Gasparoni il masnadiero. Mito storia e fantasia

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Alla base ci sono le fonti dell’Archivio Golgi - Redaelli; una dozzina di documenti che costituiscono i fascicoli della Pia Casa di Abbiate- grasso relativi a due ricoverati: il famoso brigante Antonio Gasparoni e un membro della sua banda, Pietro Cipolla. Il periodo va dal loro ar- rivo, settembre 1871, alla morte di Antonio, aprile 1882. Modello del brigante classico pre-unitario, del tutto apolitico, violen- to, assassino... non certo un delinquente gentiluomo. La popolarità fu dovuta sia alle sue imprese sia alla lunghissima detenzione, che lo fe- cero apparire come la vittima che con dignità resiste a profonde ingiu- stizie. Nel 1825 si arrese alle truppe papaline, ingannato da false pro- messe d'impunità, e fu liberato con la presa di Roma nel 1870, dopo 45 anni di detenzione senza processo; successivamente, allontanato anche dalla capitale, verrà spedito, in un sorta di confino, alla Pia Casa di Abbiategrasso. L’analisi dei regolamenti dell'Istituto mostra che i due ex briganti non avevano i requisiti per il ricovero, tant’è che fu il Regio era- rio a pagarne la retta. Dalle fonti del Golgi emerge un Ga- sparoni tutt’altro che demente o rassegnato che fa richieste di tabacco, l'unica accolta, di trasferimento, per la salute, e infine di recarsi a Milano, per discutere con l’editore Barbini in merito alla pubblicazione de Il Masnadiero Gasparoni. Nelle edizioni postume di tale volume, grazie al suo curato- re, il cieco [!] Croci, sappiamo degli ultimi anni, suoi e del Cipolla, delle continue visite e ... che la fama lo accompagnò anche al Nord. L’analisi, oltre alla biografia e alle cosiddette imprese del brigante, ha cercato anche di verificare la storicità dei fatti raccontati nelle memorie, degli incontri che letterati e intel- lettuali, soprattutto stranieri, hanno avuto con il Nostro, nel- le prigioni in cui, insieme con la banda, fu rinchiuso. Questi i punti sui quali i vari gruppi hanno lavorato. RICOSTRUZIONE DELLA VITA DI GASPARONI Fondamentali sono state le memorie edite in Francia e Italia grazie al manoscritto di Masi, l'unico della banda alfabetiz- zato, da noi soprannominato l' Omero del masnadiero. Ne analizziamo la vita assieme all'altro compare, presente nelle fonti, Pietro Cipolla, la pecora nera, l'irriducibile, forse osti- le all'ingenuo capo, che accettò la resa, fidandosi dei nemici. Con il già citato Il masnadiero, si è cercato quindi di rico- struire alcuni episodi della biografia, confrontando le con- cordanze e le varianti, per valutarne sempre l'attendibilità. RICERCA DI ALTRE FONTI É stato necessario esaminare le testimo- nianze coeve e i non pochi racconti che hanno avuto come protagonista Antonio; utili sono poi risultati alcuni saggi sul bri- gantaggio nel Lazio, come Il triangolo del- la morte di Michele Colagiovanni. APPROFONDIMENTI SUL CONTESTO STORICO La prima domanda è stata: chi furono questi fuorilegge? Nello Stato pontificio pre-unita- rio, i briganti furono dei semplici delin- quenti, grassatori, rapinatori, sequestratori, assassini. Eppure furono esaltati da pittori, che si recavano nei loro covi a immortalarli, e da stranieri, che giungevano in Italia so- gnando l’avventura del fatidico agguato con rapina. Il degrado socio-economico, tipico di uno stato mal governato, spiega il feno- meno di questo brigantaggio privo di qual- siasi intento politico. Il masnadiero poteva contare comunque sui molto dispendiosi manutengoli, appartenenti non solo al popo- lo, e su quella naturale simpatia che suscita chi si ribella a istituzioni dai più ritenute in- giuste. Due le figure femminili legate a Gasparoni. Diomira De Paolis, prima e unica moglie, della quale riportiamo la sua tragica storia, e Geltrude De Marchis, per Masi, la perfida amante, che, con sorrisi e lusinghe, spinse il capo banda alla resa, illudendolo di poter ri- cominciare una vita normale. Analizziamo poi due famose brigantesse del dopo Unità, che imbracciarono lo schioppo: Michelina De Cesare e la moglie di Pietro Monaco, Maria Oliverio, che fu anche capo banda e fu raccontata da Du- mas. About, a Sonnino, invece incontrò tale Maria Grazia, donna onesta, vedova di fuo- rilegge, che, con la sorella Teresa, fu la mo- della di vari pittori che ritrassero la vita dei masnadieri. Nella Provincia di Marittima e Campagna, paludi e miseria favorirono certamente il sorgere del famigerato Triangolo della morte, prossimo alla via che univa Roma a Napoli, territorio dunque che si prestava a proficui agguati. Lo Stato pontificio combatteva il brigantaggio? Si', ma in modo poco efficiente, concedeva spesso amnistie e talvolta promuoveva i ravve- duti (?) in birri. Se molti editti furono controproducenti, in certi mo- menti la giustizia fu dura. Lo dimostra la carriera di Mastro Titta il ter- ribile boia, autore di macabre esecuzioni. Vi era comunque anche chi cercava di educare ed evangelizzare, come testimonia la figura di San Gaspare del Bufalo, missionario tra i briganti. LA CRITICA AL MITO: FU VERA GLORIA? Abbiamo cercato di capire l’origine di questo mito, alimentato dalle imprese (molte non dimostrate e spesso crudeli) e dalla lunga perma- nenza in galera. Le costanti visite, soprattutto di colti viaggiatori stra- nieri e famosi, le narrazioni del loro incontro, le fantasiose caratteristi- che attribuitegli (perfino letterato e musico!), un fuorilegge vittima delle leggi ingiuste di uno stato arretrato e, infine, il successo dei libri di memorie, lo resero un personaggio la cui fama attraversò l’oceano. Fu dunque vera gloria? Tra le numerose testimonianze abbiamo trova- to alcune voci discordanti, che lo riportano alla dimensione di un as- sassino violento, così pure studi recenti ne ridimensionano l’importan- za e il ruolo, rispetto ad altri capi banda laziali. Lo stesso Dumas so- spetta di aver incontrato un falso brigante, circondato da comparse: ipotizziamo che ciò accadde spesso. Ugo Pesci quando entrò tra i pri- mi nella fortezza liberata di Civita Castellana nel 1870, lo descrisse come un rozzo e ignorante individuo, senza alcun tratto dell’eroe … ma il mito continuò. Appendice : IL CASO LOMBROSO Infine Lombroso. Lo scienziato teorizzò che all’essere criminale corri- spondono precisi aspetti morfologici. Dall'esame del cranio di Cipolla e Gasparoni, la diagnosi fu chiara: due tipici assassini. Analizziamo anche un un suo articolo del 1902, nel quale cita Gasparoni e, soprat- tutto, sproloquia sul brigante Musolino, introducendo la categoria del cosiddetto criminale di genio. LA CLASSE 4^ B A.S. 2014 – 2015 Docente PAOLO ERMANO Francesca Agnusdei Margherita Anastasio Edoardo Ballabio Marco Bassani Andrea Briani Riccardo Brivio Riccardo Cappella Valeria Cattani Martina Cocchiara Ilaria Cocurullo Andrea Colombo Giulia Fantoni Luca Giussani Mattia Maiocchi Melissa Maniscalco Federico Mantica Ilaria Messina Alessia Milani Andrea Monti Luca Montrasio Angela Paldino Benedetta Pappada' Luca Redaelli Andrea Sarati Giulia Spina Emanuela Vaghi Un ringraziamento alla Prof.ssa Margherita Fretto che ha curato le traduzioni dal francese e dall'inglese. Hanno partecipato alla parte musicale anche le allieve Chiara Genoni e Ranjana Ingal a. DALL'ARCHIVIO GOLGI – REDAELLI GASPARONI BRIGANTE MODELLO? Una vita da masnadiero Vita da galera LE RES GESTAE DI GASPARONI I BRIGANTI Pancia a terra! I mitici masnadieri DUE COMPARI DELLA BANDA IL MITICO GASPARONI La costruzione di un personaggio Tra storia e fantasia: fu vera gloria? DONNE E BRIGANTESSE Botte schioppi e amore Bonnie & Clyde nel Mezzogiorno UN BRIGANTE AL NORD C'è una Pia Casa che... dalla galera all'ospizio! E l'è finì a Biagrà, paés di stecch! LO STATO PONTIFICIO TERRA DI BRIGANTI Il triangolo della morte! Reprimere o convertire BRIGANTI SI NASCE, SCIENZIATI … Antropologia criminale o criminale antropologia? Gasparoni, ma che testa hai? TARANTELLA RAP Il mio nome è Gasparone non un semplice bandito, ora ascolta ‘sta canzone fui brigante, ma anche un mito. Senza fame non c’è fama, senza storia non c’è gloria. Fuoco, polvere e pazzia vita ingrata in Ciociaria. Taglieggiavo e sequestravo e fui Principe dei monti: chi vuol essere liberato venti mila scudi appronti. Non rubavo ai poveracci, uccidevo se costretto, nello stato dei pretacci che giustizia mai mi aspetto? Tanto tempo clandestino, poi mi fido di un pretino. Son cacciato in gattabuia … son finiti gli alleluja! Anni e anni in reclusione, lo scrittore col curioso, in continua processione, dal brigante più famoso. Il Dumas e altri artisti io davvero mai li ho visti: quello colto e letterato era un Gasba taroccato! Masi canta le sue imprese, che poi escono in francese, il New York Times, alla sua morte, narrerà la triste sorte. A ottant’anni è liberato; resta ancora un satanasso. Il governo spaventato lo spedisce a Abbiategrasso. M’han sbattuto su in pianura, sono senza selva oscura, e c'è un'altra bizzarria: Gasparone in Casa Pia! Tra incurabili e dementi, ‘li mortacci che postaccio. Tutti a far stuzzicadenti, fui brigante … io non lo faccio! Vitto alloggio assicurato e il tabacco m’hanno dato. Un riscatto il mio onorario, ora paga il Regio Erario. A Biagrà all’amico Croce, che nun vede, ma ce sente, io gli cunto tutto a voce pensa lui allo scrivente. A Milan furbo è il Barbini, pubblicarlo è affar vero, gesti nobili e assassini: ecco il grande masnadiero! Hai ucciso e l’hai pagata, nove lustri di prigione! La sentenza è pronunciata: viva viva Gasparone ! DUE TESTI PER BALLATE Per la presentazione del lavoro presso la sede dell'Istituto Golgi Redaelli di Milano, l'8 ottobre 2015, accanto ad una breve esposizione dei cartelloni, sono state preparate ed eseguite, da alcune allieve ed allievi, due ballate. La prima è un adattamento di una tarantella originale del 1859, repertorio probabilmente dei cantastorie; l'altra, una tarantella rap, scritta con riferimenti anche al periodo di permanenza ad Abbiategrasso.

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Alla base ci sono le fonti dell’Archivio Golgi - Redaelli; una dozzinadi documenti che costituiscono i fascicoli della Pia Casa di Abbiate-grasso relativi a due ricoverati: il famoso brigante Antonio Gasparonie un membro della sua banda, Pietro Cipolla. Il periodo va dal loro ar-rivo, settembre 1871, alla morte di Antonio, aprile 1882.Modello del brigante classico pre-unitario, del tutto apolitico, violen-to, assassino... non certo un delinquente gentiluomo. La popolarità fudovuta sia alle sue imprese sia alla lunghissima detenzione, che lo fe-cero apparire come la vittima che con dignità resiste a profonde ingiu-stizie. Nel 1825 si arrese alle truppe papaline, ingannato da false pro-messe d'impunità, e fu liberato con la presa di Roma nel 1870, dopo45 anni di detenzione senza processo; successivamente, allontanatoanche dalla capitale, verrà spedito, in un sorta di confino, alla Pia Casadi Abbiategrasso.L’analisi dei regolamenti dell'Istituto mostra che i due ex briganti nonavevano i requisiti per il ricovero, tant’è che fu il Regio era-rio a pagarne la retta. Dalle fonti del Golgi emerge un Ga-sparoni tutt’altro che demente o rassegnato che fa richiestedi tabacco, l'unica accolta, di trasferimento, per la salute, einfine di recarsi a Milano, per discutere con l’editore Barbiniin merito alla pubblicazione de Il Masnadiero Gasparoni.Nelle edizioni postume di tale volume, grazie al suo curato-re, il cieco [!] Croci, sappiamo degli ultimi anni, suoi e delCipolla, delle continue visite e ... che la fama lo accompagnòanche al Nord.L’analisi, oltre alla biografia e alle cosiddette imprese delbrigante, ha cercato anche di verificare la storicità dei fattiraccontati nelle memorie, degli incontri che letterati e intel-lettuali, soprattutto stranieri, hanno avuto con il Nostro, nel-le prigioni in cui, insieme con la banda, fu rinchiuso.Questi i punti sui quali i vari gruppi hanno lavorato.

RICOSTRUZIONEDELLA VITA DI GASPARONI

Fondamentali sono state le memorie edite in Francia e Italiagrazie al manoscritto di Masi, l'unico della banda alfabetiz-zato, da noi soprannominato l'Omero del masnadiero. Neanalizziamo la vita assieme all'altro compare, presente nellefonti, Pietro Cipolla, la pecora nera, l'irriducibile, forse osti-le all'ingenuo capo, che accettò la resa, fidandosi dei nemici.Con il già citato Il masnadiero, si è cercato quindi di rico-struire alcuni episodi della biografia, confrontando le con-cordanze e le varianti, per valutarne sempre l'attendibilità.

RICERCA DI ALTRE FONTIÉ stato necessario esaminare le testimo-nianze coeve e i non pochi racconti chehanno avuto come protagonista Antonio;utili sono poi risultati alcuni saggi sul bri-gantaggio nel Lazio, come Il triangolo del-la morte di Michele Colagiovanni.

APPROFONDIMENTISUL CONTESTO STORICO

La prima domanda è stata: chi furono questifuorilegge? Nello Stato pontificio pre-unita-rio, i briganti furono dei semplici delin-quenti, grassatori, rapinatori, sequestratori,assassini. Eppure furono esaltati da pittori,che si recavano nei loro covi a immortalarli,e da stranieri, che giungevano in Italia so-gnando l’avventura del fatidico agguato conrapina. Il degrado socio-economico, tipicodi uno stato mal governato, spiega il feno-meno di questo brigantaggio privo di qual-siasi intento politico. Il masnadiero potevacontare comunque sui molto dispendiosimanutengoli, appartenenti non solo al popo-lo, e su quella naturale simpatia che suscitachi si ribella a istituzioni dai più ritenute in-giuste.Due le figure femminili legate a Gasparoni.Diomira De Paolis, prima e unica moglie,della quale riportiamo la sua tragica storia,e Geltrude De Marchis, per Masi, la perfidaamante, che, con sorrisi e lusinghe, spinse ilcapo banda alla resa, illudendolo di poter ri-cominciare una vita normale.Analizziamo poi due famose brigantessedel dopo Unità, che imbracciarono loschioppo: Michelina De Cesare e la mogliedi Pietro Monaco, Maria Oliverio, che fuanche capo banda e fu raccontata da Du-mas. About, a Sonnino, invece incontrò taleMaria Grazia, donna onesta, vedova di fuo-rilegge, che, con la sorella Teresa, fu la mo-della di vari pittori che ritrassero la vita deimasnadieri.Nella Provincia di Marittima e Campagna,paludi e miseria favorirono certamente ilsorgere del famigerato Triangolo dellamorte, prossimo alla via che univa Roma aNapoli, territorio dunque che si prestava aproficui agguati.Lo Stato pontificio combatteva il brigantaggio? Si', ma in modo pocoefficiente, concedeva spesso amnistie e talvolta promuoveva i ravve-duti (?) in birri. Se molti editti furono controproducenti, in certi mo-menti la giustizia fu dura. Lo dimostra la carriera di Mastro Titta il ter-ribile boia, autore di macabre esecuzioni. Vi era comunque anche chicercava di educare ed evangelizzare, come testimonia la figura di SanGaspare del Bufalo, missionario tra i briganti.

LA CRITICA AL MITO: FU VERA GLORIA?Abbiamo cercato di capire l’origine di questo mito, alimentato dalleimprese (molte non dimostrate e spesso crudeli) e dalla lunga perma-nenza in galera. Le costanti visite, soprattutto di colti viaggiatori stra-nieri e famosi, le narrazioni del loro incontro, le fantasiose caratteristi-che attribuitegli (perfino letterato e musico!), un fuorilegge vittima

delle leggi ingiuste di uno stato arretrato e, infine, il successo dei libridi memorie, lo resero un personaggio la cui fama attraversò l’oceano.Fu dunque vera gloria? Tra le numerose testimonianze abbiamo trova-to alcune voci discordanti, che lo riportano alla dimensione di un as-sassino violento, così pure studi recenti ne ridimensionano l’importan-za e il ruolo, rispetto ad altri capi banda laziali. Lo stesso Dumas so-spetta di aver incontrato un falso brigante, circondato da comparse:ipotizziamo che ciò accadde spesso. Ugo Pesci quando entrò tra i pri-mi nella fortezza liberata di Civita Castellana nel 1870, lo descrissecome un rozzo e ignorante individuo, senza alcun tratto dell’eroe …ma il mito continuò.

Appendice: IL CASO LOMBROSOInfine Lombroso. Lo scienziato teorizzò che all’essere criminale corri-spondono precisi aspetti morfologici. Dall'esame del cranio di Cipollae Gasparoni, la diagnosi fu chiara: due tipici assassini. Analizziamoanche un un suo articolo del 1902, nel quale cita Gasparoni e, soprat-tutto, sproloquia sul brigante Musolino, introducendo la categoria delcosiddetto criminale di genio.

LA CLASSE 4^ B A.S. 2014 – 2015D o c en t e PAOLO ERMANO

Francesca Agnusdei Margherita Anastasio

Edoardo BallabioMarco Bassani Andrea Briani

Riccardo Brivio Riccardo Cappella

Valeria Cattani Martina Cocchiara

Ilaria Cocurullo Andrea Colombo

Giulia FantoniLuca Giussani

Mattia Maiocchi Melissa Maniscalco

Federico ManticaIlaria Messina Alessia MilaniAndrea Monti

Luca MontrasioAngela Paldino

Benedetta Pappada'Luca Redaelli Andrea SaratiGiulia Spina

Emanuela Vaghi

Un ringraziamento alla Prof.ssa Margherita Frettoche ha curato le traduzioni dal francese e dall'inglese.

Hanno partecipato alla parte musicale anchele allieve Chiara Genoni e Ranjana Ingala.

DALL'ARCHIVIO GOLGI – REDAELLI

GASPARONI BRIGANTE MODELLO?

Una vita da masnadieroVita da galera

LE RES GESTAE DI GASPARONI

I BRIGANTI

Pancia a terra!I mitici masnadieri

DUE COMPARI DELLA BANDA

IL MITICO GASPARONI

La costruzione di un personaggioTra storia e fantasia: fu vera gloria?

DONNE E BRIGANTESSE

Botte schioppi e amoreBonnie & Clyde nel Mezzogiorno

UN BRIGANTE AL NORD

C'è una Pia Casa che... dalla galera all'ospizio!E l'è finì a Biagrà, paés di stecch!LO STATO PONTIFICIO TERRA DI BRIGANTI

Il triangolo della morte!Reprimere o convertire

BRIGANTI SI NASCE, SCIENZIATI …

Antropologia criminale o criminale antropologia?Gasparoni, ma che testa hai?

TARANTELLA RAP

Il mio nome è Gasparonenon un semplice bandito,ora ascolta ‘sta canzonefui brigante, ma anche un mito.Senza fame non c’è fama,senza storia non c’è gloria.Fuoco, polvere e pazziavita ingrata in Ciociaria.Taglieggiavo e sequestravoe fui Principe dei monti:chi vuol essere liberatoventi mila scudi appronti. Non rubavo ai poveracci, uccidevo se costretto, nello stato dei pretacci che giustizia mai mi aspetto?Tanto tempo clandestino, poi mi fido di un pretino. Son cacciato in gattabuia … son finiti gli alleluja!Anni e anni in reclusione, lo scrittore col curioso, in continua processione, dal brigante più famoso. Il Dumas e altri artistiio davvero mai li ho visti:quello colto e letteratoera un Gasba taroccato!

Masi canta le sue imprese,che poi escono in francese,il New York Times, alla sua morte,narrerà la triste sorte.A ottant’anni è liberato;resta ancora un satanasso.Il governo spaventatolo spedisce a Abbiategrasso. M’han sbattuto su in pianura,sono senza selva oscura,e c'è un'altra bizzarria:Gasparone in Casa Pia!Tra incurabili e dementi,‘li mortacci che postaccio.Tutti a far stuzzicadenti,fui brigante … io non lo faccio!Vitto alloggio assicuratoe il tabacco m’hanno dato.Un riscatto il mio onorario,ora paga il Regio Erario.A Biagrà all’amico Croce,che nun vede, ma ce sente,io gli cunto tutto a vocepensa lui allo scrivente.A Milan furbo è il Barbini,pubblicarlo è affar vero,gesti nobili e assassini:ecco il grande masnadiero!Hai ucciso e l’hai pagata,nove lustri di prigione!La sentenza è pronunciata:viva viva Gasparone !

DU E TE ST I P ER B AL L ATE

Per la presentazione del lavoro presso la sede dell'Istituto Golgi Redaelli di Milano, l'8 ottobre 2015, accanto ad una breve esposizione dei cartelloni, sono state preparate ed eseguite, da alcuneallieve ed allievi, due ballate.La prima è un adattamento di unatarantella originale del 1859, repertorioprobabilmente dei cantastorie; l'altra, una tarantella rap, scritta con riferimenti anche al periodo di permanenza ad Abbiategrasso.

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TIPO DI DOCUMENTO DATA AUTORE E DESTINATARIO C O N T E N U TO

Comunicazione del Ministro dell’Interno

19 settembre 1871Il Ministro Lanza al Prefetto di Milano

Ricovero di due de' superstiti della banda Gasparoni (*) presso le Pie Case di Ricovero di Abbiategrasso per una retta di 90 centesimi al giorno.

Comunicazione della Prefettura di Milano20 settembre 1871

Il Prefetto Negrini al Questore di Milano

Sulla retta giornaliera che la Congregazione di Carità deve versare alle Pie Case in Abbiategrasso per il ricovero dei due superstiti compagni del Capo Banda Gasparoni.

Comunicazione della Questura di RomaInvio ad Abbiategrasso

24 settembre 1871Il Questore Berti della questura della città di Roma al Ministero degli Interni

Comunicazione della scarcerazione dei superstiti della banda Gasparoni e del temporaneo ricovero di due di loro: Gasparoni di Sonnino anni 78 e Cipolla di Vallecorsa anni 69 in attesa di essere trasferiti ad Abbiategrasso. Ragione del ricovero.Nota archivista: Gasparoni Antonio fu Giuseppe, d’anni 78 da Sonnino pastore, scarcerato dopo 46 anni per grazia.

Comunicazione della Congregazione di Carità di MilanoAmmissione

27 settembre 1871La Congregazione di Carità di Milanoalle Pie Case di Ricovero in Abbiategrasso

Invito al Direttore delle Pie Case degli Incurabili in Abbiategrasso ad accettare il ricovero di Gasparoni Antonio.

Documento della Congregazione di Carità di MilanoBolletta ammissione

28 settembre 1871La Congregazione di Carità di Milanoalla Questura

Sollecitazione del rilascio di Gasparoni Antonio e Cipolla Pietro per essere ricoverati presso la struttura di Abbiategrasso a carico del Regio Erario. Suo stato fisico.

Bollettone ricovero e scheda medica delle Pie Case di Abbiategrasso

28 settembre 1871La Congregazione di Carità di Milanoalle Pie Case degli Incurabili in Abbiategrasso

Registrazione dell’arrivo (28 settembre 1871) di Cipolla Pietro.Nota: senza traccia di malattia contagiosa, ma molto simili poiché gli si farà un bagno caldo.

Documento alla PP.CC. di AbbiategrassoAmmissione

29 settembre 1871La Direzione delle Pie Case alla Congregazione di Carità

Registrazione dell’arrivo di Gasparoni, il quale è affetto da ernia inguinale.

Titolo d'Archivio di Ospitalità Ammissione

30 settembre 1871La Direzione delle Pie Case: Titolo diarchivio di Ospitalità

Comunicazione dell'Economo ricovero di Pietro Cipolla dopo essersi presentato presso l’Istituto munito del regolare bollettone di nomina. Nota: affetto da ernia ing. libera.

(*) Gasparoni, Gasparone,, Gasbarrone...? Nelle stesse fonti d'Archivio non c'è un'unica denominazione. Noi utilizzeremo Gasparoni come i documenti ministeriali.

PERCHÈ FINÌ ADABBIATEGRASSO?

Sembrò utile provvedi-

mento il procurare la

loro associazione nell’ospi-

zio dei Pellegrini e con-

valescenti di questa città,

ma la memoria ancora

vive sulle loro gesta cri-

minose obbligarono que-

st’ufficio a vietar loro l’u-

scita dallo stabilimento,

per evitare manifestazio-

ni troppo marcate di

curiosità, e fece premu-

ra per il loro colloca-

mento in altre case ospi-

taliere del Regno.

La congregazione di Ca-

rità di Milano essendosi

dichiarata pronta a ri-

cevere due di essi nell’o-

spizio di Abbiategrasso

si faranno partire a

cotesta volta i nominati

Gasbaroni e Cipolla

accompagnati da un

agente di P.S. provvi-

sti di indegnità di viag-

gio oltre il trasporto gra-

tuito.

LO STATO FISICO DI GASPARONI AL SUO ARRIVOImmune da malattia contagiosa, ma sucido per cui gli si farà un bagno semplice caldo.

GASPARONIANALFABETA

Nelle richieste fatte scrivere vengono firmate con segni:a) per ottenere il trasferimento:Perdoni, o Eccellenza, della troppa libertàche prenderà il povero Gasparoni Antonio, chenella dolce speranza d’esserne esaudito, le ne anticipa i più che dovuti ringraziamenti.

b) per richiedere il tabacco:Letto consegnato e sottosegnato per essere illetterato.

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TIPO DI DOCUMENTO DATA AUTORE E DESTINATARIO C O N T E N U TO

Titolo d'Archivio di Ospitalità Notifica morte

30 agosto 1873Il Dottor Tragella alla Direzione delle Pie Case in Abbiategrasso per Ufficio locale dello Stato civile

Il dottor Tragella rassegna la notifica di morte avvenuta per male lenta gastroenterite del ricoverato a carico del Regio Erario Cipolla Pietro.

Istanza scritta per richiesta sussidio 19 aprile 1875Richiesta a nome di Gasparoni alla Direzione del Pio Ricovero

Richiesta per ricevere un piccolo sussidio mensile per poter acquistare del tabacco da fumare, sottoscritta con una croce dal Gasparoni.

Risposta all'istanza della Congregazione diCarità di Milano

16 luglio 1875La Congregazione di Carità di Milanoalla Direzione di Abbiategrasso

La richiesta di Gasparoni è accolta, il Regio Ministero dell'Interno ha accordato 5 lire mensili per tabacco da fumare.

Aumento retta, papela 22 luglio 1875La Congregazione di Carità di Milanoalle Pie Case degli Incurabili

Si comunica che il Ministero dell’Interno ha accordato un aumento di L 5. mensili alla retta di ricovero di Gasparoni per la somministrazione del tabacco da fumare. Se ne dia partecipazione al Gasparoni, il sig. Economo è incaricato per l’acquisto sempre nei limiti di L 5.

Richiesta di trasferimento 5 settembre 1876Antonio Gasparoni alla Congregazione di Carità di Milano per la Procura in Abbiategrasso

Richiesta di trasferimento di Gasparoni o nel Pio Albergo Triulzio in Milano o nella città di Palermo, soggiaccendo a vari fisici mali, quali li attribuirebbe cagionati meramente dell’aria quivi d’Abbiategrasso.

Risposta alla richiesta di trasferimento 10 ottobre 1876La Congregazione di Carità di Milanoal Pio ricovero di Abbiategrasso

Comunicazione per Antonio Gasparoni che la sua richiesta di trasferimento non è stata accettata: il R. Ministero dell’Interno a mezzo della R. Prefettura di Milano con nota 1 ottobre 1876 non ha trovato di accordargli tale favore.

Respinta richiesta per permesso uscita di 5giorni a Milano.

18 marzo 1877La Direzione del Pio Ricovero alla Onorevole Congregazione di Carità

Oggetto: Gasparoni Antonio ricoverato presenta lettera di domanda per poter ottenere permesso di assentarsi dal L.P. per 5 giorni per recarsi a Milano.Parere negativo per non avere il Gasparoni in Milano parenti, ove appoggiarsi pel vitto e per dormire. Ad ogni buon fine aggiungerò che mi risulta avere il Gasparoni fatta domanda di venire a Milano per conferire coll’Editore Barbini, onde concertare alcune aggiunte a farsi per la nuova ristampa dell’opuscolo Vicende del brigante Gasparoni.

TIPO DI DOCUMENTO DATA AUTORE E DESTINATARIO C O N T E N U TO

Certificato di morte 1 aprile 1882Il capo Sorvegliante Schieroni alla Direzione delle Pie Case

Comunicazione data e ora della morte di Gasparoni Antonio.

Notifica di morte 2 aprile 1882Il Dott. Storti alle Pie Case di Abbiategrasso

Comunicazione della morte di Antonio Gasparoni per bronco alveolite.

Atto di registrazione delle Pie Case di Abbiategrasso e del decesso

2 aprile 1882Processo Verbale di Consegna Restituzione e Vendita

Comunicazione dell'Economo - Cassiere del ricovero e del decesso, 1 aprile 1882, di Gasparoni Antonio e consegna del denaro (4,80 lire) posseduti dal defunto.

La Guida di Milano del 1879 presenta l'elenco del personale diAbbiategrasso, presente nei documenti d'Archivio, con grafie talvolta

difficili da decifrare correttamente.

N o t i f i c a d i m o r t e d i P i e t r o C i p o l l a

Il testo edito da Barbini, che, come ricorda un documento, Gasparoni voleva incontrare recandosi a Milano.Nelle successive e numerose edizioni del volume, oltre all'introduzione di Venosta ,vi saranno delle aggiunte del Croce

sulla morte di Cipolla e di Antonio e sulla loro permanenza nella Pia casa.

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1814: INIZIA LA CARRIERAAntonio Gasparoni nacque nel 1793 a Son-nino, oggi provincia diLatina, dove faceva ilvaccaro da quandoaveva perso il padreGiuseppe, in teneraetà. Il primo amore fuuna giovane di nomeMaria che aveva giàun altro pretendente,Claudio. Nel marzo 1814 Clau-

dio minacciò Gasparoni con un coltello affinché non importunas-se più Maria, ma Antonio non si lasciò sopraffare e uccise il con-tendente con la sua stessa arma. Lo stesso giorno morì sua madreper via di una grave malattia. Ricercato per l'omicidio, abbandonòla casa paterna: iniziava circa 10 anni di latitanza da fuorilegge.Qualche mese doposeppe che un certoGiuseppe l'accusavadella uccisione delsuo amico Claudio,Antonio inutilmenteproclamava la sua in-nocenza, giustifican-dosi col fatto di esse-re stato provocato. Difronte alla minacciadi essere denunciato,Gasparoni decise dicommettere un se-condo omicidio el'imprudente Giusep-pe si prese quattropugnalate.

I PRIMI CONTI CON LA GIUSTIZIA PONTIFICIAPer i due omicidi commessi venne mandato al domicilio forzato aCento, mentre il suo compare Pietro Rinaldi fu mandato a Ferrara.Qui col fratello di Diomira, il bandito De Paolis, progettò la fugae convinse Gasparoni a fuggire con loro. A questi venne però ilsospetto che la notizia della loro imminente fuga si fosse diffusa epropose inutilmente ai suoi compagni di scappare subito, così Ga-sparoni proseguì da solo a piedi fino in Ciociaria.

IL BRIGANTE CONFINATO A CENTO(Testimonianza di Masi)

Dopo i primi omicidi commessi Gasparoni non riuscì a sfuggirealla giustizia e fu condotto, con la moglie Diomira De Paolis, aCento. Qui gli assegnarono una camera in un osteria. Diomiranon sopportava la situazione e si rifiutava di uscire di casa per-ché al tempo le donne non potevano allontanarsi dall’uscio. In-vece Gasparoni si fece qualche amico, ci fu chi cercò anche diprocurargli, invano, un lavoro: non era certo nato per faticare.Il brigante comunque alla famiglia preferì la libertà e, dopo unanno e cinque mesi, fuggì da Cento (17 agosto 1820). Vedremo in seguito la triste storia di Diomira una donna dispe-rata ma dotata di una suagrande dignità.

UN DELITTO PENO-SISSIMOI due banditi, fuggiti da Bo-logna, forse con un terzocomplice furono autori di unefferato delitto. Senza dena-ro, assalirono la carrozza delmarchese Francesco Mare-scotti, scambiato forse per ungendarme, poiché teneva unfucile sulle gambe, spararo-no, ferendo cocchiere e do-mestico e uccidendo la mar-chesina Giulia.Rinaldi e De Paolis, secondoil Masi, furono catturati dopoquattro mesi, e giustiziati aBologna nell'ottobre 1814.

UN'IPOTESIIl barbaro omicidio fece scal-pore e l'influente famiglia re-clamò subito giustizia, cheappunto fu rapida e decisa,ma … forse mancava ancoraun terzo bandito: Gasparoni!Per tutta la vita il nostro siproclamerà innocente, ma ildubbio però rimase. L'ostilità

dei Marescotti potrebbe essere una dellecause della reclusione pontificia sine die,avvenuta infatti senza processo, quindisenza sentenza sulla colpevolezza dellamorte della giovane. Una vendetta?

GASPARONI CAPO BANDARicercato per omicidio, Antonio si unìalla banda Masocco che presto passò coibirri, e in cambio dell'indulto divennecacciatore di briganti. A quel punto Ga-sparoni divenne il capo di 13 uomini.Quando sostarono in una zona nelle vici-nanze di Sonnino lo raggiunse Maria.Una sera tra i due nacque un litigio per-ché la donna lo incolpò dell’omicidio diClaudio, Antonio mosso dalla gelosia peril passato non ci pensò due volte e ucciseanche lei!

UNA VITA DA BRIGANTE

Esaminando il testo edito a Milano Il ma-snadiero Antonio Gasparoni, vediamoqualche esempio che ci porta nella vitaquotidiana, reale e romanzata, di un bri-gante pre-unitario.

Aprile 1816La banda nel 1816 in pianura nella macchia di Caserta ospita dueinglesi che desideravano incontrare il capobanda. Dopo qualchegiorno di baldorie insieme, gli inglesi lasciarono ai masnadieriuna borsa d'oro e la promessa, poi mantenuta, di procurare loroarmi.

Alcuni atti di brigantaggio dal 1817 al 1819Il sequestro del colonnello Cotenover che analizziamo a parte,

forse l'impresa accertata più importante.Nella primavera del 1818, Gasparoni, poiché era analfabeta, fa

scrivere una lettera al suo segretario Masi [è impossibile costuientrò nella banda nel 1824] per chiedere a Minocci, un vecchioamico, e ai suoi uomini di unirsi alla sua banda. A marzo infatti ledue bande si uniscono in una formazione di venti uomini.

Su una strada vicino a Fondi fermano una carrozza signorile, uc-cidono cinque soldati e mettono in fuga gli altri. Come saprannoin seguito, questa trasporta la regina di Spagna e sua figlia colloro seguito. Vengono liberate in breve tempo con il riscatto di8.000 ducati [episodio inventato, di vero forse il valore di un ri-scatto richiesto in quel periodo].

Nel 1818 sono uccisi quattro birri che, per ordine del Delegato diFrosinone, s'erano finti briganti per infiltrarsi nella banda e ucci-dere il capo.

La banda cerca Domenico, un manutengolo che ha tradito per in-tascare la taglia su Antonio. Trovato il traditore lo uccide e co-stringe i suoi garzoni a mangiarne pezzi del corpo , come punizio-ne perché essi non rivelato subito dove il padrone si fosse nasco-sto. [potevano gli ostaggi subire mutilazioni come le orecchie, eGasparoni li ha compiuti, da dimostrare invece il verificarsi diepisodi di cannibalismo]

I masnadieri sono avvertiti che un furgone di denari sarebbe par-

tito da Napoli passando sulla strada perl’Aquila nei pressi della quale erano ac-campati. Fermano la carrozza che portaun generale: bottino 7.000 ducati.

Uccisione di Luigi un amico che avevatradito Gasparoni, per ricevere una ri-compensa.

Al convento di Gaeta estorcono 12.000ducati.

Il 9 settembre 1819 al convento di SanSalvatore rapiscono sei seminaristi, ilcardinale Lante [non provato] e 4 birriche poi uccidono. Ottengono 60.000 du-cati

Al convento dei certosini a Frosinonerapiscono dei frati che poi liberano conun riscatto di 30.000 scudi.

Gasparoni aiutato dal popoloNel 1819 dopo l’inverno sul monte Pon-tecorvo, si spostarono più a valle dove molte persone ben pagate provenienti da Frosinone e Velletri, portavano loro vitto,abiti e cibo. Questi aiuti sono frequenti, quanto spontanei si può immaginare. Di certo la popolarità dei briganti nelle cam-

pagne superava l'antipatia per birri e soldati.Primavera 1821:

sequestro Ruinetti (Rovinetti)A proposito dell'ostilità contadina verso i militari, non ha riscon-tro l'episodio che coinvolge colui che con il Pellegrini avrà unruolo fondamentale nella resa del bandito.Nel marzo 1821 Gasparoni per il tramite del cuoco del ColonnelloRuinetti viene a sapere che i Carabinieri avevano catturato moltidei suoi corrispondenti. Un giovane confidente gli confermò cheerano stati arrestati 200 manutengoli e che due di essi sarebberostati mandati a morte entro tre giorni. Il giovane confida ancheche il Colonnello ha un figlio, Emilio, che, assieme ad un amico,si reca spesso in una casa di campagna per incontrarsi con dellegiovani. Gasparoni sfrutta subito l'informazione e riesce a seque-strarli, obbligando Emilio a scrivere una lettera al padre in cuichiede di liberare tutti i detenuti in cambio della loro vita.Il Colonnello dopo due giorni di vane ricerche alla fine cede, libe-ra i detenuti compresi due condannati a morte. Gasparoni mantie-ne la parola e libera gli ostaggi.

Primavera 1821: Gasparoni feritoGasparoni tornando a Sonnino, tradito da un carbonaio, che mira-va alla taglia, è vittima di un'imboscata. Nello scontro a fuoco coni birri rimane ferito sotto la mascella, curata da un medico di Ter-racina. Appena in salute con i suoi torna alla capanna del carbona-io ed appicca il fuoco: il carbonaio muore nell'incendio.

Agosto 1821: i birri amici!Il detto velluto e tromboni designava i briganti, A Sonnino Gaspa-roni chiede a Tommaso Antonelli, sarto e nipote del cardinale, diprocuragli del velluto per un vestito nuovo ma questi avvisa i bir-ri. Quando Gasparoni si reca per ritirare l'abito trova un birro diguardia che dorme, lo uccide e fugge. Pronti 40 birri escono dallacasa, ma non lo inseguono: fra di essi vi erano dei suoi amici!

L'alleanza con Di GirolamoNell'invernodel 1823 sullaMajella Ga-sparoni incon-tra il masna-diero PasqualeDi Gerolamoe la sua bandadi vallecorsa-ni, in cui c'eraanche PietroCipolla,. Uni-scono le loroforze e fannoun bel colposu un procac-cio scortato damolti uomini.

Due incontri: Cipolla e Gertrude

Nel 1825 muore l'altro importante capo brigante Di Gerolamo.Senza guida parte della sua banda, compreso Pietro Cipolla, siuniscono a Gasparoni.Antonio incontra la sua femme fatale, Gertrude Demarchis.

CARTOLINA DA SONNINO

IL RITRATTO E LA SUA CASA (?)

GASPARONI INNOCENTE O COLPEVOLE?La vicenda Marescotti secondo Masi

Il passo, tratto dall'edizione Atlante, seguel'originale francese, dove però l'omicidio è

attribuito a De Paolis.

Di Girolamo fu in realtà ucciso nel luglio del 1825,con il suo fido Trapani, mentre Feudo, ferito, verrà

esposto a Pastena in piazza, tra le teste mozze dei duee lasciato per un giorno agonizzare fino alla morte.

(Ed. Perino)

Page 5: Gasparoni il masnadiero. Mito storia e fantasia

L A R E S A

L'Editto Pallotta Nei libri di memorie èpresente questo edittoesempio di cattiva po-litica. Per Masi provo-cò anche ilarità: “ar-bitrariamente scon-volse ogni cosa senzarimediare alcun ma-le”, in sostanza per ibriganti fu una veramanna.Il Cardinale Pallotta fumandato da Leone XIIa debellare il brigantaggio il 15 maggio 1824 e richiamato dopomeno di due mesi.L’editto riduceva i corpi militari, gli affidava solo il controllo delle strade. I comuni, a proprie spese dovevano mettere in piedi una guardia di popolani. Questi erano tutt'altro che disposti a rischiare la vita,e inimicarsi dei soggetti violenti, spietati e vendicativi, dai quali lo stato non li proteggeva più. Così la caccia si indirizzava verso itinerari che evitavano i banditi ed anche i 1000 scudi per salvarsi la pelle. Veniva poi esclusa ogni ricompensa per spie, delatori, disonesti pronti a tradire per denaro;niente più amnistie, ma pena di morte entro 24 ore; 1000 scudi solo alla consegna di un brigante vivo o morto.Gli stessi comuni diventavano i principali responsabili della lotta al brigantaggio, dovevano controllare il territorio e, se i briganti vicompivano un'azione, erano chiamati a pagare le multe: al danno la beffa! Infine per favorire la cattura o l'uccisione dei banditi si ampliava la concessione dell'uso delle armi, ma solo allo scopo di combattere il brigan-taggio!Le lamentele dei co-muni per le spesecrescenti e la situa-zione peggiorata perl'assenza di forzapubblica, che permi-se a Gasparoni e socidi agire ancor più in-disturbati nel trian-golo, determinaronola svolta decisiva.

Il Delegato Cardinale BenvenutiIl successore, Giovanni Antonio Benvenuti fu colui che riuscì adebellare, per breve tempo, il brigantaggio nella Provincia diMarittima e Campagna. Il nuovo Editto del 4 luglio 1824 rein-troduceva i premi di 1000 e 1500 scudi per la cattura. Il Cardina-le cercò il rapporto con la popolazione facendo vedere che loStato era loro vicino, favorendo l'azione della case di missioneproposte da Gaspare del Bufalo. Abolì poi le licenze ai cacciato-ri appena rilasciate, introdusse una specie di coprifuoco e... chia-mò in provincia il famoso boia Mastro Titta mettendolo subitoall'opera perché la gente assistesse alle sue tanto truculentequanto famose esecuzioni.

Il tradimento e la fine di una “carriera”

I briganti chiude-vano la carriera oper morte violen-za, giustiziati, uc-cisi da compagniper riscuotere lataglia, o trattavanola resa per un'a-mnistia. Questa,talvolta, comporta-va un po' di prigio-ne, oppure il di-ventare birro, ol'espatrio comecredette Antonioaddirittura per

l'America. Si stava per aprire il Giubileo, le strade dovevano es-sere sicure per i pellegrini che affluivano a Roma, quindi la re-pressione del brigantaggio doveva essere decisa, anacronistica-mente tolleranza zero!La nuova fiamma Gertrude Demarchis [Geltrude De Marchis], di buona famiglia lo sollecitava a rifarsi una vita normale. Antonio era forse stanco e si sentiva braccato, il Papato voleva debellare il fenomeno eliminando un simbolo della resistenza alla legge. Poi ci fu il Pellegrini, abile mediatore, arrivista, che convinse Gaspa-roni a consegnarsi in cambio dell'impunità. Egli promise a Geltru-de che si sarebbero sposati dopo la resa, così avrebbero potuto vi-vere insieme senza più infrangere la legge. Quindi il brigante si

decise a incontrare Pellegrini insieme a Masi, il suo segretario Il 18 settembre 1825 si incontrarono sul monte di Sonnino, il pre-te portava uno scritto di Leone XII che prometteva la libertà se sifosse arresa tutta la banda. In circa 8 andarono con il vicario allachiesa della Pietà di Sonnino e deposero le armi e attesero che glialtri compagni dispersi nelle montagne si consegnassero. Per mo-strare agli irriducibili che il patto era rispettato don Pellegrini con-vinse Gasparoni e gli altri a recarsi a Roma per l'amnistia. conGertrude e le mogli al seguito.A Castel Sant’Angelo; forse lo stesso Antonio, Gertrude e le don-ne legate ai latitanti s'impegnarono perché tutti, secondo i patti, si arrendessero. Sappiamo che Cipolla, uno degli ultimi ci volle cir-ca un mese per cedere.A quel punto erano necessari 15 giorni di penitenza. A Gertrude fuprobabilmente proibito di andare a visitarlo e perciò non si videro più. Incarcerati a Civitavecchia, il capo in una cella a parte, forse incolpato dell’omicidio della Marescotti. Nessuno mai li proces-serà per un delitto che, dopo tanti anni, era ormai prescritto.

Chi fu il vero traditore?Nelle memorie Giuda fu sempre e solo il Pellegrini, falso, per Ga-sparoni, come tutto il clero. Non sappiamo se fu ingannato anchelui. La linea di Leo-ne XII era chiara:una volta disarmati ibanditi i patti veni-vano stracciati. Lo stesso Arcipretefu comunque un'uti-le pedina del Cardi-nale Benvenuti e delColonnello Rovinet-ti che, fermato piùvolte nella sua inten-zione di uccideretutti i malviventi,aveva segretamenteaccerchiato la bandanel bosco prima del-la resa, e seguiti dinascosto con le trup-pe nel loro trasferi-mento a Sonnino perarrendersi.

LA LIBERAZIONE

Ugo Pesci racconta l'incontro conGasparoni avvenuto pochi giorni

prima del 20 settembre 1870.

UN CARATTERE VIOLENTO

L'ANTICLERICALE PUNITOIl suo rapporto con la legge era pressoché assente; nessuno scrupolo aminacciare, e poi uccidere, laici o religiosi, donne o uomini, pur di ot-tenere gli scudi e alimentare una terribile fama. Bizzarra la sorte: unanimo così ostile alla chiesa, ricordiamo che siamo nello Stato pontifi-cio, verrà poi persuaso e fregato proprio da un prelato. Mai fidarsi dichi si detesta e a suo modo si combatte!.

IL CAPO BANDAUn uomo a più facce, per il Masi, burbero e scontroso, mutevole e im-prevedibile, anche rabbioso. Sappiamo che ci teneva a costruire unapropria immagine, basata sulla superiorità e sul rispetto, non nutrito dalui, ma per lui, non un semplice masnadiero, ma il capo. Altezzoso epresuntuoso, ambiva alla sottomissione dei suoi compagni che, difronte alla sua superiorità non potevano far altro che obbedire, altri-menti con lui rischiavano la vita.Era peraltro molto leale con i suoi compagni, si fidava di loro e loro si fidavano di lui, rispettandolo e assecondando i suoi ordini. Si preoccu-pava di spartire ogni bottino in parti uguali, senza mai [forse] preten-dere una parte maggiore di scudi o ducati.

UN GALANTE DONGIOVANNI?Amante delle donne, spesso impedì ai suoi compagni di brigata dicompiere violenze sulle donne, anche se si trattava di prigioniere. Adesempio, nel rapimento in pieno giorno di trentaquattro fanciulle da unconvento di monache di Monte Commodo, i briganti scelsero quelleprovenienti da famiglie che potevano permettersi di pagare il riscattopiù alto. Furono tenute nascoste per dieci giorni sulla montagna, maper una felice eccezione agli usi dei banditi, furono trattate con tutti iriguardi possibili senza rischiare alcun abuso. Il riscatto richiesto perciascuna variava dai 200 ai 1000 scudi romani.

LA QUOTIDIANITÀ DELLA VIOLENZALa sua infanzia è stata segnata da una educazione incline alla violenza.Presto orfano la figura adulta di riferimento rimase il fratello Gennaro,noto anche lui per una certa vocazione al brigantaggio, anche se daidocumenti appare sempre interessato alle amnistie. Il contesto in cui siformò era semplice e primitivo. Gasparoni in un diverbio ricorreva su-bito alla violenza e se molto alterato ad uccidere. Quasi sempre giusti-fica i suoi atti brutali con la collera, capace di trasformarlo in una be-stia, incapace in quel frangente di usare la ragione. E allora ... agisced’istinto, uccidendo chiunque gli sia sotto tiro.

NEMICI E VITTIMELe vittime principali erano nobili e ricchi di entrambi i sessi, utili perricavare cospicui riscatti e le risorse necessarie per vivere alla mac-chia. Somme ingenti erano destinate ai manutengoli, che garantivanoappoggi e informazioni, permettendogli di spostarsi e di agire con si-curezza.Il popolo tremava al sentire il suo nome; la fama di omicida era fonda-ta su una stima di circa 153 vittime! Considerato dunque il brigante più pericoloso della Provincia di Campagna e Marittima.Gli uccisi erano prevalentemente spie, informatori o banditi che tradi-vano, e la Forza, ossia i corpi militari dello Stato pontificio che avreb-bero dovuto reprimere il brigantaggio. Potevano subire mutilazioni an-che i sequestrati e gli ostaggi, se le trattative si prolungavano, adesempio nel caso di un riscatto molto consistente.Gasparoni teneva come prigionieri solo per potere ricevere in cambioun riscatto per la loro liberazione.A stranieri e visitatori, che si addentravano nei boschi per incontrarlo,narrarne le gesta o immortalarlo nei propri disegni, appariva moltoeducato, accogliente; in fondo erano innocui, soddisfacevano la suavanità, ne accrescevano il prestigio e il mito della sua invincibilità.

IN GRAZIA DI DIOCome ogni brigante, benché grandissimo peccatore, era devoto a qual-che santo, precetto o immagine sacra. Né lui né alcuno della sua bandaavrebbe mai potuto commettere un furto o un delitto di venerdì, gior-no, come altri periodi fissati dalla Chiesa, di penitenza o digiuno. Tuttii mesi veniva chiamato per confessarli un prete che, per paura, non mancava mai di dar loro l’assoluzione.

UN ABILE E ASTUTO STRATEGACome brigante sapeva il suo mestiere! Morto Massaroni, che era ilvero capobanda, molti briganti si unirono a lui, e fu con questi che rapìun Colonnello austriaco. In tale famosa vicenda, (analizzata a parte),ebbe l'occasione di dimostrare la sua perizia militare. La vallata dovesi erano rifugiati, fu accerchiata dalle truppe pontificie, da soldati au-striaci e dalla Guardia civica, che avevano un fazzoletto bianco anno-dato sul cappello come segno di riconoscimento. Per confondere i sol-dati usò lo stesso segno, riuscendo così a passare in mezzo a loro sen-za che fosse sparato un solo colpo e liberando il Colonnello. Clemen-za? Sì, ma unita alla convenienza!

La stampa di Pinelli raffigura la trattativa tral'Arciprete Pellegrini e Gasparoni, che avràcome esito la fine della banda e una lunga

prigionia di 45 anni.

Il Masi ci presenta un quadro meno nobile. Una giovane resiste alle sue offerte galanti prima e al tentativo di violentarla poi ...

Alla Camera il deputato Polesello ricordal'Editto Pallotta e Gasparoni. (5.3.1866)

Page 6: Gasparoni il masnadiero. Mito storia e fantasia

I S E Q U E S T R I D A L 1 8 1 5 A L 1 8 2 1Nella seguente tabella sono riassunti tutti i sequestri operati dal brigante Antonio Gasparoni e dalla sua banda, tra il 1815 e il 1821, nei territori

compresi tra il Lazio e la Campania, secondo quanto riportato nel libro che racconta la vita del masnadiero di Sonnino edito dal Barbini.

TIPO DI SEQUESTRO COME AGIRONO VALORE DEL RISCATTO ESITO

Giugno 1815I briganti fermano la carrozza signorile del Sotto-prefetto di Napoli appena fuori dal bosco di Pofi.

Non vengono descritte le modalità del sequestro, sembra però non violento.

Al Governo vengono chiesti 8000 ducati per la liberazione.

Il Governo manda subito il riscatto da Pofi per mezzo di un pastore.Il prefetto è liberato.

2 Luglio 1815La banda di Gasparoni si imbatte in due signori: Gioachino Preda e Giovanni Miraglia.

I due vengono catturati e costretti a seguire la banda. Apparentemente non viene commesso alcun atto violento.

Utilizzando un contadino come messo, vengono chiesti al comune di Frosinone 10000 scudi come riscatto per i due.

Il comune consegna tempestivamente la somma richiesta tramite ilmesso-contadino. I due vengono rilasciati.

Aprile 1816 Giunto al convento di Monte Velletri, Gasparoni costringe quattro frati a seguirlo, tra cui il priore.

I quattro frati vengono condotti a una buonadistanza dal convento, e vengono costretti a scrivere al segretario di Stato di Velletri unalettera con la quale veniva richiesto un riscatto.

La somma richiesta per i quattro ammontava a 60000 scudi.

Il segretario di Stato manda subito il riscatto, temendo per l’incolumità dei prigionieri, accompagnato da un foglio con la firma del cardinale Consalvi, da Benevento. I frati sono lasciati liberi.

Aprile-Maggio 1816 Incontrato un pastore bisognoso, Gasparoni ed i suoi uomini si recano dal vecchio prete usuraio che risponde al nome di Giovanni, nel paese di Rocca-Massima.

Gasparoni induce il prete a seguirlo, con lui un ragazzo. “Per forza o per amore” conduce il prete sul monte. Vedutosi circondato dalla banda il prete chiede pietà per sé.

Vengono stabiliti 6000 scudi per la liberazione, i quali dovevano essere recuperati e consegnati dal ragazzo che accompagnava don Giovanni.

Il prete cercò di convincere il ragazzo a portare metà somma. Alla fine vengono consegnati dal ragazzo 4000 scudi. I due vengono rilasciati. Gasparoni consegna al pastore bisognoso quanto promesso.

Ottobre 1817Sulla strada da Napoli a Roma si imbattono in una carrozza da posta. La fermano e intimano ai passeggeri di scendere. Erano il colonnello Cotenover ed il suo servitore.

La banda costringe i due, senza far uso di violenza, a seguirla sul monte Laloboco.

Come prezzo per la libertà, Gasparoni impose al colonnello la somma di 10000 scudi.

Vengono consegnati 14000 scudi tramite il servo del colonnello. Quindi viene liberato.

Marzo 1818Sulla strada tra l’Epitaffio e Portella la banda si imbatte in una vettura scortata da dieci cavalieri.

Fanno fuoco sui soldati, cinque vengono uccisi, i rimanenti fuggono. Costringono le quattro donne e l’uomo occupanti della vettura a seguirli su un’altura. I compagni vogliono oltraggiare le donne. Gasparoni lo impedisce.

La somma richiesta ammonta a 8000 ducati. Tramite un confidente del brigante, la donna manda una lettera a Terracina per avere il denaro.

Il denaro viene consegnato. I prigionieri liberati. Gasparoni scopreche i sequestrati erano la regina di Spagna con la figlia, le dame e un uomo di corte. Rimpiange di non aver chiesto di più.

Agosto 1819Avvertita da un confidente, la banda di Gasparoni si porta sulla strada per Venafro. Di lì passa un generale sulla carrozza scortato da due cavalieri.

I cavalieri vengono uccisi e il generale rapito e condotto sul monte Venafro.

Viene chiesta, come riscatto, la cifradi 7000 ducati.

Il generale scrive e manda la lettera tramite un montanaro presso Venafro. La somma è prontamente consegnata. Il generale se ne vatotalmente indifferente.

Agosto 1819La compagnia di briganti si dirige presso un convento chiedendo del padre priore.

Gasparoni forza il priore e l’ortolano, il quale era lì con il priore, a seguirlo.

La richiesta per la libertà ammonta a12000 ducati.

Il priore manda la richiesta ad Avezzana tramite l’ortolano. In poco tempo la somma desiderata arriva. Il priore è libero.

6 Settembre 1819La banda giunge al convento di San Salvatore pressoil monte Longone. La porta è presidiata da sei “birri”.

La banda disarma quattro dei sei. Due si danno alla fuga. Giunge il cardinale Lante accompagnato da sei seminaristi e dal priore del convento. Tutti vengono condottisu di una altura. Il gruppo di prigionieri tenta una offensiva. Vengono uccise le quattro guardie.

La richiesta è di 60000 scudi.Due seminaristi vengono mandati presso il comune di Longone. Tornano con il denaro. I prigionieri sono liberati.

Ottobre 1819Gasparoni decide di recarsi a Frosinone per estorceredenaro ai frati certosini. Giunge al convento ed entrafurtivamente con sette dei suoi uomini.

Tre frati e due contadini vengono fatti prigionieri e condotti in un luogo sicuro.

Al più anziano dei tre viene chiesto di scrivere una lettera da mandare al priore del convento con la richiesta di molti denari come riscatto.

Il priore, letta la lettera, consegna al messo 30000 scudi. I cinque sono dunque liberi.

Marzo 1821Vengono catturati dalla banda, presso una cascina, Emilio, figlio del colonnello Ruinetti, e Federico, unsuo amico.

Senza troppi problemi si recano presso il monte Pontecorvo.

Il riscatto consisteva nella liberazione di alcuni uomini accusaticome manutengoli di Gasparoni.

Il colonnello dispiega le milizie ma senza risultati. I detenuti vengono liberati e si ricongiungono con Gasparoni. Emilio e Federico vengono rilasciati.

Abbiamo analizzatoquesto famoso caso

rilevando le differenzepresenti delle nellevarie edizioni, le

prime due del Masi, laterza del periodo di

Abbiategrasso

1867 1867(ed.

1952)

1877

Il Colonnello ... Gutnohfen Francoise - - - Cotenover

Data rapimento Marzo 1822 Marzo 1822 Ottobre 1817

Somma richiesta (scudi)

40.000 (poi ridotti a20.000)

20.000 10.000

Somma ottenuta nessuna nessuna14.000 (tramite il servo

mandato tre volte a casa)

Trattamento ostaggio

Preoccupato per latristezza del rapito,

Gasparoni gli procurarum e vini stranieri

Gasparoni premuroso faarrivare da Fondi malaga

e rum di cui ilColonnello era ghiotto

Riceve vino e viveri dalservo quando torna con le

somme del riscatto

Gasparoni

Appare sempre deciso a mantenere la parola data, clemente da evitare la morteal Colonnello, che rispetta forse considerandosi anch'egli un ufficiale, si

dimostra capo assoluto della banda, è abile stratega nel fingersi un cacciatoredi briganti ed eludere l'esercito

ColonnelloAmmirato da Gasparoni in cui ha fiducia, leale, sincero nelle lettere che scrive

per richiedere il riscatto, pronto ad aiutare i briganti

Esito rapimentoLa liberazione Colonnello e sua promessa di

liberare i parenti dei banditi

Al momento dellaliberazione il Colonnello,con una stretta di mano,

promette se possibile aiutiin futuro

Senso dell'impresaIl sequestro fu un fatto clamoroso immortalato anche nei disegni dei pittori,l'impiego dell'esercito, peraltro poco a suo agio tra i boschi, fece crescere la

fama del brigante

È vera la storia e reale la magnanimità di Gasparoni? Quella del sequestro del colonnello Conte di Condenhaven è forse la prima vera impresa di Gasparo-ni, e la più famosa perché coinvolgeva un generale austriaco: l'esercito di un impero messo sotto scac-co da quattro pecorai! Ma come realmente andarono le cose? Diverse le versioni che sono state diffu-se e molti particolari sono in palese contraddizione tra loro. La tabella a fianco schematizza i conte-nuti riguardo al sequestro del colonnello provenienti da tre differenti edizioni. Masi così risponde:“Vittori oggi è morto e non potrebbe far fede dei tentativi operati da Gasbarrone per salvare il colon-nello austriaco dalle sue smanie omicide. La verità di questo episodio è confermata dal fatto che nel1832 l'ambasciatore austriaco presso lo Stato Pontificio venne a visitare Gasbarrone, che si trovavarecluso nel carcere di Civitavecchia, ed a nome del colonnello gli donò quattro scudi; ugualmentefece il console Andrea Palombi inviando uno scudo nella ricorrenza di qualsiasi festa civile o religio-sa. Il colonnello divenne poi generale ed infine morì; ma la sua riconoscenza verso Gasbarrone sem-bra si perpetui anche dall'al di là (sic), perché recentemente, nel 1856, fu il figlio del colonnello a ve-nire a trovare Gasbarrone in carcere ed a regalargli una moneta di venti franchi a nome di sua ma-dre. Il giovane, che s'era fatto religioso, espresse il desiderio di udire il racconto dell'avventura dallastessa bocca del protagonista, sebbene l'avesse sentita tante volte narrare dal padre e dalla madreche gli sembrava ormai più una favola che una storia vera.”. (fonte: Colagionanni Triangolo, pagina 501).

Da osservare l'errore del pittore Pinelli che nella didascalia attribuisce a Massaroni il sequestro,rappresentando il capobanda con le fattezze del bandito che aveva già ritratto.

Un colonnello tedesco arrestato da Massaroni è portato sulle Montagne e costretto a scrivere un biglietto di due mila scudi per essere posto in libertà

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IL BRIGANTAGGIO:UN FENOMENO A DUE FACCE

La parola brigante, che deriva dal francesebrigand, definiva in passato l’appartenentealle bande di predoni che infestavano am-pie regioni della penisola. Il brigantaggiosi sviluppò soprattutto durante l’Ottocentoe assunse forme molto differenziate neiluoghi e nei tempi, secondo gli scopi cheperseguiva e secondo le tecniche di attua-zione. Non era solo una forma di banditi-smo caratterizzata da azioni violente ascopo di rapina ed estorsione; i brigantierano anche combattenti e, dopo l'unità,capi di rivolte con aspetti anche socio- po-litici.Il brigantaggio ha due fasi. Primadell’Unità d’Italia si era briganti per “pro-fessione”, senza avere degli ideali politici,mentre dopo il 1860, rappresentò una pro-testa popolare contro la dominazione pie-montese. Lo Stato impose tasse, dazi e laleva di massa, che per i contadini fu vistacome un’assurda imposizione, profonda-mente ingiusta perché toglieva forza lavo-ro per la sopravvivenza di una famiglia.Inoltre, l'assenza di una riforma agraria lasciò le terre ai latifondi-sti e aggravò la già marcata differenza di sviluppo tra Nord e SudItalia nell'ambito di quella che verrà definita la questione meridio-nale. Di fronte a questa situazione il Piemonte rispose con leggidurissime (Legge Pica - 1863) per reprimere il brigantaggio.

LA SUA DIFFUSIONE

Il fenomeno del brigantaggio si diffusenell’Italia meridionale, ex regno delledue Sicilie, ma la sua presenza siespanse anche nell’Abruzzo e nel La-zio meridionale. I territori che eranogravemente infestati da questa formadi criminalità erano quelli della dorsa-le montuosa dell’Appennino. Eccoli infondo a un fosso, avvolti nel loro man-tello, sulla terra coperta a malapena difronde delle querce, soprattutto, neifolti boschi dove si insediavano nellegrotte naturali o nelle baracche e inaree dove si addestravano attraversoveri e propri esercizi militari. L’arma-mento era costituito soprattutto dalledoppiette da caccia dei contadini, rara-mente da fucili di tipo militare sottratti

alle guardie nazionali. Quando una banda sostava da qualche par-te, prendeva tutte le misure precauzionali tipiche di un esercito inun paese nemico. Sentinelle, a cui era dato il cambio a brevi inter-valli, erano collocate nei diversi punti da cui potevano essere coltidi sorpresa.

PROVENIENZA SOCIALE E ORGANIZZAZIONE

I briganti erano soprattutto braccianti e contadini, classe socialeche rappresentava circa il 70% della popolazione. A parte le que-stioni economiche e sociali, un fattore era pure la voglia di avven-tura, di fuga dalla quotidianità, di diventare famoso e temuto, cosìalcuni si diedero alla macchia.Per diventare brigante bisognava aver commesso almeno un omi-cidio e i novizi non dovevano avere più di trent’anni o aver stu-diato. Questo perché i più anziani o istruiti avrebbero potuto ri-flettere ed arrivare al tradimento. Inoltre non dovevano avere pa-renti in polizia o averne mai fatto parte. I banditi obbedivano a uncapo che deteneva un potere assoluto; era il bandito più anziano oesperto, che aveva la capacità di comandare e di farsi ubbidire.Possedevano anche una rete di informatori, talvolta all'internodella forza; Gasparoni millantava (?) che il cuoco del colonnelloRovinetti fosse un suo manutengolo. Essere capo non era facile,però era questo che acquistava fama e a cui spettava la maggiorparte del bottino, che veniva quasi tutto speso per il mantenimentodella banda e della rete di protezione sul territorio. Poiché era sta-to eletto liberamente, in caso di tradimento o di violazione deisuoi giuramenti poteva essere deposto o addirittura eliminato. Aldi sotto dei capi l'ordine gerarchico era per anzianità. I pastori, i migliori confidenti dei briganti, venivano mobilitati perraccogliere informazioni ogni volta ci fosse da ingaggiare un no-vizio, se le informazioni confermavano la sua necessità di scappa-re dalla giustizia veniva accettato, altrimenti rispedito a casa. Sequello poi, per timore della prigione, insisteva per rimanere, il ca-pobanda gli faceva presente la gravità del passo che stava percompiere, i guai a cui sarebbe andato incontro e la brutta vita cheavrebbe dovuto condurre. Se non era possibile fargli cambiareidea, il novizio veniva armato.

REATI

I briganti di solito agivano disorpresa calando giù dai montie assalendo così le loro vittimeche sequestravano o rapinava-no. Naturalmente, per liberare isequestrati chiedevano ingentiriscatti che andavano a rimpol-pare il gruzzolo che ogni bandapossedeva. Dopo aver seque-strato una persona, infatti, ilcapo brigante doveva far perve-nire alla famiglia il “biglietto”con la richiesta di riscatto. Que-sti messaggi contenevano spes-so spaventose minacce riguar-danti la sorte che sarebbe statariservata all’ostaggio, in caso dimancata o incompleta o impun-tuale soddisfazione della richie-sta. Dopo aver ottenuto il dena-ro, solitamente, liberavano lavittima; se, invece, non riceve-vano nulla non si facevanoscrupoli ad ucciderla.

RAPPORTO CON IL POPOLO E IL CLERO

I briganti si facevano amici fidati detti manutengoli, li tenevanomolto cari e li trattavano con gran riguardo. I più importanti eranogli armaioli, i sarti, i vetturali, i calzolai, gli orefici e quanti altriricettavano la refurtiva. Sostanzialmente un po' per forza un po'per rivalsa verso le ingiustizie, il popolo era il loro maggior soste-nitore. I nuovi non erano ammessi a conoscerli e contro di essi ilgoverno prevedeva pene simili a quelle riservati ai banditi. Quan-do il capo banda desiderava qualcosa, inviava loro un contadinogià precedentemente indicato dalle parti e, per suo tramite, ordina-va il lavoro, versando la metà del prezzo pattuito. Anche alcuni preti aiutavano i briganti in cambio di somme di de-naro, ma se si sentivano esposti o minacciati passavano in frettadalla parte delle autorità.Decisamente ostili alle autorità religiose che nello Stato pontificioricoprivano anche incarichi amministrativi e di ordine pubblico.

ABBIGLIAMENTO

I banditi avevano una specie di uniforme, il loro pittoresco costu-me aveva infatti qualcosa di militare. Sul capo erano soliti indos-sare un cappello a punta, piuttosto alto, di feltro, adorno di cordo-ni o nastri di diversi colori. La giacca, di panno con tasche da en-trambi i lati, era bordata d’argento per i capibanda e di fettucciacolorata, solitamente gialla, per gli altri. Portavano un mantello dipanno scuro gettato sulle spalle; un panciotto ornato da due file dibottoni d’argento; una camicia aperta dal collo ripiegato; una cra-vatta, i cui due capi erano tenuti dagli anelli e dalle fedi nuzialirubate.Indossavano pantaloni corti di panno blu, con grosse fibbied’argento su bretelle rosse. Le calze erano legate alla gamba da

piccole strisce di cuoio, terminanti in sandali o in grosse scarpechiuse. In vita portavano una larga cintura di cuoio con dei tagliper infilarvi le cartucce; un budriere (cinghia di cuoio ) da cuipendevano una sciabola, una forchetta, un cucchiaio e un pugnale.Al collo, un nastro rosso lasciava cadere sul petto un cuored’argento che conteneva delle reliquie e recava all’esterno, in ri-lievo, l’immagine della Vergine Maria col Bambino Gesù.

PECCATORI DEVOTI

Nessun brigante era ateo, tutti professavano la religione apostolicaromana, sebbene non si facessero scrupoli di calpestarne tutti i co-mandamenti. Di norma erano timorati da Dio, e devoti di qualchesanto. Musolino invocava la protezione di san Giuseppe, mentreGiosafatte Tallarico la Madonna del Carmine. Non era da menoDomenico Tiberzi, che si inginocchiava a pregare fervidamentefra gli alberi dei boschi, e si era scelto un luogotenente che si fer-mava a baciare i piedi di tutti i Crocifissi ai crocicchi. Sull'Aspro-monte, i briganti erano in prima fila fra i pellegrini che salivano ainizio settembre alla chiesetta della Madonna di Polsi. Ci andava-no armatissimi, ma in quella occasione si accontentavano di spa-rare allegramente in aria, in onore della loro amata Santa Vergine. Attaccavano spesso sui loro cappelli medaglie e immagini sacre,non dimenticavano mai di pregare, effettuavano digiuni ed invo-cavano il santo protettore prima di iniziare un'impresa. Facevanoeccezione alcuni fuorilegge del nord del Lazio, che combattevanola chiesa perché la ritenevano responsabile della miseria delle po-polazioni.

IL BRIGANTAGGIO IN MARITTIMA E CAMPAGNAFU ANCHE POLITICO?

Il brigantaggio del Lazio meridionale e nella Ciociaria, sviluppa-tosi all’inizio dell’800, durò circa venti anni. Tipico di una societàrurale, non fu sempre un episodio di mera criminalità, infatti sottola dominazione francese in Italia la chiesa, che non aveva inten-zione di seguire le novità giacobine, non lo ostacolò cercando diutilizzarlo con finalità antifrancesi. I capibanda provocarono spes-so in varie aree l’anarchia, tenendo in allerta il governo francese.In seguito, ritiratisi gli occupanti, il brigantaggio di trasformò inuna ribellione, individualistica e senza progetti politici, contro ilsistema del privilegio e della miseria, imposto dallo Stato pontifi-cio. Un quadro preciso della corruzione nella società di queglianni viene da un rapporto inviato dall’avvocato Fiori, uditore del-la Sacra Consulta e presidente della Commissione Speciale per larepressione del brigantaggio, residente in Frosinone, al CardinaleConsalvi, segretario di Stato, del 21 agosto 1822. Lo scomodorapporto descriveva le reali condizioni della provincia di Maritti-ma e Campagna fu presto archiviato per le carenze che denuncia-va nella amministrazione dei territori. L’analisi era spietata e nonrisparmiava nessuno, cominciando dai contadini e dai pastori por-tati dalla loro vita agreste e rozza al punto che “… talvolta soltan-to la loquela li distingue dagli armenti”; per passare ai preti defi-niti nella massima parte ignoranti e viziosi, corruttori del costumee “capaci di manovrare intrighi”, per continuare con l’ammini-strazione della giustizia dove “l’autorità del giusdicente baronalesottoposta a quella del proprio padrone non trovasse modo mi-gliore per guadagnare, di aggirare la giustizia o venderla”.

LE MISURE REPRESSIVE

Fra i numerosi cor-pi impiegati controi briganti, oltre alleforze statali figura-vano varie milizielocali come i Cac-ciatori o gli sbirridi campagna, dettiZampitti che, com-prendendo moltiex-briganti, spessoperò commetteva-no a loro volta rea-ti o aiutavano ifuorilegge: la poli-tica pontificia diquesti corpi fuspesso incerta, inun infinito alter-narsi di attribuzio-ne e successivo ri-tiro di compiti edincarichi. La legi-slazione in materiadi brigantaggio si fece via via più severa nel corso del 1800: proi-bizione per i parenti dei sequestrati di pagare il riscatto, distruzio-ne di case di briganti, taglio delle macchie ai lati delle strade perevitare agguati, chiusura di case ed osterie isolate, introduzione dipermessi di polizia per chi si allontanava dalla propria abitazione,deportazione di intere famiglie e confisca dei beni.

L ' u n i f o r m e d i G a s p a r o n i

[da T. Maiorino, Storia e leggende di briganti e brigantesse]

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IL FASCINO DEL FUORILEGGE

Varie testimonianze riportano una vera e propria moda a inizioOttocento, da parte soprattutto di viaggiatori stranieri, di visitare ilcentro e sud della penisola anche con la speranza di vivere il fati-dico incontro con i briganti. Considerati come dei romantici ribel-li, giustificati spesso nelle loro azioni dal giudizio fortemente ne-gativo verso la politica papalina e del napoletano, aree che rappre-sentavano un modello di arretratezza sociale, economica e cultu-rale.La rapida mitizzazione dei briganti li presentò come delle vittimeviolente che cercavano giustizia; ispirarono numerosi versi, ro-manzi, ballate popolari, e costituirono una ricchissima fonte diispirazione per pittori e incisori dell'epoca.Il più famoso fu lo stravagante Bartolomeo Pinelli (1781-1835)che trascorse un periodo nei boschi, dormendo nelle grotte, in-somma vivendo da bandito per ritrarre dal vivo i fuorilegge. Liimmortalò soprattutto nel corso delle loro azioni, lasciandoci peròanche splendidi quadretti, più intimi, di scene di vita familiare e dimomenti di raccoglimento, perché, come detto, i briganti mesco-lavano religione e superstizione. È chiaro comunque che l'artistasolleticava la vanità dei briganti stessi, vogliosi di essere immor-talati e acquisire una notorietà di potenti fuorilegge che potevagiovare alla loro causa.Un altro artista fu Luis Léopold Robert, (1794 –1835) che si trasferì in Italia nel 1818 e immortalò

fra l'altro numerose scenedi vita quotidiana dei bri-ganti del Lazio meridio-nale. Le sue pitture ebbe-ro grande successo al Sa-lone diParigi,inoltrei ritrattidei bri-ganti

furono desiderio di collezioni pri-vate.Pinelli e Robert sono gli unici ar-tisti che hanno raffigurato i bri-ganti curando la precisione per iluoghi e le vedute.Nel dipinto Il Brigante di guardiamentre la moglie riposa (1825) diRobert si riconoscono monti evallate vicine a Terracina.

LEGGENDE

IL TESORO DEI BRIGANTITra la popolazione del basso Lazio, si narrava di tesori nascostidai briganti nelle montagne, con la speranza di poter presto torna-re a prenderli. Risultata certa la carcerazione a vita dei banditi,non mancarono quelli che andarono a caccia della fortuna suimonti. Di alcuni, improvvisamente arricchiti, si diceva che aves-sero trovato il denaro nelle selve.È possibile che il tesoro giaccia ancora abbandonato in anfratti osepolto in qualche sito del quale si vorrebbe possedere una mappama in realtà nessun brigante riuscì mai ad arricchirsi, nonostantele rapine e i riscatti dei rapimenti, i costi per proteggersi nella lati-tanza non permettevano l'accumulo di molto denaro … e anche ilNostro sarà perseguitato ad Abbiate-grasso da un cercatore di tesori.

UNA TESTIMONIANZA

Numerose le descrizioni delle impresecriminali narrate dagli stessi autori; quiinvece riportiamo una narrazione cheproviene dalle vittime, il rapito e i suoifamiliari, relativa all'area calabrese.Antonio Franco di Francavilla sul Sin-ni, Giuseppe Genovese di Terranova diPollino e uno originario dei pressi del-la città di Cosenza soprannominato ap-punto “il Cosentino”, erano tre capibriganti che nel secolo scorso [sec.XIX] si spostavano dalla Basilicataalla Calabria. Per un periodo stetteronei pressi dell’abitato di S. LorenzoBellizzi, organizzarono e attuarono il rapimento di un facoltoso proprietariodi quel centro: Restieri. Poiché il rapi-to era molto ricco, chiesero più volte ilriscatto alla famiglia. Le loro richiestedi capre, pecore, salame, prosciutti,formaggi ed altro erano così continue enumerose da costringere i familiari delrapito a mandare sette muli carichi diroba. Pur di non farlo uccidere, i fami-

liari cedettero alle numerose richieste e dovettero vendere nume-rose proprietà, principalmente terreni. Passò molto tempo e, nono-stante tutto, il Restieri non venne liberato. I briganti non contentimandarono alla moglie il lobo dell’orecchio del suo congiunto,aggiungendo che volevano anche la parte più grossa del loro capi-tale che non consisteva né in cibo, né in terreni, né in abitazioni oimmobili. Pretendevano la chioccia con i sette pulcini, tutti di oromassiccio, che avevano trovato nella grotta di Marsilia, situataall’interno delle gole di Barile.Ormai allo stremo, e pur di non rimanere vedova, la moglie delsequestrato fece pervenire ai briganti la chioccia d’oro. Il marito,ormai povero, fu liberato. I banditi avevano saputo dell’animaledal mulattiere, che aveva rivelato questo segreto per vendicarsidell’umiliante punizione che aveva subito dal Restieri che gli ave-va fatto perdere anche un occhio. Questa è la ragione per la qualei briganti glimozzarono unlobo dell’orec-chio e non glisottrassero sol-tanto soldi eviveri, ma an-che la preziosachioccia d’oro.(Leggenda Rac-contata Da Alcu-ni Anziani Di SanLorenzo Bellizzi,In Antonio La-rocca, Le Mono-grafie, 1996).Il trattamento riservato ai rapiti non era affatto da galantuomini,lo scopo era ricavare una consistente somma dal riscatto, le crude-li mutilazioni servivano a convincere la famiglia a non prolungarele trattative e sottostare alle richieste dei rapitori. La rete di infor-matori serviva anche a valutare il valore del rapito e fissare il va-lore del riscatto.La violenza era sempre giustificata: o vendetta per spie e traditori,o forza cieca che impedisce di controllarsi o come legittima difesaverso eserciti e guardie che cercano a loro volta di uccidere.

LA GROTTA DEI BRIGANTI

Secondo la credenza popolare la“Grotta dei briganti”, il rifugiodove costoro si ritrovavano pe-riodicamente per organizzare laloro attività, poteva essere il de-posito, che custodiva il bottinodelle loro imprese. Si raccontache era molto ampia e lo spaziointerno non si poteva immagina-re dal di fuori, perché l’entrataera solo una fenditura nella roc-cia, mimetizzata dalla vegetazio-ne.Si rovistò per anni tra gli anfrat-ti, tra i ruderi delle casupole edei rifugi montani e soprattuttola “grotta dei briganti” fu metadi un autentico pellegrinaggio.Molti anni dopo anni, un vec-chio pastore, nel giorno della fe-sta del Patrono, raccontò nella

piazza del paese la sua esperienza.Quando da giovane era andato afrugare quella fenditura nella mon-tagna, stanco, si era addormentato e in sogno gli era apparso ilcapo dei briganti, che gli aveva rivelato sghignazzando che il te-soro esisteva, ma che il cammino per arrivare ad esso sarebbe sta-to rivelato solo in sogno a lui oppure a qualche altro fortunato.Non restava che attendere il sogno rivelatore. Il vecchio riferì chel'aveva atteso inutilmente per tutta la vita. Ora, vicino alla morte,aveva sentito il bisogno di comunicare a qualcuno il suo segreto.Da quel giorno tutti i fortunati depositari del segreto aspettaronola notte e il sonno, con la speranza che questo potesse portare leindicazioni per arrivare al tesoro.

(Estratto da “Katundi Yne”, Civita, anno XXIV, n. 84, 1993/2.)

MUSEI E SITI DEI BRIGANTI

Il mito oggi prosegue nelle testimonianze raccolte nei vari museisparsi nei territori dove fu presente in brigantaggio e soprattutto inrete, dove accanto a utili informazioni si ritrovano, come novellavox populi, numerose inesattezze o fantasiose ricostruzioni, oltre anon infrequenti, per quanto riguarda il nostro Antonio, inesattezzeed errori.

Una moglie veglia il maritobrigante che riposa – 1826

Fonte http://associazionemoly.wix.com/moly#!bartolomeo-pinelli-e-il-gran-tour/cf7m

Una testimonianza del d'Azeglio (1798 -1866) sulle condizioni della Stato Pontifico:impunità dei banditi (i signori Assassini),appoggio del popolo e governanti che siriducono a patteggiare con un miserabilebrigante come Gasparoni

L'ambito scudo dei riscatti al tempo di Gasparoni sotto Pio VII (1800 – 1823)

Stemma pontificio. Intorno PONTIFICAT. ANNO XVII.In esergo valore: M. BAI

Legenda: PIVS / SEPTIMVS / PONTIFEX / MAXIMVS.Data: MDCCCXVI (1816) e segno di zecca . (B)

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Due dei compagni diavventura e sventuradi Antonio, molto di-versi fra loro, furonoMasi, il biografo, eCipolla pure lui fini-to ad Abbiategrasso.

Nacque a Patrica (oggi pro-vincia di Frosinone), paesenon lontano da Sonnino efece parte della banda negliultimi tempi della sua speri-colata attività. Catturato, etrascorse gran parte dellasua vita di recluso insiemeal capo. Spesso arrivava al carceredi Civita Castellana qualchevisitatore, il luogo di postaper cambiare i cavalli, lun-go la Flaminia, che con-giunge Marche e Umbriacon Roma, dava di cogli.l'occasione per una visita aidetenuti.Questa diffusa curiosità perle scelleratezze sue e avràconvinto Masi, l'unico alfa-betizzato, e il suo vanitosocapo a scrivere la storia delbrigante. Masi conosceva lagrammatica e la sintassi; perdi più, aveva una calligrafia

regolare, chiara, senza svolazzi, che a vederla poteva sembrarestampata, non ignorava forse neppure un po' di francese.Si può quindi ipotizzare, non era certo il tempo che mancava loro,che i due si misero all’opera anche come protesta della illimitatadetenzione senza condanna e frutto di un tradimento. Gasparoniraccontava meticolosamente ogni avvenimento della sua carriera eMasi, armato di penna e di calamaio metteva “in pulito” la narra-zione del brigante, spesso dissociandosi dalle giustificazioni cheAntonio forniva delle sue cosiddette imprese. Da questa strava-gante collaborazione venne fuori una fonte unica, benché parzialee carente nei documenti e nelle testimonianze.Masi riuscì a procurarsi, tramite il cappellano del carcere, gli edit-ti le notificazioni presenti nel libro, che peraltro, come successivericerche dimostrano, molte volte distorce i fatti, a cominciare dal-la stessa figura del capo banda, oggi viene molto ridimensionata.Quello però che Masi offre al lettore è il clima del tempo in cuiGasparoni e i suoi dettavano legge, col terrore e la sopraffazione,nell'allora provincia di Marittima e Campagna .Masi, a fatica compiuta, dovette pensare che le illustrazioni eranonecessarie per rendere più accattivante la vicenda, cominciandocon l’effigie del capobanda. A forza di penna, con l’aiuto di solitre colori, il nero, il rosa e il turchino, riuscì, senza macchina foto-grafica né tavolozza, a tramandarci un ritratto, riteniamo fedele,del detenuto Gasparoni.

LE PRIME EDIZIONI IN FRANCESEMasi arricchì dunque il suo volume, con illu-strazioni a penna, molte delle quali aprono oconcludono i capitoli; inoltre per una mag-giore comprensione della storia, decise dipremettere alcune notizie relative alle tradi-zioni del brigantaggio, che in quell'area lari-salire al 1799. La vicenda quindi si snoda neiprimi decenni del secolo XIX, fino al 1825,anno del Giubileo che segna la resa di Ga-sparoni e un momentanea interruzione del

fenomeno del brigantaggio.In un passo che Masi scrisse a Civita Castellana nel 1858, egli af-fermò che molte erano le esagerazioni e le fandonie riguardo leimprese e le malefatte del Gasparoni; fu anche per questo motivoche i due decisero di comporre questo libro. Inoltre Masi affermache fu l’ozio a invogliarlo nella stesura del libro e non lo ha fattoper la vanità di essere considerato l’autore.La prima edizione fu nel1866 a Parigi a cura diPaul, col titolo Les Mal-vivants, ou le brigandagemoderne in Italie, che utilizza il manoscritto, (575 pagine!) che,un anno dopo, nel 1867, verrà ripubblicato, in una versione piùscorrevole da un militare, il signor M. B.

L'ANONIMO UFFICIALE B.Il traduttore giunge in Italia nel 1862, e grazie alla posizione chericopriva nell’esercito poté visitare le terre dello stato pontificio ecosi approfondire la questione del brigantaggio. Grazie alla cono-scenza dei luoghi e delle vicende,nacque il suo interesse personaleper le memorie di Masi. Fu pro-prio così che il 18 Novembre 1866fece visita, in compagnia di 5 uffi-ciali, ai briganti nel carcere delforte. Prima incontra Gasparoni,poi Masi, il “segretario”. cui chie-de, con una certa emozione, di au-tenticare il manoscritto per poi po-terlo stampare. Uscirà nel 1867col titolo Mémoires de Gasbaroni.

TRA STORIA EDIVULGAZIONE

Nel 1887 l’editore Perino, cavalcai gusti morbosi e grossolani delpubblico con la Vita di AntonioGasparoni terribile capo di Briganti scritta in carcere da PietroMasi da Patrica a dispense. A ogni uscita, due volte la settimana,una squadra di strilloni, sciamava per le vie di Roma, proponendo

ogni dispensa a centesimi 5; con 2,50 lireanticipate si aveva diritto all’opera comple-ta. Questa la presentazione: “Chi non ha in-teso parlare di Gasperone, il famosissimobrigante stato per tanti anni il terrore delleprovincie soggette al Papa?”. Chi non saquanto egli fu astuto e feroce? chi non harabbrividito al racconto delle gesta (...)perfino amante d’Isabella di Spagna? Orastanno per vedere laluce le sue memo-rie, scritte da unsuo compagno e dalui dettate nella

quiete del ricovero di Abbiategrasso, dovemorì, vecchio di 88 anni.”Più fedeli al testo del Masi nel 1952 daGeraldini, edizioni Atlante, e nel 1959l'Editore Parenti con stampe del Pinelli.Molte furono in seguito le riduzioni, i ri-maneggiamenti più o meno fantasiosi e di-vulgativi sul personaggio.

CENNI BIOFRAFICIIl delitto fu per futilimotivi legati a un de-bito. Lasciata la mo-glie incinta della futu-ra figlioletta, una ve-dova bianca, che nonrivide, perché morì a73 anni il 5 agosto1870, entrò in unabanda e, come novizio, portava il barilotto dell'acqua.Poi l'incontro con Antonio. Scrive Colagiovanni: “Nel caso diPietro Masi e Antonio Gasbarrone si verificava una congiunturadoppiamente pirandelliana: vi era il personaggio in cerca d'auto-re e l'autore in cerca del personaggio che gli permettesse di in-gannare i lunghi anni di carcere”. (da Il triangolo … p.342)La sua carriera fu di lacchè del capo,poco appassionato alle azioni brigante-sche, bassa statura, faccia rotonda e gras-sa, occhi biancastri, amante delle letture.Una vita quindi già da prigioniero, mascappare, consegnarsi o trattare era tradi-re i compagni e quindi essere ammazzato.Sperò, vanamente, che l'ufficiale francesetraduttore del manoscritto potesse liberar-li conducendoli in Francia. Della monu-mentale biografia pare che avesse scrittodei brevi sunti che poi vendeva ai visita-tori. Uscito di prigione tornerà a Patrica.

L'IRRIDUCIBILEPietro Cipolla nacque nel 1802 a Vallecorsa uno dei tre vertici delfamoso triangolo dei briganti. Inizialmente era nella terribile ban-da di briganti di Pasquale de Gerolamo, composta da vallecorsanidecisamente rivali dei sonninesi, considerati forse più propensialla mediazione per le resa.Tra il 1823 e il 1824entrò nella compa-gnia di Gasparoni...ma i due non si vi-dero mai troppo dibuon occhio e i lororapporti furono pro-babilmente sempre tesi con frequenti alterchi.Cipolla, quando faceva ancora parte della banda di Pasquale, ucci-so a Pastena dai birri, non voleva che i suoi compagni si unisseroa Gasparoni; aumentare la masnada di grassatori, avrebbe impedi-to, a sua volta, alle piccole bande di sfruttare durante l’inverno lepopolazioni del Triangolo della morte.Si può anche ipotizzare che il principale motivo di attrito fu chePietro non poteva perdonare al Gasparoni di aver ceduto alle ipo-crite promesse del monsignor Pietro Pellegrini, il quale aveva pro-posto un accordo riguardo la consegna (che si rivelò poi un arre-sto) di tutta la sua banda. Sappiamo infatti che il (giustamente)diffidente Cipolla, fu l’ultimo a consegnarsi, nell'ottobre del 1825,dopo circa un mese dalla resa di Gasparoni, e rivela l'autonomiarispetto al capo banda e la contrarietà nei confronti di quella scel-ta, col senno di poi, tragicamente confermata.Il caso volle, usciti di prigione, il Cipolla continuasse a condivide-re la detenzione con Gasparoni nella Pia Casa.

UNA CONTINUA RIVALITÀ È il Croci a raccontarcidel Cipolla ad Abbiate-grasso. Secondo lui, Ga-sparoni pagò un fanciulloper dare a Cipolla unospintone che gli provocòla frattura del un ginoc-chio, causa della suamorte. Esiste però ancheun'altra versione.Cipolla muore di ga-stro-enterite il 30 agosto1873 a settantuno anni.

Lombroso esaminò dapprima il cranio dI Cipollasempre grazie a Camillo Golgi!

Nell''Uomo delinquente (pag. 3, 4 e 7) del 1876 vi compare il nome diGolgi collegato a Cipolla Pietro di Vallecorsa come ferocissimo

assassino del Lazio. Sotto tutte le misurazioni del suo cranio

Certificato di morte e il racconto di Croci

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IL MITO DI GASPARONI

Questa frase, scritta da Alexandre Dumas nel Corricolo, a conclu-sione della sua visita al brigante nella prigione di Civitavecchianel 1835, spiega gli equivoci, e le tante falsità scritte sul nostroAntonio, oltre alla ingenuità degli stranieri che accorrevano al fa-tidico incontro col grande Gasparoni. Alcuni infatti si ritrovaronodelle controfigure di lui e dei suoi compari, lo videro intento a tra-durre dal francese con tanto di dizionario, possedere in cella unapiccola biblioteca, elogiare lo Stato che l'aveva rinchiuso.Senz'altro i resoconti romanzati alimentarono la fama e giusta-mente un altro francese, Stendhal, console francese nella stessacittà, poteva lamentarsi che, su cento viaggiatori che vi sbarcava-no, cinquanta erano desiderosi di vedere il famoso brigante e soloquattro o cinque lui, il console!

SUL NEW YORK TIMES SI PARLA DI GASPARONI!

Gasparoni fu tra i più conosciuti briganti italiani, la cui fama at-traversò addirittura l'oceano. Nell'articolo La carriera di Gaspa-roni, una volta re della montagna, ora l'ultimo dei briganti vie-ne ampiamente riassunta la vita di Gasparoni, da quando è iniziatala sua carriera da brigante fino alla sua reclusione presso Abbiate-grasso. Descritto come il classico malfattore dall'aspetto selvag-gio, Antonio racconta la sua vita sia come brigante che come pri-gioniero catturato con l'inganno e delle sue infinite scorribande erapine sempre nel rispetto degli ostaggi ai quali non veniva maifatto del male[?]. L'articolo riprende il testo di Masi con le soliteinesattezze, che esaltano la figura del capo.Qui si nota un altro aspetto importante. L'aver sopportato una lun-ga e ingiusta detenzione, ha contribuito a consacrarlo come sim-bolo del fuorilegge romantico, terribile e magnanimo, rude e ga-lante e generoso, a sua volta vittima di leggi inique e vendicative.Un altro elemento che procurò a un assassino di professione sim-patia e benevolenza, fu, come s'è visto, l'essere stato catturato coltradimento e l'inganno di una falsa promessa di libertà. Così il no-stro masnadiero è passato come una sorta di eroe senza macchia esenza paura, ingiustamente punito.

L'ANTICLERICALE VENOSTA

Felice Venosta (1828-1889),scrittore tra l'altro di pam-phlet antipapali , fu il cura-tore de Il Masnadiero…dell'editore Barbini Egli so-stiene che la Chiesa, che silamenta per le brutalità delloStato italiano, dovrebbe ri-cordarsi che col brigantag-gio utilizzò ampiamente me-todi violenti e repressivi.Negli editti si promettevanopremi a chiunque, briganticompresi, avesse fatto arrestare, uccidere o ucciso un bandito. Ga-sparoni viene giudicato una vittima della situazione di degrado,ignoranza e cattiva amministrazione dello Stato pontificio, secon-do il quale i sudditi non devono essere dotti ma ubbidienti.

IL PRESUNTO INCONTRO CON DUMASLo scrittore Alexandre Dumas (Villers-Cotterets, 1802 – Puys,1870) durante il suo soggiorno a Roma nel 1835, si recò aCivitavecchia per fare visita al brigante,che era lì incarcerato ormai da dieci anni.Riportò questa sua esperienza ne Ilcorricolo, pubblicato nel 1843.Numerose le invenzioni. Il governatoredel forte, nell'accompagnarlo all'incontrocol Napoleone delle montagne, gli rac-contò del primo reato: incendiò una villaper rubarvi un vestito e delle gioie perl'amata Teresa. Sempre il governatore lopresentò come un colto poeta e musico,con conoscenze storiche, divenuto subitocapo e con una moglie che gli scrive.

Arrivato alla fortezza,Dumas rimase sorpreso:pensava di vedere “uomi-ni terribili, dallo sguardoferoce e dal pittoresco co-stume”, mentre trovò “dei

buoni villani, confisionomie bona-rie e sguardi be-nevoli”.Una volta nellacella, Dumas ri-mase nuovamentecolpito. Tra i po-chi libri: Telema-co, Paolo e Virgi-nia, le Novellemorali di Soave eaddirittura un Di-

zionario francese con cui si dedicava personalmente alla traduzio-ne del Telemaco in italiano. [!]Inutilmente Du-mas cercò di farsinarrare alcunianeddoti sullasua vita prece-dente, questi ognivolta cambiavaabilmente discor-so, così rinunciòper non sembrare indiscreto. Prima di congedarsi, provò a lasciargli del denaro che Gasparoni,offeso, rifiutò: “Sua Santità mi dà due paoli al giorno per i ta-bacco e l'acquavite: e ciò mi basta. Ho preso qualche volta, manon ho chiesto mai l'elemosina”. Dumas restò mortificato e puredeluso per non aver fatto colpo sul brigante, però, come già detto,dubitò anche dell'identità di Antonio.Si ritiene che l'influenza del nostro masnadiero si ritrovi soprattut-to ne Il conte di Montecristo e Robin Hood. Lo scrittore francesecomunque continuerà, come vedremo, a interessarsi ad altre figu-re importanti del bri-gantaggio quali Ma-ria Oliverio.

Numerose le opere che,rifacendosi ai testi diMasi, celebrano ilbrigante, spesso conaggiunte fantasiose.

Il mito, a parte i raccontiorali dei cantastorie, sisviluppa grazie ailetterati, poi se neappropria la narrativadivulgativa.

EDMOND ABOUTIl grand'uomo che ne aveva ammazzati tanti piccoliEdmond About (Dieuze, 1828 - Pa-rigi, 1885), in Roma contempora-nea del 1860, raccontò il suo viag-gio a Sonnino e l’incontro con unex brigante della banda e con lostesso Gasparoni, che afferma esse-re nato a Prossedi. Il suo viaggioiniziò il 10 giugno 1858.L'anonimo compagno di Antoniospiegò che lì ilbrigantaggio eracessato perchéera diventato unmestiere sconve-niente con LeoneXII, quando unuomo preso erasubito decapita-to.Il racconto sem-bra verosimile: ildetenuto vuoledel denaro. Inol-tre About non di-mostra alcunacompiacenza peril criminale e sirifiuta, alla finedel colloquio, diprendere il maca-bro elenco offer-togli coi nomidelle 127 personeuccise, “se non inganna la memoria”, aggiunse Gasparoni!

UN CRUDELE GALATUOMO?Il 18 novembre 1866 l'anonimo traduttore del manoscritto di Masi in-contra a Civita Castellana la banda e il capo, il Roi de la montagne. Sela figura del brigante è un po' di maniera, l'autore peraltro offre alcuneriflessioni sulla crudeltà del soggetto, che non va mitizzato, ma ripor-tato ad una dimensione più consona per uno spietato assassino.Vediamo qualche punto della sua testimonianza. AspettoVestito da prigioniero, porta il cappello da brigante; statura imponente,membra vigorose, uno sguardo sempre pieno di fuoco, barba bianca efolta: il prototipo del capo banda.Stato d'animo.Come ha fatto a resistere alle sofferenze di una lunga detenzione?Oggi, a 74 anni, lo deve ad una costituzione di ferro, alla tempra e alcarattere forgiati da un'educazione selvaggia, e soprattutto all'impassi-bilità di un anima impermeabile alle emozioni e ai rimorsi.Le sue impreseAccogliente e rispettoso, conferma la verità delle vicende narrate neicapitoli che gli vengono letti. Poi narra l'episodio del colonnello au-striaco e subito emerge l'indole tipica del brigante: intelligenza vivace,ma rozza, spirito d'avventura e d'indipendenza, cuore reso bronzo daicombattimenti, dalle sconfitte e dal risentimento, natura inflessibile erude come i monti dove si è formato. Ribelle anche alle mollezze dellaciviltà che lui respinge e della quale ha conosciuto solo i rigori.La sua eticaMolto semplice. Tutto si giustifica col primato della forza, della teme-rarietà e della vendetta personale. L'unico crimine è il tradimento con-tro il quale riversa tutto il suo disprezzo. Unisce poi in modo bizzarroun fatalismo superstizioso al culto della Madonna, associando senzascrupoli gli istinti della depravazione e della ferocia!L'ignoranza come valoreDisprezzando qualsiasi tipo di istruzione, non ha mai sentito la neces-sità di imparare a leggere e a scrivere. Per avere la sua firma s'è dovu-to guidare la penna sulla carta, tanto che urlò: “Un tempo la mia manosapeva impugnare e maneggiare il pugnale!”.Giudizio sul suo passatoRivela orgoglio e rimpianto della sua vita da brigante, lungi però dalprovare il minimo rimorso e vergogna per le proprie imprese barbare,anzi ne va sempre fiero. Rubare, rapinare a mano armata, uccidere aproprio rischio e pericolo: niente di più naturale, legittimo e glorioso!Nel suo territorio allora era una professione permessa e considerata.Sentimenti verso le sue numerose vittimeE i suoi innumerevoli omicidi? Mai gratuiti, ma sempre dettati da dife-sa o vendetta personale contro nemici dichiarati o nascosti. Aggiungepoi, alludendo alla propria generosità verso amici e complici,che:“Tutto il cosiddetto male di cui mi si accusa non potrebbe maicompensare tutto il bene che io ho fatto”. E questo basta ampiamenteper tranquillizzare la propria coscienza di brigante!!I veri rimpiantiSe avesse 50 anni tenterebbe la fuga e così potrebbe vendicarsi e tor-nare ai suoi monti dove era le Rois. Ma amaramente afferma che il bri-gantaggio puro, per vocazione, senza altri fini, la lotta mortale controistituzioni e governi, insomma la dura via da percorrere senza ritorno,è finito, perché oggi è al servizio di altre cause, s'è imbastardito con lapolitica, gli si è dato un brevetto, una bandiera, un pretesto onesto.

(riduzione e adattamento dall'originale francese)

Il New York Times del giugno 1882 per la sua morte

Cartolina ricordo dei detenuti sopravvissuti liberati con la fortezza

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I BRIGANTI DI STENDHALMarie-Henri Beyle,noto come Stendhal(Grenoble, 23 gennaio1783- Parigi, 23 marzo1842), è un noto scritto-re francese. Una dellesue tante opere, I bri-ganti in Italia, apparveanonima, col consensodell’autore, in uno scrit-to del cugino RomainColomb, un Giornale diviaggio in Italia e in Svizzera, pubblicato nel 1828.

Venire in Italia e incontrare i brigantiNella prima parte, Stendhal riporta il resoconto un assalto, che glistranieri viaggiatori in Italia speravano di subire, vissuto da Co-lomb il 5 maggio 1828, quando la carovana che lo stava portandoin Campania e fu appunto attaccata dai briganti. Erano otto, tra idiciotto e i venticinque anni, bassi, vestiti da contadini; il loro vol-to era nascosto quasi interamente da un fazzoletto. Erano anchearmati e, dopo essersi fatti consegnare tutti i beni dei viaggiatori,li fecero scendere e perquisirono la carrozza. Non usarono la vio-lenza, solo il conducente si prese una botta in testa. Il bottino fu dicirca mille franchi. Colomb e i suoi compagni sporsero denunciaalle autorità, che offrirono loro aiuti pecuniari, ma vennero rifiuta-ti, dato che tutti avevano il necessario per mantenersi fino allafine del viaggio.

I briganti: GasparoniLa seconda parte dello scritto di Stendhal parla dei briganti in Ita-lia. Essi venivano allo stesso tempo temuti e stimati, nonostante leterribili azioni che erano soliti compiere. Questo perché il popoloin Italia era influenzato dai racconti sui briganti, spesso esaltati erappresentati come degli eroi popolari: da qui nasceva un’ammi-razione profonda e diffusa. Stendhal racconta poi di Gasparoni. Ai soliti episodi aggiunge al-cuni dati molto fantasiosi sul tradimento finale di Geltrude, peral-tro mai a no-minata.

MERY E IL BOIAJoseph Mery( Marsiglia, 1797-Parigi, 1866), nel-la sua opera Lesnuits italiennes,contes nocturnes,del 1853, raccontòil suo incontrocon la banda Ga-sparoni. Sembravaun'allegra brigata,trattata bene. Gra-zie ai due soldi algiorno che ciascu-no riceveva, riu-scivano a provve-dere al proprio so-stentamento.

Con la fine di Gasparoni nelle paludi pontine il brigantaggio spa-rirà definitivamente: bene per i viaggiatori, male per i pittori.

Anche in questo caso vi sono fantasiose aggiunte come, ad esem-pio, la latitanza, dovuta all'omicidio commesso in una rissa a Na-poli, e la presenza di un tal Geronimo. I componenti della bandapoi non avevano l’aspetto di briganti, ma di borghesi, personeoneste vittime di un errore della polizia, [delle comparse?].

Un finto Gasparoni?Neppure Gasparoni aveva le fattezze da masnadiero: un viso dol-ce e un sorriso amabile. Era sobrio nei movimenti e non usava ge-sticolare. Raccontò qualche impresa, mostrando fierezza e lamen-tandosi per il tradimento subito dal Papa, insomma un quadroscontato e un po' manieristico, ma ecco la sorpresa: il boia!

Il misterioso GeronimoA questo punto, l'Autore notò una figura sdraiata accanto a Ga-sparoni. Oltre a fissare maniacalmente i bottoni dell'abito di Mery,non disse altro che di chiamarsi Geronimo e di essere stato il boiadella banda. Tutte le condanne a morte ordinate dal capo erano dalui prontamente eseguite. Ecco il vero assassino: impossibile cheil Santo Padre gli potesse mai concedere l’assoluzione e l'amni-stia. Geronimo il terribile non pareva tuttavia curarsene, anzi daval'impressione di essere spesso oggetto delle risate della compa-gnia.

PESCI: È solo un rozzo ciociaro!Ugo Pesci (Firenze, 1842 - Bologna, 1908),nella sua opera Come liberammo Roma raccon-ta la liberazione di Gasparoni prima di arrivarea Roma (si analizza in altra sezione).Ne I primi anni di Roma capitale (1905), riferi-sce della popolarità che godrà a Roma subitodopo l'uscita dalla galera e le ragioni del trasfe-rimento ad Abbiategrasso.

… MA FU VERA GLORIA?UN MITO COSTRUITO

Michele Colagiovanni, nel suo saggio Il triangolo della morte del2006, ha approfondito la carriera di Gasparoni. Per Pietro Masi,infatti, diventa capobanda sin dal suo arrivo nella compagnia,all’età di soli diciotto anni,nel 1811. In realtà, Antonio è semprestato un brigante semplice fino al confino a Cento nel 1818. In prigione, dettò a Masi le sue avventure passate, rendendoleanche più romanzate, per far sembrare le sue imprese più eroi-che e intrepide. Risulta evidente, invece, che molte vicende sonoinventate, con numerose contraddizioni e incongruenze nei variracconti e inconsistenti spiegazioni per giustificarle. Lo stessoPietro entrò tardi nella banda e quindi non poteva essere stato te-stimone degli eventi che narra.

Un esempio. Gasparoni non poteva essere capobanda ai tempidi Masocco, dato che era noto a tutti il suo ruolo di comandante,mentre Antonio afferma di avergli ceduto il posto, poiché si senti-va ancora troppo giovane per assumere una carica così impor-tante. Né fu capo prima della morte di Massaroni, 1821, fuorileg-ge di caratura superiore. Per quanto Masi si sforzi di trovare ri-scontri nelle notificazioni e negli editti, le narrazioni si fondanosolo sulle parole del brigante stesso, pertanto storicamente pocoattendibili. Masi, per quanto voglia essere oggettivo e non giustifichi la vio-lenza del suo capo, spesso tende autonomamente a rendere epi-che le azioni della banda, compiacendo la mentalità popolare dienfatizzare cifre e dettagli. Giovanni Rita, un membro della ban-da, prima di morire, uccise diciotto assalitori... in realtà furonosolo due!La figura di Gasparoni, da lui ingigantita, come s'è visto prosegui-rà alla grande nella pubblicistica ottocentesca, contribuendo adalimentare notevolmente la fama del brigante.

28 dicembre 1816: Notificazione del delegato Giuseppe dei MarchesiUgolini, apostolico delle province di Marittima e Campagna, in cuiannunciava il passaggio al “giusto rigore”. Nell’elenco ufficiale: alprimo posto tra i capi c'è Antonio Freghini, mentre Antonio Gaspa-roni occupa la settima posizione dei briganti semplici.

A confermare questa fama la lettera di Tavernier (sostituto diStendhal quando era assente) del 9.1.1833. In essa gli comunical'arrivo del Maresciallo Grouchy (1766-1847) che vuol vedereGasparoni.L'originale si trova nel Centro stendhaliano di Milano.

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IL PRIMO AMOREChi donne pratica... giudizio perde!

Questo detto popolare èstato spesso associato aGasparoni.Il nostro si raccontacome un giovane vacca-ro che conduceva unavita tranquillissima fin-ché un giorno, conobbeuna giovane di nomeMaria, e se se innamoròfollemente. Fu proprio a

causa del suo amore che s'attirò su di sé l’ostilità di un altro pre-tendente, Claudio, che, con minacce, cercò di allontanarlodall’amata. Un giorno Claudio si presentò addirittura mostrandoun coltello affilato e, a quella vista, Gasparoni perdette il senno.In un attimo lo disarmò e, con la stessa arma, gli inflisse un colpomortale dritto al cuore.Questo fu il primo omicidio compiuto da Antonio Gasparoni,l’inizio della sua vita da fuorilegge che lo portò ad essere uno deipiù famosi briganti e tutto questo a causa ... di una donna!

UN DON GIOVANNI TRA I BRIGANTI?Un gentiluomo: cosi si è sempre definito Gasparoni.Nelle sue biografie si legge che in più occasioni si è schierato dal-la parte delle donne vittime dei suoi sequestri. E non solo! Unavolta incontrò un giovane pastore innamorato che doveva partireper arruolarsi, ma non voleva lasciare l’amata. Il brigante ebbepietà dei due giovani sfortunati e diede loro dei soldi per scappareinsieme. Spesso ascoltò le preghiere delle amanti degli uominiche stava per uccidere e per questo li risparmiò.Un giorno fermò una carrozza sulla quale viaggiavano una signo-ra, che poi scoprirà essere la regina di Spagna (?) con la figlia e leloro damigelle. Comprese subito il rango delle sue vittime, chieseun adeguato riscatto per il loro rilascio, ma proibì ai suoi uominidi importunare minimamente le fanciulle, trattandole con riguardoe rispetto.In un'altra occasione una donna rapita, saputo l'ammontare del ri-scatto richiesto lo implorò di essere liberata: ella non aveva soldie l’unico che avrebbe potuto pagare sarebbe stato il cognato.Sconsolata aggiunse, però, che quest’ultimo non l’avrebbe maifatto, poiché non gli importava nulla di lei, anzi, spesso la maltrat-tava. A queste parole Gasparoni decise di vendicare la donna e,dopo averla liberata, prese in ostaggio al suo posto proprio il co-gnato.I briganti, solitamente, appena ne avevano l’occasione rapivanodelle donne e ne abusavano. Gasparoni non raccontò mai di averfatto violenza, trasformando le prede in ardenti amanti consen-zienti. In quanto capo della banda, sceglieva per sé le ragazze piùbelle, per poi corteggiarle, promettendo anche dei regali fin quan-do esse non cedevano spontaneamente. Di certo i suoi compagninon lo imitavano.Si può concludere che Gasparoni, almeno con le donne, si siacomportato da gentiluomo?

LA PERFIDA GELTRUDEPer Masi fu costei a causare lafine della banda, di certo fu ladonna che cambiò la vita di Ga-sparoni.Figlia di un pastore dei dintorni diSonnino, diventò, non ancora ven-tenne, l’amante fissa del brigante.Gasparoni la descrisse come alta,con i capelli fra il biondo e il ros-so, gli occhi neri ed estremamentesimpatica. Il nostro fu talmente innamorato di Geltrude da pro-metterle che, se fosse tornato ad essere un uomo libero, l’avrebbesposata; fu così che proprio la ragazza lo incoraggiò ad arrendersie cambiar vita. Quando infine lo convinse, le cose non andaronocome avevano programmato. Gasparoni non uscì più di galera eGeltrude, l’unica donna che era riuscita a domarlo convincendoload una vita semplice insieme a lei rispetto a quella avventurosa dibrigante, divenne l'alibi che servì a coprire un uomo stanco dellavita da brigante e altrettanto ingenuo a credere alle promesse diuna totale impunità per sé e la sua banda.

LA VIOLENZA SULLE DONNE

Numerose furono le donne che, in epoca di brigantaggio, preferi-rono la morte anziché cedere ai violentatori. Ricordiamo VittoriaCipolla, ventitré anni, di Lenola, uccisa verso la metà di ottobredel 1812. Per lei il parroco ebbe nobilissime parole sul registrodei morti. Giuseppa Leoni e Alessandra Sacchetti, rispettivamentedi venticinque e ventitré anni, sonninesi, che morirono perdonan-do i loro massacratori. La più celebre di tutte fu forse Rosa Caforadi Pisterzo, uccisa a Monte San Biagio. Era domestica in casa delsignor Magno. “Era questa una giovane in su i trent’anni, la qualequanto bella e avvenente per le fattezze corporali, altrettanto pudi-ca e ripiena di ogni più eletta virtù”. Assalita dai briganti sonnine-si, mentre raccoglieva le ghiande in contrada le Mantrelle, resisté“virilmente ad essi con tutte le sue forze, le quali senza dubbio inquel momento le venivano accresciute da Dio a mille doppi”. Esa-sperati, i bruti le spararono addosso una scarica di schioppo. Era il12 novembre del 1814, La giovane donna fu ritrovata “stesa a ter-ra tutta intrisa e involta nel suo sangue e con le mani tenacementeapplicate alle sue parti verende, segno manifesto della nobile eforte resistenza da lei adoperata contro de’ suoi assalitori”. Il sa-cerdote Ignazio Felice Ranucci “uomo assai dotto e molto piùavanzato nelle vie dello spirito, non rifiniva di predicare a tuttiproponendola ad esempio della più illibata purità e della costanzala più invitta. Anzi ei la considerava e teneva già in conto d’unvero martire e andava dicendo che verrebbe tempo in cui detto sisarebbe: Qui fu Santa Rosa”. La martire fu chiamata Vittoria.(Fonte M. Colagiovanni, Il Triangolo della morte).

L'eliminazione dellamoglie rientrava nelle prerogative delmarito. Come Gasparoni uccise Maria, la prima innamorata, un altro bandito il sanguinario Solli, nato nel 1786, ucciseper gelosia la consorte Anna Maria Palombi.

Francesco Raggi, Gasparone ela moglie, acquerello 1839

D I O M I R A D E PA O L I SLA VERA STORIA DELLA PRIMA MOGLIE DI ANTONIO

Dalle fonti non emerge di certo un padre e marito esemplare. Prendiamo dal testo di Colagiovanni la verastoria di Diomira De Paolis, nata a Sonnino, che fu la prima moglie di Gasparoni. Seguì il marito al confi-no a Cento, in un ambiente estraneo, nel quale non riuscì mai ad adattarsi.LA NASCITA DI GIUSEPPE E LA NUOVA GRAVIDANZALa povera Diomira De Paolis, giunse a Cento, in stato di gravidanza, al seguito del marito Antonio Gasbar-rone, ella partorì un maschio il 20 maggio 1819 alle ore cinque antimeridiane, in una casa di Borgo diMezzo, che fu battezzato l’indomani coi nomi Giuseppe (come il nonno paterno) Michele. Fu presenteAntonio, che davanti a due testimoni riconobbe “detto bambino per suo legittimo figlio”. Diomira rimasequasi subito di nuovo incinta e, come vedremo, partorì nel settembre 1820 un feto morto, con complica-

zioni, mentre il marito era fuggito da Cento per ritornare in Ciociaria.LA MALATTIA E IL CARCERE!Dopa la fuga di Gasparoni il gonfaloniere scrisse al cardinal legato Arezzo: “Il fuggitivo indultato Antonio Gasbarrone ha lasciato la moglie in grave malattia,in stato di gravidanza. ed un tenero figlio di mesi diciotto. La donna non si è voluta accettare nell’Ospedale, perché, essendo incinta, non era ammissibile a se-conda delle costituzioni del pio luogo; non si è voluta per sì straordinaria compassionevole circostanza declinare dalla regola generale; solo si è offerta la sov-venzione dei medicinali, ed una piccola minestra per l’inferma.” UNA DONNA MERITEVOLE DA SOCCORREREProsegue il gonfaloniere: “ Questa è nell’estremo bisogno di essere assistita da una donna, e il tenero bambino non ha di che cibarsi. In sì deplorabile situazio-ne ho pregato una donna a prestare servizio all’ammalata, ed ha interessata la compassione di qualche famiglia per gli alimenti al bambino; in pari tempo ven-go però a supplicare la bontà di Vostra Eminenza a darmi le di lei istruzioni sul proposito. giacché trattasi di un caso, che interessa vivamente l’umanità, tantapiù che la condotta e l’indole della donna inferma, non dà a supporre fosse essa consapevole della fuga del marito”.GLI AIUTI DEL CARDINALE Il cardinale Arezzo approvò le decisioni del buon gonfaloniere e lo autorizzò a continuare a passare, per conto del governo, la pensione di baiocchi trenta algiorno alla donna e aggiunse di suo pugno alla lettera relativa, in data 21 agosto: “Quando la donna sarà sufficientemente ristabilita in salute, la farà trasportarealle carceri in luogo di larga, usandole tutti i riguardi compatibili alla custodia”. LE RICHIESTE DI DIOMIRADiomira. “con una docilità e rassegnazione veramente straordinaria, si adattò, come rilevasi da lettera del Gonfaloniere delli 26 successivo, ad essere rinchiusain carcere col bambino a condizione però, che pel governo del figlio le fosse data in sussidio una donna”. Il cardinale rispose affermativamente, anche se lastessa Diomira. avrebbe dovuto provvedere all’assistente con la pensione governativa.IL RAPPORTO DEL MEDICOIl giorno 13, il medico delle carceri, Gigli, dava questo rapporto: ‘La Diomira Gasbarrone, da che passò in queste carceri è sempre stata attaccata da febbrelenta (…); la malattia si è aggravata per esserle sopraggiunta una ostinata dissenteria accompagnata da dolori, che la debilitano al segno di non potersi muove-re senza aiuto, e mettono in qualche pericolo la sua vita per essere in istato di gravidanza, ricusando in tale situazione il di lei stomaco qualunque medicaturaed anche i più utili alimenti”. Il cardinal legato pensava forse che esagerasse e in data 22 settembre scrisse al gonfaloniere: “Per provvedere in qualche modo albisogno, in cui trovasi la Diomira Gasbarrrone, potrà Ella amministrare quotidianamente una razione da detenuto al piccolo di lei figlio, ben inteso che un talebeneficio debba cessare col ristabilimento in salute della predetta Gasbarrone”. LA SALUTE PEGGIORAIl 14 ottobre 1820 il dottor Gigli scriveva: “Alla Diomira Gasbarrone è sopraggiunta da vari giorni la febbre di carattere infiammatorio con puntura pleurica”.Dopo un mese la spossatezza da cui era affetta, “accompagnata da frequenti convulsioni”, non consentivano il trasporto fuori del locale in cui viveva. Se aves-se affrontato un tale strapazzo, sarebbe morta. Non appena ebbe ricevuto il drammatico dispaccio il cardinal legato rispose approvando tutto ciò che era statofatto e che si sarebbe potuto fare a vantaggio della disgraziata inferma, autorizzando preventivamente il gonfaloniere a sostenere ogni eventuale spesa: ovvia-mente, senza sperperi. Con quest’ultima limitazione il cardinale, al quale dobbiamo dar atto di spirito umani-tario, intendeva forse tenere in considerazione quanto il gonfaloniere stesso gli aveva anticipato: che, cioè, ilComune si trovava “in mezzo alle crescenti passività”. LA MORTETutto fu vano, perché la povera Diomira, presa dalle doglie, partorì un feto morto e ella stessa, poco dopo,morì, a soli venti anni. Nel registro dei morti dell’Archivio parrocchiale si legge che “l’anno 1820 il giorno28 del mese di novembre, si sono celebrate le sacre esequie al cadavere della fu Deomira (sic) De Paoli(s)nativa di Sonino (sic), e moglie di Antonio Gasparoni malvivente fuggito da qui ove stava per ordine diRoma sorvegliato, d’anni 20, abitante in Rocca dove stava per sicurezza custodita, sotto questa parrocchia diSan Biagio di Cento morta il dì 27 suddetto ad ore 11 pomeridiane munita de’ Sacramenti Il cadavere della donna fu portato nella chiesa dello Spirito Santo, “dalla quale, dopo la celebrazione di unbuon numero di messe in suffragio dell’anima sua, e le esequie di rito”, venne tumulata nel cimitero comu-nale.ELOGIO DI DIOMIRAIl dottor Gigli ne tessé un elogio sorprendente per un medico e per la moglie di un brigante: “La vita dellasventurata Gasbarrone è ieri cessata alle ore 11 pomeridiane. Come fu detta onesta in vita, così è stata edifi-cante la sua morte. L’ultima sua più fervida preghiera fu di procurare un provvedimento al tenero di lei fi-glio, che è nel diciottesimo mese di sua età, essendo nato a Cento il 31 maggio 1819”. LA SORTE DEL FIGLIO ANTONIOIl legato per la custodia e il mantenimento dell’orfano concedeva scudi tre mensili, da passarsi alla gover-nante. Il bimbo fu affidato alla zia Giustina Gasbarrone, che era a Comacchio, moglie del brigante fuggitivoDe Paolis, poi messo in un istituto, dove mori.

La famiglia del brigante

Da Il masnadiero Antonio Gasperoni, Barbini, Milano 1883

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DRUDE E BRIGANTESSE

A volte contro la proprio volontà, altre per amore del marito o deiparenti, alcune donne si ritrovarono coinvolte nel mondo del bri-gantaggio. Il termine druda, con cui venivano definite, era spre-giativo, e sottintendeva che l'essere amanti o vivere con i malfat-tori significava avere un animo malvagio.Altre donne, invece vennero chiamate brigantesse, in quanto nonsemplici compagne di (s)ventura, ma complici, vere fuorileggeche, in certi casi, la vox populi ha tramandato come persone moltopiù efferate e spietate dei propri compagni.Alcune donne quindi impugnarono fucili e pistole e con estremocoraggio scelsero di unirsi alla causa brigantesca autonomamentee talvolta non da semplici comprimarie, ma occupando prepoten-temente la scena.Cavalcavano come gli uomini, erano fedeli custodi di segreti e an-che abili e fidate messaggere poiché riuscivano a mimetizzarsimeglio. Vennero giudicate anche feroci: nella mentalità di una so-cietà che richiedeva loro di donare in silenzio la vita restandonepoi in disparte, esse, invece, in certi casi, la vita la tolsero.Vedremo qualche esempio di donne vissute dopo l'epopea di Ga-sparoni, quando, con la nascita dello Stato unitario, il brigantag-gio apolitico si era trasformato in un vasto movimento di protesta sociale che si esprimeva anche attraverso ribellioni di massa.

MICHELINA DE CESARE

La vita di Michelina De Cesare non fu mai facile. Nata infatti da una famiglia poverissima, il 28 ottobre 1841 a Caspoli, provincia di Caserta, dovette arrangiarsi per sopravvivere rubando nei cam-pi coltivati. Nel 1861 si sposò con un contadino onesto, che però morì appena un anno dopo. Conobbe poi Francesco Guerra, un ex sergente dell’esercito borbonico che dopo aver combattuto con i garibaldini, aveva poi scelto di unirsi a una banda di briganti. Del-la loro vita insieme non si sa molto, se non che Michelina ricoprì un ruolo molto importante nella banda del marito: sapeva farsi ri-spettare anche dai briganti più feroci, infatti, dopo la morte di Guerra divenne la vera capobanda. Sapeva utilizzare bene le armi e ... non solo! Il suo punto di forza era la strategia di attacco, simi-le alla guerriglia, che per anni per-mise ai briganti di sfuggire allacattura, nonostante la superioritànumerica e militare del nemico.Per fermarla ci vollero infatti seianni, il generale Emilio Pallavici-ni con la sua schiera di delatori eil 27° Reggimento di fanteria.Le spararono in testa e, dopo lasua morte, cercarono di umiliarlaper cancellare il suo mito ma nonci riuscirono, anzi, la fotografiadel suo cadavere a seno nudo nonfece altro che rafforzarlo.

MARIA OLIVERIO

Restando nell'ambito della foto-grafia, sono famose le immaginiche ritraggono Maria Oliverio neisuoi abiti quotidiani con in manoun fucile, nonostante siano statescattate durante il periodo di de-tenzione, e il braccio fasciato aseguito di una ferita d’arma dafuoco durante la cattura. Maria Oliverio, meglio nota comeCicilla, nacque a Casole Bruzio, Cosenza, il 30 Agosto 1841 da una famiglia di braccianti e filatri-ci ed era la quarta di sei figli. An-che suo marito, Pietro Monaco,

aveva combattuto al fianco dei garibaldini ma, deluso dal nuovo governo, quando si presentò la leva obbligatoria, decise di darsi alla macchia. Si unì alla banda anche Cicilla dopo aver ucciso la sorella, amante del marito, con 48 colpi d’ascia.

A causa di svariati rapimenti a danno della famiglia Falcone, ven-ne messa una taglia molto elevata sulla morte di Monaco. Alcunisuoi uomini decisero di accettarla e uccisero Pietro sparandogli eferirono Cicilla al braccio. Nonostante ciò, fu lei a prendere il co-mando della banda anche se solo per 47 giorni, quando poi vennearrestata e condannata a morte. Si crede che questa pena fu peròmutata in ergastolo, anche se non si hanno prove certe.

MARIA GRAZIA LA MODELLA DEI BRIGANTI

Un esempio di moglie di brigante che non fu mai brigantessa ci èdato da Maria Grazia. About ne parla in Roma contemporaneaquando visitò nel giugno del 1858 Sonnino, il paese in cui circacinquant'anni prima era nata. L'amico che lo accompagnava “ave-va visitato quel paese verso il 1830,ed era certo di trovarvi unavecchia vedova di uno o più briganti, da esso altre volte impiega-ta come modella,e che soccorreva onde avesse mezzo di vivere,

passandoletenuepensione....”.La vedova deibriganti, ormaiquasi cieca,aveva perso ilprimo maritoucciso da unpresunto amico,che poi sposeràsua sorella Te-resa, per litigisui raccolti. Il secondo consorte uccise un uomo ricco che rifiuta-va di pagargli il salario. Da latitante divenne allora brigante in unabanda di Sonnino. Maria Grazia però non lo seguì. Preferì la vitadi tutti i giorni presso i parenti, accudendo i figli e aspettando no-tizie e doni dall’amato che continuò a incontrarla di nascosto.Quando Papa Leone, risolto a sterminare i briganti, ordinò che lemogli e i figli venissero condotti a forza a Roma, Maria Graziaraccontò che la metà delle famiglie di Sonnino vennero prelevatee il paese rischiò la distruzione. Fu nel periodo di detenzione alleTerme che “i signori e gli artisti venivano tutti i giorni, gli uniper vederci, gli altri per copiare i nostri costumi, e fu allora ch'iocominciai a servire di modello pel signor Schnetz, e mia sorellapel signor Robert (…) il mio ritratto sta nelle chiese e nei palazzidel vostro paese. Eravamo trattati dolcemente, essendoci permes-so d'andare negli studj degli artisti”. La sua vicenda fu molto triste il marito latitante credendo che lamoglie fosse in prigione si costituì, ingannato da promesse nonmantenute, e molto ammalato fu curato e poi giustiziato. Anche ilterzo marito morì e così i tre figli che ebbe dalle varie unioni.

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“É mia sorella che fa da tamburino...”

Leopold Robert, Il ritorno del pellegrinaggio dallaMadonna dell'Arco, Louvre.

Page 14: Gasparoni il masnadiero. Mito storia e fantasia

LE PERIPEZIE DELBRIGANTE

Antonio nei primi decen-ni del XIX secolo diven-ne il brigante più celebredello Stato della Chiesa:una vita avventurosa, ca-ratterizzata da innumere-voli peripezie, con conti-nui rischi di morire ucci-so. Dopo la presa diRoma liberato dal carce-re, proprio a causa dellasua notorietà ancora fortee diffusa, che faceva af-fluire a Trastevere frottedi curiosi e attirati dallasua fama, portò le autori-tà del nuovo stato, timo-rose di eventuali disordi-ni sociali, a confinarlo alNord, ospitandolo a spe-se dell'Erario Regio nellaPia Casa degli Incurabilidi Abbiategrasso.

LA PIA CASA DI ABBIATEGRASSOLa fondazione dellaPia Casa avvennenel 1784 ed era ri-servata ad individuiprivi di mezzi disostentamento e af-flitti da ”malattieschifose ed incura-bili o mala confor-mazione di corpood imbecillità dimente”, che nonpotevano essere as-sistiti nelle proprie case o negli ospedali ordinari. Questo mise su-bito in risalto l’operazione politica e di prevenzione dei disordinisociali da parte delle autorità nel rinchiudere Gasparoni nell’Isti-tuto: il brigante non era affetto da nessuno dei sintomi elencati,ma il suo esilio loavrebbe definitivamenteprivato di alcuna in-fluenza.

I RICOVERATILe norme generalidell'istituto affermavanoquanto segue:

1. Nella Pia Casa degli Incurabili non può essere ammesso alcu-no, che non sia constatato schifoso o deforme senza rimedio, oincurabile.2 Per incurabile si intende un individuo che presenta psichica-mente o fisicamente tali anormalità nelle regolari manifestazionidella sua esistenza o nella sua organizzazione da renderlo impo-tente al lavoro.3 La classificazione delle malattie riconosciute come titolo perl'ammissione nella Pia Casa degli Incurabili è destinata a serviredi norma tanto al medico incaricato dalla Congregazione di visi-tare i ricorrenti per ricovero in essa Pia Casa.

CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIELe malattie che consentivano il ricovero all'interno furono divisein due classi, secondo gravità e urgenza:

Nella classe prima erano compresi gli schifosi insanabili, affet-ti, da tantissimo tempo, da malattie cutanee alla faccia, al collo oalle mani, ma anche i sucidi insanabili a causa di un estrofia ve-scicale. Questa malattia causava la perdita involontaria delle feci;essi erano incontenibili con qualsiasi mezzo e venivano portatinella Pia Casa sempre che ne venisse constatata l'incurabilità. Unaltro gruppo riguardava i gravemente deformi a causa di cicatriciirregolari ed estremamente estese o di una conformazione mo-struosa della testa per la mancanza di parti del corpo, come naso olabbra. Inoltre venivano internati coloro che avevano malattie fisi-che, cretinismo, idiozia, demenza completa o ebetudine, e tutte lepersone inferme, assolutamente incurabili e tali da togliere l'attitu-dine e impossibilitare un lavoro proficuo, deformi per gravi devia-zioni delle ossa e mutilati di entrambi le mani, braccia, piedi ogambe. Non erano rimediabili neanche i ciechi di entrambi gli oc-chi. Negli ultimi due gruppi della Classe prima erano presenti gliepilettici, ammalati dalla nascita o comunque da un lungo perio-do, e i paralitici nelle estremità inferiori.

La classe seconda, contemplava i casi meno gravi. Innanzituttogli affetti dal ballo di S. Vito, che colpisce l'encefalo e da isteri-smo gravissimo, per le quali erano inutili appropriate cure. Un la-voro proficuo era impedito e impossibilitato per gli scrofolosi, i

mutilati, anche di un solo membro, gli artritici e gli affetti da erniaombelicale voluminosa, per i quali non vi era una cura radicale equindi erano portati alla Pia Casa. Insanabili ed incurabili eranoanche gli emiplegici, i paraplegici e gli affetti da tremori paraliticia causa, ad esempio, di un avvelenamento di tipo metallico. Oltreai ciechi di entrambi gli occhi, della classe prima, venivano rico-verati anche i monocoli, i ciechi a un occhio e gli affetti da glau-coma. Non appena venisse constatata la lunga durata della malat-tia, erano condotti ad Abbiategrasso anche gli affetti da piagheestese ed insanabili e da tumori anche benigni, ma di un volumestraordinario, che portavano gravi disturbi alla vita e non eranodemolibili.

LE CONDIZIONI DELLA CURAIl trattamento dei ricoverati era uguale per tutti sia se ammessigratuitamente o a pagamento. Questo il vitto: una razione giorna-liera di pane di 480 gr. per gli uo-mini e di 360 per le donne; oltre alpane al mattino 400 gr. di brodo e apranzo 800 gr. di minestra con 143cl. di riso o 120 gr. di pasta.I trattamenti erano accordati solosu parere medico per coloro cheavevano particolari condizioni fisi-che. Ai ricoverati era assicurata in-teramente l'assistenza religiosa emedico-chirurgica; era inoltre con-segnato loro vestiario, biancheria emobiliare. Il costo giornaliero dimantenimento per ogni ricoveratonella Pia Casa durante gli anni dipermanenza di Gasparoni è riporta-to nella seguente tabella.I ricoverati vengono istruiti e occu-pati in diversi lavori.L'attività più importante che è quella maschile nella fabbrica perla realizzazione distuzzicadenti (i fa-mosi s t e cch ! )di legno, per i qualisi sono riscontratenumerose commis-sioni per l'esporta-zione. inoltre nellostabilimento esisto-no officine da latto-niere, falegname,fabbro-ferraio, ver-niciatore e seggiola-io, nelle quali il lavoro è destinato esclusivamente ai bisognidell'Istituto. Bisogna inoltre segnalare una scuola destinata ai gio-vani per imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Le ragazze ve-nivano invece istruite ai la-vori prettamente femminili.Le attività erano scandite daorari ben precisi.La dirigenza della Pia Casaera composta da un dirigen-

te, un ispettore, un economo, due medici-chirurghi per le cure sa-nitarie, un maestro farmacista che preparava le sostanze mediche,due cappellani per l'esercizio del culto, un aggiunto economo perla distribuzione e la sorveglianza ai lavori, un sorvegliante ed unacapo-infermiera destinati alla sorveglianza ai due comparti, un as-sistente alle guardarobe per la cura e il rattoppo delle biancherie, eun buon numero di infermieri destinati al servizio degli infermisussidiati.Gli stipendi ricevuti dal personale sopra citato, venivano regolar-mente registrati presso la dirigenza della Pia Casa di Abbiategras-so come testimoniato dal documento del 1796.

AMMISSIONELa vita dei ricoverati era stabilita da un rigoroso Regolamento.L'ammissione al ricovero veniva fatta dalla Congregazione di Ca-rità di Milano ed esso poteva essere gratuito o contro pagamentodi una pensione giornaliera.Il primo era riservato ai poveri, agli abitanti di Milano e a coloroche vi erano nati o vi erano vissuti negli ultimi dieci anni, allepersone prive di parenti e quindi senza reddito e, ovviamente, atutti gli affetti da malattie schifose, incurabili, mentali e fisicheche non potevano essere curate in ospedali comuni.Gli altri ricoverati invece dovevano rilasciare l'obbligazione per ilpagamento della pensione e per il suo ritiro, nel caso che la suapresenza nel ricovero fosse incompatibile con la vita in Istituto.

Il malato doveva presentarsi alla Direzione delle Pie Case entro iltermine prefissato per essere accettato. Dopo la visita medica, ve-niva respinto se risultava affetto da malattia contagiosa; nel casocontrario veniva deliberato. A seconda della malattia e del risulta-to, veniva spedito nel comparto adatto, registrato negli elenchi ecaricato alla sezione desinatagli, per gli effetti di vitto e vestito.Gasparoni e Cipolla pertanto non avevano alcun titolo al ricovero,che avvenne, infatti, per ordine ministeriale a spese dello Stato.

VESTITO, VITTO, LAVORI, OBBLIGHI SPECIALIOgni vestito del ricoverato al momento dell'ingresso veniva ritira-to e spurgato, per rivestirlo nel caso lui venisse dimesso. All'inter-no della struttura, era provvisto delle biancherie necessarie perletto e persona e di abiti, così che uno fosse indossato al momentoe l'altro servisse da cambio. Il vestiario fornito era uniforme; pergli uomini era di panno nell'inverno e di fustagno nell'estate, perle donne in cotone. Speciali esigenze erano invece concesse ai su-cidi, agli scemi e agli alienati.Tutti gli oggetti che venivano usati dai ricoverati erano contrasse-gnati dal loro numero diregistrazione. Il tratta-mento era uguale pertutti, tranne nel pane,dove la razione giorna-liera degli uomini erapiù alta rispetto a quelladelle donne. Per il re-sto, le dosi degli altricibi erano sempre lestesse: brodo, minestra,riso, pasta, carne... Soloin giornate straordinariestabilite dalla Congre-gazione venivano concessi trattamenti di favore, che erano accor-dati ai ricoverati quando era richiesto dalle loro condizioni fisi-che; inoltre il trattamento dietetico per gli ammalati era regolatoda prescrizioni interne. Era assolutamente vietata l'esportazione diqualsiasi vivanda e l'importazione di qualsiasi liquore o vino.Per quanto riguarda il lavoro, tutti i ricoverati venivano istruiti perqualche attività a seconda della loro età e delle loro attitudini, manessuno poteva svolgerli per proprio conto. Il prezzo di ogni lavo-ro era stabilito da apposite tariffe e lo Stabilimento concedeva alricoverato metà dell'importo del lavoro svolto.Il ricoverato era tenuto alla partecipazione delle pratiche religiosenegli oratori della Pia Casa e, due volte alla settimana, gli era con-sentita una passeggiata in tempi e luoghi definiti con un infermie-re e altri malati.Chiunque si ammalasse, veniva trasportato nell'infermeria, mainel proprio letto, tranne gli infermi gravi e gli epilettici o alienati.Ognuno doveva rispettare le regole interne degli orari giornalieri.

PUNIZIONINel caso qualcuno non rispettasse disciplina, ordini o regole, ve-niva punito a seconda della gravità dalla Direzione delle Pie Case.Le azioni dei ricoverati per i codici vigenti imputabili a reato ve-nivano denunciate alle autorità competenti per la procedura pena-le a termini di legge. Qui la parte sulle sanzioni.

CESSAZIONE DEL RICOVEROA chiunque cessasse per qualsiasi titolo dal ricovero veniva resti-tuito tutto il vestiario al momento del suo ingresso e ritirato quellodel periodo trascorso nella Pia Casa. Il ricovero era revocatoquando: terminavano i titoli per i quali era stato concesso, il pove-ro rinunciava spontaneamente, teneva un comportamento incom-patibile con la disciplina.Nel caso di morte di un ricoverato gratuito, i suoi indumenti pri-vati restavano in proprietà delle Pie Case fino all'importo del rim-borso del mantenimento fornito.

Documento redatto dal DirigenteRag. Enea Royer per il Congresso

Internazionale di Beneficenza (1880).

Anno

Numeroospiti

(media annuale)

Diariagiornaliera

(lire)

1871 662 0,88

1872 655 0,9

1873 626 0,93

1874 754 1,13

1875 813 1,07

1876 835 1,02

1877 863 0,97

1878 874 0,96

1879 881 0,97

1880 874 0,95

1881 571 0,93

1882 887 0,93

Page 15: Gasparoni il masnadiero. Mito storia e fantasia

UN VECCHIETTO PER NULLA DEMENTE!

Riprendiamo la storia di Antonio ad Abbiategrasso. Giuntoviall’età di 78 anni vi rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1882.Fino in punto di morte Gasparoni mantenne lucidità e spirito bat-tagliero ricordandol'inganno di monsignorPellegrini che, secondolui, lo tradì facendoglicredere che il Papal'avrebbe lasciato partireper l'America. Si puòspiegare così perché re-spinse i conforti dellareligione rifiutando diriconciliarsi con Dio an-che in punto di morte.

UN BRIGANTE IN PIANURA Come scrive il Ministero dell'Interno i due vecchi, Ga-sparoni e Cipol-la, procurano ansia nella no-vella capitale e il 19.9.1871 vengono spediti al Nord in cam-pagna, a più di 25 chilometri daMilano.Gasparoni arrivònella Pia Casa di

Abbiategrasso il 28 settembre 1871, quando aveva 78 anni. Emer-ge subito un elemento contraddittorio; nel regolamento illustratoin precedenza, il ricovero era consentito esclusivamente ad indivi-dui residenti a Milano o che vi avessero vissuto negli ultimi diecianni, requisiti entrambi non soddisfatti dal bandito di Sonnino.Non avendo i due neppure la pensione il ricovero fu a spese delMinistero

MANDATEMI ANCHE A PALERMO!Dal fascicolo del Golgi si nota che il personag-gio dimostra carattere e personalità, nonostante i45 anni di detenzione. Certamente la prepoten-za è svanita, emerge lo spirito indipendente e l'insofferenza per la vita, ancora, da recluso. Come nella supplica all’amministrazione della Pia Casa di Abbia-tegrasso chiede un'altra sede, una città come Milano o Palermo. È un’istanza di trasferi-mento presentata il 5 Settembre 1876.

...ALMENO LASCIATEMI FUMARE!

Nell'istanza, non accolta di trasferimento, si accenna alle cinquelire di tabacco, frutto di una domanda, questa accettata, di dueanni prima; fu infatti presentata il 19 Aprile 1875 alla Direzionedel Pio Ricovero che la girò al Ministero degli Interni che gli ac-cordò un aumento non solo di 3, ma di di 5 Lire mensili.

VORREI ANDARE A MILANO

L'ultima richiesta documentata, forse la più importante, riguardala possibilità di trascorrere 5 giorni a Milano. Il Direttore, che lagiudica inattuabile, ci informa che Antonio sta seguendo la pub-blicazione del libro di Barbini, e quindi esistevano dei contatti tral'editore e il protagonista delle memorie da pubblicare.

IL MASNADIERO ANTONIO GASPARONI

Il masnadiero Antonio Gasparoni detto il Principe dei monti è unadelle fonti più importanti sul brigante. Il volume ebbe rapidamen-te numerose edizioni, con una introduzione del Venosta e delle ag-giunte sugli ultimi anni di Gasparoni alla Pia Casa, fino alla suamorte.Semplice nella prosa rispetto al Masi, è molto più narrativo, ricor-di più che analisi, con alcune imprecisioni nei nomi e nei fatti:memoria mancante o convenienza? La stranezza è che il nostro Antonio, che restò analfabeta tutta la vita, dettò le memorie, mancando il suo cantore Masi, a un ospite della Pia Casa, tale Gaetano Croci, cieco come Omero, il quale le trasmise poi all’editore e al curatore del volumetto Felice Venosta.

GAETANO C R O C IDal fascicolo di Gaetano Croci si sa che nacque a Milano nel1820, di professione sarto, aveva partecipato ai moti delle Cin-que giornate e aveva in seguito combattuto con Garibaldi sem-pre nel 1848. In quella occasione, mentre era a Bellinzona, col-pito dal vaiolo restò cieco. Arrestato dagli austriaci, nel 1849 lofecero ricoverare ad Abbiategrasso, a carico dei Luoghi Pii.Nel 1889 Croci fece richiesta e ottenne dal Ministero dell’Inter-

no un sussidio straordinarioin virtù del suo passato po-litico di 30 lire. Il Delegatodella Pia Casa di Abbiate-grasso peraltro l'aveva defi-nito “non è persona di con-dotta irreprensibile”. Morìdi pleurite nelle Pia Casa il1 marzo 1892.

Le aggiunte alla biografiaAlla Pia Casa la fama nonsi ferma, i racconti di Ga-sparoni continuano con or-goglio e senza rimpianti,Lodi lo visita nel 1876.[Nel 1891 a Milano, pub-blica Romanzo popolare,

con tutte le più strane ebizzarre avventure di suavita narrate da lui stesso]Diversi anche i comici chevolevano il permesso diporre in scena le sue im-prese, promettendo uncompenso in denaro chenon giungeva quasi mai.Personaggio vanitoso e bo-rioso, dichiarava cheavrebbe ripetuto le sueazioni se solo avesse avutoqualche anno in meno. Al-cuni peraltro ridevano sul-le sue scappate e lo invita-vano nelle osterie o gli da-vano qualche soldo.Non mancò il cercatoredel suo tesoro nascosto,tale Delcov, che si presen-tò con una mappa per farsiindicare il posto esatto dei4000 scudi, sotterrati dacirca 50 anni in una cas-setta di latta sulla Majella.Due anni prima della mor-te, giunsero a due lettere di uno che pretendeva di esserne il fi-glio e chiedeva un po’ di denaro per recarsi ad Abbiategrassoed abbracciarlo. Gasparoni incaricò Croce di rispondergli chenon sapeva nulla di figli e che non aveva denaro.

I rapporti con CipollaCroci ci narra dei rapporti non proprio fraterni tra i due brigan-ti, che verranno analizzati nella sezione del Cipolla, narrandocianche della sua strana morte avvenuta il 30 Agosto 1873.

(…) e speciale circostanzadi salute traslocarlo, o nel

Pio Albergo Triulzio (sic) in Milano o quanto [ meno

in altro verosimile pio ricovero nellacittà di Palermo alla decorrenzadella consueta beneficenza delle mensili lire cinque nel proprio di

lui consumo del tabacco.

Con enfasi, L'Italia nei cento anni di Comandini riportaritratto e annuncio della morte di Gasparoni.Il 28 gennaio 1887 informa l'uscita delle dispense sulla suavita. Il mito continua!

Onorevole Congregazione di Carità di MilanoPer quelle deliberazioni che codest’Onorevole Consiglio crederà diprendere, mi pregio di accompagnare la domanda avanzatami dalricoverato Gasparone Antonio per avere un permesso di recarsi a Milanoper 5 giorni, non avendo lo scrivente creduto di essere autorizzato arilasciare la chiesta licenza. Per non avere il Gasparoni in Milano parenti,ove appoggiarsi pel vitto e per dormire. Ad ogni buon fine aggiungeròche mi risulta avere il Gasparoni fatta domanda di venire a Milanoper conferire coll’Editore Barbini, onde concertare alcune aggiuntea farsi per la nuova ristampa dell’opuscolo Vicende del briganteGasparoni. Il Dirigente Royer

Croci racconta la morte di Gasparoni

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IL “TRIANGOLO DELLA MORTE”

Situato all’interno della Provincia di Marittima e Campagna, eradelimitato da tre città dell’attuale Ciociaria disposte ai suoivertici: Sonnino, patria di Gasparoni e di molti altri briganti,Monte San Biagio e Vallecorsa, dove nacque Pietro Cipolla Per quanto riguarda la prima, che era anche la più famosa delletre, posta su un’altura era un agglomerato isolato dal resto dellaprovincia: non si trovava lungo una strada di passaggio, frequen-tata, ci si recava solo se per necessità personali. Tra le famigliesonninesi, vi erano molte rivalità che comportavano spesso unalotta particolarmente violenta e in certi casi cruenta, più che inogni altra area del Papato. Antonio e suo fratello Gennaro nonerano un'eccezione. Il famoso brigante, come accadeva per lamaggior parte dei fuorilegge, aveva come “base” e rifugio il pro-prio paese, in quanto parenti, amici e conoscenti offrivano un’otti-ma protezione e garanzia di sicurezza contro le autorità pontificie.Sonnino con la sua particolare posizione geografica era centroprediletto dai briganti per rifugiarvisi quando le autorità davanoloro la caccia; il fatto di essere pure la patria di Gasparoni avevafavorito la nascita del mito di una Sonnino come patria e covo dibriganti.Spesso in queste tre città si praticava il contrabbando di merci eprodotti più o meno legali con commercianti che provenivano dalconfinante Regno delle Due Sicilie; coloro che gestivano questeattività erano anche le figure di maggior potere e spicco della cit-tà, riuscendo così a ottenere guadagni molto alti da queste altre at-tività illecite.Chiunque decideva diattraversare quell’areaaccettava un alto ri-schio, infatti erano nu-merosi gli agguati perrapimento o rapina lun-go la via Appia, inprossimità del Triango-lo, e ancor più lungo lestrade secondarie conle varie diramazioni.Era infatti un’area par-ticolare, montuosaall’interno e paludosaverso la costa. Le zonedelle paludi e quelledelle montagne eranole preferite dai brigantiper le loro azioni: offri-vano sempre un rifugiosicuro e semplice daraggiungere da partedei fuorilegge, che conoscevano l’area circostante meglio di chiunque altro.Nella zona paludosa era diffusa poi la malaria che contribuiva a renderla come un’area pericolosa e quindi da evitare per chiunquenon fosse un bandito o avesse intenzione di viaggiare senza particolari preoccupazioni di essere aggredito da un brigante o di contrarre questa malattia. In particolare la zona paludosa era stata spesso “frequentata” dai corsari. Essi sbarcavano in corrispondenza delle paludi stesse, vi penetravano anche per alcune centinaia di miglia e rapivano o rubavano nei villaggi che incontravano lungo il loro cammino, per poi tornare sulla costa e farla franca andando al largo con le loro navi e i loro bottini.Spesso i convogli viaggiavano in gruppo lungo le strade principalie sotto scorta armata, in modo da tentare di scongiurare un attaccoda parte dei briganti; chi percorreva invece le strade secondarie doveva solamente sperare di non essere aggredito. Queste aggressioni si risolvevano nella maggior parte dei casi con rapine o rapimenti al fine di ottenere un riscatto che era proporzionato a quella che si presumeva essere la disponibilità economica della vittima.

PERCHÉ PROPRIO NELLO STATOPONTIFICIO?

Il brigantaggio era un fenomeno all’epoca diffuso in tutta Italia con modalità e importanza che differivano da luogo a luogo, ma che raggiungeva livelli estremamente elevati all’interno dello Sta-to Pontificio.Capitava di continuo che dopo brevi periodi di tranquillità le con-dizioni economiche, sociali e politiche lo rigenerassero: era un fe-nomeno endemico nelle realtà rurali, e si fondava sulle crisi politi-che e sull’instabilità sociale. Il brigantaggio nel Lazio nell’Otto-cento era alimentato da giurisdizioni particolari e dall’incapacità delle autorità centrali di controllare le periferie, aspetti che favori-vano lo sviluppo del fenomeno e il successo dei briganti. Tutto ciòesprimeva l’esistenza di un sistema politico-sociale profondamen-te arretrato che stava decadendo, non trovando alternative valide ed efficienti.

In questa fase erano frequenti le prepotenze dei nobili nei con-fronti del popolo e i soprusi del fisco. I più poveri, e in generale gli appartenenti al mondo contadino, vedevano nel brigantaggio un’occasione di farsi giustizia da sé, andando a danneggiare gli interessi degli aristocratici.Inoltre le leggi per combattere i briganti cambiavano di continuo, così come i metodi repressivi che non si dimostravano mai del tut-to efficaci. La relativa facilità del vivere da fuorilegge, invogliava molti contadini a scegliere questa via, anche a causa della cre-scente disoccupazione e delle condizioni economiche della popo-lazione rurale nello Stato Pontificio.A queste condizioni si aggiungeva la situazione politica italiana: essendo divisa in diversi Stati, era semplice per i briganti sfuggirealla cattura delle truppe pontificie oltrepassando il confine, anche grazie alla mancanza di accordi per un intervento comune tra le truppe dei diversi stati. Le zone in cui il brigantaggio era mag-giormente concentrato erano le zone montagnose di confine del Basso Lazio, come nella provincia di Marittima e Campagna, che si estendevano intorno a Frosinone e a Velletri e al nord verso le selve del Viterbese confinanti con la Maremma grossetana.

COME SI COMBATTEVA?

Per tentare di combattere questo diffuso fenomeno furono nu-merosi i provvedimenti presi e i metodi di repressione adottaticontro i briganti che abitavano i territori dello Stato Pontificioe vi operavano.Il metodo repressivo più utilizzato implicava misure militari:la polizia di stato formata dai “birri” operava su tutto il territo-rio, dando la caccia ai briganti, e spesso era aiutata da un veroe proprio esercito. I banditi e i loro collaboratori(manutengoli), spesso e volentieri appartenenti al mondo con-tadino, erano incentivati al tradimento tramite premi, amnistiee agevolazioni. Non di rado capitava che venissero introdottinelle milizie locali ex-briganti, anche se facilmente, a menoche volessero vendicarsi di torti subiti in passato, tendevanopiù ad aiutare i fuorilegge che a combatterli.La Chiesa inoltre alternava severe misure repressive a periodi-che amnistie concesse in fondo ad assassini, sperando così diestirpare il fenomeno, ma tutte queste misure non risolsero ilproblema.Verso la metà dell’Ottocento i provvedimenti legislativi si spo-starono verso la rappresaglia, con la distruzione delle case deibriganti, la chiusura di case ed osterie isolate, l’introduzione dipermessi di polizia per chi si allontanava dalla propria abita-zione, la deportazione di intere famiglie e la confisca dei beni.Anche la repressione di intere comunità rurali fu una via per-corsa all’epoca, poiché si riteneva, ingenuamente, che elimi-nando quei paesi e quelle comunità, da cui proveniva un gran

numero di bri-ganti, si potessein qualche modoeliminare ancheil brigantaggio.Per fare unesempio, nel1819 Papa PioVII diede l’ordi-ne di radere alsuolo Sonnino(il paese nataledi Gasparoni efamoso per es-sere un po' lapatria del bri-gantaggio), provvedimento che però non venne attuato a seguito anumerose proteste della popolazione, nella grande maggioranzadel tutto estranea al fenomeno.I tribunali continuavano a emettere verdetti di colpevolezza e nu-merose furono anche le condanne a morte pronunciate: la Chiesa,che puntava sull’azione deterrente di tali provvedimenti, andò in-contro ancora a un bruciante insuccesso.Si tentò anche di coinvolgere nella lotta ai masnadieri il popolo,soprattutto i contadini. Questi però erano rispettati in genere daifuorilegge, che pretendevano da loro solo un po’ di cibo, mentreerano danneggiati dallo Stato, infatti gli eventuali premi stabiliti achi avesse catturato o ucciso un brigante a volte restavano sola-mente delle belle promesse.Non va poi sottovalutato un altro fenomeno: il tradimento da partedelle autorità era molto comune all’epoca, e un caso vide coinvol-to il capobanda Massaroni a Napoli. Qui nel 1820 gli venne pro-posto di combattere gli austriaci che stavano tornando al Sud perrestaurare il governo borbonico, in cambio: impunità, paga gior-naliera e alloggio. Anche gli austriaci, ripresosi il Regno delleDue Sicilie, rinnovarono questi privilegi (stabiliti dalla “Carta”),suscitando l’ira del Papa: i briganti andavano nello Stato dellaChiesa a commettere delitti per poi rientrare in territorio napoleta-no senza subire alcun provvedimento. La banda Massaroni fu de-bellata solo grazie alle delazioni e ai tradimenti.Una famosa misura repressiva, riportata nelle memorie di Gaspa-roni, fu l’Editto del Cardinal Pallotta che si riprometteva di estir-pare il brigantaggio nelle province di Marittima e Campagna. In realtà provocò numerose proteste dei comuni per i suoi provvedi-menti insensati e dannosi per la popolazione. Un esempio: l’Edit-to stabiliva che il comune, quindi la popolazione, in cui si fosse verificato un atto di brigantaggio avrebbe dovuto pagare un am-menda, insomma dopo il danno la beffa!I briganti catturati venivano spesso incarcerati senza processo (come per Gasparoni) o con processi sommari, e lasciati in prigio-ne finché venivano liberato per grazia papale.Con la cattura di Gasparoni nel 1825 si ritenne di aver definitiva-mente sconfitto il brigantaggio, invece riapparve poco tempo dopo. In particolare un riacutizzarsi del fenomeno si ebbe nel 1861, con l’Unità d’Italia, a causa della mancata realizzazione delle promesse della borghesia liberale ai contadini e al popolo in generale del Sud Italia.In questa seconda fase il Regno d’Italia ricorse a leggi e tribunali speciali, esercito e stato d’assedio. Entro il 1870 in Ciociaria il brigantaggio era ormai scomparso, ma non nell’Alto Lazio. Gio-litti tentò di risolvere il problema, anche se fu l’evoluzione socialea concorrere alla fine del fenomeno. Nel Novecento sono stati poi ridotti e isolati i casi di brigantaggio, ormai definitivamente scom-parso.

Antonio Gasparonii in una incisione

Gendarmi pontifici perquisiscono una fattoria dellacampagna romana, alla ricerca di briganti nascosti.

(inizio 1800)

Bartolomeo Pinelli: La cattura del capo brigante Massaroni, ad opera di truppenapoletane, pontificie e austriache (Monticelli, 20 giugno 1821).

I vertici del "triangolo" in una mappa del tempo

Cartina raffigurante la campagna di Roma

Page 17: Gasparoni il masnadiero. Mito storia e fantasia

MASTRO TITTA ovvero ER BOJA DE ROMA

Parlando dei metodi applicati nello Stato Pontificio per reprimeree punire i briganti e criminali, non è possibile non citare il nomedi Giovan Battista Bugatti, detto Mastro Titta, boia ufficiale delgoverno di Sua Santità. Il suo nome è a rimasto nell’immaginariocollettivo dei romani, per la sua lunghissima carriera (quasi 70anni) e per il gran numero di condannati (516, tutti annotati meti-colosamente su un taccuino, con nomi, crimini e modalità di ese-cuzione) che finirono tra le sue mani. Ancora oggi, in alcuni terri-tori del Lazio, “Mastro Titta” significa “boia” per antonomasia.

VITA E ...CARRIERA

Bugatti nacque a Senigallia, nel-le Marche, il 6 marzo 1779. Il22 marzo 1796 iniziò il suo in-carico di boia, su incarico delpapa Pio VI. In seguito servìsotto Pio VII; quando lo StatoPontificio fu occupato dalletruppe napoleoniche e il papa fuarrestato, Mastro Titta mise lesue competenze anche al servi-zio dei francesi. Dopo il ritornodei papi, lavorò per Leone XII(per il quale eseguì tra l’altromolte esecuzioni di Carbonari,come Targhini e Montanari), PioVIII, Gregorio XVI e, infine,Pio IX, che il 17 agosto 1764 gliconcesse una pensione mensile di trenta scudi. Escludendo la bre-ve parentesi della Repubblica Romana nel 1849, durante la qualela pena di morte fu abolita, la carriera di Mastro Titta si protrasseper ben 68 anni, con una media di 8 esecuzioni all’anno. Nei pe-riodi di inattività, esercitava laprofessione di venditored’ombrelli. Morì a Roma il 18giugno 1869.

LE ESECUZIONI

All’epoca, per indicare il giornodi un’esecuzione, si usava il detto“Mastro Titta passa ponte”: ilboia, infatti, risiedeva nella partedi Roma a sinistra del Tevere,presso il Vaticano e separato dal-la maggior parte della popolazio-ne, dalla quale era ovviamentemalvisto; per le “funzioni”, inve-ce, doveva attraversare il fiumeper recarsi a Piazza del Popolo,Ponte S. Angelo o Campo deiFiori, dove la condanna era ese-guita in pubblico, soprattutto nelcaso dei briganti, perché dovevaservire da monito per la popola-zione e deterrente contro la proli-ferazione del fenomeno. I rei ve-nivano giustiziati con modalitàmacabre e sanguinose: alla im-piccagione (applicata soprattuttoper briganti, assassini di religiosi edelinquenti abituali) o alla deca-pitazione seguiva spesso losquartamento, e i corpi erano ta-gliati a pezzi ed esposti al pubbli-co.

LA BANDA DELLA FAJOLA

Una delle più famose esecuzioni di Mastro Titta fu quella dei cin-que briganti appartenenti alla famigerata banda della Fajola, dalnome di una macchia, in un bosco nei pressi di Roma, tra ‘700 e‘800 covo di numerosi banditi, tanto che era quasi impossibileviaggiarci evitando l'assalto. Nel 1816 fu arrestato il capo dellanota banda, Vincenzo Bellini, insieme ai compagni Pietro Celesti-ni, Domenico Pascucci, Francesco Formichetti e Michele Galletti.Trattandosi di briganti in particolar modo recidivi, l’esecuzione fubrutale: essa è descritta con dovizia di particolari nelle false me-morie del Bugatti, ma in ogni caso lo stesso Mastro Titta parlò nelsuo elenco di un’impiccagione con successivo squartamento. Fon-ti errate dell’epoca riferiscono che Gasparoni, fu membro e addi-rittura capo di tale banda, ciò è falso, dato che nel 1816, quandoavvenne l’esecuzione, era latitante da appena due anni. Inoltre ilsuo nome non compare tra i componenti della banda, né egli nellesue memorie (sebbene riferisca di trascorso un breve periodo nelbosco della Fajola) cita alcuno dei briganti del Bellini.

LE MEMORIE

Nel 1891 usciva un libro, edito da Edoardo Perino, intitolato “Ma-stro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da luistesso”. L’opera consisteva in un resoconto dettagliato, ricco diparticolari macabri e di descrizioni cruente, delle condanne a mor-te eseguite dal Bugatti durante il suo mandato. Esso, tuttavia, eraun falso, di autore ignoto. L’editore Perino aveva infatti approfit-tato del “mito del brigante” allora in voga, e il libro ebbe infattiun grande successo: esso era basato sul già citato elenco dei con-dannati scritto dal boia, e ne manteneva i nomi e le pene: tuttaviale esecuzioni erano molto romanzate, e il fascino della violenzarendeva la lettura del libro facile e scorrevole.

UNA TERRA DI BRIGANTI

Come si legge nelle memorie di Gasparoni, nell’Ottocento lo Sta-to Pontificio dovette affrontare un gran numero di banditi, riunitiin varie bande guidate da capi all’epoca leggendari. La maggiorparte dei latitanti si concentrava nel Lazio, a poca distanza daRoma, in particolare, come già ricordato, nella zona di Sonnino edel bosco della Fajola. Proprio in quest’ultima zona, fino al 1816,aveva spadroneggiato la famigerata banda di Vincenzo Bellini,nota appunto come “banda della Fajola”. Per anni i banditi di Bel-lini resero la foresta impraticabile per i viaggiatori, finché non fu-rono arrestati e giustiziati a Roma da Mastro Titta (vedi MastroTitta- La banda della Fajola).

MASOCCO, DE CESARIS E BARBONE

Un famoso brigantefu Masocco. Nellesue memorie, Gaspa-roni narra di esserestato per un certo pe-riodo affiliato dellasua banda. In seguitoMasocco, in cambiodi un’amnistia, siconsegnò alle truppepapali, delle quali poiottenne di far parte.Il suo voltafaccia fuuna fortuna per ilGoverno e fu vistocome un tradimentoimperdonabile daparte dei suoi ex-compagni: infatti egli conosceva alla perfezionele zone montane e boschive del Lazio e quindi molti nascondiglidei banditi. Il desiderio di vendetta e il pericolo che comportaval’alleanza di Masocco con i militari convinsero alcuni briganti adorganizzare un piano per eliminarlo.Al comando dell’operazione vi era un’altra icona del brigantaggiolaziale: Giuseppe De Cesaris. Con l’aiuto del complice Massaro-ni egli organizzò un incontro tra loro e Masocco (scortato da alcu-ni birri), fingendo di volersi arrendere. In realtà si trattava diun’imboscata: mentre Massaroni incontrava gli uomini del Papanel luogo convenuto, De Cesaris, appostato lì vicino, aprì il fuococon i suoi uomini e uccise il traditore. I militari si vendicarono al-lora sulla famiglia di De Cesaris: come riferisce anche lo stessoGasparoni, massacrarono la moglie incinta e i numerosi figli.La strage portò De Cesaris alla follia, ed egli a lungo si aggirò neidintorni del suo paese, Prossedi, uccidendo chiunque gli capitassea tiro. Ciò portò a un fatto singolare per quanto riguarda il brigan-taggio: la popolazione, che generalmente trovava vantaggioso ap-poggiare i briganti, questa volta collaborò con le truppe pontificienella caccia all’uomo. Braccato dai militari e dai civili, il brigantefu infine ucciso e la sua testa fu esposta al pubblico, che festeggiòla morte dell’assassino.Un altro noto masnadiero del tempo fu un certo Barbone. A quan-to riferisce Stendhal (che fra l’altro esprime il suo stupore percome la popolazione onorasse e rispettasse un malvivente comelui) egli fu educato alla violenza e all’odio già da piccolo dallamadre, che aveva avuto il figlio in seguito all’unione con un preteche poi l’aveva abbandonata, lasciandole un fortissimo desideriodi vendetta.Dopo aver terrorizzato per anni le terre intorno a Palestrina, Poli eTivoli, Barbone accettò l’amnistia del papa. A differenza dellosfortunato Gasparoni, egli fu lasciato in libertà e visse a Roma,continuando a godere dell’ammirazione del popolo.

SANTO GASPARE DEL BUFALOIL MISSIONARIO DEI BRIGANTI

Santo Gaspare del Bufalo, come ricorda ilmonsignor Gentilucci nella biografia:“Compendio della vita del Ven. Servo diDio Gaspare del Bufalo”, nacque a Romail 6 gennaio 1786 da Antonio e Annunzia-ta Quartierini, e venne ordinato sacerdotenel 1808. Iniziò una vita di evangelizza-zione tra i borgatari romani, i carrettieri e ibraccianti dell'agro romano. Gaspare co-minciò a frequentare queste persone cheinizialmente lo sbeffeggiavano, ma quan-do cominciò ad aiutarle venne accettato e rispettato. Nel 1815fondò la Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue,coadiuvato da Maria de Mattias, dopo esser stato incaricato da PioVII e Leone XII di dedicarsi alla restaurazione religiosa e moraledello Stato pontificio. In questo periodo egli sperimentò quantofosse complicato avere a che fare con la politica e contempora-neamente restare puro di cuore. Predicando nelle aree del bassoLazio ebbe modo di verificare che il brigantaggio, nato come mo-vimento di resistenza ai francesi, fosse diventato una piaga incu-rabile. Questi malviventi infatti attaccavano monasteri e rapivanofrati e monache con l'intento di richiedere riscatti spesso eccessi-vi. Quando sembrò che le imprese malavitose potessero seriamen-te minacciare la credibilità dello stato del Papa, le contromisurefurono anche la decisione di far radere al suolo Sonnino. Gaspareinformato scrisse subito al Papa affermando che non si potevanopunire tanti innocenti assieme ai banditi, facendogli considerareanche le possibile conseguenze: “Lasciar patria, possidenza e lapropria abitazione, forma il colmo della desolazione... e se co-munque minima parte si unisseai malviventi quali ne potrebbe-ro essere le conseguenze?”. IlPapa sospese l'attacco e vide inGaspare un ottimo missionariotra i briganti.Egli si inoltrò tre le montagnedella Ciociaria, con la sola armadel crocifisso, e promise ai bri-ganti di perorare la loro causapresso il pontefice perché usasseclemenza quando si arrendevano,e li spinse nel contempo a con-vertirsi. Grazie alla sua opera ilnumero dei banditi si ridusse no-tevolmente. Gaspare però si ri-trovò in mezzo tra i suoi confra-telli e il partito della repressone,tanto che quando si fece media-tore tra Papa Leone XII e i bri-ganti, il delegato di Frosinonefinse di accordarsi e non manten-ne la parola. Da allora decise di non occuparsi più di politica ediede ordine ai suoi confratelli di limitarsi all'evangelizzazione.Non gli mancarono comunque i nemici che lo accusarono di esse-re complice e favorire i briganti. Una tosse secca e convulsa lo accompagnò fino alla morte avve-nuta a Roma il 28 dicembre 1837.

LA BEATIFICAZIONE DI GASPARE

Un libro di don Spinelli “Alcuni membri della Congregazione delPrezioso Sangue” richiamò all'attenzione della curia vaticana lafigura e l'azione del venerabile Gaspare del Bufalo. La causa dibeatificazione che ne seguì si concluse nel 1904 e aprì in Italia ildibattito sull'opera di questo missionario, che aveva avviatoun'azione di apostolato sulle montagne del Lazio, nei borghi infe-stati dai briganti.

IL BEATO VIENE SANTIFICATO

Del Beato Gaspare si ritornò aparlare nel 1949. Un opuscolo didon Raffaele Bernardo riassume-va la vita del fondatore delle mis-sioni in un volumetto che ne rico-nosceva finalmente l'opera dievangelizzazione tra i briganti. Iltitolo diceva: “Il Beato GaspareDel Bufalo. Il Serafino del Pre-ziosissimo Sangue - L'Apostolodei Briganti – Il Santo – Il Tau-maturgo”. Nel giugno del 1954, ilbeato venne elevato alla gloriadegli altari con solenne cerimoniain S. Pietro.

Mastro Titta prima di ...

Mastro Titta in dueraffigurazioni dove mostra la

testa delle vittime dopo lamacabra esecuzione.

De Cesaris mentre strappa il cuore a una vittima

Gaspare mentre ammonisce ibriganti del basso Lazio i quali

hanno verso di lui grande rispetto

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LA VITAMarco Ezechia Lombroso, detto Cesare, nasce a Verona nel 1835da una famiglia ebrea; si laurea a Pavia in medicina e chirurgia equi avvierà le sue ricerche sul cretinismo, sulla psichiatriacriminale e sulla pellagra, continuate successivamente a Pesarodove, a partire dalla metà degli anni Settanta, otterrà la direzionedel manicomio. Partecipò come medico militaredell’esercito piemontese nellacampagna controil brigantaggio successivaall'unificazione ed ebbe modo distudiare i briganti del Sud sulcampo, analizzandone la confor-mazione cranica. Da qui anche sisviluppa costruendo la sua famo-sa teoria fisionomica e antropo-metrica che verrà utilizzata peridentificare la figura tipo del bri-gante e più in generale di ognicriminale.

IL TIPO CRIMINALEBrutalità, violenza, caratteri psicologici, erano per Lombrosodeterminati dalla conformazione fisica delle persone. Egli affermache “i criminali non delinquono per un atto cosciente e libero divolontà malvagia, ma perché hanno tendenze malvagie cheripetono la loro origine da un’organizzazione fisica e psichicadiversa da quella normale”. Il tipo criminale è dunque unprimitivo, un essere con caratteri atavici, che riproduce sullapropria persona gli istinti feroci dell'umanità primitiva e deglianimali inferiori. In seguito questa teoria approderà allaconcezione del criminale quale degenerato di natura patologica; lacriminalità verrà definita una sorta di malattia, nella specie unavarietà di epilessia.

SCIENZIATO O CIARLATANO?Lombroso divenne famoso, ma la sua antropologia criminaletroverà sempre, accanto a seguaci ed entusiasti sostenitori, deicritici e detrattori che mai accetteranno i fondamenti della suaconcezione.La sua vecchiaia fu segnata dall’arteriosclerosi e dallo svilupparsiin lui di una malattia cardiaca, ciò gli rese sempre più difficilesvolgere la sua attività di ricerca e persino la partecipazione aicongressi. Morirà il 19 Ottobre 1909.

È NATA UNA NUOVA SCIENZA?Nella seconda metàdell’Ottocento in Italial'ambienti medico-scientifi-co, viene scosso da una no-vità, una nuova forma discienza detta AntropologiaCriminale.Padre esponente e unico lu-minare di tale disciplina fuappunto Lombroso, che,pubblicando il suo Trattatoantropologico sperimentaledell’uomo delinquente(1876), con le migliaia e mi-gliaia di copie vendute, riu-scirà a conquistare di dirittoun posto importante nelmondo scientifico-psicolo-gico italiano.

Con la sua opera, Lombroso sottolinea come ogni delinquente sia“riconoscibile” dai propri lineamenti, cioè dalla propriafisionomia, studiandone approfonditamente volto e cranio siriescirebbe a tracciare quelle linee generali che serviranno poi adistinguere i malvagi. Tale scoperta fece scalpore nella società deltempo in quanto questa scienza prometteva di risolvere tutti iproblemi inerenti alla giustizia. Prevenire i reati sarebbe stato uncompito molto semplice, infatti, si poteva Identificare unmalvivente dalla fisionomia. Molti comunque avversarono lascientificità di tale scoperta, giudicandola inapplicabile realmente,insomma era ridicolo pensare che sin dalla nascita, una personafosse classificata solamente per il taglio degli occhi o magari perla posizione dell’orecchio. Come detto con la morte di Lombrosoanche le sue teorie entrarono in agonia

PERCHÉ EBBE SUCCESSO

Una spiegazione rimanda alle scoperte evoluzionistiche di Darwine al positivismo che avevano influenzato il pensiero di moltiintellettuali. Lombroso cercava di catalogare ogni individuo,ipotizzando un modello perfetto cui rifarsi per accertarne i casianomali. È evidente che un tale pensiero conduce al pregiudizio,costringe a giudicare in modo assoluto gli altri dalle apparenze,riconducendo la diversità ad una pericolosa anomalia. Meglioallora il vecchio detto popolare, anche poco scientifico, L’abitonon fa il monaco: ogni persona nasce diversa e da diversa cresce emuore, modi, tendenze, tradizioni e fisionomia sono soggettivi,non riconducibili ad alcun tipo di scienza. L’essere diversi e

diverse è un valore, quindi un ladro non dovrà avere il nasoaquilino e gli occhi piccoli, e uno stupratore non sarà per forzacalvo e con le sopracciglia folte. Avrebbe fatto bene Lombroso arendersi conto che chiunque potrebbe essere un delinquente o unmalavitoso, sia che abbia gli occhi piccoli che no; è solamente unpo’ di esperienza e un forte senso critico, che ci aiuterà ariconoscere chi veramente dice di essere ciò che è.

MUSOLINO: UN CRIMINALE DI GENIO? Avendo io dovuto dichiarare che Musolino non aveva il tipocriminale completo, destai un tolle-tolle fra i miei avversari; eparve crollasse perciò d'un tratto tutto l'edificio della miascuola...Così inizia un articolo sulla Rivista, la sua teoria scricchiola.Il brigante Musolino è l'esempio più lampante di un criminale chenon ha il tipo completo, ovvero i caratteri fisionomici checaratterizzano il classico criminale. I suoi caratteri degenerativisono meno numerosi rispetto alla media, s'insinua il dubbio allorache non esista l’esistenza del tipo.

Lombroso corre ai ripari e s'inventa la classica scappatoiadell'eccezione che conferma la regola. Come nelle arti e in ogniattività ci sono i genii, gli stra-ordinari che sfuggono ad ogniclassificazione, ecco cos'è Musolino: un genio criminale! Lateoria è salva (?). Quindi sono i genii, la categoria piccolissimacui Musolino appartiene, rappresentano una piccolissimacategoria di criminali, che non mostrano il tipo differente rispettoalla popolazione in cui vivono, non hanno anomalie craniche nécerebrali.Questi soggetti non hanno naturalmente il tipo quando sorgono inmezzo a popolazioni barbare, la loro criminalità non è morbosama fisiologica. Il delitto per loro è un’occasione speciale checonferma la loro forza ed intelligenza.Anche per altre ragioni i geni mancano del tipo, infatti molte delleloro azioni criminali sono più elevate rispetto a quelle del reo natoe di conseguenza i loro tratti fisionomici devono essere menobrutali. I caratteri primitivi come la strettezza della fronte, legrandi arcate sopraccigliari e zigomatiche sarebbero incontraddizione con la grande potenza del lavoro mentale, quindinon devono essere presenti nei genii.I criminali di genio solitamente non ricorrono alla violenzabrutale, ma a mezzi e arti più evoluti; sono falsari che giungonoall’assassinio non per la passione del sangue, ma per ottenere illoro fine ultimo, il denaro. Può, però, succedere che alcuni di essisiano ferocissimi e l’assenza del tipo si spiega perché lacriminalità di questi individui si sviluppa in tarda età, grazie aduna meningite, a un osteoma o ad una sifilide.

E GASPARONI?Nello stesso articolo ritroviamo Gasparoni, citato quale esempiodi criminale opposto al genio, perché delinquente nato. L'analisi di Lombroso è inesatta, infatti non ricevette alcun ufficiopapale, e contraddittoria nel ricordare la sua genialità strategica,citando l'episodio che abbiamo approfondito del sequestro delcolonnello austriaco Condenhaven. Ma il cranio non mente!

LA POLEMICA CONTINUANavigando in rete ci siamo imbattuti in questo comitato cheraccoglie firme per la rimozione ufficiale delle teoriecriminologhe di Lombroso dai libri di testo e la soppressione dellacommemorazione museale a suo nome. Questa l'accusa: Alla ricerca della notorietà in favore delle sue tesi equivoche eantiscientifiche, il medico Lombroso non esitò a scorticarecadaveri, mozzare e sezionare teste, effettuare i più, incredibili ecrudeli interventi su uomini ritenuti criminali per le misure diparti del cranio e del corpo, imbastendo incredibili teorie sullecaratteristiche somatiche dei cosiddetti delinquenti per natura.

Il suo lavoro fu fortemente influenzato dalla fisiognomica,sviluppando una pseudo-scienza che si occupava di frenologiaforense e psicosomatica e inducendolo a congetture quasi daallievo stregone più che da scienziato, in un contesto fondatosull'eugenetica e su certe forme di razzismo scientifico le cuiconseguenze saranno ben visibili nei decenni successivi.

Foto del brigante Giuseppe Musolino (1876 – 1956)

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IL CRANIO IN VIAGGIO:DA ABBIATEGRASSO A TORINO

Devo alla cortesia dell'illustre collega prof. Golgi, a cui la fama ela dottrina non scemò la gentilezza dell'animo, di possedere ilcranio e la fotografia del Gasparone, morto in Abbiategrasso ad88 anni per broncoalveolite (…) insomma per fenomeni dovutiprobabilmente solo all'età.Così inizia il capitolo che Lombroso dedica allo studio delbrigante (ad es. in Delitti vecchi e delitti nuovi, Fratelli Bocca,1902), o meglio del suo cranio: Notevole è l’allungamento delcranio, indice cefalico mill. 72,8, che però può dirsi in partecorrispondente al tipo del paese.Al cranio di Gasparoni e di tutti gli altri anormali Lombrosoriservava una minuziosa analisi

LA BIOGRAFIA SCRITTA DA LOMBROSO

Nell'analizzare la figura del brigante, Lombroso, probabilmentepartendo anche dal testo edito da Barbini, ne riassume la vita, loscopo è quello mostrare come le sue ipotesi scientifiche sianoconfermati dai fatti realmente accaduti. Gasparoni era un vaccaio e commerciante di Sonnino, dovenacque nel 1794 [1793]; siccome il padre morì giovanissimo fucresciuto dal fratello Gennaro, che faceva il brigante per sfuggireal servizio militare.Durante il brigantaggio del fratello si innamorò di Maria, unacontadinella, che era anche amata da un tale Claudio. Dopo unalunga contesa, Antonio strappò di mano al rivale un coltello eglielo conficcò in corpo. Una volta rientrato a casa sua madrevenne a mancare.Rimproverato da un certo Giuseppe per la morte di Claudio,uccise pure lui. Fuggì e stava per consegnarsi alla giustizia finchénon incontrò il brigante Massocco, che lo spinse a gettarsi fra ibriganti. Non molto dopo divenne capo di una banda e uccise pertradimento Massocco.Un giorno Gasparoni decise di cercare Maria, la sua storicaamante; la trovò e la invitò a stare con lui, e lei accettò. Ma unasera insorse un litigio fra i due amanti e dopo molte parole pesantiMaria accusò Gasparoni di essere un assassino (riferendosiall’omicidio di Claudio). Questo riempì di furore il bandito, chepugnalò la donna. Raggiunti i compagni li pregò di darle unasepoltura. Essi scavarono una fossa e vi deposero la vittima.Nel 1815, durante l’amnistia concessa dal generale austriaco,Gasparoni fu incaricato di rubar delle vacche per l’armata. Sonofamose le burle che fece ai soldati e i poliziotti mandati contro dilui e i ricatti che impose al convento di Velletri, al colonnelloaustriaco Cotenofer, ai frati del monte Duchessa, al cardinaleLante, al figlio di Ruinetti [Rovinetti], colonnello dei gendarmipapalini.Aveva una polizia abile, numerosa, attivissima. Per essa scampòmolte volte da insidie. Con astuzia, finge di essere in collera colbandito Massocco, per ottenere che il Pontefice liberasse ilfratello e il cognato per aiutarlo ad ucciderlo [nell'episodio fu uncomprimario], ed invece così incrementò la banda di due potentireclute. Quando quattro soldati finsero delle furfanterie perentrare nella sua banda, egli diede ordine di non fidarsi di loro, edopo quattro giorni gli uccise. Per vendicarsi della spiaDomenico, fece una spedizione apposita, lo sorprese e lo fecetagliare a pezzi, obbligando i garzoni a mangiarli.Si racconta che il cardinale Ippolito Cappello fuobbligato da lui a restituire casa e campo a unafamiglia di poveri contadini. Un giovane pastoreabruzzese pagò il cambio della leva con i soldiche Gasparoni tolse ad un prete usuraio di RoccaMassima. Due inglesi, che desideravano cono-scerlo, furono accolti gentilmente e trattati dagran signori per cinque giorni. Aiutò anche unsarto caduto in miseria dandogli del denaro.Egli rispettava molto i braccianti e i contadini, sela prendeva solamente con i ricchi, i preti e i fra-ti, ma puniva chiunque lo tradisse anche se pove-ro.Alla fine Gasparoni e compagni si lasciarono ade-scare dalle promesse di monsignor Pellegrini, cheprometteva loro salvi la vita e gli averi purché ab-bandonassero lo Stato romano. Il brigante accettòper le insistenze della sua nuova amante, Geltru-de, rimasta abbagliata dalla speranza di sposarlo edi vivere insieme una vita tranquilla. Il Governo pontificio mancò però alla promessa.

Dopo quindici giorni di penitenza a Castel Sant’Angelo, la banda,invece di ottenere la libertà, fu chiusa nella fortezza diCivitavecchia. Nel 1849 Gasparoni ebbe nuova residenza aSpoleto, e dopo due anni a Civita Castellana, dove gli giunse nel1870 la notizia della caduta del papato temporale. Chiese lalibertà. Di 22, dopo 46 anni di prigionia, erano rimasti sette.Gasparoni, venuto nella capitale, vi trovò le più clamoroseaccoglienze. Certo era uno scandalo, e tale parve alle autorità, che

lo mandarono nel ricovero di Abbiategrasso, dove morì.

UNA PROVA DI CRIMINALITÀL'USO DEL TABACCO

Cesare Lombroso sosteneva che il consumo di tabacco fosselegato ad un'inclinazione a delinquere, come riporta nel suoL'uomo delinquente: “Tanto nei criminali come ne' pazzi tale usosi inizia - al contrario de' sani - sin nella gioventù; ma mentre neipazzi esso aumenta nel manicomio - invece nei delinquenti taleuso è antecedente alla detenzione né viene accresciuto da essa”.Questi alcuni dati:●“Su 603 fanciulli da 8 a 15 anni, 51% avevano le abitudini del tabacco prima della loro detenzione;●su 103 giovani dai 16 ai 20 anni è dell'84%;●su 850 individui maturi il 78% avevano contratto quest'abitudi-ne prima dei 20 anni.●di questi il 57% entrava in prigione per la prima volta prima diraggiungere i 20 anni, (…)●Gli abituati al tabacco tra gli imputati di vagabondaggio, men-dicità, ladroneggio, truffa, ecc. è dell'89%. Tra gli ubbriachi con-dannati gli individui dediti al tabacco danno il 74% (…)”

Conclusione scontata, ma non proprio scientifica!“È evidente dunque che vi è un rapporto eziologico tra il tabaccoed il delitto, che perfettamente collima con quellodell'alcoolismo; perocchè è un fatto curioso che nei paesi dove èmassimo il consumo del tabacco si ha il minimo della criminalità.Contraddizione frequente in tutte queste ricerche, ma che prestosi elide, perché i fatti restano sempre, anche quando pare sicontraddicono ricordando come già per l'alcoolismo che questesostanze eccitanti del sistema nervoso sono più frequentementeabusate nei popoli quanto più civili”.Insomma chi fuma deve essere senz'altro un delinquente!

Alla figura di Gaspa-roni si interessa Lom-broso, ne studia e mi-sura il teschio, docu-mentandosi anche sul-le Mémoires de Ga-sparoni del Masi, (Pa-rigi 1861) e forse an-che dal testo edito da Barbini. La conclusio-ne è che Gasparoni è il vero tipo di delin-quente nato. Mancan-za di emozioni, insen-sibile, con un'eccessi-va libidine, feroce, in-

capace al lavoro continuato. Eppure queste caratteristiche sono ancora poche. Lombroso è costretto a riconoscere che "a for-mare di Gasparone il masnadiero tipo, concorsero, oltre all'eredità e alla speciale organizzazione, l'ambiente topografi-co, sociologico e l'occasione; quell'ambiente che, lui spento, fecevi rinnovare sino ai nostri giorni il triste flagello e ne la-sciò una leggenda piena di venerazione nei canti e nelle favole di quei popoli "

I passi dell'Uomo delinquente che riguardano il brigante di Sonnino. Oltre ai giudizi molto netti, si deduce che lo stesso Golgi e altri medici ne avessero esaminato il corpo, fornendo così utili anticipazioni alle deduzioni successive di Lombroso.

I due ospiti di Abbiategrasso sono gli esempi regionali per il Lazio

Pipe fabbricate da detenuti consumatori di tabacco