettori.

    11 torto invece della ditta fu di non rispondere a duenuove iniziative sorte da campi lontani fra di loro, conintendimenti pi larghi e pi organici del solito.

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    Si coiriinciava a sentire il disagio di una vita senzaconsolazioni spirituali. Tutto per l'interesse e la politicaaveva finito con lo stancare e umiliare gli animi. Si ca-piva che continuando cos si sarebbe andati incontroa un avvenire sempre pi fosco e pi gretto; la stessacitt commerciale ne avrebbe sofferto; per avvalorarequesta previsione, si cominci a formulare pi chiara-mente la verit che il grande commercio va di pari pas-so con la maggiore civilt. Staccati dalle grandi correntidella storia, impedito il collegamento con la tradizionenazionale, i triestini dovevano restare al margine deltutto e isterilire; questo il ragionamento che si ripetevapi spesso.

    Anche nei fatti si tent di porre un riparo a condi-zioni s tristi. E prima da chi s'era in qualche modosvincolato dal dogma della nazionalit militante e avevaper ci le mani ed anche la mente pi libere. Alcunisocialisti di fede e serenamente italiani, pensarono unaistituzione che pur partendo dal campo socialista e inquesto movendosi particolarmente, fosse di elevazionegenerale della coltura. Sorse cos // Circolo di studisociali.

    Un'accolta di amici nel 1889, quando si fond; dopo

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    1 1903 un'istituzione piena di promesse. Possedeva unaDblioteca riccamente scelta, con speciale riguardo alleDpere scientifiche, due belle sale armoniose destinateli giornali locali ed esteri e alle riviste, e organizzavalei (( cicli di serate intellettuali veramente lodevoli,conferenzieri per lo pi non venivano a tenere un di-

    ;corsetto, ma corsi organici di lezioni. E cos i triestiniipassionatamente amanti della coltura (vi potevano par-ecipare anche i non soci) ebbero occasione, per meritoiel Circolo di studi sociali, di sentire fra altri GaetanoSalvemini che tenne dieci lezioni sulla rivoluzione fran-:ese, e Arturo Labriola che parl undici sere sulle ori-gini del sistema capitalistico. Forte della sua coscienzali far opera . seria, il Circolo di studi sociali prese nel1907 l'iniziativa di un teatro popolare che ebbe un verosuccesso. Ma dur poco; come l'istituzione andava al-argandosi e stava divenfando un organo d'elevazione:olturale per tutta la citt, fu ostacolata. E fu osta-colata non solo, come era facile prevedere, dalla bor-ghesia dominata da un direttorio ferocemente conserva-ore, diffidente d'ogni novit, pauroso di recedere d'unDasso dalla sua tattica; ma dagli stesst socialisti divenuti:ol crescere della loro potenza altrettanto diffidenti di3gni iniziativa che potesse svolgersi a vantaggio gene-rale e non al loro utile particolare e immediato. Cos7 Circolo di studi sociali mor; cio continu a vivac-:hiare, disertato, tenuto su dalle cure dei pochi solitariondatori ed amici, senza utilit.

    L'altra iniziativa fu // Palvese. Verso la fine del 19065 univano un architetto, un avvocato, un professore elitri due o tre uomini d'ingegno, per creare un giornaleetterario; che servisse di raccolta alle forze intellettuali

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    migliori della regione e nello stesso tempo di focolareirradiatore di coltura. Ne pi ne meno di quello ches'era proposto settant'anni prima La Favilla. Visse unanno, dal gennaio del 1907 al dicembre del 1907. Ebbepoca presa; solitamente la citt continuava a curare isuoi interessi commerciali e a fare la politica sentimen-tale del giorno per giorno, ciecamente sicura di com-piere la funzione migliore che si potesse.

    D'altro canto per II Palvese fu anche la dimostra-zione di quello che fosse capace di rappresentare e diprodurre Tintelligenza triestina, pur in un'epoca in cuic'erano indizi dello svegliarsi delle coscienze.

    Misera cosa codesta annata del Palvese !(( Il Palvese raccoglie intorno a se chiunque rappre-

    senti entro ed oltre i confini il pensiero e l'artedegli italiani soggetti all'Austria . Col cuore che si fasempre pi stretto, lo si va sfogliando, per trovarvi quelpensiero e quell'arte.

    Nei primi numeri una poesiucola di Riccardo Pitteri.Lo conosciamo questo umile e buon lavoratore checompil in vita sua delle brevi e anche lunghe poesie;disgraziatamente per lui, sollevato dalle condizioni lo-cali a poeta ! E conosciamo meglio le poetesse EldaGianelli e Nella Doria Cambon che vi figurano abbon-dantemente. Ma abbiamo speranza negli /ignoti e neigiovani.

    Che importa se appena mossi intoppiamo in versiAl ventaglio! Vi saranno certamente cascati per caso daqualche rivistina d'Arcadia. Ahim, che seguitando ciimpigliamo ne Uerha :

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    (( Io son l'erba; la vesta

    io sono della terra;

    nutro le bianche agnella, nutro il boveall'aratro e il cavallo a la battaglia .

    Ci servisse almeno di consolaaione il respiro de LaSera!

    In cielo e in terra che divina pace!Estasiata l'anima la beve!Comincia il verso un usignolo e tace... .

    pi avanti, per carit!

    Sfumasi d'un color di croco lieveIl cielo; spicca in quel chiaror fugaceH,spero e brilla lin suo candor di neve...

    sino alla fine!

    {i O dolce sera! Oh la divina pace!

    Non si sorride pi, si continua con tristezza. E latristezza aumenta nell'incontrare qualche grazioso sog-getto locale trattato come facilmente si pu argomen-tare da questo periodo che prendo a caso :

    Le sue nf.rici si dilatavano felineamente (!) in unavaga inquietudine, ad aspirare con vera volutt l'ariaiodata della salsedine, dei profumi salmastri che usci-vano dalle roccie guernite di verzura marina, dallegrotte fantastiche del suo mare .

    E ci, mentre in Italia i giovanti poeti erano Coraz-zini, Palazzeschi, Gozzano.A che servono, se non a rendere anche pi pesanti

    i vuoti e pi amara la constatazione della povert este-

    2 S. Slataper. Quaderno s^-

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    tica del Palvese, i lumacosi versi del Lesca e gl'ibridi-smi del Pellizzari, ospitati con tanta larghezza e conl'aria d'esserne onorati? O che fosse codesto il solo nu-trimento poetico che potesse offrire la madre nazionea Trieste?

    Certo ancora che il gusto e il criterio estetico nonrisultano n molto esercitati ne precisi dal fatto cheLa lanterna di Diogene di Alfredo Fanzini venga but-tata in mazzo con La Compagnia della leggera di Lu-ciano Zuccoli, ne da quello che fra le opere italianedegne di nota sia rilevato il romanzo di Bianca Segan-tini, Bisogna saper essere felici.

    Contuttoci il Palvese non si pu trascurare ne but-tare nel mucchio con gli altri giornaletti e rivistine chesi pubblicavano a Trieste. qualche cosa, perch vicollaboravano Silvio Benco e Ferdinando Fasini; perchfra le squallide fisonomie dei giovani vi si incontra lacera rubesta dello scolaro Slataper Scipio, che la leggeaustriaca costringeva a firmarsi con lo pseudonimo diFublio Scipioni; e perch in fondo ma proprio in fondo,in uno dei numeri del dicembre, dopo tutta quella robache vi ha disgustato, potete con meraviglia fermaregli occhi su una breve poesia, che comincia :

    u Or che di tante passioni l'urtos'addorm, nel respirode la notte profonda;e fatto ha la rondaultima l'ultimo giro .

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    La riconoscete ? Certamente a chi ha letto Poesie diUmberto Saba, pubblicate nel 1911, non sfuggito Uin-termezzo dell' osteria fra i Versi militari : che non al-tro che questa Osteria di fuori Porta del Palvese, conqualche virgola in meno. Solo che l'autore nell'anno dgrazia 1907 frmavasi Umberto da Montereale.

    Ci manca Virgilio Ciotti, allora troppo solitario ebohmien, ci mancano la figura esile di Rinaldo Ri-naldi e quella pensosa di Carlo Stuparich, allora troppogiovani, e sarebbe completato il numero. Sette perso-ne, due generazioni. Da Benco e Pasrini a Saba SlataperCiotti, Rinaldi e Stuparich, l'effettivit spirituale dellaletteratura irredenta giuliana ha inizio e si conclude.

    La generazione pi giovane non si comprenderebbesenza l'antecedente. Silvio Benco e Ferdinando Pasinisono i sacrificati, come del resto tutti coloro che inqualche modo sono destinati a preparare il terreno. Laopera loro, non pu sintetizzarsi, in parte inghiottitadai vuoti che deve riempire, in parte spezzettata dallecircostanze occasionali di cui deve approfittare.

    Silvio Benco ha potuto scrivere due romanzi, man La fiamma fredda ne // castello dei desideri sono(( l'opera di Silvio Benco. Con questi la letteraturatriestina sarebbe rimasta povera e inutile come prima.Ma ben altro ha fatto il Benco, che non si pu racco-gliere nell'unit d'un romanzo, ma che, spezzato sal-tuario occasionale com', rappresenta l'opera pi me-ravigliosa di vivificazione che sia stata compiuta da unuomo di ingegno e di gusto in una Beozia letteraria.

    NeWIndipendente prima, nel Piccolo della Serapoi, per venticinque anni, settimana per settimana,chiacchierando, commentando, conversando su arg

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    menti d'occasione anche i pi futili, passando dallaRussia all'America, dall'Inghilterra al Giappone, da unaesposizione a una cometa, da una donna ghigliottinataalla frase celebre d'un letterato, da un monumento aun cane al Parsifal di Riccardo Wagner, da un carne-vale a un libro, Silvio Benco ha aperto un mondo spi-rituale a chi sapeva leggere nella sua opera di giorna-lista. Opera qualche volta pesante, stanca col tempo,buttata i spesso, ma sempre illuminata da qualchesprazzo di sapienza. In mezzo a questo migliaio di arti-coli scritti a volta di settimana, ci sono delle oasi dipoesia, dei veri poemetti in prosa (I). E ci sono pure leriviste annuali della letteratura italiana, scritte con quelconsenso al pubblico che un dovere di giornalista (especialmente triestino), ma condite con pizzichi di pro-pria intelhgenza che fanno dimenticare tutto il melensodella cornice e del piano anteriore del quadro. Qui itriestini che non avendo ottuso affatto il senso del di-scernimento, seppero leggervi, sono passati per unavera scuola di gusto e di criterio letterario.

    Non meno vivificatrice fu l'opera di Ferdinando Pa-sini. Ferdinando Pasini non triestino di nascita comeil Benco; nato a Trento venne per giovanissimo nellaVenezia Giulia. Fu dapprima insegnante a Capo d'Istria,dove ebbe scolaro il Rinaldi, poi a Trieste.

    Con lo stesso fine di elevazione, come il Benco fubuon consigliere e raddrizzatore del gusto della bor-ghesia che si pretende colta, cos il Pasini fu instanca-

    fi) un peccato ch il Benco non ci abbia salvato una quarantinafra i suoi articoli, raccogliendoli in volume. Sarebbero certamenteil meglio ch'egli ha fatto. Si raccolgono invece tante porcherie aitempi che corrono !

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    bile educatore dei giovani. Intuiva col suo acuto discer-nimento psicologico che per innalzare il livello coltu-rale degl'italiani iiredenti, la via pi sicura era eserci-tare un'influenza diretta sui giovani. Se li affezionava,li seguiva in tutto, s'interessava alle loro inclinaziom e,fattosi amico, li assecondava o ne li distoglieva; conun finissimo senso di penetrazione sapeva far loro con-siderare i problemi di maggiore importanza; li portavadi fronte alla realt in cui vivevano perch la esaminas-sero e ne fossero spinti a migliorarla. Il Rinaldi, lo Sla-

    taper, Carlo Stuparich furono di questi giovani che fe-cero i prim.i passi sotto la sua buona guida.A integramento di quest'opera educativa, il Pasini

    non si lasciava sfuggire occasione, con articoli, confe-renze, commemorazioni, di mettere in luce quel buo-no, magari esagerandolo alle volte, che la letteraturairredenta aveva prodotto, per fermare da un canto il va-lore colturale della propria terra e per spingere dall'al-tro ad aumentarlo in ogni modo.

    Il lavoro pi completo e importante del Pasini, sul-V Universit italiana a Trieste, che raccoglie il frutto diuna costanza decennale di studi e lotte, volto ad af-fermare e a dimostrare il pericolo che correvano gliitaliani dell'Auotria, u questo ritaglio di nazione abban-donato a se stesso e che in se stesso deve trovar lefont: di tutte le proprie forze , di perdersi definitiva-mente se continuavano nella miseria spirituale d'allora,e la necessit quindi di un'azione organica di coltura,di una scuola superiore.

    Non bisogna dimenticare infine che l'opera del Pa-^ni servita a formare anche un efficace collegamentofra la vita spirituale giuliana e quella trentina. Compa-

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    gno ed amico di Cesare Battisti, con minore potenzialite organicit, per causa in parte dell'ambiente diverso edelle pi difficili circostanze, ma animato dagli stessiideali, si accinse nella Venezia Giulia a un'opera dicoltura non dissimile da quella pensata per il Trentinodal Battisti. Con Cesare Battisti si tenne in continui rap-porti, collaborando al suo Popolo di Trento e alla Vitatrentina.

    E alla Vita trentina, ilivista con la quale Cesare Bat-tisti aveva tentato di elevare il tono intellettuale delTrentino, il Pasini fece collaborare anche Scipio Sla-taper, come prima lo aveva introdotto nel Palvese.

    Lo scolaro di liceo e il giovane scrittore Publio Sci-pioni sono ancora completamente inquadrati dall'am-biente. Pure gi si distingue lo scolaro per lo sprezzodi seguire la via che gli altri seguono sia per dovereche non si discute sia per abitudine che sarebbe sco-modo e inutile cambiare.

    Tutti gli scolari, giunti alla seconda o terza liceo,sono ormai avviati, come si dice. Codesta scuola clas-sica comunale, da cui sono usciti i migliori cittadini sen-za dubbio, gli avvocati, i professori, i medici, gli im-piegati superiori che (( hanno tenuto in alto l'italianit di Trieste, s'incarica di stampare in tutti i suoi scolariun'eguale mentalit : quella di dominio e di tradizioneliberale-nazionale; quella per cui soltanto, si crede, puesser mantenuta alta l'Italia a Trieste.

    Ora Scipio Slataper gi in contrasto con questamentalit. L'ha subita nelle prime classi, come mito.

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    in quanto anche lui godeva del rosso Garibaldi e deimartiri che risorgono dalle tombe per scacciar lo stra-niero, dei bersaglieri piume al vento e fanfara in testa,dell'Italia rossobiancoverde velata; ma poi, quando ilmito comincia a esser disgregato dalla ragione, la suaragione gli fece sentire i vuoti e il falso di quella men-talit, ed egli le si pose in contrasto.

    Era segnato a dito il biondo scolarone della setti-ma che osava professare idee socialiste e leggere ilLavoratore, e ch'era pronto a dare anche qualche sca-paccione potente a quei compagni che gli avessero vo-luto insegnare il patriottismo )).

    Non fu socialista Scipio Slataper, come non fu maz-ziniano ne liberale; ma in quell'epoca egli che comin-ciava a sentire l'insufficienza dell'ambiente che lo at-torniava, aveva incrontrato un uomo, anzi uno spiritosolitario e nuovo, il quale lo aveva avvicinato alle teo-rie socialiste, gli aveva fatto pubblicare nel Lavoratoreun articolo (( Sulla tirannia delle norme scolastiche , loaveva messo a contatto col Circolo di studi sociali espinto a fare per qualche sera anche il critico teatrale,quando Ferruccio Garavaglia recitava per il Teatro delPopolo (1).

    (i) caratteristico quel primo articolo, firmato S. S., pub-blicato nel numero del 26 gennaio 1905 ; lo scolaro si ribella allatirannia delle norme scolastiche austriache che rendono la scuolaun martirio in cui germogliano l'ipocrisia, l'astio, l'astuzia e noni sentimenti buoni della rettitudine umana e grida : date mag-gior libert ai giovani, fate che anche la vita, non solo la scuolasia maestra del nostro avvenire ! Nel Lavoratore del 30 set-tembre 1907 comparve il suo articolo critico su El Alcade deZalamea del Calderon, firmato Publio Scipioni, Deve aver scrittedelle altre recensioni teatrali in quell'epoca, senza firmare.

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    Angelo Vivante intu nella pronta giovinezza di Sci-pio Slataper una promessa sicura e la incoraggi colsuo aiuto e con la sua amicizia. Lo Slataper ebbe oc-casione d'imparare a conoscere, rarissimo fra i giovanidella borghesia triestina che non andavano pi a sini-stra del mazzinismo, anche l'altra met , il mondodei reprobi, dei senza patria, e, confrontando, di met-

    tersi sui propri piedi e di guardar coi propri occhi. Cosancora scolaro, s'era gi spastoiato dall'inesorabile ca-

    tena che ingroppava i passi della giovent triestina sul-la via della coltura.

    Come lo scolaro tra i compagni, anche il giovanescrittore si distingue gi dai colleghi per la preparazioneinteriore e lo sforzo artistico. Non facilerie carduccia-neggianti ne dannunziani detriti (per non mettere nep-pure in conto i rosoli deamicisiani o addirittura le de-

    formit imitate dai romanzi d'appendice) che sono ilpatrimonio dei suoi giovani colleghi. D'Annunzio s, edanche Carducci, ma insieme Verga, Dostoievski, Ibsene Nietzsche cozzano e s'accordano nel fondo da cuiproviene ancora torbida e puerile l'espressione delle suevisioni artistiche. Letture non amalgamate, grandi poetidigeriti con lo stomaco dei sedici-diciott'anni, vero;ma ci che importa e lo distingue questo, che l' assi-milazione avviene dall'interno, dal nocciolo e non dallabuccia.

    E lo distingue ancora un'ambizione non superficiale;radicata cos nel suo essere gonfio di succhi, che pusbocciare un giorno in questo grido d'orgoglio auto-

    messianico : (( Io sono nato a dar forma all'argilla. Ilmio pollice sicuro : un colpo non cancella un altro

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    [nai. E voi tutti che nii conoscete, traverso strazi e^oie, uomini e cose, porterete qualche mia impronta.Quando narreranno la mia vita diranno : fu un vivifica-tore : nell'opera d'uomo, d'artista. E il mio capolavorosar di vivificazione )).

    Queste parole d'esaltazione quasi prevaricante, scrit-te in lettera a un intimo amico, non ci fanno pi sorri-dere, come avrebbero fatto sorridere lui, se vivendo leavesse potuto rileggere; ma ci turbano. In quanto nonsono meno vere della realt che ha troncato la sua vita.

    Il giovane che le scriveva non aveva ancora il pol-lice sicuro, ma era un diligente lavoratore.

    L'anno 1907 segna nella vita di Scipio Slataper una

    attivit piuttosto rara in uno scolaro di liceo. Una die-cina di novelle; pi alcuni studi, nell'ambito di letturescolastiche, su Giosu Carducci, sui Discepoli di Car-ducci, su L'epopea garibaldina, sul dramma ibsenianoQuando noi morti ci destiamo, su Dante nell'opera diG. Rossetti e su Lo spiritismo del Tasso.

    Ad eccezione del discorso intorno a Quando noimorti ci destiamo, al quale ritorneremo, gli altri nonilivelano ancora nessuna capacit costruttiva, sono super gi diligenti lavori scolastici; solamente che di mez-zo alla compilazione spuntano qua e l delle prese dipossesso critiche. Le quali se non sono infrequenti neigiovani che scrivono di letteratura, si reggono per lamaggior parte di essi per lo pi sul vuoto, mentre inlui testimoniano gi di assaggi pi profondi.

    Dell'epoca di scuola pure la descrizione di Unpiaggio in Grecia; viaggio che una cinquantina dei mi-^gliori allievi del Ginnasio Comunale avevano fatto ajpese d'un ricco signore greco. Ci meraviglia d'imbat-

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    terci iri; una prosa cos melensa e priva di colorito, sul-la via artistica di colui che sar l'autore del Mio Carso.Ma che la via artistica dobbiamo cercarla altrove,nelle novelle piuttosto.

    ***

    Una delle prime novelle, scritta nel luglio del 1906,s'intitola (( Quei del d . Siamo in Istria nella campa-gna di Portole; quei del d sono gli abitanti di Gri-signana.

    Maruza fidanzata a Nardo. Ecco la scena dell'in-namoramento come si ripresenta in visione a Maruza.

    Una vasta distesa d frumento e Nardo al suo lavoro. Ellagli aveva offerto un po' d'acqua. Egli aveva colto un fiore per lei.Il sole aveva barbagli come di gloria. Disse Nardo il buon lavo-ratore, tagliuzzando una pagliuzza con il falcetto : Ve degnaressivo de la mia persona? Ed ella, nel dolce atto'

    di pudore contadinesco : Se se contenta i mii, rispose. E cosis'erano amati .

    Una sera ella tornava dalla mietitura ; stanca chiese un po' diposto sul carro di Zamaria che passava. Litigarono subito perchella era di Portole e lui di Grisignana. Maruza aveva sete eZamaria stava sbucciando un limone.

    Bon quel limon? Chi magna solo, crepa solo. Ma chi ga, ga rispose egli che voleva mostrarsi indi-

    spettito.

    Ella s'accani. Chi ingioti amaro, no poi spudar dolze. E quel limon gaio

    de esser 'ssai amaro se non me vol dar nianca un spigo. Se lo vol, deme '1 garofolo rosso che gav sul sen. Ben. Avanti.Era dono di Nardo. Ma ella meditava donnescamente la ven^

    detta per il rifiuto di prima. Mangi il frutto lentamente, assa}X)

  • 27

    L'altro carrettiere dormicchiava con le redini allentate nellamano floscia.

    Il donatore aspettava. Maruza ruppe in una fresca risata : Coreghe drio al mio garofolo. Sav la storia che conta de

    quel che bramava l'orbo?S'era messa la mano sul petto per difendere il fiore. La vici-

    nanza del bivio le dava ardire.Del resto eli 'era forte come una donna avvezza al lavoro cam-

    pestre. Non lo temeva. Ah cussi? Spet, smorfiosa.Egli s'era slanciato su di lei per avere il garofano a violenza.E come ella si difendeva ed egli brutalmente tentava di allon-

    tanare la mano ; al contatto della vergine un'aspra lussuria lo in-vase. Ora gli occhi gli luccicavano umidi per la brama ardente.

    Ella capi e n'ebbe paura.Lasci libero il fiore. A quel subito rosso Zamaria stese con

    brutalit la mano ; senti il molle affondarsi del petto.Ebbro, lasci il fiore ; la afferr. Ma ella disvincolandosi, fles-

    suosamente, come una serpe, balz dal carro.I cavalli .continuarono il loro trotto disordinato e cadente.Egli url la minaccia : Femina ! Se vedaremo ancora .

    La lite amorosa di Zamaria e Nardo finisce in unasanguinosa rissa campanilistica tra Portole e Grisi-gnana.

    In questa prima novella, senz'equilibrio e impac-ciata nell'insieme, c' gi, come si vede dalle due sceneriportate, qualche cosa di sano e di robusto. Anche lascelta del soggetto appunto perch locale, comunissi-mo e vicino, dimostra un buon criterio d'inizio dallanatura )).

    Di soggetto locale ne scrisse ancora un'altra :a Pruhuu... che un vezzo che si piglia nel condurrele bestie e che in bocca del parvenu provinciale, an-che se di velleit cittadine e letterate, tradisce semprele sue origini d'asinaro.

    Poi si stacc, perdendo di spontaneit e vivezza.

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    per seguire le complicazioni dei sentimenti in una se-rie di novelle psicologiche. Ci furono in mezzo un in-namoramento e molte immersioni in D'Annunzio : duefortune non prive di conseguenze malefiche, che toc-cano immancabilmente ai giovani sani.

    L'aspirazione, Esseri, Il sogno piccolo, La pietranascosta, sono degli sviamenti. Dimostrano che quasinecess per un buon scrittore dell'epoca moderna dismarrirsi nella selva degli incantamenti psicologici. Senon ci casca prima di farsi scrittore, ci casca dopo, che molto peggio. Insomma Lui e Lei e tutto quell'arruffodi fili sentimentali che intrecciano insieme uomo edonna quando si amano e non semplicemente svogliono bene , danno il tono a queste novelle, priveinoltre di tratti caratteristici di stile.

    Ben presto per si riprese dal concreto. Attraversoalcuni abbozzi di novelle comico-tragiche, di cui finsoltanto // sopravvivolo, arriva ai bozzetti sociali : Fra

    I poverissimi. Dietro le trine (frammento) e II freno.Nell'autore successo un vuoto di delusione al pri-

    m-o esaltamento amoroso. La nuova passione per leidealit socialiste tenta di riempirlo. Si deposta in luiuna certa acredine contro le forme vane e pretensionosedella borghesia, di cui faceva parte quell'una donna chenon aveva corrisposto alla sua imaginativa; ed vivoun senso di rispetto per la stessa forza bruta con cuis'era ribellato alla mollezza sensuale.

    In arte un ritorno evoluto a un tirocinio pi sag-gio, acquistato un maggior senso delle proporzioniinterne. Non pi l'apertura di due scene vivaci in unconfuso e grigio movimento d'insieme, come in Queidel d. L'azione sorge pi viva dal dialogo e dal par-

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    ticolare, come in Dietro le trine. Dietro le tendine fine-mente ricamate la famiglia del ricco possidente Salvi-netti assiste spaventata all'incendio che gli operai ri-

    voltosi appiccano alle messi e alla lotta di questi coisoldati chiamati a reprimerli.

    Ma // Freno raccoglie meglio e pi sobriamente ditutte le altre novelle, i difetti e i pregi dell'arte giova-

    nile di Scipio Slataper.Un operaio disoccupato prima di montare sul tran-

    vai che sta per scendere dall'alto in citt zeppo di gi-tanti, gli guasta il freno automatico; e il tranvai all'ul-tima china precipita sfracellando tutti. L'operaio pervendicarsi, trascina con se nella morte la societ chenon gli d da mangiare e che su questo tranvai rap-presentata- da un'allegra brigata forestiera fra cui spiccauna coppia d'innamorati, da un'elegante signora conun cucciolo e da una povera donna con un bamboccioin collo.

    Si perdona all'inesperta fantasia codesto soggetto disabotaggio nichilista, da romanzi zoliani. Tutto l'insie-me alquanto puerilmente concepito. I particolari persono segnati da pennellate decise, per quanto con chia-roscuri troppo spiccati, da artista alle prime armi.

    (( Il bamboccio della rincantucciata incominci a belare. Anche questo ci voleva.Uno si tapp in gran furia gli orecchi, per dimostrare in atti

    la noia. Umilmente, con negli occhi una dolorante preghiera diperdono, la donna liber la florida mammella : il bimbo vi si attacc,avido. --

    Ma le signorine protestarono pudibonde, in silenzio, rivolgendoil viso : anche dai compagni che guardarono per un istante, avidi .

    Nello stile piace la preoccupazione d'evitare le lega-ture di maniera; piuttosto ossa sotto la pelle che rim-

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    polpature; banalit messe fuori nude che rivestite d*ipo-critelle sete sgargianti.

    L'allegra si rivolt: l'affluire del sangue le bruciava il volto.Gli altri capirono l'ingiuria dal tono rabbioso della voce e poi dalvolto infocato di sdegno dell'altra : tacquero. Uno, l'innainorato simise a zufolare. Per lo zufolio il cagnolo gnaul pi stridulo : l'ele-gante offesa rincalz le offese. Rimandate, la rissa garrula scoppi ;a renderla efficace, storpiavano mutuamente le due lingue.

    Scoppi anche lo sghignazzio cupo dell'operaio: Lasciatela garrire quella ridicola l, del cane !

    In fondo questi giovanili tentativi si menzionano nonper il valore che hanno in se stessi, ma perch meri-tano d'esser rilevati nell'ambiente povero d'arte in cuiavvennero.

    A leggere tutte queste novelle manoscritte bene or-dinate, messe in bustine con su il titolo chiaro e la datae poi la rivista a cui furono mandate per pubblicazione,non si pu se non ammirare la costanza di questo gio-vane triestino che si sentiva nato per fare lo scrittore enon si scoraggiava dei rifiuti; perch la sua era ambi-zione e tenacia di chi pu.

    // Paloese gli pubblic // Freno, Esseri e Lo Spiriti-smo del Tasso. Nella Vita trentina del Battisti appar-vero La pietra nascosta, novella, Passato ribelle, dram-ma in un atto, e il Fiume della vita, versi.

    S, anche il dramma, che ha origine sempre in quel-la passione delusa, non privo di contrasti. Cos pureTimmancabile peccato dei versi.

    Non molti versi; i giovani ne fanno per solito dipi e passano anni ed anni prima che arrivino, se ar-rivano, a battezzarli da loro stessi, come lui subito, colnome di sfoghi asinini. E con tutto ci inframmezzati

  • si-

    ile poesie sentimentali per la donna che lo colse nelrimo momento di dedizione, ci sono dei versi qualion abbiamo trovato nel Palvese.E non manca la critica ne il giornalismo. Corrispon-

    ente da Trieste del Goliardo, giornale studentesco,landava di quando in quando qualche articolo di cri-ica.

    Ma non questa ammirevole attivit esterna chenporta, Tuomo che anche attraverso di essa ma piler lo sforzo che gli costa, si forma interiormente.

    Sai che cosa imagino ? scrive nel diario che compilava peramico Marcello Quando noi avremo finito il ginnasio (liceo)) terr un discorso ai condiscepoli che non saranno pi condi-:epoli ma cittadini. E dir a un bel circa cos.

    Oggi quelle pastoie che inceppandoci il passo ampio e sicuroi costringevano a camminare fuori della vita, sono spezzate. Oggioi possiamo liberamente battere l'ampia via della vita. Ma badate T;' ai suoi fianchi una siepe che la rinserra e la soffoca ancora,'itta siepe spinosa : la legge, la morale, il convenzionale. Questaiepe nasconde ai nostri occhi i campi liberi, i prati verdeggianti :jtto quello che pi dolce, della vita. Questa siepe ora vien scossa.)oncittadini ! Non temiamo. Sappiate che un pugno butta gi unuon tratto. S'insanguina si la mano, e le spine strappan via bran-elli di carne e d'anima. Ma cadr una parte della siepe.

    Certo, non tutta l'umanit passer per quell'apertura : ma potrassarvi uno, due forse ; forse anche pi ed ognuno allargher la5ssura. Coraggio. Qui c' polvere: non sentite il canto dell'usignolo?

    E risponder la mia anima : molti sono felici perch oltre la siepeon vedono, perc^" non pensano di vedere.

    Ma non guardano in alto? Nel cielo vedrebbero riflessa non latrada, s tutta la vita.

    E risponder la mia anima : Essi guardano in terra : la loroelicit.

    Perch dir loro di guardare quello che essi non potranno avere,erch non hanno la forza di avere? Perch anche parlare, per nonssere ascoltati ?

    Apriremo noi la siepe. Gli altri, quando essa pi non esister,a valicheranno. E godranno. Senza lotta, dunque meno di chi lott,rutti godranno .

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    Voi intuite gi chi il giovane che lascia Triesteappena finito il liceo, per recarsi in Toscana, a a studiare )). Vi sfugge una parola : romantico. Ricordatiper che dovunque ci fu bisogno di creare nuovi valorisono sorti i romantici. E pensate alla grigia via polverosa in cui s'era condannata la vita di Trieste.

    Soprattutto ricordate che Scipio Slataper prendeviappena l'abbrivio di l, dove la vita spirituale deglirredenti era arrivata. L'ultima tappa degli altri (CtrcoUdi studi sociali, Palvese, V'ita Trentina) fu la sua primaDi qua con meraviglioso sforzo poteva arrivare a LiVoce e proseguire con essa.

    Che cosa fu il movimento vociano in Italia ?La generazione che si vantava educata da Giosui

    Carducci, ma che del Maestro non riteneva se non handatura superficiale e retorica, stava scegliendo tra uiaccademismo sempre pi polveroso e un giornalismo dgiorno in giorno pi banale.

    In mezzo, i campi del sapere vivo rimanevano incoltivati, e vi crescevano l'erbacce. Le ultime guardiacampestri di un glorioso positivismo andavano intornccautamente a osservarle e a elencarle sotto varie speeie e vari nomi.

    Intanto i giovani rischiavano chi di finire nella cloaca massima del politicantismo, chi di aspirare a umcattedra di psicologia empirica, chi infine, pi genialmente degli altri, di scrivere un romanzo all'anno. Senza contare i piagnucolosi attaccati alla vesta del Pascoli e gli striduli coribanti del D'Annunzio, i magnac

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    eia di redazione, i professori di letteratura, i parassi-

    telli di Dante e simile gentucola..Quando una nazione coi polmoni sani arriva a un

    tale punto di etisia colturale e di stagnamento dello spi-rito, eccoci al suo a Sturm und Dtang . Dalle sue ener-gie migliori si sprigiona una raffica che investe e spaz-za libera l'atmosfera e vi fa circolar aria nuova. Dalla

    naturale reazione sorgono nuove forze che si danno al-l'opera di bonifica.

    E gi massi negli stagni ! Qualche volta estratti co-me sono dalia cava, nella furia del lavoro, pieni di ter-riccio e spigolosi. E col fango che ne schizza si spor-ca pure qualche campicello all'asciutto. Non per cil'opera pu arrestarsi.

    Grande il frastuono- Il canto dei lavoratori si mi-schia a un furioso ronzare gracchiare trepestare di tuttigli insetti uccelli e animali che vivono degli stagni.Solo le rane che indisturbate cantavano nella placiditdi prima, a quel buscherio d'inferno quali si sono con-ficcate nel fondo e vi hanno trovato la morte, quali sisono date alla campagna, a distendervi il silenzio dellecomari, sussurrando malignit contro i disturbatori.

    Ma ad onta del silenzio e della malignit delle rane,dopo qualche anno di quella Tempesta la nazionerespira. I giovani si sentono meglio in gamba, i vecchisi vergognano un po' della passata trascuranza e si mi-gliorano per quanto possono. Gli stagni non sono scom-parsi del tutto, perch da quando c' mondo c' statae ci sar sempre dell'acqua che si ferma. Ma le paludipi ammorbanti sono bonificate. E, quel che importa, iterreni della cultura, arati finalmente, buttano su che tutta una vegetazione lussureggiante, in cui diradare

    3. S. Slataper. Quaderno $6.

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    scegliere ordinare. Il quale compito spetter alle ge-nerazioni seguenti.

    Lo (( Sturm uncl Drang d'Italia fu il movimento vo-ciano. Iniziato prima ancora de La Voce, da quel lie-vito della nostra letteratura moderna che l'anima diGiovanni Rapini, col Leonardo. Ma fatto continuo etravolgente dal settimanale fiorentino che gli ha datoil nome.

    Giuseppe Prezzolini, il Giuliano Sofista del Leonar-do, fondava il 20 dicembre 1908 La Voce. Diverso tem-peramento di quello del suo amico, egli aveva pensatoch'era tempo di formare i quadri e di ordinare la bat-taglia, che nel Leonardo era stata troppo papiniana-mente bollente e generosa; bisognava renderla pi fred-da e calcolata; promettere una rassegna di coltura ita-liana e straniera con l'aiuto platonico di collaboratoriposati e fare invece un giornale di combattimento conle forze reali degli spiriti pi scapestrati dell'arte e delpensiero italiano.

    Ora il difficile fu tenere insieme questi spiriti liberi,vari di carattere e di tendenze divergenti. Una ban-diera quale inalbera sempre ogni Sturm und Drang,cio di rivoluzione di tutti i valori trovati, serve a ra-dunare sotto di se le pi opposte nature, ma non bastaa creare quell'affiatamento e sopra tutto quella disci-plina, che sono necessari perch un movimento riescanel pi largo pubblico. Come doveva riuscire quellovociano.

    Qui molta parte nel cementare, nell'amalgamarepraticamente gli elementi conducendoli all'azione, chese azione deve essere in qualche modo organica, ebbe

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    la persona del Prezzolini. Non si pu negare che Tan-tico Giuliano apostatore dirigesse con fede La Voce.Anzi .bench tutto paia concordare a negargli la fede,egli fu l'uomo di maggior fede l dentro, in quellatenda di battaglia dove si precipitavano volta per vol-ta gli scapigliati guerrieri per trovare un accordo di a-zione, pronti a minaccia d'andarsene ognuno per contosuo se il piano stabilito non corrispondesse alle ideeproprie; ogni volta la tenda in pericolo di saltarein aria ed ogni volta ne escono i guerrieri con la facciarischiarata e ringagliarditi alla nuova scorreria, per ri-

    tornarvi pi annuvolati e pi decisi a far di propriatesta e per uscirne ancora tutti d'accordo. E Prezzo-lini che ha discusso, urlato, pianto, si consola palpeg-giando la sua creatura che vive ancora, fresca di bozzae odorosa di primo inchiostro.

    Come mai quest'uomo dagli scoraggiamenti repen-tini e pericolosi a tutta la sua attivit, dalle facili osti-nazioni, dalle contradizioni che hanno indotto pi diuno anche degli amici, a crederlo un debole, ha saputoguidare lo sfrenato movimenti vociano? Perch in Giu-seppe Prezzolini, le qualit di debolezza e in pi l'in-negabile sottile maldicenza, il compiacimento d'irritaree il gusto di cercare il male dappertutto, che possonofar dubitare della profonda generosit del suo carat-tere, sono state sempre sottoposte a una convinzionemorale fattiva della vita. Non si spiegherebbe altri-menti come allora dal negatore Giuliano potesse uscirel'affermazione vociana, come dall'uomo stanco e avvi-lito che dopo qualche anno doveva abbandonare LaVoce, nascesse l'altro uomo che, quasi tosto, la ripren-deva con pi lena e con pi tenacia; ne oggi, come il

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    faccoglitore appassionato di Tutta la guerra possadiventare il freddo critico di Caporetto e di Vittorio Ve-neto e come l'editore di Angelo Vivante, di Scipio Sla-taper e di Carlo Stuparich dia motivo con alcune sueaffermazioni, unilaterali forse, d'esser chiamato il (( de-nigratore dei redenti )).

    La fede il centro della personalit di GiuseppePrezzolini, quella che lo raduna nelle sue contradizionie che lo fa proseguire con una rara costanza interiore(che molto pi vera costanza della esterna) per lavia della vita. Fede nella vita attiva e agitata. Non inUn principio, non in una meta. Ma nella bont e razio-nalit della vita vissuta. Per questa via egli cammina,senza sicurezza del domani, pur di fare comunque ven-ga fatto (e in ci sta la sua leggerezza); pur di vederchiaro, aggirando qualsiasi barriera si ponga davantialla chiarezza logica della vita (e in ci sta la sua su-perficialit). Ma dovunque la razionalit sia offuscatada pigrizia, la vita scambiata con l'estasi o degradatadall'animalit, egli si rivolta, maligno o schietto a se-conda dei casi in cui cozza; e in ci sta la sua forza ela sua giustizia.

    Ora uno spirito cos formato, doveva, quasi natu-ralmente, metter sulla buona strada un movimento ditemperamenti cos diversi com'erano i primi vociani.Pure non sarebbero bastati a tenerli efficacemente unitine la sua chiara visione dei mezzi e dell'ordine ne lasua volont, se non ci fosse stata una spinta iniziale

    che come lui, aveva messo in moto tutti gli altri. Me-glio che spinta iniziale fu una corrente di idee la qualeli predispose spiritualmente a far convergere le proprieattitudini differenti in un sforzo comune.

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    Non c' movimento nella storia che non derivi dacorrente d'idee la quale non sia stata, 'quasi semprein antecedenza, filosoficamente formulata o espressa.Questa del vocianismo fu la filosofia dello spirito.

    Filosofia che sorse in opposizione al positivismo; sirinforz i polmoni al largo per respirare meglio il buo-no dell'aria natia (i vociani si misero poi a fare lo stes-se in campo pi vario e pi vicino alla pratica) : daGiorgio Hegel ritorn meglio preparata al Vico, alloSpaventa, al De Sanctis. Benedetto Croce, dopo averpensato con mente italiana l'idealismo tedesco, puri-ficandolo dalle nebulose di cui era gonfio, dandogliquella stabilit che aveva perduto passando in Franciaed evitando il processo superficializzante a cui lo ave-vano sottoposto gli anglo-sassoni, compiva la sua fi-losofia dello spirito , col terzo volume della Pratica nell'aprile del 1908.

    Pi e meno che coincidenza di date. Perch se Be-nedetto Croce pu considerarsi come parte poco impor-tante del movimento vociano, la sua Filosofia dello spi-rito lo sorresse e lo accompagn tutto.

    E' inutile oggi parlare delle antipatie personali diqualcuno dei vociani contro il Croce. L'anticrocianismodel Papini e del Soffici fu reale, ma non serve comedimostrazione che il Papini e il Soffici non furono cro-ciani. E per, chi dentro il concetto dell'Estetica con-tro la Pratica, chi contro l'Estetica dentro il concettodella Pratica, chi infine contro l'una e l'altra nel cer-chio della Dialettica crociana, tutti i vociani partironodalla Filosofia dello spirito, combattendo con le suearmi per far valere il su diritto, nella nuova civiltitaliana.

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    Ora ci che va sotto il nome di movimento vocianonon combina con l'intera esistenza de La Voce. Si pudire che esso cessa come tale, cio come movimentodi Sturm und Drang, dopo il terzo anno di vita de LaVoce. Non cessa La Voce. Anzi continua, rinforzatada La Librera della Voce, sostenuta e allargata davarie altre riviste che le son nate a fianco o addiritturadal fianco, cos L'Energia, La Voce Trentina, L'Unit,L*Azione, Lacerha, L'Indomani; ma jnon pi il mo-vimento torrenziale, strettamente vociano, il rallen-tato muoversi in pianura del fiume coi suoi affluenti econcorrenti. Qualcuna delle figlie ancora a tonare etremuotare in qualche regione pi montuosa e fuorimano, ma la madre con le altre argina ed irriga le cul-ture, salvo che di tanto in tanto, ricordandosi delle sueorigini, solleva qualche minaccia.

    Del resto, sanamente, sin dapprincipio La Voceebbe in se il germe ricostruttivo, soltanto che nei primianni c'era pi da attaccare, intaccare e distruggere,estirpare e seminare alla rinfusa, che lentamente e or-dinatamente costruire. E quella fu una primavera tur-bolenta e fiorente degli spiriti !

    Per i giovani d'allora, abituati ai discorsi melensi eai consigli poveri dei professori universitari o ancora aquelli dei manuali delle scuole medie, fu tutto un vec-chio mondo che saltava in aria e uno nuovo che sor-geva. I libri consigliati da La Voce furono i mezzi pipotenti per svecchiare la coltura italiana e sollevarlaa orizzonti sconosciuti. Non solo l'Europa, ma la Rus-sia, rindia, l'America contribuirono coi loro scrittoripi caratteristici antichi e moderni a universalizzare lamente dei giovani italiani; e le scorrerie per i pi vari

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    campi, dalla religione alla musica, dalla storia alla liri-ca, dalla filosofia alla politica, ne estesero la visione.

    Il concetto di coltura ne La Voce fu molto largo.Troppo largo; sconfinato addirittura. E se fece bene lasua ampia onda, la quale riemp le vaste lacune e irri-g beneficamente l'arido campo della conoscenza ita-liana, mise ancne in moltissimi giovani un morboso de-siderio di totalit che fin col disperderli o col fiaccarli.

    Per essere sconfinato, ci andarono di mezzo la pre-cisione e la finitezza di quel concetto di coltura.

    Tuttavia moltissimi furono i filoni sodi e continui chei giovani poterono scavare nel terreno loro preparato

    da La Voce. Moltissimo bene fecero i a Libri da leg-gere e i Consigli del libraio e pi tardi il rego-lare Bollettino bibliografico .

    I (( consigli )) di quarta pagina venivano appoggiatinel corpo della rivista da articoli che investivano comeventate cariche di polline, da trafiletti che pizzicavanocome l'aria di montagna e da note piene di sugo.

    Fu una sistematica revisione critica della vita italia-na, che comp la Voce. Istituti, giornali, scuole, partitifurono messi sossopra per il meglio. E se questo megliofu qualche volta, forse pi di qualche volta, illusionedel meglio, se nel buttar sossopra molto spesso andconfuso il sano col marcio, e se a valore distrutto nonsempre fu contrapposto valore superiore, tutto ci nonfu per mancanza di seriet e di buon volere, ma permancanza di quel maturo senno umano che non finiscedi maturare mai neppure nei vecchi pi esperimentati;e i vociani erano tutti giovani.

    Forse in loro non era completamente chiaro e saldoquel fondamento morale ch'essi pretendevano fosse per

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    tutti la necessaria premessa di essere e di agire da uo-mini. Ma erano i primii ad accorgersene e a patirne, pursentendo che bisognava andar avanti e che non c'eratempo da perdere in covar dubbi e alimentar indeci-sioni.

    Da ci si fece sentire un certo rigore, una speciedi protestantismo, un'aria kantiana d'imperativo cate-gorico nella corrente vociana moraleggiante. Per nonricordare che i maggiori, vi si presentano alla menteGiovanni Amendola e il Prezzolini; e persino nel Ra-pini, sotto sotto, trovate pi di un tratto che lo acco-muna con questi due, nel moraleggiare.

    Il momento ettco nell'azione de La Voce fu di pri-ma im.portanza. Si trattava di dare alla vita italiana so-pra tutto una spina dorsale robusta. Ricondurre l'intel-ligenza alla seriet dei principi accettati e messi in attocon piena consapevolezza e responsabilit. E per ogniproblema visto e discusso da questo punto di vista, eraproblema di morale.

    Anche la corrente estetica de La Voce, in apparen-za opposta alla corrente moraleggiante, fu in realt pa-rallela ad essa. Anche qui siano ricordati solo i mag-giori : Rapini, Soffici, Cecchi. Come tutti i movimentiche coinvolgono la totalit della vita spirituale, il vo-ciano non poteva fermarsi all'arte; e di ragione, es-sendo questa in conseguenza di quella. Non potevaconsiderare l'arte per l'arte, come mestiere, ma l'artequale elevazione di vita. C'era un rispetto, quasi religio-so, per l'arte, come se tutto il movimento si facesse perpreparare il terreno ad essa. E in pi d'uno dei vocianisentivi quasi una rassegnazione di sacrificarsi a un com-

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    pito inferipre ma necessario, avendo o rimandato didedicarsi o addirittura rinunciato all'arte.

    D'altro canto questo amore religioso per l'arte fa-

    ceva s che La Voce fosse sensibilissima alle bestem-mie della piazza letteraria italiana e insorgesse contro iFalsi sacerdoti e i falsi altari. Allora erano sfuriate ecacciate dal tempio e stroncature'

    L'arte dei vociani era un'arte indefinita, come tuttele divinit. Ma se ci sforziamo di stabilire qualche lineaprecisa, un nucleo concettuale, dobbiamo convenire cheForse giammai VEstetica crociana avr presa pi decisasu gli spiriti, di quella che ebbe allora. L'arte pura,l'arte espressione, la trovi sotto tutte le forme, sottotutte le complicazioni ed anche sotto tutti gli storci-menti per sfuggirle, dei vociani.

    Altro se, oltre la critica estetica, esaminiamo i pro-dotti d'arte dei vociani; allora usciamo dal campo del-l'azione organica de La Voce ed entriamo in quellodelle individuaHt. Si muovono e si formano ne LaVoce, con la libert pi ampia, E tutta la produzioneartistica (pochissima ed un merito) de La Voce, re-golata dal loro sviluppo e dalla loro necessit d'espri-mersi. Di arte vociana non si pu parlare.

    Ora, non di una palestra, ne tanto meno di uno sfo-gatoio, ma se La Voce pot avere oltre la funzione cheabbiamo visto, quella di una scuola di giovani scrit-tori, fu per il fatto che molti dei suoi collaboratori vi sierano impegnati con tutta la loro personalit. PerchLa Voce dei primi anni non fu una rivista, ma un or-gano; e i vociani non formarono un cenacolo, uno deiianti, ma furono un pugno di riformatori.

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    '*

    In mezzo a loro capit Scipio Slataper. Nell'autun-no del 1908 egli arriva a Firenze. Si iscrive all'Istitutodi Studi Superiori, nella facolt di lettere. Deve guada-gnarsi la borsa di studio per poter tirare avanti, lontanodalla famiglia. La carriera una brutta cosa; ma nellavita \ accettano delle necessit per esser liberi : que-sto capisce e vuole il romantico Slataper.

    E questo non toglie che la sua anima sia in tumultoe lo spinga a girare per le vie della citt, fiorita di me-morie, come uno che cerchi il suo destino : la mollache lo sollevi in alto dove tende la sua aspirazione;quasi presago di trovarla nel giardino della poesia ita-lana, lui che veniva dal tisico orticello appena smossodella letteratura triestina.

    Non pot sfuggirgli un giorno, in una delle sue gi-rate di scoperta, di libreria in libreria, un foglio largo

    e aperto, dai caratteri nitidi, con franca intestatura :La Voce. Lo legge da capo a fondo. E' il primo nu-mero. Aspetter una settimana con impazienza per a-verne il secondo, un'altra ancora per il terzo, semprecon maggior interessamento.

    Intanto Firenze si restringe; il giardino della poesias' trasformato in cimiitero d'illustri tombe, dove pergrande trascuranza sono cresciute erbacce e vilucchiche tutto hanno sommerso e che bisogna estirpare.

    Con doloroso stupore egli guarda in s stesso. Quan-to rimpicciolito il suo io che gli era sembrato cos pie-no! E quanto umiliato in lui il poeta! CH tutto ci cheegli credeva d'aver fatto e di essere, non rimasta cheuna vibrazione, in fondo in fondo. Vibrazione da te*

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    nersi ben dentro, ben custodita, ora che poche paginedi verit hanno sfatato il suo bel sogno. Ben diversa l'Italia secondo le proporzioni della realt da quella delbel sogno fatto, prima di leggere La Vocel

    E Trieste, cos* allora?Trieste non ha tradizioni di coltura. Cos gli viene

    spontaneo il primo articolo, che egli manda con unalettera di adesione ammirata, al direttore de ha VoceGiuseppe Prezzolini, via dei Robbia 42. Giuseppe Prez-zolini aveva l'intuizione che a molti direttori di rivisteitaliane mancava. Egli pubblicher l'articolo; intantovuole conoscere l'autore.

    Ex:co Scipio Slataper fra i vociani. Persone moltopi colte di lui, sanno ragionare meglio, hanno, perdire in breve, andatura intellettuale di fiume abituato ascorrere. Mentre lui, a paragonarsi con loro, si sentecome (( un pesce nato nello stagno . Ma ha il confortod'essersi buttato in quel fiume.

    L su due piedi non sa contrapporre alla loro co-noscenza vasta e varia che la sua particolarissima diTrieste. E in questa vi mette tutta la sincerit dellosdegno per il luogo natio che lo ha fatto vivere dentroorizzonti ristretti; ma anche tutto l'amore per il tragicodestino della sua citt, a cui orgogliosamente si sentelegato. Da questo contrasto nascono nella sua mente inuovi valori di Trieste.

    E cos inizia, nel tempo che Giuseppe Prezzoliniparla della Firenze intellettuale (Viesseux, Bibliotecafilosofica) e Luigi Ambrosini descrive salacemente unasua visitina aWIstituto di Studi Superiori, gi nel nume-ro 9 de La Voce, le sue Lettere triestine.

    Intanto silenzioso nel gruppo dei compagni loquaci;

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    impara dai loro d -scorsi. L'atmosfera vibrata di discus-sioni in cui tutti i valori stabili sono travolti e la politica

    si mescola con la poesia, la religione con la pittura, lafilosofia con la storia e le civilt del mondo non hannoconfini, lo elettrizza; alle volte lo esalta, alle volte lo

    deprime.Ma la sua intelligenza al varco. Afferra sceglie si

    impadronisce. In poco tempo la soprastruttura com-piuta; ragiona coi compagni, obietta, si difende. Sache il modo migliore per ingranarsi di mantenere lapropria individualit. Egli l'acuisce.

    Ma lo sforzo grande. Bench gli siano pari le for-ze, in certi momenti lo abbatte. E allora egli si ribella;pensa nostalgicamente alla dolce quiete e robusta na-turalit dei barbari. La profumata e incolta terra tuttasassi e ginepri, bora e doline, che circonda la sua citt.

    Ma vince. La sua nuda e stretta camera d'affittonella citt di Darete e del Rinascimento, stata perqualche minuto la gabbia d'un animale feroce che aspi-ra alla foresta. Ma ora egli risiede a tavolino, i pugninelle tempie, e legge, legge finche gli occhi arrossanodi sangue e la nuca martella.

    Ha un carattere che non patisce superficialit; equindi il suo lavoro doppio, in quanto gli deve ren-dere fonda ragione di tutto ci che egli ha fatto suoper mezzo degli altri, e nel tempo stesso gli deve pro-curare nuova materia perch possa distinguersi da que-jsti altri.

    Complessa fatica codesta di trapiantare una piantadi brevi radici, abituata al parco succo di uno stratodi terra sul sasso, in un terreno grasso di secolari ci-

    vilt! Fatica, che ha lasciato tracce durature nel suo es

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    sere. Le repentine sintesi, le spaccature, le incertezzevinte con uno sforzo di volont, sono caratteristichedell'uomo e del suo stile.

    Il tronco contorto nello slancio rigoglioso. Il foglia-

    me d'una freschezza abbacinante. Non ricco, ma ognifoglia eretta sul picciolo quasi a verdeggiare eterna-mente.

    Ma i primi rami sanno anche nella struttura este-riore, le fatiche.

    Osservate i Caratteri ! Il letterato vuoto, i due tipid'irredentisti, l'uomo sapiente, l'opera del romanzieremoderno, ii giovanotto della borghesia, il cucciolo. Que-sti piccoli quadretti^ moralistico-descrittivi racchiudonotutta la gioia repressa di creare liberamente. Inframmez-zano le Lettere triestine, quasi oasi di riposo in mezzoal compito che assorbe. Non l'artista che si libera,ma l'artista che scappa fuori.

    Se pensiamo all'umilt con cui lo scrittore che si gi cimentato in tante novelle e persino in un attodrammatico, mette da parte le vaste concezioni che gliturbinano nel capo, per osservare scrupolosamente i li-miiti di questi ritrattini e racchiudervi tutto il buono chepu, non possiamo non aver fiducia nella sua seriet diartista

    .

    E come compenso di questa limitazione, quanto an-che il pili meschino dei ritratti, gi supera per valoretutte le novelle scritte e l'atto drammatico! Via via sidisperdono le sbavature, la visione artistica si concre-tizza, il pollice questa volta scivola pi sicuro sullacreta e quando entra, un distacco d'effetto.

    L'irredentista a Fighi e zihibe . Il titolo per segi la cornice perfetta del ritratto. C' qualche cosa di

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    molle, c* gi la pancia tremolante in quel fighi e zi-bibe . Bisogna sapere poi che a Trieste il commer-ciante di fichi secchi e di zibibbo era considerato dicategoria inferiore al confronto dei commercianti ari-stocratici di caff e di cotone.

    La chiusa di un effetto che si stende su tutto Tin-sieme. C' l'ambiente familiare e il contrasto con lastrada, c' il gesto finale : l'irredentista pacione tuttoin questi tratti; pi in l il quadro sarebbe sciupato.(( Che succede? Non si pu pi neanche mangiar inpace? Nella strada urlano: Viva Trieste italiana! Lui vaalla finestra, e visto che il fanale non lo pu illuminareperch troppo lontano, sventola la pezzuola. Poi siasciuga il sudore, e mentre gi si scazzottano con glisbirri, agguantato il figlio che vuol scappar gi, si ri-mette a tavola .

    Cos pure l'imagine guadagna, in questi Caratteri, dirilievo e qualche volta la crudezza con cui essa spiccain una luce ferma, ci fa pensare gi allo stile del MioCorso. (( Eccolo col suo grand'ombrellone spiegato co-me una nuvola che nasconda il cielo : l'uomo sapientesulla via maestra.

    Fra i meglio riusciti c' pure Omarino fa Vopera.Voi ritrovate in questo tipo d'artista immorale, cio difalso artista, in fregola di scrivere Vopera per eccellen-

    za, molti dei romanzieri moderni dalle quaranta e piedizioni e vi accorgete che la satira pittoresca che fa

    lo Slataper della loro persona coglie nel vivo molto piche ogni critica della loro roba.

    E il Giooanottino elegante? Chi pu dimenticarlonel gesto di salutare, quando afferra con garbo il cap-J

    '.sa

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    pello ed eseguisce (( il saluto d'ampia periferia inclinan-do il bel faccione da cretino sorridente ?

    E Vlntruso? Ma forse voi pensate giustamente chevalga meno dei Caratteri precedenti; per quanto non vipossa sfuggire che lo scrittore si arricchito di mezzi,quella valanga rotolante di imagini vi stanca, vi toglieaddirittura il fiato e la voglia. Tuttavia come non sen-tire la desolazione di quella scampanellata che vi an-nunzia l'intruso, che vi piomba improvvisamente dalcalore dell'intima discussione nel gelo delle convenien-ze? Anche voi sareste pronti, forse con meno ferocia,a fargli del male, ma vi accontenterete in fondo diprendere lo spunto dalle sue orecchie a vela per met-tervi a navigare nei mari della fantasia.

    C' della satira che resta fuori dell'arte, in tutti que-sti Caratteri; ci sono delle deformazioni che non com-binano con la sobriet e il gusto di un artista fatto. Sia-mo ancora molto lontani dal Mio Carso, sempre ancorasu altra via.

    E non possibile criticare questi primi seri tenta-tivi dello Slataper nel campo artistico, senza ricordarei contemporanei Caratteri di Ardengo Soffici sulla stes-sa Voce. La facilit, la leggerezza di tocco, l'ironia dif-fusa che ci allietano nei quadretti di questo toscano,mancano ai nostro triestino. Chi non gusta ancora, alricordo, il sapore della Bohme dorata, di Ribi il buf-fone, del Soliloquio di don Abbondio, di Narsete scrit-tore ?

    E' scrittore gi fatto il Soffici, quando lo Slataper sifa. Limpidit toscana l'atmosfera intuitiva di quello,quando questo deve filtrare con stento il torbidume trie-stino. Lunga esperienza d'artista in mezzo ad artisti d

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    al Soffici una sicurezza che manca completamente algiovane, vissuto fino allora in una citt chiusa all'arte,nonch alla vita raffinata degli artisti. Tutto ci nonva dimenticato quando si confronta lo Slataper dei pri-mi anni de La Voce con Ardengo Soffici.

    Lo Slataper impara con intelligenza dal suo amicomaggiore; tutt'altra tempra la sua, tutt'altra perso-nalit lirica quella ch'egli sente di dover sviluppareed esprimere; e per quell'imparare sviluppo di ori-ginalit e non imitazione.

    Una certa durezza d'articolazione gi lo distinguedallo scrittore toscano che tutto flessibile e snoda-menfi; e sopra tutto la disposizione delle masse intuite :nello Slataper un sovrapporsi massiccio interrotto davuoti e da spazi improvvisi d'un'aria leggera, cos fine-mente illuminata e soave, da restarne incantati; in Ar-dengo Soffici invece tutto un piano ben levigato sucui gioca la luce con forte ma uguale bellezza, s che ilgodimento un volo senza cadute ne faticose ascese.Caratteristiche queste che ci scopriranno pi tardi i varipregi di // mio Carso confrontato col Lemonio Boreo;solo che allora dal confronto di pari a pari, lo Slatapersi riveler forse meno artf.sta ma certamente pi poetadel Soffici.

    Ma Scipio Slataper al punto in cui siamo non eraarrivato ancora al Mio Carso. Egli pensava per congrande amore all'arte, il pi divino potere degli umani.E capiva che per arrivarci molta seriet ci vuole e pre-parazione.

    Cos parl nel primo anno de La Voce, per la pri-ma e sola volta in quell'anno dalle colonne di fondo,Ai giovani intelligenti d*Italia.

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    !l giovane triestino ai giovani intelligenti d'Italia! veramente significativo.

    Il discorso un po' ingenuo, organato male, qua el torbido, ma in esso si annunziano una volont wiprogramma e il coraggio di enunciarli.

    Quanti giovani invasati d'estro e d'entusiasmo poe-tico, com'era lui, mano sulla coscienza, avrebbero a-vuto il coraggio di dire sinceramente a se stessi e ailoro coetanei :

    Niente versi, amici cari? Se siamo poeti, teniamo-celi dentro a maturare; perch un errore credere chel'arte giovanile sia spontanea; per quel poco d'impetofresco, quanta roba fittizia presa a prestito! ImitiamoLeopardi e Carducci che hanno sudato a eliminare tut-te le preoccupazioni e i trucchi che imputridiscono laconcezione artistica . Scriviamo, se siamo ossessionati,ma per far chiaro dentro di noi. Non pubblichiamo!(( Quando non s'hanno ancora mani capaci di stritolarle nostre passioni, stritolarle a spremerne con gusto fe-roce il succo onde nutrire gli uomini, bisogna viverlepiuttosto e patirle noi, nel segreto della nostra anima;non inimicarcele lasciando che il ghignuzzo della pietaltrui le incrini e manacce villane palpino il nostro iovolastro e delicato ancora. Aquile o falchi occorre es-sere per volar tra gli uomini : non fidarsi della loro com-piacente lode perch bugiarda . E visto che farsi co-noscere pi necessario del pane per noi giovani, pub-blichiamo s, ma pubblichiamo soltanto le esperienzeche via via andiamo facendo a contatto con la vita (noncol tavolino!), in forma di critica di studi di riflessioni.Stare in contatto, anzi mettersi dentro nella vita moder-na occorre, soprattutto a noi. Comprendere in noi le

    4. S, Slataper. Quaderno 50.

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    ferme vitali proprie del nostro tempo. Questa ia veracoltura. Intanto questa. Poi verr l'arte, se Dio vuole.E se no, tanti brutti versi di meno! Perch anche l'arteha una propria moralit a al \ sopra della morale uma-na, perch la supera e la precede .

    Voi capite da questo articolo che Scipio Slataper gi tutto nel movimento vociano. Quello ch'egli dice uno sfogo e un possesso nel medesimo tempo. Si liberadello sforzo che ha fatto per raggiungere il livello intel-lettuale degli amici vociani, e contemporaneamenteprende posizione di fronte al suo avvenire di scrittore.

    Le due concezioni vociane, della coltura e dell'arte,preso un colorito individuale attraverso il suo spirito,sboccano con irruenza, aumentata dal suo stile tuttorimbalzi e vorticoso, fango e sassi, non ancora epurato.

    Vago il sottinteso concetto dell'arte, bench ap-parisca chiaramente attinto alla fonte comune : l'Este-tica crociana. Ma sicuro il sentimento con cui parlal'artista : Aquile o falchi occorre essere per volar tragli uomini; dopo aver stritolate le proprie passioni. Quinon forse tanto il vociano che parla, quanto la naturaoriginaria dello Slataper, romantica.

    E romantico il senso ch'egli ha della vita moderna,universale e frantumato, caotico e pieno di lampi.

    (( Essere moderni! : comprendere cio non tor-cete il bocchino, coetani cari un tipo neutro di donnache si schifa al contatto dell'uomo; un operaio cheestrae dalla sua miseria esasperata un nuovo mito fe-roce, un'idealit di violenza; un prete che la vita nostraha percosso a sangue, lui infagottato di stole e/pianetetrapunte d'oro dal passato e dai secoli rosicchiate; una

    nazione, un'altra, un'altra che si levano al sole; corru-

    1

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    sebi di angoscia e di anelito due popoli che tentan re-ciprocamente di buttarsi gi dal trono della vita a forzadi sprangate di ferro e palate di carbone, e una stirpeamata dal futuro che li guarda e non sogghigna, e vedecrepar blasoni di civilt incementate e gioisce, ma vaavanti, catafratto d'una nuova storia, e sorride; un ri-mescolamento della mcrale stagnante sicch la mota necessario concime a nuove piante; una seriet orribileche ci agguanta e ci caccia dentro il fatterello allietanteperch inorridiamo davanti al suo organismo fatto diumanit in agonia e spasimo voluttuoso di rinascita;lampi d'ingenuit fanciullesca che ci bruciano e ci illu-minano, palpiti irrigiditi, urli, gioie, strazi, e anche noi,s, noi, ritorno alla purit dell'assoluto, alla brutalitcampagnola per fuggire questa tragedia di case ches'oscurano il sole a vicenda, e aspettarlo fra i roveriperch il nostro spirito scintilli come quell'aratro lucidoche sta per intaccare il novale .

    un brano che ha in germe tutta la febbre e tuttele forme di quel totalism.o logico e intuitivo a cui tese,spasmodicamente alle volte, lo spirito di Scipio Sla-taper.

    Ma quel discorso importante anche perch di ungiovane triestino senza tradizioni di coltura che si sentein dovere di parlare ai giovani d'Italia. stata vitalel'esperienza ch'egli ha fatto in quella parte d'Italia me-no beneficata dalla coltura, e forse giova che tutti glialtri italiani la condividano. male non avere tradiz5oniricche dietro le spalle, ma altrettanto male averne ditroppo pese e non possedere spalle sufficienti a soppor-tarle. Ora per rinforzar le spalle (e se n'era bene ac-certo lui) tanto da portare con leggerezza quel peso.

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    bisogna con molta buona volont rinverginirsi, viverenella coltura attuale con vigore, e smettere d'ingoiaree risputare i bocconcini della coltura passata.

    da supporre per che pochissimi dei giovani let-tori de La Voce abbiano letto sino in fondo e tanto me-no meditato questo discorso del nostro triestino a lororivolto. Allora c'era un altro vociano, ben pi maturoe vigoroso scrittore e soprattutto pi eloquente e vivaceoratore, che dalle colonne de La Voce parlava ai gio-vani : Giovanni Rapini.

    Un fondo di schietta e rude moralit era comune aScipio Slataper e a Giovanni Rapini; attraverso formemolto diverse palesavano uno stesso intento : educarsied educare alla violenta libert e alla sincerit piena.Ma mentre nel Rapini questo contenuto agiva con l'im-peto di un'ondata forte sentimentale e gonfiava la suaforma espressiva in tutta l'ampiezza, trascinandola conse senza urti e incagliamenti; nello Slataper si compli-cava nello stesso formarsi, interrompendo e sconvol-gendo il moto dell'espressione.

    Anche pi tardi, in arte, questi due diversi tempe-ramenti, per cui nell'uno il sentimento si d col calorecon cui nasce, e nell'altro riflesso attraverso complica-zioni di varia natura, riuscivano a due opere quasi op-poste tra di loro. Un uomo finito e // mio Carso. Oppo-ste ma pur paragonabili per tante ragioni; soprattuttoperch sono due vite, e poi perch sono forse e senzaforse, le due sole opere di poesia di quell'epoca vo-ciana.

    Anche la smania di universale coltura, bench co-mune a quasi tutti i vociani, fu spiccatamente caratte-ristica del Rapini e dello Slataper. Nel Rapini trovava

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    sfogo in quella sua facilit di rendersi conto e di parlare

    di tutto; nello Slataper era pi pericolosa.Tuttavia uno spirito meno solido e meno accentrato

    del suo sarebbe stato facilmente disperso dalla forzacentrifuga del totalismo. Egli reagiva afferrandosi al nu-

    cleo, studiando e ristudiando uno stesso problema, vi-vendo con simpatia nella storia a lui pi vicina.

    In fondo se guardiamo bene furono pochissimi i pro-blemi che occuparono la sua vita, sempre quelli stessirilcrnanti, ogni volta con maggiore intensit.

    Cos ritornava il problema dell'Europa politica. Ave-va avuto lo spunto da Trieste e rimase poi quasi semprelegato a Trieste, per quanto via via implicasse nuove epi vaste questioni. Cos nella seconda ripresa, il pro-blema culturale particolaristico di Trieste si allarga nelproblema storico e politico dell'irredentismo. I numeri32 e 33 de La Voce del 1910 dedicati aVIrredentismosi reggono sullo studio storico critico e sulla diligentis-sima bibliografia dello Slataper, che ormai scruta conocchio pi esercitato e maturo che nelle Lettere Trie-stine lo stato politico della sua citt.

    E in genere tutta la sua collaborazione a La Vocedel secondo anno, dimostra maturit raggiunta e mag-giore sicurezza.

    Anche nella polemica e nepi articoli polemizzanti :la polemica coi figli di Segantini, la satira dei giorna-listi che intervistarono Gemito, quel trafiletto tutto moi-ne e stilettate, contro i recensori che credevano d'aversoppressa La Voce col non farne il nome. pi felicenelle trovate, pi pronto negli attacchi di fianco, an-cora pesante nell'urto, ma pi sicuro delle proprie ar-

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    mi; del resto egli rimarr sempre un cavaliere tuttoarmato di ferro.

    In arte lo stesso. Nel marzo del 1910 i lettori deLa Voce leggono meravigliati Sul Secchieta c' la neve;meravigliati di questa nuova, improvvisa e fresca for-ma espressiva dello Slataper.

    Ci siamo. Si respira. La cornice rigida dei Caratteri spezzata, la stilizzazione lascia il posto allo stile, l'a-nima artistica si libera e gode in pieno. Con Primaveradi Ardengo Soffici e II lattaio e la cavalla di FernandoAgnoletti, Sul Secchieta c' la neve dei brani pijbelli artisticamente comparsi su La Voce dei primi anni.Ma Io rileggeremo nel Mio Carso.

    Il 1910, complessivamente, l'anno di pi intensaattivit e consumo nella vita dello Slataper. Lavoro 'in-

    tellettuale, dolore e volont di essere avrebbero stron-cato ogni fibra solo un poco men resistente della sua.Traduce e studia Federico Hebbel, trascrive le Letteredel Tasso e compone una densa prefazione a queste,collabora ad altre riviste, oltre a dare a La Voce la suapi ricca collaborazione; e infine in quest'anno gli simatura dentro // Afro Carso. Tutto ci mentre la sua

    vita provata dal dolore di aver perduto la donna cheamava.

    Non scema nel 1911 la sua collaboraziore a LaVoce. Col numero 9 egli comincia a contribuire allarubrica delle Delizie indigene, iniziata dal Soffici e daPiero Jahier. Delizie del Caff dove inutile chiedere

  • un fiammifero perch gii avventori rubano i pcrtafiam-mj!feri; dai barbiere che non tiene pi i giornali perchse li mettono in tasca; finaimente a casa : anche quic' a padrona che ti risarcisce con acqua i'inchiostrorubato.

    Ma ii freddo fiorentino (quei freddo che i fiorentinidicono non esserci a Firenze, citt dei fiore, ma cheben conosce chi i'ha sofferto neile camere ammattonatesenza stufe i'inverno) gli ha dettato le pagine pi belledelie sue Delizie indigene : Nel paese degli aranci.

    Col maglione indosso, i piedi in ciabatte dentro unpiumino, tutti avvolti nel mantellone, polsini di lana finsopra le dita, e ancora scossi da qualche brivido difreddo, si legge e scrive sino a durare; ma si finisce pursempre nell'unico rifugio che il letto. E cos duemesi all'anno li mangia il letargo. Due mesi all'anno, Un sesto delia vita. Un sesto della vita in olocaustoalla retorica dei caldo .

    Eppure anche nel letargo, anche nella rabbia con-tro il freddo e l'ostinatezza delle padrone di casa fio-rentine a non riscaldare le camere, c' la vigilia e laserenit del poeta che gode e fa godere anche noi. Belsoie invernale!

    (( Qui a sinistra la collina di Settignano avvoltain un caldo alito d'oro bruno, e i querceti secchi frai pini Se ne insanguano e s'inviolano com.e radure dieriche m.ontane, e le casine bianche sono sfavillanti diallegria irrequieta, come un rincorrersi su pe' greppi dipecore, o birnbi che si spallottano di neve. Il vetro piesposto ripercote violentemente il scie : ecco che scop-pia la rossa risata, calda, fragorosa, aperta. L'ode lacasuccia del pecoraio spersa neile fratte di Monte Mo-

  • So-

    relle, e la riecheggia nello spazio. Sui colli un fiam-mare d fuochi .

    Non ci sono pi scorie, finalmente. Equilibrio eritmo. Felicit piena d'espressione. poesia. lo stes--so poeta che sta scrivendo // Mio Carso.

    Accanto al poeta il critico, in quest'anno, che si fapi esperto e pi vivo su La l^oce. In articoli di mag-gior respiro e in note bibliografiche. In quelli cimen-tandosi con argomenti come l'arte della Roma somma-rughiana. la poesia del Carducci, Guido Gozzano eminori; in queste seminando buoni giudizi (I) su varicampi della coltura, dalla politica alla letteratura, a pro-posito della Biblioteca dei popoli, deWUrmeister di Goe-the, delle Poesie di Umberto Saba e di altri. Nel 1911,con rarticolc su Brand, parla per la prim.a volta pub-blicamente di Enrico Ibsen.

    Ma alla fine di quest'anno Scipio Slataper diventapi che collaboratore de La Voce. Il 14 dicembre 191 fi lettori un po' lontani dall'ambiente fiorentino, vengo-no sorpresi dalle seguenti parole di Giuseppe Prezzo-lini : (( Le esigenze dell'organizzazione non ancora ter-minata, della libreria, richiederanno per parecchi mesila maggior parte della mia attenzione e del mio lavoro.Non potrei pertanto continuare come in passato, a ba-stare da solo alla redazione de La Voce. Ho pensatoperci di procurarmi per il prossimo 1912, l'aiuto di unSegretario di redazione nella persona del mio ottimoamico e ccllabcratore Scipio Slataper, il cui nome ben noto ai nostri lettori.

    (i) Tanto meno si capisce la terribile cantonata presa nellarecensione di Insaniapoli del Ruta.

    I

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    Egli con l'aiuto dei nostri amici, i quali tutti conti-

    nueranno a lavorare con noi nel prossimo anno, siconsacrer al giornale con la devozione ch'egli ha por-tato durante 3 anni alla causa de La Voce, ch'egli gi in grado di conoscere e di apprezzare per una lun-ga e amichevole consuetudine di lavoro .

    La realt, oltre il giusto riconoscimento e il bell'o-nore reso allo Slataper, era che Giuseppe Prezzolini ab-bandonava d'improvviso la direzione del giornale dalui fondato sonetto e salvato per tre anni burrascosi.Pu rilassamento di coraggio o mancanza di volont ?

    La spiegazione pi vera nel fatto che la burrascaera finita, finito lo Sturm und Drang, passato l'entusia-smo e venuto meno lo scopo primitivo dell'azione vc-ciana, A ogni tensione segue un vuoto; Prezzolini sisent stanco. Come succede a coloro che si sono tuttiprodigati, a un certo punto si disamor dell'opera sua;cap l'inutilit e l'impossibilit di continuare a tenerunite le contradizioni dei collaboratori che si facevanosempre pi complicate.

    Se gli amici gli avessero allora, come fecero pitardi, prospettato la fine de La Voce e in quel momentoinsistito perch la sopprimesse, egli forse l'avrebbe sop-pressa, anche coi lavori gi iniziati della Libreria. Macome una suggestione gravava su loro che, pur gi in-timamente staccati da La Voce, ne subivano ancoral'influsso esteriore e nella sua fine credevano vagamentedi vedere non so che crollo.

    E cos La^ Voce continu. I lettori lontani non saccorsero di questa prima crisi profonda della rivistache ormai amavano come cosa alla quale non si possarinunciare. Le semplici parole del Prezzolini erano ser-

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    vite a coprire un complicato disagio, disagio superatoprovvisoriamente, dopo laboriose discussioni dalle qualiebbero origine i primi reali ma inevitabili dissapori fragli amici della redazione,

    Scipio Slataper il quale aveva accettato l'incarico disegretario di redazione, si trov improvvisamente inmezzo a complicazioni che al prfimo momento non ave-va prevedute. Come segretario di redazione doveva rac-cogliere il materiale, distribuirlo, assicurare l'uscita delnumero, correggere le bozze; si trattava in una paroladi fare La Voce.

    Se ci gli fosse capitato otto mesi prima, quando ilsuo passo era pronto a mettersi su tutte le vie, e, me-glio, nell'imminenza della sciagura che doveva colpirloe da cui avrebbe trovato rifugio nell'impegno serio, eglisi sarebbe raccolto, con la fede che aveva nel lavoro ene La Voce, nello sforzo di continuarla viva e originale;e noi avremmo avuto forse una Voce nuova, ma avrem-mo certamente perduto // mio Carso. Ma ci gli capitinvece proprio nel momento in cui la sua vita che ave-va appena sorpassato una profonda crisi, si tranquilliz-zava nella visione d'un futuro semplice e umano. Eglinon s'interessava ormai pi abbastanza a La Voce; esoprattutto non era pi possibile, ch'egli sacrificasse ilsuo futuro individuale a questa. Si trov quindi ad averaccettato l'incarico, senza un intimo consentimento.

    In un tale disagio interiore, egli mise insieme LaVoce dal dicembre del 1911 al marzo del 1912; perpoco tempo. E se pot sembrare inferiore al suo com-pito, fu pi forse per questa ragione che per im^maturit.

    Anche i suoi due lunghi articoli sul Teatro, pubbli-cati allora, risentono di quel disagio. La loro tortuosit

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    e torbidezza derivano soprattutto dallo scontento e dallafretta del segretario di redazione a corto di materiale.

    Il 28 marzo 1912 la direzione de La Voce passa aGiovanni Rapini. Il 7 luglio il Prezzolini sta gi meglio,pu annunciare la sua collaborazione e la ripresa delladirezione per il novembre. Col numero 45, dopo averringraziato Giovanni Rapini e Riccardo Bacchelli, Rrez-zolini di nuovo al timone. Smplice anche questavolta, ma sotto, anche questa volta, una crisi profonda.

    La quale non fu che il seguito della prima. Se alloraper l'esistenza de La Voce era apparsa a tutti supe-riore a ogni dissidio, ora alcuni amici accortisi nel frat-tempo del cessato compito riformatore della rivista enon credendo che altro compito potesse avere La Voce,erano del parere di sopprimerla. Elssi cercarono di con-vincere il Rrezzolini di ci. Ma ormai era troppo tardi.Egli che era stato il primo a sentirla finita e a lasciarla,aveva gi intuito che si poteva riprenderla. Non piquella che era stata in essenza, folata irrompente d'os-sigeno nella vita spirituale d'Italia; ma quella che gi8(1 profilava dalla vecchia : organo di coltura, per curare,regolare ed estendere II seminato. Una seconda Vocela quale passasse a lato della Libreria che la primaaveva creato, senza soluzione di continuit.

    Aspra fu la lotta intorno a l'esistenza de La Voce.Giuseppe Rrezzolini tenne duro e bench perdesse indue riprese i suoi migliori collaboratori, mantenne invita il giornale. Sino alla guerra; quando sembr adun tratto possibile che La Voce si raccogliesse di nuovoe potesse proficuamente dividersi in letteraria e poli-tica. Ma il turbamento generale provocato dagli avve-nimenti della guerra europea e della neutralit italiana,travolse anche La Voce che dopo esser stata diretta

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    per un breve periodo da Giuseppe De Robertis, cessdi vivere senza rimpianto.

    Fra quelli che nel dicembre del 1912 volevano farmorire La Voce, ci furono Giovanni Amendola e ScipioSlataper. E furono i primi a staccarsi quando GiuseppePrezzolini decise di continuarla. Da allora si fece pivicina e frequente l'amicizia di Scipio Slataper per Gio-vanni Amendola.

    L'ultimo articolo dello Slataper su La Voce // mo-mento attuale dell'Austria del 12 dicembre 1912. Avevacominciato con le Lettere triestine nel febbraio 1909.

    L'annata del 1912 fu meno ricca d'articoli suoi; an-che perch egli, oltre la pubblicazione del Mio Carsoebbe in quest'anno la tesi di laurea da fare. Passata ladirezione a Giovanni Papi.ni, egli si sent liberato dalpeso e dalla responsabilit e pot collaborare a La Vocecon pi calma e maggiore libert. Vi pubblic quei duearticoli su L'avvenire nazionale e politico di Trieste chesono le parole pi profonde che siano mai state dettesu] dramma triestino avanti la guerra; una critica delPartage de midi e un articolo su Ferruccio Garavaglia;nel bollettino bibliografico del 1912, due recensioni delGiuliano l'Apostata di C. Barbagallo e degli Scritti diR. Michelstaetter, e una nota, semipolemica, in occa-sione del centenario di Federico Hebbel.

    Complessivamente il contrib