Gellindus Ghiandedaurus e gli elefanti di Napoleone

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2 agosto 216 a.C. - Canne (Puglia) Gellindus Ghiandedaurus e gli elefanti di Annibale Le Guerre di Gel l i ndo Ghiandedoro

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Le Guerre di Gellindo Ghiandedoro

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2 agosto 216 a.C. - Canne (Puglia)

Gellindus Ghiandedauruse gli elefanti di Annibale

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Tutti sanno che gli scoiattoli sono ani-maletti vivacissimi d’estate e dormiglioni d’inverno, gran lavoratori, risparmiosi e sempre affamati… Pochi sanno però che gli scoiattoli sono soprattutto degli animali… CURIOSI!

Nessuno di loro, infatti, sa resistere alla tentazione di avvicinarsi a due che stanno chiacchierando del più e del meno, oppu-re di andar a spiare in quella borsa chiusa abbandonata a lato della strada, oppure ancora di correre a scoprire da dove pro-viene la musica strana che gira per l’aria…

Gellindus Ghiandedaurus non faceva eccezione e perciò al tramonto di quel gior-no d’inizio agosto, quando vide due soldati romani seduti su un muretto e impegnati in un’accesa discussione, non seppe farsi i fatti suoi e saltellò di nascosto fin dietro al muricciolo da dove poté sentire quel che i due legionari si stavano dicendo.

Il più anziano sospirò rassegnato ed esclamò: – Mi sa, caro Glaucus, che doma-ni la piana di Canne – e nel dire ciò, con un gesto ampio del braccio indicò la vasta pia-nura che si stendeva al di là della stradina di campagna, – sarà invasa dai soldati afri-cani di Annibale!

Il giovane soldato Glaucus stava masti-cando nervoso il gambo di una pianta di grano maturo: – Lo sai, Marcus, che i solda-ti cartaginesi sono ferocissimi, coi loro ne-mici? Hanno portato il terrore in Spagna, in Gallia e nella grande pianura del fiume

(Gli elefanti dei cartaginesi, vere “macchine da guerra” temibili e terribili, non parteciparono alla famosa battaglia di Canne, in Puglia, che vide comunque i romani soccombere di fron-te all’esercito africano; secondo alcuni ciò dipese dal fatto che nessun pachiderma riuscì a sopravvivere dopo aver superato i passi alpini; secondo altri fu invece uno scoiattolo di nome Gellindus Ghiandedaurus a “convincere” gli elefanti a scappar lontano dalla battaglia di Can-ne con uno stratagemma a dir poco incredibile!)

Po, su a nord: ora sono arrivati in Puglia e domani per tutti noi sarà un gran brutto giorno!

Tacquero, i due legionari, ma solo per pochi istanti. Marcus riprese quasi subito: – E quel che è peggio è che ci saranno gli elefanti!

– Li hai mai visti tu, gli elefanti! Sai come son fatti? – chiese il giovane.

Il soldato dai capelli grigi si asciugò il su-dore dalla fronte e si tolse l’elmo: – Sono montagne di carne appoggiate su zampe grosse come i tronchi dei castagni più vec-chi! Hanno orecchie che sembrano vele di nave e zanne chiare e aguzze che asso-migliano agli spadoni dei nostri gladiatori, ma più lunghe e più pesanti! E infine hanno una proboscide che sventola nell’aria, che se ti piglia in pieno ti fa fare un volo di venti metri!

Glaucus si stropicciò le mani nervoso e lasciò che lo sguardo corresse sull’immen-sa piana di fronte a loro: – E i cartaginesi arriveranno qui a Canne con molti di que-sti elefanti?

Marcus sbuffò e sorrise: – Dicono che il loro esercito sia formato da cinquanta-mila fanti di cento razze diverse, da die-cimila soldati a cavallo e da trecento… sì, caro mio, da trecento elefanti addestrati al combattimento…

Il cuore di Gellindus fece una capovolta e il piccolo scoiattolo rimase per un istante senza fiato: ma ve li immaginate trecento

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di quei mostri enormi e cattivi? L’animale più grande che Gellindus conosceva erano le mucche al pascolo nei campi pugliesi, e le mucche non hanno orecchie enormi e zanne pericolose e proboscidi terribili!

Povero Glaucus e povero Marcus, pen-sò lo scoiattolino: chissà che fine faranno, all’arrivo dell’esercito di Annibale!

“E se io?...”L’idea spuntò piano piano nella testolina

di Gellindus, come fa la pianta del fagiolo a bucare il seme, a farsi strada nella terra e a conquistarsi finalmente il primo sole!

L’idea era semplice, come semplici sono sempre tutte le idee che funzionano: “Bi-sogna fare qualcosa – pensò lo scoiattolo, – perché questi poveri legionari non deb-bano affrontare i tremendi elefanti dei car-taginesi!”

Già, ma cosa fare?“Non mi resta che chiedere aiuto a qual-

cuno… chissà, forse Gioacchinus Agricola, il contadino mio amico, mi potrà dare il consiglio giusto!”

Anche se era già notte fonda, Gioacchinus era nella stalla a mungere mucche e capre e fu con gran gioia che vide arrivare lo sco-iattolo suo amico.

– Gli elefanti sono animali pericolosissi-mi – disse il contadino, quando Gellindus ebbe terminato di spiegargli il motivo della sua visita, – soprattutto perché noi non li conosciamo. Sappiamo qualcosa solo per sentito dire, ma basarsi sul sentito dire è sempre molto, molto rischioso!

– D’accordo – ribatté testardo lo sco-iattolo, – però queste montagne di carne avranno pure un punto debole, avranno paura di qualcosa, saranno terrorizzate da un’arma particolare…

Gioacchinus Agricola si alzò in piedi e

s’avvicinò alla sua mucca preferita che, pla-cida e tranquilla, aveva il muso infilato nel fieno della mangiatoia. – Vedi Gellindus, la mia Regina è una mucca grande e grossa, forte, sana e anche coraggiosa quando c’è da far fuggire qualche lupo malintenziona-to. Lei però ha un solo terrore: i topolini di campagna!

Gellindus sbarrò gli occhi: – I topolini di campagna? E perché le mettono così pau-ra, i topini?

– A causa di quei due minuscoli denti che spuntano davanti, coi quali i ratti si di-vertono a rosicchiare gli zoccoli della mia Regina!

– Sì vabbè, ma cosa c’entrano i denti dei topi con gli elefan…

Gellindus Ghiandedaurus capì all’im-provviso quel che l’amico contadino gli voleva dire: – Anche gli elefanti hanno gli zoccoli, vero? – chiese speranzoso lo sco-iattolo.

– Be’, quelli che hanno avuto la sventura di vedere almeno un elefante dicono che, alla base di quelle quattro gambone, ci sia-no unghie così grosse che sembrano dei veri e propri zoccoli… Ci scommetto l’in-tero raccolto di quest’estate che la paura della mia Regina è identica al terrore dei pachidermi di Annibale per qualsiasi tipo di topo!

Gellindus saltò in braccio a Gioacchinus, gli scoccò un grosso bacio sulla guancia… – Grazie, amico mio: sei stato utilissimo! – e scappò via in fretta e furia.

Corse verso nord per qualche ora, Gel-lindus, incontro all’esercito cartaginese e alle prime ore dell’alba arrivò sulle rive di un fiume, dove fece la conoscenza con l’esercito di Annibale.

Non aveva mai visto così tanti soldati

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tutti assieme: c’erano migliaia e migliaia di africani con la pelle scura, migliaia e miglia-ia con la pelle olivastra e ancora migliaia e migliaia con la pelle bianca come quella dei romani; molti tenevano in mano giavellotti leggeri, altri portavano spade lunghe e toz-ze, oppure sottili e acuminate; quelli con la pelle scura avevano appese alla cintura terribili fionde lancia-sassi…

Migliaia erano anche i soldati a caval-lo: nitrivano e s’impennavano, i destrieri, sbuffando e scalpitando sulla sabbia del fiume, mentre i cavalieri restavano in equi-librio agitando lunghi giavellotti con la de-stra e imbracciando piccoli scudi tondi con la sinistra…

E laggiù, ancora coperti dalla nebbiolina dell’alba, ecco spuntare uno dopo l’altro… i mostri!

Erano proprio terribili, gli elefanti, pen-sò subito Gellindus, che li vide venire avan-ti camminando tutti assieme. A ogni passo tremava il terreno, oscillavano gli alberi in-torno e s’alzavano nuvole di polvere. Ancor più paurose erano le urla dei guidatori: sul-la schiena di ogni elefante era abbarbicato un giovane soldato che urlava a squarcia-gola e teneva in mano un bastone appun-tito col quale incitava il grosso animale ad affrontare le acque del fiume.

Eccoli lì, i trecento elefanti… e il pensie-ro di Gellindus Ghiandedaurus andò al po-vero Glaucus e al suo amico Marcus, rima-sti giù, a Canne, ad attendere la tremenda battaglia.

A quel punto Gellindus, che se ne stava nascosto nell’erba alta della riva, si girò e fece un cenno alle sue spalle. Da dietro a un fascio di felci uscì un minuscolo topoli-no di campagna che squittendo sottovoce raggiunse lo scoiattolo.

– Li vedi laggiù, Muschietto? – sussurrò

Gellindus indicando i trecento pachidermi che stavano per entrare in acqua. – Quelli sono gli elefanti. Lascia stare i soldati a pie-di, disinteressati dei cavalli e dei cavalieri e aspetta sulla riva che gli elefanti escano dal fiume. Solo allora fa’ quel che ti ho detto di fare, d’accordo?

Impiegarono un bel po’, i pachidermi, ad attraversare le acque profonde del fiume, ma quando uno dopo l’altro toccarono la riva opposta, accadde una cosa insolita. Su tutti i rumori di quell’immenso esercito in marcia – urla, sbuffi, stridor di armi, nitriti e scalpitar di cavalli… – si alzarono dei sot-tili e lancinanti… SQUUUIIICK!... SQUU-UIIICK!!... SQUUUIIICK!!!

All’inizio nessuno se ne accorse. Nemmeno gli elefanti in un primo mo-

mento avvertirono il pericolo.I loro guidatori, poi, felici d’aver attra-

versato il fiume senza danni, non ci fecero caso.

Quando però il piccolo Muschietto ad-dentò la punta dell’unghiona del primo elefante a tiro, un barrito di dolore, uno scarto improvviso e un’impennata perico-losa lanciarono l’allarme, che in un baleno si diffuse fra i trecento pachidermi.

Fu un fuggi fuggi tempestoso, una trom-ba d’aria di urla, di proboscidi che svento-lavano in tutte le direzioni, di orecchie che s’agitavano sbattendo furiose… Provate a immaginare trecento grossi tamburi d’or-chestra che si mettono a suonare tutti as-sieme una sinfonia grottesca e terribile…

BUUUMMM… BUUUMMM… BUUUMMM!– Fermi, non correte! – strepitavano i

guidatori.BUUUMMM… BUUUMMM…

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BUUUMMM!– Lasciate libera la strada… spostatevi

da lì! – urlavano i capitani ai loro uomini.BUUUMMM… BUUUMMM… BUUUMMM!– Mettiamo al riparo i carri con le prov-

viste! – abbaiavano i furieri. BUUUMMM… BUUUMMM… BUUUMMM!– Gli elefanti… gli elefanti stanno scap-

pando! – ebbero alla fine la forza di urlare i generali, mentre il tambureggiare folle dei trecento pachidermi si affievolì piano pia-no nell’aria e si allontanò, finché si spense alla luce del primo sole.

L’esercito di Annibale era rimasto senza elefanti!

Gellindus Ghiandedaurus e il minusco-lo topo Muschietto avevano vinto la loro piccola e personale battaglia. I romani avrebbero dovuto comunque combattere aspramente, per fermare quell’immenso esercito nemico, ma almeno non avrebbe-ro affrontato le terribili macchine da guer-ra” che erano gli elefanti!

Quella sera del 2 agosto 216 avanti Cri-sto, dopo ore e ore di terribile battaglia combattuta nella piana di Canne, Marcus e Glaucus stanchi, sporchi ma vivi, si ritro-

varono sul loro muretto.– Abbiamo perso! – sospirò Marcus be-

vendo un sorso d’acqua da una fiaschetta. – Erano meno numerosi di noi, i cartagi-

nesi – mormorò Glaucus, – però più forti e meglio comandati.

– Meno male che i loro elefanti non si sono fatti vedere… – proseguì Marcus pas-sando la fiasca all’amico.

Il giovane soldato bevve a lungo, poi parlò: – Le nostre spie hanno riferito che i trecento pachidermi, dopo aver attra-versato stamattina all’alba le acque di un fiume, all’improvviso sono stati spaventati da chissà che cosa… Fatto sta che l’intero branco di elefanti s’è voltato ed è scappato via nel disordine più assoluto…

I due legionari tacquero e fecero en-trambi lo stesso pensiero: chissà cosa sarà stato a terrorizzare a quel modo le macchi-ne da guerra con zanne e proboscidi venu-te dall’Africa fino in Puglia!

Alle loro spalle, nascosti dietro il mu-ricciolo, Gellindus e Muschietto sorrisero sotto ai baffi: avevano dimostrato che la forza bruta non l’ha mai vinta contro chi usa l’intelligenza!

FINE

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