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GALILEO: STORIA,

ANEDDOTI E

CURIOSITÀ

Carlo Sintini

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GALILEO: STORIA, ANEDDOTI E CURIOSITÀ Carlo Sintini

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INDICE

1 - GLI STUDI DI GALILEO .................................................................................................... 3

2 - ALTRE NOTIZIE E ANEDDOTI SU GALILEO ................................................................ 9

3 - LA SENTENZA DI CONDANNA E L’ATTO DI ABIURA DI GALILEO. .................... 12

SENTENZA PRONUNCIATA IL 22 GIUGNO 1633 CONTRO GALILEO .................... 12

ATTO DI ABIURA DI GALILEO ...................................................................................... 13

4 – ANCORA NELLA FINE DEL 1800 C’ERA CHI MINIMIZZAVA ................................ 15

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1 - GLI STUDI DI GALILEO

Al contrario di quello che molti credono,

Galileo non fu esattamente l'inventore del

cannocchiale ma ebbe il grande merito di

trasformare quello che era poco più d'un

giocattolo in uno strumento scientifico e di

comprenderne l'eccezionale importanza.

Ecco come egli stesso racconta, in una pagina

famosa del Saggiatore, la scoperta del

cannocchiale

" ... in Venezia, dove io allora mi ritrovava,

giunsero nuove che al Signor Conte Maurizio

era stato presentato da un olandese un occhiale, col quale le cose lontane si vedevano così

perfettamente come se fossero state vicine; ne' più fu aggiunto.

Su questa relazione io tornai a Padova, dove allora stanziavo, e mi posi a pensar sopra tal

problema e la prima notte del mio ritorno la ritrovai e il giorno seguente fabbricai

l'istrumento....

Fu dunque tale il mio discorso. Questo artificio o consta d'un vetro solo, o di più d'uno. D'un

solo non può essere perchè la sua figura o è convessa, come più grossa nel mezzo che verso

gli estremi, o è concava cioè più sottile nel mezzo, o è compressa tra superfici parallele: ma

questo non altera punto gli oggetti visibili col crescergli o diminuirgli; la concava gli

diminuisce; la convessa gli accresce bene, ma gli mostra assai indistinti e abbagliati; a

dunque un vetro solo non basta per produr l'effetto.

Passando poi a due, e sapendo che 'l vetro di superficie parallele non altera niente, come si è

detto, conclusi che l'effetto non poteva ne' anco seguir dall'accoppiamento di questo con

alcuno degli altri due.

Onde mi restrinsi a volere sperimentare quello che facesse la composizion degli altri due,

cioè del convesso e del concavo, e vidi come questo mi dava l'intento".

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Trovato il principio, Galileo dedicò ogni cura alla

realizzazione di esemplari sempre più perfetti. Costruiva

da solo le lenti che gli servivano, ed avendo subito

compreso che la nitidezza delle immagini e

l'ingrandimento utile dell'occhiale dipendevano dalla

accuratezza con cui le lenti erano lavorate, nonchè dalla

perfetta centratura e dall'esatta distanza, fu presto in

grado di costruire nella sua officina di Padova dei

modelli molto buoni certamente superiori ai rozzi

esemplari che aveva usato l’olandese.

"Gli occhiali esquisiti e atti a mostrare tutte le

osservazioni sono rari, egli scriveva pochi mesi dopo, e

io tra più di 60 fatti con qualche spesa e fatica, non ne

ho potuto eleggere se non un piccolissimo numero".

Dopo aver realizzato il cannocchiale ed averlo sperimentato a lungo con osservazioni su

oggetti terrestri, ebbe l’idea di puntarlo verso il cielo notturno.

Era la fine del 1609. L’osservazione della volta stellata fu una inaspettata rivelazione. Per

notti e notti Galileo fu preso dal fervore dell'esplorazione celeste, le Pleiadi, le Jadi, il Presepe

rivelavano una inaspettata ricchezza di stelle mai viste prima, mentre la via Lattea, sulla cui

natura avevano variamente favoleggiato uomini d'ogni tempo, appariva formata da cumuli di

minuscole stelle sparse a caso e così lontane che su di esse l'ingrandimento del telescopio non

aveva potere.

Ancora più sorprendente fu la Luna: che il cannocchiale mostrava come un mondo sotto tanti

aspetti simile al nostro, con valli e lunghe catene di monti, con vaste pianure, con crateri

grandi e piccoli, al cui centro si ergevano picchi aguzzi. La natura dell'universo presentava

una varietà insospettata, degli aspetti impensabili.

"Infinitamente rendo grazie a Dio, scriveva qualche tempo dopo Galileo, che si sia

compiaciuto di fare me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli

occulta".

Ma la maggior sorpresa doveva allora essergli riservata dal pianeta Giove. Narra Galileo nel

Sidereus Nuncius che il 7 gennaio 1610, all'una di notte, dirigendo verso Giove un nuovo più

perfetto cannocchiale, fu colpito dallo strano aspetto di tre stelline, disposte lungo una linea

parallela all'eclittica, due ad oriente ed una ad occidente secondo lo schema: * * O *.

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La sera dopo, avendo ancora osservato Giove, notò con immenso stupore che la posizione

relativa delle tre stelline e del pianeta era mutata e che queste apparivano tutte e tre ad

occidente, in tal modo: O * * *.

Ecco qui sotto una riproduzione dei suoi appunti in cui sono indicati la posizione di Giove e

dei suoi quattro pianeti1

Con grande trepidazione attese la notte seguente, ma il cielo rimase ostinatamente coperto:

Ma nelle notti successive ogni dubbio scomparve: il pianeta aveva, quattro satelliti che attorno

a lui si muovevano come la Luna attorno alla Terra e, nell'ipotesi copernicana, come i pianeti

attorno al Sole.

Fin dal 13 gennaio egli aveva infatti contemporaneamente scorto i "Quator planetas a primo

mundi exordio ad nostra usque tempora conspectos" (I quattro pianeti mai visti prima dalla

creazione del mondo ad oggi).

Conscio dell'importanza della scoperta per le modifiche sostanziali che apportava all'antico

sistema planetario, Galileo decise di dedicare i quattro nuovi astri al Granduca di Toscana

Cosimo II de' Medici, imponendo loro il nome “pianeti medicei”, per consiglio di Belisario

Vinta.

Le osservazioni dei satelliti Medicei furono attivamente proseguite da Galileo e dai suoi

discepoli anche per molto tempo dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius.

1 Sappiamo oggi che sono satelliti (e molti più di quattro), ma Galileo vide solo i quattro maggiori e li considerò

pianeti (corpi celesti erranti).

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In data 25 febbraio 1611 Galileo scriveva da Firenze, dove da poco era passato col titolo di

Filosofo e Matematico Primario del Serenissimo Granduca di Toscana, a Fra Paolo Sarpi in

Venezia:

"Quanto ai pianeti Medicei ne ho fatte più di 300 osservazioni e bene spesso 2, et anco tal

volta 3, nell'istessa notte".

Scopo di Galileo era di ottenere i periodi e i moti medi e quindi di calcolare a mezzo di

apposite tavole le effemeridi dei quattro satelliti; risultato conseguito, e con sempre migliore

approssimazione negli anni successivi e che lo tenne occupato, pur tra le numerosissime altre

cure ed i nuovi studi intrapresi fino all'inizio del 1620. Il 30 luglio 1610 scriveva al Vinta:

"...Ho cominciato il di' 25 stante a vedere Giove orientale mattutino, con la sua schiera de'

Pianeti Medicei, et più ho scoperto un'altra stravagantissima meraviglia, la quale desidero

che sia saputa da loro A.ze et da V.S., tenendola però occulta, sin che nell'opera che

ristamperò sia da me publicata: ma ne ho voluto dar conto a loro A.ze Ser.me, acciò se altri

l'incontrasse, sappino che niuno la ha osservata avanti di me; se ben tengo per fermo che

niuno la vedrà se non dopo che ne l'haverò fatto avvertito. Questo è, che la stella di Saturno

non è una sola, ma un composto di 3, le quali quasi si toccano, ne' mai tra loro si muovono o

mutano; et sono poste in fila secondo la lunghezza dello Zodiaco, essendo quella di mezzo 3

volte maggiore delle altre 2 laterali, et stanno situate in questa forma: oOo."

Ormai era giunto per Galileo il momento di rompere il silenzio mantenuto per più di tre mesi

e di comunicare al mondo le sue straordinarie scoperte.

Il che avvenne con la pubblicazione del Sidereus Nuncius (1 marzo 1610).

L'opera scritta nel misurato e sobrio linguaggio latino, comprensibile allora a tutte le persone

colte, suscitò al suo apparire una vera e propria tempesta nell'ambiente accademico. Perché

era evidente che l'esistenza di un sistema di pianeti ruotanti attorno a Giove, toglieva alla

Terra il privilegio di essere unico centro di ogni moto e, intaccava alla base i principi della

fisica aristotelica, già scossi dalle ricerche sul moto dei corpi materiali.

Si cominciò perciò col negare la veridicità delle osservazioni o con l'attribuirle a illusioni

ottiche dovute all'uso delle lenti.

In proposito scriveva Galileo il 24 maggio 1610, con una certa amarezza:

"Le loro ragioni di dubitare sono molto puerili, potendosi persuadere che io sia tanto

insensato che con lo sperimentare centomila volte in centomila stelle e altri oggetti il mio

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strumento non habbia potuto o saputo conoscere quegli inganni che essi, senza averlo mai

veduto, stimano havervi conosciuto ... il cannocchiale e' arciveridico".

Ciò nonostante la conferma delle scoperte di Galileo da parte degli studiosi più seri e

qualificati (per es. Keplero, il Clavio, etc.) fu lenta, anche perchè nessuno era in grado di

costruirsi buoni cannocchiali e, avendoli, di usarli con la maestria di Galileo.

Si aggiunga all'inesperienza di alcuni, l'invidia di tanti, e l'incredulità preconcetta di chi

neppur voleva accostar l'occhio al cannocchiale ("quel mirare per quegli occhiali mi

imbalordisce la testa" diceva il Cremonini, collega di Galileo a Padova).

Molti anni dopo, Galileo avrebbe scritto in proposito:

" ... mi sono accertato esser tra gli uomini alcuni i quali preposteramente discorrendo, prima

si stabiliscono nel cervello la conclusione e quella sì fissamente si imprimono che del tutto

impossibile è l'eradicarla giammai ... Taluno di costoro spinto dal furore non sarebbe anco

lontano dal tentar qualsivoglia macchina per sopprimere e far tacer l'avversario; e io ne ho

veduta qualche esperienza".

Intanto Galileo. pur amareggiato dalle polemiche e mentre gli avversari si agitavano in mille

modi per diminuire la portata delle scoperte annunciate nel Sidereus Nuncius, trovava in cielo

altre prove dell'inconsistenza delle cosmologie geocentriche.

La scoperta delle fasi di Venere (settembre 1610) gli dava l'incontestabile certezza che

questo pianeta e Mercurio compivano la loro rivoluzione attorno al Sole.

Quella delle macchie solari, oltre a fornirgli la prova che il Sole ruotava su sè stesso, dava il

colpo di grazia al mito dell'incorruttibilità dei cieli.

Con l'annuncio della tricorporeità di Saturno2, si concludeva il ciclo padovano delle grandi

scoperte astronomiche.

Pochi anni dopo il suo processo (di cui riportiamo qualche brano nelle pagine finali di questo

fascicolo), nel 1637 Galileo divenne completamente cieco.

E' del 2 gennaio 1638 l'angosciosa lettera a Elia Donati, in cui si legge:

2 Infatti, grazie alle imperfezioni delle sue lenti egli vedeva Saturno ed i suoi anelli in modo deformato, e gli

anelli gli apparivano come due palline ai lati di Saturno ed attaccati ad esso. Di qui il nome di pianeta trilobato,

cioè formato da tre corpi sferici.

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"... ahimè, Signor mio, il Galileo, vostro caro amico e servitore, è fatto irreparabilmente da

un mese in qua del tutto cieco. Or pensi V.S. in qual afflizione io mi ritrovo, mentre che vo’

considerando che quel cielo, quel mondo e quello universo che io con mie meravigliose

osservazioni, e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del

comunemente veduto da' sapienti di tutti i secoli, ora per me s'è sì diminuito e ristretto, ch'è

non è maggiore di quel che occupa la persona mia".

Eppure anche nella totale cecità, lo spirito non si affievolisce, anzi sembra librarsi sereno al di

sopra delle miserie della vita.

E' sorprendente, negli ultimi quattro anni, la profondità e varietà di interessi che ancora

Galileo manifesta.

"... nelle mie tenebre, egli scriveva a Fulgenzio Micanzio a Venezia, vo’ fantasticando or

sopra questo, or sopra quello effetto di natura, nè posso come vorrei, far quiete al mio

inquieto cervello, agitazione che molto mi nuoce, tenendomi poco meno che in perpetua

vigilia".

Morì nel 1642: nessuna persecuzione, nessuna costrizione impedì l'affermarsi delle sue idee.

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2 - ALTRE NOTIZIE E ANEDDOTI SU GALILEO

Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo trovato alcune interessanti curiosità, aneddoti e

documenti che riteniamo sufficientemente importanti da essere menzionati in questo lavoro

avente come oggetto i satelliti scoperti da Galileo Galilei.

Per esempio non tutti sanno che per molto tempo si credette che il merito della scoperta dei

satelliti medicei non fosse da attribuire a Galileo, ma ad un altro studioso della sua epoca che

sembrava essere venuto a conoscenza dei satelliti poco tempo prima di Galileo.

La notizia è stata tratta da un articolo di Umberto Fedele sulla rivista “Coelum” (vedi

bibliografia), del dicembre 1939):

Oudemans e Bosscha nella loro opera “Galilée et Marius” (Archives Néerlandaises des

Sciences Exactes et Naturelles, 1903) trattano della paternità della scoperta dei satelliti di

Giove: sembra infatti che anche un certo Marius (Simon Mayer di Gunzenhausen , detto

anche Marius, e spesso italianizzato in Mario) abbia effettuato la stessa scoperta nello stesso

periodo.

Fu accusato di plagio da Galileo nel Saggiatore, e passò a lungo alla storia come il tipo del

mentitore e del plagiario, ma la lettura spassionata della sua opera principale, il "Mundus

Jovialis", dimostra che si tratta di un lavoro serio.

Pur non potendosi escludere che il Marius si sia giovato anche di osservazioni e di calcoli di

Galileo, egli ebbe talora a superare quest'ultimo giungendo in qualche punto a risultati più

precisi.

Humboldt sosteneva che la scoperta delle lune di Giove avvenne quasi simultaneamente e

indipendentemente per opera di Simon Marius ad Ansbach il 29 dicembre 1609, e per opera

di Galileo Galilei a Padova il 7 gennaio 1610.

Però non tenne conto della differenza fra il calendario giuliano usato da Marius, e il

gregoriano seguito da Galileo.

Dispute anche molto aspre fra studiosi circa la paternità di una scoperta, erano a quell’epoca

molto frequenti: si pensi per esempio alla celebre disputa fra Newton e Leibniz sul calcolo

infinitesimale.

A questo proposito citiamo anche una interessante curiosità: quando Galileo scoprì le fasi di

Venere, per avere un documento che certificasse la propria paternità sulla scoperta, e per

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mantenere nello stesso tempo segreta la scoperta stessa, spedì una lettera a Giuliano de’

Medici contenente una frase in codice che diceva testualmente:

“HAEC IMMATURA A ME IAM FRUSTRA LEGUNTUR O.Y.”

La frase opportunamente anagrammata si trasformava in:

“CINTHIAE FIGURAS AEMULATUR MATER AMORUM”

cioè l’aspetto di Cinzia (Venere) imita la madre degli innamorati (la Luna).

Anche per la scoperta di Saturno

“trilobato” usò un analogo anagramma.

Un’altra curiosità interessante è

l’artificio usato da un incisore

fiorentino (Stefano della Bella, 1610 -

1664) nella illustrazione del

frontespizio di un’opera omnia su

Galileo, che è riportato in un articolo di

“Coelum” (vedi bibliografia) del 1964

a firma di G. Tabarroni.

L’incisore riuscì a beffare la censura

ecclesiastica dell’epoca (il dialogo dei

massimi sistemi era stato messo

all’indice e solo delle edizioni

“purgate” fornite delle opportune

“licenze” potevano essere pubblicate, e

questa opera omnia era una di queste).

Ebbene, nel frontespizio era raffigurata una allegoria con Galileo in età avanzata davanti a tre

fanciulle sedute su di un trono: quella di mezzo con una corona di stelle, regge una sfera e

rappresenta presumibilmente l’Astronomia, affiancata dalla Geometria col compasso e

dall’Ottica col cannocchiale.

Sullo sfondo si scorgono un vascello, un cannone e un trave cilindrico spezzato che alludono

chiaramente ai “discorsi intorno a due nuove scienze”, mentre Galileo indica con la sinistra il

sistema solare disegnato in modo da rappresentare lo stemma a palle dei Medici.

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Nella figura lostemma è fortemente

ingrandito e contrastato, e sono

evidenziati particolari che

nell’originale appaiono volutamente

appena percettibili.

Le strane macchie sul Sole

sembrano fatte ad arte in modo che

lo stesso rappresentasse in modo

simulato la terra. Quindi guardando

la figura sembra che al centro vi sia

la Terra, rispettando così le

convinzioni geocentriche, ma in

realtà i raggi luminosi che emanano

da essa fanno intendere che in realtà il corpo celeste centrale è il Sole.

In alto si vede Giove i cui quattro satelliti scoperti da Galileo formano la corona dello

stemma, e sono indicate le loro traiettorie erranti.

In basso, opposto a Giove, si trova Saturno “tricorporeo”, in una rappresentazione analoga a

quella che ne aveva dato lo stesso Galileo.

Ai lati di Saturno si trovano Marte a sinistra e Mercurio a destra, contrassegnati dai loro

classici simboli.

In alto a destra di Giove, un pianeta accompagnato da un satellite non può essere che la

Terra3, mentre un sesto fortemente falcato sarà per esclusione il pianeta Venere.

Nell’edizione dell’opera (che avvenne a Bologna) è quindi rappresentato in modo completo

ma velato il sistema copernicano, tanto osteggiato dalla chiesa romana.

Da notare che l’autore dell’articolo informa che in molti esemplari di tale volume la pagina in

questione è stata strappata (per esempio nella copia giacente nella biblioteca dell’osservatorio

astronomico di Bologna).

3 Beffando così gli assertori delle convinzioni geocentriche.

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3 - LA SENTENZA DI CONDANNA E L’ATTO DI ABIURA DI

GALILEO.

SENTENZA PRONUNCIATA IL 22 GIUGNO 1633 CONTRO GALILEO

(Stralcio, ultimi cinque capoversi)

... Invocato dunque il S.mo nome di N.S. Gesu' Christo e della sua gloriosissima Madre

sempre Vergine Maria ... Diciamo, pronuntiamo, e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le

cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.

vehementemente sospetto d'heresia, cioe' d'haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria

alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente a

occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere

per probabile un'opinione dopo esser stata dichiarata e deffinita per contraria alla Sacra

Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre

constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.

Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta,

avanti a noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et

heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sara'

data.

Et acciocche' questo tuo grave e pernicioso errore e trasgressione non resti del tutto

impunito, et sii piu' cauto nell'avvenire et essempio all'altri che si astenghino da simili delitti,

ordiniamo che per pubbliro editto sia prohibito il libro dei Dialoghi di Galileo Galilei.

Ti condanniamo al carcere formale in questo S.Off., ad arbitrio nostro; e per penitenze

salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi

penitenziali: riservando a noi faeolta' di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodette

pene e penitenze.

E cosi' diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et

in ogni altro meglio modo e forma che di ragione potemo e dovemo

(Cardinali Centino, Bentivoglio, Scaglia, A.Barberini, Berlingero, Verospio, Ginetto)

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ATTO DI ABIURA DI GALILEO

Io Galileo, figliolo del q. Vinc. Galileo di Fiorenza, dell'eta'

mia d'anni 70, constituto personalmente in giuditio, et

inginocchiato avanti di voi Emin.mi et Rev.mi Cardinali, in

tutta la Repubblica Christiana contro l'heretica pravita'

generali Inquisitori; havendo davanti gl'occhi miei li

sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro

che ho sempre creduto, credo adesso e con l'aiuto di Dio

credero' per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica et

insegna la S. Cattolica et Apostolica Chiesa.

Ma perchè da questo S. Uff. per aver io, dopo d`essermi stato, con precetto dall'istesso

giuridicamente intimato che omnimamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia

centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova,

e che non potessi tenere, difendere, ne' insegnare in qualsivoglia modo, ne' in voce ne' in

iscritto, la detta falsa dottrina e dopo d'essermi notificato che detta dottrina e' contraria alla

Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina gia'

dannata et apporto ragioni con molta efficacia a furor di essa, senza apportar alcuna

soluzione; sono stato gindicato vehementemente sospetto d'heresia, cioe' d'aver tenuto e

crednto che il sole sia centro del mondo e immobile e che la terra non sia eentro e che si

muova; Pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d'ogni fedel

Christiano questa vehemente sospitione giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede

non finta abiuro, maledieo e detesto li sudetti errori et heresie, e generalmente ogni e

qualunque altro errore heresia e setta contraria alla S. Chiesa; e giuro che per l'avvenire non

diro' mai piu' ne asseriro', in voce o in iscritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil

sospitione; ma se conoscero' alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo denontiaro' a

questo S. Offitio, o vero aIl'Inqnisitore o Ordinario del luogo dove mi trovaro'.

Giuro anco e prometto d'adempire et osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono

state o mi saranno da qnesto S. Off. imposte; e contravvenendo ad alcuna delle dette mie

promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono

da' sacri canoni et altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte

e promulgate.

Così Dio m'aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.

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Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; et

in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione et

recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva questo di' 22 Giugno

1633.

Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria.

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4 – ANCORA NELLA FINE DEL 1800 C’ERA CHI MINIMIZZAVA

Nel 1863 il sacerdote Francesco Regnani, dottore in teologia, filosofia e matematica,

professore di fisica e chimica nel seminario pontificio romano, cercava di sminuire le colpe

dell’inquisizione nei confronti di Galileo, scrivendo in una sua opera4 (vedi bibliografia) le

seguenti sconcertanti affermazioni relativamente alla vicenda del processo e della condanna.

Convien riconoscere che chi ha contribuito più d'ogni altro alla pronta propagazione del

sistema copernicano, ed al perfezionamento delle sue prove, è stato Galileo Galilei: sebbene si

debba d'altra parte confessare, che questi colle sue imprudenze nocque assai, disturbando le

coscienze prevenute universalmente in contrario, ed involontariamente contribuendo in un

momento il più critico all'intronizzazione dello spirito privato, e della libera discussione, ed

al disprezzo di ogni autorità sugli intelletti.

Dico questo per premunire i miei scolari, affinchè non cadano nella comune leggerezza, per

non dire malignità, colla quale ogni qual volta ritorna il discorso sul sistema copernicano, tutti

quelli che hanno una semplice infarinatura in fatto di scienze naturali e di storia (e persino le

donne) credono di farsi belli, e di passare per istruiti esclamando, dopo un affannato sospiro

di compassione, “povero Galileo”; oppure ripetendo con riso ironico e cipiglio beffardo il

notissimo “e pur la zira”5.

Senza punto vedere che con ciò fanno mostra della più grossolana ignoranza su questo fatto

storico; accettando come oro di coppella le più insussistenti calunnie, inventate contro Roma,

e la Santa Sede.

Ed in verità essi così mostrano di ignorare:

1) Che, il sistema celeste non è di Galileo, ma di Copernico, il quale lo apprese a

Bologna da Domenico Maria Novara, e lo professò apertamente qui alla Sapienza

ben 133 anni prima che Galileo fosse inquietato;

2) Che Copernico fu indotto a scrivere l'Opera, dove espone e prova il sistema,

perchè qui in Roma fu accolta con molto favore la notizia di un manoscritto di

Copernico che Retico suo discepolo stampò nel 1540; anzi la scrisse a richiesta di

Nicola Schonberg Cardinale capuano, e di insigni prelati;

3) Essere tanto vero che Roma se la prendesse non colla dottrina pitagorica, o

copernicana, ma col metodo tenuto da Galileo nel propagarlo, che dell'opera di

Copernico accettò la dedica il Papa Paolo III; e fecero molti elogi il Papa

medesimo, Nicola V, Clemente VIII, i Cardinali Cusa (nella sua Opera "De docta

ignorantia"), Cesarini, il sopraddetto Schonberg, e più tardi i Cardinali Conti ed

4 I suoi volumi sono stati da me digitalizzati e pubblicati nel sito www.liberliber.it da cui possono essere

gratuitamente scaricati. 5 Eppure gira.

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GALILEO: STORIA, ANEDDOTI E CURIOSITÀ Carlo Sintini

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Orsini; e se ne fecero sostenitori un Diego da Stunica, illustre teologo agostiniano

di Salamanca, ed un padre Foscarini Carmelitano, un padre Castelli, un monsignor

Ciampoli; e Papa Clemente VII regalò un codice greco a Gian Alberto

Widmenstadt, quando nel 1633 in presenza sua e di due Cardinali e di molti illustri

personaggi espose il sistema pitagorico;

4) Che la Sacra Inquisizione è un Tribunale di salute pubblica religiosa; e però, come

una commissione sanitaria può proibire la vendita di una certa famiglia di funghi,

quando sia creduta velenosa, e può in tempo di colera, mettere i cordoni, quando vi

sia solo a temere della sua indole contagiosa; così il Santo Uffizio potè ai tempi di

Galileo proibire la lettura di Copernico, e di Keplero per tranquillizzare gli spiriti,

e cessare lo scandalo che di fatto ne nasceva;

5) Che l'opinione dei Teologi di quei tempi, la quale era pure l'opinione pubblica, che

cioè il moto della Terra si opponesse alle espressioni della S. Scrittura non era

finalmente che un'opinione, e finchè gli eretici non possono opporre alla Chiesa

Cattolica, che qualche rarissimo errore di taluna sua scuola, di un piccolo numero

di ecclesiastici, e di qualche Sacra Congregazione, mostrano con un argomento

negativo, che dunque le definizioni solenni della Chiesa sono state fin qui

infallibili:

6) Che il severo precetto, fatto a Galileo per mezzo del Cardinal Bellarmino, non fu

già di rinunciare al sistema copernicano, ma di difenderlo solo come un'ipotesi: al

qual proposito: «A torto, dice Cagnoli (Notizie Astronomiche paragrafo 299.), mi

sembra che si lagnassero alcuni di quella sentenza dei romani teologi: non doversi

sostenere, publicamente la rotazione della Terra se non come ipotesi»;

7) Che le prove addotte da Galileo non davano certezza, ma semplice probabilità; e

però non dovea piegarsi ad esse (come pretendeva Galileo medesimo) il senso

della Scrittura, ed in ogni caso, quando si fosse dovuto recedere dal senso letterale,

ciò non dovea decidersi dai particolari, ma dalla Chiesa;

8) Che Galileo prima di essere condannato avea commesso molte imprudenze, ed

usato modi che meritavano una efficace repressione; «trattò gli avversarii con zelo

acerbo» confessa lo stesso Libri contrario a Roma; «Galileo si era fatto una folla di

nemici pel modo accanito con cui egli trattò gli avversarii. Imperocchè flagellò gli

aristotelici non rigorosamente, ma ferocemente, ed agli attacchi replicò sempre con

sarcasmo spietato, e li assalì talvolta senza rispetto all'ingegno e alla sventura;

basti nominare Torquato Tasso». Così Cesare Cantù (Tomo IX. Lib. XV. Capo

XXXVI.):

9) Che Galileo si rese colpevole per molti falli; giacchè mancò alla parola data al

Cardinal Bellarmino di sostenere il sistema non come tesi incontrovertibile, ma

solo come ipotesi; giacchè disubbidì all'intimazione avuta, stampando non a Roma,

ma a Firenze, non in latino, ma in italiano i suoi Dialoghi, dopo che erano state

proibite tutte le opere scritte in difesa del moto della Terra; giacchè mise in

caricatura, e in bocca dell'ignorante Simplicio le ragioni recategli

confidenzialmente in contrario da quell'Urbano VIII, che avea scritto un Breve al

Gran Duca di Toscana per raccomandarglielo, ed avea assegnato una pensione a

lui stesso, ed a suo figlio, e da Cardinale lo avea encomiato per le stampe: giacchè

Galileo non cessava dall'insistere e pretendere che la Scrittura venisse interpretata

a seconda di un'opinione tuttora incerta ed a quei tempi universalmente derisa, e in

ciò racchiudevasi il pericolo, che i particolari si arrogassero il diritto di interpretare

la Bibbia a lor talento;

10) Che le misure prese contro Galileo non aveano per iscopo di impedire che si

studiassero i fenomeni naturali, ma di gastigarlo delle sue mancanze, e di

impedirgli di perseverare nel mal vezzo di disturbar le coscienze ed eccitare

continui tumulti, trattando di queste cose in pubblico e davanti a gente

incompetente;

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11) Che durante il processo Galileo fu trattato in un modo, specialmente per quei

tempi, mitissimo, e con mille riguardi, nè sopportò già la tortura (come si è

sognato qualche secolo dopo contro le parole stesse del processo, e l'invitto

argomento ricavato dall'inusitato silenzio dell'Ambasciatore toscano), nè il carcer

duro; ma venuto in lettiga e a tutto suo gran comodo (cioè in 25 giorni) a Roma

nell'Aprile del 1633, alloggiò presso il Marchese Niccolini Ambasciatore di

Toscana nel palazzo a Villa Medici, e dal 13 al 30 Aprile (dovendosi trattenere a S.

Ufficio per subire l'interrogatorio, e dare la risposta cattolica) abitò le stanze

cedutegli dal Fiscale, ebbe libertà di passeggiare ed un servitore a sua

disposizione;

12) Che in pena delle sue impertinenze fu condannato (horresco referens !) a recitare

per tre anni i sette salmi penitenziali una volta alla settimana e per precauzione, ad

impedire cioè i tumulti e la pubblica agitazione, dovette restare rinchiuso per pochi

giorni alla detta Villa della Trinità de' Monti; donde passò a Siena presso il

Vescovo di quella città Monsignor Piccolomini, e nel Decembre dell'anno stesso,

terminata la peste di Firenze, potè esser licenziato a tramutarsi alla sua villa di

Arcetri presso Firenze medesima, dove non cessò mai di essere circondato da' suoi

scolari, e visitato dai dotti di ogni nazione e dove morì tranquillamente nell'età di

ben 77 anni;

13) Che Galilei, sebbene in questo affare abbia tenuta una condotta per varii capi

riprensibile, fu per altro sincero cattolico, ed approvò esso medesimo nelle sue

lettere pubbliche e private il contegno tenuto con essolui, ed il silenzio impostogli,

come apparisce da molti documenti, e fra gli altri dalle seguenti sue espressioni

«Si promulgò (V. Dialoghi di Galileo) gli anni passati in Roma un salutifero

editto, che, per ovviare ai pericolosi scandali dell'età presente, imponeva

opportuno silenzio all'opinione pitagorica della mobilità della Terra. Non mancò

chi temerariamente asserì quel decreto essere stato parto non di giudizioso esame,

ma di passione troppo poco informata; e si udirono querele, che i consultori

totalmente inesperti delle osservazioni astronomiche non doveano con proibizione

repentina tarpar le ale agli intelletti speculativi.

Non potè tacere il mio zelo in udire la temerità di siffatti lamenti. Giudicai come

pienamente istrutto di quella prudentissima determinazione, comparir pubblicamente nel

teatro del mondo, come testimonio di sincera verità....

Pertanto è mio consiglio mostrare alle nazioni forastiere che di questa materia se ne sa

tanto in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa mai averne immaginato la

diligenza oltramontana, e che escono da questo clima non solo i dogmi per la salute

dell'anima, ma ancora gli ingegnosi trovati per delizia degli ingegni».

Chiunque non ignora tutte queste cose fra le molte altre che (volendo trattare la cosa

esprofesso) potrebbero aggiungersi, e non ha preso il partito di perfidiare per malizia

contro Roma, perchè è il centro del cattolicismo, si astiene dal trarre sì alti guai pel povero

Galileo. Accennai pensatamente all'odio contro il cattolicismo. Infatti, com'è che nessuno

si lagna di quello che hanno sofferto tanti scienziati per colpa degli eretici, e dei pagani ?

E che ! Forse mancherebbero ragioni di giuste lagnanze ?

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Non è mia intenzione prolungare davvantaggio questa oramai troppo prolissa, sebbene

sinottica annotazione; e perciò, ed anche per limitarmi al tema dei moto della Terra, non

mi fermerò a ricordare nè Socrate, che tenendo appressato alle labbra un bicchiere di

cicuta disputa sull'immortalità, nè Catone Uticense, che col pugnale al petto legge i suoi

scritti sul medesimo soggetto, nè il pubblico decreto de' Maestrati di sterminare il libro di

Platone sull'argomento stesso, perchè eccitante di fatto al suicidio, nè Grozio e Tommaso

Moro languenti nelle carceri dell'inquisizione protestante; domanderò solo, perchè

nessuno muove lamenti per quello che sofferse l'immortale Kepler per parte degli eretici, e

appunto per aver difeso il sistema copernicano ?

Domanderò perchè, quando si nomina Pitagora il primo autore, certamente non felice, di

tal sistema, nessuno esce mai ad esclamare “povero Pitagora !” ?

Domanderò perchè tutti, anche i fanciulli e le femmine, sanno la storia esagerata,

iperbolica, e falsa della condanna di Galileo; e per contrapposto la notizia delle condanne

e delle sofferenze degli altri arriva comunemente nuova anche alle persone, che passano

per erudite ?

Forse perché le storie sono oscure su tali argomenti? Forse perché i patimenti di quei

grandi, che ho nominati, furono inferiori a quelli del Galilei ?

Il perché vero è proprio quello, che ho detto: nei maliziosi è l'astio contro la Religione, nei

pappagalli (e sono i più) è la ignoranza.

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BIBLIOGRAFIA

Rivista: "COELUM", Periodico bimestrale per la divulgazione dell'astronomia, edito

dall'osservatorio astronomico di Bologna (Raccolta delle annate dal 1932 ad oggi).

Galileo Galilei, "Opere", a cura di Seb. Timpanaro, editore Rizzoli, 1936

Biblioteca enciclopedica Italiana, volumi XX e XXI (Galilei opere), Editore Nicolò Bettoni,

1832

Rivista: “Le scienze” - Ed. italiana di Scientific american, numero 139 del marzo 1980 (I

satelliti di Giove, L.A. Soderblom).

Francesco Regnani, “Elementi di fisica universale”, 1863 Roma.