Gennaio - Febbraio 2012 lEstroVerso · tradimento esistenziale e spirituale per molti di noi,...

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L'anno nuovo reclama meraviglia. La richiede la disastrata situazione eco- nomica, la pretende il tradimento esistenziale e spirituale per molti di noi, cresciuti nelle illusioni adolescenziali brutalmente freddate. I risarcimenti andranno in prescrizio- ne, come i reati dei politici e gli stipendi che, imprenditori neo-feudatari, succhiando l'osso ai dipendenti-servi della gleba, hanno negato scap- pando via impuniti e contenti. Cosa importa potersi guardare allo specchio quando mancano gli oboli per comprarlo? Chi ha perso la faccia con la chirurgia e i quattrini può rifarsela. Ben- venuti nella società del benavere, altro che benessere, qui l'essere non c'entra proprio un bel nulla (Sartre, pardon). L'approssimazione, l'insipienza, il bieco obbedire a ciechi impulsi di appagamento senza futuro e lungimiranza perseguitano i nostri intelletti e stuzzicano i palati offrendo portate avariate. “E se le cose vanno male è perché la coscienza tutta quanta malata ha un interesse capitale attualmente a non venir fuori dalla sua malattia” vi grida dal fondo dei suoi elettroshock Artaud, non lo udi- te? Parla anche a voi, ragazzi che affogate l'im- pegno tra un cocktail e un corso di recitazione, studiando dizione ignari di carne, gemiti, dolo- re, sangue, martiri non santificati passati e pre- senti. Per voi Baudelaire, pietoso, ha servito l'alibi dei paradisi artificiali, ma quanta pena fa l'ignoranza della vostra e della mia generazione, l'assenza di interesse civile e sociale, l'implosio- ne di stati d'animo, lo zapping affettivo e le mille compulsività. Lo sento il giudizio di Ga- ber, “La mia generazione ha perso”, e ditemi ancora, quale insegnante di storia ci ha chiesto un parere su Bresci? Manca l'assolutezza di un Ribelle jungeriano, da infondere alla collettivi- tà, i terremoti non fanno tremare l'inerzia indi- viduale, se c'è una Resistenza in Italia è quella dei molluschi, parassiti di vari esemplari e natu- ra nonché raggio d'azione. “La massa abbassa ciò che è alto e innalza ciò che è basso” mi ha bisbigliato prima Goethe, i frutti inquieti di Pasolini qualcuno li ha raccolti? Hollow men da cosa scappate se non avete neppure ombre per proiettarvi un po' più in là. Da cosa scappiamo? Cosa fuggo? Lo stupore, forse. La mirabilia che vi dicevo all'inizio. La grata di un altrove possibile, qui e ora. Non si tratta di mondi paranormali o fanta- scientifici (la fantascienza ci ha ormai abituati più alla distopia che al subli- me). Quanto coraggio serve a reggere le sferzate del vento! Da un lettino lo sguardo clinico di un malato viene in soccorso al mio sconforto, cosa sono i suoi ottant'anni? Quattro ventenni seduti a un tavolo da gioco, schiamazzanti, chi allegro chi pensieroso, mentre le sue pupille ripongono con cura i ricordi come abiti dimessi ai quali è affezionato. Non chiede più assoluzioni o con- danne. Guarda. Non impara. La pedagogia la lascia ai maestrini. Ascolta e non giudica. Condivide, sente, patisce e ride. Qui non c'è niente da perdere e tutto è offerta. Sogno? Può darsi. Finché sogno vuol dire che non sto dormendo. Finché sogno vorrà dire che son desto lEstroVerso Fervet opus Grazia Calanna Certo che “è più facile chiedere ai poveri che ai ricchi” ma, davvero, Čechov converrà, questa non è soluzione della quale abusare ignorando, ostinata- mente, come accade, che imboccando miseria agli indigenti la percentuale di povertà (a scapito del pane) arde (lievita) a dismisura con la logica (sicura) conse- guenza di ritrovarci tutti, nessuno escluso, dentro al forno (peggio che in grembo al Toro di Falaride). E, frattanto, tra plurimi sos lanciati al Presidente, ram- marica (anche) quello per scongiurare la sospensione, o peggio, la chiusura di una cifra crescente di testate. Giustappunto, eccovi la nuova versione del periodico che mi pregio di dirigere. Siate clementi, chi scrive non è un grafico, si è im- provvisato tale. Puro spirito di sopravvivenza. Fortuna che (rifuggiamo falsa mode- stia) è un numero ricco di contenuti (unica cosa impor- tante, giusto?) grazie alla generosità di coloro i quali (il piacere di “scoprire” i nomi alle vostre oculate letture) hanno “dato e fatto con grazia”, offrendo idee, gemme di scritti (preziosi). Del resto, e vi lascio con Albert Camus, la vera gene- rosità verso il futuro non consiste nel donare tutto al presente? Anno VI - Numero 1 Gennaio - Febbraio 2012 Periodico d’Informazione, Attualità e Cultura - Direttore Responsabile Grazia Calanna Allo Specchio di un quesito Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane…», le parole di Emily Dickinson per chiederti qual è il viaggio più importante che hai fatto grazie alla lettu- ra e dove speri di aver condotto il lettore con il tuo libro “Volevo essere una farfalla”? Michela Marzano Il mondo dell‟infanzia e delle sue angosce. Mi ci sono avventurata un po‟ recalcitrante, seguendo con sospetto i primi passi di Peter nella scuola speri- mentale di Copenaghen, accanto a August e Katarina. Perché leggendo I quasi adatti di Peter Høeg, ci si ritrova per forza confrontati alle proprie paure e insicurezze. Come si fa, quando si è piccoli, a rendersi conto di cosa sia giusto o sbagliato? Come si può mettere un po‟ d‟ordine nel dolore cao- tico della propria solitudine? Poi, pian piano, mi sono lasciata trasportare dalle ellissi e dal ritmo sincopato della scrittura di Høeg. Quella che nomina esattamente quello che si provava da bambini, quando ci si ritrovava da soli nel buio della notte. E alla fine ho capito che Peter aveva ragione: “Alla lunga è sfibrante combattere il passato per tenerlo lontano”. Chissà! Forse è per questo che ho deciso di scrivere Volevo essere una farfalla. Per condur- re anche io il lettore nel continente oscuro dell‟infanzia. Quando si è troppo piccoli per capire che si ha il diritto di “essere altro” rispetto alle aspettative dei genitori. “Altro” rispetto a quello che si sarebbe dovuto essere. Altro rispetto alle norme e alle ingiunzioni paterne. Semplicemente “altro”… Forse volevo solo farlo viaggiare all‟interno di se stesso. Alla ricerca delle parole perse quando pensava, a torto, che “disubbidire” al padre voleva dire “tradirlo”. Per non combattere più il passato, e cominciare a pensare in mo- do nuovo il futuro… Brera Incontra il Puškin, collezionismo russo tra Renoir e Matisse Alla Pinacoteca di Brera, un e- vento culturale eccezionale. Dal 22 Novembre sono visionabili dei veri capolavori della pittura, all'Impressionismo francese, al Futurismo, al Surrealismo, sum- ma dell‟arte dall‟800 in poi. Questa rassegna è il frutto della collabo- razione tra il Ministero delle Belle Arti, la Soprintendenza di Milano, la Federazione Russa e il Museo Puškin. La mostra curata da Sandri- na Bandera e Irina Antonova intitolata “Brera Incontra il Puškin: collezionismo russo tra Renoir e Matisse”, aperta fino al 5 Febbraio 2012, crea un parallelo internazionale tra la Russia che accoglie Ca- ravaggio e l‟Italia con le collezioni di Sergei Scukin e Ivan Morozov, collezionisti che si fregiano del possesso di preziose opere della pittura “en plein air”, i saloni e caffè parigini come anche il “Ritratto di Am- broise Vollard” del grande Picasso. Si tratta proprio di una trasferta di celebri nomi dell‟arte in un tempio sacro. Si tratta di un piccolo percor- so che a ogni passo produce un balzo al cuore per chi ama, per chi co- nosce, per chi guarda vedendo oltre la tela il senso di un mondo che traspare tra i colori di un quadro. Immaginate una piccola sala con una luce quasi soffusa, uniche fonti infatti sono i punti luce diretti ai qua- dri, delle pareti grigie mostrano allo spettatore a portata di sguardo opere come: “Radura nel bosco a Fontainebleau” di Sisley, “Acquedotto” di Cézanne, l'epifania di fronte alla quale un piccolo spettatore piange, “Le ninfee bianche” di Monet. (segue a pag. 4) di Luigi Carotenuto Paul Gauguin di Ombretta Di Bella Aris

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L'anno nuovo reclama

meraviglia. La richiede la

disastrata situazione eco-

nomica, la pretende il

tradimento esistenziale e

spirituale per molti di noi,

cresciuti nelle illusioni

adolescenziali brutalmente

freddate. I risarcimenti andranno in prescrizio-

ne, come i reati dei politici e gli stipendi che,

imprenditori neo-feudatari, succhiando l'osso ai

dipendenti-servi della gleba, hanno negato scap-

pando via impuniti e contenti. Cosa importa

potersi guardare allo specchio quando mancano

gli oboli per comprarlo? Chi ha perso la faccia

con la chirurgia e i quattrini può rifarsela. Ben-

venuti nella società del benavere, altro che

benessere, qui l'essere non c'entra proprio un

bel nulla (Sartre, pardon). L'approssimazione,

l'insipienza, il bieco obbedire a ciechi impulsi

di appagamento senza futuro e lungimiranza

perseguitano i nostri intelletti e stuzzicano i

palati offrendo portate avariate. “E se le cose

vanno male è perché la coscienza tutta quanta

malata ha un interesse capitale attualmente a

non venir fuori dalla sua malattia” vi grida dal

fondo dei suoi elettroshock Artaud, non lo udi-

te? Parla anche a voi, ragazzi che affogate l'im-

pegno tra un cocktail e un corso di recitazione,

studiando dizione ignari di carne, gemiti, dolo-

re, sangue, martiri non santificati passati e pre-

senti. Per voi Baudelaire, pietoso, ha servito

l'alibi dei paradisi artificiali, ma quanta pena fa

l'ignoranza della vostra e della mia generazione,

l'assenza di interesse civile e sociale, l'implosio-

ne di stati d'animo, lo zapping affettivo e le

mille compulsività. Lo sento il giudizio di Ga-

ber, “La mia generazione ha perso”, e ditemi

ancora, quale insegnante di storia ci ha chiesto

un parere su Bresci? Manca l'assolutezza di un

Ribelle jungeriano, da infondere alla collettivi-

tà, i terremoti non fanno tremare l'inerzia indi-

viduale, se c'è una Resistenza in Italia è quella

dei molluschi, parassiti di vari esemplari e natu-

ra nonché raggio d'azione. “La massa abbassa

ciò che è alto e innalza ciò che è basso” mi ha bisbigliato prima Goethe, i frutti

inquieti di Pasolini qualcuno li ha raccolti? Hollow men da cosa scappate se

non avete neppure ombre per proiettarvi un po' più in là. Da cosa scappiamo?

Cosa fuggo? Lo stupore, forse. La mirabilia che vi dicevo all'inizio. La grata

di un altrove possibile, qui e ora. Non si tratta di mondi paranormali o fanta-

scientifici (la fantascienza ci ha ormai abituati più alla distopia che al subli-

me). Quanto coraggio serve a reggere le sferzate del vento! Da un lettino lo

sguardo clinico di un malato viene in soccorso al mio sconforto, cosa sono i

suoi ottant'anni? Quattro ventenni seduti a un tavolo da gioco, schiamazzanti,

chi allegro chi pensieroso, mentre le sue pupille ripongono con cura i ricordi

come abiti dimessi ai quali è affezionato. Non chiede più assoluzioni o con-

danne. Guarda. Non impara. La pedagogia la lascia ai maestrini. Ascolta e non

giudica. Condivide, sente, patisce e ride. Qui non c'è niente da perdere e tutto è

offerta. Sogno? Può darsi. Finché sogno vuol dire che non sto dormendo.

Finché sogno vorrà dire che son desto

l’EstroVerso

Fervet opus

Grazia Calanna

Certo che “è più

facile chiedere ai poveri

che ai ricchi” ma, davvero,

Čechov converrà, questa

non è soluzione della quale

abusare ignorando, ostinata-

mente, come accade, che

imboccando miseria agli

indigenti la percentuale di

povertà (a scapito del pane)

arde (lievita) a dismisura

con la logica (sicura) conse-

guenza di ritrovarci tutti,

nessuno escluso, dentro al

forno (peggio che in grembo

al Toro di Falaride). E,

frattanto, tra plurimi sos

lanciati al Presidente, ram-

marica (anche) quello per

scongiurare la sospensione,

o peggio, la chiusura di una

cifra crescente di testate.

Giustappunto, eccovi la

nuova versione del periodico

che mi pregio di dirigere.

Siate clementi, chi scrive

non è un grafico, si è im-

provvisato tale. Puro spirito

di sopravvivenza. Fortuna

che (rifuggiamo falsa mode-

stia) è un numero ricco di

contenuti (unica cosa impor-

tante, giusto?) grazie alla

generosità di coloro i quali

(il piacere di “scoprire” i

nomi alle vostre oculate

letture) hanno “dato e fatto

con grazia”, offrendo idee,

gemme di scritti (preziosi).

Del resto, e vi lascio con

Albert Camus, la vera gene-

rosità verso il futuro non

consiste nel donare tutto al

presente?

Anno VI - Numero 1 Gennaio - Febbraio 2012

Periodico d’Informazione, Attualità e Cultura - Direttore Responsabile Grazia Calanna

Allo Specchio di un quesito Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in

terre lontane…», le parole di Emily Dickinson per chiederti

qual è il viaggio più importante che hai fatto grazie alla lettu-

ra e dove speri di aver condotto il lettore con il tuo libro

“Volevo essere una farfalla”?

Michela Marzano

Il mondo dell‟infanzia e delle sue angosce. Mi ci sono avventurata un po‟

recalcitrante, seguendo con sospetto i primi passi di Peter nella scuola speri-

mentale di Copenaghen, accanto a August e Katarina. Perché leggendo I

quasi adatti di Peter Høeg, ci si ritrova per forza confrontati alle proprie

paure e insicurezze. Come si fa, quando si è piccoli, a rendersi conto di cosa

sia giusto o sbagliato? Come si può mettere un po‟ d‟ordine nel dolore cao-

tico della propria solitudine? Poi, pian piano, mi sono lasciata trasportare

dalle ellissi e dal ritmo sincopato della scrittura di Høeg. Quella che nomina

esattamente quello che si provava da bambini, quando ci si ritrovava da soli

nel buio della notte. E alla fine ho capito che Peter aveva ragione: “Alla

lunga è sfibrante combattere il passato per tenerlo lontano”. Chissà! Forse è

per questo che ho deciso di scrivere Volevo essere una farfalla. Per condur-

re anche io il lettore nel continente oscuro dell‟infanzia. Quando si è troppo

piccoli per capire che si ha il diritto di “essere altro” rispetto alle aspettative

dei genitori. “Altro” rispetto a quello che si sarebbe dovuto essere. Altro

rispetto alle norme e alle ingiunzioni paterne. Semplicemente “altro”…

Forse volevo solo farlo viaggiare all‟interno di se stesso. Alla ricerca delle

parole perse quando pensava, a torto, che “disubbidire” al padre voleva dire

“tradirlo”. Per non combattere più il passato, e cominciare a pensare in mo-

do nuovo il futuro…

Brera Incontra il Puškin, collezionismo russo tra Renoir e Matisse

Alla Pinacoteca di Brera, un e-

vento culturale eccezionale. Dal

22 Novembre sono visionabili dei

veri capolavori della pittura,

all'Impressionismo francese, al

Futurismo, al Surrealismo, sum-

ma dell‟arte dall‟800 in poi. Questa rassegna è il frutto della collabo-

razione tra il Ministero delle Belle Arti, la Soprintendenza di Milano,

la Federazione Russa e il Museo Puškin. La mostra curata da Sandri-

na Bandera e Irina Antonova intitolata “Brera Incontra il Puškin:

collezionismo russo tra Renoir e Matisse”, aperta fino al 5 Febbraio

2012, crea un parallelo internazionale tra la Russia che accoglie Ca-

ravaggio e l‟Italia con le collezioni di Sergei Scukin e Ivan Morozov,

collezionisti che si fregiano del possesso di preziose opere della pittura

“en plein air”, i saloni e caffè parigini come anche il “Ritratto di Am-

broise Vollard” del grande Picasso. Si tratta proprio di una trasferta di

celebri nomi dell‟arte in un tempio sacro. Si tratta di un piccolo percor-

so che a ogni passo produce un balzo al cuore per chi ama, per chi co-

nosce, per chi guarda vedendo oltre la tela il senso di un mondo che

traspare tra i colori di un quadro. Immaginate una piccola sala con una

luce quasi soffusa, uniche fonti infatti sono i punti luce diretti ai qua-

dri, delle pareti grigie mostrano allo spettatore a portata di sguardo

opere come: “Radura nel bosco a Fontainebleau” di Sisley,

“Acquedotto” di Cézanne, l'epifania di fronte alla quale un piccolo

spettatore piange, “Le ninfee bianche” di Monet. (segue a pag. 4)

di Luigi Carotenuto

Paul Gauguin

di Ombretta Di Bella

Aris

2 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio 2012 Società&Sapere

FilosoFare Edificare il valore per eccellenza

“Io Sono”

di Alfio Caltabiano

Colgo l’occasione per fare gli auguri a chi con amore, impegno e

volontà da vendere, dà l’anima a questo giornale, raccogliendo idee e

profezie, dando voce ai muti, visibilità a chi è invisibile; facendo cul-

tura insomma, promuovendo, recensendo libri con abilità e coscien-

za. Grazie Grazia, grazie Luigi…

Detto ciò, lasciate che fruisca della parola che mi si dà, per dire,

e perché no: proporre. Siamo a circa otto settimane dall’otto

marzo, una data questa che ogni anno è motivo di discussioni e

dibattiti sulla condizione femminile. Otto settimane sono poche

per organizzare qualcosa di decente, però si potrebbe aprire un

dialogo non tanto sull’otto marzo, quanto sulla natura femmi-

nile, sulla sua essenza, sul suo progetto, sul suo modo di comu-

nicare attraverso i segni. L’ordine tuttora in auge è la narrazio-

ne che dà spirito a tante narrazioni: la condizione del vincere o

perdere, conseguenza di una macromolecola conosciuta con

l’acronimo DNA in altri termini l’identità (L’identità c’entra

col femminile? Noi crediamo di si! Ma su questo si potrà di-

squisire in seguito). Prima si è accennato a un progetto. Quale

progetto? Basta indagare sul ruolo che ha avuto il femminile

per edificare l’interesse, e poi su, su, sino al manifestarsi della

coscienza, ossia l’umanità. Ma la donna continua ancora a trac-

ciare il solco da seguire, a prefigurare un nuovo ordine, un or-

dine non più fondato sulla forza bruta, sulla violenza, sul dover

vincere. Non mi riferisco a quanto dice o può dire tramite il

verbo, ma a quanto sostiene con i fatti, come femmina, col pro-

prio corpo. Prendiamo ad esempio i pesci. Un pesce femmina

depone milioni di uova, così come il maschio milioni di sperma-

tozoi. Centinaia di uova faranno subito da pasto, altre centinaia

faranno da pasto da pesciolini ed altre centinaia da pesci adulti.

La femmina umana ha all’incirca quattrocento ovulazioni, e in

media non più di due figli, i quali, non dovranno fare da pasto

a nessuno. È questo che si intende per edificio dell’interesse,

tutte le strategie dell’incubazione dell’uovo sino al grembo, col

fine di cautelare, edificare l’interesse per eccellenza, il valore

per eccellenza: l’affetto, il vero “Io Sono”. Ciò nonostante, nel

Genesi si narra che il mondo è stato creato per Adamo. Eva,

invece, è stata concepita come compagnia, una sorta di epifeno-

meno, non per il mondo ma per allietare la solitudine di Ada-

mo. Non è per seminare zizzania che cito il Genesi che è tuttora

fondamento delle culture monoteiste. Per queste culture la don-

na è ancora la maggiore responsabile del peccato originale. Che

poi, se per peccato si intende l’essere assurti a persone consape-

voli, in effetti, è Eva, ossia la natura femminile, che traccia il

sentiero verso la consapevolezza. Essere consapevoli vuol dire:

essere consapevoli di morire, essere consapevoli che c’è il bene

e il male come conseguenza della sensibilità (norma, piacere,

dolore…). E allora, dobbiamo punire Eva o è più logico indaga-

re per capire dalle tracce, dai segni, qual è il suo progetto? Ad

esempio, a partire dal suo aspetto, il quale non è palesemente

l’aspetto di chi si ripropone di entrare in conflitto, di vincere, di

sottomettere con la forza. La sua fierezza non è la fierezza del

maschio guerriero, ma è la fierezza disarmata, è la bellezza

fieramente ancorata all’esserci, che invita, propone ma non

impone. L’aspetto maschile invece è perfettamente coerente

alla condizione del vincere o perdere, a partire dalla sua genita-

lità, la quale non prefigura nessun cambiamento di stato, nes-

sun utopico sovvertimento, a parte il decadimento della vec-

chiaia, esso rimane fertile sino alla fine dei suoi giorni, a diffe-

renza della genitalità femminile la quale è a tempo determina-

to, prefigurando così, un tempo emancipato dalla funzione ri-

produttiva. Ciò che sino ad oggi è stato interpretato come un

difetto è invece una profezia: l’emancipazione dalla funzione, il

se per sé, il sogno, la speranza di tutta l’umanità.

L’insostenibile

pochezza dell’essere

Se in un immaginifico viaggio di ascesa

ipostatica verso l‟origine prima e infinita

del Cosmo, l‟anima venisse accidental-

mente risucchiata nei terreni trambusti,

credo si verrebbero a creare delle condi-

zioni amaramente ironiche. Il riferimento

all‟interiorità, lungi dal presentarsi come una stucchevole lezioncina di filoso-

fia, si pone invece come necessario punto di partenza della riscoperta di noi

stessi. Troppe volte si rimane ciechi e sordi rispetto agli ammonimenti della

nostra coscienza e la consapevolezza di noi stessi subisce delle violente stor-

ture che abbassano notevolmente il valore intrinseco di ciascun essere umano.

L‟anima peregrina che si affacciasse sui variegati scenari della nostra società

rimarrebbe quanto meno stupita dalla facilità con cui l‟essere diviene gregario

dell‟avere. L‟opposizione tra i due aspetti non è elemento nuovo, ma la sua

ipertrofia offre un quadro desolante e amaro della realtà socio-antropologica

attuale. Il primato dell‟avido possesso non conosce battute d‟arresto e non

tende a cedere terreno nemmeno in tempi di crisi e di manovre salva euro di

matrice vampiresca. Crisi dell‟economia, crisi della moneta, crisi del mercato

del lavoro, totale decadimento dei servizi, questo il contesto in cui si muove

una popolazione schizofrenicamente spaccata in due. Da un lato, infatti, c‟è

chi avverte la precarietà e il senso di vertigine che ne deriva a causa della

disoccupazione, dell‟inadeguatezza degli stipendi, della miseria delle pensio-

ni; dall‟altro, in una sorta di universo parallelo, si collocano gli eletti per cui il

cielo è sempre terso e il sole splende accecante. Persone che, ridendo in faccia

alla crisi, comprano e sfoggiano, edificano e ristrutturano, primeggiano e

sbeffeggiano. La nostra anima peregrina, in piena crisi d‟identità, avanzerà

tentennando, come un pirandelliano personaggio in cerca d‟autore e si chiede-

rà come tutto questo sia possibile. Poco importa che giornalmente, come in un

tragico bollettino di guerra, ci siano famiglie, pensionati, persino imprenditori

schiacciati dal fisco, che decidono di farla finita togliendo il disturbo con

amara discrezione, ciò che davvero conta è possedere i capi firmati, le Hogan,

le Louboutin, la cintura Gucci e la stola Vuitton. Non ha alcuna importanza se

l‟essenza di ogni individuo non trova il modo di emergere e viene schiacciata

da questa folle e irrazionale corsa all‟ultimo acquisto, all‟ultimo possesso.

Questa è la realtà dei fatti. L‟anima tracolla e cerca disperatamente la strada

della risalita verso le ipostasi superiori, desiderando ardentemente lasciarsi

alle spalle il caos del mondo terreno. Prima di uscire di scena, però, decide di

rendere omaggio alle vestigia dell‟essere, coprendo centinaia di individui

senz‟anima con un velo pietoso, facendo attenzione, beninteso, che la firma

sia ben visibile da ogni angolazione.

Raffaella Belfiore

Un Paese dilapidato “L’impoverimento oltreché economico è linguistico”

di Fabrizio Bernini

Mentre cerchiamo di risollevarci da una crisi che sembra ormai schiantarsi

sul nostro paese con la sua forza d’urto più potente, riflettevo come in Italia

l’impoverimento della lingua abbia progressivamente accompagnato quello

economico. Non è difficile ascoltare come parla la gente, basta passeggiare

tranquillamente per strada o salire su qualche mezzo pubblico. Dai quindici

anni agli “anta” anni sembra dominare un unico linguaggio stereotipato,

figlio della comunicazione appiattita e vuota che televisioni, messaggi pub-

blicitari, cantanti e modelli di riferimento di successo, sembra-

no ormai aver spalmato su tutte le generazioni. Non sono da

meno, in quanto causa, né giornali, né tantomeno, purtroppo, la

scuola. Ma allora, come mai si è arrivati a questo? Il lento e

progressivo diminuire di un interesse culturale a favore di un

immediato e omologato stile di vita ha fatto sì, che il nostro bel

Paese, patria mondiale della poesia e dell’arte per secoli, ab-

bia dilapidato tutto ciò che di buono aveva costruito in

passato. Se un grande poeta milanese come Delio Tessa diceva:

“riconosco e onoro un solo maestro: il popolo che parla”, si può ben capire

come un tempo la lingua viva nascesse proprio dall’invenzione arguta e

pratica che la vita faceva fluire nel linguaggio e nell’arte. Una volta

l’operaio aveva in casa una copia di Dostoevskij che sebbene non compren-

desse appieno, era per lui, comunque, un punto di riferimento alto. Oggi, se

gli va bene, la biografia di un calciatore.

Joseph Mallord William Turner

Società&Sapere 3 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio 2012

Epoca d’incertezza e deboli “potenze” nella stretta di mani sudate

Perché mai un uomo dovrebbe urlare? Quest‟uomo

senz‟altro si sforza di farsi sentire. Qualcuno non

l‟ascolta. Egli ha sicuramente o un motivo di presunta

ragione per cui battersi, oppure un motivo di presunto

torto e vuole disturbare (interrompere) l‟altrui pensiero.

Quando al posto di un uomo solo che urla ce ne sono

molti, tutti d‟accordo e questi vogliono urlare qualcosa,

cosa usano? Se fossero maggioranza, non avrebbero pro-

blemi, credo, a farsi ascoltare e tanto più la loro voce

direbbe cose scabrose, tanto più si dovrebbe fare grossa

per non far pensare e stordire la minoranza. Ammettiamo

che, sciaguratamente, la maggioranza cominci ad essere

minoranza e che faccia scarsamente (magari per abitudine) attenzione al

diritto altrui; cosa dovrebbe fare? Dovrebbe alzare la voce? Credo che a

buon esempio, si possa prendere uno stato, uno qualunque, gli Stati Uniti,

la sua voce grossa, la sua macchina propagandistica e rivolgergli per un

attimo lo sguardo. Macchina propagandistica, che brutta frase. Ricorda

tanto la “macchina propagandistica” di un certo impero che doveva durare

mille anni e poi durò pochi decenni; almeno in Alemannia si dice che i

nazisti sconfissero i nazisti. A noi. Dunque la macchina propagandistica

servirebbe, ad esempio, credo siamo d‟accordo, per confondere, coprire di

lodi e inganni le schifezze, i crimini, che un gruppo di fanatici (perché per

forza tali bisogna essere per spingersi a ciò) coperti da cap-

potti con stemmi nazionali, compiono per il bene proprio in

nome del bene comune. Non sto qui a dire quanto più dei

Tedeschi i Nordamericani abbiano alimentato e ancora ora

oleato, il quadro culturale alterato di un popolo intero, mac-

chiato di muffe, di colori marci, scarabocchi di rivoluzioni

mediatiche. Qui non parliamo di leader ma di un intero po-

polo coinvolto, in opposizione a tutti gli altri popoli della

terra. Ma perché un popolo dovrebbe servirsi di una simile

forza propagandistica? Cos‟ha da nascondere? Perché, letto-

re, in un celebre caso (ce ne sono stati tanti, di questi distur-

bi mentali) un uomo si lava continuamente le mani? Passiamo

oltre. Anzi concludiamo. Gli stati potenti del mondo si tendono insicuri le

mani sudate, in questi anni d‟incertezza. Se mai uno o più dovessero cadere,

le gambe molli degli altri non reggerebbero il colpo, a meno che qualcuno

abbia le mani fin troppo sudate per reggere la presa. Il paese che guida

l‟occidente e il mondo, il paese della speranza, si piega da sé. Con le sue

mani grassocce palpeggia democraticamente l‟intimo dei paesi, polveri e

rovine che un tempo gli furono a turno predecessori nella guida del mondo,

egli cerca una presa. Ecco che il ballerino è colto dal fiatone; la tradizione

dice: “sotto un altro!”. Stavolta, però, credo ci sarà un gran finale.

Luigi Taibbi

Jacek Yerka

L’ANGOLO DEL COMMERCIALISTA

Il Nuovo Regime Agevolato dal 2012 a cura di Danilo Lizzio - [email protected]

Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22

dicembre 2011 sono state dettate le modalità di applicazione del regime conta-

bile agevolato previsto dall’articolo 27, comma 3 del D.L. 98/2011 convertito

con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011 n. 111.

I soggetti ammessi al nuovo regime agevolato, a partire dal periodo d’imposta

2012, sono coloro che posseggono i seguenti requisiti:

1) nell’anno 2011:

- non hanno conseguito ricavi o compensi superiori ad euro 30.000,00;

- non hanno effettuato cessioni all’esportazione;

- non hanno sostenuto spese per personale dipendente o collaboratori

con qualsiasi contratto;

2) nel triennio 2009 - 2011 non hanno effettuato acquisti di beni strumentali,

anche in leasing, per un ammontare superiore ad euro 15.000,00;

3) non si avvalgono di regimi speciali ai fini IVA;

4) risiedono sul territorio nazionale;

5) non sono soci di società di persone (snc o sas) o associazioni o a società a

responsabilità limitata trasparenti (art. 116 testo unico imposte sui redditi);

6) non effettuano esclusivamente o in prevalenza cessione di fabbricati o loro

porzioni e terreni edificabili o di mezzi di trasporto.

I soggetti esclusi da tale regime sono quelli soggetti a particolari disposizioni

IVA e/o imposte sui redditi (ad esempio coloro soggetti agli artt. 34, 34 bis e 74

del decreto 633/1972; articolo 25 bis decreto 600/1973; artt. 36 e 40 bis decreto

legge 41/1995; art. 5 legge 413/1991). I soggetti che si avvalgono del regime

agevolato sono esonerati dalla registrazione e tenuta delle scritture contabili ai

fini IRPEF, IVA e IRAP; dalle liquidazioni e dai versamenti periodici IVA;

dal versamento dell’acconto IVA; dalla presentazione della dichiarazione ai

fini IRAP. Sono, invece, dovuti i seguenti adempimenti: la conservazione dei

documenti emessi e ricevuti; la comunicazione annuale dei dati IVA, se il volu-

me d’affari supera la soglia di euro 25.822,84; la presentazione della dichiara-

zione dei redditi ai fini IRPEF e IVA; il versamento annuale dell’IVA e quelli

dell’acconto e del saldo dell’IRPEF e delle relative addizionali; la compilazio-

ne del modello degli studi di settore o dei parametri. La determinazione del

reddito dei soggetti rientranti nel regime agevolato è regolamentata dagli arti-

coli 54 (lavoro autonomo) e 66 (reddito d’impresa) del testo unico delle impo-

ste sul reddito e successive modificazioni. Tali agevolazioni si aggiungono a

quelle riservate ai cosiddetti “nuovi contribuenti minimi”, i quali hanno meno

adempimenti fiscali (soprattutto ai fini IVA) e maggiori agevolazioni in termi-

ni di determinazione del reddito imponibile (di lavoro autonomo o d’impresa).

I “nuovi minimi” applicano al reddito imponibile l’aliquota agevolata del 5%

e, se soggetti, non inseriscono la ritenuta in fattura. Infine, essi non sono sog-

getti agli studi di settore e non versano l’IVA né periodicamente né annual-

mente, perché non viene riportata in fattura.

LIII CONGRESSO FIJET

Giornalismo turistico e comunicazione La Fijet, Federazione Internazionale dei Giornalisti

e Scrittori del turismo, è stata ospitata in Romania,

al Palazzo del Parlamento di Bucharest. Grazie al

Ministero del turismo e alla Municipalità di Bucha-

rest, al Presidente internazionale della Fijet Tijani

Haddad, che ha voluto il congresso in Romania e,

per l‟organizzazione, un grazie al segretario interna-

zionale Jacques Campè, al giornalista Jim Thom-

pson, a Victor Radulescu, Presidente della Fijet in

Romania, il LIII Congresso ha ospitato oltre 250 giornalisti prove-

nienti da diversi paesi. Tematica del congresso il compito del gior-

nalista come tramite indispensabile per divulgare il turismo nelle

sue più svariate sfaccettature. Il giornalista come veicolo trainante

che pubblicizza il turismo descrivendone immagini e costumi e che,

attirando il turista, crea economia, cultura e scambio di idee che

consentono consapevolezza. Abbiamo appurato come la Romania,

oggi, sia diventata una nazione democratica. Siamo stati accolti

come “fratelli”, balli e musiche tradizionali facevano da gradevole

sottofondo al nostro giro turistico. Il turismo in Romania è a buon

mercato e il paese è in grado di offrire interessanti itinerari. A nord

della Moldavia si trova Bucovina, la terra di tanti monasteri divenu-

ta patrimonio dell‟umanità Unesco. Vi sono paesaggi stupendi che

vanno dai Carpazi alla Transilvania dove si trova il castello di Bran,

celebre come castello del conte Dracula. In Romania si possono

praticare vari sport come rafting, sci, caccia, pesca. Altra forma di

turismo appassionante è l‟esplorazione a cavallo di magnifici sen-

tieri naturali. E inoltre c‟è l‟agriturismo, spesso di stile antico, che

offre ai turisti sapori e colori eccezionali. La Romania è conosciuta

anche per il buon vino, i cibi genuini e l‟eccellente grappa che i

rumeni offrono in ogni occasione.

Giovanna Abate

Fantarcheologia

Ceci n’est pas… Archeologia!

Parafrasando il motto magrittiano, intro-

duco il tema della cosiddetta “fanta-

rcheologia”. Ovvero, “una sorta di arche-

ologia pseudoscientifica che dà una inter-

pretazione non conforme al metodo

scientifico archeologico”. Il tema, seppur

possa sembrare frivolo, ha una qualche importanza, sia perché ci

mostra come nei secoli l'uomo si sia rapportato a reperti considerati

“particolari” sia perché, oggi, si sente spesso parlare di archeologi

improvvisati che, con mirabolanti spiegazioni, illustrano alcuni a-

spetti non del tutto chiari a chi, invece, è del settore. Il primo approc-

cio a questa pseudoscienza fu quello dello scrittore C. H. Fort, stu-

dioso del paranormale, che spiegò manufatti considerati all'epoca

“particolari”, siamo a cavallo tra Ottocento e Novecento, come pro-

dotti alieni. Il più noto esempio riguarda la mitica Atlantide, menzio-

nata da Platone, e descritta come un'isola molto potente distrutta poi

da un cataclisma. Già dal XVI sec. si iniziò a collegare Atlantide con

le civiltà americane, per poi giungere a connettere la stessa con Mu,

mitico continente della tradizione maya. Per cercare di validare l'esi-

stenza e la distruzione di Atlantide, le ipotesi si moltiplicarono velo-

cemente durante i secoli, per primi furono “sbattuti” al banco degli

imputati gli asteroidi. Nel 1902, sull'isola greca di Anticitera, si rin-

vennero alcuni resti di un manufatto meccanico di rame. Diverse

indagini appurarono che il congegno riproduceva il moto dei pianeti

attorno al Sole e anche le fasi lunari. Un meccanismo troppo elabora-

to, quindi, così pensarono gli stessi eruditi dell'epoca, insistendo che

il manufatto fosse troppo complesso per appartenere allo stesso peri-

odo della nave inabissata in cui era stato ritrovato (I sec. a.C). Ma

perché sottovalutare la cultura greca? In quel periodo si fecero effet-

tivamente notevoli passi avanti nella scienza, tali da spiegare un'ope-

ra del genere. Recentemente è stata ipotizzata la possibilità che il

meccanismo abbia, tra l'altro, i natali proprio in terra sicula, a Sira-

cusa. Ultimo fantasioso esempio riguarda noi, o meglio, l'essere

umano. Nel 1912 vennero rinvenuti a Piltdown (Sussex) da C. Da-

wson, avvocato con la passione dell'archeologia, dei frammenti cra-

nici e una mandibola con due molari ancora incastonati. Il tanto

ambito anello mancante uomo-scimmia? No, una truffa bella e buo-

na. Solo dopo 40 anni il cosiddetto Eoanthropus dawsoni fu sma-

scherato come essere mitologico piuttosto che anello mancante:

infatti, il cranio era di un più che conosciuto Sapiens, mentre la man-

dibola apparteneva ad un pongo e i denti, appositamente limati, ad

uno scimpanzé. Novacula Occami docet.

Arte&Spettacolo 4 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

EscogitArte a cura di Elisa Toscano

Yamamoto Masao Frammenti di mondo e onirici istanti

Racconta affascinanti storie tramite la magnificenza della natura

che ci circonda. Offrendola come un oggetto da poter portare con

sé nella propria mano. L‟artista Yamamoto Masao, ha iniziato i

suoi studi come pittore. Da anni ormai utilizza la fotografia per

catturare le immagini che evocano ricordi, sebbene non si possa

prescindere da un successivo intervento di tipo pittorico. È noto

per le dimensioni ridottissime delle sue opere, come egli stesso

commenta: “puoi stampare le mie foto della grandezza che prefe-

risci, ma ogni cosa ha la sua giusta dimensione, io le voglio così,

piccole, per poterle tenere nel palmo della mia mano, devono di-

venire oggetti”. Contravvenendo ad ogni convenzione fotografica,

Masao non prevede l‟ingrandimento del negativo, sembra voglia

costringere l‟occhio altrui ad uno sforzo di attenzione per cogliere

i dettagli della sua opera. Realizza installazioni con le sue piccole

fotografie per mostrare come ogni stampa è parte di una realtà più

grande ed afferma: “le mie

installazioni non hanno un

inizio, puoi guardarle da qual-

siasi stampa, ogni inizio ha una

storia diversa”. Sono scatti di

immensa bellezza che condu-

cono lo spettatore ad ammirare

quei “dettagli che la natura ci

regala e che molta gente per-

de”. Istantanee dai bordi strap-

pati che l‟artista ricolora con

gocce di the e/o vernice rossa: il corpo di una donna, un fiore, un

paesaggio. Sono frammenti di mondo, istanti di sogni.

Venezia. Palazzo Cavalli Franchetti

La fotografia dal Giappone (1860 - 1910)

I Capolavori

Anticitera o Antykithera

di Daniele Cencelli

Brera Incontra il Puškin… (segue da pag. 1)

Quest'ultimo appare incorniciato con un senso di forte preziosità in un intarsio

ligneo dorato, evidenziando in poche pennellate il senso del dinamismo in nuce di

un'epoca che scoppia più avanti in un “Autoritratto” di Boccioni. Tra Pisarro e

Cézanne campeggiano, contro la tetra monotonia, i rossi di Gauguin con i suoi

emblemi “La stanza rossa” , “I pesci rossi”, ecc. Si prospettano ulteriori prestigio-

si scambi culturali, è solo l'inizio se si pensa che la mostra deve ai collezionisti

italiani Jesi, Jucker, Vitali e Mattioli le opere degli artisti del Novecento come

Boccioni, Modigliani, Mafai, De Pisis, Carrà e Morandi. Un'apoteosi sensoriale

emotiva da non perdere per lasciarsi sedurre dalla bellezza di vedere la realtà altra

di un quadro.

Ombretta Di Bella

Ogawa Kazumasa

L‟Istituto Veneto di Scienze Lettere e

Arti di Venezia, fino al 1 aprile 2012, al

Palazzo Cavalli Franchetti, ospita una

mostra che presenta oltre 150 stampe

fotografiche originali realizzate dai

grandi interpreti giapponesi ed europei,

agli albori della storia della fotografia,

fra il 1860 ed i primi anni del Novecen-

to. Dal titolo La Fotografia del Giappo-

ne (1860-1910). I Capolavori, la mostra

è curata da Francesco Paolo Campione

(direttore del Museo delle Culture di

Lugano) con Marco Fagioli. È prodotta

dal Museo delle Culture di Lugano e da

Giunti Arte mostre musei, con, in Italia,

l‟Istituto Veneto di Scienze Lettere e

Arti. Presenta i capolavori di uno dei

più importanti capitoli della storia della

fotografia - nata in Europa ma subito

sperimentata in Giappone - nel periodo

in cui il Paese del Sol levante si apriva

all‟America e all‟Europa, influenzando

con le figurazioni e le rivelazioni

della sua creatività il gusto dell‟intero

Occidente. Gli appassionati del genere

potranno ammirare le opere di alcuni

grandi fotografi delle origini, primo

fra tutti l‟inglese Felice Beato che,

con un piccolo gruppo di artisti giap-

ponesi, diede vita alla Scuola di Yoko-

hama. Il tragitto espositivo suddiviso

in sezioni analizza la figurazione del

paesaggio, la natura “educata” dalla

cultura, il piacere dell‟esotismo e la

relazione fra sacro e profano. La mo-

stra si conclude con le opere dei gran-

di interpreti della fotografia giappone-

se e straniera, come Kusakabe Kim-

bei, considerato il maestro nel realiz-

zare sofisticate foto all‟albumina co-

lorate a mano. L‟esposizione è ac-

compagnata da un importante volume,

pubblicato da GAmm Giunti.

Nello Calì

Adriano Di Stefano

“Suoni del cuore”, un inno alla libertà dell’essere

“Suoni del cuore” è il titolo del secondo album di Adria-

no Di Stefano (nella foto), prodotto da “La città vecchia”,

libera associazione di promozione musicale, che, dopo i

consensi ottenuti con il lavoro d‟esordio, “Distratta-

mente”, edito da Prova d‟Autore, torna alla ribalta propo-

nendo una raccolta di suoni e testi dettati, con assoluta

spontaneità, dall‟animo sensibile del giovane poeta e

cantautore catanese. Otto brani inediti, scritti, musicati e

cantati dall‟abile Di Stefano, ispirati, come direbbe il sociologo Giovanni

Busino, al più raro dei lussi: la libertà. Artista eclettico, accompagnato da

Alessio Giordano (chitarra solista) e Andrea Giuseppe Denaro (banjo,

basso, bouzouki, flauto traverso), Di Stefano, prosegue con successo la

propria tournée.

Qual è il messaggio portante del cd?

“Lasciarsi andare e ascoltarsi. Lasciare che i sentimenti giusti abbiano

più spesso la meglio così da non essere, come spesso accade, sovrastati

dalla ragione. Credo sia l‟unico modo per essere più umani”.

Qual è, ammesso ci sia, il brano più significativo?

“Valzer da solo. L‟ho inserito a conclusione dell‟album come

pure in scaletta alla fine di ogni singolo concerto perché lo

reputo il modo migliore per salutare chi mi ascolta. Esprimo la

mia paura più grande: rimanere da solo per rendermi conto, un

giorno, che nessuno ha mostrato attenzione reale per le mie

canzoni, per le mie parole”.

Quali artisti prediligi?

“Ce ne sono parecchi. Oltre ai “soliti noti” cantautori italiani, ho scoperto

personalità (non solo artistiche) come quella di John Lennon che mi hanno

particolarmente affascinato per la voglia di diffondere messaggi pacifici e di

amore, oltre che per la profondità dei testi. Penso che Lennon solista potreb-

be divenire il mio punto di riferimento per gli anni futuri”.

Quali le fonti ideali di ispirazione?

“Ultimamente mi lascio ispirare dal mio stato d‟animo, non faccio riferi-

mento a nessuna particolare musa, cerco solo di capire meglio me stesso per,

poi, tirare le somme con i miei motivi”.

Speaker’s Corner Spazio e voce alla tua creatività

Speaker‟s Corner è

il nuovo originale

progetto della coope-

rativa Tribe. Lo

"Speaker’s Corner" è

un palco, un'opportu-

nità, una bella vetri-na, una zona franca,

il campo neutro dove

esibirsi liberamente

senza filtri o selezio-

ni da parte degli ad-

detti ai lavori. Nello

spazio allestito all‟interno della Vecchia Dogana di

Catania artisti, musicisti, poeti, scrittori, registi,

studenti, docenti, dilettanti e professionisti avranno

quindici minuti di tempo per far conoscere al pub-

blico il proprio lavoro, le proprie idee o le proprie

iniziative utilizzando video, immagini o semplice-

mente la propria voce. Ogni martedì, dalle 19 alle

24, sul palco dello Speaker’s Corner, lo “speaker” e

il suo “progetto” saranno i protagonisti principali di

una serata/show democratica basata sulla condivi-

sione e sulla libera circolazione della creatività.

Partecipare è semplice: basta scaricare, compilare e

inviare la relativa scheda alla cooperativa Tribe,

promotrice della manifestazione, che si occuperà di raccogliere e organizzare le candidature «senza se e

senza ma». Per maggiori dettagli e per reperire la

scheda di partecipazione e il calendario delle serate

in programma (o da programmare) potete consultare

il sito www.tribearl.it/speakerscorner.

Nello Calì

Istantanee, memorie dal presente

l’EstroVerso Numero 1 - Anno VI

Registrazione Tribunale di Catania

n. 5 del 9 febbraio 2007

Direttore Responsabile

Grazia Calanna

Segretario di Redazione

Luigi Carotenuto

Editore EstroLab

www.lestroverso.it

Arte&Spettacolo 5 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

In occasione del 150° anniversario

dell’Unità d’Italia, la storica e blasona-

ta agenzia Magnum ha dato vita ad un

Grand Tour fotografico, il cui fine è

manifestare il presente visivo del nostro

paese per celebrarne la memoria. Nove

fotografi per nove tematiche da rappre-

sentare. Richard Kalvar (1) ha ritratto

scenari che ci contraddistinguono, dai

pranzi in famiglia, alla domenica in

chiesa fino alla cultura del rito matri-

moniale. Harry Gruyaert (2) si è pre-

murato di sviluppare il tema del pro-

gresso industriale puntando i riflettori

sugli eccessi dell’urbanizzazione. Alex

Majoli (3) ha documentato le classi dei

lavoratori e degli artigiani meno noti,

come i pescatori di Portopalo o gli ope-

rai degli stabilimenti Maserati di Mo-

dena. Christopher Anderson (4) si è

concentrato sul mare passando anche

da Catania, dove ha fotografato i silos

per il frumento del porto. Donovan

Wyle (5) si è occupato di evidenziare

nuove realtà urbane, come i resti delle

nostre antiche mura che convivono

insieme alla più recente architettura.

Paolo Pellegrin (6) si è impegnato a

descrivere il “domani” italiano fotogra-

fando i primi piani di 150 ragazzi che

sorridono speranzosi al futuro della

penisola. A Mikhael Subotzky (7) è

stato affidato il compito di documenta-

re le contraddizioni insite nella realtà

italiana. Ad esempio, una delle sue im-

magini raffigura i bambini che giocano

sulla spiaggia di Cecina mentre un

trans prende il sole. Mark Power (8) ha

fotografato i luoghi della memoria di-

ventati stereotipi quali il duomo di Mi-

lano, mentre infine Bruce Gilden (9) si

è preso cura di raffigurare la proble-

matica degli “altri”, girando per carce-

ri, centri d’accoglienza, parchi pubblici

e baraccopoli.

di Rosario Leotta

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Cultura 6 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

SCRITTURA CREATIVA. SUGGERIMENTI

IV Ciao a tutti (diamoci del tu), spero che il vostro 2012 sia iniziato bene. Oggi andiamo speditamente, ché parleremo dei per-

sonaggi, e le cose da dire sono molte. Dunque. Fondamentale, per ciascun personaggio di

una narrazione, è la coerenza: la coerenza con sé stesso e la coerenza relazionale.

La coerenza con sé stesso significa che se il perso-naggio X non si è mai acceso una sigaretta per le prime 243 pagine della mia narrazione, e lo faccio fumare a pagi-na 244, sto commettendo un errore; a meno che io non espliciti (e motivi) il fatto che egli abbia iniziato a fumare.

Come non incorrere in simili incoerenze? Creando, prima di cominciare una narrazione, le schede biografiche dei personaggi, le più dettagliate possibile. Ribadiamo quanto già detto la scorsa volta: più la mia immaginazione (dei personaggi, in questo caso) sarà vivida, o meglio: sarà completa, meno mi esporrò al rischio di incoerenze.

Ma Bagnasco, così non si avranno personaggi mono-litici, statici? Macché. Nel corso della narrazione, un per-sonaggio può certo mutare atteggiamento, giudizio, ruolo, eccetera: ma - ripeto - qualunque cambiamento dovrà essere frutto di una precisa scelta narrativa, e non di sciat-teria d’autore.

Cos’è, poi, la coerenza relazionale? Beh, un perso-naggio esiste solo in rapporto con gli altri. Per cui, ogni narrazione dovrà avere un insieme di personaggi la cui coesistenza sia narrativamente plausibile e funzionale. E ciò ci porta a una riflessione, la quale ci conduce a due avvertenze.

La riflessione: i personaggi hanno l’inguaribile ten-denza a formare coppie.

Da ciò, due avvertenze. Prima: occhio ai doppioni (due personaggi perfidi, o due doppiogiochisti, o due imbranati, in una narrazione sono troppi).

Seconda: un certo tipo di personaggio ne prevede quasi obbligatoriamente un altro. Per esempio, se sto scrivendo un noir e inserisco nella mia narrazione una bionda vaporosa sulla trentina, meglio se vedova e incline al whisky, non posso non inserirvi anche un personaggio che prima o dopo cadrà vittima del di lei fascino.

Ultimissima avvertenza: i personaggi si muovono all’interno di un determinato spazio, che consente loro di fare e dire alcune cose, e non ne consente altre. Per esem-pio, se il luogo è buio sarà insensato badare alla mimica dei personaggi; altro esempio, un luogo affollato è perfet-to perché A spifferi, quasi distrattamente, qualcosa di cruciale all’orecchio di B; e un vasto luogo aperto è l’ideale per un inseguimento.

Dubbi, domande? Se sì, scrivetemi. Vi abbraccio tutti insieme e uno per volta, alla prossima.

Claudio Bagnasco [email protected]

L’incontro con Milena Agus

di Gabriella Bertizzolo

Asiago, 22 agosto 2007. Il tempo promette

pioggia così a mezzogiorno l‟altoparlante

annuncia che l‟incontro con i finalisti del

Premio Campiello, anziché in piazza del Ri-

sorgimento, si terrà nella sala del Grillo Par-

lante. Come d‟abitudine mi reco

all‟appuntamento in anticipo. Nella sala semi-

vuota sfoglio i libri letti e riletti e osservo il

frenetico lavoro dei tecnici alle prese con

audio e microfoni. Mentre la sala si riempie, i magnifici quattro (l‟ottuagenario

Fruttero, assente, è ricordato con un lungo applauso) arrivano scortati

dall‟Assessore, Andrea Gios, dal Presidente della Confindustria Veneto, Andrea

Riello, e dal Presidente del Comitato di Gestione del Premio, Walter Fortuna, che

presenterà la conferenza. Mi complimento con tutti gli scrittori, mantenendo segre-

to - com‟è giustamente richiesto - il mio ruolo di membro della Giuria dei Trecen-

to. La Agus è con un gruppo di amici. Le chiedo cortesemente l‟autografo, mentre

iniziamo a parlare, proprio all‟entrata della sala, di “Mal di pietre” (presente anche

alla finalissima del Premio Strega). “Mi congratulo per la sua storia che ho letto

con interesse, per il linguaggio immediato e la capacità di penetrazione psicologi-

ca. Interessanti anche le “posizioni” della nonna col Reduce - dico un

po‟scherzando -”. “Prestazioni” - mi corregge prontamente l‟autrice sorridendo con

voce pacata ma decisa -. Certo, prestazioni, quella della preda, della schiava, della

musa, della donna cagna, della pigra…”. Le avevo lette, mi era piaciuta l‟incisività

del linguaggio pur nell‟asciuttezza formale. “Non avrei mai pensato che la storia

finisse così, intendo dire che la nonna aveva solo immaginato di avere quella rela-

zione anche fisica col Reduce”. “Nemmeno io, per la verità”. “Comunque, io ho

trovato il suo libro poetico”. “Ho scritto parecchie poesie quand‟ero piccola, ma

brutte”. “Brutte? Non credo, lei è troppo modesta. Anch‟io ne ho scritte parecchie.

E il suo rapporto con la classe dell‟Istituto Superiore dove insegna?”. “Ho sempre

tenuto tutto nascosto, non volevo e non voglio che i miei allievi leggano il mio

libro, nemmeno la mia famiglia, mio figlio”. “Posso capirla, sono un‟insegnante di

Lettere alle medie che ha avuto il coraggio di dare alle stampe sei libri di poesia, da

qualche anno sono alle prese con un romanzo che mi rende difficile la vita”.

“Auguri, allora!”. “Grazie, ne ho bisogno. Come si sente dopo le varie traduzioni e

i lusinghieri risultati ottenuti con „Mal di pietre‟ presente anche nella finalissima

del Premio Strega?”. “Mah, per me questo libro è già andato fin troppo avanti. Io

non mi ritengo una scrittrice, ma piuttosto „una che scrive‟. Ci ho ripensato mille

volte prima di consegnare il manoscritto a Nottetempo, non volevo che venisse

pubblicato”. Penso alle consonanze profonde che affiorano dal nostro dialogo:

anch‟io non mi sono mai ritenuta, né mi ritengo una “poetessa”, ma “una che scri-

ve poesie”. “È successo anche a me. Comunque io penso che nel momento in cui

una persona consegna il suo scritto alla casa editrice, significa che almeno una

parte di sé desidera che il testo venga pubblicato, altrimenti lo terrebbe nel cassetto

della scrivania. Sembra lapalissiano, ma credo sia così”. Sono io a rompere il silen-

zio che fa seguito alla mia domanda. “Posso dirle una cosa? Lei il più grande suc-

cesso l‟ha ottenuto con il suo pudore, pudore che permea di sé tutto il romanzo,

anche quando chiama le cose col proprio nome. “Ho sentito che ci sono pagine di

sesso sfrenato”, dirà poi, sic et simpliciter, molto simpliciter, Vespa”. “Grazie”,

conclude. Tutti si sono già accomodati sul palco ma la gentile professoressa Agus

senza fretta finisce di scrivermi sul frontespizio del volumetto “con gratitudine”

con una grafia tondeggiante, ordinatissima, di quelle di una volta. Sono io a ricor-

darle che manca solo lei all‟appello. La rivedo lo scorso primo settembre a Vene-

zia, sul palco della Fenice, ben salda sulle ballerine che non fanno niente per alzar-

le la statura… Ma l‟alta statura dell‟autrice sarda è quella narrativa.

Milena Agus

7 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

La Casa editrice Prova d’Autore è stata fondata nel 1978. La prima

pubblicazione è stata la rivista bimestrale Lunarionuovo diretta da Ma-

rio Grasso (www.mariograssoscrittore.it). I primi collaboratori di Luna-

rionuovo sono stati: Sebastiano Addamo, Giorgio Bàrberi Squarotti,

Giovanna Capone, Gilberto Finzi, Giuliano Gramigna, Mario Grasso,

Giuseppe Marchetti, Biancamaria Mazzoleni, Giancarlo Pandini, Giu-

seppe Pontiggia, Giovanni Raboni, Salvatore Rossi, Giuseppe Savoca,

Salvatore Scalia, Maria Luisa Spaziani e Leonardo Sciascia, tutti pre-

senti con propri scritti inediti sul primo numero (Cfr. Lunarionuovo n.

A.I, n.1 – Giugno/Luglio 1979 – Catania). I libri pubblicati da Prova

d’Autore tra il 1979 e il 1987 sono stati siglati Lunarionuovo, compresi

quelli editi in collaborazione con la Società di Poesia presso l’Editore

Guanda (Cfr. Coedizioni Lunarionuovo - Società di Poesia - Catania-

Milano). Dal dicembre 1987, dopo nove anni di attività nella sede origi-

naria, c’è stata l’inaugurazione della nuova e attuale sede in via Leo-

pardi, n. 53, a Catania, (inaugurazione festeggiata con l’intervento di

Juri Lotman e di personalità della cultura internazionale e locale - vedi

www.provadautore.it), a partire dalla stessa data la produzione edito-

riale verrà definitivamente siglata con il logo e la ragione sociale Prova

d’Autore.

Qual è l’aneddoto più curioso legato alla nascita della casa editrice? Quello dello stupore di certi “soliti ignoti” per la venuta di Juri Lotman a

inaugurarla. I soliti “amici locali”, dispensatori di gratuiti elogi alla rove-

scia, lo raccontavano assicurando che era tutta una leggenda metropolita-

na. Per questo motivo abbiamo inserito nei nostri cataloghi le foto-

testimonianza.

Qual è la peculiarità della vostra linea editoriale?

Esclusivo interesse per le scienze umanistiche. Prevalente attenzione per

la letteratura creativa, Poesia, Narrativa e Pensiero di autori italiani in

lingua e in tutti i dialetti d‟Italia.

Viviamo nell’epoca delle facili pubblicazioni, in che modo un editore

può salvaguardare l’autenticità della cultura? Non certo un singolo editore ma una “politica editoriale” generale, am-

messo sia possibile tale utopia. Il singolo editore può proporre il proprio

esempio, dimostrando di poter disporre di un comitato scientifico adegua-

to ai compiti da svolgere, quindi rinunciando a quanto può procurargli

lauti guadagni ma non prestigio professionale.

La vostra casa editrice non ha eguali in tutto il Meridione in termini di

spazio (fiducia) concesso alla poesia. In che modo è possibile ricono-

scere un vero poeta e, conseguentemente, selezionarlo per la pubblica-

zione? E, ancora, cosa spinge oggigiorno un editore a pubblicare un

poeta considerato anche l’esiguo mercato della poesia? Pubblichiamo due collane di poesia, Centovele e Alisei. In Alisei opere

di poeti di chiara fama nazionale, la collana è stata diretta da Maurizio

Cucchi e dopo di lui da Mario Grasso. Vi sono state pubblicate opere di

Antonio Porta, Giancarlo Majorino, Gregorio Scalise, Daria Menicanti,

Junna Moritz e di un paio di dialettali. È in corso di stampa una silloge di

liriche in piemontese di Dario Pasero. L‟altra collana, “Centovele”

anch‟essa affidata alla direzione di Mario Grasso, pubblica autori esor-

dienti (Luigi Carotenuto, Grazia Calanna, Giuseppe Carracchia, Fabrizio

Ferreri, Valeria Spallino, ne sono esempi recentissimi) e conferme sele-

zionatissime. Ma senza superare i cinque/sei libri all‟anno, a fronte delle

duecento e passa richieste che giungono. La poesia si fa riconoscere non

occorre indagare per conoscerla. La poesia non ha mai avuto mercato.

Ma coprire le spese di una edizione non sarà un miracolo.

Quali le prossime novità editoriali? Tra febbraio e marzo manderemo in distribuzione un saggio del francesi-

sta Gaetano Vincenzo Vicari su Flaubert, un saggio di Nunziella Imbal-

zano su autori del Novecento italiano, un sorprendente libro di poesie

dell‟esordiente Enzo Mellia e uno del noto poeta nisseno Vittorio Stringi;

ci sarà un nuovo libro di Alfio Patti, il nostro affabilissimo “aedo

dell‟Etna”, l‟esordio di due giovanissimi: Erica Donzella e Luigi Taibbi.

Verrà pubblicata la silloge degli interventi sul tema del convegno “Il

verso e l’ES” curata da Emilia Musumeci e ci sarà anche una proposta

innovativa: il lancio di una collana, “Möbius” dedicata al pensiero filoso-

fico e affidata alla direzione di una studiosa di prim‟ordine, Marina Guer-

risi, che sta già curando il primo volume, in uscita a febbraio.

Nives Levan (titolare Editrice Prova d’Autore)

E’ stato un dvd della settima arte a concludermi una giornata che, fino

alle nove della sera, era destinata ad essere tra le dimenticate. Come

tante, e me ne cruccio sì e me ne cruccio no. Alle nove di un inizio not-

turno qualunque entra in casa Hiroshima mon amour, diretto da Alain

Resnais cinquant’anni fa più o meno. Soggetto e sceneggiatura di Mar-

guerite Duras. La giornata si sorride, anche se solo sulla coda del fini-

re. E batte molto, la coda. La prima immagine mostra due amanti

aggrovigliati, con pelle ricoperta da cenere atomica. La parola entra,

ed è subito palpabile la letteratura. Non i volti, ancora, ma solo imma-

gini e parole. E musica. Non amo definire niente, capolavoro. Oppure

mi capita per qualcosa che realmente mi lascia sperduta. A volte mi è

capitato di incontrare qualcuno che lo era.

E mi ha sperduta.

Quando la pellicola uscì, in molti la definirono tale: capolavoro; in

molti si spaventarono nel momento in cui rappresentò cinematografi-

camente una totale rottura con gli stili sino ad allora proposti. In mol-

te maniere, fu definita: una delle prime opere della Nouvelle Vague,

una delle prime opere ad utilizzare il sistema del flashback; un film di

protesta; un film pacifista; e tanto ancora. Ma tutte queste informazio-

ni, se volete, potrete cercarle, da soli. Non sono un’esperta. Io guardo,

così, anche senza sapere niente di niente.

Prima. Mi ritrovo in una stanza di fronte a una storia e colgo solo quel

modo bello di raccontare che raramente trovo in un film. Le parole

della Duras, i volti dei due soli protagonisti, un passato di macerie

ancora maleodoranti di guerre. Lui è un giapponese, lei una francese.

In un incontro d’amore occasionale che poteva essersi concluso lì, in

quell’unico giorno, ogni ferita riprende a produrre pus. Niente cica-

trizza ciò che ha navigato in spensieratezza stagnante di memoria,

alla quale si è imposto, Taci. Per anni.

Nessun eroe, in Hiroshima mon amour, ma persone di battaglia, che

hanno ingoiato guerra a manciate, e non si sono salvate, no, se incapa-

ci di sostenere un qualsiasi ricordo. Incapaci di ridere di nuova faccia

conservano solo la dolorosa capacità di tornare al passato con il desi-

derio, inutile, di esorcizzarlo. E saranno incubi, visioni, unghie spez-

zate su un muro, trasportati su un nuovo muro-corpo da graffiare. In

deliri d’innamoramenti che si sovrappongono a corpi che si pensava-

no servissero per dimenticare, invece no. Invece no. Tutto si spezza,

mon amour, con dialoghi che avvengono in un bar, ma arrivano da

lontano, sinceramente folli, consapevolmente folli. Non si guarisce.

Ambientato a Hiroshima, ma ambientato a Nevers, ma ambientato

nel dopoguerra dannato di due amanti. Unghie di prigionieri, ancora,

inutili per qualsiasi fuga. Ambientato a Nevers e ambientato a Hiro-

shima, ambientato in una stanza d’albergo o in una strada. Nulla

cambia, se si portano pesi mascherati da vite “normali”.

Tu non puoi sapere. Tu mi uccidi, tu mi fai del bene.

Tu mi uccidi, tu mi fai del bene. Tu non puoi sapere.

Tu mi uccidi, tu. S.D.M.

Cultura

L’antro della Pizia di Savina Dolores Massa

Hiroshima mon amour

racconta... l’editore

I Premio Cultura Alternativa

Vincono Barcellona, Consoli e Mangiavillano

“La cultura è la passione per la dolcezza e la luce, e, ciò che più conta, la passio-

ne di farle prevalere”. Le parole di Matthew Arnold tratteggiano lo spirito del

Premio Cultura Alternativa. L‟evento, promosso da un bel sodalizio di artisti,

letterati, docenti e pubblicisti, tutti siciliani, come Gino Baglieri, Mario Condo-

relli, Grazia Dormiente, Michele Giardina, Laura Rizzo, Luisa Salici (ass. Cubali-

bro) e Gaetano Vicari ai quali si aggiungono Sonia Baglieri, Renata Governali e

Marina Guerrisi che hanno stilato le analisi critiche delle opere vincenti, si prefig-

ge di valorizzare, senza sperperi di denaro pubblico, opere meritevoli, fondata-

mente significative. La cerimonia di premiazione, condotta con eleganza dal can-

tautore Francesco Foti, affiancato, per le interviste agli autori, dall‟acuta Daniela

Saitta, è stata accolta con successo dalla sala consiliare di Riposto (Ct). Per la

sezione “Pensiero” ha vinto Pietro Barcellona con il testo “L‟oracolo di Delfi e

l‟isola delle capre”, (Marietti). “Il filosofo siciliano - recita la motivazione redatta

dalla Guerrisi -, accompagna le questioni fondamentali dell‟uomo contemporaneo

sul filo dell‟esperienza vissuta durante un seminario terapeutico immerso

nell‟isola greca di Spetses. L‟esperienza di gruppo vissuta in prima persona solle-

va la riflessione teorica dal piano dell‟analisi referenziale a quello della ricondu-

zione mitico-poetica. Alternando narrazione e “lezione”, Barcellona suggerisce

una filosofia d‟avanguardia che, dopo i massimi sistemi e la saggistica da corolla-

rio, ottiene le sue conclusioni dai “luoghi” del corpo”. Per la “Saggistica” ha vin-

to Dario Consoli con “Peccato della ragione. Le origini intellettuali del fasci-

smo”, (Prova d‟Autore). La Governali, ha scelto quattro parole per risaltare il

valore di questo saggio. “La prima è amore per la ricerca del giovane professore

che ha il merito di aver intercettato il saggio di Borgese, ancora inedito in Italia, e

averlo tradotto in un momento di considerevole interesse per gli studi sugli intel-

lettuali italiani in esilio per sfuggire al fascismo. La seconda è giustizia che nasce

dal portare in luce la verità. Impegno, sociale e civile, altra parola, poiché riper-

correre le strade della nostra storia, soprattutto quelle che hanno condotto il mon-

do ai disastri della guerra e dell‟olocausto, è un‟operazione indispensabile in que-

sti tempi bui nei quali si è smarrito il senso di solidarietà, della convivenza civile

e della pace tra i popoli. E infine, memoria e appartenenza come dono da offrire

alla ricchezza delle conoscenze, alla varietà delle

culture, a quella unità del mondo che Borgese va-

gheggiava”. Per la “Narrativa” si è distinto Sergio

Mangiavillano con il romanzo “L‟impostura dellA-

bate Staropoli”, (Prova d'Autore). “Molti - osserva

la Baglieri - i temi affrontati e gli spunti di rifles-

sione: sulla storia del popolo siciliano, dominato e

angariato da arroganti potenze straniere; sul valore

dell‟Arte come simbolo autentico di Libertà; sul

senso tutto umano dello “scendere a compromessi” con la propria fede per una

causa tanto nobile da non lasciare dubbio alcuno sulla via da intraprendere”.

Mangiavillano, Barcellona e Consoli

l’Autore racconta

Peccato della ragione di Borgese Le origini intellettuali del fascismo

di Dario Consoli

Presentare il mio libro di e su Borgese non è facile: ché, superata

la prima lusinga, scrivere di sé non è agevole. Ricordo un tardo

articolo di Pirandello, “Non parlo di me”, in cui lo scrittore espo-

neva le ragioni di una allenata e robusta ritrosia. Fino al punto, si

sussurra, d‟aver talmente corrisposto a

quel titolo da non aggiunger altro e, su-

bappaltato lo scritto al figlio Stefano,

d‟averlo soltanto firmato. Però qui è

diverso perché un Premio stimola una

risposta che, nel mio caso, è doppiamen-

te grata. Il Cultura Alternativa 2011 ha

premiato un‟opera da me curata, costata

anni di studi e sacrifici, donandomi una

cospicua soddisfazione, per la qualità

dell‟iniziativa e delle opere premiate e

per il fatto che si sia voluto premiare

un saggista non accademico, un indi-

pendente; ma ha soprattutto sottolinea-

to – e non è caso unico, in questi anni – l‟urgenza di

riprendere l‟opera del più autorevole critico militante del primo

Novecento, quel Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) vergo-

gnosamente cancellato dal panorama culturale italiano, o meglio

rimasto sfigurato, come certe statue della Villa Borghese. Il saggio

che ho avuto ventura di scoprire e di „invenire‟, in seguito a un

piccolo giallo epistolare che ricostruisco a chiusura della mia in-

troduzione, ha titolo “The Intellectual Origins of Fascism” (1934),

e comparve nientemeno che sul primo numero di “Social Rese-

arch”. Non è che l‟incunabolo del poderoso “Goliath” (1937), il

libro fondamentale per capire Borgese – scriveva il di lui appas-

sionato Leonardo Sciascia – e soprattutto il libro che screditò ve-

ramente Mussolini in tutto il mondo anglosassone. Un‟apollinea

definizione del fascismo, quella di Borgese: del fascismo inteso

quale fattore costitutivo della storia contemporanea; il suo mo-

mento irrazionale e antiplatonico che, nelle parole da me tradotte,

si fa nemico “di ogni meta fissata o di ogni scopo permanente,

nella convinzione che il cambiamento è la sostanza, la passione è

la virtù, la forza è il diritto; ovvero, per coloro che amano le defi-

nizioni brevi, il fascismo consiste nella sostituzione dell‟idea di

giustizia con l‟idea di potere.”

Cultura 8 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

Simona Lo Iacono: “Un romanzo sull’incapacità di amare”

Quattro storie, quattro destini che inevitabil-

mente si incontrano (e scontrano). Quattro por-

tavoce delle debolezze degli uomini di oggi.

Anna, moglie tradita e insoddisfatta, anima

pura, ingenua, segnata dalla durezza della vita .

Carlo, marito di Anna, affascinante principe del

foro romano e amante di Elisa. Elisa, giovane e

rampante avvocatessa, femme fatale della situa-

zione (almeno, inizialmente, sembra sia così),

ma che si trova perdutamente innamorata di

Carlo, cercando di “elemosinare amore”, come cantava Mia Martini nel

1973 in “Minuetto”. Infine Giovanni, cugino di Anna a lei legato da un parti-

colare tipo di rapporto, un tipico amore “platonico”(come si scoprirà in se-

guito). Sono loro i protagonisti di Stasera Anna dorme presto di Simona Lo

Iacono (Cavallo di ferro editore), terzo romanzo del magistrato siracusano,

impegnata da qualche anno con grande successo nello scrivere (con il suo

primo romanzo, Tu non dici parole, ha vinto il Premio Vittorini 2009, sezio-

ne opera prima). Punto in comune dei quattro personaggi è l‟incapacità di

comunicare, di capire veramente l'altro, di mostrarsi semplicemente per ciò

che si è. Con coraggio, audacia e, magari, osando anche un po‟. Invece nien-

te. Per i loro limiti caratteriali e per la troppa paura, Anna, Elisa, Carlo e

Giovanni non riescono a esprimersi. Di conseguenza, la loro sarà una storia

di aspettative, di silenzi, di “vediamo se l'altro capisce attraverso uno sguar-

do cosa vorrei”. Solo al termine del romanzo si potrà arrivare al bandolo

della matassa, alla verità (concetto profondo, sì, e sicuramente complesso).

“E allora sarà come assistere a un processo in cui ogni ruolo è ribaltabile

nell'altro e tutti i punti di vista appaiono legittimi, perché si sa che nella vita

ognuno di noi è insieme vittima e carnefice”. L‟autrice, in tutto questo, è un

narratore super partes, la quale, con estrema sensibilità, non giudica, ma

condivide le gioie e le delusioni delle sue “creature”. Quasi una mamma, che

con dolcezza, lascia sfogare tutta la frustrazione e la rabbia dei figli. Molto

pirandellianamente, ognuno ha la sua verità. In effetti, Pirandello sembra

influenzare molto la scrittura di Simona Lo Iacono. I suoi protagonisti indos-

sano continuamente delle maschere, dei vestiti di una taglia sbagliata, che

risulteranno, inevitabilmente, troppo stretti. Ma come nasce questo roman-

zo? “Alla fine di Tu non dici parole, ancora prima della sua pubblicazione -

confida l‟autrice - è nato il personaggio di Anna. Ho ascoltato quella “voce”

dentro di me e, dandole la dovuta attenzione, mi ha spinto a dare vita a que-

sta quarantenne siciliana, trapiantata a Roma per seguire il marito. In realtà

credo sarebbe stato troppo autoreferenziale se fosse stata la sola protagoni-

sta. Così sono nati, man mano, Elisa, Carlo e Giovanni. È un romanzo non

sull‟amore, ma sull‟incapacità di amare. C‟è una grande difficoltà di venir

fuori dal proprio io, d‟imporre le proprie idee e sogni. Un grande tema tratta-

to in Stasera Anna dorme presto - continua la scrittrice, che letteralmente

travolge con la sua energia e passione - è il tradimento. Tradimento in primis

verso sé stessi. Ognuno, nell‟altro, è alla ricerca di un significato. È un conti-

nuo e forsennato rincorrersi alla ricerca di un quid, che in realtà è semplice-

mente dentro se stessi”.

di Alessandra Leone

Notizie Letterarie 9 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

Belli da leggere di Grazia Calanna

Da Moby Dick all’Orsa Bianca di Anna Maria Ortese

Adelphi

Scritti suadenti, distinti da raffinatezza, levità, trasporto, dolcezza, umorismo,

esplorazione, amore, come quello per la lettura, che si rivela “fra le passioni

più belle della vita, spazio del diletto e del riposo dell‟anima e insieme della

costruzione del senso del suo essere nel mondo e del suo starvi da scrittrice”,

abbracciano, dal 1939 al 1994, un lungo periodo di intensa attività giornalistica. Parliamo del

libro, curato Monica Farnetti, “Da Moby Dick all‟Orsa Bianca” di Anna Maria Ortese, edito da

Adelphi, che si schiude con una deliziosa narrazione inerente il “Pellegrinaggio alla tomba di

Leopardi”, il giovane favoloso, colui che “ebbe e ci diede il senso dello spazio, del tempo, e, con

esso, lo sgomento della nostra piccolezza, l‟affannato interrogare, il ripiegarsi muto”. Straordi-

nari i capitoli intitolati: a Čechov, leggere una sua pagina, riflette l‟autrice romana, “è come

mettere l‟occhio su un vetro nitidissimo e guardare sotto scorrere la vita”; alla ragazzina di Am-

sterdam, Anna Frank, all‟innata “esigenza di verità”, alla capacità di “resistenza al male” - do-

vunque esso sia - e al suo “diario esemplare”, custode di “un mondo che dura due anni, ma è

eterno, perché è di tutti i tempi e di tutti i luoghi”; a Eduardo De Filippo, “inimitabile, incante-

vole evocatore di tutto un mondo e un costume in apparenza piacevole, in realtà cupo e dispera-

to, un mondo e un costume che si dibattono ai margini della vita moderna, della ragione umana,

costruttiva, senza comprenderla né esserne compresi”; a Dino Buzzati, a “quella sua facoltà più

che umana, misteriosa e tranquilla, di avvertire, nella solitudine, la solitudine degli altri; di car-

pire, solo in apparenza immobile, la paura e il dolore del mondo”. Ancora, singolari gli spunti

offerti dalle letture del “Ritrattino del Dandy” nel quale si ricorda Baudelaire, colui che “ha

lasciato una immagine del dandy superiore a quella suggerita da qualsiasi altro scrittore”, e di

“Cristo e il tempo” dove è rammentato che “siamo appena l‟altra parte dell‟Universo, dov‟è

posto il sigillo, siamo il primo Enigma, che aspetta in eterno - senza porre vere domande - una

risposta già venuta da duemila anni, e che il silenzio, e l‟atrocità del silenzio, vanno ora mutan-

do in giudizio”. Nel contempo esilarante, caustico e meditativo “Il piacere di scrivere” che,

schiettamente, premessa l‟italianissima (pretesa) vocazione, bacchetta “ogni abitante-scrittore”

che se ne sta sul proprio “manoscritto come il bambino, a tavola, col mento nella scodella, sog-

guardando la scodella, cioè il manoscritto, dell‟altro: e se quello è più colmo, sono occhiate,

lacrime…”. Un modo per dire che dovremmo cessare di stendere soliloqui per piacere a noi

stessi o, peggio, agli altri. Un‟esortazione a rispolverare il valore autentico della letteratura, “un

richiamo, un grido che turbi, una parola che rompa la nebbia in cui dormono le coscienze”.

Fragmenta di Giorgia Zuccaro

Giuseppe Maimone Editore

“Fragmenta” di Giorgia Zuccaro, è una silloge (Giuseppe Maimone Editore)

che raccoglie, in linea cronologica, versi fioriti dagli anni della pre-

adolescenza ai nostri giorni. È la storia, meglio, “il romanzo di formazione di

una vita che ricerca il senso prima dentro alle parole dei cari maestri e poi

dentro il Sé”. “La genesi spontanea di queste poesie - afferma il prefatore,

prof. Paolo Bellia - costituisce una cattura di contenuti elevati trasposti ver-

so il basso e l‟ermeneutica corretta dovrebbe tendere alla ricostruzione degli altri significati

ispiratori in un moto di risalita piuttosto che seguire un percorso discendente verso i meandri

dell‟inconscio e del livello terreno-materialistico”. L‟autrice che ha “bruciato incensi d‟amore

all‟equa ragione e alla (propria) razionalità”, “rinasce da se stessa ogni giorno” porgendo un

dettato lirico costantemente pulsante, diversificato da percettibili peculiarità. Scioltezza, “calava

il giorno sulla nicchia di prato ove giacevo trasparente ai tuoi occhi”. Ermetismo, “il tutto non si

scorge in quel limbo, nel tuo altare, tutto appare, tutto dispare e nulla che dia senso a questo faro

intermittente”. Levità, “carpiva il suo silenzio celato in armonie dell‟universo dormendo ingi-

nocchiata accanto a lui, cuore a cuore”. Osservazione, “nobili si stagliano i versi della tua quoti-

dianità come agili levrieri in cerca di verità”. Spiritualità, “da un canto ti leggo e da un canto ti

spero, assomigliarti agogno se non nella gloria perlomeno nell‟anima”. Raccoglimento, “è forse

più gratificante temere che godere la luce?”. Un inno colto e lucente all‟indivisibilità dell‟essere,

all‟infinitezza che “nasce con la fine e finisce con l‟inizio”. Un invito, per dirlo pensando alla

sapienza di Lucio Piccolo, vate celebrato dalla Zuccaro assieme a Montale (“ora tuo malgrado

vivi, computo il balzo che una volta temevi, ma non hai lasciato il bandolo della sicurezza”),

Ungaretti (“ora lo sai che è nel tappeto in cui i colori si fondono che la solitudine si stempera in

una dolce armonia di suoni”), Saba (“rimpiangi di tornare su quel, ormai famoso, nuvolo dora-

to”), Dante (“gli ignavi li sputa anche l‟Inferno”) e Mario Luzi (“nulla di ciò che accade è senza

volto e nulla di ciò che percepisci puro è inganno), a rifugiarci nell‟oscurità di noi stessi per

ritrovare quanto di prezioso abbiamo smarrito. E riflettere, pertanto, sull‟impellente necessità di

prendere (“Avere”) coscienza del mondo. In che modo? Verosimilmente, ascoltando con “cuore

sincero” - senza riserve - per diventare eterni “testimoni d‟Amore” anche quando, sotto oniriche

tolde, “la notte disarma dolcemente la vita”.

Scusate la polvere di Elvira Seminara

(nottetempo)

La polvere: ciò che rende

opaco ed a volte sudicio

quello che originariamente

è destinato ad essere chiaro

e splendente. Le scorie che

la vita inevitabilmente

sparge sulla nostra anima

in una necessaria metamor-

fosi per non soccombere. Il

rinunciare sempre più al

nostro vero "io" in un con-

tinuo vorace adeguamento ad una realtà che

non ci rappresenta e che non accettiamo. Que-

sto è, in sintesi, ciò che vuole trasmetterci

Elvira Seminara nel suo ultimo romanzo

"Scusate la polvere" (nottetempo). Il tutto

fatto in modo divertente, scorrevole. Tra le

righe si scorge la profondità di un pensiero

che denota una profonda conoscenza di

Freud, del realismo magico e delle culture

orientali che ci trasportano in un mondo dove

la realtà è soltanto un accessorio non indi-

spensabile. Emblematico di ciò sono i nomi

della protagonista e delle sue amiche: Co-

scienza, Mia ed Alice le quali rappresentano

diverse dimensioni in cui l'essere si sposta

continuamente nel suo procedere, la casualità

diventa predestinazione, la realtà fantastica e

la certezza paradosso. Tutto ciò sapientemen-

te ammannito con scorrevolezza e maestria.

Genny Mangiameli

A Mente Libera di Max S.P.

(Lulu.com)

“A Mente Libera” di Max

S.P. è il grazioso volumet-

to dalla copertina plastifi-

cata, nonché azzurra, di

un cittadino onesto e co-

scienzioso, che vive le

contraddizioni della pro-

pria epoca non fermandosi

alla superficie delle cose,

ma approfondendo attra-

verso un‟analisi critica e

lucida il lato oscuro di un sistema giunto al

collasso. Quantunque privo di velleità stilisti-

che e letterarie - il lettore intelligente non farà

caso a qualche imprecisione ortografica - ma

forte di una scrittura piacevole e diretta, Max

S.P. non esita a denunziare i mali del nostro

tempo: dal precariato al sogno della casa di

proprietà, dalla chimera di una crescita pro-

fessionale alla responsabilità di diventare

padre e poter garantire un futuro ai propri

figli. Ed è proprio l‟impossibilità di intravede-

re un futuro che suggerisce a Max S.P. la

stesura di quello che può definirsi un lucido

appello alla coscienza collettiva, sempre più

narcotizzata e incapace del minimo segnale di

risveglio. Una lettura consigliata a patto che

non si fraintenda l‟intenzione dell‟autore,

appunto un ponte tra le idee.

Vladimir Di Prima

librolibri E nemmeno un rimpianto. Il segreto di Chet Baker di Roberto Cotroneo (Mondadori)

Silenzio e salvezza. Il silenzio della musica che permette di

abitare lo spazio dell‟universo di un accordo. La salvezza

nella comprensione di ogni singola nota e in un‟esistenza

altrove. La musica tutta in testa, quella suonata e quella mai

eseguita. Salvezza dalle droghe e dagli stereotipi. Roberto

Cotroneo racconta “gli anni segreti” della saggezza sufi di

Chet Baker, il trombettista jazz tragicamente scomparso ad

Amsterdam nel 1988. Morto come il mondo si aspettava, da “maledetto” be-

bop. La finta fine della vita come da prevedibile partitura, per rinascere savio

in un paesino del Salento. Luce da est e mare senza echi, “strade dritte e ulivi

contorti”, per “recuperare le parti dell‟anima” dimenticate e cancellare i

“luoghi comuni” con una “specie di blu”. Indefinitezza di gradazione come la

musica di Chet Baker, imprendibile, come My funny Valentine del 1952, balla-

ta che accompagna il viaggio dell‟autore nel musicista e in se stesso. Ballata

tenuta su dalla tromba di Chet, “una solitudine di note” che divaricano la notte

nell‟errore di un accordo minore ed evocano “spazi silenziosi”, “spazi che

esistevano da prima” che il jazz lascia di luce inalterata.

Due storie sporche di Alan Bennett (Adelphi)

Due storie dove la protagonista è la bugia. A dispetto del

titolo che lascia presagire pruriginose narrazioni. Il sesso

c‟entra, ma come escamotage per raccontare in maniera

accattivante quanto si può essere lontani da sé. Il caso di Mrs

Donaldson, vedova cinquantenne che, per necessità econo-

miche, si ritrova a lavorare come “paziente simulata” in una

clinica universitaria inglese. Un lavoro che rappresenta la

perfetta “fuga da se stessi”. Una messa in scena di sintomi da

interpretare nel lieto “fingere non proattivo” che è stata la sua vita. Lo scopre

attraverso i suoi “pigionanti”che, come li chiama la spietata figlia Gwen, le

offrono una “cosa sostitutiva” all‟affitto. Non meno mentitori Mrs Forbes e

famiglia. Il figlio Graham, classico bello che sa di esserlo, sposa Betty Greene,

non bella ma furba e intelligente. Duro colpo per Muriel Forbes e per il suo

snobismo che nasconde segreti non confessabili all‟apparenza. Uno snobismo

vacuo, puntellato di dissimulazioni con un loro peso specifico. Alan Bennett,

scrittore e sketchista inglese, smaschera con vaporosa ed “osservante” ironia le

inibizioni, i cliché e l‟incastonatura nei ruoli obbligati dalle convenzioni.

Biblioteca Birichina Notizie Letterarie 10 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

La Recensione

I piaceri della conversazione di Giuseppe Giglio (Sciascia Editore)

Definire I piaceri della conversazione di Giuseppe

Giglio (Sciascia Editore) un libro di critica lette-

raria, con tutto il rispetto per la critica letteraria,

mi sembra alquanto riduttivo. Riduttivo è sem-

pre e comunque incasellare un testo in un genere, in una tipologia,

ciò vale in particolar modo per questo libro, che non si lascia eti-

chettare per l'intreccio dei registri di scrittura utilizzati, dalla nar-

razione, alla riflessione introspettiva, dalla citazione dialogica,

interferente, alla digressione colta, dalla divagazione conviviale,

alla meditazione severa nella tradizione dei grandi moralisti, dagli

classici, ai moderni. Un discorso aperto, a prospettive di lettura in

movimento, che da un itinerario tematico di partenza - la conver-

sazione e i suoi piaceri - divaga verso percorsi eccentrici, per poi

riconfluire nel tema centrale con nuovi apporti. La conversazione

diventa così un cammino di conoscenza e di formazione dove con-

vergono e convivono pensieri, emozioni, affetti, parole ricevuti in

dono dai libri, e ai libri restituiti, accresciuti dei vissuti soggettivi

di chi legge in uno scambio di gioiosa complice reciprocità. In que-

sto delizioso libretto il piacere della lettura si mescola con la gioia

di scrivere, e i due piaceri si rincorrono come in un gioco al rialzo.

“Come se la realtà venisse rimescolata occultamente e di colpo

gettata sulla pagina con l'emozione dell'azzardo” (Sciascia in Nero

su nero). La posta in gioco in questo caso è la letteratura, nel suo

affluire e defluire dalla vita. Un'idea di letteratura stendhaliana,

come “rigorosa avventura morale, sempre aperta a nuove declina-

zioni della vita, dell'uomo e del mondo”. La letteratura non come

finzione o invenzione, e neppure visione di un reale da reiventare,

da trasfigurare perché possa avere diritto d'asilo nel mondo dello

spirito e delle idee. La letteratura essa stessa vita, non di essa imi-

tazione e copia. Vita non fittizia, autentica, che trae alimento da

soggettivi, personali vissuti di dolore e di gioia, di solitudine e di

pienezza, ma anche da corali, universali vicende. Di tutti gli uomini

di tutti i tempi, di tutte le latitudini. Di quelle “tracce di vita” che

ogni scrittore alla maniera di Stendhal lascia tra le pagine scritte,

va in cerca Giuseppe Giglio nel suo libro, per ricomporre il

“sistema solare” della letteratura, per riannodare i fili di quella

“sintassi” (Borgese) del destino umano che è l'opera letteraria.

di Anna Baccelliere

Il mio nipotino Luigi, qualche sera

fa, mentre giocavamo a tombola mi

ha chiesto a bruciapelo. “Ma insom-

ma, zia, mi spieghi bene che cos‟è la

Shoah? La maestra ha detto che in

questo mese ne parleremo ed io non

voglio essere impreparato quando lei

tratterà l‟argomento. Voglio stupirla.

Dai, zia, racconta…”. Son rimasta un

attimo senza parole perché non è

facile parlare ai bambini di temi

difficili, ma ignorare la cattiveria,

dare l‟illusione ai più piccoli che il

mondo sia tutto rosa e oro è sbagliato. Sono convinta che i ragazzini

debbano sapere che orchi, streghe e magie terribili non esistono solo

nel mondo delle fiabe e che, purtroppo, realtà e fantasia spesso hanno

la stessa faccia. A quel punto sono andata sullo scaf-

fale dove ripongo albi per i bambini più piccoli e ne

ho scelti tre. “E‟ sempre difficile, Luigi - ho detto al

mio nipotino prendendolo sulle ginocchia - parlare

della Shoah, ma voglio provare a farlo con l‟aiuto di

questi libri che mi sembrano gli strumenti giusti per

spiegarti l‟argomento”. E così ho cominciato a leg-

gergli Il bambino stella di Hausfater Douïeb Rachel e

Latyk Olivier (casa editrice Pisani) delizioso

racconto-metafora sulla vita di un piccolo ebreo e

dei “cacciatori di stelle” dai grandi stivali neri,

sottolineato dai colori forti e decisi dei bellissimi

disegni. Subito dopo ho letto L’albero di Anne

(casa editrice Orecchio Acerbo), di Cohen-Janca

Irène, illustrato splendidamente con pennellate

morbide ed eleganti da Maurizio Quarello. Nel

libro si narra la delicata e commovente storia di un

vecchio ippocastano testimone della prigionia di

Anna Frank. I colori forti e decisi dei disegni di Emanuela Orciari, che

ha illustrato La portinaia Apollonia di Lia Levi (casa editrice Orec-

chio Acerbo), hanno attirato ben presto la curiosità di Luigi che ha

cominciato a leggere da solo e ad alta voce la storia di un ragazzino

ebreo in una città occupata dai soldati tedeschi. Daniel, il protagonista

della vicenda, teme molto l'arcigna portinaia Apollo- nia che

ritiene una strega, finché un giorno scopre che anche

una persona che incute timore come lei, nonostante

tutte le apparenze, può salvare un bambino. Dopo

aver letto e commentato le tre storie insieme a Lui-

gi, lui mi è parso soddisfatto e, con il volto serio, mi

ha chiesto: “Zia, mi presti questi libri? Voglio por-

tarli alla maestra così anche per lei sarà facile spie-

gare la Shoah”.

Illustrazione di Giordana Galli

di M. Gabriella Puglisi

di Anna Vasta

11 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

Parola d’Autore Qui si scrive controvento

di Franco Arminio

Sono nato in un paese ostile. L'ostilità

del clima. L'ostilità delle persone e la

loro sfiducia verso tutto e tutti. Mio

padre non mi stimava particolar-

mente. Mia madre pensava che

fossi debole di salute. Non ho avuto buoni insegnanti. Dalle suore

dell'asilo ai professori delle magistrali, tutto un corteo di figure

irritanti o scoraggianti. Nel mio paese c'è anche un curioso senso

dell'amicizia. Gli amici sembrano avere la missione di ostacolar-

ci. Veramente non sono stato incoraggiato da niente e da nessuno.

Qui si scrive controvento. Sono rimasto qui perché a un certo

punto la scrittura è diventata il passo della mia vita e qui la vita

fatta apposta per adire alle vie della scrittura. A un certo punto

con la paesologia è come se avessi mescolato le carte. Poesia e pro-

sa, la mia malattia e quella del paesaggio. Le crepe dell'ansia e

La scrittura è

un’influenza

di Eva Clesis

Da anni la scrittura influenza la mia vita, nel senso

più morboso del termine. Perché la scrittura non è un hobby, nossignori, è un

malanno molto più grave di un raffreddore. La scrittura è un’influenza, che ti

fa venire la febbre alta con l’ispirazione, ti tramortisce e non ti fa dormire, ti fa

tremare e tramare mentre sei sul tram, spara spore e battute che abbattono la

tua vita sociale, ti confonde e così chiami Jane il tuo capo, Dolores il tuo gatto,

Martin tua madre, Octavia tuo fratello. La scrittura ti butta giù, gli scrittori

hanno tutti un’aria tormentata: logico, perché sono malati. La scrittura non si

impara, ti contamina: gli altri autori ti influenzano, i libri sono fiati, scrittori

non si nasce né si diventa, scrittori si prende. Lo scrittore è un malato immagi-

nario di scrittura: e anche quando gli sembra che le cose vadano bene una

nuova febbre lo porta a spossarsi dietro gli aggettivi, gli avverbi, la consecutio

temporum. Lo scrittore ideale è affetto dai suoi fogli, mutato dalle sue storie,

una colonia di batteri germinanti. Non mi vedete pallida, prostrata, sempre sul

punto di scrivere qualcosa? Ebbene, sono influenzata. Mi alzo ogni mattina

alle sei, lavoro otto ore sui libri (degli altri), spunto virgole, riparo accenti,

catalogo titoli e nei pochi momenti di pausa che faccio? Scrivo le cose mie. E

se non scrivessi? Ci ho provato, ma la scrittura non è stagionale, è per-

manente. E così scrivo nelle pause e nel tempo libero, e

quando non scrivo leggo. Scrivo e riscrivo romanzi,

l’ultimo si intitola “E intanto Vasco Rossi non sbaglia

un disco”, si legge d’un fiato e vorrei quasi dire che

avendolo pubblicato non ci penso più invece no, anche le

pagine passate sono un segno di contaminazione, super-

bacilli di cui conservo le cicatrici. So che fa schifo ma è

così, e non c’è soluzione, perché se c’è un vaccino non

datelo allo scrittore: pur se malato rifiuterà una cura, si

infetterà con nuovi libri, nella paura che senza influenza

non si sanerà ma si sentirà morto. Ora devo andare, do-

mani ho da scrivere ma prima di coricarmi devo controlla-

re dieci dialoghi, quattro descrizioni, mezzo raccontino,

sette recensioni. Lo so. Sono un caso patologico.

Scrivere per

guardare al mondo

di Giorgio Fontana

Ho trent'anni (trentuno ad

aprile). Lavoro come capo-

redattore per un magazine online. Quando torno a casa,

scrivo le mie cose: scrivo praticamente ogni giorno,

anche se difficilmente con gli stessi risultati. Mi piace

lavorare su due-tre progetti diversi insieme, così come

mi piace pensare a più storie, dare loro una chance, e

poi capire quale sarà quella cui non potrò fare a meno

di pensare - quella che mi terrà sveglio di notte. Ho

iniziato a scrivere seriamente attorno ai 18 anni, ma i

miei primi lavori erano pessimi. Ho buttato via quattro

romanzi prima di pubblicare il primo. Mi piace metterla

così - scrivere per me è una condizione, il mio modo

principale (anche se non l'unico) di guardare al mondo.

Ed è una condizione che si porta dietro requisiti severi,

ma indispensabili: onestà intellettuale, dirittura, traspa-

renza verso il lettore. Cerco sempre di onorarli. Cerco

sempre di fare in modo che le mie parole non siano

buttate lì o non dipendano da

impulsi dell'ego. Non è facile;

ma non c'è scelta. Il mio ultimo

lavoro, Per legge superiore,

parla di un anziano magistrato

milanese messo di fronte a una

scelta molto complessa. È stato

definito un romanzo civile, ma

secondo me il suo fulcro è

molto più intimo, esistenziale.

In un certo senso, credo sia un

romanzo di formazione.

quelle del terremoto. Il racconto dei paesi prevede sempre il raccon-

to dell'umore di chi li visita. Arminio un po' sono io, un po' è il per-

sonaggio principale della mia letteratura. Il corpo è il cuore di tutto.

Il mio corpo, il corpo del paesaggio. Non c'è figura e sfondo, tutto è

in primo piano, tutto è visto alla luce della sua fine. La mia lettera-

tura lavora sull'emergenza, sull'impazienza. Il pensiero della morte

apre fenditure improvvise nella mia prosa, non mi consente trame

romanzesche. Il giro è lirico o aforistico, prendere la vita che scema

nel laccio di una frase, nell'incertezza che ce ne

possa essere un'altra. La cosa singolare è che que-

sta scrittura maturata su un orlo intimo e periferico

è diventata un pensiero intorno a cui si sta racco-

gliendo una comunità. Ci sono molte persone che

seguono il mio lavoro non come semplici lettori, ma

è gente che partecipa alle cose che organizzo sul

territorio, alle mie battaglie civili o al turismo della

clemenza. Alla fine anche l'amaro Arminio non può

non riconoscere che la sua fedeltà alla vita non

vissuta lo ha portato non solo a una prosa che molti

considerano perfetta, ma a un imprevedibile ruolo di leader di un

nuovo umanesimo, l'umanesimo delle montagne.

Notizie Letterarie

Sellerio editore Newton Compton

Mondadori

PoeSia

I fiori del male di Charles Baudelaire

Marsilio

ll pregevolissimo volume Marsilio, curato

egregiamente da Luca Pietromarchi

(esaustivo, appassionato e acuto sguardo

critico), è un'occasione per annusare tutti gli

odori sparsi nell'aria da I fiori del male,

floridissimi ancora oggi, in una introvabile

traduzione del poeta Giorgio Caproni (di cui

ricorre quest'anno il centenario dalla nascita), geniale e sensibi-

le traduttore di Charles Baudelaire. Dalla copertina spiccano

severi gli occhi del poeta francese, l'altrove pare abbia trovato

domicilio nelle sue pupille insieme alle cateratte del vizio.

Rovistando le tenebre egli ha tratto alla luce un'umanità rinno-

vata, salvata da mano di artista compassionevole. Baudelaire ha

giocato fino in fondo e sul serio la partita di uomo e intellettua-

le, allargando visioni cognitive e profondendosi in immagini

estremamente vivide, toccanti, incastrate in forme di sonetto o

di rima alternata, slanciandosi dalla tradizione fino “Au fond de

l'Inconnu pour trouver du nouveau!”. Da visivo a visionario, la

scrittura, eccelsa anche trasfusa sui poemi in prosa, gli aforismi

o i commenti d'arte, mette a tu per tu il lettore, ipocrita o no che

sia, così affondata com'è sulle bassezze umane, dunque attuale.

Armandosi di sarcasmi e ironie per difendere il suo nudo cuore

lacerato in una Parigi troppo indaffarata, indifferente al poeta

albatros, manifesta aristocratico disprezzo dandy per la società

borghese, e annota, profetico, nei Journaux intimes (trad. Mar-

co Vignolo Gargini): “[…] periremo per ciò che noi abbiamo

creduto di vivere. La meccanica ci avrà talmente americanizza-

to, il progresso avrà così bene atrofizzato in noi tutta la parte

spirituale, che nulla tra le fantasticherie sanguinarie, sacrileghe,

o antinaturali degli utopisti potrà essere comparato ai suoi

risultati”.

Rimirando 12 l’EstroVerso Gennaio - Febbraio

Nulla dies sine linea di Dario Matteo Gargano

Keep it simple: l‟unico - Graal - noema didascalico di sonorità anglica che

può complicarti la vita sul serio. Rendere il tutto più semplice per iniziare a

scorgere il complesso. Ne ho dette così tante che sento di nuovo il magneti-

smo alla scadenza al banale. Questo banale che tutti si illudono di poter fug-

gire in cerca di una Atlantide eidetica deistica dove finalmente si sentiranno

“irrealizzati”: il cretino orbato! La fuga dalla realtà da una presa monoango-

lare - sempre più temulente - da blefarospasmi per via di quel tuffo al subter-

racqueo dal quale si rinsavisce con un senso di amnesia anterograda: e ora?

Chi sono? Inizia qui il tuo nuovo intreccio. Si tratta di scegliere, di arbitrare.

Una contingenza con te stesso (un sé necessariamente mobile, non “stesso”,

bada, per l‟amor d‟Iddio!) necessaria per avvezzarti al nuovo contagio: inizi

a smorfiare di più, t‟èlevi, sei meno gaglioffo quando parli, è cambiata la tua

voce, chiunque ti reclama nel suo filtro immaginativo come un “illuminato

salvifico, sei un nuovo frutto ch‟al sapore contamina una trasgressione immi-

nente piacevole all‟altro, ch‟all‟esser morso contamina il sistema trofico

della demiurgia dell‟altro, e finalmente sei Teresa D‟Avila transverberata.

Sei quella puttana che non si vede più Sancho Panza allo specchio ogni mat-

tina”. Devo spiegartelo meglio? Sei Sancho Panza che sa d‟esserlo.

L‟elevazione dall‟alto al basso: un percorso dei confini sconosciuti del tuo

“da-sein” dove, in una balena col cazzo (=leggi: baléno), ti trovi lassù,

nell‟uranos, il cielo flaubertiano che si specchia tutto nel mare con tutte le

sue stelle... Senti la passione, il pathos che scende stillante verso terra con

pieno moto aristocratico incoercibile, premi in fuori le tue labbra orgoglioso,

sei canterino come un sornione uccello solerte che ha depredato le sirene

incantatrici del loro bottino sortilego polifonico: sei alto. E così voli, non sei

più tu. Già non sono io. Sarei stato, sarò stato. Sto muovendo. Starò muoven-

do. Il guaio è che Dario Matteo Gargano è aisthema puro stocastico, impre-

vedibile, che sfida le leggi di Xenakis e i teoremi sull‟esistenza di Dio di

Gödel. E senti qua: l‟artista ha il dovere di essere modesto, e il diritto di esse-

re snob. Considerare “l‟uomo l‟altro” senza nobiltà significa farsi pompa

continua, è un barocchismo progettuale sofisticatissimo, è un farsi opera

d‟arte in pragma, in aisthema: è “esserci”. Vodafone dice: life is now. Io

dico: Are you there, for real? E così subito scatta nella visione di quest‟opera

d‟arte che mi sono la reazione dell‟inaccettabile per l‟altro. L‟altro vuole

soltanto mortorio, obitorio creso, sembra non poter accettare minimamente

“una iattanza pennellante”, un dalí che incede nel centro della piazza, uno

spettacolo per gli occhi. Avresti la stessa reazioni di fronte ad una transver-

berazione berniniana? Lo snobismo è inaccettabile: e io amo l‟inaccettabilità

della vita guidata da solo poche alte coscienze, i grandi capi che s‟elevano

dopo un percorso durissimo fino a diventare una stella già morta guardata

immortale dalla sua distanza in anni luce da quest‟altro. Questo imbecillismo

paraintellettuale che rifugge l‟ovvio il quale è “ciò che mi sta davanti” (=ob-

video) manca di questa particolarità d‟osservare l‟ovvio con souplesse. Ma

cos‟è veramente ovvio? Iniziamo da qui: essere modesti. È davvero ovvio. È

ovvio un prossimo film da oscar, è ovvio una prossima coppietta mano nella

mano che risponde al respiro di specie schopenhaueriano. Cosa non è ovvio?

Essere veramente nuovi. Ok, come? Ho fretta rispondo in un prossimo pigo-

lio siderale. Valedizione!

Pellicole riverberanti di Angelo Umana

Una separazione L‟inquadratura che sembra racchiudere tutto il senso de-

gli avvenimenti familiari raccontati nel film è quella finale: mentre già scor-

rono i titoli di coda la camera “osserva” i due genitori separandi, seduti l‟una

quasi di fronte all‟altro nell‟anticamera del giudice tutelare a cui, sola, la

figlia adolescente della coppia deve dire con quale dei due ha scelto di vive-

re. Il regista, Asghar Farhadi, ci ha introdotti - come in “About Elly” - a co-

noscere un po‟ di più la società iraniana e per farlo costruisce delle vicende

familiari drammatiche, che denunciano le pecche, i costumi imposti da una

società teocratica. La vicenda familiare è pretesto per fornire uno spaccato

della società iraniana: la moglie che chiede il divorzio dal marito lo fa perché

lui non vuole seguirla all‟estero dove la prima ammette di cercare migliori

condizioni di vita, ma una tale affermazione davanti al giudice conciliatore

iraniano è controproducente. La giustizia applicata in modo sommario nei

tribunali iraniani brulicanti d‟anime che ha l‟in-giustizia di tempi lunghissi-

mi. Buon film, una storia avvincente e ottimamente interpretata.

di Luigi Carotenuto

L’Italia è morta, io sono l'Italia di Aurelio Picca

Bompiani

“Io, io sono pronto a combattere contro

tutti / come se la guerra potesse medicare le

ferite, / cancellare i peccati, / come se potes-

se decidere una volta per tutte / il destino di

un popolo servo, / di un mondo che presto

morirà”. E davvero contro tutti, se stesso

compreso, si scaglia il furore lirico e civile

di Aurelio Picca, nel suo poema roventissimo “L'Italia è morta,

io sono l'Italia”. La prima persona utilizzata in questo epicedio

nazionale è la prima persona di ciascun lettore, una chiamata

alle armi della sensibilità e dell'ascolto reale, un drammatico

appello per ritrovare la mancata empatia, risorgere davanti allo

scempio di una nazione che è nostra madre, il nostro sangue,

infine noi. Nel suo furore Picca mostra un amore viscerale per

un Paese girato da cima a fondo, perlustrato nei suoi recessi e

monumenti ancora colmi di bellezza e idea di riscatto, sfregiati

sì ma non annientati, come evidenzia Luca Doninelli nel com-

movente saggio a fine poemetto. Un foscoliano invito a ricor-

darci dei morti (“le nostre Ombre ci chiederanno il saldo”), e

portare i bambini in visita al disarmante Sacrario di Redipuglia,

custode dei tantissimi italiani periti nella Grande Guerra. Tra il

“caos di queste ore / che si sfregano alla rinfusa” l'autore, attra-

verso il ricordo della luce, la stessa che avvolse San Francesco

e Chiara beatamente, ritempra lo spirito affranto, specchiandosi

nei cieli italici d'ogni regione. “Io indosso una camicia bianca /

e ben stirata tutti i giorni / come se stessi seduto in un caffè a

Catania / accanto al Verga che piega la mano / sulle labbra

rosse della Sicilia. E ardo nelle fiamme di Agrigento / come se

le colonne del tempio della Concordia / fossero le donne della

mia vita”. Un'esortazione fiammeggiante, un grido commosso e

disperato, un canto per resuscitare i vivi e risarcire i defunti.