G8 Net Game Andrea Calderaro

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OCP – G8 : Net Game 1 Net game di Andrea Calderaro Net_work_ing Affrontare un’analisi sull’eventuale legame esistente tra il “movimento” e la rete, argomento approfondito proprio in queste pagine, mette in risalto quanto sia inopportuna la definizione di noglobal con cui si è soliti identifi- care il movimento, così come del resto si è già avuto modo di chiarire 1 . L’uso sapiente delle nuove tecnologie 2 fornisce quotidianamente dei validi contributi, tanto che rischia di apparire paradossale che sia proprio la rete ad offrire quel particolare supporto connettivo al “movimento”. Essa ne fa- vorisce la coordinazione e probabilmente la crescita collettiva, ed allo stesso tempo concede lo spazio necessario alla sua autorappresentazione. Quella stessa rete che più di ogni altra icona può rappresentare la globalizzazione, il 1 Vedi Scenari. 2 Una premessa alle considerazioni che verranno avanzate nelle prossime pagine ri- sulta d’obbligo. Si affronterà un’analisi sull’influenza esercitata dalle nuove tecnolo- gie nell’agire politico e, più in generale, nelle dinamiche sociali. Le osservazioni ten- gono conto di un’omogenea fruizione sociale degli strumenti presi in considerazio- ne. Per Digital Divide s’intende proprio l’assenza di questa omogenea possibilità d’accesso alle tecnologie. Nella realtà la rete, così come gli altri strumenti presi in considerazione, non è infatti una risorsa alla portata di tutti, a causa dei costi, non ancora nulli come si è approssimativamente asserito, che escludono chi nel proprio budget economico deve dare priorità ai mezzi di sussistenza. A questo si aggiunge la poco diffusa socialità dell’uso delle nuove tecnologie. Questa situazione è una problematica più che viva, che merita di essere sviluppata soprattutto se, come in questo caso, si affronta l’ampia tematica della globalizzazione. In essa si deve an- che tener conto della disomogenea distribuzione delle risorse tecnologiche, soprat- tutto nei paesi non occidentali, escluse, è il caso di dire, dalle dinamiche di prota- gonismo economico. Non averla approfondita in questo spazio non è un vizio d’ingenuità. In realtà l’obbiettivo è quello di definire l’influenza che l’inserimento delle nuove tecnologie ha nel tessuto sociale chiaramente già coinvolto nella rivolu- zione in atto. Una volta superati i problemi strutturali ancora esistenti, coinvolgerà spazi sociali e geografici sempre più ampi. Sempre nella speranza che ciò avvenga secondo le modalità delle soggettività chiamate in causa.

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Progetto di ricerca dell'analisi dell'OCP sul G8 di Genova 2001 pubblicato nel volume "Violenza Mediata" (Editori Riuniti).

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Net gamedi Andrea Calderaro

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Affrontare un’analisi sull’eventuale legame esistente tra il “movimento” ela rete, argomento approfondito proprio in queste pagine, mette in risaltoquanto sia inopportuna la definizione di noglobal con cui si è soliti identifi-care il movimento, così come del resto si è già avuto modo di chiarire1.L’uso sapiente delle nuove tecnologie2 fornisce quotidianamente dei validicontributi, tanto che rischia di apparire paradossale che sia proprio la retead offrire quel particolare supporto connettivo al “movimento”. Essa ne fa-vorisce la coordinazione e probabilmente la crescita collettiva, ed allo stessotempo concede lo spazio necessario alla sua autorappresentazione. Quella

stessa rete che più di ogni altra icona può rappresentare la globalizzazione, il

1 Vedi Scenari.2 Una premessa alle considerazioni che verranno avanzate nelle prossime pagine ri-sulta d’obbligo. Si affronterà un’analisi sull’influenza esercitata dalle nuove tecnolo-gie nell’agire politico e, più in generale, nelle dinamiche sociali. Le osservazioni ten-gono conto di un’omogenea fruizione sociale degli strumenti presi in considerazio-ne. Per Digital Divide s’intende proprio l’assenza di questa omogenea possibilitàd’accesso alle tecnologie. Nella realtà la rete, così come gli altri strumenti presi inconsiderazione, non è infatti una risorsa alla portata di tutti, a causa dei costi, nonancora nulli come si è approssimativamente asserito, che escludono chi nel propriobudget economico deve dare priorità ai mezzi di sussistenza. A questo si aggiungela poco diffusa socialità dell’uso delle nuove tecnologie. Questa situazione è unaproblematica più che viva, che merita di essere sviluppata soprattutto se, come inquesto caso, si affronta l’ampia tematica della globalizzazione. In essa si deve an-che tener conto della disomogenea distribuzione delle risorse tecnologiche, soprat-tutto nei paesi non occidentali, escluse, è il caso di dire, dalle dinamiche di prota-gonismo economico. Non averla approfondita in questo spazio non è un viziod’ingenuità. In realtà l’obbiettivo è quello di definire l’influenza che l’inserimentodelle nuove tecnologie ha nel tessuto sociale chiaramente già coinvolto nella rivolu-zione in atto. Una volta superati i problemi strutturali ancora esistenti, coinvolgeràspazi sociali e geografici sempre più ampi. Sempre nella speranza che ciò avvengasecondo le modalità delle soggettività chiamate in causa.

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villaggio globale, la stessa rete che è globale. Se si accetta l’ipotesi che larete sia per il “movimento” un’efficace strumento connettivo, si dovrà abban-donare definitivamente l’idea che quest’ultimo sia “anti-globalizzazione”. Perrimediare alle superficiali definizioni che ambiscono a spiegare questa nuovatendenza contestativa, è opportuno approfondire il livello di analisi, anche apartire dagli strumenti che adopera.

L’attenzione che la violenza delle giornate di Genova ha catturato nei me-dia, ha relegato l’identità e le istanze del “movimento” in un cono d’ombra. Alfine di svelarla è necessario, al di là della retorica e delle definizioni folkloristi-che, indagare le modalità e gli strumenti mediante i quali i contestatori si or-ganizzano e si autorappresentano.

La rete deve essere letta nella sua polivalenza, che non si esaurisce nellemodalità comunicative veicolate dalla “posta elettronica” e dal World WideWeb, ma si sviluppa lungo molteplici canali, spesso indipendenti gli uni daglialtri, o in altri casi complementari. Questa varietà è uno dei suoi punti qualifi-canti che da sempre ha reso possibile la nascita di canali informativi autonomie indipendenti.

Capire il reale peso che la connettività della rete assume per il“movimento” nella sua quotidianità, nella crescita politica individuale e collet-tiva, nell’organizzazione dei suoi controvertici e, nello specifico, cosa è statala rete per l’evento Genova, è proprio compito di questo capitolo.

Divenire Media

Una delle tematiche che ha coinvolto, forse più di ogni altra, i teorici dellarete in proficue riflessioni è quel processo da molti definito come democratiz-zazione virtuale che la rete, con l’introduzione di “network processing” ad es-sa inscritti, favorirebbe. L’attuale organizzazione democratica si affida astrutture verticistiche, piramidali, di rappresentanza. Meno prossimi al verticesi è situati, meno si ha la possibilità di essere coinvolti nei processi decisiona-li, affidati quindi a degli organi più o meno rappresentativi della collettività. Losviluppo della rete andrebbe a insidiare proprio tali verticismi. Le sue poten-zialità connettive non solo permetterebbero di prescindere gli stadi intermedidella piramide, evitando la non sempre efficace rappresentanza, ma radune-rebbe chiunque ne avesse voglia in un’agorà telematica pressoché illimitata,così come la stessa rete. In questo modo si riuscirebbe a connettere proprietàintellettive la cui sintesi fornirebbe un benessere probabilmente superiore, inquanto frutto di una collaborazione piuttosto che della decisione fra pochi. Larete realizzerebbe così un’ambita democrazia effettiva.

Prescindendo da qualsiasi perplessità che una sintesi così brutale è lecitoche susciti, questa è un passaggio obbligato per una seria analisi dei processicomunicativi che scorrono lungo i percorsi telematici, tema centrale della no-stra ricerca.

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Il verticismo della vecchia organizzazione dei processi politici è proprio an-che dell’organizzazione degli organi informativi. Come i più sono esclusi daivertici decisionali, in ugual modo i più sono relegati nei processi informativi amera utenza, l’unica interattività concessa è inscritta nella possibilità di fruireo meno l’informazione trasmessa. L’unidirezionalità dei media tradizionali po-ne il fruitore del flusso informativo in una condizione subalterna: ricordandola figura piramidale, alla base della stessa. Chi si colloca al vertice si assumel’enorme responsabilità di far propria l’informazione per poi trasmetterlain-sieme ai propri punti di vista. Punti di vista che, nonostante la loro moltepli-cità, non riescono a essere esaustivi del più complesso scenario pubblico. Laverticalità anche in questo caso non è la migliore delle soluzioni.

Le potenzialità connettive della rete potrebbero seriamente mettere in di-scussione il modo di fare informazione per come è stato fino a questo mo-mento concepito. L’orizzontalità inscritta nel cyberspazio3 riuscirebbe a desta-bilizzare i verticismi oramai privi di senso, obsoleti, inadeguati alle mutazionisociali che l’inserimento delle ultimissime tecnologie ha favorito. In realtà conl’esperienza di Genova, ma ancora prima con le primissime BBS4 questo pro-cesso si è già avviato, è già cosa fatta.

“Don’t Hate the media, Become the media”5 è lo slogan di una delle piùimportanti fra le innumerevoli esperienze significative che hanno caratteriz-zato il panorama dei movimenti sociali contemporanei: sintomi concreti delcambiamento in atto o, per lo meno, dello sviluppo di una nuova esigenzapartecipativa. L’odio, suggerito nella prima parte dello slogan, è indizio di unavecchia proiezione dei media nell’immaginario collettivo, collocati ancora alvertice della piramide, quindi causa di esclusione, e ancora causa diun’inadeguata democrazia. E’ indizio di un sentore comune, di un sentimentostereotipatamente condiviso dagli “esclusi”. Divieni Media è la risposta a que-sta obsoleta situazione, sarà l’avvenire, è stato a Genova e in altre occasioniancora prima, l’abbattimento di ogni unidirezionalità del flusso informativo,quindi l’avvio di una proliferazione di fonti informative, delle quali difficil-mente ci si potrà assumere la responsabilità di selezionare quali meritanoconsiderazione e quali meno. Esorta a superare il ruolo in cui i vecchi para-digmi organizzativi verticali obbligavano, superarlo per assumere funzioni diattivo contributo nel mutante scenario mediatico.

Questo nuovo panorama mediale scaturisce non soltanto dallo sviluppodella rete. La “rivoluzione digitale” degli ultimi decenni, così definita da Ni-cholas Negroponte, è qualcosa di più complesso. Coinvolge una sfera di no- 3 Termine suggerito da William Gibson in “Neuromancer” nel 1984.4 BBS, Bulletin Board System. Prime forme di visibilità in rete, quindi di comunica-zione, sfruttando grafiche testuali essenziali.5 www.indymedia.org.

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vità decisamente più ampia, novità che inevitabilmente fungono da agenti at-tivi mutanti della stessa struttura sociale. Uno sviluppo di nuove tecnologie,che sono l’una complementare dell’altra, che se utilizzate proprio tenendoconto della loro funzionalità reciproca, renderebbero ogni individuo pressochéautosufficiente nella rappresentazione del proprio punto di vista senza inter-mediari, facendosi fonte informativa, inserendosi così nel complesso media-scape6. Mi riferisco quindi non solo alla rete, ma a tutti gli occhi digitali e agliinnumerevoli strumenti che opportunamente utilizzati forniscono un enormepotenziale comunicativo. Un potenziale effettivamente compreso e sfruttatoanche grazie alla diffusa accessibilità nell’utilizzo e alla facilità di possesso diquesti mezzi senza precedenti. Nel caso delle tecnologie informatiche si haanche la possibilità di prescindere da qualsiasi azienda produttrice di softwareo hardware. Le competenze e gli strumenti a disposizione sono tali che la la-cuna tecnologica può essere facilmente colmata inventandola e producendolada sé, secondo le proprie esigenze. Così sono nati applicativi software di va-rissimo tipo. Le radio on-line si inseriscono in questo scenario. Per rimediareagli eccessivi costi dei trasmettitori, che ne vincola la capacità di copertura, sisfrutta come ponte radio la stessa rete. Le connessioni telematiche permetto-no a qualsiasi radio del mondo di ricevere il segnale via web, per trasmetterlosul proprio territorio mediante le proprie frequenze. In questo modo una pic-colissima emittente riesce a costi praticamente nulli a godere di una coper-tura potenzialmente globale. Così è stato a Genova con radio GAP, GlobalAudio Project, network costituito da otto radio (Radio Onda d’Urto, RadioBlack Out7, Radio Città 103, Radio K centrale, Radio Fujiko, Radio Onda Ros-sa, Radio Croma, Agenzia Amisnet), che ha fornito la cronaca in direttadell’intero evento genovese. Il segnale è stato trasmesso sia direttamentenella città di Genova, impiegando la classica trasmissione radio, che in rete.Chiunque, attraverso una connessione e semplicissimi software reperibiligratuitamente da internet, ha potuto seguire l’evento con il proprio homecomputer o, in altri casi, le stesse radio locali hanno girato il segnale dallarete all’etere. Proprio la possibilità di raggiungere un pubblico potenzialmenteillimitato è uno degli elementi distintivi delle radio on-line dalle precedentifondamentali esperienze delle radio libere nate negli anni ’70, che potevanoinvece coprire aree più o meno vaste, ma comunque circoscritte. Ciò che hacaratterizzato il fenomeno delle radio pirata è stata la rivoluzionaria novità diaver dato la possibilità di “divenire media” attraverso percorsi che erano deimedia tradizionali, come le trasmissioni radio per l’appunto, e farsi spazio perproporre il proprio punto di vista. Di trasformare in soggetti comunicativi chifino ad allora era bandito dal palcoscenico mediatico, in cui, invece, trovava- 6 Così Appadurai definisce il panorama mediatico.7 Radio Black Out di Torino è soltanto recentemente uscita dal progetto di RadioGAP.

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no spazio soltanto figure tipiche. Riguardo agli illimitati mezzi attualmente adisposizione, merito delle competenze diffuse, è opportuno aggiungere un ul-timo valido esempio come lo sviluppo di veri e propri sistemi operativi: Linux8

per tutti, oramai consolidata valida alternativa al più noto Windows del ma-gnate americano Bill Gates. Anche questo rientra assolutamente nel “far dasé”, che è centrale nella filosofia hacker9, cui si può far coincidere anche il“far da sé i media”, “farsi media”.

Fonti informative

La complementarietà dell’uso delle nuove tecnologie è tale che separarnela lettura rischia di essere inopportuno, potrebbe far perdere di vista la com-plessità dei cambiamenti in atto, nella loro totalità. Ma insieme alla rete as-sume una particolare funzione anche la possibilità di catturare immagini contelecamere e con mezzi fotografici. L’accesso a tali strumenti e la coscienzamaturata riguardo la loro utilità ha portato ad una proliferazione di fontid’informazione senza precedenti. La rete da parte sua si fa primo mezzo didiffusione d’informazione, immagini e video (anche se in questo caso con re-lative difficoltà fin tanto che la banda larga, quindi l’aumento della velocità ditrasferimento dei dati, non sia alla portata di tutti). Tenendo inoltre contodella multimedialità propria del Web, ovvero riuscendo a collegarel’informazione testuale con quella sonora e visuale, sintetizzando quindi pecu-liarità comunicative dei vari media, è possibile riconoscere alla rete un ineditopotenziale informativo.

La proliferazione di fonti informative è un processo che non si può non ac-cogliere con ottimismo. Da una parte abbatte l’odiosa verticalità che rendefittizia la democrazia politica o informativa che sia. In questo modo permetteuna più ampia partecipazione dei soggetti nel panorama mediatico, renden-doli agenti attivi nei flussi comunicativi. L’abbattimento di verticismi aiutereb-be ad evitare odiose forme censorie e di strumentalizzazione da parte di chi aquei vertici può accedere, contribuendo davvero a un processo di democratiz-zazione non più virtuale, ma reale. Dall’altra l’aumento di “occhi indiscreti”,come suggerisce Joshua Meyrowitz, permetterebbe, per dirla con parole sue,l’accesso ai più svariati retroscena. In “Oltre il senso del luogo” (Meyrowitz,

8 Ideato dal finlandese Linus Torvalds nel 1991, sviluppato in un continuum inin-terrotto attraverso la collaborazione della comunità hacker internazionale. Linuxnon appartiene in questo modo ad alcun privato, la sua diffusione è quindi gratuitadato che nessuna azienda privata può appropriarsene. Altro fondamentale merito èl’essere open source, vale a dire avere i codici sorgenti accessibili a chiunque, contutti i vantaggi che ciò implica, come rendersi agente attivo nello sviluppo dei pro-cessi informatici.9 Un Hacker è il soggetto che compie un Hack (to Hack), ovvero rimediare effica-cemente ad una situazione alla propria maniera.

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1985), l’autore americano analizza proprio come la diffusione di agenti gior-nalistici permetterebbe sempre meno di nascondere la realtà dei fatti. In que-sto modo si favorirebbe un maggior controllo da parte dei fruitoridell’informazione sui vertici politici e sulle loro azioni. A sostegno delle sueipotesi, l’autore riporta come validi esempi casi tutti americani: il watergateche, come è noto, costrinse alle dimissioni l’allora presidente Nixon, el’“effetto Vietnam”. Così è possibile definire lo shock causato dalle crudequanto reali immagini di quella guerra lontana, entrate nei salottidell’opinione pubblica americana grazie alla televisione. Ciò svelò i retroscenadel fronte asiatico che, altrimenti, sarebbero rimasti nascosti, provocandol’indebolimento del consenso all’azione militare, che fu, com’è noto, tra lecause della disfatta bellica. Più media sono quindi pronti a coglierel’informazione, più trasparenza potrebbe penetrare nei canali informativi. SeOrwell ci ha preoccupato nel suo noto 198410 prospettando un’apocalitticacondizione sociale dove un’elite, detentrice degli strumenti di controllo, sor-vegliava attentamente chi si collocava in condizioni gerarchicamente inferiori,oggi sembra possibile smentire questa previsione. Mentre si sviluppano stru-menti che minano la privacy individuale, spingendo verso la visionaria realtàorwelliana, allo stesso modo, lungo percorsi paralleli, la proliferazione di fontid’informazione permette proprio un controllo su quelle stesse élite, ma so-prattutto su tutti gli avvenimenti in genere, diminuendo il rischio che episodisparsi sul territorio rimangano nascosti.

Calandoci nella recente esperienza delle giornate genovesi, non si può checoncludere che tali considerazioni hanno più che in ogni altra occasione tro-vato riscontro. Per le strade del capoluogo ligure, agli innumerevoli manife-stanti si sono affiancati agenti informativi, ruoli che in realtà spesso si sinte-tizzavano nella nuova figura propria di questi ultimi anni: quella di mediattivi-sta, rilevatori di qualsiasi episodio li coinvolga o soltanto sfiori. Molti episodisono stati svelati nella loro integrità grazie all’esistenza di molteplici punti divista, altri ancora è probabile che non siano neanche avvenuti proprio graziealla fitta presenza di “occhi indiscreti”, che fungevano in queste occasioni daaura protettiva, da vera e propria garanzia per la propria ed altrui incolumità.Non a caso le immagini più significative dell’evento sono pervenute da mediaindipendenti. Prendendo come esempio l’episodio che più di ogni altro hasconvolto le tre giornate genovesi ovvero l’uccisione di Carlo Giuliani, è possi-bile rilevare ulteriori riscontri empirici. La nota sequenza fotografica dellamorte di Giuliani, diffusa proprio mentre prendevano spazio le prime dichiara-zioni ufficiali che dichiaravano che una pietra e non un proiettile, come qual-cun altro provava a testimoniare, aveva ucciso un manifestante spagnolo, èstata scattata da un freelance, slegato quindi da testate giornalistiche corpo-

10 “1984” di George Orwell, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1950.

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rative. Con la propria macchina fotografica digitale è inoltre riuscito a bypas-sare i tempi di sviluppo della pellicola, con le chiare difficoltà logistiche con-nesse ad un’operazione del genere. Grazie ad una postazione in rete - molteallestite opportunamente nello stesso centro stampa11 del Genova Social Fo-rum ed Indymedia - la diffusione su scala globale della prova di quello cherealmente era successo poche ore prima è stata semplice ed immediata.Questo dimostra quanto sia importante l’uso complementare dei due elementipiù rilevanti per “divenire media”: la registrazione e la trasmissionedell’informazione. Gli innumerevoli video girati da tutte le angolazioni di P.zaAlimonda, luogo della tragedia, riescono a fornire un quadro piuttosto com-pleto delle reali dinamiche accadute in quegli istanti, tanto da essere fonda-mentali prove al processo giudiziario in corso sull’episodio. Anche questi videonon sono stati girati da alcun media ufficiale, bensì da validi mediattivisti, co-scienti o meno di esserlo. Inutile aggiungere altri episodi le cui riprese hannosvelato la veridicità delle testimonianze dei presenti, o altri ancora altrettantoeclatanti a cui purtroppo nessun mediattivista era presente, lasciando dellelacune informative.

Il Media Center

La realtà dei Media Center è nata con questo spirito. Consolidati punti diriferimento nei momenti di contestazione, i media center concretizzano l’ideaormai chiara che il conflitto oltre che in piazza, debba essere giocato anchesul piano mediale. Anche questa novità è frutto dell’acquisita consapevolezzache divenire media non solo è possibile, ma è soprattutto necessario, proprioper i motivi fino ad adesso illustrati. In ogni tappa del movimento è ormaiscontato allestire delle sedi dove far convergere la comunità internazionale dimediattivisti, dove poter convogliare, montare per poi diffondere la notevolemole di materiali video-audio-fotografici raccolti per le strade. In queste sedisono disponibili di norma gli strumenti necessari, da centraline di montaggiovideo, postazioni on-line, trasmettitori radio. Così è stato anche a Genova. Ladimensione dell’evento era tale da impegnare per l’occasione un intero edifi-cio come area operativa ed un altro adiacente come dormitorio, si tratta dellescuole Diaz e Pertini. La Pertini era così distribuita su quattro piani: nel primo,unico accessibile a chiunque, è stata allestita la sala per le conferenze stampadegli esponenti del Genoa Social Forum, una palestra, adibita a corsia ospe-daliera nelle tre giornate della contestazione e, infine, parecchie postazioniinternet destinate a chi ne avesse avuto bisogno. Il pass rilasciato nella stes-sa sede, proprio dal GSF, limitava, invece, l’accesso ai piani superiori. Banditiquindi dal resto dell’edificio i rappresentanti delle agenzie giornalistiche cor-

11 Il centro stampa allestito presso la scuola Diaz e Pertini, riferimento dei mediatti-visti e canale mediatico degli organizzatori della contestazione genovese.

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porative. Lungo i tre piani trovavano spazio soprattutto l’ufficio dei legali,pronti ad intervenire per ogni consultazione e la redazione di radio GAP, dadove avvenivano le trasmissioni. L’ultimo piano era a disposizione di Indyme-dia, cuore dell’intero Media Center. Qui video, foto, rete, e supporto tecnicoall’intera struttura convergevano in un’efficiente sintesi mediale. Un comples-so meccanismo tecnico costituito da strumenti portati e messi a disposizionedella collettività, dalle varie comunità “indyane” del mondo convogliate pro-prio nello spazio a loro disposizione. I costi delle attrezzature sono, di norma,affrontati dal singolo, o in altri casi gli acquisti comunitari avvengono tramiteautofinanziamenti. Le competenze tecniche sono tali che l’intero cablaggio12

dei due edifici è stato realizzato nella sola settimana che ha preceduto le tregiornate. Una rete perfettamente funzionante, difesa da impeccabili sistemi disicurezza telematica. Il motivo di tali attenzioni è da ricercare nell’importanzache assume il farsi media, quindi nel peso che Meyrowitz riconosce alla proli-ferazione di fonti d’informazione, e che permette, infine, di smentire la fanta-stica realtà immaginata da Orwell. Che i mediattivisti possano svelare parti-colari altrimenti nascosti, che a non tutti faccia piacere che ciò avvenga, eche quindi queste attenzioni siano legittime, sono conclusioni che è difficilenon sostenere dopo il brutale blitz, dei corpi di polizia, avvenuto proprio inquesti spazi la notte del 21 Luglio, a conclusione delle giornate genovesi. Nonè questo lo spazio adatto a commentare la modalità dell’azione avvenuta, marientra nell’analisi sociologica capire il perché di questo atto. Il Media Centersimboleggia più di ogni altra cosa l’alternativa ai tradizionali ed istituzionali,canali informativi. Colpirlo è stato un chiaro attentato all’esistenza di moltepli-ci fonti comunicative, un gesto che può essere letto come sintomo di pauradegli organi governativi verso un’alternativa narrazione della realtà.L’incursione della polizia ha di fatti sottratto al media center il materiale deilegali, testimonianze e nomi degli arrestati, e materiale video ancora presentenell’edificio. Tutto questo aiuta a concludere riguardo al potenziale potere dicontrollo che la proliferazione di fonti d’informazione esercita sullo scorreredella democratica quotidianità, se così non fosse alcuna tragica azione delgenere sarebbe accaduta.

La rete

L’analisi fino ad ora avanzata sulla rete ne ha approfondito gli aspetti te-nendo conto della sua funzione complementare ad altre nuove tecnologie.L’atipica natura delle sue caratteristiche tecniche rende opportuno uno sguar-do su una rete isolata da altri elementi. Proprio tra le sue peculiarità

12 Per cablaggio s’intende il montaggio di un sistema di rete in una preciso spazio,che permette di stare on-line a tutte le postazioni dell’edificio.

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s’inscrive, infatti il potenziale che il tessuto connettivo ha di agire sulle dina-miche sociali.

Iperconnettività

Gilles Deleuze e Fèlix Guattari, in largo anticipo sui tempi che hanno vistolo sviluppo connettivo di questo ultimo decennio, figuravano un’efficacestruttura organizzativa con il rizoma13. Un vegetale la cui proliferazione diterminazioni che non fanno capo a niente lo caratterizzano non poco, oppo-nendolo inoltre alla più nota struttura ad albero, icona delle ancora attualigerarchie relazionali. Deleuze era inoltre affascinato da un’altra delle caratte-ristiche del vegetale: il suo essere sotterraneo, come tali, underground, eranogli ambienti a cui faceva riferimento. In questo modo gli autori francesi ave-vano già rappresentato la rete come meglio non è stato ancora fatto, senza,tra l’altro, avere idea della metamorfosi che da lì a breve avrebbe travolto Ar-panet14, e prima ancora che la realtà delle BBS si fosse sviluppata. La rete èrizomatica. Si sviluppa praticamente senza alcun limite, ha un potenziale con-nettivo pressoché totale, tutti i nodi sono connessi tra loro, il che vuol direche chiunque è in rete è connesso con tutto ciò che in rete è disponibile,materiale o avatar che sia, le proiezioni di identità reali in rete. L’assenza diun nodo non incide in nessun modo sull’efficienza connettiva del network,rendendo la network society, così definita da Manuel Castells15, pressoché in-distruttibile, perché tale è l’organizzazione rizomatica. Una volta avviata, lasua proliferazione è inarrestabile.

Le ottimistiche ipotesi affiderebbero proprio all’iperconnessione rizomaticala funzione di avviare un confronto permanente tra proprietà intellettive de-territorializzate, dalla cui sintesi deriverebbe un’intelligenza collettiva, che nonequivale alla somma delle singole intelligenze, ma a qualcosa di altro. E’Pierre Levy, che più di ogni altro si è interessato all’argomento, e lo ha defi-nito nei termini oggi noti. In realtà già da tempo esisteva un concetto parec-chio simile su cui aveva riflettuto Karl Marx da lui a sua volta definito con“General Intellect” (1844), chiaramente non frutto di alcuna connessione tec-

13 “Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie” di Gilles Deleuze e Félix Guattari,Les Editions de Minuit, 1980.14 Arpanet è stata la prima forma di internet ideata per fini militari nel 1969, sol-tanto successivamente aperta agli usi che tutt’ora conosciamo.15 Manuel Castells definisce network society l’attuale struttura sociale fondatasull’informazionalismo caratterizzato dalla centralità “della conoscenza edell’informazione nella generazione di ricchezza, potere e significato”. Nella nostraepoca ciò che lo contraddistingue “è la tecnologia dell’elaborazionedell’informazione e il suo impatto sulla generazione e l’applicazione della conoscen-za.” Epilogo in “Etica Hacker” di Pekka Himanen, Feltrinelli Editore, 2001 Milano.

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nologica. Mentre soltanto qualche anno dopo Levy, Derrick De Kerckhove16 hariproposto l’analisi suggerendo l’”intelligenza connettiva”, ma entrare neldettaglio della genesi della riflessione in causa merita altri spazi, e poco im-porta ai fini della nostra analisi.

Levy suggeriva la sua ipotesi in “L’Intelligence Collective, pour une antro-pologie du cyberspace” (Levy, 1994) nel 1994. Risulta ancora oggi piuttostodifficile concludere quanto la network society si sia mossa verso la direzioneche l’autore francese indica. Probabilmente trarre delle conclusioni sulla que-stione sarà sempre operazione azzardata. Che la rete generi confronto non èin discussione; che faciliti contatti tra identità che in alcun altro modo si sa-rebbero mai incontrati e confrontati, è fuor di dubbio. E’ lecito, prendendo inconsiderazione questi pochi ma essenziali elementi, avanzare delle conclusio-ni. Nell’analisi in questione si è del resto cercato di indagare anche in questosenso. Capire come la rete supporti il “movimento”, che funzione ha svoltonello specifico dell’evento genovese, ed in che modo le risorse connettive so-no state impiegate.

Dall’analisi della grossa mole di mail distribuite nelle varie mailing-list mo-nitorate non è possibile arrivare ad alcuna monolitica conclusione. Prescin-dendo dai dettagli che verranno affrontati di seguito, risulta chiaro che la ca-ratterizzazione di ogni singola lista ha condizionato la peculiarità delle mailche in essa trovavano spazio. Sono presenti casi di fitto scambio di opinionisu un ampio ventaglio di argomenti inerenti per lo più le politiche alternativea quelle portate avanti dalle strutture sovranazionali o dai vertici pseudo-rappresentativi come il G8 stesso. Argomentazioni spesso affiancate da do-cumenti girati da altre fonti, che contribuivano chiaramente al dibattito. Inquesto caso la crescita intellettiva collettiva, proprio grazie alle connessionicyberspaziali, trova pieno riscontro. La rete come agorà telematica, come sindagli anni sessanta era piacevole sperare. In altre occasioni i flussi telematicihanno fornito un altrettanto valido ed importante supporto logistico. La con-sultazione dei siti web ha per molti fornito, probabilmente ancor più per lacomunità straniera arrivata a Genova per l’occasione, delle informazioni diprimaria necessità. Il web è stato validissimo punto di riferimento.

Alcune mailing list si sono caratterizzate per una funzione meramente or-ganizzativa dell’evento assumendo così il compito di connettere identità spar-se sul territorio facilitando l’organizzazione della manifestazione, nel sensoampio del termine, permettendo un confronto di opinioni e disponibilità. Ri-sulta evidente che in realtà la funzione della rete, nell’occasione in questione,

16 “La pelle della cultura, un’indagine sulla nuova realtà elettronica”, di Derrick deKerckove, Costa&Nolan, 1996 Genova.

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non è stata così essenziale come qualcuno ha avuto modo di teorizzare. Ha inrealtà rivestito un ruolo fondamentale ma di supporto, è stata complementa-re. Ha “facilitato” degli iter che altrimenti sarebbero stati sicuramente più im-pegnativi, causando una selezione di partecipanti ai vari dibattiti che hannoinvece trovato spazio nel tessuto rizomatico. Chi ad una assemblea organiz-zativa, o di confronto politico, era impossibilitato ad assicurare la propria pre-senza, sarebbe stato escluso da decisioni prese a quel punto dai “soliti noti”.In questo la rete ha avuto una sua funzione decisamente importante, senzaperò sostituire del tutto i tradizionali spazi assembleari che avvenivano co-munque, secondo percorsi paralleli a quelli telematici. A questo c’è da ag-giungere un altro elemento riguardo il peso assunto dalla rete dopo mesi dipreparazione, momento di confronto e crescita politica nonché di scambi diinformazioni logistiche, cioè durante e dopo l’evento. Come diretto effetto diciò che avveniva per le strade del capoluogo ligure, internet è divenuta laprimaria fonte d’informazione, o per lo meno così è stato per chi ha seguitocon particolare attenzione le giornate genovesi. Informazioni e materiali videoe/o audio sapientemente riversati in rete e fruibili per chiunque avesse volutoattingerne da qualsiasi collocazione geografica. Funzione informativa sosti-tuita, in seguito alla gravità degli episodi accaduti, da quella di denuncia. E’stata questa l’immediata reazione che ha trovato nella rete validi spazi. Lemailing-list sono state affollate da messaggi di testimonianze riguardo le infi-nite storie personali che si sono intrecciate durante l’evento, spesso conchiare disapprovazioni per quanto era avvenuto, sia per il ruolo giocato dalleforze dell’ordine, che per la radicalità delle “pratiche di lotta” di parte dei ma-nifestanti. I dibattiti che avevano caratterizzato le liste prima dell’evento han-no lasciato il posto agli sfoghi e all’esigenza di condividere malesseri ed espe-rienze vissute, assumendo così anche una connotazione emotiva. Anche ilweb ha risentito della nuova situazione. Mi riferisco a casi di defacement, ov-vero la sostituzione di una home page con altre, appositamente concepite,che veicolano tutt’altri messaggi rispetto all’originale a scopo di denuncia17.Pratiche che rientrano tra le molteplici potenzialità comunicative di chi hacompreso e quindi fruisce della rete nella sua fantasmagorica natura.

Iperconcettualità

Il potenziale comunicativo della rete deve essere letto nelle sue innovativeanomalie, poiché proprio queste sono le ragioni delle rivoluzionari dinamicheda esse introdotte. E’ lecito soffermare l’attenzione nella capacità del WorldWide Web18 di convogliare in sé molteplici linguaggi comunicativi. E’ la multi- 17 Così è stato per la home page della Prefettura di Trapani(www.prefettura.trapani.it), sostituita con una foto del corpo di Carlo Giuliani.18 E’ necessario chiarire che è il World Wide Web, e non altre piattaforme comuni-cative della rete, che permette la multimedialità. In questo caso l’analisi si sofferma

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medialità la più interessante delle novità che caratterizzano questa nuovatecnologia. Ogni media si distingue per il modo con cui veicola i suoi messag-gi. Alcuni possono essere definiti monodimensionali, nel senso che sfruttanoun unico linguaggio, a volte, invece, ne può coinvolgere altri, ma fino ad orasoltanto la rete riesce a sintetizzarli tutti. La sua pluridimensionalità è davveroqualcosa di nuovo che apre nuove prospettive comunicative tutte da speri-mentare. Così audio, immagini, e video possono essere contemporaneamenteimpiegati, nella loro complementarietà espressiva, fornendo un’informazionetotalmente esaustiva. Questa sua caratteristica sostiene non poco le consi-derazioni riguardo il fondamentale contributo che la rete offre per diveniremedia. Si fa primo mezzo di diffusione su scala globale di informazioni, co-municate attraverso tutti i possibili formati: video, testuali, fotografici chesiano.

La fruizione di un’informazione polifonica genera implicazioni che devonoessere comprese nella loro totalità, in modo da maturare un’efficiente impie-go del mezzo, senza correre il rischio di sfruttarlo parzialmente. Così è op-portuno prendere in considerazione anche un'altra caratteristica del web chesi lega parecchio alla multimedialità. Il riferimento è all’ipertestualità. Conquesto termine si definisce il particolare accesso al contenuto della rete se-condo percorsi non lineari, seguendo tracce personali, con l’obbiettivo di sod-disfare le proprie esigenze informative. Tutto avviene secondo ritmi di zap-ping concettuali. Ma proprio queste rizomatiche connessioni concettuali per-messe dal web non sono chiarite a fondo nel termine che le definisce. Iperte-sto è una parola che rende poca giustizia a ciò che in effetti pretende di spie-gare. L’informazione, o concetto che sia, grazie alla multimedialità del web,può assumere molteplici forme oltre a quella testuale. Il link permette colle-gamenti tra argomenti, concetti, informazioni, che possono però essere fruitisecondo molteplici linguaggi comunicativi. In sintesi: sicuramente tutti i testiesprimono concetti, ma non tutti i concetti possono essere espressi dal te-stuale o, ad ogni modo, potrebbe essere riduttivo, limitante, quando invece ilweb di limiti non ne pone affatto (accessibilità a parte). Il termine ipertestonasce, ed era adatto alle prime forme della rete in un momento in cui la mul-timedialità non era ancora sviluppata, e presentava dei limiti strutturali cheoggi sono stati superati (come la velocità di connessione, anche se la bandalarga è tutt’ora per pochi). Continuare ad impiegarlo rischia di far sfuggire unpotenziale che è della rete, ne circoscrive l’impiego. Ad esso è il caso di con-trapporre iperconcettualità. Questa nuova definizione potrebbe essere piùesaustiva, meglio riuscirebbe a figurare lo zapping concettuale che non è te-stuale, ma polifonico, che è proprio il punto di forza della rete. Questa sua più nello specifico su internet, nella sua attuale forma. Escludendo, quindi, in que-sto momento la struttura tecnica della rete, così come i suoi altri impieghi, le cuicaratteristiche sono anche del WWW, ma non viceversa.

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peculiarità potrebbe anche permettere di ridisegnare le nostre alfabetizzatemappe cognitive, probabilmente lo sta già facendo. Ma queste sono conside-razioni che meritano approfonditi sviluppi.

L’apparato comunicativo messo in moto a Genova ha tenuto conto nel mi-gliore dei modi della multimedialità del web. Navigare per i punti di riferi-mento telematici della contestazione significava sottoporsi ad una molteplicequantità di differenti linguaggi informativi. Spesso brevi messaggi testualierano implementati da immagini fotografiche, che ne sostenevano la veridi-cità. In altri casi era facile reperire non la trascrizione di un comunicato, mal’originale traccia audio, che era possibile ascoltare senza lunghi momentid’attesa19. Allo stesso modo parecchi sono stati i video di interviste, o di par-ticolari avvenimenti accaduti a Genova, messi on-line, fruibili da chiunque. Inquesto modo era possibile reperire l’informazione nella sua totalità, visiva osonora, esaltando l’esaustività della rete.

Smaterializzazione dell’informazione

Avanzare delle riflessioni sulle potenzialità connettive genera di norma unamole di considerazioni che merita ben altri spazi a questo. Nello specifico, percompletare i nostri intenti, occorre approfondire un’ultima questione. Senzaentrare nel merito della complessa storia della comunicazione, è ragionevoleconsiderare i flussi comunicativi dei vecchi media imprescindibilmente legati asupporti materiali. Così i quotidiani, per quanto riguarda le informazioni gior-nalistiche, o i libri, per la trasmissione dei saperi scientifici, coincidevano consupporti cartacei. Con il telegrafo si compie il primo grosso passo versol’astrazione dell’informazione dalla materia, processo che si è inarrestabil-mente sviluppato lungo i percorsi elettrici della etere-comunicazione radiofo-nica e televisiva. I flussi comunicativi veicolati dai media in questione si ca-ratterizzano per la scarsa interattività, ma anche per altre peculiarità chevengono alla luce se confrontati con la recente comunicazione telematica. Larete porta ad una fase assolutamente nuova la questione della smaterializza-zione dell’informazione e dei saperi. Con gli old media l’informazione trasmes-sa si consuma nel frame comunicativo, temporalmente circoscritto. Adessoinvece viene proiettata nel tessuto cyberspaziale astraendola sia da supportimateriali20 che dalla dimensione temporale. In questo modo si aggiunge inol-

19 Il riferimento è ad alcuni formati audio e video, che è possibile ascoltare o visio-nare senza attendere che il file sia stato completamente scaricato sul proprio com-puter. La tecnologia definita stream permette di ascoltare o visionare il file duranteil processo di downloading dalla rete, evitando lunghi tempi d’attesa.20 Senza entrare in dettagli tecnici, in realtà le informazioni sono in ogni caso con-tenute in hard disk materiali. Tenendo conto che è impossibile tracciare il percorsoaffrontato dall’informazione che di norma deriva per il tessuto connettivo, così co-

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tre al materiale già esistente, seguendo una espansione che difficilmente af-fronterà fasi di contrazione. Proprio la facilità di immissione dell’informazionee il costo pressoché nullo del suo mantenimento on-line allontana la possibi-lità che venga successivamente eliminata. Una volta inserita ha vita perenne.In questo modo ogni contributo aiuta l’estensione poliedrica del contenutodella rete che può essere usato da chiunque. Collocata l’informazione in que-sto limbo sovrastrutturale, la sua fruizione non dissolve il flusso comunicativo,ma ne frantuma l’ormai obsoleta linearità, dilatandola, anzi, lungo percorsi ri-zomatici, che sono la rete stessa. I suoi nodi assumono così la duplice funzio-ne di attingere, e nello stesso tempo di contribuire all’informazionalizzazioneche si estende senza limiti né predefinite direzioni.

La sua inarrestabile proliferazione rizomatica ispira diverse considerazioniriguardo il notevole rischio che il sovraccarico d’informazione comporta. Qual-cuno ipotizza l’incapacità umana di muoversi per la labirintica rete, perdendo-si, non riuscendo a raggiungere l’informazione desiderata. Più sensata apparel’idea che l’overflow informativo ci travolga, lasciandoci in uno stato inebetito,d’impotenza, risucchiati in un dirompente maelstrom21 informazionale. Simmeldefiniva con un termine tutto francese una situazione analoga sviluppatasi nelpassato: blasé. Il dirompente sviluppo urbanistico tardo ottocentesco, analiz-zato dall’autore in “La metropoli e la vita dello spirito”22, sottoponeva il citta-dino delle nuove metropoli ad un sovraccarico di stimoli che le capacità co-gnitive non erano decisamente abituate ad elaborare, gettando l’individuo inuno stato blasé ovvero in una incapacità di reazione dinanzi alla “totalità percosì dire opaca e grigia”23.

Forse non esiste alcun fenomeno psichico così irriducibilmente riservato alla me-tropoli come l’essere blasé. Innanzitutto, questo carattere è conseguenza di quellarapida successione e di quella fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori[…] Così la smoderatezza nei piaceri rende blasé perché sollecita costantemente inervi e reazioni così forti che questi alla fine smettono di reagire[…] Questa inca-pacità di reagire a nuovi stimoli con l’energia che competerebbe loro è proprio iltratto essenziale del blasé[…]24

A distanza di più di un secolo ci troviamo coinvolti nella stessa situazione didirompente fruizione di stimoli. Ma anche questa più sottile pessimistica ipo-tesi sembra nei fatti lontana dal concretizzarsi. Come se recarsi in una fornita

me è irrealizzabile la possibilità che tutti gli hard disk connessi si stacchino dal net-work, è possibile trascurare tali possibilità, e arrivare alle conclusioni avanzate.21 “La discesa nel Maelstrom” di E.A.Poe in “Racconti”, Garzanti, 1972 Milano.22 “La Metropoli e la vita dello spirito” di Georg Simmel, Armando Editori, 1995 Ro-ma.23 Tratto da “Filosofia del denaro” di Georg Simmel, UTET, 1984 Torino.24 Tratto da “La Metropoli e la vita dello spirito” di Georg Simmel (pp.42), ArmandoEditori, 1995 Roma.

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libreria potesse inibire la scelta di una lettura che soddisfi le nostre esigenze.Lo stesso autore aggiunge:

[…]con l’incremento puramente quantitativo delle stesse condizioni questo effettosi capovolge nel suo contrario, cioè in quel singolare fenomeno di adattamentodel blasé per cui i nervi si scoprono la loro ultima possibilità di adeguarsi ai conte-nuti e alle forme della vita metropolitana nel vietarsi a reagire[…]25

E’ lecito ipotizzare che la schizofrenica fruizione della rete possanell’immediato causare una poca efficienza intellettiva, ovvero poca capacitàdi sviluppare e reagire alle informazioni pervenute. Superata però questa em-passe iniziale sarà invece possibile trovare un equilibrio tra informazione esi-stente e quella di cui si ha bisogno, evitando quell’ingorgo informazionale chetanto preoccupa. Tornando alla fornita libreria, una volta metabolizzatal’immediata sensazione di disorientamento, sarà facile individuare gli scaffali anoi necessari e infine soddisfare le nostre esigenze. Così degli innumerevolisiti esistenti solo alcuni potranno godere della nostra attenzione in base ainostri interessi, allo stesso modo seguiremo fra le innumerevoli mail ricevutesoltanto quelle che ci riguardano e nel numero che saremo in grado di gesti-re. Certo risulta impossibile assorbire la totalità dei contatti informativi in cuici troviamo coinvolti ma, maturata la personale capacità selettiva, la quantitàdi informazioni che riceveremo sarà sempre più di quella che sarebbe ad ognimodo pervenuta da altre vie, e troveremo un giusto equilibrio tra il momentodi ricezione e di elaborazione intellettiva.

Tornando alla nostra ricerca. Le mailing list che riguardavano l’evento ge-novese da noi monitorate, come è usuale, si sono caratterizzate secondo pre-cise tematiche, di affinità sulle pratiche di militanza, e dei vari dibattiti aperti.In questo modo si è offerta la possibilità a coloro che a quei dibattiti volevanopartecipare di selezionare l’adesione in base alle proprie esigenze, quindi te-nendo conto del proprio percorso politico, degli obbiettivi che ci si prefiggevacon l’evento genovese, del tipo di confronto che si voleva sostenere e altroancora. Proprio questa divisione delle liste secondo tali criteri è un efficacerimedio al rischio fino ad ora illustrato. La scelta del tipo d’informazioni che sidesidera ricevere, o delle tematiche su cui si ritiene opportuno confrontarsi, èuna scelta che avviene a priori. La rete non è una ragnatela, come molti han-no spesso figurato. Non ci si rimane impigliati a causa della vischiosità. Anzi èproprio la sua fluidità a favorire la flessibilità d’impiego, esserne coscienti puòessere motivo di grandi vantaggi. Così del resto è stato nell’occasione dai noimonitorata.

25 Tratto da “La Metropoli e la vita dello spirito” di Georg Simmel (pp.44), ArmandoEditori, 1995 Roma.