Geoingegneria

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI L’AQUILA Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente Tesi La Geoingegneria, nuovi metodi artificiali per contrastare il riscaldamento globale Chiarissimo Prof. G. Visconti Laureando Brancaccio Alessio Matricola 154859 Anno Accademico 2012 - 2013

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Tesi di laurea di Alessio Brancaccio: "La Geoingegneria, nuovi metodi artificiali per contrastare il riscaldamento globale".

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI L’AQUILA

Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente

Tesi

La Geoingegneria, nuovi metodi artificiali

per contrastare il riscaldamento globale

Chiarissimo Prof. G. Visconti Laureando Brancaccio Alessio

Matricola 154859

Anno Accademico 2012 - 2013

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Indice

I. Tecniche di Geoingegneria ................................................................................ pag.7

II. Il ciclo del carbonio ............................................................................................ pag.9

III. Tecniche di Geoingegneria CDR (Carbon Dioxide Remotion) ......................... pag.23

Fertilizzazione degli oceani con ferro e altre sostanze nutritive ................................... pag.23

Gestione ed uso del territorio: rimboschimento e prevenzione disboscamenti ........... pag.26

Sfruttamento della biomassa e del biocarbone (biochar) .............................................. pag.30

Accelerazione dei processi di disgregazione (meteorizzazione) ................................... pag.33

Separazione di CO2 dall’aria atmosferica ...................................................................... pag.38

Alberi artificiali per la cattura di CO2 ........................................................................... pag.56

Bioreattori ad alghe: cattura di CO2 in ambienti urbani ............................................. pag.58

IV. Il vulcanismo e la trasformazione ...................................................................... pag.62

V. Tecniche di Geoingegneria SRM (Solar Radiation Management) ................. pag.63

Aumento dell’albedo sulla superficie terrestre ............................................................. pag.67

Aumento dell’albedo mediante la creazione di nubi sul mare ..................................... pag.68

Gli aerosol: fonti ed accumuli ......................................................................................... pag.72

Immissione di aerosol nella stratosfera .......................................................................... pag.84

Installazione nello spazio di vele solari .......................................................................... pag.87

VI. Le differenze fondamentali tra metodi CDR ed SRM ....................................... pag.88

VII. Le future esigenze della Geoingegneria ............................................................. pag.91

Controllo .......................................................................................................................... pag.92

Ricerca e Sviluppo ........................................................................................................... pag.93

VIII. L’accettabilità pubblica della Geoingegneria ................................................. pag.93

Il cambiamento climatico e la Geoingegneria, il contesto politico .................. pag.94

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Prefazione

Negli ultimi 100 anni, abbiamo assistito ad un incremento sempre maggiore delle concentrazioni di gas

serra nella nostra atmosfera che ha avuto, come principale effetto, quello di portare ad un radicale

cambiamento delle condizioni climatiche nel nostro Pianeta. Il progresso tecnologico, se da una parte ha

determinato un miglioramento delle condizioni di vita umane, dall’altra ha aumentato i livelli di

inquinamento atmosferico in maniera esponenziale, generando il fenomeno del Riscaldamento Globale

(Global Warming) che consiste in un aumento delle temperature medie globali derivanti dall’uso

eccessivo di energie non rinnovabili (come la combustione di idrocarburi, utilizzo di carbon fossile e gas).

Le conseguenze nel lungo termine saranno estremamente minacciose, soprattutto se le nazioni

continueranno a fare i propri interessi economici, sottovalutando la possibilità di cambiare lo stile di vita

nei prossimi decenni, attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili dal Sole (energia fotovoltaica), dal vento

(energia eolica), dagli alberi (attraverso l’imboschimento). Infatti se questo cambiamento avvenisse

troppo lentamente, rischieremmo di vanificare tutti i nostri sforzi, innescando in questo modo un processo

irreversibile.

Attualmente, si stanno sperimentando nuove metodologie di approccio al problema, ma non lo stanno

risolvendo a pieno: ciò sta portando a prendere in seria considerazione un “piano-B”, il quale proverà a

contrastare le emissioni di gas serra attraverso l’introduzione della “Geoingegneria”, che consiste

nell’applicazione di tecniche artificiali, poste in essere dall’uomo, per modificare l’ambiente fisico

(atmosfera, oceano, biosfera, litosfera, idrosfera, criosfera), prevenendo situazioni di rischio ambientale

che possono incidere negativamente sulla salvaguardia delle popolazioni di un determinato territorio.

TECNICHE DI GEOINGEGNERIA

Ormai il cambiamento climatico è già in atto: i suoi impatti saranno gravosi e seri, se non si prenderanno

provvedimenti adeguati. Questi possono essere ridotti tramite la mitigazione, in modo da ridurre le

emissioni globali di gas serra. Nonostante tutto, gli sforzi compensativi per cercare di ridurre il fenomeno

del riscaldamento globale non sono ancora sufficienti e non danno fiducia: per raggiungere lo scopo si

spera che gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, da dopo il 2012, incentiveranno un’azione più

ampia di mitigazione mirata allo sviluppo di meccanismi più efficaci, ma vi è il serio rischio che queste

azioni non possano essere introdotte in tempo, nonostante le tecnologie necessarie siano oggi disponibili e

convenienti.

Probabilmente il riscaldamento globale supererà i 2°C nel corso di questo secolo, a meno che le emissioni

di gas serra vengano ridotte del 50%, riportandole ai livelli del 1990. Nella comunità scientifica, non è

credibile lo scenario di emissioni in cui la temperatura media globale raggiungerà il suo massimo per poi

iniziare a diminuire entro il 2100: ed ecco che qui viene richiesta un’azione aggiuntiva di mitigazione e la

Geoingegneria, ancora in fase di sperimentazione, può rappresentare una valida alternativa al

raggiungimento degli obiettivi prefissati di abbattimento dei gas serra. I metodi di Geoingegneria possono

essere utili in futuro solo se l’umanità prenderà coscienza di come attuare uno stile di vita sostenibile, che

stimolerebbe lo stanziamento di fondi verso la ricerca di ulteriori studi, analisi e approfondimenti. La

tecnologia che serve a metterli in pratica si è appena evoluta e quindi vi sono grandi incertezze riguardo la

loro efficacia, costi e impatti ambientali.

Con i metodi di Geoingegneria si può intervenire in due modi diversi:

O attraverso la gestione della radiazione solare;

O attraverso la rimozione di anidride carbonica in atmosfera

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Il primo metodo presenta rischi ed incertezze nelle previsioni sia a breve che a lungo termine.

Il secondo coinvolge minori incertezze e rischi, ma determinerebbe un effetto più lento nel ridurre la

temperatura globale e, a lungo termine, questo metodo potrebbe dare un importante contributo al

raggiungimento dello scopo.

L’accettabilità della Geoingegneria sarà determinata sia da questioni sociali, giuridiche, politiche sia da

fattori tecnici e scientifici: vi sono delle questioni serie di controllo che devono essere risolte se mai la

Geoingegneria dovesse assumere un ruolo fondamentale nel moderare i cambiamenti climatici in corso.

Sarebbe altamente inauspicabile che questi metodi comportanti attività o effetti influenti al di fuori dei

confini nazionali (oltre che semplicemente la rimozione dei gas serra), siano sperimentati prima che

meccanismi di controllo idonei vengano perfezionati.

Le principali raccomandazioni da mettere in atto sono queste:

1. Le parti che sottoscrivono la convenzione dovrebbero sforzarsi maggiormente verso la

mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, in particolare per aver accettato la

riduzione delle emissioni globali di gas serra almeno del 70%, provvedendo a farle tornare ai

livelli del 1990 entro il 2025 e riducendole ancora successivamente;

2. Ulteriori ricerche e sviluppi delle diverse opzioni di Geoingegneria dovrebbero essere compiute

per verificare se i metodi a basso rischio possono essere resi disponibili in caso si renda

necessario ridurre il tasso di riscaldamento entro la fine di questo secolo;

Ciò dovrebbe includere le osservazioni del caso, lo sviluppo dei modelli climatici esistenti, e

sperimentazioni attentamente pianificate e riproducibili.

I metodi di Geoingegneria si dividono in due grandi categorie di classi fondamentali:

1. Tecniche di gestione della radiazione solare (metodi SRM - Solar Radiation Management)

2. Tecniche di rimozione dell’anidride carbonica (metodi CDR - Carbon Dioxide Remotion)

Figura 1. Rappresentazione schematica di varie proposte di ingegneria del clima (per gentile concessione B.Matthews)

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Perché si discute di Geoingegneria?

La pubblicazione delle prime riflessioni su come modificare su vasta scala l’ambiente sulla Terra risale a

circa venti anni fà. Il primo approccio allo studio della Geoingegneria è iniziato nel 1990, dal

prof. David Keith dell’Università di Harvard, membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati

Uniti (US National Academy of Sciences - NAS) e della Commissione Scientifica della Royal Society,

che ha sede a Londra ed è composta da scienziati provenienti da tutto il mondo: tra i prestigiosi studi del

prof. Keith ricordiamo gli impatti della geoingegneria sul clima mondiale, la cattura diretta di CO2

dall’aria e la valutazione dell’impatto climatico dato dall’utilizzo di turbine eoliche.

Negli anni a seguire, la comunità internazionale si è resa conto che il cambiamento del clima e i suoi

effetti costituivano un problema globale e, nel 2006, il premio Nobel Paul Crutzen pubblicò un articolo

scientifico sul giornale New York Times, che riscosse un grande eco nei media: lo scienziato olandese,

esperto di Chimica atmosferica, discuteva l’alternativa di ridurre l’aumento globale della temperatura

immettendo negli strati superiori dell’atmosfera solfati sotto forma di aerosol. Come numerosi suoi

colleghi, egli era del parere che, malgrado gli evidenti rischi, bisognasse continuare a studiare i vari

metodi della Geoingegneria. Considerati gli scarsi progressi della politica climatica delle Nazioni Unite,

che non permettevano di sperare in una rapida riduzione delle emissioni di gas serra, la Geoingegneria

potrebbe risultare un giorno l’unica possibilità di limitare il riscaldamento del pianeta ad un livello

accettabile. Per favorire gli altri sforzi mirati di riduzione è inoltre ipotizzabile ricorrere in via provvisoria

a metodi che presentano un rischio relativamente contenuto: questi tipi di ponderazione, che tengano

conto in ugual misura del potenziale e dei rischi, sono ormai ampiamente diffusi negli ambienti scientifici

e vengono adottati in misura crescente anche nelle discussioni politiche e sociali.

IL CICLO DEL CARBONIO

Il ciclo globale del carbonio ha un ruolo importante nel mediare le concentrazioni di gas serra

nell'atmosfera e così influenza il tasso mediante il quale l’equilibrio può essere ripristinato.

Il carbonio viene scambiato naturalmente tra la terra, gli oceani e l'atmosfera, e grandi quantità sono

conservate nei “bacini” naturali sulla terra e negli oceani. Ogni anno 60-90 Gt di carbonio vengono

assorbite dall'atmosfera, dalla vegetazione , dalla superficie terrestre, dalla superficie degli oceani e un

importo pari viene rilasciato nell'atmosfera. Di gran lunga il più grande “serbatoio” di carbonio in questo

sistema si trova nelle profondità dell'oceano, dove esiste prevalentemente sottoforma di ioni bicarbonato

(HCO3-).

Prima della Rivoluzione Industriale, questi flussi erano vicini all’essere bilanciati, con un piccolo flusso

netto di una frazione di GtC/anno dall’atmosfera al suolo e dagli oceani all'atmosfera. Oggi c'è un flusso

di circa 2 GtC /anno dall'atmosfera verso il suolo e l’oceano: questo in parte viene compensato dall’uso di

combustibili fossili e dalla variazione della destinazione d'uso del rilascio di CO2 dalla terra all'atmosfera.

Negli oceani, l'assorbimento di questo aumento di CO2 atmosferica (Figura 2) ha portato ad una

diminuzione del pH medio delle acque superficiali oceaniche da 0,1 unità a partire dalla Rivoluzione

Industriale. Quest’acidificazione dell'oceano continuerà ad aumentare in futuro con l'aumento dei

livelli di CO2 (Fonte: Royal Society, 2005). La temperatura del pianeta è rilevata nella parte superiore

dell'atmosfera e si ottiene facendo il rapporto tra la radiazione solare assorbita e la radiazione ad onde

lunghe emessa verso lo spazio.

Qualsiasi squilibrio in questi flussi energetici costituisce una “forzatura radiativa” che provoca, in ultima

analisi, un adeguamento della temperatura media globale fino a quando l'equilibrio è ristabilito.

Ad esempio, le attività umane fin dai tempi pre-industriali sono stimate di aver prodotto una forzatura

radiativa netta di circa 1,6 W/m2. Circa la metà di questa è stata bilanciata dal riscaldamento globale di

0,8°C fino ad oggi, ma una simile quantità di ulteriore riscaldamento si avrebbe anche se i gas serra come

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la CO2 e altri fossero stati immediatamente stabilizzati ai livelli attuali. Questo ritardo nella risposta della

temperatura media globale è dovuto principalmente alla grande capacità termica degli oceani, che si

scaldano solo lentamente. Il raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto al valore pre-industriale di

550 ppm darebbe una forzatura radiativa di circa 4 W/m2 e un equilibrio al riscaldamento globale stimato

di circa 3°C (Gamma 2,0 - 4,5 °C) (Fonte: IPCC, 2007).

Figura 2. Rappresentazione del fenomeno di acidificazione delle acque oceaniche

Figura 3. Rappresentazione del ciclo globale del carbonio, dove i numeri e le frecce in nero rappresentano le

dimensioni dei flussi accumulati nello stato stazionario pre-industriale, mentre quelle in rosso rappresentano addizioni

dovute alle attività umane (in unità di GtC e GtC / anno, rispettivamente, adeguate al periodo 1990-1999). Ristampato

con l'autorizzazione di Sarmiento & Gruber (2002).

Accumuli di carbonio antropogenico. Physics Today55 (8): 30-36, 2002. American Institute of Physics.

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Il ciclo del carbonio viene suddiviso in due sottocicli:

ciclo biologico (che riguarda il passaggio del carbonio dalle piante agli animali e all’ambiente);

ciclo geochimico o ciclo inorganico del carbonio (che riguarda il passaggio del silicio dalle rocce

sedimentarie superficiali, all’atmosfera, alla biosfera e all’idrosfera)

In entrambi i cicli gioca un ruolo fondamentale l’anidride carbonica (CO2): questo composto è presente

sottoforma di gas nella nostra atmosfera e viene assorbita dalle rocce quando queste vengono alterate sia

dai processi meteorici che dalle piante nel corso della fotosintesi; quest’ultima produce tutto il carbonio

organico dell’ecosfera, come mostrato dalla biochimica del ciclo del carbonio.

Il carbonio rimane immobilizzato per periodi più o meno lunghi nelle sostanze organiche degli organismi

morti e nei rivestimenti rigidi esterni, composti per lo più da carbonato di calcio (CaCO3), di molluschi o

di altre specie animali. Il carbonio viene così sottratto al serbatoio atmosferico man mano che questi

materiali si depositano sottoforma di sedimenti, che vengono a loro volta incorporati nella crosta terrestre.

Allo stesso tempo, sostanze organiche e calcari antichi vengono erosi e alterati chimicamente dagli agenti

atmosferici e, con l’ossidazione delle sostanze organiche e la dissoluzione dei carbonati, l’anidride

carbonica viene restituita al sistema dinamico e contribuisce a mantenerlo in equilibrio.

La quantità di anidride carbonica, CO2 in atmosfera è controllata attraverso una serie di meccanismi adatti

a diverse scale temporali: per esempio l’anidride carbonica che immettiamo in atmosfera bruciando

combustibili fossili (come la benzina o il gasolio per autotrazione) viene in parte assorbita dall’oceano in

meno di 10 anni, e in parte dalle piante in circa 20 anni. Su tempi decisamente più lunghi, e cioè

dell’ordine di qualche centinaio di milione di anni, c’è un altro meccanismo di controllo basato

sull’erosione delle rocce.

In questo caso, la sorgente principale di CO2 sono i vulcani: la pioggia che cade sulla Terra trascina con sé

anidride carbonica disciolta, che a contatto con l’acqua forma acido carbonico (H2CO3) che, a sua volta, a

contatto con le rocce superficiali formate da silicati di calcio (CaSiO3) va a formare carbonato di calcio

(CaCO3) e silice o ossido di silicio (SiO2 ):

I fiumi trasportano questi minerali al mare, dove vanno a formare i sedimenti sul fondo. Se non esistesse

un meccanismo per svuotare l’oceano da tali sedimenti, nel giro di circa 100 milioni di anni tutti gli

oceani verrebbero riempiti!

Questo meccanismo è fornito dalla teoria detta “Tettonica delle Zolle”, che descrive i movimenti della

crosta terrestre: lungo le fosse oceaniche, la crosta terrestre viene sepolta per tornare nelle profondità del

mantello allo stato fuso.

Laggiù, il carbonato di calcio viene riportato ai suoi costituenti principali, tra cui l’anidride carbonica, che

viene emessa naturalmente dai vulcani. Questo è un magnifico esempio del “sistema - Terra”, perché

presuppone un’interazione evidente tra atmosfera e interno della Terra. Peraltro, questo è un meccanismo

già suggerito negli anni ’80 del secolo scorso, in grado di regolare la temperatura terrestre in modo

completamente asettico. Se l’anidride carbonica, per qualche ragione, dovesse aumentare ancora, in un

primo tempo questo comporterebbe un innalzamento della temperatura: di conseguenza, si avrebbe

un’intensificazione del processo di evaporazione di acqua dagli oceani, che determinerebbe un aumento

dell’umidità atmosferica e dell’entità delle precipitazioni.

Con l’aumento delle piogge aumenta il processo di erosione, diminuisce la concentrazione atmosferica di

anidride carbonica e quindi si riduce anche la temperatura. Questo meccanismo di regolazione della

temperatura va visto alla luce del meccanismo di feedback del vapor d’acqua. In questo caso il

meccanismo funziona su scala temporale assai più lunga.

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Immaginiamo una situazione in cui non vi siano più piogge o se le rocce superficiali fossero sottratte al

fenomeno dell’erosione: in questo caso non ci sarebbe nessun meccanismo in grado di rimuovere la CO2,

la quale seguiterebbe ad accumularsi in atmosfera, contribuendo al riscaldamento del pianeta in una

maniera abnorme (come nel caso del pianeta Venere, temperatura superficiale di 425°C, 698 K). C’è un

modo per sottrarre le rocce dall’erosione: queste dovrebbero essere ricoperte di ghiaccio per qualche

milione di anni, come accadrebbe nel caso di una Terra palla di neve o “Snowball”.

Figura 4. Schema di scambio del carbonio tra atmosfera, biosfera, litosfera ed idrosfera

Lo schema rappresenta, in sintesi, le direzioni dei flussi di carbonio (sottoforma di specie chimiche

diverse) tra le varie sfere che compongono il sistema Terra:

Atmosfera

Biosfera

Litosfera

Idrosfera

La molecola di CO2

E’ una molecola lineare caratterizzata da due doppi legami tra il carbonio centrale e i due ossigeni ai lati.

La sua struttura è apolare, termine che sta ad indicare che il baricentro delle cariche positive coincide con

quello delle cariche negative: il risultato di questa coincidenza è la neutralità della molecola.

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Ha una massa che è 3,67 volte quella di un atomo di carbonio: per convertire le masse di carbonio in CO2

devono essere moltiplicate per 3,67. Per specificare meglio ciò vengono utilizzate le masse relative di

carbonio, in quanto la quantità di carbonio rimane la stessa indipendentemente dalla sua forma chimica

(carbonio, CO2, CH4, ecc.)

Bilancio di massa della CO2

Misure provenienti da carotaggi di ghiaccio mostrano che le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono

aumentate da 280 ppmv nel periodo pre-industriale alle attuali 365 ppmv. Le continue misurazioni

atmosferiche effettuate dal 1958 dall’Osservatorio di Mauna Loa nelle Hawaii hanno dimostrato il

secolare aumento della CO2, in base alla figura seguente:

L'attuale tasso di crescita globale della CO2 atmosferica è di 1,8 ppmv/anno, corrispondente a 4,0

PgC/anno. Tale incremento è dovuto principalmente alla combustione di combustibili fossili: quando il

combustibile viene bruciato, quasi tutto il carbonio nel combustibile viene ossidato a CO2, che viene

emessa nell'atmosfera. Le statistiche di utilizzo del carburante per la stima dell’emissione di CO2

corrispondono attualmente a 6,0 ± 0.5 PgC/anno.

Un'altra fonte significativa di CO2 è la deforestazione nei tropici, in base ai tassi di invasione agricola

documentata da osservazioni satellitari, si stima che questa fonte è pari a 1,6 ± 1,0 PgC/anno.

Sostituendo i numeri di cui sopra in una equazione globale di bilancio di massa per la CO2 atmosferica:

Troviamo che la sommatoria delle fonti = 6.0 + 1.6 - 4.0 = 3.6 PgC/anno. Solo la metà della CO2 emessa

dalla combustione di combustibili fossili e dalla deforestazione in realtà si accumula nell'atmosfera.

L'altra metà è trasferita in altri serbatoi geochimici (oceani, biosfera, e suoli). Abbiamo bisogno di

comprendere i fattori che controllano gli accumuli, al fine di prevedere le tendenze future di CO2

atmosferica e valutare le loro implicazioni per il cambiamento climatico. Un accumulo nella biosfera

significherebbe che il combustibile fossile CO2 avrebbe un effetto fertilizzante, con possibili importanti

conseguenze ecologiche.

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Fotosintesi

La vegetazione terrestre e i terreni contengono 3 volte più carbonio di quello contenuto nell’aria.

Ogni anno, con il processo fotosintetico, più di 100 PgC che esistono nell´atmosfera in forma di CO2 sono

catturati dalla biodiversità terrestre e più di 40 PgC dalla biodiversità marina. In questo modo in pochi

anni tutta la CO2 atmosferica può essere riciclata dall’attivitá vegetativa.

In maniera semplice la fotosintesi o reazione clorofilliana può scriversi nella seguente forma:

Dove CH2O rappresenta la combinazione molecolare base dello zucchero (per esempio la formula del

glucosio è C6H12O6).

Ogni molecola di CO2 dell´aria viene convertita in un atomo di carbonio organico (Corg) che passa a

formare parte di uno zucchero, e una molecola residua di ossigeno (O2) che passa nel serbatoio

dell’atmosfera. Per questo anche se in forma più schematica, la reazione della fotosintesi può scriversi

così:

Ossidazione

La fotosintesi ha la sua contropartita nella respirazione metabolica della maggior parte dei batteri, delle

piante e degli animali. La respirazione consiste chimicamente nell’ossidazione del carbonio organico,

reazione in cui rilascia CO2 e calore:

Concretamente la reazione completa di ossidazione di una parte di glucosio é:

In questo modo la maggior parte del Corg creato dalla fotosintesi si consuma velocemente e si ossida,

tornando a formare CO2, sia nella respirazione metabolica degli stessi organismi fotosintetici autotrofi che

lo hanno creato (batteri, alghe, piante), sia per la respirazione degli animali eterotrofi che si alimentano di

questi. L’animale uomo, che segua una dieta media di 2.800 kcal/giorno, produce più di 1 Kg di CO2.

Un’altra piccola parte è costituita dal carbonio contenuto nei resti e cadaveri di batteri, piante e animali,

che viene anche ossidato, in una reazione di decomposizione simile alla respirazione.

Se queste due reazioni biochimiche opposte, fotosintesi e ossidazione, fossero state sempre della stessa

intensità, non ci sarebbero in questo ciclo né perdite né guadagni di CO2 atmosferico, né si sarebbe

accumulato ossigeno nell’atmosfera. Il carbonio contenuto nella materia organica, creata nella fotosintesi,

vegetale e trasmessa dalla catena alimentare alla vita animale, sarebbe restituito all´atmosfera in forma di

CO2 con l’ossidazione derivata dalla respirazione metabolica e dalla putrefazione della materia morta. Ma

non tutto il carbonio formato nella fotosintesi viene consumato, poiché una certa quantità contenuta nei

resti fossili di piante e animali, resta interrato nelle rocce senza possibilità di essere ossidato e convertito

di nuovo in CO2.

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Interramento del carbonio organico

Nei continenti, questa distinzione tra ossidazione e fotosintesi avviene quando la vegetazione morta è

interrata nei fondali di laghi, paludi e pianure deltaiche. Così il carbonio organico viene isolato

dall’ossigeno atmosferico, non si ossida e quindi fossilizza. Il carbonio resta lì senza potersi ossidare

completamente e in questo modo viene restituito all’aria: in parte si trasforma in idrati di carbonio e

idrocarburi.

L’interramento del carbonio organico è molto efficiente: solo lo 0,05 PgC/anno di un totale di 140

PgC/anno prodotto con la fotosintesi nei mari e continenti finisce nelle rocce sedimentarie.

La produzione netta di ossigeno dovuta a questo processo è anche molto poca: per ogni atomo di carbonio

interrato, con peso atomico 12, viene rilasciata una molecola di O2, con peso atomico 32, la fonte di

ossigeno è 0,05 x (32/12) = 0,13 Pg /anno, quantità piccola se la compariamo con l’ossigeno esistente

nell’atmosfera che è di 1:105 Pg .

Nelle epoche passate i ritmi di interramento possono essere stati superiori, il che spiega come alcuni

giacimenti di carbone superano a volte i 5.000 metri di spessore. Le condizioni topografiche ideali per la

formazione di questi depositi sono, oltre alla vegetazione abbondante e di ciclo rapido, l’esistenza di

conche collettrici e di inondamento lento e progressivo, dove possono accatastarsi grandi quantità di

materiale vegetale e dove penetra poco materiale erosivo e che non sia di tipo organico. Così in un lungo

e complesso processo biochimico di trasformazione, in cui intervengono anche i batteri, si formano acidi

organici e carbone. Nel corso della carbonizzazione si rilasciano per via chimico-fisica, acqua, metano e

gruppi idrossilici, che si formano dalla torba iniziale, dando luogo ad un carbone via via sempre più puro.

Pompe marine biologiche

Gran parte della fotosintesi nella biosfera è effettuata dal fitoplancton marino: circa 40 PgC annui. Il

fitoplancton vive nelle prime decine di metri della superficie oceanica, nella zona eufotica, lì fin dove

arriva la luce del Sole. Questi microscopici organismi trasformano i nutrienti in materia organica vegetale

che continuamente vengono raccolti e assunti dallo zooplancton: esso metabolizza l’alimento, respira e

restituisce all’acqua parte della CO2, producendo però anche residui organici che cadono nel fondo

marino in forma di espulsioni fecali.

La massa di questi residui, della materia organica e degli esoscheletri e carapaci del plancton morto e che

non è stata ossidata, rappresenta qualcosa come il 25% della biomassa prodotta. Questo fa sì che

diminuisca la pressione dell’anidride carbonica (pCO2) dell’acqua superficiale e che per pareggiarlo gli

oceani assorbino la CO2 dell´aria, per cui la concentrazione di CO2 atmosferica diminuisce quando

aumenta la produttività biologica marina.

Durante la caduta verso le profondità oceaniche, quasi tutta la materia organica che si calcola in circa

16 PgC annui viene inghiottita e ossidata dai batteri e microbi eterotrofici che, al tempo stesso, respirano

ed esalano CO2 (Fonte: Azam, 2001; Giorgio & Duarte, 2002). La concentrazione di CO2 all’interno degli

oceani si moltiplica per 3 rispetto alla superficie. Così, dopo l’esportazione del carbonio organico dalla

zona eufotica verso le profondità marine, che si suole chiamare “pompa biologica” seguita dalla

remineralizzazione del carbonio organico (riconversione del carbonio organico disciolto in forma di CO2),

fa sì che esista un gradiente verticale nella concentrazione di CO2 disciolta nell’acqua (DIC Dissolved

Inorganic Carbon), che aumenta con la profondità. In ogni caso una piccola quantità di materia organica

riesce ad arrivare sul fondo e rimane interrata, che è dell´ordine di circa 0,05 PgC/anno e passa a formare

parte delle rocce sedimentarie. In stati concentrati può formare depositi di idrocarburi gassosi (metano) o

liquidi (petrolio) che riempiono i pori delle rocce spugnose come l’arenaria o possono impregnare di

carbonio organico altri sedimenti minerali come le argille. Si chiama kerogeno questo carbonio organico

che non sedimenta in forma compatta fino a che impregna di carbonio gli altri sedimenti. Il Kerogeno

delle rocce nel suo complesso contiene più carbonio di tutti i giacimenti di carbone e petrolio, però si

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trova molto sparso, impregnando diversi tipi di rocce, per cui il suo sfruttamento come combustibile è

molto più difficile.

Il “pompaggio biologico” dipende prima dall’attivitá del fitoplancton, e questa a sua volta, dipende dalla

maggiore o minore abbondanza di nutrienti in superficie, specialmente di nitrati, fosfati e ferro. Si pensa

che proprio il ferro sia il più importante elemento per lo sviluppo del fitoplancton: ciò significa che con

più ferro anche le zone che ne contengono poco, come il centro-sud del Pacifico con la sua fertilizzazione,

un giorno anche queste zone e altre potrebbero accelerare l´attivitá fitoplanctonica e fissare enormi

quantità di CO2 dall’atmosfera, riducendo così il fenomeno dell’ “inquinamento da CO2”.

Sono stati effettuati degli esperimenti in tal senso ma i risultati non sono stati così positivi come la teoria

diceva in principio ( Fonti: Boyd, 2000; Dalton, 2002; Zeebe, 2005).

Evoluzione della concentrazione di ossigeno

Attualmente la miscela di gas che compone l’aria è formata dal 21% di ossigeno (Fonte: Sleep, 2001) ma

adesso, in base a recenti ricerche, si pensa che sia stato un processo molto lento e che non arrivò a livelli

importanti fino a 600 milioni di anni fa, alla fine del Precambriano, come è stato provato dalla comparsa

in quel periodo di esseri viventi più complessi che necessitarono di più O2 e che poterono svilupparsi solo

grazie ad un volume adeguato di ossigeno. (Fonte: Lenton, 2004).

Quando abbonda l’interramento di materia organica, la reazione si sviluppa

producendo ossigeno che viene rilasciato in atmosfera: ma esso non è solo controllato dal ciclo

biochimico del carbonio ma anche da quello dello zolfo.

La materia organica del suolo aiuta la riduzione batterica dei solfati, la produzione di acido solfidrico e la

precipitazione della pirite (FeS2) come segue:

Dalle analisi risulta che negli ultimi 540 milioni di anni il contenuto di ossigeno nell’atmosfera è oscillato

tra il 15% e il 35% e il massimo si raggiunse durante il periodo detto Carbonifero finale, quindi, all’inizio

del periodo Permiano, circa 300 milioni di anni fa, poi scese bruscamente al 15% durante la transizione

tra il Permiano e il Triassico, circa 250 milioni di anni fa. La ragione della forte salita nel finale del

Carbonifero sembra essere legata ad un intenso e continuo interramento di materiale organico dovuto allo

sviluppo di piante legnose nei continenti (Fonte: Berner, 1999; 2003).

La successiva diminuzione di concentrazione di O2 che arrivò anche ad un solo 10% all´inizio del

Giurassico, (circa 200 milioni di anni fa) può essere dovuta ad un raffreddamento e ad un aumento della

siccità che diminuì lo sviluppo delle piante e quindi gli interramenti. Poi l’ossigeno aumentò fino alla

concentrazione attuale aiutando lo sviluppo dei grandi mammiferi (Fonte: Falkowski, 2005).

Quando appare un processo che rompe l’equilibrio, ne appare un altro che lo ristabilisce. Per esempio se

l´atmosfera guadagna ossigeno per una intensificazione della fotosintesi può succedere:

a) che si intensifichi anche l’ossidazione delle rocce con conseguente perdita di ossigeno;

b) che avendo più ossigeno prolificano nel suolo microorganismi eterotrofi che mangiano e ossidano la

materia organica interrata e che fa diminuire anche l’ossigeno dell’aria;

c) che con più ossigeno aumenta la probabilità di incendi giganteschi (come avvenne 400 milioni di anni

fa) e con la combustione si riduce di nuovo l’ossigeno ristabilendo l’equilibrio. I processi contrari e altri

avverrebbero se l’ossigeno diminuisse.

Page 16: Geoingegneria

16

Aspetti marini

Il mare contiene in soluzione 50 volte più carbonio che nella CO2 dell’aria: 40.000 PgC e 750 PgC,

rispettivamente (1PgC = 1 Petagrammo Carbonio = 106 tonnellate di Carbonio). Tra la superficie del mare

e l´aria esiste, in entrambi i sensi, un continuo scambio di CO2. In alcune epoche il mare si comporta

come una fonte di CO2 atmosferico e in altre come un serbatoio.

L’abbondanza di carbonio nel serbatoio oceanico si spiega, in parte, per l’alta solubilità della CO2 e per la

sua facilità di reagire chimicamente con l’acqua. Infatti, l’anidride carbonica disciolta si combina con

l’acqua di mare formando acido carbonico (H2CO3), che immediatamente si dissocia in ioni di

bicarbonato (HCO3-) e di carbonato (CO3

2-). Quasi tutto il carbonio disciolto è nella forma di questi due

ioni: circa l’85% in forma di bicarbonato e circa il 15% in forma di carbonato, e solo lo 0,5% di tutto il

carbonio inorganico disciolto è nella forma di CO2 gassoso, e la concentrazione di acido carbonico

(H2CO3) è ancora minore.

La pressione della CO2 nell’acqua (pCO2) dipende direttamente dalla sua concentrazione e inversamente

dalla sua solubilità. Per esempio, quando l’acqua si raffredda, la solubilità della CO2 aumenta, perché i

gas sono più solubili in acqua fredda che calda, con questo diminuisce la pCO2 nell’acqua. Si produce uno

squilibrio tra le pressioni pCO2 della superficie dell’acqua e l’aria a contatto con questa, e allora l’acqua

assorbe più CO2 aumentando la sua concentrazione: come conseguenza, diminuisce la concentrazione di

CO2 nell’aria. Il processo inverso succede quando l’acqua si riscalda. Pertanto quando si raffreddano le

acque, l’oceano assorbe CO2 dall’aria e fa diminuire la sua concentrazione nell’atmosfera, e al contrario,

quando esse si riscaldano, l’oceano rilascia CO2 e aumenta la sua concentrazione nell’atmosfera.

Nei processi di interscambio tra mare e aria è importante tenere conto delle correnti termoaline, che fanno

sì che in alcune regioni le correnti marine, che portano con sé CO2 disciolto, affondano e in altre zone

affiorano. Attualmente in alcune regioni ad alte latitudini, mari nordici, del Labrador e mari costieri

antartici, l’acqua fredda superficiale, ricca di CO2, affonda portando con sé il carbonio che con le correnti

profonde oceaniche, si sparge ovunque negli oceani. In altre zone l’acqua marina profonda affiora in

superficie e riscaldandosi si sovrasatura, rilasciando la CO2 nell’aria. Le zone a ventilazione maggiore si

trovano nelle zone tropicali del Pacifico e nei mari del Sud.

L’affondamento (downwelling) e l’affioramento (upwelling) dell´acqua provocato da queste correnti

termoaline, i cui flussi globali di carbonio sono molto importanti e differenti, da circa 25 e 28 PgC/anno

rispettivamente, contribuiscono al riciclaggio della CO2 tra i mari e l’aria. La sua alterazione modifica i

flussi di interscambio e altera la concentrazione di CO2 nell’atmosfera: se l’intensità della ventilazione

rallenta, le acque oceaniche profonde non rilasciano la CO2 di cui sono composte nel pompaggio

biologico e, di conseguenza, la concentrazione di CO2 diminuisce nell’atmosfera. Al contrario, se il

circuito termoalino si intensifica, la ventilazione oceanica aumenta e la concentrazione di

CO2 nell’atmosfera aumenta anch’essa.

Chimica dei carbonati nell’oceano

L'anidride carbonica si dissolve nell'oceano per formare H2CO3 (acido carbonico), un acido diprotico

debole, che si dissocia a HCO3- (bicarbonato) e CO3

2- (carbonato). Questo processo è descritto dagli

equilibri chimici:

Page 17: Geoingegneria

17

con costanti di equilibrio 3x10-2 M atm-1, = 9x10-7 M

(pK1 = 6.1) e

7x10-10 M (pK2 = 9.2). Qui è la costante di Henry, che

descrive l'equilibrio della CO2 tra la fase gassosa e acquosa, K1 e K2 sono la prima e la seconda costante

di dissociazione dell’acido carbonico. I valori indicati qui per le costanti sono tipiche dell’acqua di mare e

tengono conto delle correzioni della forza ionica, della formazione di complessi, e degli effetti di

temperatura e pressione.

Il pH dell’oceano è di 8.2. L'alcalinità del mare viene mantenuta dall’erosione delle rocce di base

(Al2O3, SiO2, CaCO3) sulla superficie dei continenti, seguita da deflusso degli ioni disciolti dai fiumi

verso l'oceano. pK1 < pH < pK2 la maggior parte della CO2 disciolta nell'oceano è in forma di HCO3- :

Speciazione del carbonato totale di CO2 (aq) in acqua di mare vs pH

Rappresentiamo la frazione atmosferica F di CO2 nel sistema atmosfera-oceano:

dove è il numero totale delle molecole di CO2 nell’atmosfera e è il numero totale di

molecole di CO2 dissolte nell’oceano come H2CO3, HCO3-, CO3

2-:

Le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera e nell'oceano sono legati dall’equilibrio:

Page 18: Geoingegneria

18

e è in relazione a al livello del mare attraverso la Legge di Dalton:

Dove P = 1 atm è la pressione atmosferica al livello del mare ed 1.8x1020

moli nel numero totale di

moli dell’aria.

Assumendo che l'intero oceano per essere in equilibrio con l'atmosfera, mettiamo in relazione a

[ ] per il volume totale Voc = 1,4 x 1018 m3 del mare:

E alla fine si ottiene per F:

Per un oceano avente pH di 8.2 e altri valori numerici sopra indicati si ottiene per F = 0,03. All'equilibrio,

quasi tutta la CO2 è disciolta nell’oceano, solo il 3% si trova in atmosfera. Il valore di F è estremamente

sensibile al pH. Nell’assenza di alcalinità oceanica, la maggior parte delle emissioni di CO2 sarebbero

partizionate in atmosfera.

Dipendenza dal pH della frazione F atmosferica di CO2 in equilibrio nel sistema atmosfera-oceano

In equilibrio, il 28% di CO2 emessa dall’oceano rimane nell'atmosfera e il resto è incorporato in esso. La

grande differenza rispetto al valore del 3% riflette previamente l’elevato feedback positivo che deriva

dall’aggiunta di CO2, che da luogo al fenomeno dell’acidificazione degli oceani.

Questo equilibrio non è in realtà realizzato a causa della miscelazione lenta dell'oceano. Qui di seguito si

mostra un modello semplice (box) per la circolazione oceanica.

Page 19: Geoingegneria

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Modello box per la circolazione di acqua nell'oceano. Le giacenze sono in 1015

m3 e i flussi sono in 10

15 m

3/anno

Il modello Box del ciclo del carbonio

Si presenta un modello a scatola del ciclo di carbonio in condizioni di equilibrio preindustriali.

L’assorbimento da parte della biosfera e degli oceani rappresentano serbatoi di grandezza paragonabili a

quelli relativi alla CO2 atmosferica, con conseguente tempo di residenza atmosferica di CO2 di 5 anni:

Il ciclo del carbonio preindustriale. Le giacenze sono espresse in PgC, mentre i flussi in PgC/anno

Come incide la Geoingegneria sul ciclo del carbonio?

E’ interessante riscontrare gli effetti che la Geoingegneria esercita sul ciclo del carbonio: essa infatti è in

grado di ridurre le concentrazioni di CO2 atmosferica e questo è previsto dalla natura duale di feedback

del ciclo del carbonio. La Geoingegneria permette ai serbatoi di carbonio naturali di stoccare anidride

carbonica senza avere gli svantaggi associati alle alte temperature e quindi questi accumuli diventano

Page 20: Geoingegneria

20

molto importanti e si è riscontrato che il sequestro era dovuto quasi interamente nella terraferma, piuttosto

che nell’oceano:

Figura 5a. Grafico che mostra la variazione dei flussi di carbonio dall’atmosfera alla superficie terrestre,

considerando l’intervento della Geoingegneria

In questo grafico, i valori positivi indicano che la Terra è un “pozzo” di carbonio netto che assorbe CO2,

mentre i valori negativi indicano un rilascio di CO2. Notare i picchi di grandi dimensioni negative quando

la tecnica di geoingegneria non è attiva: la terra, come risposta al riscaldamento improvviso, butta fuori

la maggior parte del carbonio che aveva precedentemente assorbito.

All’interno della componente terrestre, si è scoperto che l’accrescimento del serbatoio di carbonio è

dovuto quasi interamente a quello presente nel suolo, invece di quello contenuto nella vegetazione.

Figura 5b. Grafico che mostra la variazione dei flussi di carbonio nel suolo, considerando l’intervento della

Geoingegneria

Page 21: Geoingegneria

21

Questo grafico mostra il contenuto totale di carbonio parametrizzato rispetto ai flussi, inteso come

l’integrale del precedente grafico, senza considerare il carbonio contenuto nella vegetazione.

Figura 5c. Grafico che mostra la variazione del pH superficiale marino, considerando l’intervento della

Geoingegneria

Fonti grafici a,b,c: “Transient climate-carbon simulations of planetary geoengineering” D.Matthews, K.Caldeira,

Dipartimento di Ecologia globale, Università di Stanford, CA USA (2007)

Infine, la minore CO2 atmosferica, ha determinato un maggiore discioglimento di CO2 nel mare,

alleviando leggermente il fenomeno dell’acidificazione degli oceani. Questo beneficio viene a perdersi

rapidamente quando la Geoingegneria viene meno.

Si è studiato il potenziale di un’altra tecnica specifica di geoingegneria: il sequestro del carbonio

attraverso la meteorizzazione artificiale dei silicati mediante la dissoluzione di olivine. Questo

approccio non solo opera contro il rialzo delle temperature, ma si oppone anche all’acidificazione degli

oceani. Se vengono presi in considerazione dettagli della chimica marina, un nuovo rapporto di massa di

sequestro della CO2 di circa 1 per la dissoluzione di olivine, viene precedentemente assunto il 20% in

meno. Si calcola che questo approccio abbia il potenziale di sequestrare direttamente fino a 1 PgC/anno,

se le olivine venissero distribuite come polveri fini su aree terrestri umide dei tropici, ma questa

percentuale è limitata dalla concentrazione di saturazione di acido silicico. Questi tassi di sequestro limite

superiori provengono dal valore dei costi ambientali del pH nei fiumi che, per esempio, sale a 8,2 per

quelli dell'Amazzonia e del Congo (Fonte: Köhler et al., 2010).

Gli effetti secondari dell'input di acido silicico connesso con questo approccio conduce in un modello di

ecosistema (Re-COM2.0 in un modello GCM elaborato dal MIT) che spostano via le specie soggette a

calcificazione in direzione delle diatomee, alterando in tal modo le pompe di carbonio biologiche.

A tal proposito, uno studio condotto dai ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli,

pubblicato sulla rivista Nature, rivela che una risposta all'effetto serra potrà venire proprio dalle diatomee,

alghe unicellulari reperibili in acque dolci e marine. Studiando il loro genoma della diatomea

Phaeodactylum tricornutum, hanno scoperto che questi organismi nel corso della loro evoluzione hanno

assorbito i geni di altre specie animali e vegetali e le loro caratteristiche nutrizionali più “vincenti”.

Secondo i ricercatori innescando una riproduzione di massa di queste diatomee, si potrebbe risolvere il

problema dell'anidride carbonica atmosferica in eccesso, che causa l'effetto serra, grazie alla loro

efficienza nell'assorbire CO2 e utilizzarla, come ogni vegetale, per il proprio sostentamento, liberando

ossigeno.

Nel corso della loro evoluzione queste alghe hanno acquisito molti geni vantaggiosi da batteri, animali e

Page 22: Geoingegneria

22

piante, e proprio questi hanno loro consentito di svolgere il ruolo fondamentale che oggi ricoprono negli

oceani.

La dissoluzione in oceano aperto di olivine sequestrerebbe circa 1 Pg CO2 per Pg olivina di cui circa l'8%

sono causa di modificazioni apportate alle pompe biologiche (aumento delle esportazioni di materia

organica, diminuzione delle uscite di CaCO3). L'impatto chimico di scioglimento in mare aperto

dell’olivina (aumento dell’alcalinità in entrata) è dapprima quindi meno efficiente dello scioglimento

sulla terra, ma porta, a causa di impatti chimici ad un incremento del valore di pH sulla superficie per

contrastare l'acidificazione dell’oceano. Abbiamo finalmente osservato sui tassi in oceani aperti lo

scioglimento fino a 10 Pg di olivine ogni anno, corrispondente ai tassi di geoingegneria, che potrebbero

essere di interesse alla luce di future emissioni (con aumento delle stesse a 30 PgC/anno nel 2100 d.C.).

Questi tassi sarebbero sequestrati soltanto del 20% in meno rispetto alle emissioni fino al 2100, ma

potrebbero richiedere che l'attuale capacità disponibile di petroliere e navi da trasporto venisse utilizzata

per la dissoluzione di olivine dieci volte l'anno.

Tecniche di Geoingegneria CDR (Assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera)

Le tecniche CDR riducono la concentrazione atmosferica dell’anidride carbonica. Questo effetto viene

ottenuto in primo luogo manipolando gli ecosistemi al fine di aumentare in modo mirato l’assorbimento

dei gas serra nella biomassa terrestre o marina.

I metodi di CDR sono supportati da una serie di individui ed organizzazioni come l’IPCC

(Intergovernmental Panel on Climate Change), l’UNFCCC (United Nations Framework Convention on

Climate Change), il WWI (World Watch Institute), il WWF (World Wide Found for Nature) e il Centro

Lenfest per l’Energia Sostenibile presso l’Istituto della Columbia University e l’OCSE (Organizzazione

per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).

Oltre a questi approcci, in parte noti da tempo, sono state proposte anche soluzioni nuove e puramente

tecniche per assorbire e immagazzinare la CO2.

Analizziamo una per una le tecniche CDR e i meccanismi di azione più importanti:

Fertilizzazione degli oceani con ferro e altre sostanze nutritive

Gli oceani svolgono un ruolo enorme nella definizione del clima planetario, sia attraverso il trasporto del

calore e fornitura di vapore acqueo, che attraverso l'assorbimento di una grande frazione di CO2 dei

combustibili fossili. Le stime relative all’accumulo netto nell'oceano di CO2 ammontano a circa il 40%

delle emissioni derivanti dai combustibili fossili (attraverso la reazione del gas CO2 con lo ione carbonato

contenuto sulla superficie dell' intero oceano, e basate su modelli derivati da Oeschger et al. 1975.), che

sono attualmente vicine a 3 GtC /anno mentre, recentemente, Tans et al. (1990) riportano un valore molto

più basso di 0,6 GtC/anno.

Il ruolo oceanico dipende quasi totalmente dal tasso di miscelazione e di alcalinità.

L'importo potenziale di carbonio totale che potrebbe essere utilizzato dalla fotosintesi oceanica è stato

stimato essere di 35 Gt/anno.

Nel 1984, tre gruppi di ricerca hanno pubblicato indipendenti ipotesi su questo fenomeno (Knox e

McElroy; Sarmiento e Toggweiler; Siegenthaler e Wenk). Ognuno è giunto alla conclusione che la chiave

è nelle concentrazioni di nutrienti, nelle regioni superficiali oceaniche polari. In settori come l'estremo

nord del Pacifico e l'oceano circumpolare antartico, sono inutilizzate alte concentrazioni di nitrati e fosfati

(gli ingredienti chiave per la crescita delle piante). I modelli del 1984 hanno dimostrato che, se questi

nutrienti sono stati assimilati, la conversione di CO2 in carbonio organico potrebbe facilmente spiegare il

segnale dell’era glaciale. Questi nutrienti possono essere considerati come un'importante capacità chimica

Page 23: Geoingegneria

23

dell'oceano inutilizzata, uno di una scala che incide significativamente sull'equilibrio globale del

carbonio.

La fertilizzazione degli oceani con il ferro è un metodo proposto per far aumentare la quantità di

alghe per l'assorbimento di CO2. L’anidride carbonica necessaria per tale crescita viene fornita in parte

dall’atmosfera: quando le alghe muoiono e si depositano sul fondo marino, il carbonio presente nella

biomassa non si diffonde nell’atmosfera.

Questa metodica consiste nello scaricare in mare tonnellate di solfato di ferro, che si trova o nella

forma ferrosa FeSO4 oppure nella forma ferrica Fe2 (SO4)3. Per verificare la funzionalità di questo

metodo, alcuni scienziati indiani dell’Istituto Nazionale di Oceanografia in collaborazione con quelli

tedeschi dell’Istituto Alfred Wegener e altri 50 scienziati arrivati da diverse nazioni come la Spagna, Cile,

Francia, Gran Bretagna e anche dall’Italia, hanno preso parte ad un esperimento denominato Lohafex

(termine che deriva da “Loha” parola hindi che significa ferro e “fex” sta per esperimento di

fertilizzazione).

Il gruppo di scienziati dei 7 Paesi è salpato il 7 Gennaio del 2009 da Cape Town, in Sudafrica, sulla nave

Polarsten diretta verso il Mare di Scozia, in una zona a sud dell’Oceano Atlantico tra Argentina e la

Penisola Antartica. Lì sono state scaricate 20 tonnellate di solfato di ferro in 2 mesi e mezzo su una

superficie oceanica di 300 km2 attraverso cui gli scienziati hanno cercato di stimolare la crescita

delle alghe per aumentare così il loro assorbimento della CO2.

Nonostante le avverse condizioni meteo, gli scienziati hanno analizzato per 39 giorni gli effetti del

supplemento di ferro sul plancton e sulla chimica dell’oceano.

In un primo momento, tutto sembrava procedere come previsto: il ferro stimolava la crescita del

fitoplancton (la parte vegetale del plancton), che era raddoppiato in numero nel corso delle prime 2

settimane dello studio ma poi, improvvisamente, è intervenuto lo zooplancton (la parte animale), che per

mezzo della catena alimentare ha provveduto a riequilibrare il rapporto tra il numero delle prede e quello

dei loro predatori (principio ecologico di Lotka-Volterra). Questo fenomeno è stato spiegato dal dott.

Wajih Naqvi, del NIO (National Institute of Oceanography) indiano: “la crescente pressione di pascolo

dello zooplancton composto da piccoli crostacei (copepodi) ha impedito l’ulteriore fioritura di

fitoplancton”.

L’aumento abnorme della popolazione di zooplancton ha tenuto sotto controllo quella di fitoplancton,

impedendo un ulteriore assorbimento di CO2. Di conseguenza, solo una percentuale minima di carbonio è

stata sottratta agli strati superficiali per essere immagazzinata nelle profondità oceaniche.

Esperimenti effettuati negli anni passati avevano portato a risultati piuttosto diversi, in quanto

significative quantità di carbonio erano state spostate nelle profondità dell’oceano. Cos’era cambiato?

Secondo gli scienziati, le sperimentazioni avevano innescato fioriture di diatomee, un tipo di alga

composta da una conchiglia formata da ossido di silicio SiO2, sviluppata come arma difensiva contro

l’eccessiva proliferazione della popolazione di zooplancton. Quando le diatomee muoiono, la scarsità di

acido salicilico, componente principale del rivestimento esterno dell’alga, ha impedito loro di prosperare

nel sito dove è stato condotto l’esperimento Lohafex.

Nel frattempo, l’esperimento ha continuato a dare risultati stupefacenti, come dichiarato dal prof. Victor

Smetacek, dell’Istituto tedesco Alfred Wegener per la Ricerca Polare e Marina: “con grande sorpresa,

l’area fertilizzata con ferro ha attratto un gran numero di predatori dello zooplancton, appartenenti al

gruppo di crostacei noto come anfipodi”.

Dopo tre settimane di esperimenti, gli scienziati hanno versato altre quantità di ferro nella zona senza però

provocare alcun effetto sul fitoplancton, segno evidente che l’area ne era già satura.

La spedizione ha fatto ritorno a Bremerhaven, in Germania verso la fine di Maggio del 2009 e, come

espresso dal dott. Naqvi “l’esperimento ha rappresentato il primo esempio di collaborazione

internazionale nelle scienze oceaniche interdisciplinari”.

Page 24: Geoingegneria

24

La fertilizzazione oceanica ha generato pareri piuttosto discordanti tra gli ambientalisti e i ricercatori: per

i primi, rappresentati dall’Africa Centre for Biosafety, l’esperimento Lohafex ha violato una moratoria

varata dalle Nazioni Unite, che bandisce le attività di fertilizzazione e permette di creare solo esperimenti

pilota su piccola scala, mentre per i ricercatori non vi è alcuna violazione.

I dati raccolti dall’esperimento hanno portato alla conclusione che, nonostante l’immissione di tonnellate

di fertilizzante ferroso nell’oceano, non c’è stato verso di far crescere ulteriormente il fito e lo

zooplancton, quindi sostanzialmente tutta la spedizione è stata un generale fallimento: ad oggi, la

fertilizzazione oceanica con ferro non è considerata ancora un valido sistema per catturare la CO2

dall’aria!

Figura 5. Nave “Polarstern” che ha condotto l’esperimento e relativo logo

Costi stimati

Ci sono due basi per il costo di fertilizzazione con ferro, uno basato sul lavoro di Martin, e l'altro sulla

base del laboratorio NRC (National Research Council): quello di Martin indicherebbe che la

fertilizzazione di tutti gli oceani del Sud potrebbe essere realizzata con solo 0,43 milioni di tonnellate di

ferro (Fe) per anno, l'importo necessario per supportare la rimozione di 2 o 3 GtC /anno (Fonte: Martin,

1990). Egli non dà alcun numero per la zona di oceano da fecondare e neanche alcuna forma chimica

specifica per il ferro.

Il laboratorio NRC suggerisce che la fertilizzazione con ferro possa rimuovere una media di 1,8 GtC

/anno per un periodo di 100 anni. Il laboratorio propone un'applicazione da 1 a 5 Mt Fe/anno sottoforma

di una soluzione di cloruro ferroso (FeCl2), "o magari in qualche altra forma," e definisce l'area da

fecondare come "circa 18 milioni di miglia quadrate".

I costi stimati saranno rappresentati dalle operazioni delle navi, e dal costo dei prodotti chimici.

Saranno prese in considerazione, per stimare gli effetti in un 1 milione di miglia nautiche quadrate, una

zona suddivisa in corsie da 1 miglio. Tutto ciò genera 1 milione di miglia di vapore ogni anno. Quindici

navi, ognuna delle quali emette vapore per 240 miglia al giorno (alla velocità di 10 nodi) per 300 giorni

all'anno, viaggerebbero per 1 milione di miglia. Quando viene considerato il tempo di rifornimento, è

possibile quantificare che 20 navi, ciascuna avente una capacità di 10 mila tonnellate, venga riempita

ognuna di vapore ogni 2 mesi.

Se si assume un costo di 100 milioni di dollari a nave, avente ognuna un costo di esercizio di 10.000

dollari al giorno, otteniamo un costo per la flotta intera di 2 miliardi di dollari, attribuendo un costo annuo

del capitale (ammortamento in 20 anni) di 0.10 miliardi di dollari e un costo operativo annuale di 73

milioni di dollari. Si arriva così ad un costo totale di esercizio annuo, di 173 milioni di dollari per una

copertura di

1 milione di chilometri quadrati. Per 18 milioni di chilometri quadrati il sistema deve essere aumentato in

dimensioni di un fattore pari a 18, dando circa 3 miliardi di dollari all'anno. Nell'Oceano Antartico

Page 25: Geoingegneria

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dobbiamo dare una concessione generosa per contingenze atmosferiche: in questo caso usiamo un fattore

pari a 3, dando una stima di 9 miliardi di dollari all'anno per le operazioni e i costi delle navi. A questo

possiamo aggiungere 1 miliardo di dollari all'anno per le operazioni generali di sistema, dando un costo

totale di operazioni di 10 miliardi di dollari all'anno.

Per le stime di valutazione si deve aggiungere il costo legato alla fertilizzazione con ferro. Di solito, la

forma di ferro che viene assorbita facilmente dagli organismi viventi è la forma ferrosa: il composto più

economico e facilmente disponibile è il solfato ferroso. Le 0,43 Mt di ferro stimate da Martin sono pari a

circa

1,2 milioni di tonnellate di solfato ferroso, che può essere acquistato in massa ad un costo che va dai 10

ai 15 dollari a tonnellata (Fonte: Reporter Marketing Chemical, 1991), per un totale da 12 a 18 milioni

di dollari all'anno.

Il cloruro ferroso, citato dal laboratorio NRC, è molto più costoso del solfato ferroso. Può essere

acquistato in massa per 220 dollari a tonnellata di Fe nel settore chimico (Fonti: Alfred M. Tenney,

Eaglebrook, Inc., private communication to Lynn Lewis, GM Research, 11 aprile 1991). La richiesta del

gruppo di lavoro del laboratorio NRC da 1 a 5 Mt Fe dà un costo di cloruro ferroso da 0,22 a 1,1 miliardi

di dollari all'anno.

In questo modo il range dei costi della chimica può essere compreso tra 0,012 e 1,1 miliardi di dollari

all'anno. Tuttavia, sia il solfato ferroso che il cloruro ferroso sono relativamente economici, perché sono il

prodotto di scarto del "decapaggio" dell’acciaio con l’acido.

L’attuale disponibilità di cloruro ferroso nel Nord America è stimata essere di circa 1,5x105 tonnellate di

ferro equivalente, e l'importo mondiale può ammontare ad un milione di tonnellate

(Fonte: Alfred M. Tenney, Eaglebrook, Inc., comunicazione a Lynn Lewis, GM Research, 1991).

Se assumiamo che il prezzo sarà inferiore a 100 volte il prezzo corrente di cloruro di ferro, si ottiene una

gamma totale dei costi per la fertilizzazione con esso di 0,010 a 100 miliardi di dollari all'anno.

Aggiungendo il costo delle operazioni a quello relativo dei fertilizzanti, otteniamo un range di costo

che va da 10 a 110 miliardi di dollari all'anno. Questo consentirà di mitigare da 1,8 a 3 GtC (usando il

range sia di Martin che del laboratorio NRC), equivalente alla riduzione di circa 7-11 GtCO2/anno,

ottenendo un range finale da circa 1 a 15 dollari per tonnellata di CO2/anno.

Gestione ed uso del territorio: rimboschimento e prevenzione disboscamenti

Con una gestione mirata dell’uso del territorio si ottiene un accumulo delle riserve di carbonio nella

biomassa e nel suolo.

Gli ecosistemi terrestri rimuovono circa 3 GtC/anno dall’ambiente attraverso la crescita netta, assorbendo

circa il 30% delle emissioni di CO2, provenienti da combustione dei combustibili fossili e dalla

deforestazione, mentre gli ecosistemi forestali del mondo immagazzinano più del doppio del carbonio

presente nell'atmosfera (Fonte: Canadell et al. 2007; Canadell & Raupach 2008). Semplici strategie basate

su protezione e gestione degli ecosistemi chiave, potrebbero fare molto per migliorare l’assorbimento

naturale di CO2 dall'atmosfera; eppure, attualmente le emissioni provenienti dai cambiamenti della

destinazione d’uso dei terreni, soprattutto quelle derivanti dalla deforestazione, rappresentano circa il

20% di tutte le emissioni serra di origine antropica e l'apporto è stato in continuo aumento durante i primi

anni del 21°secolo.

La deforestazione tropicale da sola apporta circa 1,5 GtC/anno (circa 16% delle emissioni globali) ed è la

fonte di emissioni più in rapida crescita (Fonte: Canadell et al. 2007).

Gli interventi per moderare l’aumento di CO2 atmosferica tramite la gestione degli ecosistemi hanno un

potenziale di assorbimento del carbonio e possono assumere varie forme tra cui l’evitata deforestazione,

l’imboschimento, il rimboschimento e la piantagione di colture o altri tipi di vegetazione

Page 26: Geoingegneria

26

(Fonte: Royal Society 2001, 2008; Presentazione: Reay). Tali interventi non sono normalmente

considerati Geoingegneria, e hanno potenziale a lungo termine limitato (Fonte: Royal Society, 2011).

Sono comunque immediatamente disponibili, hanno spesso co-benefici significativi, possono essere

particolarmente utili nel futuro immediato, dato che sono familiari e forniscono un parametro utile per il

confronto con altri metodi.

Gli ecosistemi terrestri immagazzinano circa 2.100 GtC negli organismi viventi, lettiera e sostanza

organica del suolo, che è quasi tre volte superiore a quella attualmente presente in atmosfera.

Tra il mondo dei sette principali biomi, le foreste tropicali e subtropicali fissano la maggior quantità di

carbonio, quasi 550 GtC, e la deforestazione tropicale, quindi, contribuisce in modo sostanziale alle

emissioni globali di carbonio.

Le foreste temperate intaccate, specialmente quelle più antiche, inoltre hanno un alto potenziale di

stoccaggio del carbonio (oltre 500 tC/ha) e possono anche mostrare tassi annuali positivi molto elevati di

cattura del carbonio (Fonte: Naidoo et al., 2008).

Il bioma delle foreste boreali detiene la seconda più grande fonte di immagazzinamento di carbonio, la

maggior parte della quale è conservata nel suolo e nella lettiera. Lo svuotamento delle torbiere delle

foreste boreali, alcune pratiche forestali e gestione inadeguata degli incendi, possono causare perdite di

tutto il carbonio contenuto in questo ecosistema (Fonte: UNEP, 2009).

Circa un quarto della superficie terrestre mondiale è ora classificata come terreni destinati all’utilizzo

agricolo e, in zone temperate tendono ad occupare terreni fertili che, in passato, erano praterie o foreste. Il

disboscamento di terreni coltivati e pascoli ha pertanto notevolmente ridotto l’accumulo di carbonio in

superficie e le riserve di carbonio del suolo sono spesso esaurite, le pratiche agricole disturbano il suolo,

aprendolo agli organismi decompositori, generando condizioni aerobiche che stimolano la respirazione e

il rilascio di CO2.

I cambiamenti nell'uso del territorio negli ultimi 100 anni hanno quindi avuto un ruolo significativo nel

modificare le riserve e i flussi di carbonio nel suolo.

Invertire questa tendenza non è chiaramente un’opzione considerabile, poiché vi sono richieste continue

di nuove terre, da destinare soprattutto all'agricoltura.

Tuttavia, il potenziale di gestione del territorio non è da sottovalutare e può giocare un ruolo piccolo ma

significativo nel ridurre la crescita della concentrazione atmosferica di CO2. Ridurre le emissioni da

deforestazione e dal degrado forestale è una componente essenziale, ma anche il rimboschimento o il

reimpianto possono svolgere un ruolo significativo, soprattutto nel caso di terreni agricoli degradati.

L'istituzione di nuove aree boschive possono tuttavia creare conflitti con altre priorità ambientali e sociali,

in particolare la produzione alimentare e conservazione della biodiversità.

Il rimboschimento e la riforestazione dovrebbero quindi essere affrontate in maniera integrata,

considerando le richieste di competizione per i terreni.

Ci sono due scale di gestione che potrebbero utilizzare un migliore ecosistema e gestione del territorio per

ridurre le concentrazioni di gas serra.

Dalla scala locale a quella regionale, una maggiore adozione di un’efficiente gestione territoriale che

comprende diverse pratiche, compreso lo stoccaggio del carbonio, è in grado di inviare benefici

significativi. In Oregon (USA), lo stoccaggio del carbonio potrebbe essere raddoppiato mediante un

cambiamento di politiche di gestione dei terreni che otterrebbero un’ampia gamma di servizi economici

ed ecosistemici (Fonte: Nelson et al., 2009). Cambiamenti realistici di politica in questo settore

potrebbero potenzialmente aumentare l’accumulo del carbonio da 5 milioni di tonnellate su una superficie

di circa 3x104 km2. A livello globale, meccanismi volti sia alla riforestazione che alla riduzione della

deforestazione, sostenuti da efficaci meccanismi finanziari e dalle politiche, potrebbero raggiungere 0,4-

0,8 GtC/anno entro il 2030, ipotizzando prezzi del carbonio che variano dai 20 ai 100 dollari per

tonnellata di CO2 (Fonte: IPCC 2007; Canadell & Raupach, 2008) compensando dal 2 al 4% l’aumento

previsto delle emissioni nel periodo considerato.

Page 27: Geoingegneria

27

Questi meccanismi possono essere incoraggiati, da un'efficace pianificazione territoriale e, nel caso di

evitata deforestazione, da nuove proposte per “ridurre le emissioni da deforestazione e degrado” (REDD)

nell'ambito della UNFCCC. L'effettiva attuazione dipenderà dal monitoraggio delle stime attendibili di

base e di esecuzione. Criticamente, per raggiungere utili benefici e istituire incentivi efficaci, la

pianificazione dell’uso del suolo, basata su soluzioni che richiederanno una pianificazione su più vasta

scala, i regimi di gestione, spesso superiori alle giurisdizioni nazionali, saranno volti al fine di ottenere i

benefici di scala.

Come riassunto nella tabella 1 questi metodi sono fattibili e sono a basso rischio, ma sono a lungo

termine e possono portare soltanto piccoli e medi effetti sulle concentrazioni atmosferiche di CO2 .

Diversi studi su scala regionale hanno dimostrato che, nel complesso, i benefici per l'economia e per altri

servizi ecosistemici, come la regimazione delle acque, i servizi, la conservazione della biodiversità e

l'agricoltura, possono portare al risultato di una pianificazione integrata territoriale, in grado di produrre

un maggiore aumento di CO2 con progettazione del suo stoccaggio verso il basso. Tuttavia, il carbonio

immagazzinato nella vegetazione non è di sicuro accumulabile nel lungo termine, poiché può essere

facilmente rilasciato dal fuoco, dalla siccità o dalla deliberata deforestazione (Fonte: Royal Society,

2011).

Le recenti tendenze

Le foreste ricoprono circa un terzo della superficie terrestre, che si estende dalle foreste sempreverdi nei

tropici umidi a vaste foreste boreali della regione subartica. I biomi terrestri ed i suoli rappresentano una

parte importante del ciclo del carbonio.

Essi consentono di accumulare 2,28x106 Mt (2.280 petagrammi) di carbonio rispetto ai 7,5x105 Mt

(750 petagrammi) di carbonio in atmosfera (Fonte: World Resources Institute, 1990). Anche se va notato

che la quantità di carbonio immagazzinato negli oceani e nella litosfera è molto più grande di quella

contenuta in entrambi i sistemi Terra e Atmosfera, le scale temporali su cui essi si equilibrano con

l'atmosfera sono molto grandi.

Gli Stati Uniti hanno perso quasi il 25% della loro copertura forestale, fenomeno iniziato dal continente

nordamericano ed essa continua ancora a diminuire. Tutto questo accade nonostante, nel tempo si siano

messi a dimora sempre più alberi (Figura 6). Il decremento dell’impianto di alberi del 1989 è dovuto ad

un declino degli stessi sotto il Conservation Reserve Program (CRP). Nello stesso anno, la messa a

dimora di alberi è aumentata nella Foresta Nazionale e in altre terre federali, ma è diminuita in terre

private, statali e pubbliche non federali. La ripartizione di impianto totale e di semina per categoria di

proprietà nel 1989 è indicato nella tabella seguente; fonti private hanno contribuito ad impiantare l’85%

degli alberi negli Stati Uniti nello stesso anno.

Figura 6: sintesi storica di coltivazione delle foreste degli Stati Uniti

Fonte: “Policy Implications of Greenhouse Warming: Mitigation, Adaptation, and the Science Base” National

Academies Press (NAP), pag.465)

Page 28: Geoingegneria

28

Tabella 1. Piantagione e semina totale da ognuna delle categorie nell’anno fiscale 1989

La figura seguente mostra che la grande maggioranza degli impianti (76,3%) si trova nel sud degli Stati

Uniti.

Figura 7. Impianto e semina totale per regione nell’anno fiscale 1989.

Fonte: US Forest Service (1990).

Accumulo di carbonio negli alberi

L'analisi più completa di sequestro potenziale di carbonio negli alberi degli USA è quella intrapresa da

Moulton e Richards (1990) del Servizio Forestale degli Stati Uniti: questa rappresenta un’analisi

dettagliata del terreno a disposizione per l’impianto di nuovi alberi negli Stati Uniti, l'assorbimento di

carbonio che ci si potrebbe aspettare ed i costi attuali per ogni tipo di terreno da gestire. Secondo questi

due studiosi, è possibile sequestrare fino a 720 Mt di carbonio nei pascoli economicamente marginali ed

ecologicamente sensibili, nei terreni agricoli e boschivi non federali. Dopo aver analizzato il potenziale di

assorbimento di carbonio e il costo per tonnellata in 70 regioni e nei diversi tipi di terreni, Moulton e

Richards hanno classificato questi in ordine di costo per tonnellata e hanno costruito una curva di offerta

di carbonio fissato. L'analisi conclude che potrebbero essere sequestrate fino al 56,4% delle

emissioni di CO2 degli Stati Uniti, in alberi domestici a costi che vanno da 5,80 a 47,75 $ per

tonnellata di carbonio.

ACRI % DEGLI IMPIANTI

Governo Federale

Foreste nazionali 307,138 10.2

Dipartimento degli Interni 52,006 1.7

Altre agenzie federali 9,257 0.3

TOTALE 368,401 12.2

Pubbliche non federali

Foreste statali 57,133 1.9

Altre agenzie statali 6,013 0.2

Altre agenzie pubbliche 13,515 0.4

TOTALE 76,661 2.5

Private

Foreste industriali 1,248,565 41.3

Altre industrie 22,225 0.8

Altre padronali non industriali 1,306,096 43.2

TOTALE 2,576,886 85.3

GRAN TOTALE 3,021,948 100.0

Page 29: Geoingegneria

29

L’analisi del Pannello di Mitigazione ammette che l'obiettivo del 10% descritto da Moulton e Richards è

un ragionevole obiettivo iniziale e quello della riforestazione economicamente marginale o

ecologicamente sensibile per pascoli, terreni agricoli e boschivi non federali per un totale di 28,7 Mha,

che potrebbe aver luogo ai costi descritti nella loro analisi. Si ritiene, in base ai dati precedenti, che 240

Mt di CO2 equivalente per anno potrebbe essere sequestrata a costi compresi tra 3 e 10 dollari per

tonnellata di CO2 (il costo medio è di 7,20 dollari /tCO2).

La Tabella 2 mostra le implicazioni derivanti dall’impianto di alberi, in ordine crescente in dollari per

tonnellata di carbonio per il sequestro di CO2 ai tassi del 10%, 20% e 56,4% delle attuali emissioni totali

di CO2 degli Stati Uniti. La tabella mostra che al livello del 10% la maggior parte dell'assorbimento

potrebbe essere realizzato modificando le pratiche di gestione ambientale su aree forestali attuali e

l’impianto su pascoli marginali, ma che, al fine di ottenere il massimo potenziale, sarebbe necessario

includere questa pratica su larga scala in terreni coltivati marginali.

Tabella 2. Costi di un Programma di riforestazione da una riduzione percentuale di emissioni di CO2

Fonte: File “NAP Geoengineering” pag.465

Tabella 3. Valutazione dell’uso del suolo e del rimboschimento:

Uso del suolo e ripopolamento forestale

Fonte: “Geoengineering the climate: Science, governance and uncertainity”pag.25 Royal Society, 2009

Sfruttamento della biomassa e del biocarbone (biochar)

La biomassa morta viene raccolta, eventualmente trasformata in biocarbone e mescolata con il suolo: in

questo modo la concentrazione di carbonio viene aumentata di continuo.

Come la vegetazione terrestre cresce, elimina grandi quantità di carbonio dall'atmosfera durante la

fotosintesi: quando gli organismi muoiono e si decompongono, la maggior parte del carbonio

immagazzinato viene restituito all'atmosfera. Ci sono quattro modi in cui la crescita della biomassa può

essere sfruttata per rallentare l'aumento di CO2 atmosferica (Fonte: Keith, 2001).

Bilancio di CO2 anno

(%/M di ton)

Richiesta di suoli

(M di acri)

Costi tot. annuali

(miliardi di $)

Costo medio

($/t di C) 5/72 36.9 0.7 9.72

10/143 70.9 1.7 12.02 20/286 138.4 4.5 15.73 30/429 197.6 7.7 17.91

EFFICACIA Potenziale limitato per la rimozione di carbonio BASSA

ACCESSIBILITA’

Economico da distribuire

MOLTO

ALTA

TEMPESTIVITA’

Pronto per la distribuzione immediata e

l’istantaneo inizio delle riduzioni di CO2

Lento a ridurre le temperature globali (metodo CDR)

MEDIA

SICUREZZA

Pochi effetti collaterali indesiderati, eccetto per l’uso conflittuale

potenziale del suolo e delle implicazioni della biodiversità

ALTA

Page 30: Geoingegneria

30

a) Sprofondamenti del carbonio terrestre

Il carbonio può essere assimilato in situ nel suolo o come deposito di biomassa.

b) Bioenergia e biocarburanti

La biomassa può essere raccolta e usata come combustibile in modo che le emissioni di CO2, derivanti

dall'uso del carburante, vengano (approssimativamente) bilanciate dalla CO2, catturata nella coltivazione

delle colture energetiche. L'utilizzo della bioenergia e dei biocarburanti (Fonte: Royal Society, 2008) è

considerato un mezzo per ridurre le emissioni.

c) Bioenergia dalla cattura e assimilazione della CO2 (BECS - Bio Energetic Carbon Storage)

La biomassa può essere raccolta e usata come combustibile, con la cattura e assimilazione della CO2

derivante, ad esempio, dall’utilizzo della biomassa per ricavare idrogeno o energia elettrica, assimilando

così la CO2 risultante in formazioni geologiche.

d) Cattura della Biomassa

La biomassa può essere raccolta e assimilata come materiale organico, per esempio,

dall’interramento di alberi o dagli scarti dei raccolti, o come carbone (biochar).

La cattura di bioenergia con assimilazione di CO2 (BECS) si basa direttamente sulla tecnologia esistente

per la bioenergia/biocarburanti e per le tecnologie CCS, ed eredita i vantaggi e gli svantaggi di entrambe

queste tecnologie. Non vi è dubbio che sia tecnicamente fattibile, e ci sono già alcuni piccoli esempi del

mondo reale (Fonti: Keith, 2001; Obersteiner et al. 2001; IPCC, 2005).

La Geoingegneria è stata rivisitata in alcuni dettagli dall’IPCC (2005). Tuttavia, il BECS ha molto in

comune con altri metodi qui considerati, e pertanto è stato incluso per omogeneità di confronto.

La fissazione della biomassa e di carbone è stata proposta come un metodo per intervenire nel ciclo

naturale in modo che, parte o tutto il carbonio fissato dalla sostanza organica, può essere immagazzinato

nel suolo o altrove per centinaia o migliaia di anni. Ad esempio, è stato proposto di interrare il legno e

residui agricoli sia in terra che nelle profondità dell'oceano per immagazzinare carbonio, piuttosto che

permettere alla decomposizione di riportarlo in atmosfera ( Fonti: presentazione Marco Capron;

presentazione: Newcastle University; presentazione: Zeng Ning ; Strand & Benford, 2009).

I metodi che racchiudono l’interramento della biomassa nel suolo o nelle profondità oceaniche

richiederanno un aggiuntivo consumo di energia per i trasporti, interramento e la trasformazione. Più

gravemente, i processi coinvolti possono disturbare la crescita, il ciclo dei nutrienti e la sostenibilità degli

ecosistemi. Nelle profondità dell'oceano, per esempio, il materiale organico sarebbe decomposto e il

carbonio con le sostanze nutritive tornerebbero in acque poco profonde, in quanto l'ossigeno è

generalmente presente, a meno che sufficienti materiali siano stati depositati per creare condizioni

anossiche, che costituirebbero una perturbazione importante dell’ecosistema. Valutazioni complete non

sono ancora disponibili per valutare i costi e i vantaggi, ma sembra improbabile che questa sarà una

tecnica praticabile a qualsiasi scala, utile a ridurre il carbonio atmosferico.

Il biocarbone (noto anche dal termine inglese biochar) si crea quando la materia organica si

decompone, di solito attraverso il riscaldamento, in ambiente poco o per nulla aerobico

(Fonti: Lehmann et al 2006; Presentazione: Peter Read; Presentazione: Centro di Ricerca sul biocarbone,

Regno Unito). Conosciuta come pirolisi, il processo di decomposizione produce sia carbone che

biocarburanti (syngas e bio-olio). Visto che gli atomi di carbonio nel carbone sono legati insieme molto

più fortemente rispetto a quello contenuto negli elementi vegetali, il carbone è resistente alla

decomposizione da parte dei microrganismi e blocca il carbonio per periodi di tempo molto più lunghi. Il

carbone viene proposto, a volte, come una risposta ad una serie di problemi diversi, in quanto attira verso

Page 31: Geoingegneria

31

il basso e blocca il carbonio atmosferico nei suoli: può migliorare i raccolti, produrre biocarburanti, ed è

quindi una fonte di energia rinnovabile.

Una delle questioni fondamentali riguardanti il carbone è se sia meglio “seppellirlo o bruciarlo?”. Resta

discutibile se pirolizzando la biomassa e interrando il carbone si abbia un impatto maggiore sui livelli

atmosferici di gas serra che semplicemente bruciano la biomassa in un impianto energetico, dislocando la

produzione intensiva di carbone (Fonti: Keith & Rhodes, 2002; Metzger et al. 2002;. Strand & Benford,

2009). Le argomentazioni di questo studio (Fonte: Centro di Ricerca Carbone del Regno Unito)

suggeriscono che la produzione di carbone in alcune circostanze può essere competitiva con l'uso della

biomassa come combustibile.

Il tempo di permanenza del carbonio convertito in carbone nei suoli, e l'effetto sulla produttività del suolo

di aggiungere grandi carichi di carbone è incerta (Fonte: sottoscrizione Biofuelwatch). Ad esempio è noto

da siti archeologici, che il carbone può avere un tempo di permanenza di centinaia o migliaia di anni nel

suolo. Tuttavia, le condizioni di pirolisi, possono colpire sia la resa di carbone che la sua stabilità a lungo

termine nel suolo (Fonte: presentazione, Centro Ricerche sul Biocarbone del Regno Unito).

I fautori dell’accumulo di biomassa sostengono che i tassi molto elevati di fissazione sono in linea di

principio raggiungibili: ad esempio, Lehmann et al. (2006), inserisce un livello potenziale di carbonio di

5,5-9,5 GtC/anno entro il 2100, un tasso più grande rispetto all’attuale fonte di combustibile fossile (e si

avvicina al 10% della produzione mondiale primaria proveniente dalle piante). Tali flussi fanno supporre

che vi sarà una crescita enorme delle risorse destinate alla produzione di biocarburanti, e che qualche

grande frazione di questo carbonio sarebbe convertito in carbone. L'uso di colture per carburanti

rinnovabili su tale scala potrebbe portare ad un conflitto con l'utilizzo di terreni agricoli per la produzione

di cibo e/o di biocarburanti.

Come riassunto nella tabella 4, l’assimilazione della biomassa potrebbe rappresentare un contributo

significativo su piccola scala ad un approccio di Geoingegneria, atto a migliorare l’interramento di

carbonio terrestre globale.

Tabella 4. Valutazione di accumulo e sintesi del carbonio BECS bioenergetico

Becs bioenergetico con accumulo di carbonio

Fonte: File pdf “Geoengineering the climate: Science, governance and uncertainity”pag.26 Royal Society, 2009

EFFICACIA

Limitata dalla produttività delle piante e conflitti oltre l'utilizzo del

territorio con l'agricoltura e per il trasporto di biocarburanti

Metodo di fissazione del carbonio molto più consistente rispetto al

carbone

DA BASSA A

MEDIA

ACCESSIBILITA’

Simili a biocarburanti (NB: i costi dei fertilizzanti e dei trasporti )

Più costosi dei combustibili fossili CCS (come combustibile è più caro)

Più economico del carbone e viene generata più bio-energia

DA BASSA A

MEDIA

TEMPESTIVITA’

Lenta a ridurre le temperature globali (metodo CDR)

La sostenibilità delle materie prime deve essere stabilita prima dell'uso

diffuso

MEDIA

SICUREZZA

Uso del territorio potenzialmente conflittuale (cibo rispetto alla crescita

della biomassa per il carburante)

ALTA

Page 32: Geoingegneria

32

Accelerazione dei processi naturali di disgregazione (meteorizzazione)

Quando le rocce si disgregano sotto l’influsso degli agenti atmosferici viene sottratta anidride carbonica

all’aria circostante. Questi processi, che normalmente sono molto lenti, vengono accelerati, aumentando

così il consumo di CO2: i prodotti della disgregazione sulla terraferma o nel mare legano il carbonio che

altrimenti sarebbe nell’atmosfera ed essa perde CO2 nei lunghi periodi di tempo a causa della

meteorizzazione. Il processo di trasformazione dei sedimenti calcarei nei fondali oceanici, che suppone un

assorbimento di CO2 atmosferico, comincia con la meteorizzazione continentale: la meteorizzazione è la

disintegrazione chimica e fisica delle rocce dovuta alle piogge, venti e sbalzi termici. Qui parleremo solo

dei silicati, come CaSiO3, molto abbondante nella superficie terrestre, per la CO2 disciolta nell’acqua del

suolo in una reazione che si può schematizzare in questo modo:

In questa reazione, la CO2 non proviene direttamente dalla pioggia, ma dalla reazione dell’acqua

contenuta nel suolo con la CO2, che deriva dalla decomposizione della materia organica dell’humus

(respirazione microbatterica). La fonte di CO2 che entra nella reazione è anidride carbonica atmosferica,

ma dopo esser passata a far parte della materia organica, grazie alla fotosintesi delle piante, viene

restituita al suolo per la decomposizione microbica dell’humus (Fonte: Berner, 1977).

Il risultato è la formazione di due ioni bicarbonato e uno di ione calcio (oltre ad acido

silicico) i quali, disciolti nell’acqua dei fiumi arrivano poi nei mari.

La meteorizzazione può anche colpire il carbonato calcico CaCO3: in questo caso la reazione di

meteorizzazione fa perdere solo una molecola di CO2.

perdita che viene compensata in mare per la precipitazione di calcite e in cui non si ha né perdita né

guadagno di CO2 in atmosfera.

Precipitazione calcarea

Gran parte degli ioni disciolti e portati dalle acque dei fiumi arrivano al mare. Gli ioni si ricombinano

formando CaCO3 (calcare) e rilasciando di nuovo nell’atmosfera una molecola di CO2, secondo la

reazione:

per cui il risultato netto delle reazioni (meteorizzazione dei silicati e precipitazione del calcare) è la

perdita di una molecola di CO2 nell’atmosfera.

Abbiamo ancora un altro fattore da considerare per quanto riguarda i processi di precipitazione: le

numerose specie marine che costruiscono carapaci e scheletri protettori di silicio (Si) e carbonato

(CaCO3). Nella reazione non fotosintetica, precipitano ioni calcio ( ) assieme agli ioni carbonato

( o di bicarbonato (

. La maggior parte del carbonato di calcio oceanico viene prodotto dalle

alghe microscopiche del fitoplancton (cocolitofori) e dalle specie animali dello zooplancton (foramniferi e

pteropodi). La calcite o aragonite così formata costituisce lo scheletro e i carapaci per mezzo dei quali si

proteggono gran parte dei microrganismi che formano il fitoplancton costruendo carapaci silicei e non

calcarei.

Page 33: Geoingegneria

33

Figura 8. Aspetto del ciclo marino del carbonio. Il carbonio si trova disciolto e forma l'anidride carbonica,

bicarbonati e carbonati in una proporzione tra loro che li mantiene in equilibrio

Quando gli organismi marini calcarei muoiono, il calcare cade nelle profondità marine. Nel processo di

precipitazione di carbonio organico, come succede nell’interramento di materia organica, la litosfera

restituisce carbonio agli altri serbatoi, mare e aria.

Lo fa ad un ritmo globale di circa 0,5 PgC/anno (PgC: Petagrammi di carbonio = 1015 tonnellate) .

Lungo tutta la storia geologica, il carbonio così accumulato, contenuto negli spessi strati di rocce

calcaree, ha creato il suo maggior serbatoio terrestre, dell’ordine di un milione di Petagrammi.

Ma non sempre il calcare arriva sul fondo poiché, ad una certa profondità, il carbonato di calcio CaCO3 si

dissolve di nuovo in ioni e ioni . In questa reazione, contraria a quella della precipitazione, si

assorbe la CO2 disciolta nell’acqua. Questa dissoluzione di calcare è dovuta a reazioni chimiche

complesse relazionate all’aumento in profondità dell’acidità dell’acqua che richiede più ioni carbonato

per neutralizzarla.

Il livello marino dove la quantità di CaCO3 che arriva è la stessa di quella che si dissolve (CCD:

Carbonate Compensation Depth) varia secondo gli oceani tra i 3000 e i 5000 metri di profondità.

L'anidride carbonica è naturalmente rimossa dall'atmosfera nel corso di migliaia di anni da processi che

coinvolgono gli agenti atmosferici (scioglimento) di rocce carbonatiche e silicatiche.

I silicati formano le rocce più comuni sulla Terra e reagiscono con CO2 per formare carbonati (e quindi

consumano CO2). La reazione può essere scritta schematicamente in questo modo e può portare alla

formazione di ioni calcio o magnesio :

Questi processi atmosferici hanno una grande influenza sulla concentrazione di CO2 sia nell'atmosfera che

negli oceani, e fanno diminuire lentamente la concentrazione atmosferica di anidride carbonica se viene

dato abbastanza tempo. Tuttavia, il tasso a cui avvengono queste reazioni è molto lento rispetto alla

velocità con la quale vengono bruciati i combustibili fossili.

L’anidride carbonica presente nell'atmosfera viene assorbita a meno di 0,1 GtC/anno, circa un centesimo

della velocità alla quale è attualmente in fase di emissione (Fonte: IPCC, 2005).

L'anidride carbonica può essere rimossa dall'atmosfera, accelerando la meteorizzazione naturale: la CO2

viene fatta reagire con i silicati, formando quindi carbonati e silicati solidi. Questa reazione consuma una

molecola di CO2 per ogni molecola di silicato atmosferica e accumula il carbonio come minerale solido.

Page 34: Geoingegneria

34

Una variante di questo processo prevede la reazione delle rocce formate da silicati, ma invece di formare

minerali solidi, rilascia materiali disciolti negli oceani. Ciò potrebbe rimuovere CO2 dall'atmosfera

attraverso la reazione seguente:

2

Questa reazione ha il vantaggio che due molecole di CO2 vengono fissate nell’oceano per ogni molecola

di silicato atmosferica (rapporto 2:1). Non è possibile posizionare il materiale disciolto da nessuna parte

tranne nell'oceano, poiché nessun altro “contenitore” è abbastanza grande per le implementazioni su larga

scala. In pratica, la chimica è un po’ più complicata, con il risultato che un pò di CO2 potrebbe venire

immagazzinata meno in pratica che sulla carta.

Un approccio simile è quello di far reagire rocce carbonatiche (invece che quelle formate da silicati) con

CO2, con il risultato che anche altri materiali vengono rilasciati nell’oceano:

In questa reazione, i minerali carbonatici sono più facilmente solubili dei silicati, ma i carbonati possono

contenere carbonio ossidato, quindi solo una molecola aggiuntiva di CO2 viene trattenuta nel mare per

ogni molecola di silicato atmosferica.

In alternativa, la CO2 può essere immagazzinata negli oceani attraverso la produzione e l'aggiunta di basi

forti (soluzioni alcaline) come la calce.

Per esempio:

Tuttavia, le basi forti sono relativamente rare sulla Terra e ricavarle da sali può essere molto dispendioso

a livello energetico, la reazione produce acidità, come ad esempio:

Questo pone problemi di smaltimento, perché se l'acido venisse reimmesso in mare, la CO2 tenderà a

ritornare in atmosfera.

Metodi proposti per aumentare la meteorizzazione

Sono state suggerite una serie di proposte volte alla Geoingegneria, che puntano ad un aumento artificiale

dei tassi di queste reazioni. Non vi è alcun dubbio circa la capacità della chimica di migliorare la

meteorizzazione attraverso l’utilizzo dei carbonati e di silicati diminuendo le emissioni di CO2 e le sue

concentrazioni atmosferiche ma, i principali ostacoli alla diffusione di questo fenomeno, sono legati alla

scala, al costo e alle possibili conseguenze ambientali.

Tutti gli approcci chimici richiedono un responso molecola per molecola in base alla quantità di CO2

emessa: le molecole rappresentative di silicati e carbonati di solito pesano più di due volte le molecole di

CO2,quindi ci vorrebbero circa due tonnellate di roccia per rimuovere e fissare ogni tonnellata di CO2. La

scala industriale degli sforzi di mitigazione della CO2 sarebbe di conseguenza dello stesso ordine di

grandezza della scala del sistema energetico che produce la CO2. Questi metodi possono essere

relativamente costosi, anche se alcuni proposti possono essere in grado di competere sulla base dei costi

con la cattura del carbonio e altri metodi di accumulo.

Page 35: Geoingegneria

35

Una proposta è quella di aggiungere abbondanti silicati nella forma di olivine ai suoli destinati all’utilizzo

agricolo (Fonte: Schuiling & Krijgsman 2006, Sottoscrizione: Schuiling). Grandi quantità di rocce

sarebbero dovute essere estratte, portate in superficie, trasportate, e poi distribuite sui campi.

Si stima che un volume di circa 7 km3 all'anno (circa il doppio del tasso attuale delle miniere di carbone)

di minerali terrosi come i silicati, reagiscono con la CO2 ogni anno, e permetterebbero di eliminare tanta

CO2 quanta attualmente stiamo emettendo. Si presuppone che l’anidride carbonica può essere

parzialmente immobilizzata nella forma ionica di carbonato e in parte come ioni bicarbonato in soluzione,

ma le conseguenze verso i processi del suolo non sono attualmente note.

In alternativa, è stato suggerito che la roccia carbonatica può essere trattata reagendo con le emissioni di

CO2 provenienti da impianti di ingegneria chimica (molto probabilmente con la CO2 concentrata e

catturata dalle centrali elettriche, per esempio). Le soluzioni di bicarbonato ottenute sarebbero state

rilasciate in mare (Fonti: Rau & Caldeira 1999; Rau, 2008).

Un approccio alternativo potrebbe essere quello di rilasciare i carbonati direttamente in mare

(Fonte: Harvey 2008). Essi, tuttavia, non si dissolverebbero fino a raggiungere livelli sotto-saturi nelle

profondità oceaniche, in modo da rendere il processo molto lento, per osservare un qualche effetto. In una

variante (“calce al mare”), che opererebbe più velocemente, le rocce calcaree carbonatiche sarebbero

riscaldate fino ad allontanare CO2 pura, (che deve essere catturata e fissata) per formare calce Ca (OH)2.

Questa sarebbe aggiunta agli oceani per aumentare la loro alcalinità, con conseguente assorbimento

supplementare di CO2 dall'atmosfera (Fonte: Kheshgi, 1995). Mentre questo processo richiede energia, il

costo intensivo per il fissaggio ammonterebbe a circa il doppio della quantità di CO2 per unità di

carbonato estratto. In alternativa, la velocità della reazione di CO2 con minerali di base, come basalti e

olivine potrebbe essere aumentata in situ nella crosta terrestre (Fonti: Kelemen & Matter 2008;

Presentazione: Sigurðardóttir & Gislason). Questa idea potrebbe anche richiedere concentrazioni elevate

di CO2 nei gas reagenti, e potrebbe essere pensata come una migliore tecnica di cattura della CO2, anziché

applicare i correttivi della Geoingegneria e come risultato finale del metodo potrebbe essere la creazione

di carbonati in situ. Kelemen e Matter suggeriscono che vi è la possibilità di sequestrare più di 1

GtC/anno di carbone in Oman solo adottando questo metodo. Ancora una volta, sono necessarie ulteriori

ricerche per sapere se è effettivamente praticabile a queste scale.

È stata anche proposta (Fonte: Casa et al., 2007) per accelerare la reazione dei silicati atmosferici,

l’utilizzazione dell’elettrolisi per dividere i sali marini in acidi e basi forti: quando le basi forti sono

disciolte in acqua provocano emissioni di CO2, quindi devono essere conservate in oceano nella forma

disciolta come osservato in precedenza. Essi propongono di utilizzare gli acidi forti per alterare le

rocce silicatiche: la loro alterazione può neutralizzare l'acido e formare un sale relativamente benigno che

potrebbe anche essere aggiunto nell’oceano. Questo approccio comporta alta intensità energetica e

richiede una grande quantità di manipolazione di massa, e quindi è probabile che sia più costoso rispetto

ai tradizionali approcci di CCS.

Impatto Ambientale dell’aumento dei metodi alterativi

L’aumento dei metodi alterativi ha chiaramente la capacità di diminuire la meteorizzazione, riducendo le

emissioni di CO2 o rimuovendola dall'atmosfera. Tuttavia, prima che diano i loro effetti collaterali, i costi

del ciclo di vita e gli effetti ambientali devono essere meglio conosciuti e presi in seria considerazione.

Ad esempio, il risultato finale di quasi tutti questi metodi sarebbe quello di aumentare le concentrazioni di

ioni bicarbonato (anioni), di calcio o di magnesio (cationi) e quindi l'alcalinità dell'acqua di mare. Anche

se la reazione climatica inizialmente ha avuto luogo, distribuita nei suoli (come olivina sopra, per

esempio), i prodotti chimici risultanti alla fine, sarebbero disciolti negli oceani.

L'acqua di mare già contiene concentrazioni sostanziali di questi ioni e sarebbe possibile prendere tutta la

CO2 atmosferica in eccesso senza aumentarla notevolmente. Tale aumento delle concentrazioni di

bicarbonato sarebbe ridotto piuttosto che aumentare l'acidità dell'acqua di mare, contribuendo a rallentare

Page 36: Geoingegneria

36

il processo di acidificazione dell’oceano, apportando quindi benefici verso questi organismi e gli

ecosistemi, altrimenti minacciati dalla costante crescita di CO2 atmosferica. Non è ancora noto, tuttavia,

se tutti gli effetti combinati sulla chimica e la biologia dell’oceano siano trascurabili o benigni.

Inoltre, per essere quantitativamente importante, la maggior parte di queste proposte richiedono attività

minerarie di grandi dimensioni e attività di trasporto.

Queste attività sarebbero probabilmente dannose per l'ambiente a livello locale (e “locale” qui significa su

aree di grandi dimensioni, oggi paragonabili o superiori a quelli della produzione di cemento e del

carbone). Alcune opzioni richiedono grandi quantità di acqua, mentre altre richiedono energia

supplementare (elettrolisi per la produzione della calce), che avrebbe bisogno di provenire da fonti prive

di carbonio. Nel caso della produzione di grandi quantità di minerali solidi, ci sono anche problemi di

smaltimento o uso.

In sintesi, tutti i metodi di miglioramento alterativo utilizzano minerali naturali e reazioni che producono

prodotti stabili, che sono già presenti in grandi quantità nel suolo, negli oceani e possono quindi essere

considerati benigni in linea di principio. Essi operano nei terreni oppure rendendo il mare un po’ più

alcalino, che su scala globale riduce le emissioni di CO2, inducendo l’acidificazione degli ambienti

terrestri e marini. Tuttavia, i prodotti vengono generati in grandi quantità in modo più o meno localizzato,

e possono quindi avere un impatto sostanziale che avrebbe bisogno di essere gestito. Ci sono questioni

fondamentali riguardanti le dimensioni delle particelle, il tasso di dispersione, la diluizione e la

dissoluzione. Il pH dei suoli e delle acque superficiali oceaniche sarebbe aumentato a livello locale, con

possibili effetti (non necessariamente avversi) sulla vegetazione e nell’ambiente marino, e il potenziale

aumento delle precipitazioni dei carbonati ridurrebbe la loro efficacia. Inoltre, poiché questi approcci

chimici richiedono che ogni molecola di CO2 reagisca con i minerali disciolti, i requisiti di massa per gli

ingressi e le uscite di minerali supereranno ampiamente la massa di CO2 sequestrata. Questi approcci

richiedono maggiore estrazione mineraria e le operazioni di trattamento sono suscettibili ad essere più

costose riguardo l’operatività rispetto ai metodi convenzionali CCS (Fonte: IPCC, 2005): per esempio,

devono essere in grado di utilizzare fonti di energia a buon mercato, o devono essere intrapresi dove la

manodopera e altri costi sono bassi (vedere le due tabelle di seguito):

Tabella 5. Metodi di valutazione per l’efficacia terrestre della meteorizzazione

Aumento della meteorizzazione terrestre

EFFICACIA Potenzialmente molto grande per lo stoccaggio del carbonio nei suoli

I metodi CDR vengono indirizzati alla causa del cambiamento

climatico e dell’acidificazione dell’oceano

ALTA

ACCESSIBILITA’ Richiede l’estrazione, lavorazione e trasporto di grandi quantità di

minerali

Alcuni metodi possono richiedere grandi input di energia

BASSA

TEMPESTIVITA’

Lenta nel ridurre le temperature globali (metodo CDR)

Sarebbero necessarie costruzioni sostanziali di infrastrutture

Richiesta la ricerca per determinare gli impatti ambientali, l’efficacia e

la verifica

BASSA

SICUREZZA

Può avere pochi effetti collaterali gravi, ma gli effetti sul pH del suolo,

vegetazione, ecc necessitano di essere stabiliti a livello di applicazione

effettiva

MEDIA O

ALTA

Page 37: Geoingegneria

37

Tabella 6. Metodi di valutazione per l’efficacia oceanica della meteorizzazione

Aumento della meteorizzazione oceanica

EFFICACIA

Potenzialmente molto grande per l’accumulo di C nell’oceano

I metodi CDR vengono indirizzati alla causa del cambiamento climatico

e dell’acidificazione dell’oceano

I metodi oceanici agiscono direttamente a ridurre o a invertire

l’acidificazione dell’oceano

ALTA

ACCESSIBILITA’ Richiede l’estrazione, lavorazione e trasporto di grandi quantità di

minerali

I metodi più veloci richiedono grandi input di energia (es: elettrolisi,

calcificazione)

BASSA

TEMPESTIVITA’

Lenta nel ridurre le temperature globali (metodo CDR)

Sarebbero necessarie costruzioni sostanziali di infrastrutture

Richiesta la ricerca per determinare gli impatti ambientali, l’efficacia e la

verifica

BASSA

SICUREZZA Effetti indesiderati reversibili di acidificazione dell’oceano, ma tuttavia si

potrebbero riscontrare effetti collaterali avversi in alcuni ambienti marini

MEDIA

O ALTA

Fonte: File pdf “Geoengineering the climate: Science, governance and uncertainity”pag.29 Royal Society, 2009

Separazione dall’aria atmosferica

La concentrazione odierna di CO2 è di circa 400 parti per milione (ppm): questo sta a significare che su

ogni milione di molecole d’aria, 400 sono di anidride carbonica. La quantità globale attuale di CO2

nell’atmosfera è di 3000 miliardi di tonnellate (3000 Gt ), dove una tonnellata (t) è pari a 1000 kg. La

concentrazione di CO2 e il suo importo totale sono proporzionali: ogni parte per milione corrisponde a 7.5

Gt di CO2.

Nel periodo preindustriale si attestava sui 280 ppm o 2200 Gt , mentre nelle zone ghiacciate e

profonde dell’Antartide, 60 mila anni fa, il valore era di 180 ppm (1400 Gt ). Le emissioni umane di

anidride carbonica negli ultimi 200 anni sono aumentate da 280 a 380 ppm, un incremento avvenuto nel

corso degli ultimi 10 mila anni dall’ultima glaciazione.

La combustione dei combustibili fossili oggi rilascia CO2 nell’atmosfera ad una velocità di circa

30 Gt /anno e la deforestazione tropicale aggiunge circa un altro 4 Gt /anno. La velocità

dell’aumento della quantità di CO2 è meno della metà più veloce, grazie alla presenza di accumuli di

anidride carbonica sia sulla terraferma che negli oceani. Il risultato delle emissioni e degli accumuli è un

aumento della concentrazione atmosferica attuale di , che in media, è di circa 15 Gt /anno (2 ppm

all’anno, 1,5% all’anno).

Supponiamo che nel mondo si decida di voler ridurre la concentrazione atmosferica di anidride carbonica

tramite una deliberata strategia di rimozione CDR della stessa. La cattura dall’aria mediante sostanze

chimiche, è una delle diverse strategie CDR possibili ed è utile per avere un obiettivo di riferimento in

modo da ottenere una riduzione della concentrazione di CO2 globale. Ipotizziamo, ad esempio, che il

mondo cerchi di ridurre la concentrazione di di 50 ppm o equivalentemente di 400 Gt , circa un

ottavo del suo valore attuale: l’obiettivo è quello di ottenere questa riduzione per più di 100 anni, con un

tasso di riduzione medio di 4 Gt /anno.

Le correnti oceaniche portano continuamente l’acqua in profondità che era stata in superficie centinaia di

anni prima, quando la concentrazione di anidride carbonica si trovava al valore preindustriale.

Page 38: Geoingegneria

38

Come l’equilibrio viene stabilito nella superficie dell’oceano tra la CO2 dell’aria e quella disciolta

nell’acqua, questa distrugge la CO2 presente in atmosfera.

In questo modo, su una scala temporale di centinaia di anni, si ottiene una riduzione della concentrazione

di anidride carbonica, provocando l’aumento di acidità negli oceani.

La stessa esigenza di equilibrio nella superficie oceanica controlla l’effetto opposto che accadrebbe se la

concentrazione di CO2 in atmosfera si abbassasse un giorno mediante la sua rimozione deliberata: in

questo caso vi sarebbe un immediato trasferimento di compensazione della CO2 dall’oceano all’atmosfera

e, in conseguenza di questo, sarebbe necessario rimuovere più di una unità di anidride carbonica

dall’atmosfera, per ridurre la sua concentrazione di un’unità. Le risposte delle foreste aggiungono

complicazioni, come anche le correnti oceaniche profonde. Oggi, l’effetto congiunto dei risultati

provenienti dai “pozzi di assorbimento” di CO2 terrestri e marini, circa la metà delle rimanenti emissioni

di CO2 permangono in atmosfera, dopo essere state emesse dalla combustione dei combustibili fossili.

Pertanto, per semplicità di calcolo, si assumeranno contributi neutri terrestri e marini di anidride

carbonica, stabilendo un caso di riferimento per la rimozione di CO2 dall’aria, dove una media di 4

Gt /anno viene rimossa per 100 anni. Il sistema di riferimento di cattura diretta dall’aria rimuove CO2

dall’atmosfera ad un tasso di 1 Mt /anno.

Supponendo che l’installazione di ogni sistema DAC possa essere mantenuta indefinitamente e che

l’installazione di nuove strutture avvengano a ritmo costante, un tasso di rimozione medio di

4 Gt /anno per più di un secolo, corrispondente ad un tasso di capacità di cattura di 80 Mt /anno

oppure 80 di questi sistemi DAC di riferimento da 1 Mt /anno ogni anno: questo caso di riferimento è

mostrato nella figura 9.

Dopo 50 anni, 4 Gt vengono rimossi dall’atmosfera: i primi 50 anni del caso di riferimento sono stati

evidenziati.

La Figura 9a ha il fine di individuare che il tasso e la scala di attenuazione di una strategia mitigativa

corrisponde ad un “cuneo di stabilizzazione”.

Basandosi sui parametri del caso di riferimento per la rimozione di CO2 a fini climatici, si può vedere

perché le strategie di CDR vengono considerate “lente”, non affatto adattabili a qualsiasi esigenza di

reazione rapida ad una emergenza climatica.

Si supponga che gli scienziati fossero alla scoperta di un forte feedback positivo nel sistema climatico che

potesse accelerare enormemente il riscaldamento sulla superficie e si supponga, inoltre, che la risposta

necessaria alla compensazione fosse equivalente alla rimozione della metà della CO2 atmosferica in 10

anni.

Si ipotizzi, inoltre, che al momento dell’emergenza, la concentrazione di CO2 atmosferica fosse circa del

50% in meno rispetto ad oggi, in modo che il loro obiettivo, fosse stato pari ad una riduzione della

concentrazione di CO2 atmosferica da 600 a 300 ppm in 10 anni: tale impresa richiederebbe un tasso

medio di CDR pari a 30 ppm per anno o circa 240 Gt /anno, 60 volte più veloce rispetto al tasso

medio di rimozione per il caso di riferimento esplicato sopra (6 volte maggiore rispetto alla riduzione di

CO2, 10 volte più veloce). Ogni anno, negli ultimi dieci anni per poter permettere di rispondere alla crisi,

sarebbe necessario installare una nuova capacità di asportazione CDR di 48 Gt /anno: questo ritmo è

600 volte più veloce di quello del caso di riferimento (figura 9, pannello b). Come confronto, si immagini

di cambiare improvvisamente gli impianti a combustibili fossili: tali impianti oggi emettono 12

Gt /anno.

Il tasso di risposta alla crisi è equivalente alla decarbonizzazione mondiale delle centrali elettriche in soli

tre mesi! Nel caso particolare di un sistema che coinvolge la cattura dall’aria di tramite sostanze

chimiche seguito da stoccaggio sotto terra, i tassi di costruzione di impianti sopra e sotto terra sono quasi

sicuramente fuori portata. La domanda di materiali di costruzione, prodotti chimici, e lavoro potrebbe

essere superiore o maggiore rispetto a quelli di cui dispone l’intero mercato mondiale.

Page 39: Geoingegneria

39

Per trovare strategie “veloci” da impiegare per rispondere ad un’emergenza climatica, si deve guardare in

altri metodi, come quelli basati sulla gestione della radiazione solare (SRM).

Figura 9. Due strategie di rimozione della : in (a) in 100 anni la concentrazione atmosferica di viene

diminuita di 50 ppm, corrispondente ad un totale di rimozione pari a 400 Gt ; questo rappresenta il caso di

riferimento per la rimozione di . In (b), la riduzione destinata a rappresentare una risposta ad una crisi è 300

ppm (circa 2400 Gt ) in 10 anni.

La terra e l’oceano sono assunti “neutri” da . L’andamento è la pendenza del triangolo. L’area ombreggiata nel

grafico (a) corrisponde ad un “cuneo di stabilizzazione”. La scala del pannello b è di 1/10 di quella del pannello a.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.7, 2011)

Ora si tratti una strategia chimica riguardante un ciclo di assorbimento e desorbimento di CO2. Nella

prima fase il flusso di CO2 viene diluito attraverso un contattore e incontra un prodotto chimico a cui si

lega.

L’anidride carbonica viene rilasciata in forma concentrata e la chimica viene rigenerata nella seconda

fase. Quali caratteristiche fisiche quantitative di tale sistema sono necessarie per realizzare un dato

compito?

Si può iniziare prendendo in considerazione un semplice calcolo, introducendo alcuni parametri di

riferimento: si supponga che l’aria fluisca attraverso un contattore alla velocità di 2 m/s ed esso rimuova il

50% della CO2 che vi passa attraverso. La Figura 10A mostra una zona di aspirazione di 1m2 in questo

caso. Ogni metro cubo di aria a pressione atmosferica e a 25 °C contiene circa 41 moli di gas. Lo 0,04%

di questa è CO2, il cui peso molecolare è di 44 g/mol, un metro cubo di aria contiene circa 0,72 grammi di

CO2. Pertanto, ogni secondo, 1,44 grammi di CO2 passerà attraverso ogni metro quadro del contattore e

0,72 grammi verranno rimossi. Questo corrisponde a circa 20 tonnellate di CO2 all’anno (il tasso pro-

capite attuale di emissioni negli Stati Uniti).

Una scala di riferimento per un impianto di cattura della CO2 è 1Mt /anno: questa corrisponde alla

prima dimostrazione in scala reale di cattura e stoccaggio della CO2 costruita negli ultimi dieci anni ed è

abbinata alle condutture su scala commerciale e sui pozzi di iniezione.

Considerando il processo di CCS, una centrale a gas naturale di 500 MW è in grado di emettere

1,1x104 t /giorno (4x10

6 t /anno). La cattura diretta dall’aria è molto meno efficiente: per

esempio, assumendo una portata di aria di 2 m/s, catturando 1.1x104 tonnellate di CO2 al giorno

direttamente dall'aria richiederebbe una superficie di circa 1,33x105 m

2 per elaborare 2,31 × 10

10

m3 di aria al giorno.

Page 40: Geoingegneria

40

A) B)

Figura 10. Rappresentazioni schematiche di A) un contattore avente un’area di 1m2 che cattura 20 t /anno, e B)

un impianto per la cattura di 1Mt /anno. L’impianto in B si compone di 5 strutture, ognuna alta 10 metri e lunghe

1 km, che potrebbero raccogliere 1Mt /anno se l’aria vi passa attraverso a 2 m/s e il 50% della è stata

raccolta. Le strutture sono distanziate tra loro di 250 metri, e l’ingombro del sistema è pari a 1,5 km2 . Circa sei di

questi sistemi sarebbero necessari per compensare le emissioni di un impianto a carbone di 1 GW.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.8, 2011)

Per rimuovere 1 Mt /anno dall’atmosfera utilizzando assorbitori che eliminano 20 t /anno da ogni

metro quadrato di superficie frontale, sarebbe necessaria una struttura con una superficie totale di

5x104 m2 posta di fronte all’aria in ingresso.

Qual è la profondità di una qualsiasi struttura di cattura dall’aria nella direzione del flusso? Questa

variabile non è stata introdotta nella raffigurazione precedente, ma è critica. Se la velocità dell’aria

attraverso il contattore viene mantenuta costante sui 2 m/s, la profondità del contattore determina il tempo

di permanenza dell’aria che si muove attraverso esso: un contattore profondo 2 metri produrrebbe un

tempo di residenza di 1 secondo. Tempi più lunghi di permanenza si traducono in un maggiore contatto

tra il contattore e i prodotti chimici attivi dello stesso (assorbitori), ma anche la produzione annua per

unità di volume dell’impianto è inferiore.

Una variabile importante è data dalla spaziatura richiesta tra contattori in direzione del flusso d’aria.

Questa viene impoverita di CO2 sul lato a valle di un contattore ad una certa distanza prima di essere

alimentato dalla miscelazione con l’aria satura proveniente dai lati e al di sopra. Il problema legato alla

spaziatura di un impianto DAC assomiglia da vicino alla questione spaziale delle turbine eoliche

all’interno di un impianto che sfrutta l’energia del vento: esse devono essere collocate sufficientemente

distanti tra loro, in modo da permettere il recupero sottovento dalla turbina della maggior parte della

velocità del vento.

Oggi il candidato leader per lo smaltimento di CO2 a lungo termine è la formazione di strati geologici

profondi, cui si accede da un sistema di oleodotti e pozzi di iniezione.

L'energia, il calore e il lavoro sono fondamentalmente necessari per la cattura di CO2.

In un sistema di adsorbimento-desorbimento, tipicamente, forti richieste energetiche sono associate con la

movimentazione dell'aria attraverso il contattore, ma anche richieste di energia più grandi sono associate

a quella richiesta per staccare la CO2 e rigenerare l'adsorbente.

Oltre ai costi legati alle fonti di energia stesse, c'è il problema del “carbonio netto”. A seconda di come

l'energia viene procurata per qualsiasi sistema di cattura di CO2, ci possono essere notevoli emissioni

associate nell'atmosfera. La CO2 rimossa dall'aria che fluisce attraverso il sistema è chiamata " CO2

catturata" e il cambiamento netto della CO2 in atmosfera si chiama " CO2 evitata".

Page 41: Geoingegneria

41

Un modo per aggirare il problema del carbonio netto, anche in una regione in cui i combustibili fossili

rappresentano una parte significativa del mix energetico, è quello di produrre energia e calore da

combustibili fossili nel sito DAC e catturare la CO2 in-situ da questi impianti.

I passi successivi comporterebbero un sistema unificato per trasportare e immagazzinare la CO2 catturata

da entrambi gli impianti: le centrali e il sistema DAC. Un altro approccio potrebbe utilizzare un carico di

base dell'energia da una fonte completamente decarbonizzata, ad esempio, una centrale nucleare, un

impianto geotermico, solare o termoelettrico con un associato accumulo di energia idroelettrica.

Anche quando tutta l'energia necessaria per la cattura dall’aria, termica, nonché elettrica, è fornita da fonti

energetiche a basso carbonio, apporti sostanziali produrranno una grande differenza tra le quantità lorde e

nette di CO2 rimosse dall'atmosfera.

Dato che la cattura dall'aria è altamente dispendiosa, si presume generalmente che ogni impianto DAC

debba operare a tempo pieno. Lackner ha proposto che l'energia per muovere l'aria attraverso il contattore

(una frazione del fabbisogno energetico totale) verrebbe fornita dal vento, e il sistema di cattura dall'aria

dovrebbe operare solo quando la velocità dello stesso aumenta di valore. Analoghe regole si applicano al

funzionamento delle turbine eoliche, dove ogni anno in media l'energia eolica è in genere un terzo di

quella di picco. Un sistema guidato dal vento deve operare non solo in modo intermittente, ma con una

caduta di pressione molto bassa con il contattore.

L'ubicazione di un impianto DAC è flessibile, poiché la cattura in qualsiasi luogo ha lo stesso impatto

climatico. Per esempio, può essere vicina a fonti energetiche a basso costo, o a siti di smaltimento di CO2

favorevoli. Tuttavia, l'ubicazione è vincolata alla geografia: le condizioni ambientali possono influenzare

le prestazioni DAC molto più delle prestazioni PCC (Post Combustion Capture).

Nell’aria esterna a 25 °C e al 50% di umidità relativa, ci sono quasi 40 molecole d'acqua per ogni

molecola di CO2 (un rapporto molto più alto rispetto ai fumi di combustione). Il vapore acqueo può

competere con CO2 per i siti reattivi su sorbenti, diminuendo la performance di cattura.

Il vapore acqueo può essere aggiunto alla massa termica di un sistema di assorbimento che deve essere

riscaldato durante la rigenerazione, aggiungendo così costi operativi.

Altri elementi che costituiscono l’aria possono creare difficoltà per i sistemi DAC: l'ossigeno nell'aria può

reagire con un sorbente e limitarne la durata, i contaminanti possono erodere le superfici, soprattutto nei

passaggi stretti del contattore.

La variabilità dei principali parametri ambientali può influire sulle prestazioni di un sistema di cattura

dall’aria ancor più rispetto ai loro valori medi annui. La loro variabilità può influenzare il fattore di

capacità di un sistema DAC e la frazione di tempo di funzionamento a pieno regime necessaria per

produrre la sua uscita effettiva annuale. Un fattore di capacità inferiore aumenta i costi di acquisizione.

Alcune regioni possono essere favorevoli in quanto mostrano una relativa stabilità stagionale e diurna

(per esempio, i tropici).

Durante il funzionamento, un sistema DAC produce un’uscita di aria impoverita di CO2 che può

influenzare la vegetazione a valle.

Altri effetti negativi si riscontrebbero se prodotti chimici altamente reattivi venissero utilizzati nei cicli di

adsorbimento-desorbimento e poi evaporassero nel gas di uscita o siano fisicamente trascinati in esso.

Le difficoltà connesse con lo stoccaggio della strategia di DAC non dovrebbero essere sottovalutate. La

ricerca da parte dei governi e delle industrie è in corso per imparare come iniettare CO2 in formazioni

geologiche di accumulo in modo efficiente, per tenerlo fuori dell'atmosfera per secoli. Lo stoccaggio della

CO2 è stato commercializzato fino ad oggi solo in combinazione con lo sviluppo dei giacimenti

petroliferi, dove essi stabiliscono i prezzi della CO2. Tuttavia, la capacità di accumulo associata alla

produzione di petrolio è ben inferiore di quello che si rende necessario per avere un impatto sostanziale

sul cambiamento climatico. La sua commercializzazione e lo stoccaggio per scopi climatici richiederà la

produzione e l’uso di formazioni porose non idrocarburiche (acquiferi salini), nonché di un quadro

normativo dove ci siano specifiche ricompense finanziarie per la conservazione della CO2.

Page 42: Geoingegneria

42

Lo stoccaggio in formazioni geologiche non è l'unica via che si deve prendere in considerazione. Una

strategia alternativa consiste nella carbonatazione minerale, dove un flusso concentrato di CO2

viene fissato come carbonato attraverso la reazione con silicati naturali (molto abbondanti sulla terra)

o residui industriali alcalini. Un'alternativa allo stoccaggio di qualsiasi tipo è quello di riciclare la CO2

catturata tramite reazione con l'idrogeno per produrre combustibili liquidi e prodotti chimici. Ad

esempio, la reazione Fischer-Tropsch può essere usata per ottenere nafta per produzione chimica e

combustibile diesel. Un'altra opzione sarebbe quella di produrre metanolo per il mercato chimico o

utilizzarlo per la sintesi di olefine, composti aromatici, o benzina. I carburanti e/o le sostanze

chimiche possono riemettere CO2 dopo l'utilizzo, ma rimpiazzano il petrolio greggio o i prodotti derivati

dal gas naturale. Per quanto concerne i costi del sistema DAC le stime si aggirano intorno ai

600$/t . La tabella 7 mostra l'aggiunta al prezzo di energia primaria (gas naturale, petrolio e carbone)

e di energia secondaria (benzina, elettricità dal carbone, e l'elettricità da gas naturale) da imporre un

sovrapprezzo di tale entità. In alcuni modelli di ottimizzazione economica, gli impatti sui costi sono di

gran lunga al di là di qualsiasi previsione per i prossimi decenni.

Tabella 7. Effetto dell’aggiunta di 600$/t ai prezzi di carburanti ed energia

Costi di emissioni di CO2 “indirette” associate alla produzione, trasporto o trasmissione e distribuzione non sono

inclusi.

Nota: $ 600/tCO2 = $ 2200/tC. Unità di gas: scf è un piede cubo standard, Nm3 è un normale metro cubo.

Gas naturale: 1 Nm3 = 37,24 scf; 0,549 KgC / Nm3 di gas naturale

Petrolio greggio: 1 barile = 42 galloni USA, 1 m3 = 264,2 galloni degli Stati Uniti, 730 kgC/m3 di petrolio greggio

Carbone: 1 tonnellata USA = 907 kg, 0,71 KgC / kg di carbone

Benzina: 1 m3 = 264,2 galloni USA; 630 kgC/m3 benzina.

Energia proveniente da carbone: 29,3 GJ /ton metrica di carbone (12.600 Btu / libbra);efficienza di conversione del

40%

Energia da gas naturale: 55,6 GJ / tonnellata metrica di gas naturale; 0,75 KgC/ kg di gas naturale; efficienza di

conversione del 50%.

In realtà, oggi non si conoscono bene né i costi del DAC e né quelli relativi alle sue alternative: molto

dipende dai progressi della tecnologia del futuro, l’impatto ambientale, e l'accettazione del

pubblico. Tuttavia, sulla base di ciò che è noto oggi dal DAC, i costi probabili futuri porteranno a forti

conclusioni qualitative circa la futura competitività di questo sistema in tre settori:

Il DAC è un elemento coerente di gestione globale della CO2 associato alla quasi totalità delle

rimanenti strutture a combustibili fossili mondiali che catturano le loro emissioni di CO2;

Il DAC potrebbe avere un qualche ruolo per compensare le emissioni distribuite, in particolare

quelle che non sono ben abbinate all’energia elettrica o a combustibili a basse emissioni di

carbonio;

Il ruolo principale del DAC potrebbe essere quello di ridurre la concentrazione atmosferica

di CO2, in collaborazione con altre strategie di CDR.

Forma di energia Incrementi dei costi di 600$/t

Gas naturale $33/1000scf

Petrolio greggio $260/barrel

Carbone $1400/U.S. ton

Benzina $5.20/gallon

Elettricità dal carbone 48¢/kWh

Elettricità dal gas

naturale 21¢/kWh

Page 43: Geoingegneria

43

Rimozione di CO2 dal gas naturale

In molte località in tutto il mondo, il gas naturale proviene dalla terra e contiene più CO2 di quanto

legalmente consentito in un sistema di condutture. Per essere pronto alla conduttura e vendibile, il gas

naturale deve avere un contenuto minimo di energia per unità di volume (ad es BTU per piede cubo), e la

CO2 deve essere rimossa per aumentare il contenuto di energia sufficiente a soddisfare questa specifica.

La caratteristica della struttura specializzata costruita per rimuovere CO2 in eccesso da una miscela di gas

è una coppia di alte torri cilindriche, come si vede nella figura sottostante (Figura 11). Nella prima torre,

la CO2 ricca di gas naturale (tipicamente > 5% o > 5x104 ppm CO2) fluisce verso l'alto attraverso

un’elevata area superficiale di materiale compresso, mentre una soluzione acquosa contenente CO2 e

reattivi chimici (ad esempio monoetanolammina (MEA) e/o altre ammine) scorre lungo la superficie

contro il flusso di gas. Con il tempo esso ha raggiunto la cima di questa torre di assorbimento, e ~ lo 0.3%

o ~ 3000 ppm di CO2 rimane nel gas naturale, che ora è adatto per il transito in conduttura.

Per recuperare il costoso reattivo chimico di CO2 in soluzione acquosa, l'ora solvente ricco di CO2 viene

poi pompato alla sommità di una torre secondaria di rigenerazione. Poiché i flussi di solvente scorrono

lungo questa torre, è riscaldato con vapore ad una temperatura sufficientemente elevata da provocare la

separazione termica di CO2 dal MEA. Quando il solvente raggiunge il fondo, quasi tutta la CO2 è stata

rilasciata dalla soluzione MEA, che viene poi pompata nella parte superiore della prima torre per ripetere

il ciclo.

La CO2 viene liberata dalle bolle di solvente all'inizio del rigeneratore ed è generalmente scaricata

nell'atmosfera. Tuttavia, in tre casi noti, nel giacimento di gas di In Salah in Algeria, presso il campo di

gas nell’offshore norvegese Sleipner, e il progetto Snøhvit nel Mare di Barents, la CO2 viene catturata e

fissata nel sottosuolo.

Figura 11. Cattura del gas naturale CO2 , nel giacimento di gas di In Salah, Algeria.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.19, 2011)

Una sequenza di base di due fasi utilizzata per la cattura di CO2 da una miscela di gas comporta quindi

l'interazione in un contattore di un gas ricco di CO2 con alcune molecole contenenti sorbente che hanno

affinità per la CO2 e fisicamente o chimicamente associate ad essa, seguita dal separato desorbimento o la

rigenerazione in condizioni diverse, che rilascia la CO2 dal sorbente. La stessa sequenza di due fasi è

probabile che sia il nucleo comune della maggior parte dei sistemi progettati per catturare CO2 dai fumi di

una centrale a carbone, o da una a gas naturale o dall'aria. Importanti considerazioni operative

comprendono la natura delle interazioni tra le specie e il sorbente, la temperatura e come può essere

ottenuta una concentrazione residua delle specie nel sorbente.

Page 44: Geoingegneria

44

La figura 12 mostra uno schema generico per qualsiasi sistema di cattura della CO2. La capacità di

assorbimento e rigenerazione sono inseriti all'interno di una rete di materiale e flussi di energia necessarie

per soddisfare l'energia (calore e lavoro) e fabbisogno idrico.

Figura 12. Un tipico sistema per la cattura di CO2. Un componente chiave è un sistema di

assorbimento/adsorbimento in cui la CO2 è chimicamente legata ad un'altra molecola, e rimossa dalla miscela di gas.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.20, 2011)

Una scelta progettuale importante è l'assorbente reattivo utilizzato per legare la CO2: questa scelta

influenza la velocità alla quale viene rimossa CO2 dal gas elaborato e anche l'energia necessaria per

rigenerare l’adsorbente e il rilascio di CO2.

Un esempio di impianto a gas naturale a ciclo combinato di 400 MW è situato a San Severo (Fg),

realizzato dalla ditta Enplus e dà un rendimento del 57%, rispetto al 35-40%, che darebbe una centrale

termoelettrica tradizionale a carbone: questo significa, a parità di potenza, minori consumi e minori

emissioni in atmosfera. L’ubicazione della centrale, in un avvallamento naturale del terreno, lontana dal

centro abitato di San Severo (circa 7 km) e distante oltre 1,5 km dalla casa più vicina riduce l’impatto

visivo. L’effetto paesaggistico di questa centrale a turbogas è molto più contenuto rispetto alle centrali

elettriche fotovoltaiche o eoliche, che a parità di potenza occuperebbero una superficie enormemente più

estesa.

Figura 13. Emissioni specifiche di SO2, NOx, polveri, CO2 in atmosfera delle centrali italiane

Fonte: “Centrale Turbogas a ciclo combinato di San Severo”, Enplus, 2011

Page 45: Geoingegneria

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Cattura post-combustione della CO2 dalle emissioni del carbone utilizzando il MEA,

descrizione della tecnologia

Il caso di studio relativo alla cattura post-combustione di CO2 da una centrale a carbone si basa su di un

esempio di cattura al 90% ("Caso 1"), presentati in un rapporto del 2007 della National Energy

Technology Laboratory (NETL), "Cattura di anidride carbonica dalle attuali centrali che bruciano

carbone”.

La Tabella 8 descrive i parametri del processo di separazione. La cattura di CO2 si ottiene con un sistema

basato su di un’ammina. La capacità dell'impianto è di 434 MW prima del retrofit, e con un fattore di

capacità presupposto del 90% delle emissioni iniziali sono 3,11 MtCO2/anno o 7,2 MtCO2/anno per ogni

gigawatt di potenza di carbone installati. Il retrofit risultante nella cattura di 90% delle emissioni iniziali

dell’impianto, è di 2,79 MtCO2/anno. Il retrofit viene integrato con un esistente impianto di alimentazione

altamente regolato. La cattura post-combustione su questa scala non è ancora stata commercializzata e

porta ancora un aumento legato a rischi tecnici.

Tabella 8. Parametri relativi al sistema post-combustione di acquisizione NETL. L'unità di energia,

GJe, è di miliardi di joule di energia elettrica (1 GJ = 278 kWh)

Parametri di separazione PCC

SPECIFICHE

Capacità dell’impianto di catturare CO2 2.8 Mt/anno

Tasso di cattura della CO2 90%

Concentrazione in entrata di CO2 12.8% in vol

Concentrazione in uscita di CO2 1.3% in vol

Peso molecolare del gas 28.6 g/mol

Velocità del gas 3.0 m/s

Temperatura del gas 40 °C

Pressione del gas 1 bar

Densità del gas 1.1 kg/m3

Concentrazione dell’adsorbente 5 mol/L (MEA)

Densità del liquido 1,050 kg/m3

Rapporto gas-liquido 3.40 mol/mol

Caduta di pressione attraverso l’adsorbitore 170 Pa/m

Tempo di operatività 8000 ore/anno

ADSORBITORE

Sezione dell’adsorbitore 169 m2

Profondità dell’adsorbitore 38.5 m

Volume dell’adsorbitore 6,500 m3

BILANCIO DI MATERIALI

Flusso di gas attraverso l’adsorbitore 1.8 Mm3/ora

CO2 catturata 350 t/ora

Flusso del liquido attraverso l’adsorbitore 0.006 Mt/ora

ENERGIA

Ventola di assorbimento 0.033 GJe/tCO2

Pompaggio del liquido 0.0004 GJe/tCO2

Subtotale di elettricità (solo ventilatori e pompe) 0.033 GJe/tCO2

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.20, 2011)

Nella seguente figura 14, il processo implica un flusso che scorre attraverso due colonne operanti a

temperature diverse. Il sorbente chimico attivo è una soluzione acquosa di monoetanolammina, "MEA"

Page 46: Geoingegneria

46

(formula bruta NH2CH2CH2OH, peso molecolare di 61 g/mol). Nella colonna a temperatura inferiore (la

"colonna di assorbimento"), la CO2 viene rimossa dal gas di combustione della soluzione MEA.

Nella colonna a temperatura più alta (lo "stripper"), la CO2 viene rilasciata. L’assorbimento ad una

temperatura e desorbimento ad un'altra è un esempio di "sbalzo termico".

Figura 14. Schema di un sistema di assorbimento di CO2 utilizzato per la cattura post-combustione sulla base della

relazione DOE/NETL-401/110907.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.25, 2011)

Il processo inizia quando il gas di scarico viene introdotto in una colonna impaccata di assorbimento di

circa 40 metri di altezza per 10 metri di diametro . Le concentrazioni (frazioni molari) dei quattro

principali gas nella miscela di riferimento costituenti le emissioni e che entrano nel MEA sono

rispettivamente pari a 12,8% vol. CO2 , il 68,3% di azoto, 2,9% di ossigeno, 16,0% di vapore acqueo:

questi quattro componenti danno un apporto per quasi tutta la miscela di gas di combustione.

L'assorbimento avviene ad una temperatura di 40-60 °C. La soluzione acquosa di ammina fluisce giù

dalla sommità della colonna, e il gas di scarico fluisce dal basso. Il MEA è costituito dal 30% della

soluzione in peso (circa 5 moli di MEA per litro di soluzione). Il gas di combustione trattato (~ 1,3% in

volume di CO2) esce dalla parte superiore della colonna, e la soluzione ricca di ammina (~ 6% in peso di

CO2) viene trasferita allo stripper attraverso uno scambiatore di calore. La temperatura del solvente che

entra nell'adsorbitore viene scelta in modo da evitare una perdita netta di acqua dalla soluzione MEA.

Nello stripper, che opera a 100-140°C, la CO2 viene rilasciata dalla soluzione di ammina. La soluzione,

ora povera di CO2, viene ritrasferita nella colonna di assorbimento attraverso uno scambiatore di calore.

Una piccola quantità di MEA fuoriesce dallo stripper assieme alla CO2 e viene recuperata mediante

lavaggio con acqua e restituita all’adsorbitore. Tuttavia, alcune ammine vengono perse anche perché alla

temperatura di esercizio dello stripper esse degradano termicamente e, se esposte all'ossigeno, si ossidano.

Come risultato, nel caso del MEA, devono essere sostituiti da 0,5 a 3 kg per ogni tonnellata di CO2

catturata.

La MEA reagisce anche con SO2 e SO3 (collettivamente, chiamati "SOx") per creare sali che possono

portare alla perdita dell’adsorbitore di ammina. Così, la cattura post-combustione basata sulla MEA, per

avere successo, dovrebbe avvenire solo dopo che la maggior parte dei composti SOx siano rimossi dal gas

di scarico. Metodi standard di desolforazione delle emissioni che soddisfano i requisiti normativi, non sono

in genere sufficienti per soddisfare quelli del MEA. In alcuni metodi standard una melma calcarea umida

viene a contatto con il gas di scarico e rimuove il 97-98% del SOx, ma per questo uso del MEA la

concentrazione del SOx deve essere ridotta di ~ 10 ppm. Viene richiesto un assorbitore secondario di SOx

ed è un componente del costo del capitale complessivo necessario al retrofit della centrale energetica per la

cattura di CO2.

Il fabbisogno di energia del sistema di cattura dell’anidride carbonica riduce la capacità di esportazione

della potenza dell'impianto, aumentando i capitali, i costi operativi e riducendo le aggiunte nette di CO2

Page 47: Geoingegneria

47

nell’atmosfera. Il calore necessario per la rigenerazione è fornito da più del 25% del vapore dell'impianto

disponibile e ammonta per più della metà al fabbisogno totale di calore ed energia.

Caso di studio PCC: analisi dei costi

La relazione NETL è la sorgente dei costi sostenuti per le apparecchiature acquistate e parametri operativi

utilizzati qui per generare un’analisi economica ad alto livello, che si traduce in un costo di CO2 catturata.

Il costo delle attrezzature acquistate per l'impianto PCC si presume essere dato dalla somma dei costi per

l'acquisto delle quattro unità principali che devono essere aggiunte ad un impianto a carbone

convenzionale per consentire l’utilizzo del PCC. Queste quattro unità sono:

• Un secondo treno assorbitore per il blocco delle emissioni di gas desolforato, per portare la

concentrazione SOx nei gas combusti al di sotto dei 10 ppm;

• Un sistema di cattura e di rigenerazione della CO2 basata su una soluzione MEA 5 molare (M);

• Un ulteriore allungamento della turbina per consentire al sistema- impianto a vapore di fornire calore

per la rigenerazione dell’ammina e rilasciare la CO2;

• Una disidratazione della CO2 e un’isola di compressione

Tabella 9. Le stime dei costi per un sistema PCC adottato da una centrale energetica a carbone

(costi in $/ton di CO2 sono in corsivo)

Cattura di post-combustione

CO2 catturata (tonnellate per anno) 2.790.000

STIMA DEI COSTI DI CAPITALE

Costi delle attrezzature acquistate (milioni di $) 113$

Costo di capitale complessivo per l’installazione (milioni di $) 500$

Ammortamento in 20 anni ($/ton di CO2 catturata) 9$

Ritorno dell’investimento pari al 7% (ROI) ($/ton di CO2 catturata) 13$

Ammortamento + ROI ($/ton di CO2 catturata) 22$

COSTI OPERATIVI

Manutenzione (milioni di $ all’anno) 20$

Lavoro (milioni di $ all’anno) 8$

Chimica (milioni di $ all’anno) 12$

Manutenzione, Lavoro e Chimica ($/ton di CO2 catturata) 14$

Consumo di carburante (milioni di BTU all’anno) 102.000

Costo del carburante ($ per milioni di BTU) 6$

Costo del carburante (milioni di $ all’anno) 1$

Costo del carburante ($/ton di CO2 catturata) 0.22$

Consumo di energia (MWh all’anno) 1.030.000

Costo dell’energia ($ per MWh) 71$

Costo dell’energia (milioni di $ all’anno) 73$

Costo dell’energia ($/ton di CO2 catturata) 26$

Costi operativi annuali totali (milioni di $) 114$

Costi operativi ($/ton di CO2 catturata) 40$

COSTI PER TONNELLATA DI CO2 CATTURATA

Costi di capitale ($/ton di CO2 catturata) 22$

Costi operativi ($/ton di CO2 catturata) 40$

Costi totali ($/ton di CO2 catturata) 62$

COSTI PER TON DI CO2

CO2 evitata come frazione di CO2 catturata nel dispositivo 0.77

Costi di capitale ($/ton CO2 evitata) 30$

Costi operativi ($/ton CO2 evitata) 50$

Costi totali ($/ton CO2 evitata) 80$

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.26, 2011)

Page 48: Geoingegneria

48

Il costo maggiore di acquisto dell’attrezzatura è tratto dalla relazione NETL e ammonta a 110

milioni di dollari, un prezzo adeguato su di una recente stima all'inizio del 2009. Questo costo viene poi

moltiplicato per 4,5 per arrivare alla stima del costo finale del capitale installato, circa 500 milioni

di dollari. Una vita economica per l’impianto viene assunta, rispettivamente, con il 5% e il 7% dei costi

di capitale complessivi assegnati al valore annuale per l'ammortamento e il ritorno sugli investimenti.

Queste percentuali sono adatte durante la procedura di screening del progetto preliminare. Il costo

annualizzato del capitale risultante è di 60 milioni di dollari all'anno, o 22$/tCO2.

L'uso del fattore 4,5 è una tecnica di stima utilizzata nelle industrie chimiche e di raffinazione per

convertire i costi di acquisto delle apparecchiature al costo finale di installazione.

Cattura di CO2 dall’aria utilizzando idrossido di sodio, descrizione della tecnologia

L'impianto di riferimento per questo caso di studio si basa su di uno schema pubblicato da Baciocchi et al.

Questo è stato scelto perché la tecnologia esistente si basa in gran parte sui bilanci di materiali ed

energetici e fornisce informazioni dettagliate che sono necessarie ad un’analisi dei costi del processo

industriale. Il sistema funziona con flusso in controcorrente attraverso un sistema di molte torri cilindriche

basse e larghe (ognuna di 2,8 m di altezza e 12 di diametro) e cattura 1 MtCO2/anno. Dei ventilatori

guidano l'aria attraverso un letto di assorbimento contenente idoneo materiale di imballaggio e una

soluzione di idrossido di sodio scorre contro corrente al flusso d'aria. Il sistema di cattura è composto da

due cicli intrecciati: un ciclo a base di sodio (con idrossido e carbonato di sodio) e un ciclo di base di

calcio (coinvolge carbonato, ossido e idrossido di calcio). Il processo completo di assorbimento e

rigenerazione è illustrato schematicamente nel diagramma entalpico sottostante e comporta quattro

reazioni: l'asse verticale indica le entalpie relative dei quattro stati, con la scala di entalpia arbitrariamente

impostata a zero per la miscela iniziale (NaOH, CO2 e Ca(OH)2), mentre le reazioni chimiche guida di

ogni transizione sono illustrate a ciascun livello.

La CO2 viene catturata da una soluzione acquosa di NaOH e convertita in una soluzione di carbonato di

sodio (Na2CO3). Come mostrato nella Figura 9a, il passaggio 1 è esotermico da -109,4 kJ /mol, o

-105 kJ/mol compresa l’energia di solvatazione. L’ Na2CO3 nella soluzione è altamente solubile e si

ritiene preferibile perché l’accumulo (scaling) sulle superfici interne della colonna di assorbimento viene

evitato.

Nella fase 2, viene convertito in carbonato di calcio (CaCO3) precipitato tramite l’aggiunta di idrossido di

calcio (Ca(OH)2). Questo passo è esotermico da solo -8 kJ/mol o -5,3 kJ/mol compresa l’energia di

solvatazione, ma l'equilibrio viene spinto verso la formazione del CaCO3 attraverso la sua precipitazione.

La Fase 2 rigenera la soluzione NaOH per il ritorno all'adsorbitore. Nella Fase 3, il precipitato viene

convertito in CaCO3 CaO (calce viva) e CO2 attraverso il processo di calcinazione. Questa reazione di

decomposizione di CaCO3 è endotermica da 179,2 kJ /mol e richiede alte temperature (T > 800°C), quindi

calore ad alta temperatura, per rendere possibile il rilascio della CO2 ad una pressione abbastanza vicino a

quella atmosferica.

La CO2 viene quindi compressa per il trasporto al sito di stoccaggio e, nella fase 4, il solido CaO si

trasforma in una sospensione di Ca(OH)2 da reazione con acqua in uno slaker.

Page 49: Geoingegneria

49

Figura 15a. Diagramma di entalpia del livello di assorbimento di CO2 e rigenerazione da idrossido di sodio (NaOH).

Si noti che ogni livello ha lo stesso insieme di atomi. Nel sistema qui studiato, alcune molecole non partecipano a

specifici processi fisici, per esempio, idealmente, NaOH non viene trasportato al calcinatore, né

Ca(OH)2 partecipa all’assorbimento.

Figura 15b. Schema di un impianto per la cattura di CO2 dall’aria che utilizza NaOH come assorbitore. L'industria

della cellulosa e della carta chiama il reattore con l'etichetta da "abbattitore" a "causticizzatore." In questo reattore,

il carbonato di calcio precipita e l’idrossido di sodio (comunemente chiamato "soda caustica" e "lime") viene

rigenerato.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.30, 2011)

Page 50: Geoingegneria

50

La CO2 viene catturata dal contatto con idrossido di sodio (NaOH) in soluzione per formare carbonato di

sodio (Na2CO3):

ΔH = - 105 KJ/mol

L'energia di legame molto forte associata a questa reazione fornisce il potenziale per carichi elevati di

CO2 in un ampio campo di condizioni operative del sistema e dei progetti, ma significativamente

comporta più lo svantaggio associato del fabbisogno energetico altrettanto elevato, per rilasciare la CO2

durante la fase di rigenerazione.

La rigenerazione inizia con l'aggiunta di idrossido di calcio, Ca(OH)2, la soluzione ricca di carbonato di

sodio lascia l’adsorbitore, che determina la formazione di un precipitato di carbonato di calcio e rigenera

la soluzione di idrossido di sodio:

ΔH= -8 kJ/mol

Il precipitato viene poi riscaldato per rimuovere l'acqua in eccesso tramite calore residuo dal calcinatore

(fornace) che viene poi utilizzata per decomporre il carbonato di calcio. L'idrossido di calcio si rigenera in

due fasi. In primo luogo, il carbonato di calcio viene riscaldato in una fornace per liberare la CO2 e

produrre ossido di calcio, CaO.

ΔH = 179 kJ/mol

Questa è la fase a più alto consumo energetico, poiché è necessario un grande dispendio di energia per

annullare il legame forte presente nella molecola di CO2.

Il carbonato di calcio viene riscaldato ad oltre 900 °C per portare la reazione verso il desorbimento della

CO2. Poi, l'ossido di calcio prodotto dalla calcinazione reagisce con vapore in un slaker per rigenerare

l'idrossido di calcio.

ΔH = - 65 kJ/mol

Al fine di promuovere il buon trasferimento di calore e l'efficienza, l'energia per la decomposizione del

carbonato di calcio può essere fornita da gas naturale, bruciata in aria o tramite ossigeno. La combustione

produce CO2 ad elevata purezza dopo la rimozione del vapore acqueo negli effluenti, ma ha lo svantaggio

che essa richiede un’unità di separazione dell'aria a monte, con un’ulteriore dispendio di energia e costi

associati.

Una variabile di progetto importante è la concentrazione di NaOH in soluzione acquosa (sue "molarità,"

moli di NaOH per litro di soluzione). La reazione di cattura aumenta ad alta molarità, ma la soluzione è

anche più viscosa e più aggressiva, quindi più difficile da gestire. La molarità riguarda anche il bilancio

idrico del collettore, perché, assieme all'umidità relativa e alla temperatura dell'ambiente aria, determina

la misura in cui, durante il contatto dell'aria con l'idrossido di sodio, l'umidità evapora dalla soluzione

all'aria.

Page 51: Geoingegneria

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Figura 16. Grado di saturazione (equivalentemente, umidità relativa) dell’aria in equilibrio con una soluzione di

NaOH, in funzione della molarità della soluzione di idrossido di sodio. Vi sono curve quasi identiche per 0 °C e 20

°C e mostrano che il grado di saturazione è essenzialmente indipendente dalla temperatura nella regione di interesse.

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.33, 2011)

Caso di studio DAC: bilancio di materiali e input energetici

Come primo passo verso un progetto di riferimento, ci si basa su un'analisi per Baciocchi et al. che

esplora i due cicli interconnessi a base di sodio e di calcio, fornendo bilanci energetici e di massa

semplificati, basati sulle attuali tecnologie commerciali.

Questo sistema di riferimento cattura 1 MtCO2/anno, che è più o meno uguale alle emissioni annuali di

CO2 di una centrale elettrica a gas naturale con un ciclo combinato di 300 MW o una centrale a carbone

di 150 MW. Tale sistema è abbastanza grande da sfruttare economie di scala nel trasporto e stoccaggio

della CO2. L'estremità anteriore di questo sistema è un contattore, costituito da assorbitori molti operanti

in parallelo. La struttura del contattore e degli interni, comprese le tubature e l’imballaggio, costituiscono

la componente più importante del costo delle attrezzature acquistate.

Il contattore di riferimento rimuove il 50% delle emissioni incidenti di CO2 nell'aria che si presume di

avere una concentrazione iniziale di 500 ppm. Baciocchi et al. propongono un assorbitore cilindrico di 12

m di diametro e 2,8 m di lunghezza, una soluzione di NaOH 2 M, e una velocità dell’aria di 2 m/s

attraverso l'assorbitore. Un allineato confronto dei dati di processo degli assorbitori DAC e PCC è

mostrato nella Tabella 10.

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Tabella 10. Parametri per il sistema di cattura post-combustione NETL (sistema di cattura

precedentemente mostrato nella Tabella 9) e i corrispondenti parametri per il sistema di cattura

dall’aria di riferimento.

Parametri di separazione PCC DAC

SPECIFICHE

Capacità dell’impianto di catturare CO2 2.8 Mt/anno 1 Mt/anno

Tasso di cattura della CO2 90% 50%

Concentrazione in entrata di CO2 12.8% in vol 0.050% in vol

Concentrazione in uscita di CO2 1.3% in vol 0.025% in vol

Peso molecolare del gas 28.6 g/mol 28.8 g/mol

Velocità del gas 3.0 m/s 2.0 m/s

Temperatura del gas 40 °C 25 °C

Pressione del gas 1 bar 1 bar

Densità del gas 1.1 kg/m3 1.2 kg/m3

Concentrazione dell’adsorbente 5 mol/L (MEA) 2 mol/L (NaOH)

Densità del liquido 1,050 kg/m3 1,080 kg/m3

Rapporto gas-liquido 3.40 mol/mol 1.44 mol/mol

Caduta di pressione attraverso l’adsorbitore 170 Pa/m 100 Pa/m

Tempo di operatività 8000 ore/anno 8000 ore/anno

ADSORBITORE

Sezione dell’adsorbitore 169 m2 37,000 m2

Profondità dell’adsorbitore 38.5 m 2.8 m

Volume dell’adsorbitore 6,500 m3 104,000 m3

BILANCIO DI MATERIALI

Flusso di gas attraverso l’adsorbitore 1.8 Mm3/ora 268 Mm3/ora

CO2 catturata 350 t/ora 125 t/ora

Flusso del liquido attraverso l’adsorbitore 0.006 Mt/ora 0.28 Mt/ora

ENERGIA

Ventola di assorbimento 0.033 GJe/tCO2 0.63 GJe/tCO2

Pompaggio del liquido 0.0004 GJe/tCO2 0.07 GJe/tCO2

Subtotale di elettricità (solo ventilatori e pompe) 0.033 GJe/tCO2 0.70 GJe/tCO2

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.35, 2011)

La bassa concentrazione di CO2 richiede la movimentazione di grandi volumi d’aria attraverso il sistema di

assorbimento, ovvero 10 miliardi di moli di aria all'ora. Per mantenere gestibile la caduta di pressione

attraverso l'assorbitore, viene scelto un progetto di un assorbitore basso e largo, che viene utilizzato in

condizioni che portano a una caduta di pressione di circa 100 Pa/m.

I requisiti energetici associati al contattore DAC guidano l'aria e la soluzione di NaOH continuamente

attraverso gli assorbitori.

L'estremità posteriore dell'impianto DAC comporta la formazione di un precipitato di carbonato di calcio e

la successiva decomposizione dello stesso per liberare la CO2. Prima di arrivare nella fornace dove avviene

la calcinazione, il carbonato di calcio deve essere filtrato, essiccato e riscaldato alla temperatura di

calcinazione. La Tabella 11a presenta i parametri di processo e dei saldi di materiali e di energia per questi

passaggi stimati per il Caso B da Baciocchi et al. Il caso B assume che il carbonato di calcio viene

precipitato in un reattore a pellet che consente un’efficace disidratazione e riduce il contenuto di umidità

residua nei pellet solidi al 10% in peso, convogliati poi nel calcinatore.

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Tabella 11a. Materiali e bilanci energetici per il recupero di CO2 in regime di riferimento DAC, caso B

Parametri di recupero DAC della CO2 DAC

SPECIFICHE

Temperatura della fornace 900 °C

Pressione di CO2 dopo la compressione 100 bar

Umidità residua dei pellets di CaCO3 nella fornace 10% in peso

Tempo di operatività 8000 ore/anno

BILANCIO DI MATERIALI

Flusso di liquido nel precipitatore 280,000 t/ora

Flusso di liquido dallo slaker 773 t/ora

Pellets nella fornace (90% in peso di CaCO3) 305 t/ora

CaO solido dalla fornace allo slaker 154 t/ora

Combustibile a metano nella fornace 18 t/ora

Ossigeno da Unità di Separazione dall’Aria (ASU) alla fornace 81 t/ora

CO2 allo stoccaggio 171 t/ora

BILANCIO ENERGETICO (PER TON CO2 CATTURATA)

Precipitatore e slaker 0.11 GJe/tCO2

Separazione dall’aria (ASU) 0.55 GJe/tCO2

Compressione di CO2 0.42 GJe/tCO2

Elettricità subtotale 1.08 GJe/tCO2

Riscaldamento di CaCO3 2.2 GJt/tCO2

Asciugatura di CaCO3 0.9 GJt/tCO2

Calcinazione di CaCO3 4.5 GJt/tCO2

Riscaldamento dell’aria 0.8 GJt/tCO2

Recupero di calore totale -2.3 GJt/tCO2

Subtotale di energia termica 6.1 GJt/tCO2

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.36, 2011)

Come visto nella tabella 11a, quasi tutti i requisiti di energia termica derivano dalle operazioni di

essiccazione e la decomposizione del CaCO3 per rilasciare CO2. Solo l'alto grado di calore nel processo si

presume essere recuperabile, cioè il calore associato al raffreddamento della calce solida e quello associato

al gas di combustione della fornace. Il risultato è un recupero di calore, la quantità negativa contenuta nella

tabella.

Il fabbisogno netto di energia termica per l'impianto di DAC è stimato a 6,1 GJ per ogni tonnellata

di CO2 catturata. Questa energia si presume che debba essere fornita al 75% di efficienza termica dalla

combustione del gas naturale nella fornace a combustione di ossigeno, con conseguente ingresso totale di

energia termica di 8.1GJ (7,7 milioni di BTU) per tonnellata di CO2 catturata.

Page 54: Geoingegneria

54

Caso di studio DAC: analisi dei costi

Tabella 11b. Costi stimati per un sistema DAC usando idrossido di sodio/calcio e costi comparati col

sistema PCC di un impianto a carbone (i costi in $/ton CO2 sono rappresentati in corsivo)

Cattura di

post

combustione:

energia dal

carbone

Cattura dall’aria:

adsorbitore

idrossido

(Ottimistico)

Cattura dall’aria:

adsorbitore

idrossido

(Realistico)

CO2 catturata (tonnellate per anno) 2.790.000 1,000,000 1,000,000

STIMA DEI COSTI DI CAPITALE

Costi delle attrezzature acquistate (milioni di $) 113$ 480$ 480$

Costo di capitale complessivo per l’installazione

(milioni di $)

500$ 2,200$ 2,900$

Ammortamento in 20 anni ($/ton di CO2 catturata) 9$ 110$ 150$

Ritorno dell’investimento pari al 7% (ROI) ($/ton di

CO2 catturata)

13$ 150$ 200$

Ammortamento + ROI ($/ton di CO2 catturata) 22$ 260$ 350$

COSTI OPERATIVI

Manutenzione (milioni di $ all’anno) 20$ 70$ 90$

Lavoro (milioni di $ all’anno) 8$ 20$ 30$

Chimica (milioni di $ all’anno) 12$ 4$ 4$

Manutenzione, Lavoro e Chimica ($/ton di CO2

catturata)

14$ 90$ 120$

Consumo di carburante (milioni di BTU all’anno) 102,000 7,600,000 7,600,000

Costo del carburante ($ per milioni di BTU) 6$ 6$ 6$ Costo del carburante (milioni di $ all’anno) 1$ 46$ 46$

Costo del carburante ($/ton di CO2 catturata) 0.22$ 46$ 46$

Consumo di energia (MWh all’anno) 1,030,000 490,000 490,000

Costo dell’energia ($ per MWh) 71$ 71$ 71$ Costo dell’energia (milioni di $ all’anno) 73$ 35$ 35$

Costo dell’energia ($/ton di CO2 catturata) 26$ 35$ 35$

Costi operativi annuali totali (milioni di $) 114$ 170$ 200$

Costi operativi ($/ton di CO2 catturata) 40$ 170$ 200$

COSTI PER TONNELLATA DI CO2 CATTURATA

Costi di capitale ($/ton di CO2 catturata) 22$ 260$ 350$

Costi operativi ($/ton di CO2 catturata) 40$ 170$ 200$

Costi totali ($/ton di CO2 catturata) 62$ 430$ 550$

COSTI PER TON DI CO2

CO2 evitata come frazione di CO2 catturata nel

dispositivo

0.78 0.70 0.70

Costi di capitale ($/ton CO2 evitata) 30$ 370$ 500$

Costi operativi ($/ton CO2 evitata) 50$ 240$ 280$

Costi totali ($/ton CO2 evitata) 80$ 610$ 780$

Fonte: “Direct Air Capture of CO2 with Chemicals, a Technology Assessment for the APS Panel on Public Affairs”,

Study Committee Members: R.Socolow, M.Desmond, R.Aines, J.Blackstock, O.Bolland, T.Kaarsberg, N.Lewis,

M.Mazzotti, A.Pfeffer, J.Siirola, K.Sawyer, B.Smit, J.Wilcox (pag.39, 2011)

Il costo stimato di acquisizione di questo sistema DAC è da sette a nove volte superiore a quello

stimato di un sistema di riferimento di cattura post-combustione (PCC), e il costo evitato è stimato

da otto a dieci volte maggiore. I costi sono stimati sia per il particolare sistema DAC, che per un

particolare sistema PCC adattati ad una centrale a carbone. Questi sono rispettivamente da 430 a 550

dollari e 60 dollari per tonnellata di CO2 catturata, utilizzando parametri per il processo di DAC alla

fine ottimistici in un intervallo realistico.

Page 55: Geoingegneria

55

Il costo della CO2 catturata corrisponde anche al costo di CO2 evitata, se non ci sono emissioni di CO2

provenienti dalle fonti di energia associate, assumendo che tutti gli altri costi rimangano invariati.

Questi si aggirano, rispettivamente, dai 610 a 780 dollari e 80 dollari per tonnellata di CO2 evitata, in

base all’intensità di anidride carbonica emessa dall’attuale rete energetica statunitense

(circa 610 kgCO2/MWh).

• La fornitura di energia elettrica per un impianto DAC incide fortemente sul "carbonio netto".

Nella progettazione DAC di riferimento, la spesa energetica stimata è di 0,49 MWh/tCO2 catturata

risulta nell’emissione di circa 300 kg di CO2 nelle centrali energetiche per ogni tonnellata di CO2 rimossa

dall'aria, se l’energia proviene da un impianto medio della griglia energetica attuale degli Stati Uniti. Una

griglia decarburata consentirebbe la conversione del costo di CO2 catturata in costo di CO2 evitata. Una

strategia alternativa potrebbe essere quella di produrre in-situ energia e di catturare la CO2 emessa dalla

sorgente di alimentazione, come avviene per il gas naturale che fornisce l'energia termica nel progetto

DAC di riferimento. La CO2 supplementare associata all’elettricità in loco darebbe un ulteriore aumento

della domanda energetica del compressore e del volume di stoccaggio della CO2.

• La maggiore incertezza nei costi legati al DAC è quella relativa al contattore con l’aria. Un

contattore è un dispositivo fisico di cattura della CO2 che contiene all’interno una soluzione chimica

adsorbente. Sarebbe molto meno costoso se un processo operabile potesse essere progettato con un

sistema più aperto, come viene usato nelle torri di raffreddamento. La praticità di tale sistema dipende dalla

capacità di fornire un buon contatto tra l'aria e il sorbente, minimizzando le perdite fisiche della soluzione

adsorbente attraverso meccanismi come la nebulizzazione o reazioni chimiche con particelle e gas acidi

nell’aria.

Figura 17. Processo di cattura dall’aria della CO2

Fonte: Carbon Engineering

Alberi artificiali per la cattura di CO2

I cambiamenti climatici hanno stimolato l’interesse di alcuni scienziati a proporre nuovi metodi artificiali

atti alla riduzione dei tassi di CO2 in atmosfera.

In occasione della settimana dedicata alla cattura dall’aria di CO2, indetta dall’Institution of Mechanical

Engineers (IME) con sede a Londra, un team di ricercatori britannici ha pubblicato uno studio in tal

senso: l’idea consiste nella creazione di alberi artificiali che possano assorbire questo gas serra e viene

dal prof. Klaus Lackner, docente di Geofisica dell’Università della Columbia di New York, mentre un

gruppo di professori del Rutherford Appleton Laboratory dell’Oxforshire (Regno Unito), guidato dal prof.

Benjamin Drumm, ha proposto di impiantare queste apparecchiature ad albero lungo le autostrade,

intorno alle città o in riva al mare.

L’albero artificiale è prodotto dalla GRT (Global Research Technologies) di Tucson, Arizona: esso

trattiene l’anidride carbonica grazie ad un rivestimento assorbente, formato da acqua e calce ma, a

Page 56: Geoingegneria

56

differenza di un albero naturale, non è in grado di rilasciare ossigeno. L’energia necessaria che serve al

funzionamento potrebbe essere ricavata da generatori eolici posti nei pressi degli alberi artificiali stessi.

Una foresta di 105 alberi artificiali, potrebbe, nell’arco di 10-20 anni, essere una delle soluzioni possibili

per risolvere il problema dell’effetto serra. Esistono già “prototipi avanzati dal punto di vista del design,

dell’automazione e dei componenti usati che potrebbero, in tempi relativamente brevi, essere prodotti in

grande quantità e messi in funzione” come è emerso da una dichiarazione del responsabile del rapporto

Tim Fox, aggiungendo che gli alberi artificiali sarebbero in grado di catturare 1t di CO2 al giorno,

un tasso decisamente superiore a quello di un albero vero, che si attesta dai 20 ai 45 kg di CO2

all’anno!

Si prevede che questo progetto, già dal 2018, potrebbe essere attivo trattenendo dall’aria CO2 per poi

riutilizzarla in processi industriali o immagazzinandola al sicuro nel sottosuolo, in appositi siti di

stoccaggio come vecchie miniere dismesse.

Uno strumento questo che, se commercializzato, potrebbe contribuire notevolmente all’abbassamento dei

livelli di gas alteranti il sistema climatico, mitigando le conseguenze e gli effetti sul clima stesso.

“Per la realizzazione della tecnologia non ci sarà bisogno di finanziamenti eccessivi, piuttosto di una

strategia condivisa con i piani governativi di lotta all’inquinamento”.

Stando alle affermazioni dei ricercatori britannici della IME, un albero artificiale costerebbe circa

20.000 dollari e sarebbe in grado di assorbire fino a 10 tonnellate di CO2 al giorno: un albero medio

naturale ne assorbe, invece, come dicono le stime, solo tra 60 e 100 grammi al giorno. Si è calcolato

che un faggio, nel corso della sua intera vita di 120 anni, può assorbirne solo circa 3,5 tonnellate. In tutta

la Gran Bretagna occorrerebbero circa 100.000 alberi artificiali per assorbire tutta la CO2 dovuta al

traffico motorizzato dell’isola. I costi di ogni tonnellata di CO2 catturata sarebbero di circa 100

dollari.

Il problema del sistema restano i costi che sono alti perché la concentrazione di CO2 nell’atmosfera non è

molto elevata. Secondo altri studiosi, sarebbe economicamente più conveniente captare la CO2

direttamente nelle centrali termoelettriche. Si stima che, in questo caso, il sequestro di una

tonnellata del gas serra costerebbe tra 20 e 30 dollari e non 100 come calcolato nel caso della

cattura dall’aria. In certi casi particolari, il sequestro della CO2 dall’atmosfera può però anche

convenire, quando cioè i costi scendono sotto i 100 dollari/tonnellata e quando la non emissione di una

tonnellata risulterebbe ancora più costosa.

Facendo riferimento al protocollo di Kyoto del 1997, non restano dubbi in merito alla necessità di

percorrere anche la strada della riduzione del consumo di combustibili fossili, soprattutto consapevoli

della forte domanda di energia in arrivo dai paesi in via di sviluppo e dei seri danni ambientali in cui

incorreremmo, qualora non riuscissimo a riequilibrare i nostri consumi energetici entro pochi anni.

Per gli autori dello studio, la Geoingegneria offre in primo piano l’opportunità di guadagnare tempo fino

al momento in cui sarà ancora possibile reagire efficacemente al riscaldamento globale che pone molti

problemi non sufficientemente approfonditi, per esempio l’importanza degli aerosol e l’influenza del sole

sul clima.

Page 57: Geoingegneria

57

Institution of Mechanical Engineers Institution of Mechanical Engineers

Alberi artificiali e rotori eolici lungo un’autostrada Alberi artificiali nel mare accanto a generatori eolici

Bioreattori ad alghe: cattura di CO2 in ambienti urbani

A causa dell’aumento vertiginoso dei livelli di smog negli ambienti urbani si rende necessario, ora più che

mai, realizzare un nuovo modello ecosostenibile attraverso un progetto che consiste nell’introduzione di

bioreattori ad alghe in strutture architettoniche nuove o preesistenti, edifici che hanno come obiettivo

quello di azzerare l’impatto ambientale.

Il progetto è un sistema a circuito chiuso che si concentra su tre diversi livelli di riduzione di anidride

carbonica:

sequestro del carbonio direttamente dall'aria;

l'assorbimento attraverso la fotosintesi vegetale;

nuove strutture di raccolta di energia naturale

Guardando dall'alto, due impianti di depurazione di anidride carbonica azionati da turbine eoliche

catturano CO2 dall'aria, filtrandola prima di rilasciare l'ossigeno di nuovo nell'atmosfera. I bioreattori ad

alghe produrranno energia sufficiente per le esigenze operative dell'edificio.

Un sistema modulare di tubi algali girano intorno alla parte sommitale delle torri e una delle rampe di

parcheggio sarà in grado di assorbire la radiazione solare per la produzione di biocarburante. Inoltre,

l’altra rampa di parcheggio sarà trasformata in un dispositivo gravitazionale di fitorisanamento per il

riutilizzo dell’acqua pulita. I balconi semicircolari che ruotano attorno all'esterno serviranno come

armatura per l’installazione di pannelli fotovoltaici e solari termici, generando una fonte supplementare di

energia elettrica, nonché l’opportunità di sviluppare l'agricoltura in verticale.

Una ditta di bioarchitettura è stata contattata direttamente dal Ministero delle Infrastrutture della

Repubblica Socialista del Vietnam che ha deciso di finanziare questo progetto: la ditta in questione è la

francese Influx Studio che ha sede a Parigi.

Page 58: Geoingegneria

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Progetto di bioreattori ad alghe nei grattacieli delle nostre città

Bioreattori ad alghe: un nuovo modello di ecosostenibilità per le generazioni future?

Fonte: Xay Dung (Ministry of Construction of Socialist Republic of Vietnam)

Schema della parte sommitale di un bioreattore ad alghe contenuto in un grattacielo

Un altro degno esempio di bioreattori algali adattati in un contesto urbano è dato da un grattacielo che si

trova nell’isola di Taiwan, nella città di Taichung.

L’isola geograficamente è molto vicina alla Cina e risente delle continue emissioni di combustibili fossili

che quest’ultima riversa nell’atmosfera e quindi anche Taiwan necessita di tutto l’aiuto possibile per

aspirare la CO2 in eccesso. Tutto questo, combinato con le celebrazioni del centenario dell’indipendenza

dall’Impero Manciù cinese (1912) hanno ispirato il celebre architetto francese Vincent Callebaut nella

progettazione dell’Arco Biotico, il grattacielo più “verde” mai realizzato prima d’ora, come parte

integrante dell’Active Gateway City di Taichung. La torre è composta da diverse facciate e da molti

Page 59: Geoingegneria

59

giardini verticali che conferiscono una connotazione di un gigantesco cespuglio. Esso riceve tutta la sua

energia elettrica da fonti energetiche solari, eoliche e biologiche.

Infatti, l’Arco Biotico rilascia zero emissioni nell’ambiente e aiuta il comune di Taichung a raggiungere

gli obiettivi imposti dalle politiche di riduzione delle emissioni globali. Il nuovo edificio è stato progettato

per creare un ponte di collegamento tra l’eredità storica della città e un nuovo stile di vita più ecologico,

la cultura e il rispetto per la biodiversità. Callebaut ha creato inoltre altri quartieri verdi vicini che

costringono quasi ad una convivenza cooperativa e pacifica, fattori essenziali per l’affermazione delle

comunità urbane sostenibili. Poiché l’espansione demografica delle città crescerà maggiormente nei

prossimi decenni, le proposte intelligenti come queste ci aiuteranno ad adattarci ai cambiamenti che

avverranno.

Arco Biotico realizzato dall’architetto francese Vincent Callebaut a Taichung, Taiwan

Fonte: Influx Studio bioarchitecture

Anche la NASA (National Aeronautics and Space Administration), il prestigioso ente di ricerca spaziale

americano, si è espresso in maniera favorevole all’utilizzo dei bioreattori ad alghe come alternativa valida

per la produzione di energia pulita, in una nota resa pubblica il 18 Novembre 2009 da PhysOrg.com.

Il NASA Ames Research Center di Moffett Field in California, ha inventato dei tubi flessibili in plastica

chiamati foto-bioreattori nei quali vi sono contenute alghe che crescono nelle acque reflue urbane per la

produzione di biocarburanti e altre varietà di prodotti.

Figura 18. Foto-bioreattori dotati di condutture ad alghe sviluppati dalla NASA Ames Research Center della

California

Fonte: NASA (National Aeronautics and Space Administration)

Page 60: Geoingegneria

60

Il bioreattore della NASA è un contenitore offshore a membrana per la crescita di alghe (Offshore

Membrane Enclosure for Growing Algae - OMEGA), un bioreattore che non sarà in competizione con

l’agricoltura, fertilizzanti o acqua dolce.

L’Ames Research Center della California ha brevettato questi foto-bioreattori e ha concesso la licenza

all’Algae System LLC di Carson City nel Nevada, il quale provvederà all’impianto di queste

apparecchiature nella città di Tampa Bay, in Florida. La società prevede di perfezionare e integrare la

tecnologia NASA in bioraffinerie per la produzione di prodotti derivanti da energie rinnovabili, inclusi il

diesel e i carburanti per i jet.

"La NASA ha una lunga storia di grande successo per quanto riguarda lo sviluppo di dispositivi di

conversione dell'energia e dei nuovi sistemi di supporto vitale", ha detto Lisa Lockyer, vice direttore delle

Nuove Iniziative Imprenditoriali e Direzione della Comunicazione dell’Ames Research Center . "La

NASA è entusiasta di sostenere la commercializzazione di un bioreattore potenziale ad alghe per la

fornitura di energia rinnovabile qui sulla Terra. "

Il sistema OMEGA consiste in grandi sacchetti di plastica con inserti di membrane ad osmosi

avanzata che accrescono le alghe d'acqua dolce nelle acque reflue trasformate dalla fotosintesi

(Fonte: NASA Ames Research Center) . Usando l'energia dal sole, le alghe assorbono anidride carbonica

dall'atmosfera e i nutrienti dalle acque reflue per la produzione di biomassa e ossigeno. Come le alghe

crescono, le sostanze nutritive sono contenute negli inserti, mentre l'acqua dolce pulita viene rilasciata

nell'oceano circostante attraverso le membrane ad osmosi avanzata.

"La tecnologia OMEGA ha poteri di trasformazione. Può convertire acque reflue e l’anidride

carbonica in carburanti abbondanti e poco costosi" (Citazione: Matthew Atwood, Presidente e

Fondatore della ditta Algae Systems). "La tecnologia è semplice e scalabile abbastanza per creare una

fornitura di energia locale poco costosa che sostenga anche la creazione di posti di lavoro".

Se distribuito in aree contaminate e "zone morte" costiere, questo sistema può aiutare a recuperare queste

zone rimuovendo e utilizzando le sostanze nutritive che provocano questi effetti. Le membrane ad osmosi

avanzata utilizzano quantità relativamente piccole di energia esterna rispetto ai metodi convenzionali di

raccolta di alghe, che sono caratterizzate da un processo energetico intensivo di disidratazione.

I potenziali vantaggi includono la produzione di petrolio dalle alghe raccolte e la conversione delle acque

reflue urbane in acqua pulita prima di essere rilasciate in mare. Dopo che l'olio viene estratto dalle alghe, i

resti algali possono venire utilizzati nella produzione di fertilizzanti, mangimi, cosmetici, o altri prodotti

pregiati.

Questa esplosione di successo della tecnologia derivata dalla NASA aiuterà a sostenere lo sviluppo

commerciale di una nuova industria di biocarburanti basata sulle alghe e il trattamento delle acque reflue.

Figura 19. Progetto OMEGA System

Fonte: sito web NASA (National Aeronautics and Space Administration)

Page 61: Geoingegneria

61

Gli obiettivi del progetto della NASA sono di studiare la fattibilità tecnica di un sistema unico per la

coltivazione delle alghe e aprire la strada ad applicazioni commerciali. Una ricerca di scienziati e

ingegneri hanno dimostrato che OMEGA è un modo efficace per far crescere la popolazione di

microalghe e trattare le acque reflue su piccola scala.

La NASA sta conducendo degli studi sul progetto al fine di valutare il nuovo metodo come un

processo alternativo per la produzione di carburanti. Potenziali implicazioni di sostituzione dei

combustibili fossili sono la riduzione del rilascio di gas serra, diminuzione dell'acidificazione degli

oceani, e miglioramento della sicurezza nazionale.

Il sistema è stato studiato anche nei laboratori del Westside di Santa Cruz, da un altro team di ricercatori

della NASA, coordinato da Jonathan Trent, che sta conducendo degli studi su come sfruttare le alghe per

la produzione di biocarburanti, il cui costo si aggira sui 10 milioni di dollari.

Secondo alcuni scienziati i bioreattori ad alghe costituiscono una valida alternativa nella creazione di

edifici a zero impatto ambientale, ottimizzando anche il consumo energetico utile al funzionamento degli

stessi; altri si sono espressi in maniera molto critica a riguardo, definendo i fotobioreattori delle “leggende

urbane”.

E’ stato riscontrato che in una megalopoli ad alta densità di traffico, il tenore di CO2 nell’aria è

dell’ordine delle parti per milione (citazione: Mario Rosato, ingegnere esperto in ambiente ed energie

rinnovabili). Il vero problema risiede nel pretendere di far funzionare i fotobioreattori in grande scala,

perché ciò consuma più energia di quanta se ne possa ricavare (Fonte: Architetturaecosostenibile).

Tabella 12. Riepilogo dei metodi di CDR

METODI TERRA OCEANO

BIOLOGICI Rimboschimento e uso del suolo

Accumulo di biomassa e stoccaggio

di CO2

Fertilizzazione con Fe, P, N

Aumento dell’upwelling

FISICI Cattura della CO2 atmosferica

“cattura dall’aria”

Modifica ribaltamento della circolazione

CHIMICI Carbonatazione in situ di silicati

Minerali di base sul suolo (incluse

olivine)

Incremento dell’alcalinità

(rettifica, dispersione e scioglimento di calcare,

silicati o idrossidi di calcio)

IL VULCANISMO E LA TRASFORMAZIONE

I vulcani emettono naturalmente in atmosfera, grazie alle eruzioni vulcaniche, grandi quantità di anidride

solforosa SO2 e di anidride carbonica CO2. Durante il trascorrere della storia geologica, i camini vulcanici

e le crepe tettoniche hanno proiettato la CO2 dall’interno della Terra verso l’atmosfera. Il ritmo di

emissione è proporzionale all’attività tettonica ed è variabile anche in base alla velocità di separazione o

di scontro tra le placche (Teoria della deriva dei continenti).

Eruzione esplosiva del vulcano “Tambora”

Page 62: Geoingegneria

62

Secondo una teoria classica (Fisher, 1981) questa degassificazione di CO2 proveniente dall’interno della

Terra e prodotta dal vulcanismo, è stata fondamentale per i cambiamenti climatici, quando viene

considerata a livello di ere geologiche. Si è provato che negli ultimi 500 milioni di anni è esistita una

correlazione anche se non perfetta, tra le epoche di clima caldo, con le epoche in cui vi sono state

maggiori emissioni di rocce vulcaniche, le quali rappresentano un ottimo indice di emissione di CO2.

Fisher suggerì che durante i decenni e centinaia di milioni di anni, la Terra è passata da periodi di

riscaldamento a periodi di raffreddamento repentini in seguito all’emissione di anidride carbonica

corrispondente ai maggiori periodi di eruzioni. Stiamo parlando di concentrazioni di CO2 pari ad alcune

migliaia di ppm e non certo delle concentrazioni attuali! Inoltre, ad altissime concentrazioni di CO2, vi è

un alto tenore di vapore acqueo, il quale fa in modo che questi periodi vengano chiamati “periodi sauna”.

Però non sempre i calcoli della temperatura coincidono con quelli della concentrazione di CO2 come

hanno calcolato i geologi dell’Università del Nuovo Messico, i quali hanno dedotto che la concentrazione

di anidride carbonica 400 milioni di anni fa era 15 volte superiore all’attuale, ma si ebbe ugualmente una

glaciazione.

Al contrario altri geologi, studiando l’era del Pleistocene (3,5 milioni di anni fa) hanno scoperto che la

concentrazione di CO2 era molto simile a quella attuale: questo periodo geologico era presumibilmente

caldo, con le calotte antartiche ridotte della metà in estensione.

Figura 20. Grafico che mostra l’andamento della CO2 tra le diverse ere geologiche terrestri. Da notare l’altissima

concentrazione (pari a 6000 ppm) rinvenibile nel Fanerozoico (circa 500 milioni di anni fa).

Fonte: Progetto GEOCARB

TECNICHE DI GEOINGEGNERIA SRM (Gestione della Radiazione Solare)

Le tecniche SRM (Solar Radiation Management) consentono di deviare dalla superficie terrestre la

radiazione solare a onde corte (radiazione UV dai 100 ai 400 nm), oppure aumentano il potere riflettente

attraverso l’albedo della superficie terrestre, delle nuvole o dell’atmosfera in generale. L’effetto è quello

di ridurre la radiazione solare che giunge sulla Terra.

La maggior parte della radiazione in ingresso passa attraverso l'atmosfera per raggiungere la superficie

terrestre, dove una parte viene riflessa e la maggior parte viene assorbita, causando quindi il

riscaldamento della superficie. Una parte della radiazione termica uscente emessa dalla superficie

terrestre viene assorbita dai gas serra nell'atmosfera (vapore acqueo di origine naturale e CO2) e anche

dalle nuvole, riducendo l’emissione di calore verso lo spazio, così anche il riscaldamento dell'atmosfera e

della superficie terrestre. Solo circa il 60% della radiazione termica emessa dalla superficie

eventualmente lascia l’atmosfera.

Page 63: Geoingegneria

63

I contributi della radiazione termica uscente aumentano fortemente con la temperatura superficiale del

pianeta: questo crea un forte feedback negativo, perché le temperature della superficie e dell'atmosfera

aumentano fino a quando la radiazione in uscita e in entrata sono in equilibrio, per poi stabilizzarsi.

Albedo

L’albedo è un valore che misura il grado di riflettività della radiazione solare riemessa dalla

superficie della Terra: l’albedo massima è 1, quando tutta la luce incidente viene riflessa, mentre

l'albedo minima è 0, quando nessuna frazione della luce viene riflessa. In termini di luce visibile, il primo

caso è quello di un oggetto perfettamente bianco, l'altro di un oggetto perfettamente nero.

L’albedo risulta massimo nelle regioni polari dove sono abbondanti sia la copertura nevosa che di nubi e

dove l’angolo zenitale è grande. Massimi secondari sono visibili anche nelle regioni tropicali e sub-

tropicali dove prevalgono nubi convettive spesse oppure sulle aree desertiche. I minimi di albedo si

registrano invece sulle aree oceaniche tropicali, dove sono presenti poche nubi. La superficie oceanica ha

un albedo piuttosto basso; ne consegue che in assenza di nubi (o ghiaccio marino) l’oceano mostra un

albedo planetario dell’ordine del 10%.

Figura 33a. Distribuzione globale dell’albedo planetario (media annuale)

Temperatura di emissione di un pianeta

La temperatura di emissione di un pianeta è per definizione la temperatura di corpo nero con la quale esso

deve emettere per raggiungere il bilancio energetico, ovvero l’equilibrio tra energia incidente ed emessa.

E’ quindi la temperatura per cui:

radiazione solare assorbita = radiazione emessa dal pianeta

Per calcolare la radiazione solare assorbita, partiamo dalla costante solare S0 che rappresenta l’energia per

unità di area e di tempo che raggiunge una superficie perpendicolare posta alla distanza di 1 u.a. (unità

astronomica = 1.496x108 km). Quindi l’energia incidente sul pianeta è data dal prodotto della costante

solare per l’area che il pianeta espone alla radiazione incidente perpendicolarmente ad essa

(nell’approssimazione che i raggi solari siano paralleli, approssimazione valida in quanto il diametro dei

pianeti è molto minore della loro distanza dal sole). Tale superficie si chiama “area d’ombra”, fig.33b.

Page 64: Geoingegneria

64

Figura 33b. Area d’ombra per un pianeta sferico

Al top dell’atmosfera terrestre giungono S0 = 1367 W/m2 i quali vedono un’area d’ombra di πR2p , con

Rp = raggio del pianeta, (in altri termini l’area associata all’emisfero illuminato), tenendo conto

dell’albedo:

Radiazione assorbita =

Nell’arco dell’intera giornata, a causa della rotazione terrestre, questa potenza è distribuita su tutta

la sfera (globo terrestre), quindi si deve dividere per la superficie della sfera 4 πR2p ottenendo:

Radiazione (potenza) media assorbita = quantità espressa in W/m2

L’insolazione media al top dell’atmosfera è di 1367/4 = 342 W/m2, l’albedo planetario medio è del 30%,

quindi solo il 70% della radiazione viene assorbita, equivalente a 240 W/m2 e i restanti

102 W/m2 devono tornare verso lo spazio.

Per determinare la temperatura di emissione del pianeta Terra devo quindi eguagliare la radiazione

assorbita appena calcolata a quella emessa da un corpo nero alla temperatura Te, che si ricava dalla legge

di Stefan-Boltzmann:

Radiazione emessa = quantità espressa in W/m2

Per il pianeta Terra, si ottiene:

Questa temperatura media per il pianeta Terra è molto minore di quella media osservata, pari a

288K ≈ 15°C: questo è dovuto alla presenza dell’effetto serra.

Il sistema Terra - atmosfera non può essere semplicemente considerato come un corpo nero che emette

alla temperatura della superficie terrestre, in quanto parte della radiazione emessa viene assorbita

dall’atmosfera stessa. La temperatura di emissione così ottenuta risulta però essere in buon accordo con la

temperatura della tropopausa (circa 12 km di altitudine).

Effetto serra

Per illustrare questo effetto, si tende a considerare un semplice modello energetico di equilibrio radiativo

(Modello Monodimensionale), figura 33c.

Consideriamo un’atmosfera costituita da un unico strato a temperatura TA che si comporti come un

Page 65: Geoingegneria

65

corpo nero nei confronti della radiazione terrestre, ma che sia trasparente alla radiazione solare (in analogia al

comportamento della serra). L’atmosfera risulta quindi in grado di interagire in modo assai differente con la

radiazione terrestre (onda lunga, IR) e solare (onda corta, VIS e vicino IR).

Calcoliamo il bilancio energetico per questo sistema Terra - atmosfera - Sole.

Bilancio al top dell’atmosfera

Il bilancio è dato dalla radiazione solare incidente e dall’emissione del pianeta:

(1)

L’atmosfera del modello assorbe tutta la radiazione terrestre ed emette come un corpo nero,

l’unica radiazione emessa verso lo spazio sarà quella atmosferica:

(2)

La temperatura dell’atmosfera in equilibrio deve essere quella di emissione del pianeta Te

affinché il bilancio energetico sia raggiunto.

Bilancio per lo strato atmosferico

Si ottiene eguagliando la radiazione assorbita a quella emessa sia verso l’alto che verso il basso:

che diviene:

(3)

Di conseguenza, la temperatura superficiale Ts è più calda della temperatura di emissione Te.

Bilancio alla superficie terrestre

Si eguaglia la radiazione assorbita (solare + proveniente dall’atmosfera) e quella emessa dal suolo:

(4)

Figura 33c. Diagramma dei flussi di energia per un modello di atmosfera composta di un

solo strato trasparente alla radiazione solare e totalmente opaco alla radiazione terrestre

(Modello Monodimensionale)

Fonte: ISAC, CNR

L’effetto serra dell’atmosfera riscalda la superficie terrestre in quanto l’atmosfera stessa è relativamente

trasparente alla radiazione solare, mentre assorbe ed emette la radiazione terrestre in modo efficiente.

Page 66: Geoingegneria

66

Per calcolare la temperatura superficiale della Terra, occorre introdurre un nuovo parametro, l’efficienza

di assorbimento f:

(5)

Si ottiene così l’equazione del bilancio energetico applicata allo strato atmosferico:

(6)

Si sostituisce l’eq.6 nella 5 ottenendo così:

)

(7)

Raccogliendo a fattor comune si ha:

(8)

Con f = 0.77 si ottiene circa 15°C

Tabella 16. Variazione della temperatura superficiale in base all’albedo

ALBEDO (α) TEMPERATURA (TS)

0.1 306 K = 33 °C

0.2 298 K = 25 °C

0.3 288 K = 15 °C

0.4 277 K = 4 °C

Aumento dell’albedo della superficie terrestre

La variabilità del clima può essere causata da cambiamenti nell’albedo terrestre. Gli elementi del sistema

climatico che influiscono maggiormente su questo parametro sono le nuvole, superfici ghiacciate,

innevate e le foschie. Variazioni in altri fattori di albedo stanno introducendo fluttuazioni caotiche nel

clima.

L’estensione e la variazione nella copertura nuvolosa globale non è stata ancora ben compresa: le nuvole

rappresentano un ruolo centrale nel sistema climatico, che conosciamo molto poco su scala globale. Una

variazione dell’1% della copertura nuvolosa potrebbe essere molto significativa in termini di condizioni

climatiche rispetto alla variazione della luminosità solare negli ultimi due secoli.

La superficie della Terra non è molto riflettente: l’albedo oceanico assume un valore in media di 0.1;

regioni ad intensa vegetazione hanno un albedo poco più alto 0.2; i deserti e le terre aride possono avere

un valore di albedo pari a 0.4; ghiaccio e neve hanno una riflettività maggiore, valore pari a 0.9 e oltre in

caso di innevamento fresco e abbondante (Fonte: Isac, CNR), (Bibliografia: “Fondamenti di fisica e

chimica dell’atmosfera G.Visconti, CUEN 2001).

Page 67: Geoingegneria

67

La frazione di terraferma e oceani coperti dal ghiaccio rappresentano contributi importanti all’albedo

medio globale. Nei climi più freddi, una grande copertura di neve e ghiaccio incrementa l’albedo

superficiale: questo, infatti, rafforza il raffreddamento in un processo di feedback positivo, espandendo i

margini ghiacciati e innevati verso latitudini e montagne più basse. Il sistema non è instabile ma, anche

durante i periodi glaciali più severi, i ghiacci si ritirano di nuovo. Tuttavia, i periodi interglaciali sono

stati più corti (approssimativamente da 10 mila a 20 mila anni) rispetto a quelli glaciali (100 mila anni),

fenomeno che suggerisce come i climi ghiacciati sono resistenti al riscaldamento.

Quando il clima raffredda e la criosfera si espande, cambia anche la copertura nuvolosa e la vegetazione

terrestre. Nell’età dei climi ghiacciati, i deserti si espansero e i tropici divennero aridi.

La complessa interconnessione tra tutti questi elementi e l’effetto netto sull’albedo sono difficili da

prevedere. I modelli che sono stati sviluppati e testati vanno contro le osservazioni sperimentali.

Oltre a fenomeni naturali, l’albedo può essere modificato anche da tecniche artificiali: una di queste

prevede l’imbiancamento delle superfici antropiche negli agglomerati urbani, cereali modificati e riflettori

artificiali nelle regioni desertiche.

Institution of Mechanical Engineers

Aumento dell’albedo mediante la creazione di nubi sul mare

Studi indipendenti hanno stimato che un aumento di circa il 4% della copertura di nubi marine

(stratocumuli) sarebbe sufficiente a compensare il raddoppio di CO2 (Fonte: US- NSF).

Gli stratocumuli, diffusi sopra gran parte degli oceani, esercitano un chiaro effetto refrigerante sul clima.

Questo effetto viene rafforzato spruzzando nelle regioni poco nuvolose dell’acqua marina nebulizzata da

navi e altri impianti (di solito aerei), in modo che i nuclei di condensazione (CCN - Cloud Condensation

Nuclei) costituiti dalle goccioline possano dare origine a nuvole.

E’ stato proposto che le emissioni CCN dovrebbero essere rilasciate al di sopra degli oceani, che la

liberazione dovrebbe produrre soltanto un aumento dell’albedo negli stratocumuli e che le nuvole

dovrebbero rimanere alle stesse latitudini sopra l'oceano, dove l'albedo superficiale è relativamente

costante e piccolo.

La nuvolosità in una regione oceanica tipica è limitata dal numero esiguo di CCN: in media il 31,2% del

globo è coperto da nubi stratiformi marine (Fonte: Charlson et al., 1987). Se non sono presenti nubi

di alto livello, il numero n dei CCN, che devono essere aggiunti al giorno è di 1,8 × 1025

CCN. La

massa di un CCN è uguale a 4/3πr3 × la densità, e si presume che il raggio medio r è pari a 0,07 × 10-4

cm. Poiché la densità di acido solforico (H2SO4) è di 1,841 g/cm3, la massa di CCN è pari a 2,7 × 10

-15

g. Il peso totale di H2SO4 da aggiungere al giorno è di 31 × 103 t se essa viene convertita in SO2 di

CCN.

Per mettere questo numero a confronto, una centrale a carbone di potenza media degli Stati Uniti emette

circa tutta questa SO2 in un anno. Di conseguenza, le emissioni equivalenti di 365 centrali elettriche a

carbone statunitensi, distribuite in modo omogeneo, sarebbero necessarie per produrre sufficienti CCN.

Page 68: Geoingegneria

68

Per stimare direttamente il valore dello zolfo, il peso totale di SO2 da aggiungere al giorno sarebbe uguale

a 32 × 103 t, o circa 16 x 103 t di zolfo al giorno, che è equivalente a circa 6 x 106 tS/anno. Equiparare il

costo annuale delle 300 parti per milione in volume (ppmv) di CO2 necessarie per la piena compensazione

dà $ 580 × 106/anno/(3890 × 106 tC/ppmv CO2 × 300 ppmv di CO2), o una frazione di 1 cent/t CO2.

Un aumento del 4% della nuvolosità è stata quindi equiparata ad una diminuzione di circa 300 ppm

di CO2, che si traduce in una riduzione di 1200 GtC o 4400 Gt di CO2 (1 mole di C pesa 12 g e 1

mole di CO2 ne pesa 44.

Questo può essere spiegato introducendo un parametro denominato forcing radiativo (ΔF) molto usato in

climatologia e definito come “un agente radiativo forzante che influisce sul sistema superficie-troposfera,

a causa della perturbazione indotta da un agente esterno (per esempio, un cambiamento delle

concentrazioni di gas serra) che determina una variazione netta dell’irradianza (in più o in meno, in

W/m2) nella tropopausa, che consente di ripristinare le temperature della stratosfera in condizioni di

equilibrio radiativo, con temperature superficiali e troposferiche fissate ad un valore imperturbabile”

(Fonte: IPCC, Second Assessment Report, 1996). Il forcing radiativo può assumere valori positivi o

negativi, a seconda se si tratti di un riscaldamento o di un raffreddamento della temperatura media

globale. Di seguito, viene riportata la relazione che lega il forcing radiativo, all’albedo e alla

concentrazione di CO2:

Fonte: “The radiative forcing potential of different climate geoengineering options” (Lenton-Vaughan, 2009)

Dove:

= 5.35 W/m2 (Fonte: IPCC, 2001)

= 400 ppm

= 278 ppm (Concentrazione di CO2 preindustriale, risalente al 1800)

= 1367 W/m2

Con albedo (α = 0.3):

Con albedo (α = 0.312, aumentato del 4%):

La differenza è data da un forcing radiativo pari a 235 – 239 = - 4 W/m2.

Calcoliamo la concentrazione di CO2 con un albedo aumentato del 4%, pari a 0.312:

Page 69: Geoingegneria

69

La differenza tra la prima concentrazione e la seconda dà:

ppm CO2 = 400 - 132 = 268 ppm

Un aumento del 4% della nuvolosità è stata quindi equiparata ad una diminuzione di circa 300 ppm

di CO2, che si traduce in una riduzione di 1200 GtC o 4400 Gt di CO2 (1 mole di C pesa 12 g e

1 mole di CO2 ne pesa 44).

Stabiliamo quindi la seguente proporzione: 12 gC : 44 gCO2 =1200 GtC: x GtCO2

Quindi abbiamo che:

Il costo di questo processo comporta il meccanismo di distribuzione di SO2 nell'atmosfera nel luogo

corretto. Se si considera una flotta di navi, gestite da un centro di controllo che utilizza i dati satellitari

meteo per pianificare tutto il lavoro, ciascuna trasportante zolfo e che portino un inceneritore adatto,

sarebbero necessarie 16 × 103 t al giorno o 6 × 106 t/anno. Lo zolfo costerà altri 0,6 miliardi di dollari

all'anno, e 2 milioni di dollari per nave all'anno per sostenere i costi operativi, che ammontano a

10.000 dollari al giorno per il funzionamento, per un costo totale di 2 miliardi di dollari all'anno.

Esteso per un periodo di oltre 40 anni (fino al 2030), questo dà un costo di 80 miliardi di dollari, o

approssimativamente 100 miliardi di dollari. (Fonte: NAP Geoengineering)

Questo mitiga continuamente 103 Gt, per un costo di $ 0,10/tC/anno, o $ 0,025/tCO2/anno. Questo

fornisce una stima dei costi nell'intervallo da 0,03 a $ 1/tCO2, che rappresenta un costo annuo di 2

miliardi di dollari all’anno.

La SO2 potrebbe anche essere emessa da centrali elettriche: questi impianti potrebbero essere costruiti in

mezzo all'oceano vicino all'equatore e potrebbero fornire energia nei luoghi vicini. La trasmissione o l'uso

dell’energia in forma di materiali raffinati o forse potrebbero essere considerati l'uso di sistemi

superconduttori a trasmissione energetica. Probabilmente essi richiederebbero otto grandi impianti che

utilizzerebbero carbone "a spillo" ( che contiene 4 volte la quantità normale di zolfo), ad un costo che va

dai 2 ai 2,5 miliardi di dollari ad impianto.

È stato argomentato che un aumento del 50-100% della concentrazione di goccioline in tutte le

nuvole stratiformi marine darebbe luogo ad un aumento dell’albedo planetario di 0.005

(Fonti: Latham, 2002; Bower et al, 2006).

Tuttavia, per compensare un forcing radiativo di 3,71Wm-2 provocato dal raddoppio di CO2 previsto, è

stato calcolato come necessario un aumento di albedo planetario di 0.074 (Fonte: Latham et al., 2008).

In ogni caso molte sono le incertezze sul calcolo delle concentrazioni di goccioline nelle nubi marine

sufficienti allo scopo. Altrettanto incerta è la stima dell’estensione e della durata della copertura nuvolosa

sugli oceani: la produzione meccanica di spray con quale sistema e soprattutto con quale energia e a quali

costi verrebbe aumentata?

Ci sono proposte “artistiche” di barche con dei camini che spruzzerebbero l’acqua nebulizzata dal mare

verso l’alto, verso l’atmosfera libera e una di queste è di John MacNeill, che consiste nella costruzione di

enormi “zattere” galleggianti alimentate ad energia solare. Si stima che una flotta di 1500 navi abbia un

costo di 600 milioni di dollari per le prime 300, e di altri 100 milioni all’anno.

Una delle idee alternative è stata proposta nel 1990 da John Latham dell’Università di Manchester, in

collaborazione con Steve Salter, dell’Università di Edimburgo e dell’NCAR: essa implica lo sfruttamento

dell'effetto Twomey per aumentare la riflettività degli stratocumuli marini. Twomey ha mostrato che la

riflettività di uno strato di nubi dipende dalla distribuzione dimensionale delle gocce d’acqua.

Considerando lo stesso quantitativo di acqua liquida un gran numero di piccole gocce riflettono di più

Page 70: Geoingegneria

70

rispetto ad un minor numero di grandi. Anche se l'umidità relativa di una massa d'aria supera il 100%, le

gocce non possono formarsi senza una qualche forma di inseminazione, nota come nuclei di

condensazione della nuvola. Sulla terra ci sono molti di questi, 1.000 - 5.000 in ogni centimetro cubo di

aria. Ma nelle masse d'aria medio-oceaniche il numero è molto più basso, spesso inferiore a 100 e, a volte

sotto i 20. La carenza di nuclei significa che l'acqua liquida nella nube deve essere presente in grandi

gocce, fino a 30 micron di diametro. Latham ha suggerito che si devono spruzzare gocce microscopiche

di acqua di mare nel fondo dello strato limite marino. Esse dovrebbero evaporare rapidamente ed i residui

di sale verrebbero dispersi dalla turbolenza attraverso lo strato limite superiore con alte nubi arricchite

dove agirebbero come nuclei di condensazione ideali. L'effetto Twomey è stato scoperto in seguito

all’osservazione di rotte navali che talvolta si originano quando le strisce di gas solfatici forniscono nuclei

di condensazione. L'effetto può essere dimostrato con recipienti pieni di sfere di vetro di diverse

dimensioni. La quantità di energia di tensione superficiale necessaria per creare una goccia è di molti

ordini di grandezza inferiore rispetto alla quantità di energia solare extra che si riflette verso lo spazio. Il

rapporto dipende dalla profondità della nuvola, la profondità dello strato limite, il contenuto di acqua

liquida, la vita della goccia ma soprattutto dal valore della concentrazione iniziale dei nuclei di

condensazione. Se i valori ragionevoli per questi parametri sono utilizzati con le equazioni di Twomey,

essi prevedono che un tasso di spruzzo globale inferiore a 10 metri cubi al secondo potrebbe invertire gli

effetti termici di tutte le emissioni di origine antropica a quelle contenute nel periodo pre-industriale e che

meno di 70 metri cubi al secondo dovrebbero annullare i 3,71 W/m2 attesi per un raddoppio di CO2 pre-

industriale. Tre modelli climatici indipendenti hanno confermato il grande guadagno energetico e

attualmente stanno ancora lavorando, in particolare il Rasch, l’NCAR e i Laboratori del Nord-Ovest

Pacifico stanno producendo risultati in base allo spruzzamento in vari luoghi. Le stime del tempo di vita

di una goccia variano da un giorno a due settimane. Un tempo di vita breve ha il vantaggio che il processo

può essere provato su scala ridotta, controllato localmente e fermato molto rapidamente se si rende

necessario. Tuttavia, ciò significa anche che deve essere fatto continuamente fino a quando le sostituzioni

dell’energia proveniente da fonti a combustibili fossili verranno messe in atto.

Sappiamo che la posizione dei migliori siti di spruzzo varia con le stagioni. Ciò mette in evidenza le fonti

mobili a spruzzo, la necessità di rimanere in loco per lunghi periodi suggerisce l'uso del vento come fonte

energetica di processo. Le comunicazioni moderne via satellite consentono la navigazione telecomandata

non presidiata che rimuove i problemi di fornitura di cibo e acqua in molti punti medio-oceanici. Il

sistema di propulsione Flettner, usato la prima volta nel 1926, formato da un facile sostituto

computerizzato per le vele munite di corde, il quale conferisce anche eccellenti prestazioni

aerodinamiche. Le imbarcazioni a spruzzo guidate dal vento sono in grado di generare energia

trascinando turbine come un sistema di propulsione ad eliche attraverso l'acqua. Diversi anni di lavori di

progettazione hanno portato a piani per un trimarano di 300 tonnellate con una linea di galleggiamento

lunga 45 metri e la potenza stimata dell’impianto di 150 kW che potrebbe essere in grado di polverizzare

30 kg d'acqua al secondo da tre sistemi a spruzzo alloggiati nei rotori Flettner. Il problema principale è la

progettazione di un potente ed efficiente sistema di generazione a spruzzo. La presente proposta è quella

di costruire e testare in laboratorio, un modello di generazione spray che possa essere testato in mare su di

una nave convenzionale e potrebbe successivamente inserire dei supporti per le attrezzature pianificate

alle navi guidate dal vento.

Figura 34. llustrazione delle possibili navi erranti negli oceani con

camini nebulizzatori dell’acqua di mare, alimentati a energia solare (John MacNeill)

Page 71: Geoingegneria

71

Gli Aerosol: Fonti ed accumuli

Gli aerosol provengono dalla condensazione di gas e dall'azione del vento sulla superficie della Terra. Le

particelle fini (meno di 1 mm di raggio) provengono quasi esclusivamente dalla condensazione dei gas

precursori. Una composizione chimica tipica di fine aerosol in troposfera inferiore viene mostrato nella

Figura 21.

Figura 21. Composizione tipica dell’aerosol fine continentale, adattato da J. Heintzenberg, Tellus 41B pag.149-160

(1989)

Un gas precursore chiave è l’acido solforico (H2SO4), che è prodotto in atmosfera per ossidazione

dell’anidride solforosa (SO2) emessa dalla combustione di combustibili fossili, i vulcani, e da altre fonti.

L’H2SO4 ha una bassa pressione di vapore sopra una soluzione acquosa di acido solforico, che condensa

in tutte le condizioni atmosferiche per formare particelle acquose di solfati. La composizione di queste

può essere modificata mediante condensazione di altri gas con vapore a bassa pressione compresi

NH3,HNO3, e composti organici. Il carbonio organico rappresenta una frazione importante dell’aerosol

fine (Figura 21) ed è un contributo principale derivante dalla condensazione di idrocarburi grandi di

origine biogenica e antropogenica. Un altro componente importante dell’aereosol fine è la fuliggine

prodotta dalla condensazione di gas durante la combustione: essa comprende sia il carbonio elementare

che aggregati organici neri.

L'azione meccanica del vento sulla superficie della Terra emette sale marino, polvere dal suolo e detriti di

vegetazione nell'atmosfera. Questi aerosol sono costituiti principalmente da particelle grossolane,

da 1 a 10 mm di raggio. Le particelle più fini di 1 mm sono difficili da generare meccanicamente perché

hanno grandi rapporti di superficie-volume e quindi la loro tensione superficiale di aereosol per unità di

volume è alta. Le particelle più grossolane di 10 mm non vengono facilmente sollevate dal vento e hanno

brevi tempi di vita in atmosfera a causa della loro grande velocità di sedimentazione.

La figura seguente illustra i vari processi coinvolti nella produzione, la crescita, ed eventuale rimozione di

particelle di aerosol atmosferiche. Le molecole di gas hanno dimensioni nel campo di 10-4- 10-3 µm.

L’aggregazione di molecole di gas (nucleazione) produce aerosol ultrafini nell'intervallo 10-3- 10-2 µm.

Figura 22. Ciclo di emissione e deposizione degli aerosol

Fonte: Introduction to Atmospheric Chemistry, Daniel J. Jacob, January 1999

Page 72: Geoingegneria

72

Questi aerosol ultrafini crescono rapidamente nel campo della misura da 0,01 a 1 µm di diametro

attraverso la condensazione dei gas e per mezzo della coagulazione (collisioni tra particelle durante i loro

movimenti casuali). La crescita di oltre 1 µm è molto più lenta perché le particelle sono ormai troppo

grandi per crescere rapidamente tramite condensazione dei gas e, di conseguenza, il moto lento casuale

delle particelle grandi riduce la velocità di coagulazione.

Il particolato è emesso dall’azione del vento e similmente rimosso dalle precipitazioni. Inoltre esso

sedimenta a una velocità significativa. La velocità di sedimentazione di queste particelle di 10 mm al

livello del mare è 1,2 cm/s, rispetto a 0,014 cm/s per una particella di 0,1 mm.

La maggior parte dell'aerosol atmosferico è presente nella bassa troposfera, che riflette il breve tempo di

permanenza nei confronti della deposizione (circa 1-2 settimane). Le concentrazioni di aerosol nell'alta

troposfera sono in genere di 1-2 ordini di grandezza inferiori a quelle nella bassa troposfera. La stratosfera

contiene tuttavia un onnipresente strato di aereosol di H2SO4 acquoso a 15-25 km di altitudine, che svolge

un ruolo importante per la chimica dell'ozono stratosferico. Questo strato deriva dall’ossidazione di

solfuro carbonile ( ), un gas biogenico con un tempo di vita atmosferico sufficientemente lungo per

penetrare nella stratosfera. Questo viene aumentato episodicamente dall'ossidazione di SO2, scaricato

nella stratosfera dalle grandi eruzioni vulcaniche. Sebbene la fonte stratosferica di H2SO4 derivante

dall’ossidazione del è meno dello 0,1% rispetto alla fonte di H2SO4 troposferico, il tempo di

permanenza di aerosol nella stratosfera è molto più lungo di quello in troposfera a causa della mancanza

di precipitazioni.

Riduzione della visibilità

La visibilità atmosferica è definita dalla capacità dei nostri occhi di distinguere un oggetto dallo sfondo

circostante. La dispersione della radiazione solare da aerosol è il processo principale che limita la

visibilità nella troposfera (Figura 25). In assenza di aerosol, la gamma visiva sarebbe di circa 300 km,

limitata dalla dispersione delle molecole d'aria. Gli aerosol di origine antropica in ambiente urbano in

genere riducono la visibilità di un ordine di grandezza rispetto alle condizioni incontaminate. Il degrado

della visibilità da aerosol di origine antropica è anche un grave problema nei Parchi Nazionali in USA

come quello del Grand Canyon e le Great Smoky Mountains. La riduzione di visibilità è maggiore alle

alte umidità relative, quando gli aerosol si accrescono per l’assorbimento di acqua, aumentando l'area

della sezione trasversale per la dispersione; questo è il fenomeno noto come foschia.

Figura 25. Riduzione della visibilità per mezzo dell’aerosol. La visibilità di un oggetto viene determinata dal suo

contrasto con lo sfondo (2 contro 3). Questo contrasto viene ridotto dalla dispersione aerosol della radiazione solare

nel punto di vista (1) e dalla dispersione della radiazione dall’oggetto fuori dal punto di vista (4)

Fonte: Introduction to Atmospheric Chemistry, Daniel J. Jacob, January 1999

Page 73: Geoingegneria

73

Perturbazione del clima

La dispersione della radiazione solare da aerosol aumenta l'albedo della Terra perché una frazione della

luce dispersa viene riflessa verso lo spazio. Il conseguente raffreddamento della superficie terrestre si

manifesta a seguito di grandi eruzioni vulcaniche, come quella del Monte Pinatubo nel 1991, che iniettano

grandi quantità di aerosol nella stratosfera. L'eruzione del Pinatubo è stata seguita da una sensibile

diminuzione delle temperature superficiali medie per i successivi 2 anni (Figura 26) a causa del lungo

tempo di permanenza degli aerosol nella stratosfera. Sorprendentemente, la profondità ottica dell’aerosol

stratosferico seguita da una grande eruzione vulcanica è paragonabile a quella relativa all'aerosol

antropogenico nella troposfera. L'esperimento naturale offerto dai vulcani in eruzione in maniera così

forte, implica che gli aerosol di origine antropica esercitino un significativo effetto di raffreddamento sul

clima terrestre.

Figura 26. Cambiamento osservato della temperatura superficiale media globale terrestre seguito dopo l’eruzione del

Monte Pinatubo (Settembre 1991). Adattato da Climate Change 1994, Cambridge University Press New York, 1995

Fonte: Introduction to Atmospheric Chemistry, Daniel J.Jacob, January 1999

Consideriamo un semplice modello per stimare l'effetto climatico di uno strato di dispersione di aerosol a

profondità ottica δ. Si stima che la media globale della profondità ottica di dispersione degli aereosol è di

circa 0,1 e che il 25% di tale spessore ottico è un contributo di aerosol di origine antropica.

Il forcing radiativo dallo strato di aerosol antropogenico è:

Dove ΔA è l'aumento associato all’albedo della Terra (si noti che quando ΔF è negativo, l'effetto è quello

di raffreddamento). Abbiamo bisogno di mettere in relazione δ per ΔA.

Figura 27. Dispersione della radiazione attraverso uno strato di aerosol

Fonte: Introduction to Atmospheric Chemistry, Daniel J. Jacob, January 1999

Page 74: Geoingegneria

74

In Figura 27, si decompone il flusso di radiazione solare incidente sullo strato di aerosol ( ) in

componenti trasmesse attraverso lo strato ( ), disperso in avanti ( ), e diffusa all'indietro ( ).

Poiché δ = << 1, possiamo fare l’approssimazione in Il flusso di radiazione dispersa

è data da:

L’albedo dello strato di aerosol è definito come:

Come illustrato in figura, una particella di aerosol è più probabile che sia dispersa nella direzione in

avanti (fasci A, B, D) che nella direzione all'indietro (fascio C). Osservazioni sperimentali e teoriche

indicano che solo una frazione β 0,2 della radiazione totale diffusa da una particella di aerosol è diretta

all'indietro.

L’albedo è definito come:

Che produce 5x per l’albedo globale dell’aerosol antropogenico:

Figura 28. Riflessione della radiazione solare attraverso due strati di albedo sovrapposti A* e A0.

Una frazione A* della radiazione solare in entrata Fs viene riflessa dallo strato alto nello spazio (1). La frazione

rimanente 1-A* si propaga sullo strato inferiore (2) dove una frazione A0 viene riflessa verso l’alto (3).Una parte di

quella radiazione riflessa viene propagata attraverso lo strato più alto (4) mentre la rimanente viene riflessa (5).

Ulteriore riflessione tra lo strato alto e quello basso si aggiunge alla radiazione totale riflessa al di fuori nello spazio

(7).

L’attuale incremento del valore di albedo ΔA è inferiore ad A* a causa della sovrapposizione orizzontale

dello strato di aerosol con altre superfici riflettenti come nuvole o ghiaccio. Gli aerosol presenti sopra o

sotto una superficie bianca non apportano alcun contributo all’albedo terrestre. Prendiamo in

considerazione questo effetto in Figura 28 sovrapponendo la riflessione della radiazione solare in arrivo

dallo strato di aerosol di origine antropica A* e da contributi naturali all’albedo della Terra (A0). Si

assumono sovrapposizioni spaziali casuali tra A* e A0.

Page 75: Geoingegneria

75

L’albedo totale AT degli strati sovrapposti ad albedo A* e A0 è la somma dei flussi di tutti i fasci di

radiazione riflessa verso l'alto nello spazio, diviso per il flusso in entrata verso il basso del flusso di

radiazione :

Il forcing radiativo dagli aerosol antropogenici è definito come:

L’aerosol di origine antropica può spiegare almeno in parte perché la Terra non è stata sempre calda come

ci si sarebbe aspettato da concentrazioni crescenti di gas serra. Una delle maggiori difficoltà nel valutare

l'effetto radiativo degli aerosol è che le loro concentrazioni sono molto variabili da regione a regione, a

seguito del loro breve tempo di permanenza. I record delle temperature nel lungo termine suggeriscono

che le regioni industriali degli Stati Uniti orientali e quelle dell’Europa, dove sono alte le concentrazioni

di aerosol, potrebbero aver riscaldato meno nel corso del secolo passato rispetto a remote regioni del

mondo, coerentemente con l’effetto albedo negli aerosol. Recenti osservazioni indicano anche una grande

profondità ottica dalle polveri di aereosol dei suoli emesse dalle regioni aride, e ci sono prove che questa

fonte è in aumento come effetto della desertificazione nei tropici. A causa delle loro grandi dimensioni, le

particelle di polvere non solo disperdono la radiazione solare ma assorbono anche quella terrestre, con

implicazioni complesse per il clima.

Il particolato atmosferico

Il particolato (particulate matter, PM) o polveri totali sospese (PTS) è costituito da una complessa

miscela di sostanze, organiche ed inorganiche, allo stato solido o liquido che, a causa delle loro piccole

dimensioni (diametro compreso tra qualche nanometro (nm) e decine/centinaia di micrometri (m))

restano sospese in atmosfera per tempi più o meno lunghi; tra queste troviamo sostanze diverse come

sabbia, ceneri, polveri, fuliggine, sostanze silicee di varia natura, sostanze vegetali, composti metallici,

fibre tessili naturali e artificiali, sali, elementi come il carbonio o il piombo.

Nel 1996, Marconi ha classificato in base alla natura e alle dimensioni delle particelle:

gli aerosol, costituiti da particelle solide o liquide sospese in aria e con un diametro inferiore a 1

micron (µm);

le foschie, date da goccioline con diametro inferiore a 2 micron;

le esalazioni, costituite da particelle solide con diametro inferiore ad 1 micron e rilasciate

solitamente da processi chimici e metallurgici;

il fumo, dato da particelle solide di diametro inferiore ai 2 micron e trasportate da miscele di gas;

le polveri, costituite da particelle solide con diametro fra 0,25 e 500 micron;

le sabbie, date da particelle solide con diametro superiore ai 500 micron.

Le particelle aerodisperse in atmosfera presentano forme irregolari e fanno riferimento al diametro

aerodinamico equivalente (dae), definito come il diametro di una particella sferica avente densità unitaria e

Page 76: Geoingegneria

76

un comportamento aerodinamico, in base alla velocità di sedimentazione, uguale a quello della particella

considerata nelle medesime condizioni di temperatura, pressione e umidità relativa.

Il concetto di diametro aerodinamico equivalente delle particelle è utile ai fini della classificazione del

particolato in categorie; in tal senso si può ricorrere ai seguenti termini:

PTS (Particelle Totali Sospese): sono le particelle di dimensioni tali da restare in sospensione per un

tempo sufficiente ad essere raccolte e classificate tramite un sistema di campionamento rispondente a

specifiche caratteristiche geometriche in relazione a determinati flussi di prelievo. In pratica sono le

particelle con diametro aerodinamico inferiore a 100 µm.

PM10: è la frazione di particolato raccolta da un sistema di campionamento tale per cui le particelle con

diametro aerodinamico uguale a 10 µm sono campionate con efficienza del 50%.

PM2,5: è la frazione di particolato raccolta da uno specifico sistema di campionamento tale per cui le

particelle con diametro aerodinamico uguale a 2,5 µm sono campionate con efficienza del 50%,

rappresentano circa il 60% delle PM10.

E’ convenzione, inoltre, suddividere il particolato atmosferico in funzione del diametro aerodinamico

nelle seguenti frazioni:

ultrafine (ultra-sottile): diametro aerodinamico compreso tra 0,01 e 0,1 µm; generalmente queste

particelle sono costituite dai prodotti della nucleazione omogenea dei vapori sovrasaturi (SO2, NH3,

NOX e prodotti della combustione);

fine (sottile): diametro aerodinamico compreso tra 0,1 e 2,5 µm; la loro formazione avviene per

coagulo di particelle ultrafini e attraverso i processi di conversione gas-particella - processo di

nucleazione eterogenea , oppure per condensazione di gas su particelle preesistenti nell’intervallo di

accumulazione. I maggiori costituenti di queste particelle nelle aree industrializzate sono solfati, i

nitrati, lo ione ammonio, il carbonio elementare e quello organico; a questi si aggiungono particelle

di origine biologica come spore fungine, lieviti, batteri ecc.

coarse (grossolana): diametro aerodinamico compreso tra 2,5 e 100 µm; essenzialmente prodotte da

processi meccanici (erosione, risospensione meccanica o eolica, macinazione), esse contengono

elementi presenti nel suolo e nei sali marini; essendo inoltre relativamente grandi esse tendono a

sedimentare in tempi di poche ore o minuti, ritrovandosi spesso vicino alle sorgenti di emissione in

funzione della loro altezza.

La seguente figura, (Fonte: Marconi, 2003) rappresenta la distribuzione dimensionale in termini di

massa o volume delle particelle aerodisperse, l’origine e la reazione dinamica tra le particelle ed il

mezzo in cui sono sospese:

Page 77: Geoingegneria

77

Le particelle fini con dae < 1 µm hanno una concentrazione in atmosfera compresa tra 10 e 10.000

particelle/cm3, mentre quelle che superano 1 µm di diametro hanno un concentrazione minore di 10

particelle/cm3.

Le particelle con dae < 2,5 µm rappresentano numericamente oltre il 95% delle particelle totali; quelle di

dimensioni maggiori, in particolare con dae tra 5 e 50 µm, essendo più pesanti, rappresentano la maggior

parte della massa del particolato presente in ambiente urbano.

Le dimensioni delle particelle rappresentano il parametro più importante per la descrizione del loro

comportamento e della loro origine; la composizione chimica, la rimozione, ed il tempo di permanenza

nell’atmosfera sono tutte caratteristiche correlate con le dimensioni delle particelle

(Fonte: Marconi, 2003).La seguente figura mostra una rappresentazione schematica della distribuzione

nell’ambiente del particolato in funzione del suo diametro:

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Figura 29. Distribuzione del numero di particelle e del loro volume in funzione del diametro aerodinamico.

Fonte: (Whitby KT, Sverdrup GM. 1980)

La tabella che segue fa riferimento alle particelle che derivano da sorgenti naturali o antropiche: negli

ambienti interessati da una forte urbanizzazione le particelle aerodisperse derivano essenzialmente dai

processi di combustione delle sorgenti mobili, come veicoli a motore e di sorgenti fisse, come gli impianti

per la produzione di energia (Fonte: USEPA,1999).

Si evidenziano le principali sorgenti di PM naturali ed antropiche:

Tabella 13. Sorgenti naturali ed antropiche di PM10

Fonte: Marconi (2003)

La composizione del particolato dipende dall’area di provenienza e dalla tipologia di sorgente di

emissione (Fonte: Facchini, 2001).

Le sorgenti di PM sono comunemente riunite sotto due grandi categorie: le sorgenti naturali e quelle

antropiche.

Sorgenti naturali: sono ad esempio le particelle di roccia e di suolo erose, sollevate o risospese dal vento,

il materiale organico e le ceneri derivanti da incendi boschivi o da eruzioni vulcaniche, le piante (pollini e

residui vegetali), le spore, lo spray marino, i resti degli insetti;

Sorgenti antropiche: sono invece legate principalmente all’uso di combustibili fossili (produzione di

energia, riscaldamento domestico), alle emissioni degli autoveicoli, all’usura dei pneumatici, dei freni e

del manto stradale, a vari processi industriali (raffinerie, processi chimici, operazioni minerarie,

cementifici), allo smaltimento di rifiuti (inceneritori) ecc.

Grandi quantità di polveri si possono inoltre originare in seguito a varie attività agricole.

Page 79: Geoingegneria

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Tabella 14. Le sorgenti del particolato atmosferico

Fonte: (IAR, 2002)

Figura 30: Emissioni globali dei principali componenti dell’aerosol atmosferico

Fonte: (Lou J.C et al, 2005)

Figura 31. Emissioni globali dei principali componenti dell’aerosol atmosferico

Fonte: (Lou J.C et al, 2005)

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Molti studi dimostrano che la concentrazione tipica di particelle antropogeniche presente in un’area

urbana può rappresentare un serio rischio per la salute dell’uomo (Fonti: Sesana, 2004.; Raes et al., 1999,

ECC).

A tal fine assumono rilevanza considerevole il monitoraggio e la caratterizzazione di tali zone e la

quantificazione del contributo dato da ciascuna sorgente, in modo da individuare provvedimenti specifici

di controllo, mitigazione e di politica ambientale, atti al conseguimento di uno sviluppo sostenibile.

Una volta immesse in atmosfera, le particelle vanno incontro ad un’evoluzione a opera di diversi

meccanismi, quali condensazione, evaporazione, coagulazione e attivazione, ma la loro concentrazione in

aria, che in condizioni di aria pulita, è dell’ordine di 1-1,5 µg/m3, viene comunque limitata dalla naturale

tendenza alla deposizione per effetto della gravità e/o per deposizione secca o umida (Fonte: Hemond et

al, 2000). La deposizione secca è il trasferimento diretto alla superficie terrestre e procede senza

l’intervento delle precipitazioni.

La deposizione umida, al contrario, comprende tutti i processi che comportano il trasferimento alla

superficie terrestre in forma acquosa (come pioggia, neve o nebbia).

Inoltre la permanenza in atmosfera è fortemente condizionata dalla natura dei venti , dalle precipitazioni e

dalle dimensioni delle particelle. In quest’ultimo caso le particelle con un diametro superiore a 50 µm,

visibili in aria, sedimentano piuttosto velocemente, causando fenomeni di inquinamento su scala molto

ristretta, mentre le più piccole possono rimanere in sospensione per molto tempo; alla fine gli urti casuali

e la reciproca attrazione le fanno collidere e riunire assieme, raggiungendo così dimensioni tali da

acquistare una velocità di caduta sufficiente a farle depositare al suolo.

Il trasporto a lunga distanza, invece, è governato principalmente dall’azione del vento. Si è osservato che

particelle con diametro minore di 10 µm sono capaci di coprire distanze superiori ai 5000 km, soprattutto

sopra regioni marine.

Tale fenomeno è stato osservato analizzando campioni di aerosol raccolti lungo le coste dell’Atlantico

occidentale, in cui è stata trovata polvere proveniente dal deserto del Sahara (Fonte: Brasseur et al,

1999).Il particolato atmosferico, in generale, contiene solfati, nitrati, ammonio, materiali organici, specie

crostali, sali marini, ioni idrogeno e acqua. Gli ioni inorganici solubili in acqua costituiscono uno dei maggiori componenti del particolato

atmosferico: Cl–, NO3–, Na+, Mg2+ e Ca2+ predominano nel particolato grossolano, invece, SO4

2– e NH4+ si

trovano preferibilmente nel particolato fine (Fonti: Seinfeld e Pandis; Van Dingenen et al, 2004).

La composizione chimica del particolato dipende dall’area di provenienza e dalla tipologia delle sorgenti

di emissione dominanti, cioè dal tipo di insediamenti della zona, e, poiché le particelle possono rimanere

sospese nell'aria per parecchi giorni e quindi trasportate anche a grandi distanze, il loro carico in una città

dipende non solo dalle fonti locali, ma anche dalla quota trasportata.

Figura 32. Composizione percentuale tipica dell’aerosol in località urbane, continentali rurali e marine

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Tabella 15. Componenti chimiche delle polveri e loro effetti biologici

Componente Principali sottocomponenti Effetti biologici

Metalli Ferro, vanadio, nickel, rame, platino e

altri.

Possono innescare processi infiammatori, causare danni al DNA e

alterare la permeabilità delle pareti cellulari attraverso la produzione di

composti reattivi dell'ossigeno (soprattutto radicali liberi idrossilici) nei

tessuti.

Composti organici

Possono essere adsorbiti sulla superficie delle particelle; alcuni

composti organici volatili o semivolatili possono formare particelle essi stessi.

Possono causare mutazioni al DNA, cancro; altri sono irritanti e possono

indurre reazioni allergiche.

Origine biologica

Virus, batteri e loro endotossine (lipopolisaccaridi), frammenti di origine

animale o vegetale (ad esempio i frammenti di polline), spore fungine.

I pollini possono scatenare risposte allergiche nelle vie respiratorie dei soggetti sensibili; i virus ed i batteri

possono provocare risposte immunitarie a difesa delle vie

respiratorie.

Ioni

Solfati (1) (di solito sotto forma di ammonio solfato), nitrati (2) (di solito

sotto forma di nitrato di ammonio o di sodio), ioni idrogeno (H+).

L'acido solforico può, a concentrazioni relativamente alte, danneggiare la

clearance mucociliare e aumentare le resistenze delle vie respiratorie nei soggetti con asma; gli ioni idrogeno possono modificare la solubilità (e la

biodisponibilità) dei metalli e degli altri composti adsorbiti sulle particelle.

Gas reattivi Ozono, perossidi, aldeidi. Possono adsorbirsi sulle particelle ed

essere trasportate nelle basse vie respiratorie causando lesioni ai tessuti.

Parte centrale della particella

Materiale carbonioso.

Il carbone causa irritazione dei tessuti polmonari, proliferazione delle cellule epiteliali e, per esposizioni croniche,

fibrosi.

Fonte: (Health Effects Institute, 2000, 2001, 2002)

Qualità dell’aria: PM10

Il particolato atmosferico viene correntemente misurato come PM10, che è definito dalla normativa

italiana come “la frazione di materiale particolato sospeso in aria ambiente che passa attraverso un

sistema di separazione, in grado di selezionare il materiale particolato di diametro aerodinamico di 10

μm con una efficienza di campionamento pari al 50%” (Fonte: Ministero dell’Ambiente, 2002).

Secondo il censimento Ecosistema Urbano 2006 la presenza di polveri sottili nell'aria è ormai un

emergenza, lo dimostra il fatto che il monitoraggio sistematico del PM10, fino agli ultimi anni piuttosto

scarso, ha ormai quasi raggiunto la stessa diffusione di CO e NO2. L'inquinamento da polveri sottili

mostra infatti una criticità diffusa: in 41 comuni su 79 (52%), almeno una centralina ha registrato un

valore medio annuo superiore al valore limite per la protezione della salute umana di 41,6 µg/m3 previsto

dalla direttiva comunitaria per il 2004.

Page 82: Geoingegneria

82

Le situazioni più critiche si registrano in particolar modo nelle città della pianura padana (Torino, Milano,

Verona, Vicenza) come pure Roma, Firenze e Genova.

Al PM10 fanno riferimento alcune normative (fra cui le direttive europee sull’inquinamento urbano

(1999/30/CE e 96/62/CE e quelle sulle emissioni dei veicoli), tuttavia tale parametro si sta dimostrando

relativamente grossolano dato che sono i PM25 e i PM1 ad avere i maggiori effetti negativi sulla salute

umana.

Nell’Aprile 2008, l’UE ha adottato definitivamente una nuova direttiva (2008/50/CE) che detta limiti di

qualità dell’aria con riferimento anche alle PM25, stabilendo una durata di due anni nei quali gli Stati

avrebbero avuto tempo per recepirla ed adattarla alle loro rispettive normative nazionali.

Effetti del particolato atmosferico su clima, microclima, ecosistemi, piante e materiali

Le particelle di PM possono agire indirettamente a favore di un raffreddamento del pianeta in quanto

fungono da nuclei di condensazione per le nuvole, aumentando la probabilità di formazione delle stesse;

infatti se da un lato esse riflettono la luce solare, rendendo la riflessione più efficiente rispetto a quella

degli oceani e delle terre emerse e portando ad un raffreddamento della superficie della Terra, dall’altro

possono avere però anche rivestire un ruolo nei fenomeni d’assorbimento della radiazione infrarossa

terrestre, contribuendo positivamente al riscaldamento della Terra.

Il particolato ha effetti anche sul microclima urbano: infatti, nei centri urbani l’inquinamento dell’aria

contribuisce all’effetto “isola di calore”, creato dall’elevata cementificazione delle città, inibendo la

perdita di radiazioni infrarosse ad onde lunghe durante la notte.

Oltre a questo, il particolato presente su città di grandi dimensioni può ridurre anche di più del 15% la

quantità di radiazione solare che raggiunge il suolo, effetto evidente soprattutto quando il Sole è basso

sull’orizzonte perché il cammino percorso dalla luce attraverso l’aria inquinata aumenta al ridursi

dell’altezza del Sole. Quindi, a una data quantità di particolato, l’energia solare sarà ridotta in modo più

intenso in città poste ad alte latitudini e nei periodi invernali.

Rispetto alle zone rurali circostanti, l’umidità relativa delle città è generalmente più bassa del 2-8%; ciò è

dovuto al fatto che le città sono più calde e che le acque meteoriche scorrono via rapidamente, ma

nonostante ciò sulle città le nubi e la nebbia si formano frequentemente grazie alle attività umane, che

nelle aree urbane producono grandi quantità di particelle che fungono da nuclei di condensazione,

favorendo appunto la formazione di nubi e nebbie e, quando i nuclei igroscopici sono numerosi, il vapor

d’acqua condensa rapidamente su di essi, a volte anche in situazioni di sottosaturazione, determinando

così un aumento delle precipitazioni sulle città dovuto proprio al particolato atmosferico (Fonte: Lutgens

et al., 1995).

Esso, in seguito a deposizione secca o umida, può contribuire ai processi di acidificazione (associati in

particolare ad H2SO4 e HNO3) e di eutrofizzazione (associata ai sali di nitrati) degli ecosistemi terrestri e

acquatici.

L’acidificazione dei suoli può portare al rilascio di elementi tossici come l’alluminio provocando seri

danni alle piante e alle varie forme di vita acquatica.

Il clima e l’inquinamento atmosferico, interagendo tra loro, degradano il patrimonio artistico,

architettonico ed archeologico, ed è stato osservato che i danni ai materiali sono legati soprattutto alla

composizione chimica e allo stato fisico dell’inquinante. Un primo danno indiretto è causato

dall’annerimento dei materiali dovuto alla sedimentazione del particolato il quale può, inoltre, fungere da

serbatoio di acidi provocando corrosioni.

Il particolato inoltre danneggia i circuiti elettrici ed elettronici, macchia gli edifici, le opere d’arte e

riduce la durata dei tessuti.

Page 83: Geoingegneria

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Immissione di aerosol nella stratosfera

Questo processo replica l’effetto refrigerante delle grandi eruzioni vulcaniche, durante le quali grandi

quantità di aerosol solfatici vengono proiettati nella stratosfera inferiore, ossia nell’atmosfera oltre i 10

km di altitudine: un esempio in tal senso è costituito dall’eruzione del vulcano Pinatubo avvenuta nel

1991.

Le emissioni di gas di zolfo da entrambe le fonti naturali e artificiali influenzano fortemente la chimica

dell'atmosfera: per valutare l'importanza relativa di queste fonti sono state combinate le misurazioni dei

gas e dei flussi di zolfo nel corso degli ultimi dieci anni per creare un inventario delle emissioni globali

(Fonte: Journal of Atmospheric Chemistry, 1992) (Citazione: Bates et al., NOAA/Pacific Marine

Environmental Laboratory, Seattle USA). L'inventario, che è diviso in 12 aree di latitudine, tiene conto

della dipendenza stagionale delle emissioni di zolfo provenienti da fonti biogeniche. Le emissioni totali

provenienti da fonti naturali sono circa 0,79 x 1012

mol S/ anno. Queste emissioni rappresentano il 16%

del totale nell'emisfero Nord e il 58% nell’emisfero Sud. I risultati mostrano chiaramente l'impatto delle

emissioni antropogeniche di zolfo nella zona compresa tra i 35°e 50° di latitudine Nord.

Gli aerosol presenti nell'atmosfera hanno diversi effetti ambientali rilevanti e sono un pericolo per

la salute respiratoria in alte concentrazioni, soprattutto nei grandi centri urbani. Essi influenzano il

clima della Terra sia direttamente (per dispersione e l'assorbimento di radiazione) che

indirettamente (come nuclei di condensazione per la formazione delle nuvole).

Ramaswamy e Kiehl (1985) stimarono che un carico di polvere di aerosol di 0,2 g/m2 con un raggio di

circa 0,26 µm aumenta l’albedo planetario del 12%, con conseguente diminuzione del 15% di flusso

solare che raggiunge la superficie (forcing radiativo).

Il carico richiesto può essere leggermente maggiore di 0,02 g/m2 utilizzato per ottenere una variazione

dell’1% del forcing radiativo. In questo caso, la massa di polveri necessaria per ridurre 1000 GtC

(4000 GtCO2) è di 1010

kg: così un chilogrammo di polvere nella stratosfera mitiga l'effetto serra di

CO2 in atmosfera di circa 100 tC.

Nel 1989, per mitigare l’effetto serra della CO2 equivalente degli Stati Uniti (8 × 109 t), sono state

necessarie 2 × 107 kg di polveri.

La polvere nel modello Ramaswamy e Kiehl è distribuita tra i 10 e i 30 km nella stratosfera, in modo

uniforme su tutto il globo.

Le polveri atmosferiche sono in grado di riscaldare la stratosfera, e l'effetto di tale riscaldamento è

incluso nel calcolo di Ramaswamy e Kiehl. Un possibile effetto potrebbe essere quello di cambiare la

chimica atmosferica per aumentare o distruggere l'ozono stratosferico. Esperimenti di laboratorio

condotti a temperature stratosferiche sembrano indicare che si verificano reazioni simili sulla superficie di

soluzioni di acido solforico (e presumibilmente avverrebbero sulle superfici composte da acido solforico e

sulle particelle di polvere), ma sono da 100 a 1000 volte più lente (Fonte: Tolbert et al., 1988).

Sembra che la distruzione dell'ozono stratosferico accada a causa di reazioni chimiche innescate

dall’aggiunta di polvere o aerosol nella stratosfera e rappresenta un effetto collaterale possibile che deve

essere considerato e interpretato prima della sua possibile mitigazione, opzione che deve essere presa in

considerazione per l’uso. Il National Research Council (1985) riporta dei trattati di Cadle et al. (1976) e

Mossop (1963, 1965) che danno la quantità di particelle silicatiche emesse dall'eruzione del Monte Agung

nel 1963 aventi dimensioni tra 0,2 e 2,0 µm come 1 × 1010 kg. Il tempo di dimezzamento di questa

polvere non è stato dato, ma la vita di un aerosol solfatico avente dimensione da 0,2 a 0,45 µm e una

altezza della colonna di 23 km è di circa 1 anno (Fonte: National Research Council, USA).

La quantità necessaria di aerosol solidi viene immessa di continuo a 10-12 km di altitudine avvalendosi di

proiettili o giganteschi palloni aerostatici. Una volta nella stratosfera le particelle di aerosol, riflettono una

parte della luce solare.

Page 84: Geoingegneria

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Un altro metodo per immettere in atmosfera aerosol solfatici è quello di utilizzare opportuni aerei

attrezzati allo scopo: il fine è quello di aumentare il grado di riflettività delle nubi in modo da disperdere

in maniera più efficiente la radiazione solare.

Come si possono utilizzare gli aeroplani per rilasciare aerosol nella stratosfera?

Immettendo zolfo nel carburante (kerosene), ma fatta eccezione per l’Artico, gli aerei non volano così in

alto di routine. Di solito si tratta di aerei cisterna e di cacciabombardieri militari che lo spargono nella

stratosfera (aerei tanker).

Penner et al. (1984) ha suggerito che le emissioni dell’1% della massa di carburante della flotta

dell'aviazione commerciale intesa come particolato, tra 40 mila e 100 mila piedi (da 12 a 30 km di

quota) per un periodo di 10 anni, cambierebbe l'albedo planetaria sufficientemente a neutralizzare

gli effetti di un raddoppio equivalente di CO2. Essi hanno proposto che rimappando i sistemi di motore

a combustione per bruciare in maniera più ricca durante i voli commerciali di alta quota comporterebbe

una perdita di efficienza trascurabile. Utilizzando le stime RECK dei coefficienti di estinzione per il

particolato (Fonte: Reck, 1979; 1984), hanno stimato un fabbisogno di circa 1,168 × 1010

kg, rispetto

alla stima nel pannello di 1010

kg, sulla base di Ramaswamy e Kiehl.

Hanno poi stimato che se l'1% del combustibile degli aerei vola sopra i 30.000 piedi (9 km di altezza)

viene emesso sotto forma di fuliggine e corrisponderebbe alla massa richiesta di materiale particolato nel

corso di un periodo di 10 anni. Tuttavia, le attuali flotte di aerei commerciali volano raramente al di sopra

dei 40.000 piedi (12 km), e la permanenza delle particelle alle quote di funzionamento sarà molto più

breve di 10 anni. Una stima effettuata dal National Research Council nel 1985 relativa all'emivita del

fumo è 1,4 × 10-7s. Questo dà un tempo di dimezzamento di 83 giorni, o poco meno di un quarto di un

anno. Pertanto la quantità di carburante da essere trasformata in fuliggine continuamente per la

mitigazione completa (1012 tC) è del 40%, ma se invece viene utilizzato l'1 per cento del carburante,

potrebbero essere mitigate circa 25 × 109 t CO2/anno. Il costo approssimativo delle emissioni di

particolato dei motori a reazione per la mitigazione di CO2 negli Stati Uniti del 1989, le emissioni

equivalenti ammonterebbero a circa 7 milioni di dollari, o circa $ 0,001/tCO2/anno più i costi di

capitale provenienti dall’adeguamento dei motori aeronautici. Questo fornisce una gamma di costi da

0,001 a $ 0,1/tCO2/anno. Nel 1987, le compagnie aeree nazionali hanno fatto volare 4.339 milioni di

tonnellate di merci per miglio per un espresso totale e ricavi operativi del trasporto merci di 4.904 milioni

di dollari (US Bureau of the Census, 1988). Questo dà un costo di poco più di 1 dollaro per tonnellata-

miglio di merci trasportate. Se una missione di distribuzione di polvere richiede l'equivalente di un

volo di 500 miglia (circa 1,5 ore), il costo per la distribuzione delle polveri è di $ 500/t, $ 0,50/kg.

Gli aerei più comunemente utilizzati sono:

F-15 C EAGLE

Quota operativa: 20 km

Capacità: 8 tonnellate di gas

Costo: 30.000.000$ (1998)

con 3 voli al giorno è operativo per 250 giorni all’anno, avrebbe bisogno di 167 aerei per fornire 1 Tg di

gas all’anno nella stratosfera tropicale.

Per 500 voli l’anno si avrebbe un costo di 4 miliardi di $/anno.

(Fonte: Robock et al., 2009)

Page 85: Geoingegneria

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KC-135 STRATOTANKER

Quota operativa: 15 km

Capacità: 91 tonnellate di gas

Costo: 39.600.000$ (1998)

Con 3 voli al giorno, che operano 250 giorni all'anno avrebbe bisogno di 15 aerei per fornire 1 Tg di gas

all’anno nella stratosfera artica.

KC-10 EXTENDER

Quota operativa: 12.73 km

Capacità: 160 tonnellate di gas

Costo: 88.400.000$ (1998)

Con 3 voli al giorno, che operano 250 giorni all'anno avrebbe bisogno di 9 aerei per fornire 1 Tg di gas

all’anno per la stratosfera artica.

Fonte: “Is Geoengineering a Solution to Global Warming?” Alan Robock, Rutgers University, USA 2011

I costi del personale, manutenzione, emissioni di CO2 potrebbero dipendere dalla strategia di attuazione.

Ogni KC-135 costa $ 4,6 milioni di euro all'anno per le operazioni totali di supporto, incluso il

personale, carburante, manutenzione e parti di ricambio.

Le riduzioni delle emissioni di CO2 sono soprattutto il risultato di lunghi studi volti al risparmio

energetico. Dal 2002, Boeing ha ridotto le emissioni del 31% su di una base rapporto di rivisitazione -

aggiustamento e del 10,1% su di una base assoluta.

Per calcolare le emissioni di CO2 presso le sedi principali degli Stati Uniti, Boeing utilizza misurazioni

del consumo di energia elettrica, l'uso del gas naturale e di olio combustibile.

Page 86: Geoingegneria

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Figura 35. Sintesi dei criteri delle emissioni di gas per test eseguiti con il KC-135 Stratotanker

Fonte: Boeing Environment Report, 2010

Cannoni navali

Anche le navi sono state vagliate come ipotesi per rilasciare in stratosfera gli aerosol fino ad un’altitudine

di 20 km attraverso cannoni da artiglieria di 41 cm di diametro (National Academy of Sciences, 1992).

Sono state utilizzate polveri di alluminio (Al2O3) nella stratosfera per un totale di 1010

kg di polvere

atmosferica. L'economia di mantenere 1010 kg di polvere nella stratosfera è determinata dal tempo di

permanenza della polvere in alto e dai mezzi utilizzati per mettere il materiale in quella zona atmosferica:

si presume un tempo di permanenza della polvere nella stratosfera di 2 anni, richiedendo la

collocazione di 1010

kg nella stratosfera per 20 volte in 40 anni fino al 2030; il progetto ha lo scopo

di mitigare

1012

t di C in continuo, pari a 4 × 1012

t di CO2. I costi di non attuazione in 40 anni sono di 5 $/tC o di

1$/tCO2 mitigata. Il costo annuale di non attuazione è di 0,125 $/tC/anno o 0,03$ /tCO2/anno.

Questo sistema navale solleva polvere nella stratosfera ad un costo da circa 10 a 30 $/kg di polvere.

Si suggerisce che sia ragionevole l’incertezza per quanto riguarda le nuvole e la densità di polvere

necessarie per un effetto dell’ 1% sul forcing radiativo e di mettere questi costi nella gamma da

0,03 $ a 1 $/tCO2 mitigata.

I costi, compresi di munizioni, cannoni, stazioni e il personale è stato stimato essere di 20 miliardi di

dollari.

Razzi

Il costo del lancio di razzi dalla nave Nike Orion, ammonta a circa 25.000 dollari per trasportare un

carico utile di 500 libbre, ed è di circa 100 $/per kg di polvere sollevata, 5 volte il costo stimato per

sparare le polveri in alto con grandi cannoni. Queste cifre sono riferite a lanci a 70 km di altitudine.

Installazioni nello spazio di vele solari

Delle vele solari deviano la radiazione solare e riducono l’energia radiante che giunge sulla Terra. Dato il

suo raggio equatoriale (6600 km), il raggio della sfera in cui la vela solare deve essere collocata è 6,6 ×

103 km. Quindi l'area della sfera che avvolge completamente la terra è 5,5 × 1014 m2.

Per compensare completamente il riscaldamento da effetto serra derivante da un raddoppio della

concentrazione di CO2 nell'atmosfera, l'ombrellone deve coprire l'1% della superficie terrestre,

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o 5,5 × 1012 m2. Una serie di piccoli specchi possono essere considerati, ciascuno manovrato come vela

solare in orbita terrestre e cambiando l'angolo di incidenza verso il Sole, l'orbita di ogni vela potrebbe

essere controllata.

Se ogni vela è di 108 m2, sarebbero necessarie 55.000 vele. Questo rappresenta un problema di controllo

molto difficile, se non ingestibile. Tuttavia, se la richiesta per la mitigazione di 8 Gt di CO2 equivalente

(nel 1988 le emissioni di gas serra degli Stati Uniti), sarebbe necessario un ombrellone avente un’area di

circa 500 volte più piccola, pari a 110 vele solari.

Ad un costo ottimistico di 1.000 $/kg, il costo per sollevare il materiale in orbita sarebbe di 5,5

miliardi di dollari. Tale ombrellone attenuerebbe circa 1000 Gt di carbonio (o 4000 GtCO2) di

emissioni, ad un costo di circa $ 1,5/tCO2: ai costi attuali di lancio pari a 10.000 dollari/kg, il costo

sarebbe di $ 15/tCO2. Ramanathan sostiene che un incremento dell'albedo planetario dello 0,5% è

sufficiente a dimezzare l'effetto di un raddoppio della concentrazione di CO2. La variazione totale di gas

serra che si è riscontrata da prima della Rivoluzione Industriale fino al 2030 può essere equivalente a circa

3,3 W/m2, o poco meno dell'1% di 349 W/m2 di radiazione solare. Per lo sviluppo e l’approntamento delle

installazioni orbitanti nello spazio si prevedono parecchi decenni. Peraltro, la Royal Society ritiene che il

tempo necessario per renderle operative costituisca uno svantaggio tale da superare i probabili vantaggi : vi

sarebbe un effetto refrigerante uniformemente distribuito su tutto il Pianeta.

Figura 36. Vele solari da installare al di fuori del nostro Pianeta in modo da bloccare la radiazione solare in entrata

LE DIFFERENZE FONDAMENTALI TRA CDR E SRM

Le tecniche CDR combattono direttamente la causa di fondo dei cambiamenti climatici, riducendo

la concentrazione atmosferica del più importante gas serra antropogenico (CO2).

L’effetto sulla temperatura media globale si sviluppa solo lentamente, nel corso di alcuni o molti

decenni.

Le tecniche SRM agiscono nel giro di anni o pochi decenni e, in caso di emergenza, rappresentano

l’unica possibilità per ridurre a breve termine il riscaldamento climatico. Tuttavia, il loro impiego

non influirebbe in alcun modo sulle concentrazioni di gas serra. Tutti gli altri problemi ambientali, causati

dall’elevato tenore di anidride carbonica nell’atmosfera (in particolare la progressiva acidificazione degli

oceani) resterebbero insoluti. In generale, si ritiene che le tecniche SRM siano più economiche da

sviluppare e da gestire rispetto ai metodi CDR.

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Figura 37. Grafico che confronta le tecniche di CDR ed SRM in base alla loro efficacia ed accessibilità

Fonte: “Geoengineering, The Climate” Science, governance and uncertainty pag.63 cap.5, Royal Society 2009

Valutazione dei rischi e delle incertezze dei metodi di Geoingegneria

Nessuno dei metodi di Geoingegneria valutati offre una soluzione immediata al problema dei

cambiamenti climatici, poiché lo stato attuale delle conoscenze è senza alcun dubbio insufficiente per una

valutazione esaustiva dei rischi che derivano dalla Geoingegneria.

Per molti aspetti, i metodi relativi alla riduzione dell’anidride carbonica (CDR) sembrano comportare

meno rischi e incertezze riguardo alle tecniche di gestione della radiazione solare (SRM), poiché

inducono i fenomeni climatici ad indirizzarsi maggiormente verso il loro stato naturale. In linea di

principio questi metodi consentono addirittura di generare “emissioni negative” e, al contrario, la

presenza di elevate concentrazioni di gas serra nell’atmosfera e una temperatura diminuita tramite

tecniche SRM, costituisce per il Pianeta uno stato nuovo, dinamico, caratterizzato da notevoli incertezze.

Tra queste vanno ricordati i valori soglia sconosciuti e i meccanismi di reazione del sistema terrestre,

come pure le conseguenze dell’acidificazione degli oceani, che in questo caso progredirebbe in modo

illimitato. Gli effetti di alcune tecniche SRM variano da una regione all’altra e hanno ripercussioni per

esempio sulle precipitazioni, intensità dei venti e correnti oceaniche. L’applicazione delle metodiche

SRM comporterebbe perciò ulteriori rischi generando costi aggiuntivi. Queste non possono essere

considerate una soluzione sostenibile, perché non si conosce bene il momento e il modo di abbandonarle

correttamente. Infatti, in base a quanto risulta dai modelli matematici, l’interruzione improvvisa

dell’applicazione di una tecnica SRM comporta il rischio di un improvviso e intenso riscaldamento

(Termination Problem), derivante da un meccanismo di feedback o di retroazione negativo.

Oltre a queste considerazioni di carattere generale, ogni singolo approccio di Geoingegneria implica

anche rischi particolari. A titolo di esempio si citano due processi molto discussi:

Per quanto riguarda l’applicazione della tecnica CDR di fertilizzazione degli oceani, allo stato attuale

delle conoscenze, si possono prevedere massicci effetti collaterali sulla biodiversità marina. La

comprensione del problema viene ulteriormente ostacolata dal fatto che i risultati sperimentali in

parte si contraddicono. In determinate condizioni la degradazione delle alghe che si depositano sul

Page 89: Geoingegneria

89

fondo, pare favorire la formazione di protossido di azoto N2O (il gas esilarante), un potente gas serra,

così che alla fine si otterrebbe l’effetto opposto.

L’immissione continua di aerosol sulfurei nella stratosfera, nell’ordine di grandezza di parecchi

milioni di tonnellate all’anno, secondo molti fautori della Geoingegneria sarebbe l’opzione SRM

più indicata, che potrebbe ridurre rapidamente la temperatura media globale. Una volta nella

stratosfera, le particelle di aerosol riflettono una parte della luce solare disperdendola nello spazio

(scattering), contribuendo a raffreddare il pianeta, diminuendo così l’effetto serra. Osservazioni e

studi su modelli indicano, altresì, che il ricorso a tale tecnica influirebbe sul quadro globale delle

precipitazioni e indebolirebbe i forti monsoni estivi, mettendo eventualmente a rischio

l’approvvigionamento alimentare di miliardi di persone in Asia e in Africa. Inoltre, le particelle di

aerosol potrebbero indebolire lo strato di ozono, che nella stratosfera assorbe le radiazioni

ultraviolette UVc della luce solare, pericolose per gli esseri viventi. Lo strato di ozono si è già

indebolito dalla seconda metà del Novecento in poi, fino ai giorni nostri. Scoperta grazie ai satelliti

artificiali, il fenomeno era più evidente sull’Antartide, ma in misura minore riguardava tutta

l’atmosfera terrestre. L’ozono è una speciale forma di ossigeno: la sua molecola anziché essere

costituita da due atomi, è formata da tre atomi a struttura aperta. Una molecola semplice ma preziosa:

l’ozono ferma nella stratosfera i raggi ultravioletti del Sole, in particolare gli UVb e gli UVc, cioè i

più energetici. Questa radiazione produce mutazioni nelle cellule umane che possono dare origine a

melanomi, tumori maligni della pelle.

Negli Anni 80 il fenomeno del “buco nell’ozono” venne scoperto da un chimico statunitense, Frank

Sherwood Rowland, diventando un vessillo per le battaglie degli ambientalisti e segnò la crescita di una

“coscienza ecologica” su scala mondiale. Non fu però un percorso in discesa: la tesi di Rowland era

contestata da molti suoi colleghi e a lungo rimase controversa. La stessa sorte toccò a Paul Crutzen e a

Mario Molina, che svilupparono gli studi di Rowland e condivisero con lui il premio Nobel nel 1995. Le

multinazionali produttrici di clorofluorocarburi davano, com’è ovvio, manforte agli scettici soprattutto per

i loro interessi economici, e il gioco era facile perché, nonostante il fortunato slogan «buco nell’ozono», il

percorso logico che va dallo spray alla stratosfera, e torna a terra causando melanomi, non è di immediata

comprensione.

Tuttavia poco per volta la scoperta di Rowland, sostenuta dagli studi di Crutzen e Molina, riuscì ad

affermarsi a livello popolare e i politici furono costretti ad occuparsene. Il risultato fu un Protocollo per la

messa al bando dei clorofluorocarburi firmato a Montreal, in Canada, il 15 settembre 1987, poi più volte

aggiornato fino al 1999. Intelligente fu la scelta di graduare la messa al bando. Tra i maggiori produttori

di clorofluorocarburi c’erano l’Unione Sovietica e alcuni Paesi in via di sviluppo. Per questi furono

concessi rinvii nell’applicazione del Protocollo, in modo di dar loro il tempo necessario per ammortizzare

gli impianti industriali e avviare la produzione di gas sostitutivi non dannosi per l’ambiente, come gli

idrofluorocarburi (HFC).

Gli effetti benefici del bando si videro già alla fine degli Anni 90, quando il «buco» incominciò a dare

segni di restringimento. Si capì intanto che nella sua formazione ha un ruolo importante anche l’attività

solare, e quindi possono esserci temporanee rarefazioni che interferiscono con il processo di “ricucitura”.

Tornando ai rischi in ambito della Geoingegneria, considerazioni etiche si impongono anche per

quanto concerne la responsabilità generazionale: chi punta sulla Geoingegneria costringe le

generazioni future a continuare le misure già avviate, nel peggiore dei casi ancora per parecchi

secoli, a costi elevati e con effetti avversi per gli ecosistemi globali che, al momento, sono ancora

imprevedibili.

In uno scenario di questo tipo, le generazioni a venire non disporrebbero più di una libera scelta, come è

invece ancora possibile attualmente.

Page 90: Geoingegneria

90

I metodi per la rimozione del biossido di carbonio (CDR), attraverso la cattura di CO2 dall’aria e la

manipolazione della meteorizzazione, presentano il vantaggio di non perturbare i sistemi naturali e

di avere meno effetti collaterali. Il sistema climatico, attraverso le precipitazioni contribuisce alla

fissazione del carbonio nel suolo, (come il biocarbone), che può dare contributi utili su piccola scala. Gli

effetti collaterali derivanti dalla fertilizzazione dell’oceano su vasta scala non sono ancora chiari.

Rispetto ai metodi per la rimozione del biossido di carbonio, le tecniche di gestione della radiazione

solare (SRM) sembrano essere relativamente più economiche e agiscono più a breve termine sulla

riduzione del riscaldamento globale. Questi metodi possono essere utilizzati al fine di incentivare la

mitigazione convenzionale, ma vi sono notevoli incertezze riguardo le loro conseguenze e rischi

aggiuntivi, anche se, nel tempo, è possibile che possano essere ridotti. L’adozione su vasta scala dei

metodi di gestione di radiazione solare creerebbe un equilibrio artificiale approssimativo e potenzialmente

delicato tra le concentrazioni di gas serra e la ridotta radiazione solare, anche per molti secoli. Sarebbe

possibile che tale equilibrio diventi sostenibile per così lunghi periodi di tempo se le emissioni di gas

serra aumentassero? Il metodo SRM adottato su vasta scala introdurrebbe ulteriori rischi, che potrebbero

essere ridotti soltanto se, per un periodo di tempo limitato, venisse impiegato in parallelo con il metodo

CDR.

Il clima che si ottiene dai metodi della gestione della radiazione solare conferisce variabilità a livello

regionale, in particolare per parametri critici diversi dalla temperatura (come le precipitazioni), la velocità

del vento e le correnti oceaniche. Tali involontari effetti ambientali dovrebbero essere valutati

attentamente, utilizzando modelli climatici migliorati, come quelli disponibili al momento. Quindi, poiché

le tecniche di gestione della radiazione solare, dovrebbero anche essere oggetto di ulteriori indagini

scientifiche per migliorare la conoscenza nel caso in cui tali interventi diventino urgenti e necessari.

C'è ancora molto da sapere sui loro effetti climatici, ambientali e le conseguenze sociali, prima che essi

siano presi in considerazione per l’impiego su larga scala.

Dei metodi di gestione della radiazione solare in esame, gli aerosol stratosferici sono attualmente i

più promettenti, perché i loro effetti sarebbero più uniformemente distribuiti, rispetto ai metodi di

gestione localizzati della radiazione solare e potrebbero essere molto più facilmente attuati rispetto

a metodi basati sulle tecnologie spaziali, in quanto entrerebbero in funzione a breve termine

(massimo entro un anno o due dall’impiego).

Sarebbe rischioso intraprendere l'esecuzione di qualsiasi metodo di gestione della radiazione solare su

larga scala, che non può essere sostenibile nel lungo termine e che non risolverebbe nulla circa il

problema dell’acidificazione dell'oceano, senza una strategia di uscita chiara e credibile.

I metodi di Geoingegneria di entrambi i tipi dovrebbero essere solo considerati come parte di un

pacchetto più ampio di opzioni per affrontare il cambiamento climatico. I metodi di rimozione

dell’anidride carbonica devono essere considerati come preferibili ai metodi di gestione della radiazione

solare come un modo per aumentare la continua azione di mitigazione a lungo termine. Tuttavia, i metodi

di gestione della radiazione solare possono fornire un backup potenzialmente utile a breve termine per

attenuare l’effetto delle radiazioni solari. In caso di una rapida diminuzione delle temperature globali, è

necessario che:

• I metodi per la rimozione dell’anidride carbonica considerati sicuri, efficaci, sostenibili e

ragionevoli, siano schierati al fianco dei convenzionali metodi di attenuazione;

• I metodi di gestione della radiazione solare non siano applicati, a meno che non vi sia la necessità

di limitare o ridurre rapidamente le temperature medie globali. A causa delle incertezze sugli effetti

collaterali e la sostenibilità siano applicati solo per un periodo di tempo limitato e, se usati,

accompagnati da programmi aggressivi di mitigazione convenzionali e/o di rimozione dell’anidride

carbonica, in modo che il loro effetto possa essere interrotto durante l’uso.

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91

LE FUTURE ESIGENZE DELLA GEOINGEGNERIA

Se la Geoingegneria deve avere un ruolo nel futuro, deve essere applicata in modo coordinato,

responsabile ed efficace: si rende quindi necessario un lavoro di collaborazione per migliorare le

conoscenze, sviluppare i meccanismi di controllo e concordare i processi decisionali.

Per garantire che i metodi di geoingegneria possono essere adeguatamente valutati e applicati in modo

responsabile ed efficace in caso di necessità,si raccomandano tre principali programmi di lavoro:

1. Ricerca coordinata a livello internazionale e sviluppo tecnologico sui metodi più promettenti

identificati in questa relazione;

2. Attività di collaborazione internazionale per esplorare e valutare la fattibilità, i benefici, gli

impatti ambientali, i rischi, le opportunità presentate dalla Geoingegneria e i relativi aspetti

attinenti al controllo;

3. Lo sviluppo e l'attuazione di metodi di controllo per orientare sia la ricerca che lo sviluppo nel

breve termine e la possibile distribuzione a lungo termine, compreso il coinvolgimento delle parti

interessate, attraverso un dibattito pubblico.

Controllo

I meccanismi internazionali non hanno ancora sviluppato quadri normativi che regolano i metodi di

Geoingegneria e che valutano i loro impatti sull’ambiente.

Le più grandi sfide per la corretta distribuzione della Geoingegneria potrebbero essere le questioni sociali,

etiche, giuridiche e politiche connesse con il controllo, piuttosto che problemi scientifici e tecnici.

Fino ad ora, nessuno dei metodi menzionati è stato collaudato su vasta scala, né applicato a livello

operativo: alcuni metodi di Geoingegneria potrebbero però essere presto applicati unilateralmente da un

Paese o addirittura da organizzazioni di tipo privato.

Per alcuni metodi, come la cattura di CO2 dall’aria, i meccanismi nazionali preesistenti possono essere

sufficienti. Per altri, invece, come la fertilizzazione dell’oceano, i meccanismi internazionali esistenti

possono essere utili, ma richiedono alcune modifiche. Si potranno adottare comunque alcuni metodi, in

particolare quelli che richiedono attività transfrontaliere, o che hanno effetti tali, per esempio quelli

inerenti gli aerosol stratosferici o l’installazione di vele solari nello spazio.

I meccanismi di controllo idonei alla distribuzione devono essere stabiliti prima che i metodi di rimozione

di CO2 o di gestione della radiazione solare siano effettivamente messi in pratica. Ciò richiede di valutare

se i meccanismi internazionali esistenti, regionali e nazionali siano adeguati per la gestione della

Geoingegneria, aprendo un dibattito internazionale che coinvolga la comunità scientifica, politica,

commerciale e non-governativa.

Le sfide di controllo poste dalla Geoingegneria dovrebbero essere analizzate nel dettaglio da un

organismo internazionale come la Commissione ONU per lo Sviluppo Sostenibile che stabilisca delle

procedure per lo sviluppo e detti le linee guida per risolverle.

Pertanto è urgente e necessario istituire strutture di controllo nazionali e internazionali, con chiare

responsabilità e direttive vincolanti per la ricerca, lo sviluppo, e l’applicazione della Geoingegneria

(International Governance).

Nel 2010 ci sono stati due sviluppi degni di nota, su iniziativa di un gruppo di scienziati critici, sono

stati formulati i cosiddetti Oxford Principles: tali principi comprendono cinque impegni volontari,

come per esempio l’informazione e la partecipazione pubblica nel processo decisionale, i controlli

indipendenti dell’attività di ricerca e il principio secondo cui la decisione di applicare la

Geoingegneria è accettabile solo dopo la creazione di solide strutture di controllo (Governance).

Page 92: Geoingegneria

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Si sono spinti oltre i partecipanti alla conferenza nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sulla

Biodiversità, che si è svolta nell’Ottobre del 2010, i quali hanno sancito un’ampia moratoria sui progetti

di Geoingegneria, ad eccezione degli esperimenti condotti su piccola scala in condizioni controllate.

Ricerca e Sviluppo

E’ necessaria un’attività di ricerca e di controllo per orientare lo sviluppo sostenibile e responsabile, in

modo da garantire che la tecnologia possa essere applicata, se diventa necessaria. Dovrebbero essere

sviluppati codici di comportamento per la comunità scientifica e un processo di progettazione, con

l'attuazione e l’avvio di un quadro formale di controllo. L'attività di ricerca dovrebbe essere più aperta,

coerente e coordinata possibile a livello internazionale ed esperimenti transfrontalieri dovrebbero essere

soggetti a qualche forma di controllo internazionale.

Le esigenze principali di ricerca e sviluppo a breve termine sono indirizzate sugli studi di modelli molto

migliorati basati su esperimenti effettuati in laboratorio su piccola e media scala e in seguito provati sul

campo. E’ necessario un maggior investimento per lo sviluppo dello studio dei modelli climatici e la

relativa valutazione degli impatti ambientali, interessati dai metodi di Geoingegneria.

La Royal Society, in collaborazione con le altre maggiori organizzazioni internazionali scientifiche,

dovrebbe elaborare un protocollo per la ricerca sulla Geoingegneria e fornire raccomandazioni alla

comunità scientifica internazionale per un quadro di controllo della ricerca anche volontaria, nel settore

pubblico e privato. Esso dovrebbe includere:

a. un regolamento che riguardi i tipi e le scale di ricerca, inclusi convalida e monitoraggio;

b. la creazione di uno standard minimo per regolare la ricerca;

c. guida sulla valutazione dei metodi tra cui criteri pertinenti, l'analisi del ciclo del carbonio e dei

modelli climatici.

Un rilevante dipartimento del governo britannico (DECC1 & DEFRA2) in collaborazione con il

Consiglio di Ricerca del Regno Unito (BBSRC3, ESRC4, EPSRC5 e NERC6) dovrebbero finanziare in

maniera congiunta un programma di 10 anni di ricerca sulla Geoingegneria ad un costo che si aggira

nell’ordine di 10 milioni di sterline all'anno. Questo dovrebbe contribuire attivamente al programma

internazionale di cui sopra ed essere strettamente legato ai programmi di ricerca del clima.

L'ACCETTABILITA’ PUBBLICA DELLA GEOINGEGNERIA

L’atteggiamento delle persone nei confronti della Geoingegneria e il pubblico impegno nello sviluppo di

metodi individuali proposti, avranno un impatto critico sul suo futuro. La percezione dei rischi, i livelli di

fiducia in coloro che intraprendono la ricerca o l’attuazione e la trasparenza di azioni, finalità e interessi,

determinerà la sua fattibilità politica.

La Royal Society, in collaborazione con altri Enti istituzionali, dovrebbe avviare un processo di dialogo e

impegno per esplorare gli atteggiamenti della società pubblica e civile, le preoccupazioni e le incertezze

riguardo la Geoingegneria come risposta al cambiamento climatico.

La risposta politica internazionale sulla necessità di ridurre le emissioni è stata molto lenta sino ad oggi e

non c’è ancora un accordo sulle riduzioni di emissioni necessarie dopo il 2012. Come risultato le

emissioni globali hanno continuato ad aumentare di circa il 3% all'anno (Fonte: Raupach et al., 2007), un

tasso superiore a quello previsto dall’International Panel on Climate Change (IPCC) (IPCC 2001) e

considerando uno scenario più intensivo nell’utilizzo di combustibili fossili, in cui si avrebbe un

aumento della temperatura media globale di circa 4 °C (il range è da 2,4 a 6,4 °C), previsto entro il

2100 (Fonte: Rahmstorf et al. 2007).

Page 93: Geoingegneria

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C’è preoccupazione da parte della comunità scientifica in merito alle emissioni in questione, che non

scenderanno sotto al tasso prestabilito dalla Comunità Internazionale necessario per mantenere l'aumento

globale della temperatura media sotto i 2 °C (sopra i livelli pre-industriali ) entro il 2100.

Il cambiamento climatico e la Geoingegneria, il contesto politico

Il contesto politico della Geoingegneria non è un'idea nuova ed è stato riconosciuto come una possibilità

fin dai primi studi dei cambiamenti climatici.

La prima modificazione meteo risale almeno indietro al 1830, quando le proposte del meteorologo

americano James Pollard Espy, che consistevano nello stimolare la pioggia bruciando le foreste in

modo controllato, lo ha portato a essere conosciuto come lo “Storm King”.

Più di recente il “Progetto Stormfury” degli Stati Uniti, consiste nel modificare il percorso degli

uragani spargendoli con ioduro d'argento e questa pratica è stata utilizzata per due decenni. La

proposta della Geoingegneria di modificazione del clima, specificamente progettata per contrastare

l'effetto serra, è datata almeno 1965, dopo il rilascio di una relazione del Presidente della Science

Advisory Council degli Stati Uniti.

Gli studi preliminari sono stati condotti in tutto il 1970 e 1990 (Fonti: Budyko 1977, 1982; Marchetti

1977; US National Academy of Sciences, 1992), e la Geoingegneria è stata più recentemente discussa nel

corso di un progetto convocato dal Tyndall Centre, l'Istituto di Cambridge in collaborazione con il MIT

(Massachusetts Institute of Technology) nel 2004. Tuttavia, negli anni 1980 e 1990 l'accento delle

discussioni della politica sul cambiamento climatico si è spostato alla mitigazione, soprattutto a causa

degli sforzi a livello delle Nazioni Unite per costruire un consenso globale sulla necessità di controllo

delle emissioni.

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) impegna gli Stati

contraenti a stabilizzare le concentrazioni dei gas serra a livelli tali che a breve causerebbero

“pericolose interferenze antropogeniche” nel sistema climatico (Fonte: Mann, 2009). Il Protocollo di

Kyoto dell'UNFCCC (1997), istituisce un quadro per il controllo e la riduzione delle emissioni di

gas serra attraverso il perseguimento degli obiettivi e dei meccanismi sensibili.

Mentre la quantità di riscaldamento globale che corrisponde a “Pericolose interferenze antropogeniche”

non è stata formalmente decisa, vi è un consenso diffuso che un aumento di circa 2°C sopra il livello

pre-industriale è un ragionevole obiettivo, e questo è stato formalmente adottato dall'Unione Europea

come un limite superiore e, più recentemente, dal gruppo delle nazioni del G8 (Fonte: G8, 2009).

Secondo recenti studi (Fonte: Allen et al 2009; Meinshausen et al., 2009; Vaughan et al., 2009) anche

gli scenari in cui a livello mondiale le emissioni di gas serra, come la CO2 e altri, saranno ridotti di

circa il 50% entro il 2050 e daranno solo una possibilità 50:50 che il riscaldamento rimarrà

inferiore a 2°C entro il 2100. Inoltre, non c'è uno scenario realistico in base al quale sarebbe possibile

ridurre sufficientemente le emissioni di gas serra al punto tale da portarle ad un picco ed a un successivo

declino delle temperature globali in questo secolo (a causa di ritardi nella ricerca sul sistema climatico).

I modelli climatici indicano in genere che la stabilizzazione della CO2 atmosferica a 450 ppm

sarebbe necessaria per evitare il riscaldamento superiore a 2°C (Fonte: Allen et al., 2009).

Attualmente, le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono già maggiori di 380 ppm e sono tuttora in

costante aumento e sembra sempre più probabile che le concentrazioni superino 500 ppm entro la

metà del secolo, avvicinandosi ai 1000 ppm entro il 2100. Inoltre, vi è la perdurante incertezza sui

parametri fondamentali come la sensibilità del clima (Fonti: IPCC 2007; Allen et al., 2009) l'esistenza e

la probabile posizione in soglie di “punti critici” nel sistema climatico (Fonte: Lentini et al., 2008). Alcuni

impatti climatici possono accadere prima di quanto previsto (ad esempio, il basso dell'estate artica del

ghiaccio marino nel 2007 e 2008), di cui le cause sono sconosciute, e le conseguenze ancora molto

incerte. Esiste la possibilità di feedback positivi (a causa del rilascio di CH4 e/o la riduzione dell'albedo

Page 94: Geoingegneria

94

derivanti dalla riduzione di ghiaccio marino), che siano credibili, ma non ancora pienamente

quantificabili. Secondo Hansen et al. (2008), l'effetto di ulteriori feedback positivi a lungo termine, a

causa del ciclo del carbonio e l'estensione della calotta di ghiaccio/effetto albedo, porterebbe ad un

maggiore livello di sensibilità del clima su scala temporale millenaria: questo significa che potrebbe

essere necessario ridurre nuovamente i livelli di CO2, per il futuro, a circa 350 ppm anziché

stabilizzarli sui 450 ppm.

Sono state espresse preoccupazioni che queste proposte potrebbero ridurre il fragile supporto politico e

pubblico per la mitigazione e sottrarre quindi risorse di adattamento (a volte questo è denominato

“l'argomento rischio morale”), che pongono significativi potenziali rischi ambientali e grandi incertezze

in termini di efficacia e fattibilità.

Recentemente questo è diventato un problema, in quanto le organizzazioni hanno mostrato interesse per le

potenzialità di interventi come la fertilizzazione dell'oceano per la cattura del carbonio e beneficiare dello

stesso attraverso la certificazione nell'ambito del Clean Development Mechanism del Protocollo di Kyoto.

Il coinvolgimento commerciale negli esperimenti di fertilizzazione dell'oceano ha provocato una risposta

rapida e vocale della comunità internazionale politica, scientifica e delle organizzazioni ambientali non

governative (ONG).

I responsabili politici hanno bisogno di consulenza ben informata e autorevole fondata su solide

basi scientifiche. Infatti, vista la crescente preoccupazione che le proposte di Geoingegneria promosse da

alcuni come una possibile “soluzione” al problema dei cambiamenti climatici, si rischia che gli

esperimenti di queste nuove tecnologie vengano effettuati, in alcuni casi in violazione delle leggi

nazionali o internazionali e che gli investimenti sul loro sviluppo e collaudo siano già in corso.

A tal fine la Royal Society ha deciso di intraprendere una revisione indipendente scientifica del soggetto.

Conduzione degli studi

La Royal Society ha stabilito un gruppo di lavoro di esperti internazionali nel 2008 sotto la guida del

Professor John Shepherd. Lo scopo del progetto è quello di provvedere ad una verifica bilanciata di

diverse proposte sulla Geoingegneria, per aiutare i creatori a decidere se, quando e quali metodi

dovrebbero essere ricercati e sviluppati: il contenuto di questo rapporto è stato soggetto a un controllo

esterno e a carico del Consiglio della Royal Society.

Alcune delle attività di Geoingegneria comunque sono state già ben trattate in alcune pubblicazioni

scientifiche e includono:

Lo sviluppo (e impiego su larga scala) delle fonti di energia a basse emissioni di carbonio

(Fonte: Royal Society, 2008),Ekins & Skea (2009); Il Consiglio Tedesco sul Cambiamento Climatico

(WGBU 2009); Royal Society (2009);

Metodi per ridurre le emissioni di gas serra,come il Carbon Capture Storage (CCS)

(Fonte: IPCC 2005);

Rimboschimento convenzionale e deforestazione evitata (Fonte: IPCC, 2000; Royal Society,2001).

Page 95: Geoingegneria

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Vi è una serie di criteri con i quali le proposte di Geoingegneria dovrebbero essere valutate, che possono

essere sostanzialmente suddivise in criteri tecnici e criteri sociali.

Le caratteristiche delle due classi sono introdotte e discusse, la loro fattibilità e l'efficacia valutata per

quanto possibile nei confronti di quattro criteri tecnici:

1. Efficacia: compresa la fiducia nella base scientifica e tecnologica, la fattibilità, la scala spaziale e

l'uniformità degli effetti realizzabili.

2. Tempestività: compreso lo stato di preparazione di attuazione (e in che misura le esperienze necessarie

e/o modellizzazione sono state completate) e la velocità con cui l'effetto desiderato si verifica sul

cambiamento climatico;

3. Sicurezza: tra cui la prevedibilità e la capacità di verifica degli effetti desiderati, l'assenza di

prevedibili o non voluti effetti collaterali negativi e gli impatti ambientali (in particolare gli effetti sui

sistemi biologici di per sé imprevedibili), e basso potenziale su larga scala;

4. Costo: sia di implementazione che di funzionamento, per un dato effetto desiderato (per esempio

quello relativo ai metodi di CDR, a quello per ogni GtC, quello relativo ai metodi SRM e quello per

W/m2) valutati su scale temporali secolari. In pratica, le informazioni disponibili sui costi sono

estremamente incerte, incomplete, e sono solo possibili stime di ordine di grandezza.

Sulla base di questi criteri i probabili costi, impatti ambientali e le possibili conseguenze indesiderate

sono identificate e valutate per quanto possibile, al fine di informare le priorità della ricerca e della

politica. Un ulteriore criterio molto importante è la reversibilità tecnica e politica di ogni proposta, cioè la

capacità di un metodo di cessare i suoi effetti (compresi eventuali impatti negativi indesiderati) di

risolverli in breve tempo, se dovesse essere necessario farlo. Tutti i metodi qui considerati sono

suscettibili ad essere tecnicamente reversibili entro un decennio o due, e quindi questo criterio non

consente di discriminarli tra loro. Vi sono anche criteri non tecnologici, con i quali tali proposte

dovrebbero essere valutate: si tratta di problemi come l'atteggiamento del pubblico, l'accettabilità sociale,

la fattibilità politica e la legalità, che possono variare nel tempo.

Page 96: Geoingegneria

96

Bibliografia e documenti di riferimento

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