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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE ALL’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO SCIENTIFICO MATEMATICO FISICO INFORMATICO classe A049 matematica e fisica Unità didattica GEOMETRIE NON EUCLIDEE Dott. Mario Sandri Matricola 117039 Anno Accademico 2005/2006

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE ALL’INSEGNAMENTO SECONDARIO

INDIRIZZO SCIENTIFICO MATEMATICO FISICO INFORMATICO

classe A049 matematica e fisica

Unità didattica

GEOMETRIE

NON EUCLIDEE

Dott. Mario Sandri

Matricola 117039

Anno Accademico 2005/2006

Geometrie non euclidee Mario Sandri

INDICE DEI CONTENUTI

Pagina 4 Destinatari

Pagina 4 Prerequisiti

Pagina 4 Accertamento dei prerequisiti

Pagina 5 Obiettivi

Pagina 5 Obiettivi generali

Pagina 5 Obiettivi trasversali

Pagina 6 Obiettivi specifici

Pagina 6 Conoscenze (obiettivi cognitivi)

Pagina 6 Competenze (obiettivi operativi)

Pagina 6 Capacità (obiettivi metacognitivi)

Pagina 7 Sviluppo dei contenuti

Pagina 7 Storia delle geometrie non euclidee

Pagina 7 Introduzione

Pagina 8 Euclide: vita e opere

Pagina 9 Gli Elementi

Pagina 12 Il V Postulato

Pagina 13 La teoria delle parallele

Pagina 13 Primi tentativi di dimostrazione del V postulato

Pagina 16 Girolamo Saccheri

Pagina 18 La “marcia di avvicinamento” alle geometrie non euclidee

Pagina 19 La nascita delle geometrie non Euclidee: Lobacewskij, Bolyai,

Riemann

Pagina 21 L’assiomatizzazione moderna della geometria

Pagina 23 Modelli per la geometria di Lobacewskij

Pagina 27 Il modello della geometria di Riemann

Pagina 30 La geometria sulla sfera

Pagina 30 La somma degli angoli di un triangolo

Pagina 30 Rette parallele. I postulati di Euclide

Pagina 32 Il quinto postulato

Pagina 34 Rette parallele tagliate da una trasversale

Pagina 36 Somma degli angoli di un triangolo

Pagina 36 Punti all'infinito

Pagina 2

Geometrie non euclidee Mario Sandri

Pagina 38 La geometria sulla sfera

Pagina 40 Circonferenze massime

Pagina 43 I percorsi più brevi

Pagina 46 Il concetto unificante di linea geodetica

Pagina 47 Geodetiche su una superficie cilindrica

Pagina 52 Geodetiche sul cubo

Pagina 54 Curvatura

Pagina 57 Geodetiche e curvatura intrinseca

Pagina 59 Circonferenze intrinseche

Pagina 62 Geodetiche e curvatura estrinseca

Pagina 63 La geometria di S2 è non euclidea

Pagina 65 La geometria di S2 è una geometria ellittica

Pagina 66 Triangoli sferici

Pagina 68 Due questioni tecniche

Pagina 70 Somma degli angoli di un triangolo sferico

Pagina 73 La formula ellittica α + β + γ = π + A

Pagina 75 Le tre geometrie

Pagina 77 Curvatura di una superficie

Pagina 81 Geometrie in uno spazio non omogeneo

Pagina 83 Il modello di Poincaré

Pagina 85 Metodologie didattiche

Pagina 85 Materiali e strumenti utilizzati

Pagina 86 Controllo dell’apprendimento

Pagina 86 Valutazione

Pagina 86 Recupero e approfondimento

Pagina 86 Tempi dell’intervento didattico

Pagina 87 Bibliografia

Pagina 3

Geometrie non euclidee Mario Sandri

DESTINATARI

Questa unità didattica è rivolta a studenti del 5° anno del Liceo Scientifico e del Liceo

Scientifico P.N.I.

PREREQUISITI

• Conoscere i fondamenti della geometria

• Conoscere i fondamenti della geometria euclidea

• Conoscenza delle funzioni trigonometriche

• Conoscere la terminologia matematica

• Conoscere la terminologia geometrica

• Conoscere le caratteristiche di una sfera

• Conoscere le figure geometriche

• Saper fare calcoli letterari

• Saper fare calcoli numerici

ACCERTAMENTO DEI PREREQUISITI

Questa unità didattica prevede che l’alunno abbia completamente acquisito nelle unità didattiche

precedenti le conoscenze e le competenze sui concetti fondamentali della geometria e sulla

terminologia specifica della disciplina, nonché su concetti fondamentali della matematica quali la

trigonometria, le caratteristiche delle figure geometriche e il calcolo letterale e numerico.

Come accertamento dei prerequisiti si accettano i risultati delle verifiche sommative delle unità

didattiche precedenti, pur ritenendo necessario condurre una lezione dialogata, durante la quale

l’insegnante verifica ulteriormente le conoscenze ponendo alcune domande opportune.

Alcuni punti essenziali e di strategica importanza sono da rivedere, integrare e rinforzare in

classe, durante la prima ora dell’unità didattica, con modalità dialogica-interattiva. Gli studenti

carenti in determinati argomenti, saranno invitati, entro la successiva lezione, a rivedere le

tematiche in questione.

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OBIETTIVI

Obiettivi generali

• Acquisire le conoscenze, competenze e capacità previste dall’unità didattica per l’argomento

geometrie non euclidee

• Contribuire a sviluppare e soddisfare l’interesse degli studenti per la matematica, in

generale, e per la geometria, in particolare

• Saper utilizzare consapevolmente procedure matematiche nell’ambito geometrico

• Riconoscere il contributo dato dalla geometria allo sviluppo delle scienze musicali

• Migliorare l’abilità di lettura di figure evidenziando in tal senso anche capacità critiche

• Motivare gli alunni ad attività di studio teorico degli aspetti quotidiani della geometria

• Contribuire a rendere gli studenti in grado di affrontare situazioni problematiche di natura

geometrica avvalendosi dei modelli più adatti alla loro rappresentazione

• Condurre ad un appropriato utilizzo del lessico specifico della geometria e a saper

argomentare con proprietà di espressione e rigore logico

• Sviluppare il senso critico e la capacità di correggere errori

• Acquisire un’adeguata conoscenza e comprensione dei contenuti proposti insieme alla

consapevolezza del proprio stile di apprendimento

• Possedere e migliorare il metodo di studio

• Abituare ad un metodo autonomo di lavoro, consolidando la capacità progettuale ed

organizzativa

Obiettivi trasversali

• Educare gli alunni ad un comportamento corretto e responsabile verso compagni ed

insegnanti e al rispetto reciproco nei rapporti interpersonali

• Sviluppare attitudine alla comunicazione favorendo lo scambio di opinioni tra docente e

allievo e tra allievi

• Proseguire ed ampliare il processo di preparazione scientifica e culturale degli studenti

• Contribuire a sviluppare lo spirito critico e l’attitudine a riesaminare criticamente ed a

sistemare logicamente le conoscenze acquisite

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Obiettivi specifici

Conoscenze (obiettivi cognitivi)

• Conoscere gli assiomi della geometria euclidea

• Conoscere gli assiomi delle geometrie non euclidee

• Conoscere la storia della geometria

• Conoscere il comportamento della geometria su una sfera

• Conoscere il significato geometrico di grandezze comunemente adottate nel gergo

fisico-matematico

Competenze (obiettivi operativi)

• Saper determinare la curvatura di una superficie

• Saper determinare le caratteristiche di una superficie

• Saper determinare il tipo di geometria

• Saper determinare l’area di un triangolo

• Saper determinare il comportamento della geometria su qualsiasi superficie

Capacità (obiettivi metacognitivi)

• Riconoscere la stretta analogia tra geometria e mondo fisico

• Acquisire la capacità di leggere ed interpretare fenomeni del mondo reale e fisico,

applicando le competenze geometrico-matematiche acquisite

• Saper utilizzare le conoscenze e le competenze acquisite per risolvere problemi

• Essere in grado di riconoscere in contesti diversi la presenza di geometrie non

euclidee ed essere in grado di trarre informazioni sul fenomeno che rappresentano,

utilizzando le conoscenze e competenze acquisite.

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SVILUPPO DEI CONTENUTI

Porro nemo est qui dubitet de veritate expositi Pronunciati…

[Nessuno dubita della verità del V postulato…]

Gerolamo Saccheri, 1733

... sappiamo che se andiamo oltre questa stanza e guardiamo molto più lontano, il modello euclideo

non funziona più. E' adatto per un numero ristretto di casi, ma non va bene in altre situazioni.

Allora, cosa fanno i fisici? Cercano di scoprire quali modelli siano adatti. Ma a un matematico,

voglio dire a un matematico puro, non importa se i modelli da lui immaginati possano essere

applicati o no. Un matematico puro costruisce dei bei modelli, geometrici, e non si cura se tali

modelli possano essere usati per descrivere l'universo oppure no. L'importante è che siano belli.

Serge Lang, 1985

STORIA DELLE GEOMETRIE NON EUCLIDEE

Introduzione

La Matematica è stata considerata per millenni come una costruzione di conoscenze, basata su

fondamenta solide e sicure e innalzata in modo sistematico e produttivo per ottenere una serie di

verità inconfutabili e coerenti tra loro. "La Matematica non è un’opinione" è una frase, forse banale,

ma che sottolinea il senso di rigore assoluto che gli uomini hanno sempre ritenuto, e ritengono

tuttora, implicito in tale disciplina.

Nel libro "L’ultimo teorema di Fermat" l’autore Simon Singh scrive: "La ricerca di una

dimostrazione matematica è la ricerca di una conoscenza che è più assoluta della conoscenza

accumulata da ogni altra disciplina. Il desiderio di una verità definitiva, ottenuto attraverso il

metodo della dimostrazione è ciò che ha guidato i matematici negli ultimi 2500 anni."

Proprio su questa necessità di massimo rigore si è andata sviluppando, per rendere sempre più

solide le basi della geometria, la ricerca sul quinto postulato di Euclide, ricerca che ha avuto poi una

soluzione veramente inattesa.

Una delle massime menti filosofiche del 1700, Immanuel Kant, scriveva: "Lo spazio è una

rappresentazione necessaria a priori, la quale sta a fondamento di tutte le istituzioni esterne. Non si

può mai formare la rappresentazione che non vi sia spazio, sebbene si possa benissimo pensare che

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in esso non si trovi nessun oggetto. Lo spazio viene quindi considerato come la condizione della

possibilità dei fenomeni, non come una determinazione dipendente da essi: ed è una

rappresentazione a priori, la quale è necessariamente a fondamento dei fenomeni esterni."

Si può ben capire, allora, quali turbamenti, esitazioni e ripensamenti abbiano attraversato le

menti e i cuori di quei tre matematici dell’800, Lobacevskji, Bolyai e Gauss che, pressoché

contemporaneamente e in tre nazioni diverse e distanti tra loro, l’Ungheria, la Russia e la Germania,

stavano, con le loro intuizioni e i loro studi, giungendo ad una medesima conclusione: la geometria

di Euclide poteva non essere più il modello ideale del sapere assoluto poiché non possedeva più

quei caratteri di verità e di necessità assoluta che fino ad allora le erano stati attribuiti. I risultati

delle loro ricerche si trovavano a cozzare contro le affermazioni dei grandi della scienza, ma,

nonostante ciò, si giunse in pochi anni a capire e soprattutto ad accettare che era possibile pensare

ad altre geometrie.

Euclide: vita e opere

Le notizie biografiche su Euclide sono scarse. Sappiamo che visse intorno al 300 a.C. e che fu

chiamato ad Alessandria dal re Tolomeo I per insegnare matematica nella prestigiosa scuola da esso

stesso istituita e nota con il nome di Museo. Per questo motivo è a noi noto col nome di Euclide di

Alessandria. Probabilmente Euclide fu allievo di Platone e le leggende lo dipingono come uomo di

temperamento gentile ma deciso. Si raccontano due aneddoti sulla sua vita. Al re Tolomeo, che gli

avrebbe chiesto se esistesse un modo rapido per imparare la geometria, Euclide avrebbe risposto

che non esistono in geometria "vie regie". Si racconta anche che un giorno un allievo chiese ad

Euclide a cosa servisse la geometria, e lui in risposta, prima di cacciarlo via, ordinò ad un suo

schiavo di dargli una moneta perché l’allievo voleva trarre guadagno da ciò che aveva studiato.

Molte sono le opere scritte da Euclide, di queste alcune sono arrivate fino a noi, mentre di altre,

andate perdute, siamo venuti a conoscenza attraverso gli scritti di altri autori. Euclide non si

interessò solo di matematica ma trattò argomenti riguardanti svariati campi di conoscenze,

dall’astronomia all’ottica, dalla musica alla meccanica. Ricordiamo i Dati, dove determina le

condizioni sotto le quali i problemi possono essere risolti; la Divisione delle figure, dove studia il

modo di dividere con delle rette alcune superfici piane in modo da rispettare certe proporzioni tra le

aree; gli Pseudaria (o False conclusioni); un trattato sulle Coniche; un’opera sui Porismi che se

fosse giunta fino a noi ci avrebbe dato l’idea di quanto Euclide si fosse avvicinato alla geometria

analitica. Senza dubbio però l’opera che ha dato fama all’autore e che per noi è oggi un sinonimo di

Euclide stesso sono gli Elementi.

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Gli Elementi

Gli Elementi sono sostanzialmente un trattato organico sulle parti fondamentali della geometria

e dell’aritmetica. La formazione degli Elementi inizia probabilmente con Talete e nell’arco dei tre

secoli successivi si perfeziona fino a raggiungere l’apice con Euclide. Proclo vide in Euclide colui

che riuscì ad ordinare e a completare i risultati raggiunti dai suoi predecessori. Nella scuola dove

Euclide impartiva i suoi insegnamenti, l’Accademia, era in atto un movimento critico di revisione

dei principi della geometria che spinsero il nostro autore a dare un assetto rigoroso alle conoscenze

fino ad allora raggiunte. L’originalità dell’opera, che sostanzialmente è un manuale, non risiede

dunque nei risultati personali ottenuti dall’autore, ma nel nuovo ordinamento dato al materiale che

meglio rispondeva all’ideale di rigore geometrico che ha reso l’opera famosa fino ai giorni nostri.

Gli Elementi sono suddivisi in 13 Libri, i primi 6 riguardano la geometria piana, i successivi 3 la

teoria dei numeri, il decimo tratta degli incommensurabili e gli ultimi 3 riguardano la geometria

solida. Il Libro I inizia ‘brutalmente’ con l’elenco degli elementi di partenza: 23 Termini, 5

Postulati e 5 Nozioni Comuni, dai quali Euclide deduce i successivi risultati. I Termini potrebbero

essere interpretati come definizioni, non nel senso da noi dato attualmente (Euclide non definisce a

partire da concetti primitivi) ma come descrizioni di enti geometrici supposti già esistenti; Euclide

suppone che chi legge deve avere già un’idea di questi enti e quindi li descrive come "oggetti

geometrici" che possono comunque essere disegnati con riga e compasso. I Postulati sono

proposizioni primitive che si riferiscono agli enti geometrici definiti in precedenza. Essi avrebbero

carattere essenzialmente costruttivo e garantirebbero l’esistenza di certi elementi. Le Nozioni

Comuni, dette anche Assiomi, sono anch’esse delle nozioni primitive riguardanti però non solo la

geometria e si potrebbe dire che sono "regole di ragionamento".

Aristotele aveva gia fatto una distinzione tra assiomi e postulati dicendo che i primi devono

essere convincenti di per se stessi e sono verità comuni a tutte le scienze, mentre i secondi sono

meno evidenti e non presuppongono l’assenso dell’allievo poiché riguardano solo la disciplina in

questione. Non sappiamo se Euclide condividesse questa idea certo è che i matematici moderni non

fanno più alcuna distinzione tra assioma e postulato.

La maggior parte delle proposizioni del Libro I sono familiari agli studenti di scuola superiore

che abbiano seguito un corso di geometria. Esse comprendono i teoremi sulla congruenza dei

triangoli, riguardano semplici costruzioni con riga e compasso, disuguaglianze relative ai lati e agli

angoli di un triangolo, proprietà di rette parallele e terminano con la dimostrazione del teorema di

Pitagora e del suo reciproco. È facile per noi, alla luce degli sviluppi successivi, criticare l’opera di

Euclide ma non dimentichiamo che per più di duemila anni gli Elementi hanno costituito la più

rigorosa e razionale sistemazione della matematica.

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Riportiamo di seguito gli elementi di partenza del Libro I così come Euclide li aveva elencati1

Termini

I Punto è ciò che non ha parti

II Linea è lunghezza senza larghezza

III Estremi di una linea sono punti

IV Linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai punti su essa

V Superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza

VI Estremi di una superficie sono linee

VII Superficie piana è quella che giace ugualmente rispetto alle rette su essa

VIII Angolo piano è l’inclinazione reciproca di due linee su un piano, le quali si incontrino

fra loro e non giacciano in linea retta

IX Quando le linee che comprendono l’angolo sono rette, l’angolo si chiama rettilineo

X Quando una retta innalzata su una (altra) retta forma gli angoli adiacenti uguali tra loro,

ciascuno dei due angoli uguali è retto, e la retta innalzata si chiama perpendicolare a

quella su cui è innalzata

XI Angolo ottuso è quello maggiore di un retto

XII Angolo acuto è quello minore di un retto

XIII Termine è ciò che è estremo di qualche cosa

XIV Figura è ciò che è compreso da uno o più termini

XV Cerchio è una figura piana compresa da un’unica linea (che si chiama circonferenza)

tale che tutte le rette, le quali cadano sulla (stessa) linea, (cioè sulla circonferenza del

cerchio), a partire da un punto fra quelli che giacciono internamente alla figura, sono

uguali fra loro.

XVI Quel punto si chiama centro del cerchio

XVII Diametro del cerchio è una retta condotta per il centro e terminata da ambedue le parti

dalla circonferenza del cerchio, la quale retta taglia anche il cerchio per metà

XVIII Semicerchio è la figura compresa dal diametro e dalla circonferenza da esso tagliata.

E centro del semicerchio è quello stesso che è anche centro del cerchio

XIX Figure rettilinee sono quelle comprese da rette, vale a dire: figure trilatere quelle

comprese da tre rette, quadrilatere quelle comprese da quattro, e multilatere quelle

comprese da più di quattro rette

1 da Gli Elementi di Euclide, a cura di A. Frajese e L. Macioni, UTET, Torino 1988

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XX Delle figure trilatere, è un triangolo equilatero quello che ha i tre lati uguali, isoscele

quello che ha soltanto due lati uguali, e scaleno quello che ha i tre lati disuguali

XXI Infine, delle figure trilatere, è triangolo rettangolo quello che ha un angolo retto,

ottusangolo quello che ha un angolo ottuso, ed acutangolo quello che ha i tre angoli

acuti

XXII Delle figure quadrilatere, è quadrato quella che è insieme equilatera ed ha gli angoli

retti, rettangolo quella che ha gli angoli retti, ma non è equilatera, rombo quella che è

equilatera, ma non ha gli angoli retti, romboide quella che ha i lati e gli angoli opposti

uguali fra loro, ma non è equilatera né ha gli angoli retti. E le figure quadrilatere oltre a

queste si chiamano trapezi

XXIII Parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate

illimitatamente dall’una e dall’altra parte, non si incontrano fra loro da nessuna delle

due parti

Postulati

I Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro

punto

II E che una retta terminata (=finita) si possa prolungare continuamente in linea retta

III E che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni distanza (=raggio)

IV E che gli angoli retti siano uguali fra loro

V E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa

parte minori di due retti (= tali che la loro somma sia minore di due retti), le due rette

prolungate illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli

minori di due retti (= la cui somma è minore di due retti)

Nozioni Comuni

I Cose che sono uguali ad una stessa cosa sono uguali anche tra loro

II E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali

III E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono uguali

IV E cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali

V Ed il tutto è maggiore della parte

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Il V Postulato

E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla stessa parte

minori di due retti, le due rette prolungate illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte

in cui sono gli angoli minori di due retti.

Euclide cerca di dare un assetto rigoroso alla geometria a partire da verità evidenti e da postulati

che garantiscono l’esistenza di oggetti effettivamente costruibili con riga e compasso; ma mentre

per i primi 4 è facile individuare il carattere di costruttività , per l’ultimo, il V, questo aspetto non è

così evidente. Il I postulato infatti garantisce la possibilità di condurre una retta (concepita come

segmento) passante per due punti dati; con il II è possibile prolungare una retta (segmento)

indefinitamente; il III ci permette di costruire (con un compasso ideale!) circonferenze di raggio

qualunque; il IV è necessario per garantire che l’angolo retto ottenuto costruendo due rette che

incontrandosi formano angoli adiacenti uguali, non dipende dalle rette considerate (con il termine X

Euclide definisce l’angolo retto come angolo ottenuto innalzando su una retta un’altra retta che

formi con la prima angoli adiacenti uguali). Il V postulato infine, e qui siamo al punto cruciale,

garantisce sì l’esistenza del punto di intersezione tra due rette che formano con una trasversale

angoli coniugati minori di due retti, ma non da alcuna indicazione su come si possa costruirlo. Ad

Euclide era gia chiara la differenza sostanziale tra i primi 4 postulati e l’ultimo, e fece lo sforzo di

dimostrare il maggior numero di teoremi evitando di ricorrere al V postulato.

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La teoria delle parallele

Le prime proposizioni del Libro I convergono verso un risultato caratteristico della geometria

euclidea "la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli retti", e tale risultato è

fondato sulla teoria delle parallele. La teoria delle parallele è espressa essenzialmente in tre

proposizioni, la 27 e la 28 che non fanno ricorso al V postulato e la 29 che ne fa invece uso.

È da notare come Euclide intendesse mostrare fino a che punto si poteva giungere senza fare

ricorso al V postulato dimostrando, ad esempio, la proposizione 17 "in ogni triangolo due angoli,

comunque presi, sono minori di due retti", che poteva essere dedotta in modo elementare dalla

proposizione 32 "la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti". Con le prime

28 proposizioni l’autore costruì una specie di geometria non euclidea, nel senso che non si tratta di

una geometria che nega il V postulato ma di una "geometria assoluta" che ne prescinde.

Primi tentativi di dimostrazione del V postulato

Le critiche al lavoro svolto da Euclide, nel mondo greco, non tardarono a venire. Si riteneva che

il V postulato non fosse abbastanza evidente per poterlo accettare senza dimostrazione e per di più

la proposizione inversa (proposizione 17) era stata dimostrata. Molti matematici si cimentarono

dunque nella dimostrazione del V postulato senza avere, però, grandi successi. Nella maggioranza

dei casi la dimostrazione si basava su ipotesi che andavano semplicemente a sostituirlo senza avere

peraltro un maggior carattere di evidenza e di costruttività.

Proclo (410-485) nel suo Commento al I libro di Euclide racconta ad esempio che Posidonio (I

sec. a.C.) cerca di aggirare l’ostacolo del V postulato dando una diversa definizione di rette

parallele come rette complanari ed equidistanti. Questa definizione e quella euclidea "parallele sono

quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente dall’una e

dall’altra parte, non si incontrano fra loro da nessuna delle due parti", non sono però equivalenti e

determinano due situazioni che possono presentarsi separatamente. Di ciò si rende conto anche

Proclo che, facendo riferimento ai lavori di Gemino (I sec a.C.), porta come esempio l’iperbole che

non interseca i propri asintoti e tuttavia non è da essi equidistante. Proclo stesso tenta una

dimostrazione introducendo prima l’ipotesi che "la distanza tra due punti presi su rette che si

intersecano può essere resa grande a piacere prolungando sufficientemente le rette" e poi l’ipotesi

che "la distanza tra due rette parallele rimane finita". Sempre Proclo ci racconta di come Tolomeo

(II sec d.C.) dimostri il postulato con il seguente ‘bizzarro’ ragionamento:

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Siano AB e CD due rette parallele ed EF una trasversale. La somma degli angoli interni a

sinistra AFE e CEF o è maggiore o è minore o è uguale a due angoli retti. Ipotizzando che se per

una coppia di parallele si verifica ad esempio il I caso, altrettanto si verifichi per ogni altra coppia,

poiché le rette FB e ED sono parallele come lo sono le rette AF e CE segue che se AFE + CEF è

maggiore di due retti altrettanto accadrà per BFE + DEF. Ma allora AFE + CEF + BFE + DEF

è maggiore di quattro retti e ciò è assurdo. Allo stesso modo si dimostra che la somma dei due

angoli non può essere minore di due retti quindi AFE + CEF è uguale a due retti. Da questo segue

il V postulato.

E’ interessante seguire il ragionamento con il quale si pretendeva di dimostrare che due rette

tagliate da una terza non si incontrano anche quando la somma degli angoli coniugati è minore di

due retti, e quindi la non validità del V postulato.

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Sia AC una trasversale delle due rette AB e CD ed E il punto medio di AC. Dalla parte di AC,

in cui la somma degli angoli interni è minore di due retti si prendano su AB e CD i segmenti AF e

CG uguali ad AE. Le rette AB e CD non possono incontrarsi tra i punti A, F, e C, G, perché in un

triangolo ciascun lato è minore della somma degli altri due. Si congiungano i punti F e G e si

ripeta la procedura determinando i punti H, K, L. Le rette non potranno intersecarsi tra i punti F,

K e G, L e poiché questa procedura potrà ripetersi indefinitamente segue che AB e CD non

possono incontrarsi.

Questo paradosso è simile a quello di Zenone su Achille e la tartaruga e lo stesso Proclo nota

che il ragionamento fatto dimostra solo che non si può raggiungere il punto di intersezione delle

rette e non che tale punto non esista.

Anche gli arabi si occuparono come i greci del V postulato. Ricordiamo i contributi dati da Al-

Narizi (IX sec) e da Nasir-Eddin (XIII sec). Il primo riporta una dimostrazione che sostanzialmente

è simile a quella di Posidonio perché fondata sull’ipotesi che esistano rette equidistanti. Il secondo

fonda il suo ragionamento sull’ipotesi che se due rette r ed s sono l’una perpendicolare e l’altra

obliqua al segmento AB, i segmenti di perpendicolare condotti da s su r sono minori di AB dalla

parte in cui AB forma con s un angolo acuto, sono maggiori di AB dall’altra parte

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Con questa ipotesi Nasir-Eddin deduce prima che la somma degli angoli di un triangolo è

uguale a due retti e poi il V postulato. Per dimostrare il postulato euclideo egli inizia con il

dimostrare che se due rette sono una perpendicolare e l’altra obliqua ad una terza retta devono

necessariamente intersecarsi, fa poi ricorso al teorema della somma degli angoli interni di un

triangolo per ridurre il caso generale al caso particolare appena dimostrato.

Possiamo dire che i primi commentatori di Euclide, nel tentativo di risolvere il problema legato

al V postulato, seguirono fondamentalmente due direzioni: in un caso diedero una diversa

definizione di rette parallele, nell’altro sostituirono il postulato euclideo con un’altra proposizione, a

parer loro, più evidente. Il problema rimase aperto e durante il Rinascimento ricominciarono le

ricerche in tal senso che si conclusero solo nel XIX sec. con la nascita delle "geometrie non

euclidee".

Quando Euclide sistemò la geometria dandole un assetto assiomatico, si trovò di fronte ad una

difficoltà che non riuscì a risolvere positivamente. Egli voleva dimostrare i teoremi utilizzando

"verità evidenti" nel senso di proposizioni riguardanti "oggetti" effettivamente costruibili e

disegnabili con riga e compasso. Per esempio introduce la retta non come ente di lunghezza infinita

ma postula che ogni segmento può essere prolungabile in modo indefinito. L’obiettivo è dimostrare

i teoremi senza introdurre caratteristiche che non siano costruttive, e ci riesce sino alla proposizione

28. Tuttavia per dimostrare alcuni teoremi che risultano essenziali nello studio delle figure piane

deve introdurre il V postulato (assioma della parallela), che pur essendo sicuramente coerente con il

senso comune, non presenta però carattere costruttivo. Ricordiamo inoltre che negli Elementi

compare come Teorema (dimostrato senza utilizzare il V postulato) la proposizione contraria del V.

Girolamo Saccheri

Nel Rinascimento si registra il rifiorire delle considerazioni critiche sulla teoria delle parallele,

dopo la scoperta del "Commento" di Proclo. In particolare citiamo Pietro Cataldi (1552-1626) e

Giordano Vitale (1633-1711) in Italia, e John Wallis (1616-1703) in Inghilterra. Quest’ultimo

introduce una nuova idea e deduce il V dalla proposizione: "Data una qualsiasi figura, se ne può

sempre costruire un’altra simile (cioè con gli stessi angoli) di grandezza arbitraria". D’altro canto è

noto che nella geometria Euclidea è vera la proposizione di Wallis, per cui è stabilita l’equivalenza

delle due proposizioni. L’opera di Wallis è importante poiché lega le questioni connesse con il V

con la similitudine; dai suoi risultati si deduce che in una geometria in cui non valga il V non

esistono figure simili che non siano anche uguali, e di conseguenza non è possibile sviluppare la

teoria della similitudine. I tentativi di dimostrazione del V postulato continuarono ancora e nel 1763

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

lo studioso tedesco G.S. Klugel in una sua opera ne esamina ben 30. Fra questi, quello di gran lunga

più interessante è quello di Girolamo Saccheri.

Girolamo Saccheri (1667-1733), padre gesuita, studiò matematica a Milano sotto la guida di

Tommaso Ceva. Insegnò matematica e filosofia a Pavia e Torino. Sono da ricordare oltre ai suoi

lavori sul V, anche l’opera "Logica demonstrativa" del 1697, in cui si trova, per la prima volta,

esposta in modo assiomatico la logica. In tale lavoro si trova anche esposto il metodo, peraltro non

nuovo della "reductio ad absurdum" (dimostrazione per assurdo), che Saccheri utilizzerà

sistematicamente nei suoi lavori connessi con il V postulato; assumendo per ipotesi la negazione

della proposizione che si vuole dimostrare si giunge ad una contraddizione, ciò permette di

affermare che la proposizione di partenza è vera. Questa idea, è interessante poiché vi si trova in

embrione la tesi che la verità matematica coincida con la non contraddittorietà. L’opera nella quale

Saccheri tenta la dimostrazione del V postulato ha il titolo "Euclides ab omni naevo vindicatus, sive

conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa universale geometriae principia" è pubblicata nel

1733, anno della sua morte, e questo spiega in parte la poca notorietà che l’opera ebbe al suo tempo.

Nei secoli precedenti ci furono molti matematici che tentarono di dimostrare direttamente il V

postulato; Saccheri nel suo tentativo di dimostrazione, utilizzando la "reductio ad absurdum" cioè

partendo dalla negazione del V postulato, è il primo che costruisce teoremi di geometria non

Euclidea, pertanto deve essere considerato il precursore delle geometrie non Euclidee.

E’ un problema tuttora aperto se l’opera di Saccheri sia stata conosciuta dai suoi successori.

L’opera è esaminata in dettaglio in un lavoro di G. S. Klugel e tale lavoro era presente nella

biblioteca di Gottinga. Pare inverosimile che Gauss, insegnando a Gottinga e avendo anch’egli

lavorato sul V postulato, non conoscesse tale opera e questo discorso vale anche per gli altri

matematici che si riallacciano a Gauss, ma di fatto nessuno nomina Saccheri. Soltanto nella seconda

metà dell’Ottocento Eugenio Beltrami, matematico italiano, riuscì a fare assegnare all’opera di

padre Girolamo il posto di rilievo che le spetta nella storia della matematica.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

La "marcia di avvicinamento" alle geometrie non Euclidee

Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX i tentativi di dimostrazione del V postulato

sembravano avvicinarsi sempre più allo scopo. Ricordiamo le significative opere di Johann Enrich

Lambert matematico svizzero (1728 - 1777) e soprattutto di Adrien Marie Legendre (1752-1833)

matematico francese che ebbe il merito di stimolare l’interesse per i problemi concernenti il V

postulato, soprattutto per la sua importante posizione accademica e per la semplicità con cui, nei

suoi più volte pubblicati "Elements de geometrie" tratta l’argomento. Ma si frapponeva sempre

qualche ostacolo e il risultato non era la dimostrazione del V postulato, ma la determinazione di una

proposizione ad esso equivalente. E così, dopo numerosi tentativi falliti cominciò a delinearsi l’idea

che:

il V postulato non fosse deducibile dagli altri postulati.

Questo ha significato un ribaltamento di prospettiva nell’affrontare il problema, poiché la

questione dell’indimostrabilità di una proposizione è tutt’altro che semplice; e il problema era (per

il tempo) di natura sostanzialmente nuova, occorrevano nuove tecniche e strumenti e l’utilizzo di

considerazioni di logica-matematica. Inoltre, oltre alle questioni di carattere puramente

tecnico/matematico, nella fase iniziale si dovettero superare difficoltà di natura sia psicologica che

culturale perché le nuove geometrie venissero prese seriamente in considerazione. Per un verso la

geometria Euclidea in secoli di predominio, aveva condizionato psicologicamente i suoi fruitori (i

matematici) abituandoli a considerarla l’unica vera; a questo va aggiunto il fatto che se il V

postulato poteva ritenersi poco intuitivo, la sua negazione lo era ancor meno. Nel 1781, poi, era

stata pubblicata la "Critica della ragion pura" del potente e stimato Immanuel Kant; in tale opera

viene esposta la famosa dottrina dello spazio e del tempo, la quale riconosce allo spazio il carattere

di "intuizione pura" a priori e connaturata con la mente umana; quindi lo spazio non può essere

concepito arbitrariamente. La direzione verso la quale stavano procedendo le ricerche sul V

postulato, cozzava così con il sistema di interpretazione del mondo da parte delle autorità

intellettuali dominanti.

A tal proposito non si può non citare il "Princeps mathematicorum" Karl Friedrich Gauss (1777-

1855), il primo grande matematico a riconoscere la possibilità di nuove geometrie. La sua

attenzione era particolarmente attratta da una delle più note e significative conseguenze del V

postulato: la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale ad un angolo piatto. Egli riteneva

che la conoscenza dello spazio fisico circostante fosse così limitata da non consentire di poter

affermare con assoluta certezza che, preso in tale spazio un qualsiasi triangolo, con lati di qualsiasi

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

dimensione, la somma delle ampiezze dei suoi angoli interni fosse sempre uguale ad un angolo

piatto. E a questo punto Gauss progettò, e forse anche realizzò, un esperimento fisico: partendo

dalla considerazione che un raggio di luce può essere considerato, nel senso della Fisica, come una

rappresentazione della retta, pensò di costruire un enorme "triangolo di luce" avente i vertici sulle

cime di tre montagne e i lati sui tre raggi di luce che congiungevano tali vette. Lo scopo di Gauss

era quello di misurare, anche in quel caso, la somma degli angoli interni di quel particolare e

particolarmente "grande" triangolo, per vedere se tale misura era ancora uguale ad un angolo piatto;

purtroppo però gli errori di misurazione gli impedirono di giungere a risultati significativi. Tutto ciò

non gli impedì, tuttavia, di continuare le sue ricerche e questo lo si evince dalla sua nutrita

corrispondenza con altri matematici, ma non pubblicò alcunché su questo argomento. In una lettera

inviata a Bessel il 27 gennaio 1829 egli scrive."…temo le strida dei beoti, qualora volessi

completamente esprimere le mie vedute…".

La nascita delle geometrie non Euclidee: Lobacewskij, Bolyai, Riemann

Le prime esposizioni pubbliche di geometrie non Euclidee sono dovute ai matematici

Lobacewskij (Russia) e Bolyai (Ungheria) attorno al 1830; ci troviamo di fronte ad uno

stupefacente caso di scoperta simultanea, si veda in merito la lettera che il padre di Bolyai invia a

suo figlio e la simpatica interpretazione naturalistica che ne da.

Nicolaj Ivanovic Lobacewskij (1793-1856), figlio di un modesto funzionario governativo,

rimase orfano a sette anni. Nonostante le difficoltà finanziarie della famiglia fu mandato a studiare

all’Università di Kazan, dove venne in contatto con ottimi professori provenienti dalla Germania,

tra cui J.M. Bartels (1769-1836), che era stato maestro anche di Gauss. Ventunenne, Lobacewskji

era già membro del corpo insegnante e nel 1827 fu nominato Rettore dell’Università di Kazan dove,

per tutto il resto della sua vita svolse attività didattica e amministrativa. Negli anni tra il 1826 ed il

1829 Lobacewskji si era pienamente convinto che il V postulato non potesse essere dedotto sulla

base degli altri quattro. Nel 1829-30 pubblicò sul "Messaggero di Kazan" un lavoro nel quale viene

esposta la nuova geometria, da lui chiamata "Geometria immaginaria", sviluppata sino alla

trigonometria ed al calcolo di aree e volumi. Con tale articolo egli era il primo matematico a fare il

passo rivoluzionario consistente nel pubblicare una nuova geometria (con termine moderno

denominata iperbolica) costruita specificatamente su un’ipotesi che era in diretta contraddizione con

il V postulato, la negazione dell’unicità della parallela. In dettaglio: per un punto C che giace al di

fuori della retta r si può tracciare nello stesso piano più di una parallela ad r. Da questo postulato

deduceva una armoniosa struttura geometrica che non presentava nessuna contraddizione logica

interna. Essa era sotto ogni punto di vista una geometria accettabile, ma appariva allo stesso

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Lobacewskji così contrastante con il senso comune che egli la chiamò "geometria immaginaria " e

in seguito "Pangeometria". Ai primi scritti del 1829-30 ne seguirono altri nel 1835, ed infine nel

1856 compare "Pangeometria" che contiene un esposizione completa della nuova geometria. Gauss

lesse gli scritti del 1835, ed elogiò i contributi che l’opera di Lobacevskji aveva portato alla

geometria, raccomandando la sua elezione a membro della Società scientifica di Gottinga nel 1842.

Morì nel 1856 ed è ricordato dai posteri come il Copernico della geometria.

L’amico ungherese di Gauss, W. F. Bolyai, aveva dedicato gran parte della sua vita ai tentativi

di dimostrare il postulato delle parallele. Quando venne a sapere che il proprio figlio, Janos Bolyai

(1802-1860), si era immerso nello studio del problema delle parallele, il padre insegnante di

matematica in una città di provincia, scrisse al figlio brillante ufficiale dell’esercito: "…per amor

del cielo, ti imploro di desistere dal tentativo. Il problema delle parallele è una cosa da temere ed

evitare non meno delle passioni dei sensi, poiché anch’esso può rubarti tutto il tuo tempo e privarti

della salute, della serenità di spirito e della felicità". Janos, lungi dal desistere proseguì nelle sue

ricerche, sviluppò quella che egli chiamò "scienza assoluta dello spazio" partendo dall’ipotesi che

per un punto esterno ad una retta si possano tracciare nello stesso piano infinite parallele alla retta

data, sempre più convinto della significatività dei risultati ottenuti li comunicò al padre. È

interessante riportare uno stralcio della risposta di quest’ultimo: "…se la cosa è perfettamente

riuscita, è conveniente affrettarsi a renderla di pubblica ragione per due motivi: primo perché le

idee passano facilmente da uno all’altro, che in seguito le può pubblicare prima; in secondo luogo,

perché c’è anche qualche verità in questo fatto, che parecchie cose hanno un epoca, nella quale

esse sono trovate nello stesso tempo in più luoghi, precisamente come in primavera le violette da

ogni parte vengono alla luce...” Il padre pubblicò i risultati di Janos, in forma di appendice ad un

proprio trattato dal lungo titolo:"Tentamen juventutem….". È fondamentale osservare che benché

questo trattato rechi una licenza di stampa datata 1829, ossia l’anno stesso in cui Lobacewskji

pubblicò il suo saggio sulla Gazzetta di Kazan, l’opera fu in realtà pubblicata solo nel 1832. Il padre

di Janos chiese un parere sull’opera anche al grande Gauss, che approvò sinceramente, dopo aver

sottolineato di avere avuto le stesse idee anni prima. Gauss però, non si espresse mai

pubblicamente. Janos ci rimase male e temette soprattutto di perdere il diritto della priorità, inoltre

lo scarso merito dato al suo lavoro, e la pubblicazione dell’opera di Lobacewskji in tedesco nel

1840, misero Bolyai in uno stato di prostrazione dal quale non si riebbe più, smise definitivamente

di occuparsi dell’argomento e perse via via il suo equilibrio mentale. La parte maggiore del merito

di avere gettato le basi della geometria non-Euclidea spetta quindi a Lobacewskji.

In seguito altri grandi matematici diedero contributi fondamentali alla costruzione di sistemi

geometrici alternativi a quello euclideo. È gia stato osservato che l’unica negazione del V postulato

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

coerente con il resto del sistema euclideo è relativa all’unicità della parallela; infatti era nota la

contraddittorietà dell’ipotesi dell’ottuso, cioè l’ipotesi che nega l’esistenza della parallela. Restava

comunque in sospeso la possibilità (modificando qualcos’altro oltre al V postulato) di costruire

geometrie (non-euclidee) in cui si negasse l’esistenza della parallela; o addirittura sistemi

geometrici ancora più generali.

Un importante contributo alla chiarificazione e soluzione di questi temi venne dato da G.F.B.

Riemann (1826 - 1866). Figlio di un pastore protestante, Riemann fu allevato in condizioni molto

modeste, conservando per tutta la vita un corpo fragile e maniere timide. Riemann studiò a Berlino.

Nel 1854 divenne privatdozent a Gottinga, come consuetudine venne invitato a pronunciare un

Habilitationschirft davanti alla facoltà. Il risultato fu la più famosa dissertazione di abilitazione della

storia della matematica. Essa infatti presentava un’ampia e profonda rivisitazione dell’intera

geometria. La dissertazione dal titolo "Ueber die Hypothesen welche der geometrie zu Grundle

liegen" (Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria) riuscì ad entusiasmare persino il grande

Gauss che espresse, forse per la prima ed ultima volta nella sua carriera, la propria ammirazione per

l’opera di un altro matematico. Le geometrie di Riemann sono non-euclidee in un senso molto più

generale di quelle di Lobacevskji e Bolyai. Secondo la concezione di Riemann la geometria non

dovrebbe neppure necessariamente trattare di rette e punti nel senso ordinario, ma di insiemi di n-

ple di coordinate nei quali riveste un ruolo fondamentale il concetto di distanza (metrica).

L’assiomatizzazione moderna della geometria

Da quanto accennato precedentemente, è facile intuire che dopo le prime apparizioni di

geometrie non euclidee, sono stati individuati vari sistemi geometrici coerenti e, col successivo e

crescente sviluppo del metodo assiomatico, questi hanno assunto, come tutti i sistemi matematici in

generale, un aspetto sempre più chiaramente ipotetico-deduttivo, perdendo il loro tradizionale

riferimento ad oggetti geometrici esterni. Questo è il punto di vista che potremo denominare

dell’assiomatica moderna, che si caratterizza per il fatto di considerare le teorie matematiche come

sistemi ipotetico-deduttivi, in cui, ammessi certi enunciati iniziali, si ricavano le loro conseguenze

logiche senza preoccuparsi di sapere se essi sono veri o falsi. Ciò porta a vanificare il problema

dell’esistenza degli enti matematici come oggetti a cui gli assiomi delle teorie intendono riferirsi.

Anche se, necessariamente, gli assiomi contengono termini primitivi dal "sapore" intuitivo-

geometrico come "punto", "piano", "stare tra", etc. Il significato di questi termini non è più

referenziale (cioè non deriva dal fatto che essi denotino degli oggetti), ma deriva soltanto da

relazioni e proprietà esplicitate negli assiomi. Fu David Hilbert (Germania 1862-1943), nel suo

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

volume "Grundlagen der Geometrie" (1899 - Fondamenti della geometria), il primo matematico a

dare alla geometria un assetto puramente formale e assiomatico. Pare significativo citare le parole

con cui Hilbert apre il primo capitolo dei suoi Grundlagen:

"Consideriamo tre diversi sistemi di oggetti: chiamiamo punti gli oggetti del primo sistema e li

indichiamo con A,B,C,…; chiamiamo rette gli oggetti del secondo sistema e li indichiamo con

a,b,c,…; chiamiamo piani gli oggetti del terzo sistema e li indichiamo con α, β, γ, …” e poi: "

Consideriamo punti, rette, piani in certe relazioni reciproche e indichiamo queste relazioni con

parole come "giacere", "fra", "congruente"; la descrizione esatta e completa di queste relazioni

segue dagli assiomi. "

Hilbert formula per la sua geometria un insieme di ventuno assunzioni, noti come assiomi di

Hilbert. Di questi, otto riguardano la relazione di incidenza e comprendono il primo postulato di

Euclide; quattro concernono proprietà di ordinamento; cinque vertono sulla congruenza; tre

riguardano la relazione di continuità (assunzioni tacitamente presenti in Euclide, ma non

esplicitamente dichiarate); infine un assioma è relativo alle parallele. Dopo avere definito parallele

due rette complanari che non si incontrano, Hilbert assume l’unicità della parallela ad una retta

condotta per un punto esterno ad essa (essendo l’esistenza dimostrabile con procedimento analogo a

quello di Euclide).

Sull’esempio dell’opera pionieristica di Hilbert altri matematici hanno proposto sistemi di

assiomi alternativi o sostitutivi, di conseguenza il carattere puramente formale e assiomatico delle

geometrie, come per le altre branche della matematica, è risultato definitivamente acquisito. E’

sensato porsi il problema, di che cosa sia oggi effettivamente la geometria, poiché di fronte a

geometrie costruite prevalentemente con enti formali e astratti, riesce piuttosto arduo intravedere in

esse una qualunque struttura geometrica nel senso intuitivo del termine. Si può, nonostante le

generalizzazioni subite dal sapere geometrico, recuperarne un’unità intrinseca che permetta di

caratterizzare cosa è "geometria" all’interno delle discipline matematiche? Un ordine di idee che

permette di rispondere a questa domanda è stato formulato da Felix Klein. Nel 1872, quando

divenne professore ad Erlangen, Klein, in un celebre discorso inaugurale, delineò il mezzo

conveniente per caratterizzare le varie geometrie che stavano nascendo. Nel suo discorso che

divenne famoso come "Programma di Erlangen" Klein descrive la geometria come lo studio delle

proprietà delle figure aventi carattere invariante rispetto ad un particolare gruppo di

trasformazioni. La classificazione dei gruppi di trasformazioni diventava quindi la chiave per la

caratterizzazione delle varie geometrie.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Modelli per la geometria di Lobacewskij

Lobacewskij scrive nella introduzione ai "Nuovi principi della geometria":

"I vani sforzi compiuti dai tempi di Euclide, per il corso di duemila anni, mi spinsero a sospettare

che nei concetti stessi della geometria non si racchiuda ancora quella verità che si voleva

dimostrare, e che può essere controllata, in modo simile alle altre leggi della fisica, soltanto da

esperienze, quali, ad esempio, le osservazioni astronomiche."

Egli concepisce l’idea che lo spazio fisico reale possa avere alcune caratteristiche diverse da

quello euclideo e, in seguito a ciò, ritiene che la geometria debba essere fondata non più su enti

ideali (punto, retta, piano), bensì su oggetti geometrici più tangibili e più vicini alla nostra

esperienza sensoriale (per esempio i corpi solidi). Questa fisicità porta a considerare vere solo le

affermazioni che possono essere verificate sperimentalmente. In questa ottica Lobacewskij nega,

nel V Postulato di Euclide, l’unicità della retta parallela ad una retta data, con le seguenti

considerazioni:

Preso un foglio su cui disegnare, dalle dimensioni qualsiasi, se r è una retta e P un punto esterno

ad essa, si conduca per P la perpendicolare PH alla retta r e, sempre per P, una retta a che forma

con PH un angolo che differisce da un angolo retto per "pochissimo". La retta a non incontrerà la

retta r sul foglio di lavoro e potrebbe non incontrarla ad una distanza "ragionevolmente vicina";

potrebbe incontrarla invece ad una distanza al di fuori della nostra percezione, o, proprio per

questo, non incontrarla affatto.

Se accettiamo questa ipotesi, per P passano delle rette (secanti) che incontrano la retta r e rette

(non secanti) che non la incontrano; le retta a e a’ che separano in ciascun semipiano le rette

secanti dalle non secanti vengono chiamate rette per il punto P e parallele alla retta r.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Lobacewskij allora ritiene validi i primi quattro postulati di Euclide e sostituisce il quinto con il

seguente:

per un punto passano due rette parallele ad una retta data

L’accettazione dell’assioma delle due parallele comporta notevoli conseguenze, fra le quali:

• nessun quadrilatero è un rettangolo

• non esistono triangoli simili, ad eccezione di quando essi sono anche congruenti

• per un triangolo qualsiasi la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre minore di

un angolo piatto

Ci sono alcuni validi modelli che descrivono la geometria di Lobacewskij: i modelli di Klein, di

Poincaré e di Beltrami. Iniziamo da quello di Klein: esso è costruito pensando

• ai punti come i punti interni ad una conica (per esempio una circonferenza)

• alle rette come le congiungenti due punti interni alla conica

• al piano formato dai punti interni alla conica

Si può facilmente verificare che sono rispettati in questo modello sia gli assiomi di incidenza,

sia quelli di ordinamento, sia quelli di continuità.È invece meno semplice verificare gli assiomi

della congruenza, perchè per parlare di congruenza è indispensabile parlare di distanza tra punti e

tutto è complicato dal fatto di non poter parlare di segmenti la cui lunghezza supera quella del

diametro della circonferenza che abbiamo preso in esame. In tale modello non è verificato l’assioma

delle parallele: si consideri, infatti la "retta" AB e il punto C esterno ad essa; si può verificare

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

immediatamente che vi sono infinite "rette" che non intersecano la retta data e tali "rette" sono

separate da quelle che invece incontrano la "retta" AB da due particolari "rette" che vengono

definite parallele ad AB passanti per C.

In altro modello della Geometria di Lobacewskij è quello di Poincaré. Il modello di Poincaré è

costruito pensando:

• i punti come i punti interni ad una circonferenza C

• le rette sono gli archi di circonferenza perpendicolari nei loro estremi alla circonferenza C

(nei punti di intersezione le tangenti alle due circonferenze, la C e quella cui appartiene

l’arco, hanno tangenti fra loro perpendicolari)

• il piano formato dai punti interni alla circonferenza

Come si può osservare in questa situazione le proprietà delle "nuove rette" differiscono da quelle

della geometria euclidea e in particolare non vale più il postulato delle parallele. Questi nuovi enti si

comportano esattamente come quelli del modello di Klein, ma con questa sottile distinzione: nel

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

modello di Klein le rette non sono le rette euclidee, nel modello di Poincaré le rette non sono le rette

euclidee, ma sono archi di circonferenza euclidei e quindi, sotto questo aspetto, in questo modello si

può applicare la geometria euclidea2.

Il terzo modello è quello di Beltrami, che risulta essere particolarmente importante perchè è stato il

primo modello proposto per le geometrie non euclidee ed ha avuto il pregio di convincere gli

studiosi della validità di tali studi. La curva fondamentale è la trattrice, definita come il luogo dei

punti del piano tali che i segmenti di tangente compresi tra essa e una retta hanno lunghezza

costante; tale retta risulta essere asintoto per la curva.

Si consideri adesso la superficie ottenuta ruotando la curva così costruita attorno al suo asintoto (si

ottiene la pseudosfera).

2 Occorre qui fare una breve considerazione: il matematico, nei suoi studi, è libero di utilizzare gli enti fondamentali e

un insieme qualsiasi di assiomi, purchè coerenti e compatibili al loro interno, ma il suo lavoro potrà essere utilizzato dal

fisico solo se il suo sistema complessivo ha un riscontro nelle situazioni fisiche in cui vengono a trovarsi degli oggetti

nel mondo reale (si ricordi l’esigenza, espressa dalle ricerche di Lobacewskij, di poter lavorare con concetti concreti). A

questo proposito si consideri la proposizione: "la luce si propaga in linea retta" e si pensi di considerare questa come la

definizione fisica di retta; su questa base poggia il modello di Poincarè: infatti si può dimostrare che se la velocità della

luce è in ogni punto interno alla circonferenza uguale alla distanza di quel punto dalla circonferenza i raggi di luce

prendono proprio la forma di quegli archi che nel modello vengono chiamati "rette".

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

I punti sono i punti che stanno sulla superficie della pseudosfera e per retta passante per due punti si

intende la geodetica, cioè la linea di minima distanza congiungente i due punti; si può ben osservare

che per un punto esterno ad una retta passano più rette che non la incontrano.

Il modello della geometria di Riemann

Nella geometria euclidea, così come in quella di Lobacewskij si implica, seppur tacitamente,

che la retta è infinita, ma con Riemann si apre una nuova via di intendere i concetti fondamentali.

Egli infatti fu il primo a introdurre una distinzione tra illimitatezza e infinità; tale distinzione gli

derivava dal considerare in geometria sia le proprietà di "estensione" sia le proprietà "metriche" e

affermava che l’illimitatezza dello spazio possiede una maggiore certezza empirica di ogni altra

esperienza esterna, ma che da questo non consegue necessariamente l’infinità, anzi basterebbe che

lo spazio avesse una curvatura costante positiva, seppur minima, ed esso sarebbe certamente finito.

Riemann abbandona quindi la tradizionale concezione euclidea dello spazio inteso soprattutto in

senso sintetico (strettamente geometrico) e lo integra con visione più analitica ( più rivolta verso il

calcolo). Nella teoria di Riemann è di fondamentale importanza il concetto di varietà n-

dimensionale, che porta ad una generalizzazione del piano e dello spazio cartesiano. Per meglio

spiegare la sua teoria Riemann utilizza come modello una superficie curva, da cui nasce l’esigenza

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

di introdurre un valore di curvatura dello spazio. Secondo tale valore si possono distinguere tre

varietà a curvatura costante3:

• varietà a curvatura negativa (geometria di Lobacewskij o iperbolica)

• varietà a curvatura nulla (geometria di Euclide)

• varietà a curvatura positiva (geometria di Riemann o ellittica)

L’ultimo caso è quello di cui si occupa Riemann ed è fondato essenzialmente sull’ipotesi che la

retta sia chiusa e finita. Il modello che Riemann propone è il seguente:

• Il piano è costituito da una superficie chiusa ( per comodità potremmo pensare ad una

superficie sferica)

• I punti sono i punti su di essa

• Le rette per due punti sono i cerchi massimi passanti per essi

É evidente che in questo modello non esistono rette parallele.

3 La curvatura è uno dei caratteri che contraddistinguono una curva. Si ha immediatamente l’intuizione che la curvatura

di una curva in ognuno dei suoi punti può essere più o meno accentuata; la curvatura si definisce mediante la

circonferenza che meglio approssima la curva e così è facile comprendere che a una curvatura forte corrisponde un

raggio "piccolo" e a una curvatura debole un raggio "grande". Quando il raggio diventa infinitamente grande la

curvatura tende ad annullarsi e la linea a diventare una retta (la retta viene quindi considerata una curva a curvatura

nulla )

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

In tale contesto Riemann definisce la linea di minima distanza tra due punti la geodetica, cioè l’arco

minore di circonferenza che passa per i due punti ed ha il centro nel centro della sfera. A volte, per

semplificare il modello si preferisce considerare una semisfera, per evitare il caso di punti

diametralmente opposti sulla sfera. Anche in un tale contesto, oltre a non avere rette parallele, si

può dimostrare che:

• la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre maggiore di una angolo piatto

• non esistono triangoli simili, salvo quando sono anche congruenti

• tutte le perpendicolari ad una "retta" passano per una medesima coppia di punti, che sono

diametralmente opposti.

Come si può ben capire dalla figura precedente non è più valida l’unicità della retta perpendicolare

ad una retta data e passante per un punto (la "retta" che passa per A e per B ha come perpendicolari

sia la retta AC che la retta BC, entrambe passanti per C). Inoltre, pensando di aumentare la

lunghezza dell’arco AB e mantenendo fisso il vertice C, si possono ottenere triangoli in cui la

somma degli angoli interni può arrivare fino a 540°.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

LA GEOMETRA SULLA SFERA

La somma degli angoli di un triangolo

Anche un ragazzino sa che la somma degli angoli di un triangolo, di qualsiasi triangolo, è di

180°. Perchè è così? Potremo fare delle verifiche sperimentali, ritagliando gli angoli di alcuni

triangoli: verificheremo, con una certa approssimazione, che una volta

"messi insieme" formano sempre un angolo piatto. Ma una proprietà

così importante meriterebbe una maggiore riflessione. Questa proprietà

euclidea dei triangoli, all'apparenza così innocua, nasconde infatti una

delle questioni più profonde della matematica. Una questione che ha

impegnato i matematici per due millenni. Allora, perchè la somma

degli angoli di un triangolo è di 180°? Per rispondere dobbiamo occuparci di alcune questioni

cruciali concernenti le rette parallele4.

Rette parallele. I postulati di Euclide

In figura 1 la retta r è fissa mentre la retta s può ruotare in senso antiorario attorno al punto P.

Indichiamo con Q il punto in cui r ed s si incontrano.

Man mano che s ruota si vede che il punto Q si allontana verso est sulla retta r (fig. 2).

4 Gauss era così poco convinto che la somma degli angoli di un triangolo fosse realmente di 180° che nel 1820, quando fu incaricato di eseguire rilevamenti cartografici dallo stato di Hannover, ebbe cura di eseguire delle misurazioni su grandi triangoli i cui vertici si trovavano sulle cime di montagne (visibili nonostante la curvatura della terra). Il più grande di questi triangoli aveva come vertici le cime dei monti Hohenhagen, Brocken e Inselberg, e il lato maggiore misurava 107 km. Progettò egli stesso un raffinato strumento ottico in grado di riflettere un raggio luminoso in una sola direzione. Ma gli esperimenti non mostrarono alcun apprezzabile scostamento dalla previsione euclidea: lo somma degli angoli risultò di 180°, nei limiti dell'accuratezza degli strumenti. Ma non è irrilevante che Gauss nutrisse questo dubbio; in realtà Gauss dubitava, come vedremo, del carattere euclideo dello spazio.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Il punto Q si muove con continuità su r: piccole rotazioni di s determinano piccoli spostamenti di Q

(e viceversa). Q assume via via tutte le posizioni possibili su r, "passa" per tutti i punti di r. Il

punto Q dunque si allontana sempre più sulla retta r. Si intuisce però che esiste una (e una sola)

situazione in cui sembra proprio che le due rette non si intersechino e quindi Q non esista. In questa

situazione le due rette si dicono parallele (fig. 3).

Continuando a ruotare s ci accorgiamo che il punto Q ricompare su r, questa volta però Q è a ovest.

Eccoci arrivati a un punto cruciale. Nella geometria euclidea si assume, assecondando l'intuizione,

che per un punto P non appartenente alla retta r passi una e una sola retta s parallela a r (tale cioè

che r e s non si incontrino). Tale assunzione non è altro che il quinto postulato di Euclide.

Qui di seguito sono elencati i postulati su cui Euclide (300 avanti Cristo) fondò, negli Elementi,

il castello della sua geometria:

(P1) Da ogni punto a ogni altro punto è possibile condurre una linea retta;

Euclide non postula esplicitamente che per due punti passi un'unica retta, ma assume

tacitamente che sia così.

(P2) Un segmento di linea retta può essere indefinitamente prolungato in linea retta;

(P3) Attorno ad un centro scelto a piacere è possibile tracciare una circonferenza con

raggio scelto a piacere;

(P4) Tutti gli angoli retti sono uguali;

Euclide ha già dato la definizione di angolo retto: se una retta r innalzata da un'altra

retta s forma con essa angoli adiacenti uguali fra loro, ciascuno dei due angoli è retto. Il

postulato P4 è necessario per garantire che gli angoli ottenuti con un'altra costruzione di

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questo tipo, relativa alle rette r' e s', sono uguali ai precedenti. Il postulato P4 dimostra

una notevole raffinatezza logica da parte di Euclide e afferma in sostanza che il piano è

uniforme (nel senso che la costruzione predetta fornisce sempre gli stessi angoli, in

qualsiasi parte del piano venga eseguita).

(P5) In un piano, per un punto fuori di una retta si può condurre una e una sola parallela

a una retta data (due rette si diranno, con Euclide, parallele, quando non si

incontrano).

In realtà Euclide formulò il quinto postulato in una forma diversa da quella qui riportata

ma ad essa del tutto equivalente.

Il quinto postulato

Per secoli i matematici hanno ritenuto che il quinto postulato dovesse essere una conseguenza

dei primi quattro e si sono adoperati, inutilmente, per dimostrarlo5. Bisogna aspettare la prima metà

del 1800 perchè la questione venga affrontata in modo radicalmente diverso da Lobacevskij (russo)

e Bolyai (ungherese); i due matematici si convinsero infatti, l'uno indipendentemente dall'altro, che

il quinto postulato non fosse una conseguenza dei precedenti e lo sostituirono con un'ipotesi

alternativa:

(P5') per un punto che giace al di fuori di una retta si possono tracciare più rette (almeno

due) che non incontrino la retta data.

Svilupparono così uno dei due possibili rami della geometria non euclidea: la geometria non

euclidea iperbolica. Lobacevskij pubblicò il suo lavoro nel 1829 e Bolyai nel 1832. Prima di loro,

tuttavia, anche il grande Gauss (1777-1855) era arrivato a conclusioni e risultati simili senza

tuttavia pubblicarli. Si osservi che il quinto postulato può essere negato anche in un altro modo: 5 Tanta ostinazione da parte degli studiosi di geometria nel cercare di dimostrare il postulato delle parallele - a cominciare da Proclo (IV secolo a.C.) fino a Saccheri (1667-1733) e Lambert (1728-1777) - non risiedeva nel fatto che essi dubitassero della sua verità (nessuno dubitava che la geometria euclidea fosse l'unica geometria possibile) ma nel carattere essenzialmente diverso che il quinto postulato aveva rispetto agli altri. I primi quattro postulati sembravano godere di una maggiore evidenza; nel quinto postulato entrava infatti in gioco una proprietà che non è verificabile in una regione finita di piano (dire che due rette sono parallele equivale a dire che non si incontrano per quanto possano essere prolungate). Per di più Euclide aveva introdotto molto tardi, negli Elementi, il quinto postulato dimostrando prima ben 28 teoremi; ciò faceva ritenere che lo stesso Euclide nutrisse qualche dubbio sul fatto che tale asserzione non potesse discendere dai primi quattro postulati. Questo enorme sforzo di studio e di ricerca, per quanto in alcuni casi si avvalesse di sottili argomentazioni logiche, non portò che a una serie di dimostrazioni sbagliate; nessuno, prima di Gauss, Lobacevskij e Bolyai, accettò l'idea che il problema così come era posto non poteva essere risolto (cioè nessuno accettò l'idea che il postulato delle parallele fosse logicamente indipendente dai primi quattro) e che quindi si fosse autorizzati, sul piano logico, a sostituire il quinto postulato con un'assunzione alternativa sviluppando così una nuova geometria.

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(P5") tutte le rette passanti per un punto che giace al di fuori di una retta data incontrano

tale retta (quindi due rette si intersecano sempre).

Si arriva così all'altro possibile ramo della geometria non euclidea: la geometria ellittica sviluppata

da Riemann (dissertazione presso l'università di Gottinga del 1854).

Mentre per la geometria ellittica fu lo stesso Riemann a fornire un modello6, il primo modello di

geometria iperbolica fu dato nel 1868 dal matematico italiano Eugenio Beltrami (1835-1900). Un

secondo importante modello per la geometria iperbolica è quello di Henri Poincaré (1854-1912)7.

6 Un modello di un sistema assiomatico è un insieme "concreto" di oggetti geometrici che verifichino gli assiomi del sistema. Un modello per la geometria ellittica è la geometria sulla sfera di cui ci occuperemo. In questo modello interpreteremo come piano la superficie della sfera, come punto un punto della superficie sferica e come retta una circonferenza massima. Lavoreremo a lungo su questo modello: il nostro principale obiettivo didattico è darne una giustificazione sul piano intuitivo (in particolare rendere "ragionevole" l'idea che le circonferenze massime, che a noi appaiono come linee curve, debbano invece considerasi nel modello come linee rette). 7 A proposito dello sviluppo della geometria non euclidea si è parlato, giustamente, di "rivoluzione copernicana" nel pensiero matematico; ecco cosa scrive Lucio Lombardo Radice: Ciò che colpisce in Lobacevskij (e in Bolyai, che poco dopo Lobacevskij raggiunse risultati equivalenti) è il fatto che, dal punto di vista matematico, la lettura delle loro opere non richiede conoscenze che vadano al di là di quelle "euclidee". E ciò che colpisce forse ancora di più è il fatto che alcuni dei principali teoremi della nuova "geometria generale" siano antecedenti alla sua fondazione: si trovino nell'opera, ad esempio, di Gerolamo Saccheri, "euclideo" convinto, un secolo prima che non nei Principi della geometria di Lobacevskij o nel Tentamen di Bolyai, che non nelle opere cioè dei fondatori della nuova geometria. Il paragone che viene alla mente (e che da altri è stato già fatto) è piuttosto quello con la rivoluzione copernicana. Nella rivoluzione non-euclidea come in quella copernicana il fatto nuovo non consiste tanto e soltanto nell'apporto di nuovo materiale, di nuove scoperte, quanto in un capovolgimento del "punto di vista".

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Rette parallele tagliate da una trasversale

Consideriamo due rette r, s parallele e una terza retta t che le tagli. Si intuisce che gli angoli

evidenziati in figura 1 (angoli corrispondenti) devono essere uguali: la retta t ha infatti la stessa

inclinazione rispetto alle rette r ed s che sono parallele.

Da questa osservazione e dall'uguaglianza di angoli opposti segue l'uguaglianza dei quattro angoli

acuti che si formano (fig. 2).

Analogamente si ragiona per i quattro angoli ottusi che sono tutti uguali.

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Quindi:

Due rette parallele tagliate da una trasversale formano 4 angoli acuti uguali e 4 angoli ottusi

uguali (oppure formano 8 angoli retti).

Ora attenzione: questa proprietà delle rette parallele, che come si è visto ha una sua evidenza

intuitiva, può essere dimostrata, sul piano logico, solo se si assume il quinto postulato di Euclide. E'

importante osservare che assumendo solo i primi quattro postulati di Euclide più le seguenti due

proposizioni (che Euclide utilizzò senza dichiararle esplicitamente tra i postulati)

(A1) Una linea retta divide il piano in due semipiani

(A2) Due punti distinti individuano un'unica retta

è possibile dimostrare che esistono nel piano rette parallele (cioè rette che non hanno alcun punto in

comune). In particolare si può dimostrare che per un punto P non appartenente a una retta r passa

una parallela a r. Non è tuttavia possibile dimostrare l'unicità di tale parallela (di qui la necessità del

quinto postulato). Non è neanche possibile dimostrare la sopra citata proprietà di rette parallele

tagliate da una trasversale8. L’immagine seguente illustra il significato dell'assioma A1: se i punti A

e B non sono nello stesso semipiano allora il segmento AB interseca necessariamente la retta r.

8 Come vedremo esistono due possibili geometrie ellittiche: quella singola e quella doppia. La geometria sulla sfera costituisce un modello di geometria ellittica doppia. Qui vedremo che è verificato l'assioma A1 ma non l'assioma A2. L'altra geometria ellittica, che pure studieremo, è quella del piano proiettivo (ed è una geometria ellittica singola). Qui è verificato l'assioma A2 ma non l'assioma A1. Il discrimine tra le due geometrie ellittiche è dunque dato dal verificarsi dell'assioma A1 oppure dell'assioma A2 (mentre deve essere chiaro che in una geometria ellittica, singola o doppia, non possono essere entrambi verificati perchè da essi e da un'opportuna modificazione dell'assioma P2 discende l'esistenza di rette parallele che è chiaramente incompatibile con l'assioma P5"). In geometria iperbolica sono invece verificati gli assiomi P1 - P4 e gli assiomi A1 e A2.

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Somma degli angoli di un triangolo

Si consideri un triangolo ABC di base BC. Tracciate la retta r parallela alla base e passante per

A. I due angoli rossi e i due angoli blu sono evidentemente uguali dato che i lati AB e AC tagliano

rette parallele. Ne segue che la somma dei tre angoli del triangolo è uguale a un angolo piatto.

Ci si è allora resi conto come l'invarianza della somma degli angoli interni di un triangolo discenda

da una proprietà delle rette parallele che si fonda sul quinto postulato di Euclide. Ma c'è di più: si

potrebbe dimostrare che tale proprietà angolare dei triangoli è perfettamente equivalente al quinto

postulato.

Punti all'infinito

Si è visto che la retta s ruotando attorno a P incontra via via tutti i punti di r. Il punto Q si

muove con continuità su r, si allontana sempre più a est e poi ricompare a ovest.

C'è una sola posizione di s, abbiamo detto, alla quale non corrisponde alcun punto Q su r. Ciò è in

accordo con la nostra intuizione di rette parallele (e ciò viene assunto col quinto postulato). Ma, a

una riflessione più attenta, ci accorgiamo che forse c'è qualcosa che può non convincere. Come è

strano il comportamento del punto Q! Si muove con continuità su r allontanandosi all'infinito verso

est e poi, bruscamente, ricompare "infinitamente" lontano a ovest riprendendo il suo movimento

continuo su r. Sarebbe bello immaginare che esista un punto all'infinito comune alle rette r ed s,

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chiamiamolo Q*, che consenta a Q di evitare questo "salto", questa discontinuità. Q* dovrebbe

trovarsi infinitamente lontano a est e, nello stesso tempo, infinitamente lontano a ovest.

Se così fosse cambierebbero molte cose: due rette si incontrerebbero sempre, non esisterebbero rette

parallele. Inoltre le rette si comporterebbero in realtà come delle curve (e per di più come delle

curve chiuse).

Tutte le rette tra loro parallele avrebbero in comune uno stesso punto all'infinito e rette con diversa

direzione individuerebbero diversi punti all'infinito. Dovremmo dire allora che il piano con i suoi

punti all'infinito è diventato "curvo" e "chiuso"?

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La geometria sulla sfera

Immaginiamo che il nostro ambiente geometrico non sia più il piano euclideo ma la superficie

di una sfera. Il piano e la superficie di una sfera sono entrambi

ambienti geometrici bidimensionali (diremo anche: spazi a due

dimensioni). Useremo due simboli: E2 per il piano euclideo, S2 per

la superficie di una sfera (il 2 che compare a destra delle lettere sta

a ricordarci che si tratta di ambienti che hanno dimensione 2). Il

concetto di dimensione di un oggetto geometrico ha un suo

fondamento intuitivo: un punto ha dimensione 0, tutte le linee

hanno dimensione 1, tutte le superfici hanno dimensione 2, tutte le

figure solide hanno dimensione 3. Se tuttavia si vuole approfondire

tale concetto si può ricorrere ai sistemi di coordinate. Sia nel caso di E2 che nel caso di S2 abbiamo

bisogno di due parametri continui (cioè di due coordinate) per individuare un punto P.

el caso di E2 si tratta delle normali coordinate cartesiane (ascissa e ordinata), nel caso di S2 si N

tratta delle coordinate geografiche (longitudine e latitudine, che sono misure angolari). E'

importante osservare che la corrispondenza tra punti e coordinate, oltre ad essere biunivoca, è, in

entrambi i casi, bicontinua: se variamo di poco la posizione di P, cambieranno di poco le sue

coordinate (e viceversa).

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Una sfera è naturalmente un oggetto tridimensionale che noi possiamo concepire solo se immerso

nello spazio tridimensionale; ma la superficie di una sfera è bidimensionale. Degli esseri

bidimensionali (pensate agli abitanti di Flatlandia9, portati però sulla superficie di una sfera)

potrebbero benissimo studiare la geometria di questo "mondo" bidimensionale. Inutile dire che un

essere bidimensionale percepirebbe la superficie della sfera, cioè il suo mondo, in modo ben diverso

da come lo percepiamo noi. Il punto di vista di un essere bidimensionale, nello studio della

geometria della sfera, lo chiameremo intrinseco. La cosa è tutt'altro che banale, un essere

bidimensionale non ha la minima idea di cosa sia lo spazio tridimensionale così come noi non

abbiamo la più pallida intuizione di cosa sia un spazio a quattro dimensioni. Chiameremo invece

estrinseco il nostro punto di vista tridimensionale che ci consente di contemplare la superficie di

una sfera immersa nello spazio. Gli enti geometrici su cui si basa la geometria nel piano euclideo

sono punti e rette; quali sono gli enti corrispondenti sulla superficie di una sfera? Ai punti del piano

corrispondono naturalmente i punti di S2. Ma cosa dobbiamo intendere per "linea retta" sulla

superficie di una sfera?

9 Il riferimento è al libro fantastico Flatland (1884) di E. A. Abbot. Flatlandia è un mondo planare abitato da creature bidimensionali: possiamo immaginarle come sottili monete sulla superficie di un tavolo o come macchie di inchiostro su un foglio di carta. Gli abitanti di Flatlandia sono in realtà della figure geometriche; ecco come il Quadrato, protagonista del racconto, presenta il suo mondo:

Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre figure geometriche, invece di restar ferme al loro posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potersene sollevare e senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma, consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un'idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compatrioti. Ahimè, ancora qualche anno fa avrei detto: "del mio universo", ma ora la mia mente si è aperta a una più alta visione delle cose.

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Circonferenze massime

È opportuno fare alcune osservazioni (estrinseche) sulla geometria della sfera10. Ogni piano che

tagli una sfera determina per sezione un cerchio11; i cerchi sezione hanno naturalmente raggi

diversi: si va da una situazione limite di raggio nullo (il cerchio sezione degenera in un punto, il

piano è tangente) alla situazione in cui il raggio è massimo ed è uguale al raggio della sfera. In

quest'ultimo caso il piano che sega la sfera passa per il centro della sfera: diremo che la sezione è un

cerchio massimo e sulla superficie sferica viene individuata una circonferenza massima.

10 Ricordiamo le definizioni di sfera e superficie sferica. Indichiamo con P un punto dello spazio e con r un numero reale positivo (raggio). Chiameremo sfera l'insieme dei punti dello spazio ordinario (euclideo) che hanno distanza minore o uguale a r da P; chiameremo superficie sferica l'insieme dei punti che hanno distanza uguale a r da P. La sfera è un oggetto tridimensionale mentre la superficie sferica è un oggetto bidimensionale costruito nello spazio tridimensionale. 11 Riempiendo gradualmente un recipiente sferico (di vetro o plastica trasparente) con del liquido colorato si possono visualizzare le sezioni di una sfera. Si capisce che comunque sia disposto il piano secante rispetto alla sfera otterremo sempre per sezione dei cerchi (a causa della simmetria della sfera).

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Dobbiamo ora esaminare due semplici ma importanti proprietà delle circonferenze massime. Ci

serve prima una definizione: due punti P, P' sulla superficie di una sfera

si dicono antipodali (o opposti) se sono allineati con il centro O della

sfera (anche questa è una definizione estrinseca). Ecco le due proprietà.

(1) Per ogni punto P sulla superficie di una sfera passano infinite

circonferenze massime.

(2) Sulla superficie di una sfera, per ogni coppia P, Q di punti

non antipodali passa una e una sola circonferenza massima.

Le due proprietà si dimostrano facilmente12. Per la prima osserveremo che per un punto P e il centro

O passano infiniti piani (possono ruotare liberamente attorno all'asse PO): ciascuno di essi,

passando per il centro O, stacca sulla superficie della sfera una circonferenza massima.

Per la seconda osserveremo che per tre punti non allineati P, Q ed O passa uno e un solo piano13

che, contenendo O, individua sulla superficie della sfera un'unica circonferenza massima (P, Q ed

O non sono allineati perchè, per ipotesi, P e Q non sono antipodali).

12 Le dimostrazioni che seguono si fondano sulle proprietà dell'ordinario spazio euclideo (ad esempio: per tre punti passa uno e un solo piano; se due piani hanno un punto in comune allora hanno una retta in comune). Non ci interessa qui di introdurre l'assiomatica (euclidea) per la geometria dello spazio ordinario. Si rifletta però sul fatto che la costruzione del nostro modello di geometria non euclidea (la geometria sulla sfera) e lo studio delle sue proprietà si basano sulla geometria euclidea dello spazio ordinario. Utilizziamo la geometria euclidea per costruire un modello non euclideo. 13 Per illustrare concretamente questa proprietà dei piani dello spazio euclideo possiamo ricorrere all'esempio di una porta: se è fissata per due punti - i due cardini - è libera di ruotare, se fissiamo un ulteriore punto - il punto di serratura - la porta rimane bloccata.

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Ora attenzione, siamo arrivati a un punto cruciale: la proprietà (2) delle circonferenze massime ci

fornisce un "indizio" molto forte su ciò che potrebbero essere, sulla superficie di una sfera, le linee

"rette". Ragioneremo per analogia. Nel piano euclideo una retta è individuata in modo univoco da

due punti ed è l'unica linea a godere di questa proprietà (ad esempio per individuare una

circonferenza ci vogliono tre punti).

Analogamente sulla superficie di una sfera una circonferenza massima è individuata in modo

univoco da due punti (purché non siano antipodali). Possiamo allora assumere che le linee "rette"

sulla superficie di una sfera siano le circonferenze massime? Cerchiamo conferme di questa ipotesi.

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I percorsi più brevi

Tutti sanno che il percorso più breve che collega due punti A e B nel piano euclideo è un

segmento di linea retta. Le rette sono dunque caratterizzate da una proprietà di "minimo":

(1) Comunque presi due punti A, B su una retta r, il segmento AB di r è il percorso più

breve tra A e B.

La proprietà (1) può essere efficacemente illustrata in questo modo. Se mettiamo in tensione un

elastico tra due chiodini, vediamo che l'elastico si dispone sul percorso minimo cioè su un segmento

di linea retta. Se proviamo a spostare l'elastico e poi lo lasciamo andare, ci accorgiamo che dopo

qualche oscillazione riassume lo stato di minima tensione.

Riflettiamo sulle seguenti condizioni di minimo:

energia potenziale elastica minima = tensione minima = lunghezza

minima dell'elastico (tenendo conto dei vincoli) = percorso più

breve tra A e B = disposizione su un segmento

Come spesso accade una questione energetica è strettamente legata a un fatto geometrico. Passiamo

ora a considerare la superficie di una sfera. La nostra ipotesi è che le circonferenze massime

abbiano lo stesso ruolo delle rette nel piano. Dovremmo allora verificare che esse ci forniscono il

percorso più breve tra due punti di S2. Procediamo sperimentalmente: prendiamo un pallone,

tracciamo su di esso una circonferenza massima e fissiamo un elastico (con del nastro adesivo) in

modo che sia in leggera tensione tra due punti A e B di tale circonferenza. Vedremo che l'elastico si

dispone esattamente su un arco della circonferenza massima; e se proveremo ad allontanarlo da tale

posizione, facendolo rimanere sulla superficie sferica, vedremo che, una volta lasciato libero, si

ridisporrà sulla circonferenza massima.

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Possiamo allora concludere che l'arco minore AB di circonferenza massima è il percorso più breve,

sulla superficie sferica, tra i punti A, B. Sono qui necessarie due osservazioni:

(a) Dobbiamo precisare che si tratta dell'arco minore, infatti i due punti A e B, che supponiamo

non essere antipodali, staccano sulla circonferenza massima due archi, uno maggiore e

l'altro minore: l'arco che a noi interessa è chiaramente l'arco minore.

(b) Se i punti A e B fossero antipodali avremmo infiniti percorsi minimi (tutte le

semicirconferenze massime per A e B); qui compare una differenza con le rette euclidee. Se

tuttavia ci limitiamo a considerare punti non antipodali il problema non si pone (il percorso

minimo è unico ed è l'arco minore dell'unica circonferenza massima per A e B).

Una volta determinato il percorso minimo tra due punti sulla superficie sferica abbiamo anche

introdotto una nozione intrinseca di distanza tra due punti: è la lunghezza dell'arco minore di

circonferenza massima che collega A con B (se i due punti fossero antipodali assumeremo come

loro distanza la lunghezza di una semicirconferenza massima).

I punti A e B della figura 5, ad esempio, hanno, sulla superficie della sfera, una distanza pari a un

quarto di circonferenza massima. Se assumiamo che la nostra sfera abbia raggio unitario allora ogni

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circonferenza massima ha lunghezza 2π e la distanza intrinseca di A da B è π/2. Nello spazio

ordinario misureremmo la distanza di A da B tenendo conto della terza dimensione e quindi la

distanza (estrinseca) di A da B sarebbe 2 . Per noi che vogliamo studiare la geometria su S2, cioè

la geometria intrinseca di S2, distanza significa naturalmente distanza intrinseca.

Ci siamo dunque resi conto che le circonferenze massime sono caratterizzate dalla seguente

proprietà:

(2) Comunque presi due punti non antipodali A, B su una circonferenza massima γ, l'arco

minore AB di γ è il percorso più breve tra A e B.

L'analogia tra le proposizioni (1) e (2) è molto forte. Le linee rette del piano euclideo sono

caratterizzate come "linee più brevi" così come lo sono le circonferenze massime di S2. L'unica

differenza, come si è detto, consiste nella non unicità del percorso minimo quando si considerano,

su S2, punti antipodali. Ma il caso dei punti antipodali può essere considerato come un caso

eccezionale; se considerassimo su S2 solamente punti "abbastanza vicini" il problema non si

porrebbe14.

14 Che i punti antipodali costituiscano una situazione eccezionale lo possiamo capire anche riflettendo sul fatto che la distanza tra due punti qualsiasi A e B di S2, assumendo una sfera unitaria, è sempre minore o uguale a π

Distanza(A, B) ≤ π La distanza è uguale a π solo se i punti sono antipodali. I punti antipodali sono i punti più lontani possibile.

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Il concetto unificante di linea geodetica

Consideriamo una qualsiasi superficie (la superficie di un cilindro, di una sfera, di un cono, di

un toro o anche un piano). Indichiamo con la lettera Σ tale superficie. Come potremmo definire su Σ

delle linee che equivalgano alle linee rette del piano euclideo? Ecco la definizione che ci serve:

(1) Diremo che una linea γ tracciata sulla superficie Σ è una linea geodetica se ogni arco

non troppo lungo di γ, i cui estremi siano i punti A e B, è il percorso più breve da A a B

tra tutti quelli tracciabili su Σ15.

Ci si rende subito conto che le linee geodetiche del piano euclideo sono le rette; ci si rende anche

conto che le circonferenze massime sono le geodetiche sulla superficie di una sfera (tenendo

presente che, sulla sfera, archi non troppo lunghi di geodetiche sono necessariamente archi minori).

In figura 1, ad esempio, vedete delle linee sulla superficie di una sfera: quelle blu non sono

geodetiche (sono circonferenze minori), quelle rosse sono geodetiche (sono circonferenze

massime). Vedremo tra non molto che comunque presi due punti A e B su una circonferenza

minore, l'arco (minore) AB non rappresenta mai il percorso minimo tra A e B.

15 Si suppone che sia definita la lunghezza di un arco di curva tracciato su Σ.

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La nozione di linea geodetica è piuttosto astratta ma proprio per questo unificante: enti geometrici

che siamo abituati a pensare come sostanzialmente diversi (ad esempio rette euclidee di E2 e

circonferenze massime di S2) diventano casi particolari di un concetto generale di "linea più breve".

Ed è proprio l'idea intuitiva di "linea più breve" o di "linea più dritta" che aiuta ad avvicinarci a

questo nuovo concetto. Naturalmente il nostro approccio alla nozione di linea geodetica è informale

e intuitivo; in particolare si noterà la mancanza di rigore nella locuzione "non troppo lungo" riferita

ad un arco di curva. La branca della matematica che si occupa della geometria delle superfici curve

(e quindi dello studio delle linee geodetiche) è la geometria differenziale ed è uno dei rami più

tecnici e più difficili della matematica moderna. I primi ad occuparsi di geometria differenziale

sono stati i grandi matematici tedeschi Gauss e Riemann (allievo di Gauss). Il primo trattato di

geometria differenziale (Disquisitiones circa superficies curvas), di Gauss, è del 1827.

Geodetiche su una superficie cilindrica

Per il momento l'unica superficie curva di cui abbiamo individuato le geodetiche è la superficie

sferica (tale superficie, come si intuisce, è la più facile da studiare ed è quella che più ci interessa).

E' opportuno però, per chiarire la nozione di linea geodetica, affrontare qualche altra situazione: ora

studieremo le geodetiche sulla superficie di un cilindro. Procediamo in questo modo: tracciamo su

un foglio trasparente (un lucido) alcune rette, con inclinazione diversa e di colore diverso, come

vedete in figura 1. Arrotoliamo poi il lucido come indicato in figura (il foglio deve sovrapporsi a se

stesso più volte).

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Otterremo, come è chiaro, un cilindro (senza basi). Le linee rette sulla superficie piana del lucido si

sono trasformate in linee curve sulla superficie di un cilindro: le abbiamo riportate in figura 2 (voi

però le vedrete tutte sullo stesso cilindro e potrete distinguerle grazie ai loro colori).

Tutte le linee ottenute sono linee geodetiche: tenete infatti presente che si passa dal piano (foglio) al

cilindro (foglio arrotolato) operando una flessione senza dilatazione. Ciò significa che la distanza

tra due punti A e B presi su una retta del foglio rimane invariata quando la retta si arrotola sul

cilindro. Si intuisce quindi che le geodetiche sul foglio si trasformano in geodetiche sul cilindro.

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Se questo discorso non vi convince fate una verifica diretta sul cilindro col metodo dell'elastico,

considerando archi non troppo lunghi su ciascuna geodetica.

Tornate alla figura 2: le linee r2, r3, r4 si chiamano eliche circolari, r1 è una retta (generatrice del

cilindro) e r5 è una circonferenza che si trova su un piano perpendicolare all'asse del cilindro.

Osserverete che le eliche r2, r3, r4 hanno passo diverso (il passo di un'elica circolare è la distanza

costante tra due "spire" successive, ad esempio r2 ha un passo maggiore di r3).

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Naturalmente sulla superficie del cilindro esistono infinite eliche di passo diverso. Possiamo

considerare anche le linee r1 e r5 come particolari eliche circolari (la prima di passo infinito, la

seconda di passo zero). Si potrebbe dimostrare che tutte le geodetiche della superficie cilindrica

sono eliche circolari (tenendo conto anche di quelle del tipo r1 e r5). Ora attenzione, riflettiamo

sulla figura 6. Come vedete per i punti A e B passano due archi di linee geodetiche: un arco

rettilineo e un arco di elica (quest'ultimo parte da A, passa dietro al cilindro e raggiunge B).

E' chiaro però che il percorso minimo è l'arco geodetico rettilineo (su questo si disporrebbe

l'elastico). La cosa da capire è allora questa: i due punti A e B staccano un arco che possiamo

considerare non troppo lungo sulla geodetica rettilinea ma non sull'elica. Si può inoltre osservare

che per A e B passano infinite geodetiche (basta considerare eliche da A a B con passo via via

decrescente) ma per nessuna di esse, eccetto la geodetica rettilinea, l'arco AB può considerarsi non

troppo lungo (anzi via via che il passo decresce l'arco AB diventa sempre più lungo). Osserviamo

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infine che tutte le eliche finora considerate sono eliche destre; se avessimo arrotolato il lucido

nell'altro modo possibile (vedi figura 8) avremmo ottenuto delle eliche sinistre.

In figura 9 sono rappresentate un'elica destra e un'elica sinistra; potete distinguerle in questo modo:

ruotando in senso antiorario nell'elica destra si sale, in quella sinistra si scende.

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Geodetiche sul cubo

E' chiaro che su ogni faccia di un cubo gli archi geodetici sono segmenti; l'unica cosa da capire

è come una linea geodetica "attraversi" uno spigolo. Osservate il cubo in figura 1: un elastico è stato

teso tra i punti A e B che si trovano su facce consecutive.

Ci rendiamo conto di una semplice regola che caratterizza le geodetiche sul cubo:

gli angoli α e β che l'elastico forma con lo spigolo sono uguali. Del resto se

rappresentassimo le due facce in questione nel piano (fig. 2) ci renderemmo conto

che gli angoli α e β sono angoli opposti al vertice. In figura 3 vedete due linee

geodetiche r e s. Per un essere bidimensionale che si muovesse sul cubo

sarebbero percorsi intrinsecamente "rettilinei".

In figura 4 vedete il cubo sviluppato nel piano: le linee r e s sono segmenti i cui estremi saranno

identificati quando il cubo verrà assemblato nello spazio.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Le due geodetiche r e s appaiono, dal nostro punto di vista tridimensionale, rispettivamente come

un quadrato e come un esagono regolare (possiamo ottenerle segando la superficie del cubo con due

piani opportuni); ma dal punto di vista intrinseco di un essere bidimensionale sarebbero dei

monogoni, cioè dei poligoni con un solo lato16. Osservate ora il percorso rosso sul cubo in figura 5:

non è una geodetica ma un triangolo t (intrinseco) ottenuto collegando tre archi geodetici. La figura

6 mostra che l'attraversamento di uno spigolo non avviene rispettando la regola degli angoli uguali.

D'altra parte la definizione di linea geodetica che abbiamo dato non può essere applicata al nostro

percorso triangolare t, infatti per quanto piccolo sia scelto il numero positivo ε, posso sempre

trovare due punti A e B tali che la lunghezza dell'arco AB di t sia minore di ε e tali che l'arco AB di

t non rappresenti il percorso più breve da A a B (figura 7).

16 Un essere bidimensionale non potrebbe rendersi conto in alcun modo dell'attraversamento di uno spigolo. I punti di uno spigolo sono dal suo punto di vista perfettamente equivalenti a quelli che per noi si trovano, ad esempio, nella parte centrale di una faccia. Noi percepiamo uno spigolo in quanto intersezione di due facce piane disposte, nello spazio tridimensionale, su piani diversi. Se non siete convinti, prendete un foglio di carta e operate una piegatura: si formerà uno spigolo. Ora schiacciate perfettamente il foglio sul piano: lo spigolo non è più individuabile.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Curvatura

State guidando su una strada in cui si alternano tratti rettilinei e tratti con curve. Vi trovate, in

questo momento, su un tratto rettilineo: non avete bisogno di sterzare, non avete bisogno di

modificare la traiettoria rettilinea dell'automobile. Diremo che in questo punto del percorso la

curvatura è zero. Ora state affrontando una curva "larga": dovete agire sullo sterzo, dovete

modificare la traiettoria rettilinea ma lo farete lievemente, con una piccola rotazione dello sterzo. In

questo punto il percorso ha una "piccola" curvatura. Ecco infine una curva "stretta": dovete agire

sullo sterzo molto rapidamente, ruotandolo più di prima (potremmo dire che ora vi allontanate dalla

traiettoria rettilinea, cioè dalla tangente al percorso, più rapidamente di quanto non abbiate fatto

nella curva precedente). In questo punto il percorso ha una "grande" curvatura.

Abbiamo dato un'idea intuitiva di cosa si intenda, nel piano euclideo, per curvatura di una linea in

un dato punto. Come possiamo dare significato matematico a questa nozione intuitiva? Cominciamo

a ragionare sulle linee piane più semplici che conosciamo. Per le rette c'è poco da dire: non c'è

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

curvatura in alcun punto, la curvatura è sempre nulla. Consideriamo invece delle circonferenze;

osserviamo in particolare l'animazione seguente in cui vediamo alcune circonferenze, di raggio

diverso, che hanno tutte in comune un punto P.

Cosa possiamo dire della curvatura in P? È facile capire che se aumenta il raggio delle nostre

circonferenze la curvatura diminuisce. È allora abbastanza naturale definire la curvatura per

ciascuna circonferenza come l'inverso del suo raggio r

curvatura = 1r

Osservate che questa definizione è indipendente dalla scelta del punto P: per una data circonferenza

la curvatura dipende solo dal raggio ed è uguale in tutti i punti. Questo non ci meraviglia data

l'assoluta simmetria delle circonferenze (ogni punto è, per i nostri fini, assolutamente equivalente

agli altri). Del resto se doveste guidare un'automobile su un percorso perfettamente circolare non

dovreste, una volta trovata la giusta rotazione dello sterzo, effettuare più alcuna correzione. Quindi:

le circonferenze sono linee piane a curvatura costante e la

loro curvatura è uguale all'inverso del raggio.

Si potrebbe dimostrare che le uniche linee piane a curvatura

costante sono le rette (curvatura zero) e le circonferenze

(curvatura 1/r). Vediamo rapidamente come si possa definire

la curvatura in un punto P per una generica linea curva γ che

si trovi nel piano. L'idea è questa: cerchiamo di

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approssimare, nelle vicinanze di P, la nostra linea con una circonferenza; se ci riusciamo il gioco è

fatto, diremo che la curvatura di γ in P è uguale alla curvatura di questa circonferenza. Ma come

determinare la circonferenza che meglio approssima γ in P? Consideriamo due punti A e B su γ

molto vicini al punto P. Sappiamo che per tre punti non allineati passa una e una sola circonferenza,

quindi per A, P e B passa una ben determinata circonferenza. Ora facciamo tendere verso P sia il

punto A che il punto B (facendoli muovere sempre sulla nostra curva γ): si intuisce che

individueremo una circonferenza limite. È questa la circonferenza che cerchiamo: prende il nome di

cerchio osculatore a γ in P. E' anche chiaro cosa si debba intendere per raggio di curvatura e centro

di curvatura per una curva γ in P: si tratta rispettivamente del raggio e del centro del cerchio

osculatore a γ in P. Naturalmente per una generica linea curva piana la curvatura varierà al variare

del punto P (al contrario di quanto accade per le circonferenze che hanno curvatura costante).

Osservando la figura seguente potete ad esempio rendervi conto come la curvatura nei due punti P e

P' di una parabola sia ben diversa. La curvatura nel vertice P, uguale a 1/r, è decisamente maggiore

della curvatura in P' (uguale a 1/r' ). In geometria differenziale si dimostra che la curvatura in P di

una parabola varia con continuità al variare con continuità di P sulla curva. Man mano che P si

allontana su ciascuno dei due rami della parabola la curvatura tende a zero.

Consideriamo ora nel piano due punti A e B e le circonferenze che passano per A e B (sono infinite,

hanno tutte il centro sull'asse del segmento AB).

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Si capisce che tanto maggiore è il raggio della circonferenza (quindi tanto minore è la curvatura),

tanto minore sarà la lunghezza dell'arco AB. Anzi ci rendiamo conto che facendo tendere il raggio

all'infinito (e quindi la curvatura a zero) l'arco AB tende al segmento AB.

Geodetiche e curvatura intrinseca

Abbandoniamo ora il piano euclideo E2 e torniamo a considerare la superficie di una sfera (lo

spazio S2)17. Immaginiamo degli esseri bidimensionali liberi di muoversi in S2: il loro spazio è la

superficie di una sfera. Per noi che contempliamo la sfera immersa nello spazio tridimensionale

questi esseri vivono sulla superficie S2 (punto di vista estrinseco); ma per loro non ha senso parlare

di "sopra", diranno di vivere in S2 (punto di vista intrinseco), così come noi diciamo di vivere nello

spazio tridimensionale. Immaginate ora che uno di questi esseri si muova lungo una circonferenza

massima: potete essere certi che dal suo punto vista (intrinseco) dirà di "andar dritto"; abbiamo

infatti visto come le circonferenze massime su una sfera siano l'equivalente delle rette nel piano

euclideo (geodetiche). Quindi:

da un punto di vista intrinseco le circonferenze massime non hanno curvatura.

Ciò può essere illustrato con un metodo suggestivo, di tipo meccanico, che ci consente di decidere

se stiamo andando dritto o se stiamo curvando. Consideriamo un carrellino a due ruote indipendenti,

come in figura 1.

17 Vi crea qualche problema il fatto di utilizzare il termine spazio per indicare anche il piano o la superficie di una sfera? Da una punto di vista matematico il termine spazio viene spesso usato al posto di ambiente geometrico. E un ambiente geometrico può avere una, due, tre dimensioni (o anche più di tre). Ad esempio, possiamo considerare una retta come uno spazio a 1 dimensione. La nozione matematica di spazio è molto più generale e astratta di quella del linguaggio comune.

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Se spingiamo il carrellino sul piano, lungo un percorso rettilineo, la ruota di sinistra percorrerà, in

ogni istante, la stessa distanza di quella di destra mentre ciò non accadrà su un tratto di curva (figura

2).

Analogamente se spingeremo il carrellino sulla superficie di una sfera, lungo una circonferenza

massima, le due ruote percorreranno la stessa distanza (stiamo andando "dritto") mentre ciò non

accadrà se spingeremo il carrellino lungo un parallelo che non sia un equatore. Osservando la figura

3 potete rendervi conto che nel caso del percorso superiore la ruota più a nord percorre una distanza

minore di quella più a sud. Nel secondo percorso invece le ruote si muovono su paralleli simmetrici

rispetto all'equatore.

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Circonferenze intrinseche

Sappiamo bene che una circonferenza è, nel piano euclideo, il luogo dei punti equidistanti da un

punto dato (il centro). Applichiamo la stessa definizione a S2, tenendo conto delle distanze

intrinseche da P. Nella figura seguente è rappresentata una circonferenza intrinseca di centro P e

raggio s.

Come vedete una circonferenza intrinseca è una circonferenza anche dal punto di vista estrinseco

(possiamo ottenere la stessa circonferenza tagliando la superficie sferica con un piano) ma da un

punto di vista estrinseco avrebbe centro e raggio diversi (nella figura seguente: centro P' e raggio

s').

Un essere bidimensionale traccerebbe in S2la sua circonferenza proprio come facciamo noi nel

piano: fisserebbe un filo nel punto P e poi si muoverebbe in modo da descrivere una curva chiusa

tenendo il filo sempre in tensione. Tutti i punti della curva avrebbero la stessa distanza (intrinseca)

da P uguale alla lunghezza del filo. Ci sono però alcune sostanziali differenze fra la geometria delle

circonferenze in E2 e in S2. Assumiamo una superficie sferica S2 di raggio unitario. Potete osservare

che all'aumentare del raggio (intrinseco) r, la lunghezza di una circonferenza in S2 prima aumenta

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fino ad arrivare al suo massimo 2π quando il raggio è uguale a π/2, poi comincia a diminuire fino ad

andare a zero quando il raggio è uguale a π. Al contrario l'area dei cerchi corrispondenti aumenta

sempre all'aumentare del raggio fino a raggiungere il suo massimo 4π quando il raggio è uguale a π

(in questo caso l'area del cerchio è uguale all'area di tutta la superficie sferica, cioè di tutto lo

"spazio" che ha area finita).

Ma la cosa più interessante da notare è questa: se consideriamo le infinite circonferenze intrinseche

di centro P e raggio r (vedi figura 3), tra queste c'è una e una sola circonferenza massima (quella di

raggio π/2). Questa circonferenza è però anche una geodetica, è cioè intrinsecamente retta.

Possiamo quindi concludere che in S2 le linee rette sono particolari circonferenze. Ciò non accade

nel piano euclideo dove rette e circonferenze sono enti geometrici ben distinti (a meno che non si

consideri una retta come una circonferenza di raggio infinito). Qui ci rendiamo conto dell'eleganza

della geometria su S2. Occupiamoci ora di un'altra questione di fondamentale importanza. In fig. 4

vedete una circonferenza. Il centro intrinseco è il punto A mentre il centro estrinseco è il punto A'

(che si trova sul piano secante); il raggio intrinseco è r, quello estrinseco è r'.

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Tenendo presente che abbiamo assunto una sfera di raggio unitario ci si rende conto che la misura

della raggio intrinseco r non è altro che la misura in radianti dell'angolo euclideo α che vedete in

figura (O è il centro della sfera). Ne segue che tra i due raggi intercorre la relazione

' sinr r=

e dunque la lunghezza c della circonferenza in funzione del suo raggio intrinseco è

2 sinc rπ=

Quindi il rapporto tra circonferenza e diametro (intrinseco) non è, nella geometria sulla sfera,

costante e vale

sin2c rr r

π=

La costante π non può dunque essere definita in modo intrinseco come rapporto tra circonferenza e

diametro. Si osservi tuttavia che per valori del raggio intrinseco r molto piccoli (prossimi a zero) si

ritrova la situazione euclidea

2cr

π=

infatti si ha

0

sinlimr

rr

π π→

=

E' inoltre facile dimostrare che l'area del cerchio in funzione del raggio intrinseco r è data dalla

formula

24 sin2rπ ⎛ ⎞

⎜ ⎟⎝ ⎠

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Geodetiche e curvatura estrinseca

Abbiamo detto che le circonferenze massime di S2, cioè le geodetiche, non hanno curvatura

intrinseca. Ma se assumiamo il punto di vista estrinseco, cosa si può dire? Consideriamo due punti

non antipodali A e B sulla superficie sferica e la retta AB che attraversa la sfera nello spazio

tridimensionale. Consideriamo il fascio di piani per A e B (li ottenete facendo ruotare il piano a

della figura seguente attorno all'asse AB). Ognuno di questi piani stacca sulla superficie sferica una

circonferenza per A e B. Tra queste circonferenze avremo una (e una sola) circonferenza massima

quando il piano a passa per il centro della sfera O.

Ora supponiamo di rappresentare tutte queste circonferenze in uno stesso piano, come in figura 2.

Si capisce che il percorso minimo tra A e B sarà l'arco di minor curvatura cioè l'arco della

circonferenza massima (come del resto ci aspettavamo). La circonferenza massima è quella di

raggio r, dove r è il raggio della sfera. Questa circonferenza che in S2 non ha curvatura (è una

geodetica, è una retta), ha invece curvatura 1/r quando viene rappresentata nel piano. Si tratta,

ripetiamolo, di curvatura estrinseca. Possiamo quindi concludere che: le geodetiche di S2 sono le

circonferenze che hanno curvatura (estrinseca) minima.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

La geometria di S2 è non euclidea

Abbiamo ormai preparato il terreno per esaminare gli elementi fondamentali della geometria

sulla sfera. I punti del nostro ambiente geometrico sono evidentemente i punti della superficie

sferica. Chiameremo inoltre:

a) retta ogni linea geodetica (cioè ogni circonferenza massima);

b) segmento ogni arco di geodetica.

E' anche facile intendersi su cosa siano gli angoli e su come misurali. Per comodità daremo una

definizione estrinseca di angolo: l'angolo formato da due segmenti con un estremo in comune è

l'angolo formato dai due piani che contengono le due circonferenze massime su cui giacciono i

segmenti. In figura 1, ad esempio, si vedono due segmenti AB e AC e le due circonferenze massime

s e s' su cui giacciono. Supponiamo che le due circonferenze massime dividano la superficie sferica

di centro O in 4 regioni uguali. E' chiaro allora che l'angolo formato dai due segmenti è retto: i due

piani ABO e ACO da considerare sono infatti perpendicolari (potete pensare di dividere un'arancia

in quattro spicchi uguali operando due tagli perpendicolari).

Riferendoci alla figura 1, diremo inoltre che le due rette s e s' sono perpendicolari. Esaminiamo ora

rapidamente le principali caratteristiche non euclidee della nostra geometria, assumendo d'ora in poi

un raggio unitario per la sfera.

(1) Per due punti del piano euclideo passa una e una sola retta; lo stesso accade per due punti

non antipodali di S2, ma per due punti antipodali passano infinite rette.

(2) Due rette euclidee hanno al più un punto in comune mentre due rette di S2 hanno sempre

due punti in comune; in figura 2 vedete due rette s, s' che si incontrano nei punti A e B (A e

B sono necessariamente antipodali).

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(3) Nel piano euclideo esistono rette parallele mentre non esistono rette parallele (cioè rette che

non si intersechino) in S2.

Osservate ad esempio la figura 3 che mostra due situazioni analoghe, l'una nel piano

euclideo e l'altra in S2. Si tratta di un fascio di rette perpendicolari alla retta s: nel piano

euclideo queste rette non si incontrano (sono tutte parallele), in S2 si incontrano tutte nei due

punti antipodali P e P'.

I due punti P e P' prendono il nome di poli di s e la retta s prende il nome di retta polare dei

punti P e P'. Si osservi che i due poli di s hanno la stessa distanza π/2 da ogni punto della

retta s. Questa proprietà dei poli appare meno strana se si pensa che la retta s può essere

considerata anche come circonferenza intrinseca di centro P (o di centro P') e raggio π/2.

(4) Nel piano euclideo esiste una e una sola retta passante per un dato punto P e perpendicolare

a una data retta s; in S2 ciò è vero se e solo se P non è un polo per s (vedi fig. 4).

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(5) Le rette euclidee sono infinitamente estese mentre le rette di S2 hanno tutte la stessa

lunghezza finita 2π.

(6) Il piano euclideo è infinitamente esteso mentre S2 ha area finita 4π.

(7) Di tre punti qualsiasi di una retta euclidea, uno e uno solo sta fra gli altri due; la stessa cosa

non si può dire per una retta di S2 trattandosi di una linea chiusa. Osservate la figura 5: nel

caso euclideo per andare da A a B passo necessariamente per C (quindi C sta fra A e B), nel

caso di S2 posso andare da A a B senza passare per C. Notate inoltre che due punti

individuano nel piano euclideo uno e un sol segmento mentre ne individuano due nel caso di

S2.

La geometria di S2 è una geometria ellittica

È stato detto che sostituendo al postulato P5 di Euclide il postulato P5" si ottiene una geometria

non euclidea ellittica. Riformuliamo l'assioma che caratterizza la geometria ellittica:

Assioma ellittico: due rette si intersecano sempre.

Ci siamo resi conto che la geometria di S2 è una geometria ellittica: per lo spazio S2 vale infatti

l'assioma ellittico. Potremo anche dire che S2 è un modello di geometria ellittica. E' importante

osservare che nella geometria su S2 non solo viene a cadere il quinto postulato ma cade anche

l'assunzione

(A2) Per due punti distinti passa un'unica retta

che Euclide utilizzò senza però un'esplicita dichiarazione. Inoltre deve essere modificato il postulato

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(P2) Un segmento di linea retta può essere indefinitamente prolungato in linea retta

da cui Euclide faceva discendere l'infinita lunghezza di una retta; ogni segmento di S2 può

effettivamente essere prolungato in una retta, ma le rette di S2 sono linee chiuse per cui un punto P

può muoversi indefinitamente su di esse ma è destinato a riassumere le stesse posizioni. Le rette

euclidee sono infinite mentre quelle ellittiche hanno lunghezza finita. Sono invece senz'altro

verificati nella geometria su S2 i postulati euclidei P1, P3, P4. Diremo infine che la geometria di S2 è

una geometria ellittica doppia poiché due rette si intersecano sempre in due punti; vedremo nel

seguito che esiste anche una geometria ellittica singola.

Triangoli sferici

In figura 1b vedete un triangolo sferico: i suoi tre lati sono naturalmente segmenti di S2, cioè

archi geodetici. Da un punto di vista intrinseco dovremmo parlare semplicemente di triangolo.

Cerchiamo di definire più precisamente un triangolo sferico. Nel piano euclideo tre punti non

allineati individuano uno e un sol triangolo: basta collegare coppie di punti con un segmento. Le

cose non sono così semplici su S2. In primo luogo due punti non antipodali possono essere collegati

con due diversi segmenti (un arco minore e un arco maggiore di circonferenza massima, vedi figura

1a). Stabiliamo allora di considerare solo archi minori. C’è poi da osservare che tre archi minori,

non disposti sulla stessa circonferenza massima e aventi a coppie un estremo in comune, delimitano

due regioni sulla sfera (come ogni altra linea chiusa). Chiamiamo allora triangolo sferico quella

regione, delle due, che ha area minore. In tal modo tre archi minori individuano un'unica regione

triangolare che ha sempre superficie minore di quella di una semisfera18. In figura 1b vedete

rispettivamente in giallo e in azzurro le due regioni delimitate da tre archi minori: il triangolo

sferico individuato dai tre archi è chiaramente quello azzurro.

18 La nostra definizione di triangolo sferico, che è quella oggi generalmente assunta, si discosta di poco dalla classica definizione di Eulero (Trigonometria sphaerica universa, Pietroburgo, 1779). I triangoli sferici euleriani contemplano anche il caso "degenere" in cui ciascuno dei tre lati possa essere uguale a una semicirconferenza massima (ma non maggiore di essa). Più generali sono invece le nozioni di triangolo sferico assunte da Lobacevskij (1835) e Möbius (1860).

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Ora osserviamo la figura 1b. Ogni lato del triangolo è lungo 1/4 di circonferenza massima cioè π/2 e

l'area del triangolo è pari a 1/8 dell'area di S2 cioè è uguale, ancora, a π/2 (non dimenticate che

abbiamo assunto una sfera di raggio unitario che ha area totale 4π). Ma la cosa più importante da

osservare è la somma degli angoli: nel nostro caso è di 270°. Viene dunque a cadere il teorema

euclideo sulla somma degli angoli di un triangolo. Ma c'è di più: mentre la somma degli angoli è

costante per i triangoli euclidei, per i triangoli sferici tale somma varia al variare del triangolo.

Come vedete A è un polo per la retta s e i segmenti AB e AP sono perpendicolari a s. I triangoli

APB che vengono a formarsi al variare di P su s hanno, tutti, due angoli retti mentre il terzo angolo,

quello in A, è variabile. È quindi variabile anche la somma degli angoli. Per tutti questi triangoli la

somma degli angoli è maggiore di 180° e si capisce che facendo tendere a zero l'angolo in A la

somma degli angoli tende a 180°. Non deve sorprenderci il fatto che per i triangoli sferici non valga

la proprietà euclidea della somma degli angoli di un triangolo. Come si è già detto, tale proprietà è

logicamente equivalente al quinto postulato di Euclide e, come sappiamo, nella geometria di S2 tale

postulato non vale mentre vale l'assioma ellittico.

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Due questioni tecniche

Nel seguito ci farà comodo misurare gli angoli in radianti (anziché in gradi) e dovremo calcolare

l'area di fusi sferici. Risolviamo rapidamente le due questioni.

a) Misura degli angoli in radianti

Consideriamo la circonferenza di raggio unitario in figura 1.

Ad ogni angolo al centro a corrisponde un arco di circonferenza t (vedi figura). Tra angoli e archi

c'è una relazione di proporzionalità diretta: se si raddoppia l'angolo si raddoppia anche l'arco, se si

triplica l'angolo si triplica anche l'arco, ecc. (e viceversa). Possiamo quindi assumere come misura

dell'angolo la misura dell'arco corrispondente. Parleremo in questo caso di misura dell'angolo in

radianti. Ad esempio ad un angolo di 90° corrisponde un arco di lunghezza π/2; quindi la misura in

radianti di un angolo di 90° è π /2. In generale possiamo scrivere la proporzione

: 360 : 2tα π=

dove α è la misura in gradi dell'angolo e t la lunghezza dell'arco corrispondente (quindi t è la misura

in radianti dell'angolo). Ne segue

180t π α=

Quest'ultima formula ci consente di passare dalla misura in gradi di un angolo a quella in radianti.

Viceversa possiamo passare dalla misura in radianti a quella in gradi con la formula

180 tαπ

=

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b) Area di un fuso sferico

Un fuso sferico è la regione della superficie sferica compresa tra due semicirconferenze massime

aventi il diametro AB in comune. In figura 2 è evidenziato un fuso sferico: s ed s' sono due

circonferenze massime e AB è un diametro della sfera. E' anche evidenziato l'angolo a del fuso.

Si capisce che l'area di un fuso è direttamente proporzionale all'angolo del fuso; si può quindi

scrivere la proporzione

2: 4 : 2A rα π π=

dove A è l'area del fuso, α è l'angolo del fuso espresso in radianti, 24 rπ è l'area di tutta la superficie

sferica e 2π è l'angolo giro espresso in radianti. Per una sfera di raggio unitario (r = 1) si ha

A = 2α

ove α è l'angolo del fuso espresso in radianti. È infine evidente che l'area del doppio fuso sferico

della figura 3 è

A = 4α

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Somma degli angoli di un triangolo sferico

Siamo ora pronti per dimostrare il teorema fondamentale sui triangoli sferici. Assumeremo

come sempre una sfera unitaria e misureremo gli angoli in radianti. In figura 1 vedete il triangolo

sferico ABC: consideriamo la somma s degli angoli

s = α + β + γ

Ci siamo resi conto che s non è costante, ma varia al variare del triangolo. Il nostro obiettivo è

quello di esprimere s in funzione di un unico parametro che rappresenti una proprietà caratteristica

di ogni dato triangolo. Questo parametro potrebbe essere proprio l'area del triangolo. Proviamo la

nostra ipotesi. Osserviamo subito che le tre rette s1, s2, s3, individuano sulla superficie della sfera

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due triangoli: il triangolo ABC e il triangolo antipodale A'B'C' uguale ad ABC19 (figura 1).

Consideriamo ora i tre doppi fusi delle figure 2, 3 e 4: il primo è individuato dalle circonferenze

massime s1 e s2, il secondo da s2 e s3, il terzo da s1 e s3. Gli angoli dei fusi sono gli angoli del nostro

triangolo cioè sono rispettivamente α, β, γ.

Se consideriamo contemporaneamente i tre doppi fusi ci accorgiamo che ricoprono tutta la

superficie sferica; inoltre i due triangoli ABC e A'B'C' vengono ricoperti tre volte (potete infatti

notare in figura 4 che il triangolo ABC viene ricoperto successivamente in azzurro, verde e giallo e

lo stesso accade per il triangolo antipodale).

19 I triangoli ABC e A'B'C' sono inversamente uguali (simmetrici rispetto al centro della sfera); i due triangoli hanno lati e angoli corrispondenti uguali ma non c'è modo di portare ABC su A'B'C' facendolo "scorrere" sulla superficie sferica. Si intuisce però che i due triangoli hanno la stessa area e questo è ciò che ora ci interessa.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Allora

area sup. sferica = area dei tre doppi fusi - 2 volte area ABC - 2 volte area A'B'C'

Quindi, tenendo conto che i due triangoli ABC e A'B'C' sono uguali e applicando la formula che

fornisce l'area di un doppio fuso, si ha

4π = 4α + 4β + 4γ – 4A

ove abbiamo indicato con A l'area del nostro triangolo ABC. Ne segue la formula

α + β + γ = π + A

Concludendo:

la somma degli angoli di un triangolo sferico è sempre maggiore di un angolo piatto ed è uguale a

un angolo piatto più l'area del triangolo.

La stessa formula si può leggere anche così: l'area di un triangolo sferico è uguale alla somma dei

suoi angoli (misurati in radianti) meno π.

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La formula ellittica α + β + γ = π + A

La formula per la somma degli angoli di un triangolo sferico costituisce un risultato importante

che merita alcune riflessioni.

a) La formula α + β + γ = π + A ci dice che la somma degli angoli di un triangolo sferico

varia al variare dell'area del triangolo. Tanto maggiore è l'area del triangolo, tanto più la

somma degli angoli si discosta da π. Per triangoli di area molto piccola rispetto a π la nostra

formula ci fornisce valori quasi euclidei per la somma degli angoli. In altri termini le due

formule

possono considerarsi equivalenti se l'area A del triangolo sferico tende a zero. In questo

senso possiamo affermare che la geometria euclidea è un caso limite della geometria

ellittica. In effetti se ci limitassimo a considerare un intorno molto piccolo di un punto P

sulla superficie sferica, potremmo approssimare questa piccola regione con una

corrispondente regione del piano tangente in P alla sfera. E la geometria sul piano tangente è

naturalmente una geometria euclidea.

b) Si potrebbe dimostrare che per i triangoli sferici valgono quattro criteri di uguaglianza: i

primi tre sono del tutto analoghi a quelli per i triangoli euclidei, il quarto criterio è invece il

seguente: due triangoli sferici sono uguali se hanno angoli corrispondenti uguali. Nel piano

euclideo due triangoli che abbiano angoli corrispondenti uguali non sono in generale uguali

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ma sono simili; se però due triangoli simili hanno la stessa area allora sono necessariamente

uguali. Nel caso dei triangoli sferici abbiamo visto che avere angoli corrispondenti uguali (e

quindi somme angolari uguali) implica avere aree uguali; ne segue che triangoli sferici simili

sono necessariamente uguali.

c) Avrete certamente notato il ruolo fondamentale di π nella geometria sferica: distanze,

aree, angoli possono essere espressi in funzione di π (considerate ad esempio il triangolo

equilatero "trirettangolo": ogni lato è lungo π/2, l'area è π/2, ogni angolo è π/2). Tenete

presente che il confronto tra aree e angoli è così semplice proprio perchè abbiamo misurato

gli angoli in radianti. È importante osservare però che la costante π ha una sua definizione

estrinseca (rapporto tra lunghezza di una circonferenza estrinseca e suo diametro) mentre

non può essere definita intrinsecamente (per le circonferenze intrinseche il rapporto tra la

loro lunghezza e il doppio del raggio non solo non è uguale a π ma non è nemmeno

costante).

d) La formula α + β + γ = π + A è

stata dimostrata nell'ipotesi di una

sfera di raggio unitario. Ma è

molto facile ottenere una formula

anche nel caso generale di una

sfera di raggio r. Osservate la

figura 2: abbiamo tracciato un

triangolo su un quadrato che

possiamo immaginare di tela

elastica. Se stiriamo la tela sia

orizzontalmente che verticalmente

in modo da raddoppiare i lati (omotetia di coefficiente 2), l'area del triangolo quadruplica

(perchè raddoppiano sia base che altezza). Non varia invece la misura degli angoli (si

conserva la forma). In generale se stiriamo il quadrato di un fattore r, l'area del triangolo

aumenta secondo un fattore r². La stessa cosa avviene su una superficie sferica: se dilatiamo

una sfera di raggio unitario in una sfera di raggio r, l'area di ogni figura tracciata sulla

superficie sferica deve essere moltiplicata per un fattore r². Torniamo ora alla nostra formula

per la sfera unitaria che possiamo scrivere

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

A = α + β + γ - π

Se passiamo a una sfera di raggio r, l'area A deve essere moltiplicata per un fattore r²,

mentre non cambiano gli angoli; quindi si ha

A = r² (α + β + γ – π)

Ne segue

α + β + γ = π + A/r2

Nella formula α + β + γ = π + A/r2 il termine A/r² prende il nome di eccedenza angolare del

triangolo (o eccesso sferico del triangolo) e si indica con E; pertanto la formula può scriversi

nella forma α + β + γ = π + E. Come si vede, l'eccedenza angolare ci dice di quanto la

somma degli angoli supera π; nel caso di una sfera unitaria l'eccedenza angolare coincide

con l'area del triangolo.

Le tre geometrie

La formula dimostrata precedentemente

e le riflessioni su di essa sviluppate ci

consentono di accennare ad una profonda

questione che concerne la geometria degli

spazi bidimensionali. Ci farà comodo

ricorrere ancora una volta alla metafora di un

mondo bidimensionale, popolato da esseri

bidimensionali. Tali esseri potrebbero

scoprire quale tipo di geometria intrinseca

ammetta il loro mondo facendo il semplice

esperimento (intrinseco) che consiste nel

misurare gli angoli di un triangolo (non

troppo piccolo). Se scoprissero che la somma

degli angoli è uguale a un angolo piatto

potrebbero desumere che la loro geometria è

euclidea (un modello per il loro mondo

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

sarebbe il piano euclideo). Se invece scoprissero che la somma degli angoli è maggiore di un angolo

piatto potrebbero desumere il carattere ellittico della loro geometria. C'è infine un terzo caso

possibile: che la somma degli angoli sia minore di un angolo piatto: è il caso della geometria

iperbolica. La figura 1 mostra tre superfici bidimensionali che

ammettono le tre diverse geometrie; nel caso dell'ultima

superficie, a forma di sella, si intuisce che la somma degli

angoli del triangolo è minore di un angolo piatto (naturalmente

i lati del triangolo sono archi geodetici). C'è un modo molto

semplice per costruire un modello di superficie a sella.

Disegnate su un foglio di carta un cerchio e un settore circolare

con lo stesso raggio del cerchio e un'ampiezza, diciamo, di 60

gradi (fig. 2). Ritagliate il cerchio e il settore. Tagliate il cerchio

lungo un suo raggio in modo che presenti una fessura. Inserite nella

fessura il settore e fissatelo ai bordi della fessura con del nastro

adesivo trasparente. Naturalmente questa operazione di inserimento

non è possibile se si rimane nel piano (stiamo pretendendo di inserire

altri 60 gradi in un angolo giro); ma potremo farlo se lascieremo

flettere la superficie nella terza dimensione. Otterrete così una

superficie a sella (è opportuno applicare del nastro anche sull'altra

faccia della superficie). La realizzazione di questo modello è molto

istruttiva: vi siete resi conto che una sella invade "più superficie" di quanta possa stare nel piano.

Se provaste a schiacciare la vostra superficie sul piano (ad esempio con un libro) vi rendereste conto

che si formano delle pieghe, delle sovrapposizioni. Questa proprietà caratterizza le superfici a

geometria iperbolica; una proprietà opposta caratterizza la superficie sferica (come sappiamo, a

geometria ellittica); se provate a schiacciare una semisfera nel piano non si creeranno delle

sovrapposizioni ma delle lacerazioni, delle fessure (potete fare

l'esperimento svuotando accuratamente mezza arancia e

schiacciando la buccia emisferica con un libro). La sfera, al

contrario della sella, ha "meno superficie" di quanta ne serva

per schiacciarla nel piano. Esistono dunque tre possibili

geometrie per uno spazio bidimensionale: la geometria

euclidea o geometria a curvatura zero; la geometria ellittica, o

geometria a curvatura positiva; la geometria iperbolica, o

geometria a curvatura negativa. Bisogna precisare, però, che ci stiamo riferendo a spazi omogenei, a

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

spazi cioè la cui geometria locale è la stessa in tutti i punti. Sono ad esempio spazi omogenei E2 ed

S2, mentre non lo è superficie di un toro per quanto sia dotata di una certa simmetria (fig. 4).

Per capire meglio come stanno le cose dobbiamo accennare, sul piano intuitivo e senza pretese di

rigore, a cosa si debba intendere per curvatura in un punto di una superficie.

Curvatura di una superficie

Come ricorderete, per le curve nel piano la nozione di curvatura in un punto P ci consentiva di

valutare lo scostamento della curva dalla tangente nelle immediate vicinanze del punto considerato

cioè lo scostamento dall'andamento rettilineo; in modo analogo la curvatura di una superficie in suo

punto P dovrà misurare lo scostamento della superficie dal piano tangente in P nelle immediate

vicinanze del punto considerato. In fig. 1 vedete ad esempio due porzioni di superfici sferiche: la

sfera a sinistra ha raggio sensibilmente maggiore di quella a destra. Ora si capisce che una grande

sfera ha curvatura minore di una piccola sfera.

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

Osservando la fig. 2 si capisce infatti che la superficie a sinistra si scosta meno dal piano tangente,

in un intorno del punto P, di quanto non accada per la superficie a destra.

Cerchiamo di precisare queste osservazioni di carattere intuitivo. Consideriamo allora una qualsiasi

superficie Σ, un punto P di Σ e la retta n normale a Σ in P (cioè perpendicolare a Σ in P). Ora ogni

piano che contiene la normale n taglia la superficie secondo una curva che prende il nome di

sezione normale per P. Le sezioni normali avranno naturalmente una curvatura in P (come curve

piane) che varia al variare del piano; si dimostra però che la curvatura delle sezioni normali per P

ammette un massimo e un minimo, indichiamoli con k1 e k2, in corrispondenza di due piani tra loro

ortogonali. Bene, chiameremo curvatura di Σ in P il numero

k = k1 k2

Fate attenzione: k1 e k2 sono curvature in P di oggetti

monodimensionali (curve piane) mentre k è, per definizione, la

curvatura in P di un oggetto bidimensionale (superficie). In figura 3

vedete ad esempio un ellissoide; P è un punto della superficie e n è

la normale in P. Le due curve evidenziate in azzurro sono le due

sezioni normali di curvatura in P rispettivamente massima e minima.

La curva orizzontale ha raggio di curvatura minimo r1 (quindi

curvatura massima k1 = 1/r1) e quella verticale ha raggio di

curvatura massimo r2 (quindi curvatura minima k2 = 1/r2). Come

vedete, le due curve si trovano su piani ortogonali. È facile capire come sono state determinate,

considerate un piano che contenga la normale e fatelo ruotare attorno alla normale: si ottengono

delle curve sezione il cui raggio di curvatura, si intuisce, varia con continuità tra r1 e r2. Osservate

inoltre che le due curve sezione evidenziate volgono la concavità entrambe verso il basso rispetto

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

alla normale orientata come in figura; ne consegue che i raggi di curvatura r1 e r2 hanno entrambi

segno negativo (perchè il centro di curvatura si trova sulla semiretta negativa della normale

orientata come in figura e con origine in P) e quindi la curvatura k = 1/(r1 r2) in P è positiva. Per

qualsiasi punto P dell'ellissoide la curvatura, pur variando, rimane sempre positiva (potete rendervi

conto, applicando la definizione, che se il punto P si sposta sulla sommità dell'ellissoide in figura

allora la curvatura della superficie aumenta perchè diminuiscono i raggi di curvatura r1 e r2). Nel

caso di una superficie sferica di raggio r si ha invece che tutte le sezioni normali, per qualsiasi

punto P, sono uguali (sono circonferenze massime di curvatura 1/r); ne segue che la curvatura è

ovunque uguale a 1/r2 ed è sempre positiva. La superficie sferica è a curvatura costante positiva.

Consideriamo ora la superficie a sella in fig. 4. Sono

evidenziate in rosso le due curve σ1 e σ2 che ci

consentono di valutare la curvatura della superficie in P.

Ora attenzione: σ1 è la sezione normale che ha curvatura

massima tra quelle che volgono la concavità verso l'alto

rispetto all'orientamento di n (il raggio di curvatura r1 è

positivo perchè il centro di curvatura si trova sulla

normale al di sopra di P), mentre σ2 è la sezione normale

che ha curvatura massima (in valore assoluto) tra quelle

che volgono la concavità verso il basso (il raggio di

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Geometrie non euclidee Mario Sandri

curvatura r2 è negativo perchè il centro di curvatura si trova sulla normale al di sotto di P). Poiché k

= 1/(r1 r2) ne segue che la curvatura k è negativa in P. Alla luce di quanto detto, è semplice capire

se una superficie ha curvatura positiva o negativa in un punto P: nel primo caso tutte le sezioni

normali per P volgono la concavità dalla stessa parte rispetto alla normale mentre nel secondo le

sezioni normali volgono la concavità sia da una parte che dall'altra. Esaminiamo infine il caso di

superfici che abbiano in un punto curvatura nulla. Un piano, è chiaro, ha curvatura nulla in tutti i

suoi punti. Le sezioni normali sono infatti delle rette e hanno curvatura nulla in ogni punto. Più

interessante è il caso di un cilindro (senza basi): anche la sua superficie ha curvatura nulla in ogni

punto. In figura 5 vedete una superficie cilindrica e, evidenziate in azzurro, le due sezioni normali

ortogonali per il punto P che ci interessano; la sezione orizzontale è una circonferenza ed ha

curvatura massima k1, quella verticale è una retta ed ha curvatura minima k2 = 0. Ne segue che la

curvatura della superficie in P è k = k1 k2 = 0. Probabilmente vi

sembrerà strano che la superficie cilindrica, che siamo abituati a

considerare una superficie curva, sia in realtà una superficie che

"tecnicamente" ha curvatura nulla in tutti i suoi punti. Ma le cose stanno

proprio così: il fatto è che un cilindro non è altro che un piano

arrotolato. Riflettete sul fatto seguente: possiamo avvolgere un cilindro

con un foglio di carta operando una flessione del foglio senza

lacerazioni; non possiamo fare la stessa cosa con la superficie di una

sfera, di un ellissoide o di un toro. Possiamo ora tornare alla questione

lasciata in sospeso precedentemente; si diceva che la superficie di un

toro non costituisce uno spazio omogeneo. Uno spazio

omogeneo deve aver la stessa curvatura in ogni suo punto.

Ora ci rendiamo conto che la superficie di un toro ha la

curvatura che cambia da punto a punto; ma c'è di più:

abbiamo regioni del toro a curvatura positiva e regioni a

curvatura negativa (ve ne potete rendere conto facilmente

osservando la fig. 6). L'esistenza di regioni sia a curvatura

positiva che a curvatura negativa ha delle implicazioni

fondamentali per la geometria sulla superficie: nelle regioni

a curvatura positiva la geometria sarà di tipo ellittico (somma degli angoli di un triangolo maggiore

di π), nelle regioni a curvatura negativa sarà di tipo iperbolico (somma degli angoli di un triangolo

minore di π).

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Geometrie in uno spazio non omogeneo

La superficie di un toro non è uno spazio omogeneo. Vogliamo renderci conto che su questa

superficie possiamo trovare sia regioni a geometria ellittica sia regioni a geometria iperbolica. Per

discriminare le due geometrie ricorreremo alla studio delle somme angolari per un poligono

tracciato sulla superficie. Ricordiamo, a questo proposito, che nel piano euclideo la somma s degli

angoli, misurati in radianti, di un poligono con n lati è data da

s = (n - 2) π

La situazione ellittica è invece caratterizzata dalla

disuguaglianza

s > (n - 2) π

(ove s indica sempre la somma degli angoli) e infine quella iperbolica dalla disuguaglianza

s < (n - 2) π

E' chiaro che l'uguaglianza e le due disuguaglianze precedenti discendono tutte dal fatto che la

somma degli angoli di un triangolo è, nel caso ellittico, maggiore di π, nel caso euclideo uguale a π,

nel caso iperbolico minore di π. Un poligono su una superficie è naturalmente limitato da archi

geodetici (così come nel piano euclideo è limitato da segmenti). Ora nel caso della superficie di un

toro (figura 1) l'individuazione di poligoni (e la valutazione di angoli) è un problema che non

possiamo affrontare utilizzando le sole tecniche

elementari di cui disponiamo. Possiamo però

considerare una superficie topologicamente

equivalente a quella del toro che in qualche modo ne

conservi le caratteristiche globali di curvatura ma che

sia più facile da studiare. Prenderemo in

considerazione il solido a facce piane con un foro

centrale che vedete in figura 2. Sul solido è stato

tracciato, in rosso, un triangolo ABC. Attenzione,

dovete essere convinti che si tratta di un triangolo intrinseco; i tre lati AB, BC, CA sono archi

geodetici. Il triangolo, come vedete, ha tre angoli retti. Siamo dunque in una situazione ellittica (s >

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π); non ce ne meravigliamo perchè si intuisce che il triangolo si trova in una regione del solido che

corrisponde ad una regione del toro in cui la curvatura è positiva. Ma osservate il quadrilatero

DEFG tracciato in giallo (è un rettangolo intrinseco): si trova anch'esso in una regione del solido

che corrisponde ad una regione del toro a curvatura positiva, tuttavia qui la somma s degli angoli è

2π e siamo quindi in una situazione euclidea. Osservate inoltre che all'interno del poligono giallo

non ci sono vertici del solido. Potremmo allora ipotizzare che la curvatura del nostro solido si

concentri tutta nei vertici (mentre nel caso del toro la curvatura si distribuisce su tutta la superficie).

Ci si convince, con qualche esperimento, che le cose stanno proprio così. Proviamo ad esempio a

considerare un poligono sulla superficie che contenga al suo interno un vertice del solido in cui

deve concentrarsi curvatura negativa (uno degli 8 vertici che circondano internamente il foro).

Osservate il pentagono ABCDE (in celeste) in figura 3. La somma degli angoli è pari a 5 angoli

retti, cioè s = 5π /2 < 3π. Come ci aspettavamo, siamo in una situazione iperbolica.

E' poi evidente che per un poligono interamente situato all'interno di una faccia del solido, come il

rettangolo giallo che vedete sempre in figura 3, la somma degli angoli verificherà l'uguaglianza

euclidea (siamo all'interno di una faccia piana, a curvatura zero). Possiamo allora concludere che

sul nostro solido, in cui la curvatura positiva o negativa si concentra nei vertici, troviamo dei

poligoni per cui i valori di s rientrano in ciascuno dei tre casi di cui si è detto; è anche facile capire

che il valore di s è determinato dalla presenza (o meno) di vertici del solido all'interno del poligono

stesso (e naturalmente dal tipo di vertici: ce ne sono 8, quelli esterni, in cui si concentra curvatura

positiva e 8, quelli interni, in cui si concentra curvatura negativa). Torniamo al toro. Qui la

curvatura non si concentra solo in alcuni punti ma si distribuisce su tutta la superficie e varia con

continuità; si intuisce, pertanto, che ogni poligono tracciato sulla superficie mostrerà, rispetto alla

formula euclidea, un eccesso angolare (situazione ellittica) o un difetto angolare (situazione

iperbolica). E ciò dipenderà dal tipo di curvatura della regione contenuta al suo interno.

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IL MODELLO DI POINCARÉ

Di seguito viene proposto un esempio di costruzione di un modella della geometria non euclidea ed

in particolare per quella iperbolica utilizzando il programma Cabri-Géomètre. Il Cabri-Géomètre è

utilizzato quasi esclusivamente per esplorare situazioni euclidee. Con l’ausilio delle opzioni di

Cabri è possibile estendere il suo dominio di applicazione alla geometria non-euclidea. Il problema

da affrontare, allora, è quello di interpretare i concetti primitivi della geometria non euclidea

iperbolica in altrettante costruzioni euclidee da realizzare sul Cabri.

1. Si costruisca un punto a piacere

2. Si costruisca un altro punto a piacere non coincidente col primo

3. Si costruisca una circonferenza centrata nel primo punto e passante per il secondo

4. Si chiami la circonferenza ottenuta Orizzonte

5. Si costruisca un punto all’interno del cerchio non coincidente con il centro

6. Si chiami tale punto A

7. Si costruisca un punto all’interno del cerchio non coincidente con nessun punto precedente

8. Si chiami tale punto B

9. Si costruisca il segmento iperbolico tra A e B

10. Si costruisca un punto all’interno del cerchio non coincidente con nessun punto precedente

11. Si chiami tale punto C

12. Si costruisca il segmento iperbolico tra B e C

13. Si costruisca il segmento iperbolico tra A e C

14. Si tracci la perpendicolare iperbolica per il punto A

15. Si tracci la perpendicolare iperbolica per il punto B

16. Si tracci la perpendicolare iperbolica per il punto C

17. Si scriva il titolo: Il modello di Poincaré per la geometria iperbolica:

I Punti sono i punti euclidei interni al cerchio chiamato "orizzonte"

Le Rette sono gli archi di circonferenze fra due punti che intersecano

perpendicolarmente l'orizzonte.

18. Si scriva: Sposta A, B e C e osserva la somma degli angoli del triangolo iperbolico.

Sposta l'orizzonte e osseva la forma del triangolo iperbolico.

Inoltre: se si sposta l'orizzonte all’infinito, si ritorna alla geometria euclidea. Se il

centro dell'orizzonte si sposta all’infinito, si realizza il modello del semipiano per

la geometria iperbolica.

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orizzonte

A

B C

Il modello di Poincaré per la geometria iperbolica:I Punti sono i punti euclidei interni al cerchio chiamato "orizzonte" Le Rette sono gli archi di circonferenze fra due punti che intersecano perpendicolarmente l'orizzonte.

Sposta A, B e C e osserva la somma degli angoli del triangolo iperbolico.

Sposta l'orizzonte e osseva la forma del triangolo iperbolico.

Inoltre: se si sposta l'orizzonte all' _, si ritorna alla geometria euclidea. Se il centro dell'orizzonte si sposta all' _, si realizza il modello del semipiano per la geometria iperbolica.

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METODOLOGIE DIDATTICHE

Le strategie didattiche che si intendono adottare sono prevalentemente la lezione frontale,

limitata ad una breve parte dell’ora di lezione per sfruttare al meglio i tempi di attenzione, la lezione

interattiva che stimoli gli allievi a porre e a porsi domande, a collegare situazioni e a ricercare

soluzioni.

Per la presentazione dei nuovi contenuti e per lo svolgimento di esercizi significativi si farà uso

di lezioni frontali; per la risoluzione di ulteriori esercizi in collaborazione insegnate-allievi si farà

uso invece di lezioni dialogiche, con lo scopo di coinvolgere gli studenti nella realizzazione delle

lezioni, sollecitandoli con opportune domande. I momenti di lezione frontale e dialogica non

saranno rigidamente distinti, ma si potranno alternare nell’ambito della stessa ora di lezione. Alla

presentazione di ogni nuovo concetto o metodo di risoluzione di problemi, seguirà lo svolgimento

di esempi numerici. Talvolta sarà più opportuno partire da esempi significativi per giungere alla

formulazione di proprietà generali. Inoltre la correzione in classe degli esercizi farà da spunto per

nuove riflessioni e argomentazioni.

Una parte del monte ore dedicato alla seguente unità didattica verrà affrontata nel laboratorio di

informatica, dove gli studenti creeranno e poi utilizzeranno un programma di geometria chiamato

Cabri-Géomètre che illustrerà loro il comportamento di un modello iperbolico di geometria, nello

specifico quello di Poincaré.

MATERIALI E STRUMENTI UTILIZZATI

• Lavagna, gessi colorati

• Libro di testo. Questo strumento dovrà presentare un linguaggio adeguato all’età,

evidenziare i nodi concettuali evitando nel contempo pericolose banalizzazioni, sostenere

uno studio individuale e le attività in classe. Il testo andrà usato in modo critico, adattandolo

ed eventualmente semplificandolo, cercando un punto di contatto tra gli obiettivi della

programmazione in classe e le abilità possedute dagli alunni. La difficoltà di un testo può

essere legata ai contenuti, alle operazioni cognitive, agli aspetti linguistici o agli aspetti

grafici. Per questo motivo, spesso emerge la necessità di completare, ridurre, schematizzare

ed evidenziare quanto contenuto nel testo.

• Personal computer. Sarà indispensabile che ogni alunno abbia la possibilità di lavorare su un

singolo PC per evitare che alcuni ragazzi non lavorino affatto. Sarà importante verificare la

loro conoscenza del programma Cabri-Géomètre. A seguito di possibili carenze verrà inoltre

aggiunto un piccolo intervento di recupero.

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CONTROLLO DELL’APPRENDIMENTO

L’insegnante potrà valutare l’andamento dell’attività didattica e controllare la comprensione

dell’argomento da parte degli alunni attraverso verifiche formative costituite da esercizi mirati, di

difficoltà crescente, da svolgere a casa. Tali esercizi saranno successivamente discussi in classe,

puntando principalmente su quelli in cui gli studenti hanno riscontrato maggiori difficoltà.

VALUTAZIONE

La valutazione dell’apprendimento si attua attraverso prove orali.

RECUPERO E APPROFONDIMENTO

Si prevedono attività di recupero per integrare e completare l’attività didattica. L’insegnamento

è in ogni caso orientato alla continua ripresa degli argomenti su cui gli studenti incontrano maggiori

difficoltà. Gli argomenti da recuperare sono individuati attraverso le prove orali. Le forme di

recupero previste sono:

• Recupero svolto in classe attraverso la ripresa di concetti non ben assimilati e lo

svolgimento di esercizi chiarificatori;

• Attività pomeridiane con gli studenti interessati (“sportello” e ”ascolto didattico”);

• Assegnazione allo studente di esercizi mirati alla difficoltà da recuperare e guidati nella

risoluzione.

TEMPI DELL’INTERVENTO DIDATTICO

Viene proposta una descrizione del susseguirsi delle attività didattiche con i tempi necessari a

ciascuna attività. Questa proposta va comunque considerata in maniera elastica, in quanto l’attività

dipende molto dalle esigenze degli studenti.

Accertamento dei prerequisiti 1 h

Storia delle geometrie non euclidee 2 h

La geometria sulla sfera 4 h

Il modello di Poincaré 1 h

Esempi ed esercizi 2 h

Prove orali

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BIBLIOGRAFIA

Carl B. Boyer - Storia della matematica - Mondadori

Roberto Bonola - Geometria non euclidea - Zanichelli

P. A. Giustizi - Da Euclide ad Hilbert - Bulzoni

H. Meschkowski - Mutamenti nel pensiero matematico - Boringhieri

Lorenzo Magnani - Le geometrie non euclidee - Zanichelli

Morris Kline - Storia del pensiero matematico - Einaudi

Richard Courant - Herbert Robbins - Che cos’è la Matematica - Universale Scientifica

Boringhieri

Federigo Enriques - Questioni riguardanti le matematiche elementari -Zanichelli

Evandro Agazzi - Dario Palladino - Le Geometrie non Euclidee - EST Mondatori

Walter Maraschini - Mauro Palma - Format, spe - Paravia

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