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Sbandierati L'Italia è pizza, mafia e mandolino? PAG 5 Le rimesse degli immigrati fanno gola alle banche PAG 21 “ Siamo tutti italiani in classe ” Martina - 1° elementare (nella sua classe ci sono 7 bambini cinesi) # 4 free Ottobre 2010 2010 Anno 1 Milano PAG 6 Speciale Primarie del centro sinistra Egitto PAG 16 Verso le elezioni: la sfinge Mubarak IL MAGAZINE DELL'ITALIA MULTIETNICA P. 18 Reportage: Cina, ciao ciao futuro PAG 18 Costume e società: voci Mixa a Milano PAG 25 Mixa Talent: lo scioglilingua delle rondini PAG 27 P. 24 P. 31 P. 14 P. 15 P. 15 P. 15 P. 9 P. 15 P. 15 P. 22 P. 16 P. 17 Anita, la Carmen che viene dall'Est PAG 22 Un milione i ragazzi nati o cresciuti nel nostro Paese a cui è negata la cittadinanza. La politica si riempie la bocca, ma resta ferma PAG 11 Italia PAG 8 Scuola: l'Esquilino come New York

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SbandieratiL'Italia è pizza, mafi a e mandolino?

PAG 5

Le rimesse degli immigrati fanno gola alle banche

PAG 21

“ Siamo tutti italiani in classe ” Martina - 1° elementare (nella sua classe ci sono 7 bambini cinesi)

#4 free

Ottobre 20102010 Anno 1

Milano PAG 6Speciale Primariedel centro sinistra

Egitto PAG 16Verso le elezioni:la sfinge Mubarak

IL MAGAZINE DELL'ITALIA MULTIETNICA

P. 18

Reportage: Cina, ciao ciao futuro

PAG 18

Costume e società: voci Mixa a Milano

PAG 25

Mixa Talent: lo scioglilingua delle rondini

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Anita, la Carmen che viene dall'Est

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Un milione i ragazzi nati o cresciuti nel nostro Paese a cui è negata la cittadinanza. La politica si riempie la bocca, ma resta ferma PAG 11

Italia PAG 8Scuola: l'Esquilino come New York

www.mixamag.ititaliani e stranieri finalmente a confronto

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Fermateli voi, se vi riesce!

Quasi un milione di ragazzi italiani ma non cittadini, nati o cresciuti nel nostro Paese, eppure senza cittadinanza. La loro “colpa”, secondo lo Stato, è quella di essere fi gli di

immigrati. Così si trasmette da noi, solo per discendenza, un diritto tanto fondamentale come il riconoscimento giuridico della propria identità. Di fatto, parlano perfettamente l'italiano e sono imbevuti della nostra cultura fin da piccoli, ignorando spesso le tradizioni dei loro genitori. La legge però non li riconosce. Nel frattempo aumentano e si mobilitano.

La loro battaglia è anche la nostra. Mixa a gran voce chiede l'approvazione di una proposta di legge ferma in Parlamento ormai da mesi, la Granata-Sarubbi. Il testo, messo a punto da deputati vicini a Gianfranco Fini e dell’area Pd, ha trovato ampi consensi. Eppure le resistenze della Lega e di parte del Pdl ne fanno ancora lettera morta. I numeri ci sarebbero per approvarla, ma a Roma i politici stanno a guardare.

Intanto qualcosa si muove sul fronte milanese. Le Primarie del centro sinistra, a cui abbiamo dedicato lo speciale di questo numero, stanno ridando brio al dibattito politico cittadino. L’opposizione sembra rinascere dalle proprie ceneri. Voto amministrativo agli immigrati dopo 3 o 5 anni di residenza, una moschea per i musulmani e partecipazione alla vita pubblica anche attraverso il loro coinvolgimento nel governo della città. Queste le ambizioni dei quattro aspiranti sindaco, mentre fa capolino una nuova lista civica, “Milano Nuova”, capeggiata dal presidente dell’Istituto culturale islamico di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari.

Voi da che parte state? Raccontatecelo su www.mixamag.it

26.589 I CITTADINI UE RESIDENTI A MILANO CHE POSSONO

VOTARE PER LE COMUNALI(DATI COMUNE)

Noi, ragazzi di oggi noi

con tutto il mondo

davanti a noi,

viviamo nel sogno di poi

Noi, siamo diversi ma tutti uguali

abbiam bisogno di un paio d'ali

e stimoli eccezionali

Puoi farci piangere ah... ah...

ma non puoi farci cedere ah... ah...

Noi, siamo il fuoco sotto la cenere

975.000I FIGLI DI GENITORI STRANIERI

NATI O CRESCIUTI IN ITALIA (ELABORAZIONI ISMU SU DATI ISTAT, GIUGNO 2010) 190

LE DIVERSE NAZIONALITÀ PRESENTI IN CITTÀ

(DATI COMUNE)

(“Noi ragazzi di oggi” - Luis Miguel, testo di C. Minellono - T. Cutugno, 1985)

#4Ottobre 2010 3

Editoriale

5 #4Ottobre 2010

È uno dei luoghi comuni sul nostro Paese più sentito dire all’estero. Cucina, criminalità organizzata e musica popolare. Così ci vedono in molti oltre confi ne. D’accordo solo in parte i nuovi italiani intervistati da Mixa

Seck40 anni

senegalesein Italia da 24 anniagente fi nanziario

“Non è vero che gli italiani sono solo pizza, mafia e mandolino. Ci sono state tante stragi, penso a Borsellino e Falcone, ma questi problemi sono legati al passato. I numeri ci dicono che i morti per mafia sono diminuiti. Gli italiani seguono la legge, anche se a volte le regole non sono uguali per tutti. Sono persone che sanno divertirsi, amano passare il tempo seduti a tavola - non solo per mangiare la pizza - e vanno spesso a ballare in discoteca”.

Yovanny29 anni

dominicanoin Italia da 10 anni

magazziniere

“Generalmente gli italiani non sono pizza, mafia e mandolino. Li guardo dal punto di vista di un immigrato: penso che ci accolgano bene e diano la possibilità di lavorare a chi ne abbia voglia. Per quel che ne so io, molti qui in Italia pensano al lavoro e a mettere da parte soldi per una vacanza. Poi certo, come in America Latina, ci sono le persone furbe. Ma non ho la sensazione che le organizzazioni criminali siano potenti”.

Ravindra43 anni

cingalesein Italia da 10 anni

benzinaio

“Più che la mafia, direi che agli italiani piace ballare e divertirsi. Quindi il mandolino li identifica bene. Inoltre, amano mangiare tutti i cibi, non solo la pizza: l'ho notato lavorando in un ristorante. Non credo che a Milano ci siano mafiosi o altra criminalità organizzata. Da quello che leggo sui giornali in altre zone d'Italia è diverso: in Sicilia e Campania ci sono mafia e camorra. Ma la mafia non esiste solo qui, pensiamo anche ai cinesi, per esempio”.

Andry28 anni

egizianoin Italia da 2 anni

promoter

“Pizza sì. Mafia così così: se pensiamo a quanto è forte la mafia russa, ad esempio. Il mandolino non è caratteristico dell'Italia. Quindi si può dire che mafia, pizza e mandolino è uno stereotipo a metà. La pizza è italiana per definizione, anche se oggi ci sono molti pizzaioli egiziani. Gli italiani non sono onesti, ma sono svegli e sanno come prenderti. Con loro ne ho prese di fregature, eccome: ti dicono una cosa e domani te ne inventano un'altra”.

Rosita23 anni

italo-somalain Italia da 20 anni

studentessa in Lingue

“Il senso civico manca in Italia. Tutti hanno la mentalità da clan, per favorire la propria famiglia o i propri conoscenti. Questo è un aspetto generale, c'è sia a Nord che a Sud. Apprezzo il mandolino, la “piacioneria”, il fatto che gli italiani sono calmi: mi piace perché negli altri Paesi le regole sono molto rigide e rendono tutto invivibile. A volte però l'atteggiamento tollerante è eccessivo e porta a chiudere un occhio anche su questioni gravi”.

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Italia: pizza, mafia, mandolino?

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La pubblicheremo nel prossimo numero

Italiani strana genteA CURA DI LUIGI SERENELLI

Milano NewsSPECIALE PRIMARIE

Se fossi sindaco... Vogliono tutti una moschea ma anche un luogo dedicato al dialogo tra le religioni. Tutti dicono “sì” alle case comunali per i rom e alla presenza di immigrati in giunta, come pure al diritto di voto per gli stranieri residenti. Ma le sfumature ci sono: vi sfidiamo a trovarle tra i quattro candidati alle primarie del centro sinistra, in lotta per la carica di sindaco a Milano. In ordine rigorosamente alfabetico: Stefano Boeri, 54 anni, architetto; Valerio Onida, 73 anni, presidente emerito della Corte Costituzionale; Giuliano Pisapia, 61 anni, avvocato penalista; Michele Sacerdoti, 60 anni, fisico e ambientalista

±208.021 La popolazione straniera a Milano

14 NOVEMBRE

si vota a Milano per le Primarie del

centro sinistra

Cosa farà per integrare gli stranieri?

Milano è una città con la vocazione all’accoglienza, ma oggi gli immigrati sembrano nascosti. Vorrei farli emergere e renderli parte della società a tutti gli eff etti. È importante che la politica operi per favorire classi miste nelle scuole, evitando i ghetti. Vorrei dare agli insegnanti i mezzi per gestire la dif-ferenza e farne davvero una ricchezza. Non escludo la possibilità di un assessorato all’Immigrazione, ma non bisogna pensare di risolvere un problema con un’etichetta.Come aff ronterà la questione dei rom?

Non procederei mai a sgomberare un campo senza prima avere un alloggio sostitutivo. Invece la politica dice: “L’importante è buttarli fuori”. La politica usa la paura per catturare consenso: parlo della Lega Nord; ma anche della sinistra, che per debolezza, o per subalternità culturale, segue questo modello per attrarre voti. È un errore politico, oltre che un cancro culturale.Si impegnerà per una moschea a Milano?

Costruire e utilizzare luoghi di culto è un dirit-to garantito dalla Costituzione italiana a tutte le comunità religiose, che abbiano accordi con lo Stato o meno. Il Comune deve garantirne l’esercizio nel rispetto delle regole urbanistiche. Non è il Sindaco (e neanche il vice sindaco: vedi le dichiarazioni di Riccardo De Corato!) a potersi ar-rogare il diritto di dire se una moschea serva o non serva agli islamici! È un problema elementare di libertà.Si batterà per coinvolgere gli immigrati in poli-

tica, anche attraverso il diritto di voto?

Certamente. In modo diretto e partecipato e poi con il diritto di voto amministrativo. Credo che il sindaco di una città come Milano dovrebbe fare sua questa battaglia: concedere il diritto di voto ai cittadini residenti regolarmente da 5 anni, come stabilisce la Convenzione di Strasburgo che l’Italia purtroppo ha recepito solo in parte.

±www.milanonida.it

VALERIO ONIDA

Subito il voto agli immigrati regolari

6 #4Ottobre 2010

Come si vota e chi vota?

A Milano tutti potranno votare alle Prima-rie del 14 novembre presentandosi con un documento di identità e il permesso di sog-giorno nelle sedi elencate sui siti internet dei vari partiti della coalizione. È richiesto un contributo di 2 euro.

La lista Milano Nuova

Nei giochi delle elezioni comunali del 2011 si inserirà, entro Natale, anche una lista civica di immigrati. Lo ha annunciato Abdel Hamid Shaari, presidente dell'Istituto islamico di viale Jenner, inviso a Palazzo Marino perché considerato parte dell’ala “estremista” dei musulmani milanesi. Shaari non esclude la possibilità di candidarsi: “Dipende dal co-mitato, se mi vogliono volentieri”, ha detto. Quel che ci tiene a sottolineare è che “la lista non è islamica, ma laica e aperta anche agli italiani”. Si chiamerà “Milano Nuova” e non è chiaro se avrà un candidato sindaco. “Non importa - dice Shaari - se non eleg-giamo nessuno. Quel che conta è dare la possibilità a tutti gli stranieri di sentirsi parte della città”. Il programma è atteso per le prossime settimane.

A CURA DI GINEVRA BATTISTINI E MICHELA DELL’AMICO COMUNE 2010

Segui le interviste complete

e i video ai candidati su

www.mixamag.it

Cosa farà per integrare gli stranieri?

Partirei dal problema casa, che riguarda tutti. Anziché costruire, dobbiamo riusare i tanti immobili sfi tti, e trovare un sistema per canoni più bassi. Stiamo lavorando a Barcellona e Torino con agenzie che fanno da tramite tra proprietari timorosi e inquilini disposti a sottoscrivere contratti fi duciari. Il risultato a Barcel-lona sono stati 25mila immobili rimessi sul mercato. Per creare lavoro stiamo sviluppando un progetto con i giovani, ad esempio di Quarto Oggiaro e Barona: chiediamo all’Aler negozi a canone zero, con l’impegno da parte dell’artigiano di assumere giovani della zona.Un assessorato all’Immigrazione lo vorrei per inte-grare e accogliere richiedenti asilo, studenti Erasmus, immigrati.Come aff ronterà la questione dei rom?

Il campo rom è un errore, va ripensato. Ma quello che succede a Milano fa schifo, si fa cadere nella cornice dell’immigrazione ciò che in realtà è un problema di questa giunta, che ha perso il polso della città: basta guardare le camionette e i bar spenti a Corvetto, o le case popolari dai cortili spesso inaccessibili alle forze dell’ordine.Si impegnerà per una moschea a Milano?

Certo: abbiamo 100mila musulmani e molti altri che arrivano per la fi nanza o la moda. Al Cairo un docente mi ha confessato che, quando viene a Milano, prova vergogna a pregare in viale Jenner. È ora di fi nirla con questa visione pauperistica che ci danneggia e ci preclude un’immagine di eccellenza all’estero. Il mio progetto prevede una moschea con spazi attigui per avvicinare i milanesi: una biblioteca, un museo, un ristorante.Si batterà per coinvolgere gli immigrati in politi-

ca, anche attraverso il diritto di voto?

Senz’altro. Il voto amministrativo deve essere conces-so a chi ha il permesso di soggiorno dopo 3 o 5 anni, il minimo indispensabile. Stranieri in giunta senz’altro sì, non sono per le quote fi sse ma è necessario rappre-sentare tutta la realtà di Milano.

±www.stefanoboeri.it

STEFANO BOERI

Un progetto per le case sfitte e per dare lavoro

MOSTRE fi no al 30 novembre

L'ARTE BUDDHISTA La più importante collezione di arte dell'Indocina presente in Italia sarà esposta al Museo D'Arte e Scienza di Milano, via Quintino Sella 4. Ingresso 8€, ridotto 4.

WEEK END il 23 e 24 ottobre

MONDO IN GARA Calcio, arte, musica e cibo dal mondo fi no a mezzanotte, all'Arena civica Gianni Brera di Milano, Viale Byron, 2. Per info 348.9335242 - Per info squadre: 389.9816231. Per info banchetti: 339.7123391 - www.mascherenere.itwww.sunugal.it - Ingresso gratuito.

CERCASI PICCOLI MUSICISTI ottobre

AL PARCO TROTTER Nasce la nuova, piccola orchestra di via Padova: fatta di musica, circo e danza. L’Orchestrilla di via Padova è a caccia di talenti in erba (9-14 anni). Lella Trapella, 338.2444900, Città del Sole-Amici del Parco Trotter onlus. Lezioni a 20€ al mese.

MOSTRE fi no al 6 novembre

L'ARTE DI AMARE Opere d'arte e cortometraggi mediorientali per “Economia libidica… l'arte di amare”, una collettiva che indaga l'eros senza i tabù e le morbosità occidentali. La mostra ha il patrocinio del Consolato del Libano. Dal lunedì al venerdì (9-12/14:30-19). Amy D Arte Spazio, Via Lovanio 6 Tel: 02.654872 - Ingresso gratuito.

Appuntamenti

Cosa farà per integrare gli stranieri?

Inizierei dalla scuola. Penso con ammirazione a quelle maestre che, dopo aver perso alunni rom in seguito agli sgomberi, li hanno riportati in classe. Bisogna far rivivere le scuole civiche, e intervenire nei quartieri, recuperando parchi, cascine, teatri abbandonati. Interverrei con-tro lo sfruttamento di chi è impossibilitato a regolarizzarsi: a Milano l’edilizia va avanti con il sommerso pagato 2 euro l’ora. Tra i miei punti fermi c’è il registro delle unioni di fatto, che riguarda anche gli immigrati, e poi uno sportello dei diritti del cittadino in ogni quartiere. Mi piacerebbe un assessorato alla Coesione Sociale, che lavori per l’integrazione degli immigrati ma anche, ad esempio, degli ex carcerati.Come aff ronterà la questione dei rom?

Una soluzione per me è affi dare loro le case se-questrate alla mafi a, in modo da non scavalcare chi si trova in graduatoria per una casa Aler.Si impegnerà per una moschea a Milano?

Penso a una moschea per eventi come il Ra-madan, e poi a tanti piccoli centri di preghiera. Voglio anche luoghi di intercultura, di dialogo tra religioni diverse. Un grande passo avanti sarebbe trasformare l’ora di religione in storia delle religioni: per far conoscere le altre fedi e non classifi carle come “diverse”.Si batterà per coinvolgere gli immigrati in

politica, anche attraverso il diritto di voto?

Mi sono sempre battuto, da parlamentare indipendente di Rifondazione Comunista, per il diritto di voto agli stranieri. Vorrei veder votare alle amministrative chi è residente da 3 o 5 anni. Renderei eff ettiva la consulta per l’Im-migrazione che il sindaco Letizia Moratti aveva solo esposto durante la campagna elettorale. Certamente prevedo una loro presenza attiva in politica.

±www.pisapiaxmilano.com

GIULIANO PISAPIA

Ai rom le casesequestrateai mafiosi

7 #4Ottobre 2010

News Milano

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La più imItalia sarQuintino S

WEEK END

Calcio, arte, mall'Arena civicaPer info 348.933Per info banchetwww.sunugal.it -

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ANO PISAPIA

om le caseuestrateafiosi

Cosa farà per integrare gli stranieri?

Toglierei i coprifuoco. Per la sicurezza delle peri-ferie servono più vigili, ma ogni comunità deve garantire il controllo sociale. Si devono eliminare le classi ghetto a scuola, perché se l’integrazione avviene da giovani è facile e trascina i genitori. Si deve esaltare la multiculturalità che abbiamo: è assurdo che si giri il mondo per conoscere usi e costumi per poi chiudersi quando li abbiamo qui. Vorrei sentire gruppi etnici nella Sala dei Matrimoni del Comune, gli zingari ad esempio. Dico “sì” a un assessorato all’Immigrazione, che, insieme all’ambiente, è una priorità. Come aff ronterà la questione dei rom?

I rom sono una popolazione antica, ariana, giunta dall’India. In Italia non sono molti, circa 30mila, e hanno diritto come gli altri alle case Aler. Del resto, siamo obbligati dalle direttive europee. È necessario dare loro lavoro e scuola e così si può sconfi ggere la loro malavita: la Moratti aveva iniziato a farlo con l’assessore Moioli, ma ha trovato la ferma opposizione della Lega. Si impegnerà per una moschea a Milano?

Sono di origini ebraiche e sono sensibile alla questione: è necessario costruire una moschea. Il problema è stato creato sulla paura del terrori-smo, dopo l’11/09. Bisogna vigilare sull’operato degli imam, ma non si può far fi nta di niente. Vorrei un tavolo comune tra cristiani, ebrei e musulmani per rendere Milano un esempio di dialogo inter-religioso.Si batterà per coinvolgere gli immigrati in

politica, anche attraverso il diritto di voto?

Inserirei in Consiglio comunale i rappresentanti di tutte le etnie, e poi creerei una Consulta per affi ancare la giunta. Darei il diritto di voto agli immigrati regolari residenti da 5 anni, ma forse anche meno. Come già ho detto ai miei sfi danti infatti, forse saremo gli ultimi candidati dalla pelle bianca a Milano.

±www.msacerdoti.it/curr.htm

MICHELE SACERDOTI

Assessorato e Consulta per gli stranieri

che parla già qualche parola di cine-se insegnatagli dal vicino di banco. “Una scuola stupenda – racconta mentre guarda il fi glio giocare nel cortile dell’istituto - sia perché ci sono bimbi che provengono da ogni parte del mondo, sia perché c'è un comitato di genitori che si prende cura di tutto”. Un posto dove non

vengono istruiti solo i bambini ma

anche i genitori. “Con i corsi che organizzano qui, l'anno scorso ho iniziato a imparare l'inglese e ora sto prendendo la III media. Ho deciso di studiare per seguire meglio mio fi glio” prosegue Angelica. Per lei la scuola non è stata un diritto ma una conquista. Per questo, per Diego, intravede già la laurea, anche se lui sogna di fare il meccanico!

Denis invece “da grande” vorreb-be diventare dottore. Ha 10 anni, genitori dell'Ecuador e frequenta con ottimi voti la quinta elementare. “La scuola mi piace perché imparo cose nuove, che mi serviranno per trovare un lavoro e procurarmi il cibo”, racconta con occhi seri. Nella

sua classe gli stranieri sono 5 su 14,

ma la questione dei numeri non

impressiona i genitori italiani che,

pur di portare i figli qui, si muovo-

no persino da Tivoli, Ladispoli e

Latina, affrontando lunghi viaggi

in mezzo al traffico. “Quest'anno non abbiamo avuto il problema del tetto del 30 nel formare le prime elementari, mentre le deroghe sono state chieste per le medie. Questo

perché, fi no a qualche anno fa, la Di Donato era una scuola “ghetto”, in cui si iscrivevano solo stranieri. Ma negli anni noi genitori, insieme a preside e docenti, abbiamo fatto un grande lavoro di riqualifi cazio-ne dell'istituto, arricchendolo con un'off erta formativa che ora attrae anche tanti italiani”. A parlare è Anna, una delle fondatrici del “polo

Intermundia”, progetto volto a pro-muovere la conoscenza reciproca.

“La presenza dell'associazione di genitori è uno dei punti di forza: ha facilitato i meccanismi di integra-zione, partendo dal presupposto che lo straniero non è fonte di problemi ma di arricchimento”. Spiega Maria Letizia Ciferri, la direttrice dell'isti-tuto Manin di cui fa parte la Di Donato. “È una scuola che accoglie ed è aperta a tutte le ore del giorno, anche ad agosto: ci sono corsi di

cinese, sport, teatro e musica, tutto

in chiave interculturale”. Un mo-dello costruito nel tempo, così come quello della Iqbal Masih, la scuola di Centocelle che si era distinta, la scorsa primavera, nelle lotte contro i tagli al tempo pieno.

“Per evitare classi-ghetto bisogne-rebbe fare una distribuzione territo-riale delle scuole più mirata”, spiega Simonetta Salacone, neo pensionata

direttrice dell'istituto che prende il nome da un bimbo di 12 anni ucciso dalla mafi a pakistana dei tappeti. “Ad esempio a Roma, accanto

alla Pisacane, che quest'anno ha

avuto una classe con 19 stranieri

su 19, c'è la Deledda, dove i pochi

italiani di Tor Pignattara iscrivono

i figli: accorpandole si compense-

rebbero, per osmosi, gli squilibri. E poi bisognerebbe valorizzare il curriculum delle scuole con più immigrati in modo da motivare gli italiani a iscriversi. Il tetto del 30 è necessario laddove non c'è una vera politica dell'accoglienza. È un lavoro che richiede tempo ma non bisogna stancarsi di lanciare il sasso”.

Sono 675mila gli studenti

stranieri nelle scuole italiane ma secondo gli ultimi dati del ministero dell'Istruzione, il loro incremento annuo è passato dai 70mila alunni del 2007/8 ai 45mila del 2009/10. La corsa continua dunque, il ritmo ral-lenta. Ma in una città come Roma,

in cui quest’anno si è passati da

32.600 a 37.200 scolari figli di im-

migrati - concentrati nei quartieri a

est, dove raggiungono il 21% della

popolazione studentesca a fronte

di una media dell'8.8% - trovare soluzioni a lungo periodo non è più rimandabile.

Italia News

Scuola: l'Esquilino come New YorkOltre 37mila alunni stranieri sui banchi nella Capitale. Rispettata la quota del 30% per classe, solo una decina di deroghe

Alle 4 di pomeriggio pas-

sare davanti al cancello

della scuola Di Donato è

un po' come salire sulla metropolitana di

New York e rendersi conto che le persone che abbiamo davanti provengono ognuna da un Paese diverso. Invece siamo nel quar-tiere Esquilino, multietnico rione romano

vicino alla stazione Termini, un tempo

noto per il mercato di Piazza Vittorio, oggi sede, nonostante molte polemiche, del commercio cinese nella capitale. Alterna con disinvoltura internet point e strade intitolate ai re d'Italia, negozi dalle inse-gne indecifrabili ed edifi ci monumentali, come quello che ospita la scuola diventata simbolo di un riuscito melting pot, frutto di impegno e costanza.

Angelica viene dalla Colombia, è la mam-ma di Diego, un alunno della II elementare

8,8%gli studenti stranieri a Roma, i 2/3 di loro sono nati in Italia

Seconde generazioni crescono

Nonostante stia crescendo meno rispetto agli anni scorsi, continua ad aumentare la quota di alunni stranieri nella scuola italiana, soprattutto se si guarda ai bimbi, fi gli di immigrati, ma nati qui. Studiano la storia d'Italia ma anche la nostra letteratura e Co-stituzione, parlano spesso dialetto, tifano per squadre nostrane: se lo scorso anno erano 50mila quelli iscritti in prima elementare, entro 4 anni il loro numero potrebbe raddop-piare. Sono i dati della Fondazione Giovanni Agnelli che, in uno studio, ipotizza le iscri-

zioni scolastiche interpretando i numeri delle nascite. “Nel 2002 i nati in Italia da genitori stranieri erano meno di 30.000.

Sei anni dopo - spiega il curatore della ricerca Stefano Molina - quasi tutti frequen-tavano la prima elementare. Considerando che le nascite di fi gli di immigrati sono state circa 80.000 nel 2009 questo signifi ca che, nel 2015/16, i “primini” di origine straniera potrebbero superare la soglia dei 100.000, passando dal 9% al 17% degli iscritti”.

8 #4Ottobre 2010

Presenza di alunni con genitori stranieri rispetto al 2009: Milano +11.4% - Roma +12%

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LIVIA PARISI

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Più dialetto per tuttiVeneto, pronto il piano triennale per l’immigrazione. Punti strategici: insegnamento della parlata locale e formazione per il rientro in patria

±489MILAgli immigrati residenti in Veneto al primo gennaio 2010

L’intervista a Daniele Stival, assessore veneto ai fl ussi migratori.

“Se no te capissi el martel, te vien en testa! Gli operai devono capire la lingua del cantiere e le badanti devono poter comunicare con gli anziani che accudiscono. C’è bisogno di più comprensione. Ci siamo mossi soprattutto su questo fronte e su quello della sicurezza”. Chi insegnerà il dialetto agli immigrati? “Ci muoveremo su due linee: potranno insegnare gli studenti impegnati all’università nei corsi di dialettologia già attivi negli atenei e gli insegnanti locali delle scuole medie e superiori che già si sono preparati sulla lingua e sulla cultura veneta”. Perché una strategia legata al rientro nel Paese d’origine? “Il momento economico è pesante anche per gli extracomunitari. Sono loro i primi a restare a piedi. Non basta dar loro due soldi per farli tornare a casa. Lì non avrebbero nulla e sarebbero spinti a tornare. Il rientro spesso è vissuto come una sconfitta sociale e personale. Per questo dobbiamo trasformarlo in qualcosa di positivo”.

Insegnare il dialetto agli immigrati che hanno a che fare con gli anziani del paese, con gli operai e con i capocantie-

re - che spesso l’italiano lo masticano appena - e cercare di favorirne il rientro in patria attraverso lavori qualifi canti o la creazione di imprese proprie nel luogo d’origine. Questi i due

punti cardine del Piano

triennale per l’immi-

grazione del Veneto,

approvato all’unanimità

in Commissione e che ora dovrà avere il via libera dal Consiglio regionale, previ-sto per novembre. Un percorso che passa tutto attraverso la formazione dia-lettale e professionale e che è stato costruito passo passo con la collaborazio-ne della locale consulta per gli Immigrati.

Tra le impalcature o nelle catene di montag-gio sono ancora troppi, secondo la Regione, gli incidenti sul lavoro causati da malintesi o dovuti alle diffi coltà linguistiche tra operai di diversa provenienza. La soluzione allora sta nell’in-

segnamento del dialetto agli immigrati per

migliorare la comprensione tra lavoratori e

capomastri o, nel caso delle badanti, con gli

anziani da accudire. E per paradosso, in Veneto gli stranieri rischiano di diventare più

italiani di noi: da un lato la cono-scenza perfetta della lingua, della

Costituzione, delle regole e del funzionamento dello Stato per ottenere punti e permesso di soggiorno; dall’altro la parlata del veneto doc. Restano però tutte da defi nire le risorse.

Altro ragionamento, questa volta fondato sulla

crisi economica, ed altra soluzione. Agli immigrati che

vogliono tornare a casa non bastano una pacca sulla spalla e due

euro in tasca. Servono un lavoro qualifi-

cato e l’aiuto per trasferire nel Paese d’origine

le proprie attività economiche e le competen-

ze acquisite nel Nord Est. Ecco allora i corsi di formazione professionale utili agli stranieri. Risultato non secondario l’avvio di relazioni economiche e collaborazioni produttive e indu-striali con l'estero. Perché è diffi cile in Veneto rinunciare al business.

Simonetta Rubinatodeputata Pd, eletta nella ≥

direzione nazionale del Partito “È normale che soprattutto i più giovani cerchino di re-lazionarsi con i loro coetanei attraverso gli stessi linguaggi comunicativi”.

Luca Zaiagovernatore del Veneto ≥

“Il dialetto accorcia le distanze e favorisce le relazioni sociali. Gli anziani e i disabili si sentono più sicuri se chi li assiste parla il dialetto”.

Leonardo Muraropresidente della provincia ≥

di Treviso“Qui il 99 della gente parla il dialetto. Se i ragazzi immigrati vogliono capirsi meglio con i loro compagni devono impara-re a parlarlo” .

9 #4Ottobre 2010

News ItaliaA CURA DI CHIARA SEMENZATO

ISTAT

Camici bianchi stranieri, l’apertura del Ministero

Percorsi più facili, iter burocratici più brevi, procedure più snelle: li promette il ministero della Salute per i medici, gli infermieri e i tecnici di laboratorio stranieri intenzionati

a lavorare nel nostro Paese. Gli immigrati arrive-

ranno in Italia grazie a un piano speciale, pensato

appositamente per il settore sanitario: le procedure d’ingresso non dureranno più di 30 giorni, rispetto agli attuali 290, e si cercherà di rendere equivalenti i titoli di studio ottenuti all’estero. Un’apertura che parte da presupposti saldi: la necessità di personale soprattutto tra le corsie d’ospedale – altro settore in cui gli italiani sono sempre meno presenti – e dati molto chiari. Secondo una ricerca condotta in

collaborazione dall’Ismu, dal Censis e dal ministero

del Lavoro è immigrato solo l’1,7% dei professionisti

impiegati nella sanità. Secondo la federazione Ipasvi che gestisce l’albo nazionale, gli infermieri profes-sionali stranieri attivi in Italia sono 30.639, circa il 10 del totale, di cui quasi 13mila extracomunitari e l’87 donne. Tutte persone che per arrivare a lavora-re negli ospedali o nelle case di cura italiane hanno dovuto superare diffi coltà e intralci. Da qui l’idea di incentivare l'arrivo di professionisti immigrati.

Ottobre caldo, immigrati di nuovo in piazza

Ottobre caldo per gli stranieri. La protesta contro la sanatoria truff a li spinge a tornare in piazza: il Comitato Immigrati in Italia, che riunisce le reti antirazziste e il cui primo

congresso si è svolto ad aprile 2010, ha organizzato

una settimana di mobilitazione nazionale, dall’8

al 16 ottobre. Culmine delle iniziative il corteo che

giovedì 14 si snoderà per Roma, partendo alle 17 da piazza Vittorio per raggiungere il presidio in piazza Santa Maria Maggiore. Dal Comitato un forte no alla truff a nascosta nelle pieghe della sanatoria, il man-cato via libera alla regolarizzazione per chi in pas-sato è stato colpito da ordine di allontanamento del questore. Tra le richieste che giungeranno sul tavolo del ministero dell'Interno il permesso di soggiorno per tutti quelli che hanno presentato la domanda, la proroga del documento per chi ha perso il lavoro, una legge più defi nita sul diritto d’asilo. Proteste che, però, non si fermeranno quel giorno: dietro l’an-

golo c’è uno “sciopero per i diritti” organizzato per

il 29 ottobre per una nuova legge sul diritto d’asilo, per dire no ai respingimenti in mare, per il diritto di voto agli stranieri residenti da più di 5 anni e per la cittadinanza alle seconde generazioni.

“Sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci tu”

So responsabie de QUEO CHE DIGO

no de queo che te capissi ti

Detto veneto

10 #4Ottobre 2010

28 ottobre 1922

Data di nascita: Napoli, 31 ottobre 1929

Una volta ha detto: “Nella mia vita ho fatto moltissimi mestieri:

il bagnino, il bibliotecario, lo scaricatore di porto, il ragazzo di un laboratorio chimico.

Mi manca solo di fare il fantino e il ballerino d'opera”

Professione: Attore

C arlo Pedersoli sceglie il suo nome d'arte per rendere omaggio a due grandi passioni: la birra Budweiser e l'attore Spencer Tracy.

Nasce così Bud Spencer. Nel 1947 si trasferice in America Latina: prima a Rio de Janeiro in Brasile

dove lavora come operaio, poi a Buenos Aires in

Argentina dove è bibliotecario. Infi ne a Monte-video in Uruguay dove è un segretario dell'Am-basciata italiana. Rientra nel Bel Paese nel 1950 e diventa un campione di nuoto: sarà il primo atleta

azzurro a scendere sotto il minuto nei 100 metri

stile libero. Partecipa anche a due Olimpiadi: quella di Helsinki in Finlandia nel 1952 e poi a Melbourne in Australia nel 1956. Il debutto sul grande scher-mo arriva per caso nel kolossal “Quo Vadis”, dove interpreta una guardia dell'impero romano. Ma l'America Latina chiama e Bud torna e partecipa alla realizzazione della strada Panamericana. Nel

1967 l'incontro che gli cambia la vita. Nasce la cop-

pia con Terence Hill grazie al film “Dio perdona... io no!”. Sarà la prima di diciotto pellicole di grande successo girate in poco meno di trent'anni, tra le quali restano indimenticabili “Lo Chiamavano Tri-nità” e “Altrimenti ci arrabbiamo”. I due diventano

star internazionali. I loro film conquistano i botte-

ghini di tutta Europa. Nel 1999 la rivista americana Time pubblica una classifi ca degli attori italiani più famosi del mondo: Bud Spencer è al primo posto, tallonato dall'amico Terence Hill. Sette anni fa è lui il protagonista di “Cantando Dietro ai Paraventi” del maestro Ormanno Olmi. Nel 2010 ha ricevuto il David di Donatello alla carriera, considerato il premio Oscar italiano.

Bud Spencer

“O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma”. Con questa frase l'al-lora 38enne Benito Mussolini annuncia

pubblicamente a Napoli il 24 ottobre 1922 l'intenzio-ne di marciare sulla capitale per prendersi il potere. A guidare l'azione eversiva i quadrumviri (carica elettiva dell'Antica Roma che veniva attribuita a 4 cittadini con poteri giurisdizionali e funzioni di polizia, ndr). Sono i gerarchi Balbo, De Vecchi, De Bono e Bianchi. Decine di migliaia i fascisti pronti a seguirli. Musso-lini decide di rimanere a Milano e di non partecipare in prima persona, timoroso di un insuccesso o della reazione dell'esercito fedele al re. Ma il forte appoggio

di molti settori economici e l'annientamento dell'oppo-

sizione a suon di violenza da parte degli squadroni fascisti, rende la minaccia della marcia su Roma un

colpo di stato bianco, ovvero un golpe senza spargi-mento di sangue. Il 29 ottobre Vittorio Emanuele III non proclama lo stato d'assedio, come richiesto dal premier Facta e dal generale Badoglio, e dà l'incarico

a Mussolini di formare il governo. La mattina del 30 ottobre migliaia di fascisti entrano a Roma. Se il re avesse seguito il consiglio di Facta e Badoglio, l'eser-cito avrebbe facilmente sconfi tto le camicie nere e forse l'Italia non avrebbe vissuto la dittatura fascista.

IL PERSONAGGIO L’EVENTO

L’ARTICOLO DELLA COSTITUZIONE

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro

e promuove le condizioni che rendano eff ettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria

scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale

o spirituale della società.

Èsubito evidente come l'articolo 4 riconosca a ogni cittadino il diritto ad avere un lavoro. D'altronde in una Repubblica che sul lavoro è stata fondata (articolo 1), è solo attraverso

un'attività professionale che ogni persona può realizzarsi, vivere

e progredire. E solo tramite il lavoro i cittadini possono tutelare la propria dignità e contribuire al benessere collettivo. È per questo

che l'articolo 4 riconosce anche il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzio-ne che concorra al progresso materiale o spirituale della socie-tà. Ma questo non significa che si possa pretendere (se non

dal punto di vista politico) che sia lo Stato a trovare un'occu-

pazione a chi non ce l'ha. Nel senso che, come in altri casi, il legislatore assegna alla Repubblica il compito di promuovere ogni iniziativa per rendere eff ettivo questo diritto, che quin-di eff ettivo non è. L'obiettivo è la piena occupazione attra-verso una serie di norme che facilitino l'ingresso nel mondo delle professioni. Com'è noto a tutti, scelte economiche non sempre felici, insieme alla mancanza di una politica struttu-rata, ci hanno portati lontani da questo scopo. E non va preso

in considerazione solo il tasso di disoccupazione (l'ultimo dato lo fi ssa all'8,2), ma anche di tutte quelle persone che, pur non

volendolo, si sono messe al di fuori del mercato del lavoro. È per

questo che l'articolo 4 dev'essere letto insieme all'articolo 38 che

stabilisce che i lavoratori disoccupati involontari hanno diritto ad

avere assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. Anche in questo caso è necessario un intervento legislativo che preveda stru-

menti come cassa integrazione e indennità di disoccupazione.

Conosci l’Italia?

“Una notte in Italia se la vedi da così lontano

da quella gente così diversa in quelle notti

che non girano mai piano” “Una notte in Italia” di Ivano Fossati

A CURA DI FRANCESCO BIANCO

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11 #4Ottobre 2010

“Mi sento umiliato. Sono nato in Italia, parlo solo italia-no. Praticamente le lingue dei miei genitori neanche le conosco. Sono cristiano. È qui la mia vita. È qui che vado a scuola: dall'asilo fi no alle superiori. Ho quasi solo amici italiani. Mi sento rifi utato. Per me l'Italia è come un padre che ti abbandona. Un sentimento ambivalente: resta sempre tuo padre, ma non puoi dimenticare che non ti ha voluto”. Akar ha 17 anni e frequenta il quarto anno di

ragioneria. Vive da sempre nell'appartemento che la sua

famiglia ha in affitto a Gavirate, “profonda” provincia di

Varese. Sua madre, Marja, è una bella signora siriana, arri-vata in Lombardia più di 20 anni fa. Lavora come cuoca in una trattoria sul lago cucinando specialità locali. È qui che ha conosciuto e poi sposato Haji, turco, magazziniere in un supermercato. Hanno un'altra fi glia, Anja, 15 anni, “l'in-

Nuovi italiani senza diritti

Storia di copertina

Un milione i ragazzi cresciuti nel nostro Paese a cui non viene riconosciuta la cittadinanza. Mentre il resto d'Europa offre garanzie, da noi si preferisce il limbo

FRANCESCO BIANCOPHOTO ZOE VINCENTI

12 #4Ottobre 2010

Sono 9 le proposte di legge di riforma della cittadinanza depositate in Parlamento, ma sono due quelle che hanno le maggiori possibilità di essere discusse. Oltre a quella bipartisan Granata-Sarubbi, c'è il testo presentato da Pdl e Lega. La proposta del Popolo della Libertà stabilisce solo nuovi doveri, lasciando invariato a 10 anni di residenza ininterrotta in Italia il termine per presentare la domanda di cittadinanza. Per poter diventare italiano, dopo almeno 8 anni di permanenza regolare da noi, bisognerà frequentare per un anno un corso di educazione civica, storia e lingua italiana e dimostrare, non si è ancora capito come, di essere socialmente integrati e di rispettare, anche all'interno della propria famiglia, i principi fondamentali della nostra Costituzione e le leggi dello Stato. La proposta non scioglie uno dei nodi più mortifi canti. Le autorità avranno sempre a disposizione 730 giorni per rispondere alle domande regolari esattamente come avviene oggi. Il problema è che in media ci vogliono almeno 3 anni e spesso ne servono addirittura di più.

Solo nuovi doveri

tellettuale di famiglia”, come la chiama il fratello, perché frequenta con profi tto il liceo classico.

“L'anno scorso sono andato in gita con la mia classe a Parigi - racconta Akar - In areoporto sono stato l'unico a

dover fare il controllo del passaporto nella zona riser-

vata agli extracomunitari. Nessun mio compagno mi ha fatto battute, ma qualche sorrisino l'ho visto. Lo stesso in Francia per il ritorno, dove mi hanno fatto anche un sacco di domande. Perché? È una catti-veria che non capisco”.

Akar è uno dei 650mila ragazzi nati

in Italia da genitori stranieri che vivono

sospesi tra due culture. Secondo i dati provvisori dell'Istat elaborati dall'Ismu in

totale sono 975mila i minorenni immigrati residenti nel

nostro Paese al 1° giugno 2010. Nonostante dal 2000 a oggi siano cresciute di oltre il 250, per le seconde gene-razioni nulla è cambiato.

Per diventare italiano il figlio di stranieri nato nel Bel

Paese deve comunque attendere il diciottesimo comple-

anno, dopodiché può fare domanda per la cittadinan-

za. Ma attenzione: ha solo un anno di tempo per farlo,

altrimenti ne perde il diritto. Non è fi nita qui: deve aver risieduto in Italia senza interruzioni. Se per esempio se ne va per un anno a studiare inglese a Londra non può più chiedere la cittadinanza, se non con gli stessi percorsi previsti per i suoi genitori. Il paradosso è che l'attua-

le legge del 1992 è addirittura più restrittiva di quella

approvata 80 anni prima dal Re (era il 1912) che stabiliva che dopo dieci anni di residenza in Italia, il minore stra-niero nato qui diveniva automaticamente cittadino.

Sono due i tradizionali sistemi di trasmissione della cittadinanza alla nascita: lo ius soli e lo ius sanguinis. Per il primo, il criterio è il luogo di nascita. Semplicemente

chi viene alla luce sul territorio nazionale ne diventa

cittadino. È il caso degli Stati Uniti e dell'Australia, che hanno scelto la forma “pura”perché Paesi costruiti dagli immigrati.

Lo ius sanguinis si basa invece sull'albero genealo-

gico. Acquista la cittadinanza di un Paese chi discen-

de da cittadini di quello stesso Paese. L'Italia è tra le democrazie che ha adottato questo criterio in modo più restrittivo. Così ad esempio un argentino felice di essere

argentino ma con un nonno italiano può, magari per convenienza, diventare cittadino italiano. Mentre il figlio

di stranieri nato e cresciuto in Italia, che qui studia o

lavora e che parla italiano non ha alcun diritto politico. Paradossalmente una deroga a questo principio è arriva-ta proprio dalla contestatissima decisione del ministero dell'Istruzione di mettere un tetto massimo del 30 alla presenza di alunni stranieri in ogni classe. Nella direttiva di Maria Stella Gelmini si dice espressamente che il prov-vedimento non riguarda i fi gli di immigrati nati in Italia. È la prima volta, forse inconsapevolmente, che viene applica-to il principio dello ius soli nel nostro Paese in un docu-mento legislativo da quando c'è la Repubblica. La prima volta che sono stati considerati a tutti gli eff etti italiani.

Molto diversa la situazione nei principali Paesi

dell'Unione europea. Il caso che più ha appassionato ai recenti Mondiali di calcio in Sudafrica è quello della Germania. È piaciuta molto questa Nazionale fatta dai nuovi tedeschi, capaci di portare la loro bandiera fi no alla semifi nale, persa solo contro la Spagna campione del mondo. In Germania, infatti, è automaticamente citta-dino chi nasce sul territorio nazionale e almeno uno dei due genitori risiede nel Paese da più di otto anni con il permesso di soggiorno permanente da almeno tre anni.

Anche la Francia ha adottato un sistema di ius soli con alcune restrizioni. Diventa automaticamente francese a 18 anni chi è nato nella République da genitori stranieri, se risiede da almeno 5 anni da quando di anni ne ha 11. L’acquisizione automatica può essere anticipata a 16 anni se richiesta dallo stesso interessato, o può essere doman-data dai suoi genitori a partire dai 13 anni con il suo con-senso, nel qual caso il requisito della residenza abituale per 5 anni parte dall’età di 8 anni.

Due i modi per diventare britannico se si nasce nel Regno Unito da genitori stranieri. Il primo, automatico, è quando almeno uno dei genitori ha il diritto di stabilirsi (Indefi nite leave to remain, o Ilr, ndr) al momento della nascita del fi glio. L'Ilr si ottiene generalmente dopo 4 anni di residenza regolare, ma viene valutato caso per caso. Il secondo criterio prevede che il minore possa fare domanda se ha vissuto nel Paese per i primi 10 anni dopo la nascita (non deve però aver vissuto all'estero per più di 90 giorni in ciascuno di questi anni).

La Spagna ha deciso per uno ius soli molto particolare. Diventa cittadino chi nasce sul territorio nazionale auto-

“Per me l'Italia è come un padre

che ti abbandona. Un sentimento

ambivalente: resta sempre tuo padre,

ma non puoi dimenticare che non ti

ha voluto”

Storia di copertina

13 #4Ottobre 2010

maticamente se almeno uno dei genitori stranieri è anche lui nato in Spagna.

Nel Parlamento italiano giacciono (è proprio il

caso di dirlo) ben 9 proposte di legge per riformare

il diritto di cittadinanza. Prima se ne doveva occu-pare la Camera ad aprile, ma c'era la crisi economi-ca: tutto rinviato a settembre. Ora c'è la crisi della maggioranza, quindi non c'è spazio per le aspetta-tive di un milione di ragazzi e per le loro famiglie. Tutto rimandato a data da destinarsi.

E sì che il mondo politico a parole mostra gran-

de interesse per il tema. Dal presidente della Came-ra Gianfranco Fini, al segretario del Pd Pierluigi Ber-sani, passando per Antonio Di Pietro, capo dell'Idv, fi no al leader dell'Udc Pierferdinando Casini, tutti si dicono d'accordo nel concedere la cittadinanza almeno a chi in Italia ci è nato. Ma sono solo parole. Numericamente in Parlamento la maggioranza ci

sarebbe pure, ma come spesso accade, si preferisce tenersi la questione in tasca, da utilizzare come

possibile arma contro Berlusconi e Bossi in una eventuale imminente campagna elettorale.

Anche lo ius soli puro in realtà creerebbe alcuni innegabili problemi. Se si diventasse automatica-

mente cittadino italiano per il solo fatto di esserci nato, ci sarebbe il rischio concreto di trasforma-

re il Paese in una sala parto, richiamando molti stranieri a far nascere i loro fi gli sul suolo nazionale solo con lo scopo di ottenerne la cittadinanza. E com'è noto diventerebbe impossibile anche espellere i genitori senza regolare permesso di soggiorno. Ma una riforma della legge del 1992

sulla cittadinanza è ormai obbligatoria. Una buo-

na risposta è contenuta nella proposta bipartisan

Sarubbi-Granata (sottoscritta da decine di deputati di ogni gruppo, a eccezione della Lega). Prevede,

tra l'altro, che automaticamente diventino cittadi-

ni i figli nati in Italia da genitori stranieri residenti

regolarmente da almeno 5 anni. Questo dell'auto-matismo è un altro passaggio fondamentale. Allo stato attuale dopo 10 anni di residenza regolare

ininterrotta si può fare domanda. La legge prevede un tempo di 2 anni per il ministero dell'Interno per dare una risposta, ma mediamente ne impiega più di 3. Ci sarebbe quindi anche un innegabile van-taggio economico, liberando centinaia di impiegati pubblici.

È giusto che per diventare cittadini italiani si sappia parlare la nostra lingua e se ne condivida la Costitu-zione, perché non c’è diritto senza l’adempimento d’un dovere. Ma di un diritto si parla, non di una benevola concessione delle autorità italiane.

“Dopo 10 anni di residenza ininterrotta si può fare domanda. La legge prevede un tempo di 2 anni per dare una risposta, ma lo Stato mediamente ne impiega più di 3”

±40MILAle cittadinanze concesse l'anno scorso dall'Italia. Sono 100mila in Gran Bretagna, Francia e Germania; 70mila in Spagna

Sono 221mila i bambini in età prescolare, 192mila fra i 3 e i 5 anni, 256mila tra i 6 e i 10, 134mila tra gli 11 e i 13 anni e 173mila gli ultraquattordicenni.

EUROSTAT

ELABORAZIONI ISMU SU BASI ISTAT, GIUGNO 2010

14 #4Ottobre 2010

13.351i migranti che sono morti negli ultimi 20 anni mentre cercavano di raggiungere l'Europa. 4.349 erano diretti in Spagna

“Spagna e Marocco sono d'ac-cordo nel mantenere il rispetto reciproco e la buona volontà per

superare i problemi che possono avere due Paesi vicini”: è il messaggio rassicurante lanciato insieme da Moha-med VI, re del Marocco, e José Luis Rodríguez Zapatero, primo ministro spagnolo, da New York il 21 settembre, al termine di un faccia a faccia a margine dell'Assemblea Generale dell'Onu. L'incontro, che entrambi i leader hanno defi nito positivo, è stato il primo a così alto livello dopo le tensioni diplomatiche di questa estate, legate alle enclave spagnole in terra marocchina, Ceuta e Melilla. Il 17 e il 18 agosto un gruppo di attivisti ha

bloccato l'ingresso nella città di Melilla ai tir carichi di

merci, soprattutto di alimentari. La protesta è stata una diretta reazione alle aff ermazioni del ministro dell'In-terno di Rabat, che ha accusato la polizia spagnola di razzismo, dopo l'ennesimo pestaggio per futili motivi di un cittadino marocchino che voleva entrare legal-mente a Melilla. Madrid è corsa subito ai ripari, con una telefonata di re Juan Carlos a re Mohamed, e un mee-ting tra delegati del governo. E da New York Zapatero ha annunciato un nuovo incontro tra i due monarca, a data da defi nirsi, per sancire una volta di più le ottime relazioni tra Spagna e Marocco. Tutto sotto controllo? Solo in apparenza.

Per Rabat questa è una ferita ancora aperta. Conside-

rate di fatto l'ultima colonia europea in Africa, le due

città contese si trovano sulla costa marocchina ma

fanno parte del territorio spagnolo da secoli, Ceuta dal 1668, Melilla addirittura dal 1497. Madrid non ha però alcuna intenzione di mollarle: sono due fondamentali porti franchi strategici e commerciali. Per i migranti africani sono ben di più: rappresentano la porta d'ac-cesso all'Europa. Per questo le due città sono blindate: Ceuta è protetta

da 10 chilometri di una

doppia barriera metallica

alta fino a 6 metri, 8 chilo-

metri di rete anche attorno

a Melilla. Non è tutto me-rito della Spagna: la Comu-nità europea ha investito 30 milioni di euro in filo

spinato, posti di vigilanza alternati e camminamenti per il passaggio di veicoli, una rete di sensori elettroni-ci, acustici e visivi. Bruxelles non ha badato a spese.

Attorno alle due città spagnole si concentra la pres-sione di migliaia di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, che sognando l’Europa si avventurano in pericolosi viaggi attraverso il deserto. Le forze di sicurezza marocchine e spagnole usano la mano pesante contro chiunque tenti di passare la barriera illegalmen-te; nel settembre 2005 un gruppo di circa 600 persone si lanciò in massa a scavalcare la frontiera per entrare a Ceuta. Nel fuoco incrociato delle polizia marocchina e

spagnola morirono in 5, i feriti furono un centinaio. Un caso che costrinse l'Europa a sollevare il velo sulla realtà delle due enclave. L'unico risultato fu un aumento dei controlli al confi ne.

Da allora il fl usso di migranti irregolari diretto verso l'Europa si è fatto più silenzioso e attento, e le pateras, le carrette del mare, partono da un po' più a est o a sud, usando Tangeri, Chefchaouen o Tetouan come città di appoggio.

Ma nei boschi attorno a Ceuta e Melilla, tra le località

di Beliunech, El-Biutz e El-Jebel Musa, si nascondono

ancora centinaia di africani, in attesa del momento più opportuno per sfi dare le misure di sicurezza. Secondo le stime di Medici senza Frontiere, in tutto il Marocco, ci sono almeno 4.500 migranti subsahariani in attesa di partire per l'Europa. La maggior parte di loro è nelle mani dei traffi canti, per i quali l'immigrazione è un vero aff are. Il viaggio costa migliaia di euro a testa: devono pagare i poliziotti corrotti, i traghettatori, oltre ai pro-prietari degli alloggi dove vengono segregati in attesa di arrivare in Europa. Un sogno su cui gli unici a non guadagnare sono proprio i migranti.

MAROCCO

Ceuta e Melilla: le ultime colonie Chilometri di fi lo spinato intorno alle due città spagnole in terra marocchina. La polizia che spara su chiunque tenti di saltare il recinto. La tensione tra Rabat e Madrid è solo apparentemente diminuita

±14 KM la distanza tra le città di Ceuta e Melilla dalla costa della Spagna Mondo News Tutte le notizie dal mondo su

www.mixamag.it

“Le riprenderemo grazie

ai nostri fi gli”

“Quello che succede a Ceuta e Melilla ha dell'incredibile”. A parlare è Mohamed, 32 anni, proveniente proprio dalle città spagnole in terra marocchina. Ora abita a Pavia dove fa il muratore, ma l'esperienza clandestina l'ha segnato. “La polizia spagnola non guarda in faccia a nessuno. Spara ad altezza uomo lungo il filo spinato. Voi europei criticate tanto quello che succede al confine tra Messico e Stati Uniti, ma la situazione lì è peggio”. Il viaggio verso l'Europa di Mohamed è iniziato 8 anni fa. “Sono rimasto nascosto per giorni, poi finalmente dopo aver pagato due poliziotti e tre marinai sono riuscito a imbarcarmi per raggiungere la Spagna. Una volta arrivato lì è stata durissima”, ci racconta Mohamed. Quattro anni fa l'arrivo in Italia. “Il razzismo anche qui sta crescendo, ma è più legato a chi ha soldi o no. Da quando lavoro onestamente, pago l'affitto e mi compor-to bene, nessuno mi dà più fastidio”. Mohamed vive come una ferita la presenza delle enclave spagnole sulla sua terra. “Zapatero fa tanto il bravo e poi permette al suo Stato di avere ancora due colonie. Ma tanto vinceremo noi: i marocchini che abitano a Ceuta e Melilla fanno tantissimi figli, gli spagnoli no”. (4,5 figli la me-dia delle donne marocchine, contro i 2,5 delle spagnole, ndr)

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SARA MILANESE

FORTRESS EUROPE

#4Ottobre 2010 15

31MILIONI gli immigrati che vivono nei Paesi dell'Unione europea, il 6,2% della popolazione totale

Un'avanzata che appare inarrestabile. Le formazioni politiche anti immigrati, in tut-

ta Europa, soprattutto in quella storicamente più tollerante del Nord, guadagnano terreno. E seggi in Parlamento. Ad accomunarle tutte, un unico deno-minatore: la paura degli stranieri, in special modo di quelli che arrivano dal mondo islamico. Il copio-ne classico è quello recitato da anni anche in Italia dalla Lega Nord. L'ultima affermazione, in ordine

di tempo, è stata quella dei Democratici di Svezia. Il

loro leader si chiama Jimmie Akesson e ha appena

31 anni (nella foto). Guida il partito dal 7 maggio del 2005. Castano, vestito all'ultima moda, è riuscito a ottenere il 5,7 delle preferenze grazie alla veloce “ripulita” data a un partito considerato palesemente neonazista. Riuscendo nell'impresa di far entrare suoi rap-presentanti per la prima volta nella storia del suo Paese in Parlamento.

Durante la campagna elettorale Akesson è an-dato all'attacco dei migranti. Pur non pren-

dendo aperta-

mente posizioni

estremiste, ha instil-

lato in molti svedesi

l'idea che il Paese stia

perdendo parte della pro-

pria identità nazionale. Facile far presa sulle persone se si dice loro che la causa di tutti i mali sono gli stranieri che restano a carico dello Stato per anni prima di riuscire a integrarsi, a trovare un lavoro, a produrre reddito e soprattutto a pagare le tasse, contribuendo allo stato sociale.

Poco importa se agli elettori non viene spiegato che la stragrande maggioranza delle persone che sceglie di trasferirsi in Svezia fugge dalle guerre, da situazioni davvero diffi cili, dalla disperazione. Peral-tro poi, una volta inseriti, diventano mano d'opera essenziale per le industrie, per l’economia locale.

Ma le vicende politiche svedesi non sono di certo un unicum. A giugno nei Paesi Bassi il partito anti

islamico di Geert Wilders è stato il terzo più votato. Liberali e laburisti hanno raccolto un numero simile di voti e il Paese ora è in stallo: ad oggi non è stato ancora formato un governo, anche se per la metà di ottobre si attendono novità.

Secondo gli analisti la soluzione più probabile sarà un esecutivo di minoranza liberale che godrà dell'appoggio esterno del Pvv, il partito estremista di Wilders. Una vera scalata al potere per il 47enne

leader politico che preme per limitare l'immigrazio-

ne e mettere al bando il Corano. Ma anche qui, come in Svezia, la formazione politica

mette l’accento prima di tutto sulla tutela della società loca-

le, della propria identità, delle conquiste sociali

che si sono raggiunte negli anni.

Nell’elenco dei partiti europei che cavalcano i sentimenti di timore “per l’al-tro” c'è anche il Progress Party

norvegese, che

nel 2009 ha ot-

tenuto il 23% dei

voti, diventando

di fatto il maggio-

re partito di opposi-

zione nel Paese.

Oltre agli immigrati

provenienti dal mondo

arabo, sono i rom a fare più

paura. Ed è proprio contro di loro che si è accanita la politica di alcuni

partiti europei. Partendo dalla Francia e dalle scelte del suo ministro per l’Immigrazione, Eric Besson, per arrivare in Ungheria e in Bulgaria: a Budapest lo scorso aprile lo Jobbik, formazione di estrema destra guidata da Gabor Vona, è entrato per la prima volta in Parlamento con il 16,7 dei voti; a Sofi a, Attack (partito che chiede la distruzione dei campi rom e il taglio degli aiuti a coloro che non mandano i fi gli a scuola) ha ottenuto quasi il 10 delle preferenze.

EUROPA

Soff ia da Nord il vento contro gli stranieri La Svezia è solo l'ultimo Paese dove un partito anti immigrati ha guadagnato voti e seggi. Ma la lista è molto lunga: Olanda, Norvegia, Bulgaria e Ungheria

SIMONA VOLTA

NEL VECCHIO CONTINENTEil 5% della popolazione è musulmana,nel 2050 sarà il 20% News Mondo

Scandinave a Milano

Gertrude ha 34 anni e vive a Milano da 7 anni.È svedese e fa l'architetto. “È stato uno choc per noi. Siamo sempre stati i primi della classe per quanto riguarda i diritti degli immigrati, ma Akesson è stato abilissimo a convincere che parte dei nostri problemi sono dovuti proprio all'eccessiva tolleran-za. I cartelloni promozionali facevano vedere un vecchio svedese che nella fi la per l'assistenza sociale veniva superato da una donna col burqa. Però è un partito profondamente diverso dalla Lega Nord. Da noi nessun parlamentare potrebbe dire le cose che dicono i leghisti. Dovrebbero dimettersi un minuto dopo. E soprattutto la Lega non è un piccolo partito di opposizione, ma è al governo da anni qui”.

Sarah, invece, è una studentessa olandese alla Bocconi di Milano. “L'unica cosa che accomuna la destra italiana alla nostra è il nome del movimento: partito della Libertà. Per il resto Geert Wilders è di-verso anni luce. Ad esempio è favorevole al matrimo-nio per i gay. La sua paura è che la nostra apertura ci porterà a vedere il nostro Paese sempre più islamico e sempre meno olandese”.

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ISTITUTO PER LE POLITICHEMIGRATORIE DI WASHINGTON

EUROSTAT 2009

16 #4Ottobre 2010

Cogliendo l'occasione dell'apertura del museo dell'Accademia d'Egitto a Roma, rinnovata nella sua presti-

giosa sede di villa Borghese, il 23 settembre il presidente Hosni Mubarak è volato nella capitale italiana per la seconda volta a distanza di quattro mesi dal vertice italo-egiziano del 19 maggio scorso. Una visita “mordi e fuggi” preceduta da un saluto uffi cia-le anche all'alleata tedesca Angela Merkel, il 22 settem-bre. Ma l'agenda dell'anziano raìs, nell'ultimo mese, non ha visto solo appuntamenti europei, anzi: Mubarak ha partecipato all'inaugurazione del primo ciclo di collo-qui diretti fra israeliani e palestinesi, a Washington il 2 settembre. Poi, ha accolto le due parti il 13 settembre nella località egiziana di Sharm El Sheikh, ormai polo diplomatico di caratura internazionale, per il secon-do round di negoziati. L'attivismo del “faraone”, così

Hosni Mubarak è chiamato dai concittadini-sudditi,

non sfugge agli osservatori dello scenario egiziano, impegnati a seguire le sue mosse e quelle dell'entourage presidenziale anche in patria: non passa giorno senza che Mubarak visiti un sito industriale, un cantiere, una scuola, dando prova ostinata di buona salute, presenza di spirito, energia.

Per l'82enne pluridecorato generale dell'aviazione, infatti, la situazione è delicata. In gioco c'è non tanto

il suo futuro politico - per ragioni anagrafiche ormai

agli sgoccioli - ma quello del suo “clan” familiare e della classe dirigente arricchitasi insieme a lui negli ultimi 30 anni. Nell'arco di pochi mesi, due appuntamenti elet-torali potrebbero segnare un cambiamento in Egitto: il voto per il rinnovo dell’Assemblea popolare, la Camera bassa del Parlamento egiziano, previsto per la prima settimana di novembre, e soprattutto le elezioni presi-denziali della primavera 2011, ancora orfane di candida-ture uffi ciali.

Non è ancora chiaro, infatti, se Mubarak si presenterà

per il sesto mandato consecutivo alla guida della re-

pubblica nordafricana. Per lui, le porte della presidenza si aprirono all'indomani della morte per l'assassinio di Anwar Sadat, di cui Mubarak era il vice, nell'ottobre del 1981, per mano di attentatori islamisti. Una circostanza mai del tutto chiarita. Segnalano i detrattori di Muba-rak: il “faraone” non ha mai voluto nominare un vice presidente in tre decenni di “impero”. Ecco perché se ora Mubarak decidesse di rinunciare all'ennesimo incarico, non è ancora stato reso noto il nome di chi potrebbe as-sicurare una transizione indolore verso una nuova fase politica. L’argomento occupa le pagine della stampa indi-pendente nazionale e della regione dopo essere stato per anni un tabù: del resto, l’operazione subita dall’anziano presidente nella primavera di quest’anno (l’asportazio-ne della cistifellea nell’istituto privato di Heidelberg in Germania, nella prima settimana di marzo, ndr) ne ha evidenziato la fragilità. Secondo indiscrezioni, Mubarak sarebbe aff etto da un tumore in fase avanzata.

Al momento, il figlio minore, Gamal, 46 anni, non

riscuote il consenso auspicato dal proprio “clan”. In particolare, secondo fonti accreditate al Cairo, ci sarebbe soprattutto la madre dietro l’ascesa politica di Gamal, broker a Londra fi no all’inizio degli anni Duemila. Rapidamente entrato nella segreteria del Partito nazio-nale democratico, Ndp, Gamal ne è diventato l’esponen-te di punta della nuova guardia, intenzionata a introdur-re riforme democratiche e ad aprire il mercato egiziano agli investimenti stranieri. Per Mubarak junior, tra l'al-tro sempre più presente accanto al padre nelle visite alla Casa Bianca, il Parlamento ha modifi cato la Costituzione fi no a cucirgli addosso il profi lo di candidato presidente, sbarrando la strada a qualsiasi fi gura politica indipen-dente o rappresentante di un movimento religioso.

Mondo NewsEGITTO

La sfinge Mubarak Mentre si avvicina l’appuntamento elettorale per il rinnovo dell’Assemblea popolare, rimane il mistero sulle candidature alle presidenziali della primavera 2011

FEDERICA ZOJA

±119 Le pizzerie gestite a Milano da egiziani, quelle napoletane sono 31

Gli oppositori

È l'outsider dell'opposizione egiziana: Mohammed El Baradei, ex direttore generale dell’Agenzia interna-zionale per l’energia Atomica, Aiea, si è impegnato sulla scena politica come indipendente dall'inizio dell'anno, una volta andato in pensione dalla carriera internazio-nale. El Baradei divenne famoso in tutto il mondo per la sua opposizione alla guerra in Iraq nel 2003 quando guidava appunto l'Aiea. Il premio Nobel per la pace nel 2005 si trova di fatto im-possibilitato a correre per la presidenza proprio perché non affiliato a un partito, a meno che non siano appro-vati prima della primavera emendamenti costituzionali che amplino i criteri per la designazione dei candidati. Nella medesima impasse si trova anche la Fratellanza musulmana, unico vero movimento di opposizione al regime di Mubarak: i Fratelli sono ancora ufficialmente banditi dalla vita politica, benché presenti nell’Assem-

blea popolare con un blocco di 88 deputati eletti come indipendenti in altre liste, nel 2005.

Hanno le carte in regola per esprimere un proprio can-didato presidenziale alcuni partiti storici del panorama egiziano, laici, come Tagammu (Il raggruppamento), Al Wafd (La delegazione) e il partito nasserista.I minori, come Al Ghad (Il domani) e Al Karama (La dignità), sono confluiti nel Fronte nazionale per il cam-biamento, fondato da El Baradei al suo rientro in Egitto a gennaio. Insieme stanno denunciando il rischio brogli per le prossime elezioni parlamentari e raccogliendo firme per chiedere una revisione del processo elettorale presidenziale. Al momento, comunque, l'opposizione nel suo insieme non ha deciso se boicottare oppure no il voto di novembre. E come al solito spende energie nel denunciare le magagne interne.

27MIILA gli egiziani residenti a Milano, sono la seconda comunità più numerosa dopoi fi lippini

CONFCOMMERCIO 2010

COMUNE DI MILANO

13MILA gli ecuadoregni a Milano. Sono la quinta comunità più numerosa, la seconda latinoamericana, dopo il Perù

133.687.000di dollari le rimesse inviate dagli ecuadoregniche risiedono in Italia nel 2008

“Perché l’audacia dell’emigran-te porta con sé la speranza di tornare a casa”. Suona così il

senso del programma “Bienvenidos a casa”, fi nanziato dal governo dell’Ecuador e gestito dalla Secretaría nacional del migrante (Senami), struttura governativa indipendente con funzioni ministeriali. L’audacia, la speranza, la paura, la voglia di riscatto di chi lascia la propria terra all’inseguimento di un sogno di prospe-rità e giustizia sociale. E che si porta dentro diffi coltà e disagi con cui l'emigrante impara a convivere, come fosse un esilio. Quello stato di alienazione permanen-te che niente meglio di una parola spagnola, destierro (che signifi ca appunto esilio), riesce ad esprimere.

Lanciato a marzo del 2008 proprio a Genova, dove

vive la più numerosa comunità ecuadoregna del nostro

Paese (30.000 persone), il progetto Bienvenidos a casa punta a creare le condizioni affi nché il loro rientro in patria avvenga in modo volontario, degno e sosteni-bile. Più e meglio che un mero rimpatrio: il piano non fornisce solo una serie di agevolazioni economiche e fi scali, ma prevede la realizzazione dei principi della nuova politica migratoria del presidente ecuadoregno Rafael Correa, anche per chi sceglie di restare.

In due anni 540 ecuadoregni sono tornati a casa con

incentivi produttivi, e altre migliaia hanno usufruito dei programmi per gli espatriati, con i quali sono state fi nanziate 581 piccole imprese e creati 1.507 posti

di lavoro. “Il piano permette, ad esempio, di riportare a casa un piccolo macchinario comprato in Italia per

riprendere la propria attività - spiega Mariana García, da vent’anni in Italia, consulente di varie società di servizi per i connazionali - strumenti che aiutano i cittadini a non svincolarsi dalla realtà nazionale”.

“Rafael Correa ci ha regalato un sogno - continua - ora la mia gente ha di nuovo fi ducia nelle istituzioni, una cosa che mancava da decenni. Viviamo un mo-mento di cambiamento con grande fi ducia e speranza. Grazie alla riforma costituzionale abbiamo il diritto al voto anche noi emigranti, cosa che ci ha restituito un ruolo sociale nella comunità”.

La nuova Costituzione, fortemente voluta da Correa e approvata con il referendum del 27 settem-bre 2008, ha rappresentato un cambio epocale per la storia dell’Ecuador ma anche per il futuro dell’Ame-rica Latina. La “Carta Magna” prescrive un’economia nazionale “sociale e solidaristica”, il controllo statale della Banca Centrale, la possibilità di espropriare la-tifondi improduttivi per ridistribuire le terre ai con-tadini indigenti. Riconosce l’unione civile fra coppie dello stesso sesso e l'assistenza sanitaria gratuita per gli anziani. La Costituzione include anche una serie

di nuovi articoli sui diritti dei migranti, questione

cruciale in un Paese in cui il 20% della popolazio-

ne, negli ultimi undici anni, è emigrata in Europa e

negli Stati Uniti.

Il fl usso inverso, in parte presente oggi, è dovuto anche alla crisi economica mondiale. In Spagna, ad esempio, il crollo delle imprese e l’alto tasso di disoccupazione ha costretto i lavoratori ecuado-regni a riprendere la via di casa, soprat-tutto perché occupati nei settori più colpiti, come l’edilizia o l’agricoltura. Diverso il caso dell’Italia, dove i latinos,

trovando impiego soprattutto nei servizi (badanti, società di pulizie, fattorini), hanno

evitato così il “rastrellamento” della crisi.

Non è un caso se Rafael Correa ha avviato una campagna di sensibilizzazione sulla mi-grazione e non ha esitato a schierarsi contro le politiche migratorie dell’Unione europea, defi nendo “un’ingratitudine storica” le norme sui rimpatri e sulla deten-zione nei Cie approvate dal Parla-mento europeo nel luglio 2008. “Cosa

sarebbe successo in Europa - si è chiesto Correa - se l’America Latina avesse usato

le stesse politiche quando, nel Novecento,

ricevette le due ondate migratorie dal

Vecchio Continente?”.

ECUADOR

Correa: benvenuti a casa Sta avendo successo il programma voluto dal presidente ecuadoregno per far tornare i suoi connazionali in patria

MARCO TODARELLO

17 #4Ottobre 2010

Le Case del migrante

“Le Case del migrante sono nate per dare un aiuto concreto ai migranti ecuadoregni sparsi nel mondo. Sono state aperte dalla Senami nei quattro luoghi a maggior presenza di nostri immigrati: Stati Uniti, Spagna, Venezuela e Italia”. A parlare è Lucas Luzón, 39 anni, in Italia dal 1989 e oggi direttore della Casa del migrante, che a Milano si trova in piazza Bottini. La particolarità della Casa nella nostra città è quella di essere in contatto con almeno 90 asso-ciazioni di migranti connazionali sparse per l'Italia. Gli spazi sono messi a disposizione per convegni, ma anche delle seconde generazioni sudamericane, il gruppo dei Latin King milanesi. “Punto di forza per gli equadoregni che sono rimasti in Italia è la banca del migrante, che con la collaborazione di istituti italiani promuoverà servizi adatti alle loro necessità, oltre a facilitare l'invio delle rimesse. Infi ne diamo assisten-za legale e psichiatrica agli ecuadoregni vittime di violazioni di diritti”.

News MondoBANCA D'ITALIA

COMUNE DI MILANO

Il reportage

Cina: ciao ciao futuroPrima le Olimpiadi di Pechino, poi l'Expo di Shanghai. La Cina ha terminato la prova generale ed è salita sul palco dell'economia globalizzata. E la città si diverte a diventare la nuova New York

18 #4Ottobre 2010

Il reportage

±SHANGHAIÈ la città più popolosa della Cina con oltre 17 milioni di abitanti. Dal 1979 è gemellata con Milano

È la “fabbrica del mondo” o per qualcun altro la “locomotiva dello sviluppo globale”. Fabbrica o locomotiva la Cina è il Paese che si muove ad una velocità impressio-

nante e lo capisci solo andandoci e alzando gli occhi da terra quan-do cammini: è tutta un cantiere.

Se la tua prima tappa in Cina è Shanghai, basta già solo guardare il suo aeroporto o la sua metropolitana per comprendere quanta voglia abbiano i cinesi di farla diventare in meno di dieci anni la nuova New York asiatica. Non è la

capitale, ma è il motore economico del Paese, una

città tutta proiettata in avanti e che guarda al futu-

ro con un’energia che non ha paragoni nel Vecchio

Continente. Primato che contende a Hong Kong, la vecchia signora elegante che guarda al domani senza paura, certa di essere uno dei centri fi nanzia-ri più importanti al mondo. Shanghai la guarda da non troppo lontano, fi duciosa nei piani del gover-no che in un decennio faranno in modo di comple-tare la metamorfosi e realizzare il sogno della città del Bund, l’illuminato e aff ollato lungofi ume.

Hanno tanta voglia di farsi conoscere i cinesi e di conoscere il mondo per il quale producono e a cui aspirano. L’Expo di Shanghai quest’anno è stata

la loro occasione, il traguardo della lunga marcia

verso la modernità. Un’area di 6 chilometri quadra-ti per ospitare 192 Paesi e oltre 70 milioni di visita-tori attesi fi no a quando chiuderà il 31 ottobre.

Le Olimpiadi di Pechino del 2008 erano state un’opportunità per presentare la Cina moderna al mondo, l’Expo Internazionale di Shanghai, aper-

tasi il primo maggio, è anche l’occasione di avere il mondo in casa. Ciascuno col proprio scopo: quello degli espositori occidentali di entrare nel ricco e grande mercato cinese con potenzialità di crescita tali da oscurare tutti gli altri; quello del Regno di Mezzo di strappa-re all’Occidente lo scettro dell’economia globalizzata.

Tutto ciò in manie-ra discreta, “silenzio-sa”, certosina, come i cinesi sanno fare. Guardano, osserva-no, imitano. E piano piano sono lì dove nessuno si aspettava di trovarli.

La Cina di oggi non è più quella vecchia, povera e maoista. È piuttosto il Paese che ha fuso insieme

due sistemi apparentemente antitetici: maoismo

e capitalismo. Ne è uscito fuori un ibrido, il capi-

comunismo, che se da una parte sfrutta i lavoratori in maniera disumana e vieta di parlare in pubblico di ciò che accadde nel 1989 in piazza Tienanmen, dall’altra ha portato modernità al Paese e popolari-tà al governo. Un potere legittimato dalla ricchez-

za che cresce senza freni: e fino a che il Pil sale in

Cina nessuno avrà voglia di sostituire il partito

unico.

Uno strano meccanismo, che neppure i cinesi ti sanno spiegare bene. Poi però stranamente entra-no in un negozio di lusso, comprano quello che per gli altri imitano, e allora la risposta è lì: alla lunga lo sfruttamento della forza lavoro arriva a produr-

re benessere e ricchezza soprattutto per una classe alta emergente. È il prezzo della modernizzazione, che non è un bene a buon mercato.

Nelle fabbriche cinesi che producono per il

mercato mondiale trascorrono la loro giovane vita

le factory girls, ragazze che vengono dalla campagna tra le quali non ci si chiede come ti chiami, ma di che anno sei, quanto ti danno e se la paga è con vitto e alloggio. Ragazze per le quali l’ultimo giorno del mese può essere il più bello ma anche il più brutto, come racconta Leslie T. Chang, una

giornalista statunitense di origine cinese, nel libro “Operaie”, uscito in Italia il 19 maggio. Dopo aver

faticato come muli, le factory girls si vedono trat-

tenuto dalle loro paghe denaro per motivi assurdi: qualche minuto di ritardo, una mezza giornata di permesso per malattia, il contributo obbligatorio per il passaggio dalla divisa invernale a quella esti-va. Ma l’ultimo giorno del mese è anche quello che vede aff ollato l’uffi cio postale: tutte lì per spedire alle famiglie rimaste in campagna gli yuan guada-gnati.

Corre la Cina: a Shanghai, città che a febbraio la rivista economica Foreign Direct Investment ha mes-so al terzo posto nella sua classifi ca delle città del futuro, ogni giorno si aprono nuovi ristoranti lus-

suosi, moderni e costosi. Così la metropoli cambia faccia: e pensare che alla fi ne degli anni Ottanta era povera e quando si passeggiava lungo il Bund non si vedevano macchine, grattacieli, ma solo gente vestita male e “poveracci”. Ma il mondo cambia ed è cambiata la Cina, in maniera veloce: da allora nella

“Tutto ciò in maniera discreta, “silenziosa”, certosina, come i cinesi sanno fare. Guardano, osservano, imitano. E piano piano sono lì dove nessuno si aspettava di trovarli”

19 #4Ottobre 2010

TESTO E PHOTO DI TONIA CARTOLANO

±ANCHE NEL 2009L'annus horribilis per l'economia mondiale, la ricchezza della Cina è cresciuta dell'8,7%, mentre nel 2010 crescerà di 11 punti percentualiIl reportage

capitale finanziaria del Paese sono state costruite

oltre 4000 torri sopra i 30 piani. C’è il Maglev , il treno più veloce del mondo che viaggia senza toccare le rotaie grazie alla levita-zione magnetica. E c’è una zona commerciale e fi nanziaria, il Pudong, costruita al posto di vecchi depositi portuali.

Shanghai sta facendo di tutto per raggiungere l’obiettivo di essere la nuova New York. Ha costru-

ito non a caso il World Financial Center, che con

i suoi 101 piani è la sede asiatica delle più grandi fi nanziarie al mondo, ma rimane ancora la città

caotica del Sud dove la gente cammina nelle strade del quartiere in pigiama, e stende i panni sui pali della luce e sulle ringhiere lungo le vie sporche e traffi cate. Eppure nessuna città al mondo oggi sembra avere la forza e il dinamismo di Shanghai.

È il Paese la Cina dove le cose ancora succedo-

no, ci racconta Francesca Coppeta, una giovane

italiana di 29 anni che da due anni vive e lavora a

Shanghai. È direttore generale di una azienda ita-liana, la ITF International, che realizza interni su misura per negozi e residenze di lusso e non solo.

“La Cina è il Paese dalle mille contraddizione e contrasti, dove passato e futuro si intrecciano e dove lo stupore in senso positivo e tal-volta anche negativo è sempre dietro l'angolo.

È un Paese incredibile, assolutamente diverso dallo stereotipo che ha in mente chiunque qui non ci sia mai stato, un Paese dove tutto corre ad una velocità impressionante e dove anche l'impossibile, l'impensabile, diventa realtà. Vivere qui in questo periodo storico - racconta Francesca Coppeta - è per me un'occasione unica, una sfi da continua. Sviluppo è una parola astratta, ci dice la giovane

italiana, ma qui hai la sensazione che sia qualcosa

di concreto che tocchi con mano e che vedi con i

tuoi occhi tutti i giorni”.

Lo sviluppo. I cinesi ci credono mentre lavorano. Dalla Grande Muraglia ai grattacieli di Shanghai, dalla Mongolia interna alle campagne del Sud. Ep-pure il contrasto tra la ricchezza delle città e le loro periferie con gli agglomerati sub urbani indecenti è così stridente che ti fa chiedere quale sia quel mi-stero sociale che riesce ad amalgamare senza grossi traumi il Medioevo e il futuro.

La mancanza di infrastrutture, servizi igienici,

acqua corrente è ancora una conquista da raggiun-

gere per molti in Cina. Basta attraversare il corso d’acqua che divide downtown Shanghai dall’altra sponda per saltare dal futuro dentro quartieri

fatiscenti. Eppure si percepisce dagli sguardi e dalla dignità del popolo che sognava

Mao Tse Tung, fi ero e orgoglioso che lavora e mangia tutti i giorni, la ra-gione della sua serenità: la speranza nello sviluppo. Una speranza che da qualche altra parte è stata già persa da un pezzo.

20 #4Ottobre 2010

“Sviluppo è una parola astratta ma qui hai la sensazione che sia qualcosa di concreto che tocchi con mano e che vedi con i tuoi occhi tutti i giorni”

Expo Shangai

Better city, better life. Uno sforzo di tutti i Paesi partecipanti all’Expo di Shanghai quello che racchiude il tema scelto per l’edizione 2010: ovvero la qualità della vita in ambito urbano. Oltre 5 km quadrati per ospitare 191 Paesi e 48 organizzazioni internazionali. Per tutti lo stesso problema da affrontare: quello della pianifi cazione urbana e dello sviluppo sostenibile nelle nuove aree cittadine, ma anche del come effettuare le riqualifi cazioni nel tessuto ur-bano esistente. Tutto parte dal presupposto che dal secolo scorso a oggi la popolazione che vive nelle città è aumentata dal 2% al 50%, con la prospettiva di un 55% nel 2010. Un’occasione unica per la Cina prima di tutto. I vantaggi dell’esposizione sono molteplici. Sul fronte interno, le commes-

se per la costruzione dell’area espositiva hanno generato migliaia di posti di lavoro, senza contare il rilancio urbanistico della città (terminal aero-portuali, metropoli-tana, strade, tunnel); sfarzo e imponenza, poi, rafforzeranno l’immagine del governo di fronte al suo popolo. Ma anche sul fronte esterno Pechino ha tutto da guadagnare. Una simile vetrina apre l’economia cinese ad affari grandiosi con il resto del mondo: alla vigilia dell’inaugurazione lo Shanghai Financial Service Offi ce ha annunciato che

“entro la fi ne dell'anno saranno pronti i nuovi regolamenti per la quotazione in Bor-sa delle società straniere”. Non secondario

il debutto della delegazio-ne Usa a un’esposizione universale che consacra l’asse Cina-America, su cui si snoderanno gli equilibri geopolitici del futuro. E le numerose diffi coltà fi nanziarie incontrate dal padiglione americano, a fronte della magnifi ca piramide cinese, hanno

chiarito che la Cina sarà sempre più una protagonista ingombrante. E anche il nostro Paese sta facendo la sua parte. In attesa del 2015, quando la kermesse verrà

ospitata a Milano, l’Italia è leader in Cina con un padiglione a pianta quadrata di 3600 mq per 18 m di altezza, progettato da Giampaolo Imbrighi e premiato dalla città di Shanghai come miglior edifi cio dalla struttura in acciaio del 2009. “Un successo impensabile per l’Italia” ha detto Beniamino Quintieri, il commissario italiano del Governo per l’Expo 2010 : “Sappiamo che il nostro è stato il padiglione più visto, secondo solo alla Cina, con una media di 40 mila visitatori al giorno. Ed è in assoluto fra i più apprezzati. Si sta lavorando al dopo, l'obiettivo è far sì che il nostro padiglione continui a vivere. Magari a Shanghai, in deroga all' obbligo delle Expo di smantella-re le loro strutture, o - rimontato - in altre località della Cina.

BANCA MONDIALE

21 #4Ottobre 2010

Le rimesse degli immigrati fanno gola alle banche Centinaia di milioni di euro le rimesse inviate dall’Italia nel 2009 attraverso le banche, quasi 6,3 miliardi con money transfer. Ancora troppo alte le commissioni, Frattini propone il loro dimezzamento

210 milioni di euro. È la cifra che l’anno scorso gli stranieri

che vivono in Italia hanno inviato nei loro

Paesi d’origine attraverso le banche; 92.000

spedizioni, da 1.500 euro l’una in media. Cifre notevoli (anche se il grosso delle rimesse avviene al di fuori dei canali bancari), ma è altrettanto interessante notare chi ha raccolto i dati e il contesto in cui sono stati comunicati. È successo a Roma, lunedì 27 settembre, durante un convegno organizzato dall’Associazione

bancaria italiana (Abi), intitolato “Sfi da per l’integra-zione: inclusione fi nanziaria degli immigrati”. Ed è stata la stessa Abi, insieme al CeSPI a eff ettuare l’indagine sull’off erta di servizi e prodotti bancari per la clientela immigrata (di cui è stata presentata solo un’anteprima e che sarà oggetto di un rapporto, in uscita nei prossimi mesi).

Un convegno e un rapporto che dimostrano l’inte-resse da parte delle banche italiane per gli immigrati. “È proprio così, gli istituti di credito sono molto interessati a questa fascia di clientela”, spiega Gianna Zappi, dell’uffi cio Responsabilità sociale d’impre-sa dell’Abi. “Si tratta di quasi 4 milioni di cittadini in continuo aumento. Dal 2007 - continua - sono cresciuti del 32. E, parallelamente, continua rapido il processo di bancarizzazione degli immigrati. In due

anni gli stranieri con un conto corrente in Italia sono

aumentati da 1.404 milioni del 2007 a 1.514 milioni

nel 2009. Abbiamo verifi cato che, per avvicinarsi al mondo delle banche, impiegano circa cinque anni, il tempo necessario ad acquisire una prima, pur se an-cora precaria, stabilità economica e lavorativa; ad avvertire il bisogno di un rapporto bancario e a ottenere i documen-ti necessari per accedere a una fi liale. Ma oggi moltissimi stranieri sono clienti fi nanzia-riamente “evoluti”, cioè usano prodotti fi nan-ziari avanzati come l’internet banking, i servizi di amministra-zione titoli, prodotti di accumulo di risparmi e le carte di credito”.

Dalla ricerca dell’Abi è emerso che in Italia

il valore medio di ogni

rimessa è quasi 7 volte

superiore al dato internazionale: 1.543 euro contro 223.

Gli immigrati che trasferiscono somme all’estero prefe-

riscono utilizzare le banche per importi sopra il miglia-

io di euro. Per somme più piccole scelgono società di

trasferimento di denaro o altri canali informali, come un parente o un connazionale che torna in patria a cui affi dare i propri risparmi.

I 210 milioni di euro inviati tramite le banche sono, infatti, una piccola porzione delle rimesse che partono

dall’Italia dirette ai Paesi in via di sviluppo: circa 6,5

miliardi di euro in tutto nel 2008, secondo Eurostat.

Le società di trasferimento di denaro sono più rapide e capillari delle banche. Hanno una rete che arriva nel paesino più sperduto e nella regione più deserta. I costi per ogni operazione, però, sono altissi-

mi, arrivano fi no al 30% della somma inviata. Ridurre i costi delle rimesse è un obiettivo posto anche dalle istituzioni internazionali. Al G8 dell’Aquila del luglio 2009 i leader degli otto paesi più industrializzati del mondo si erano impegnati a ridurre del 5% in 5 anni il

costo del trasferimento di denaro verso i Paesi poveri. Obiettivo ribadito al vertice dell’Onu contro la pover-tà del 23 settembre dal ministro degli Esteri italiano,

Franco Frattini, secondo cui: “Dimezzando il costo delle

rimesse degli immigrati entro cinque anni arriverebbe-

ro ai Paesi in via di sviluppo 15 miliardi di dollari in più

all’anno”.

Per incentivare la concorrenza e ridurre i prezzi, ma anche per assicurare la massima trasparenza è nato

un sito internet www.mandasoldiacasa.it, gestito dal CeSPI, nell’ambito del progetto “Migranti per lo Sviluppo”, al quale partecipa anche l’Abi. Basta inserire nell’apposita casella l’importo del trasfe-rimento e la destinazione. Compare un

elenco di operatori e i rispettivi prezzi e tem-

pi d’invio. Si scopre che, ad esempio, per mandare 300 euro in Ecuador si impiega da meno di un’ora fi no a 5 giorni, pagando tra 6 e 23 euro.

L'opinione

di Marco BaldiniCOORDINATORE DEL LABORATORIO MIGRAZIONI E SVILUPPO

“Le rimesse degli immigrati possono essere un potente volano di crescita per le economie dei Paesi poveri, ma solo se usate per avviare progetti di sviluppo a medio e lungo termine. Altrimenti gli oltre 300 miliardi di euro, che ogni anno transitano dal Nord al Sud del mondo, servono solo ad alimentare i consumi”. È questa l’opi-nione di Marco Baldini, di Ucodep (Ong che si occupa di cooperazione allo sviluppo), coordinatore del Labora-torio Migrazioni e Sviluppo, portato avanti da una rete di organizzazioni dell’associazionismo italiano, della cooperazione internazionale, di fi nanza etica e micro-credito.

Quale ruolo potrebbero avere le rimesse per i Paesi in via di sviluppo?“La gestione delle rimesse è una grande opportunità. Ma non può essere colta solo dal sistema bancario o dalle organizzazioni di money transfer. Deve alimentare serie politiche di cosviluppo: cioè processi di crescita dove non c’è donatore e ricevente, ma diversi protago-nisti che collaborano. Abbiamo avanzato una proposta politica: che a fronte di 1 dollaro di rimesse, il governo italiano metta 1 dollaro di contributo allo sviluppo. Da usare per azioni che migliorino davvero il Paese ricevente”.

E come si può invece incentivare un uso migliore di questo denaro?Bisogna agire a più livelli: politico e culturale. Ser-vono accordi bilaterali o multilaterali tra il Paese da cui partono le rimesse e quello che le riceve. Esiste, per esempio, un’intesa tra Italia e Senegal, grazie a un’istituzione di microfi nanza del Paese africano e a una italiana (Etimos), per favorire progetti di microim-presa. Sul fronte culturale gli immigrati devono capire l’importanza delle rimesse come risorsa per migliorare davvero le condizioni nel loro Paese. Devono capirlo anche le famiglie che ricevono il denaro e che spesso lo spendono per acquistare un televisore. Questo non aiuta l’economia locale. Servirebbero invece politiche di lungo termine per sviluppare attività imprenditoriali.

Economixa

±246 MILIARDI DI EUROle rimesse degli immigrati nel mondo verso i Paesi in via di sviluppo nel 2008

DI ELISABETTA TRAMONTO

BANCA MONDIALE

Volumi delle rimesse per nazionalitàVOLUMI COMPLESSIVI IN EURO

Marocco Brasile India PerùRomania Albania Senegal EcuadorMoldova Ucraina Bangladesh Filippine

27.649.945

22.313.137

15.207.307

10.174.958

8.409.698

5.895.196 5.851.372

2.293.749 1.658.0271.434.445 1.060.833 895.145

(ABI-CESPI 2010)

DATI RIFERITI AL 2009

Storie vere

22 #4Ottobre 2010

Anita Rachvelishvili, la Carmen dell’Est

Nel tuo nome il tuo destino. Alla nonna e non ai

genitori si deve il nome che avrebbe por-tato Anita Rachvelishvili lontano, molto oltre i confi ni della sua Georgia dove è

nata 26 anni fa. Appassionata di musica classica e in particolare della lirica italiana la signora non ebbe dubbi su come chiamare la sua nipotina. Cresciu-

ta tra i rigori dell’ex Repubblica Sovietica, Anita

scoprirà all’improvviso il senso di quel nome dal

sapore latino quando, 25 anni dopo la sua nascita,

debutterà sul palco del Teatro alla Scala di Mila-

no, il più famoso del mondo almeno per i cantanti lirici, come protagonista di “Carmen”. Italia, Spagna e Francia dunque e in un sol colpo. Opera sublime, dalle passioni viscerali, quella ambientata in Spagna, a Siviglia, e composta tra il 1873 e il 1875 dal giovane musicista francese George Bizet che con “Carmen” raggiunse l’apice della sua arte. Il compito per Anita è da brividi: pur da debuttante è a lei che viene

affidata l'apertura della stagione il 7 dicembre in

omaggio al patrono della città, Sant’Ambrogio,

l'evento più importante per Milano. “Avevo fatto il provino per una parte minore e invece dopo avermi sentito cantare il maestro Baremboim mi ha detto che per me aveva progetti diversi”. Molto diversi e molto più ambiziosi se dal ruolo minore di Mercedes ad Anita viene assegnata la Carmen “di riserva” e subito dopo quella uffi ciale.

Ma iniziamo dal principio. Al principio c’era Tbilisi, la capitale della Georgia e sua città natale, sua madre, suo padre, sua sorella e l’università di Giurisprudenza che Anita seguiva con interesse e portando a casa ottimi voti. “Avrei voluto fare l'avvocato. Mi piaceva molto quello che studiavo ma per mio padre non erano sufficienti i buoni

risultati. Diceva che non ce l’avrei mai fatta senza

le conoscenze, le raccomandazioni. Fu lui a spin-

germi a lasciare la facoltà per dedicarmi comple-

tamente alla musica”. L’opposto di quello che in genere succede da noi in Italia, dove i genitori solo a fatica scambierebbero una laurea con un diploma al Conservatorio. Lei invece è lì che mette tutto il suo impegno nonostante il dispiacere per la carriera legale abbandonata e il piacere sicuro, ma non ecces-sivo, per la musica. “Il pianoforte mi aveva annoiato così ho deciso di dedicarmi soprattutto alla voce. In famiglia suonavamo fi n da quando ero piccola. Mio padre, capomastro, era un musicista mancato, un chitarrista e un compositore per passione; mia madre, parrucchiera, avrebbe voluto continuare a fare la ballerina”.

“Sapevo fi n troppo bene che se avessi fallito al debutto milanese, la mia carriera sarebbe fi nita ancora prima di cominciare”

GINEVRA BATTISTINIE T À 26 anniN A Z I O N A L I T À georgianaA B I TA A Sarnano nelle MarcheI M P I E G O mezzo soprano

PHO

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CALA

23 #4Ottobre 2010

Non perdetela!Anita Rachvelishvili torna in scena alla Scala, sempre con “Carmen”, il 29 ottobre e il 2, 6, 9, 12, 18 novembre. A dirigerla, questa volta, sarà il maestro Gustavo Dudamel. Al suo fi anco Lance Ryan nei panni di Don José mentre Escamillo sarà interpretato da Alexander Vinogradov e Gabor Bretz. La regia resta in mano alla contestata Emma Dante, che pure ha avuto il merito di dare lustro al copione con una lettura originale e fresca dell’opera. La storia della zingara ammaliatrice, fedele a sé stessa e alla sua libertà fi no alla morte, incanta per la passione e per la esasperata vitalità tradotte in musica in maniera superba dal genio di Bizet. Per vedere lo spettacolo a prezzi abbordabili è possibile acquistare i posti del loggione a partire da 12 euro. Info su www. teatroallascala.org o telefonando allo 02.88791

In tutte le case dell’Est si suonano per tradizio-ne uno o più strumenti e la musica è insegnata e coltivata come patrimonio culturale nazionale fi no all'età adulta. Ne sanno qualcosa gli studenti russi, georgiani, ucraini che al Conservatorio di Milano arrivano con una preparazione in genere molto superiore a quella dei loro compagni italiani. Anita però, ha qualcosa in più. Ha carattere o, meglio, la stoff a per conquistare il successo senza lasciarsi tra-volgere. “A illuminarmi è stata la Tosca di Puccini

interpretata dalla mia insegnante del Conservatorio nel 2001. Lì ho capito che quella doveva essere la mia vita”.

Così in famiglia si decide il tutto per tutto. A Tbili-si, dove le bombe russe lasciano il segno soprattutto sui giovani ansiosi di emergere, i Rachvelishvili ipo-tecano la casa. Con quei soldi comprano il biglietto aereo per Anita. Destinazione: Milano. Obiettivo: l’Accademia del Teatro alla Scala. “Mi hanno detto che durante la mia audizione Leyla Gencer, soprano e direttore dell’Accademia di Canto, (spentasi nel maggio del 2008, ndr), si è svegliata all’improvviso dal suo torpore esclamando: questa è presa!”.

È solo l’inizio. Anita diventa, per forze di cose, milanese e passa le giornate a perfezionare la sua voce. “Abitavo in una casa in affi tto e lì fi nivano

quasi tutti i miei soldi. Quello che avanzava mi permetteva di fare ben poco”. Un anno dopo arriva la proposta del direttore d’orchestra Baremboim, clamorosa, quella che in genere tocca ai cantanti già noti in tutto il mondo: l’apertura della stagione della Scala con un’opera tanto importante quanto la Carmen. La Scala, compreso il sovrintendente

e direttore artistico Lissner, scommette tutto su

di lei: una ragazza georgiana di soli 25 anni. Un ri-schio enorme. “Sapevo fi n troppo bene che se avessi fallito al debutto milanese, la mia carriera sarebbe fi nita ancora prima di cominciare”.

Chiunque sarebbe rimasto paralizzato dall’ansia da prestazione. Anita no. Ha un controllo di sé

e una capacità di tenere a bada le emozioni che

colpiscono appena la s’incontra. Racconta la sua storia con estrema pacatezza, non è mai sopra le righe e sembra lasciarti intendere che in fondo basta solo impegnarsi e perseverare per ottenere ciò che si vuole. Carattere insomma. “Ho incontrato e studiato con molti mezzi soprani anche più bravi di me, con una voce più bella della mia, ma che non riuscivano a reggere la pressione psicologica o che non avevano costanza”. Di carattere ne aveva senz’altro anche la Carmen che Anita ha avuto la fortuna e il pregio di interpretare. “Un tempe-ramento molto diverso dal mio però, e su cui ho

Storie vere

dovuto lavorare moltissimo seguendo le indicazioni della regista Emma Dante, con la quale abbiamo messo a punto una donna apparentemente forte ma in realtà fragile e squilibrata”.

Mesi e mesi di studio, anche a Parigi, dall’in-segnante di Maria Callas, Jenine Reiss: “donna straordinaria ormai novantenne, anche lei di molto carattere. Se ti prendeva in antipatia, eri fi nita. Per fortuna, le sono piaciuta subito”. Canto, dizione, recitazione. Anita si butta a piene mani nella prova più diffi cile ma più entusiasmante della sua vita con una dedizione senza precedenti. “Ero talmente preparata e talmente dentro il personaggio che quando sono salita sul palco la sera del 7 dicembre non sentivo nemmeno la presenza del pubblico. Ero concentratissima. Solo dopo la fi ne del primo atto ho capito che in sala erano tutti lì per me, comprese le autorità, tra cui il Presidente della Repubblica Napolitano e la delegazione georgiana. Ma l’emozione e la gioia più grande è arrivata alla

fine, quando ho visto mio padre, uomo tutto d’un

pezzo, piangere e singhiozzare come un bambino.

Era felice e io con lui”.

La Scala e Anita avevano vinto la loro scommessa. Lo spettacolo è travolgente e la Carmen della Geor-gia incanta per la voce, per la sua recitazione e per il piacere e il divertimento con cui calca la scena. In un attimo fi occano gli inviti da parte dei teatri più famosi del mondo: Toronto, Berlino, New York, Cape Town e Seattle. Eppure Anita resta quella di

sempre, impassibile, con i piedi ben saldi per terra

e con lo stesso problema di tutti gli immigrati: il

permesso di soggiorno che scade e i salti mor-

tali per rinnovarlo. Con i primi guadagni compra una nuova casa alla sua famiglia e un'auto per suo padre. Intanto continua a fare la sua vita come se nulla fosse cambiato: “Non mi interessano i soldi, né i vestiti, né il lusso ma vivere in pace insieme al mio fi danzato (il tenore Riccardo Massi, ndr) nella nostra casa tra le colline delle Marche”.

PHO

TO A

LAN

MAG

LIO

24 #4Ottobre 2010

Vuoi suggerire una ricetta, un gioco o un proverbio per questa rubrica? Scrivi a [email protected]

Italia“ Chi ben comincia è

a metà dell'opera ”

Dakpanay Dopo aver disegnato 4 cerchi a distanza di 20 metri l'uno dall'altro, i giocatori si distribuiscono equamente al loro interno. Tranne uno, che si mette tra i cerchi. Al “via” i giocatori corrono da un cerchio all'altro, mentre la persona nel centro cerca di prenderli. Si può restare nel cerchio massimo 10 secondi. Il ruolo da inseguitore dura 3 minuti, al termine dei quali si contano le persone prese (perché lente o toccate, o perché rientrate nello stesso cerchio da cui sono uscite). Vince chi cattura il maggior numero di compagni.

Quattro cantoni Velocità, scaltrezza, posizione. È quello che

serve se si vuol giocare ai 4 cantoni. Quattro giocatori si sistemano agli angoli di un qua-

drato disegnato a terra. Al “via” si spostano da un angolo all'altro. Un quinto giocatore, che all'inizio del gioco era andato nel mezzo del

quadrato, cerca di occupare un angolo rimasto libero prima che arrivi uno dei 4 avversari. Se

riesce, il giocatore pizzicato senz'angolo fi nisce in mezzo al quadrato. Vince chi rimane meno

tempo nel mezzo.

Pancit guisado300 gr di tagliatelle sottili200 gr di petto di pollo200 gr di polpa di maiale200 gr di gamberi sgusciati100 gr di cavolocipolla, aglio, 2 cucchiai di essenza di pesce, olio, pepe

Bollite la pasta in acqua salata, scolatela al dente e conditela con olio. In un wok scaldate un po' d'olio e fate imbiondire l'aglio tritato. Unite la carne di maiale e lasciatela rosolare, poi il pollo, mescolate, alzate la fi amma e aggiungete i gamberi. Cuocete tutto per qualche minuto. In un altro wok fate soff riggere la cipolla. Unite il cavolo, salate poco e cuocete per 8 min. Versate il brodo, l'essenza di pesce. Mescolate, unite le carni e le tagliatelle e lasciate insaporire il tutto per un paio di minuti.

30'

Preparazione

++

Diff icoltà

4

Persone

Tagliatelle al ragù 400 gr di tagliatelle

250 gr di petto di faraona300 gr tra fi nferli e porcini

1 bicchiere di brodo½ bicchiere di vino bianco secco

alloro, salvia, menta, rosmarino, aglio, olio, sale e pepe

Per preparare il ragú tagliate la carne a cubetti e fatela rosolare in una casseruola con l'olio caldo, la salvia e il

rosmarino. Insaporire con aglio tagliato a metà, salare, pepare e bagnare con un po' di vino. Unire i funghi già

lavati e aff ettati, bagnare il preparato con il brodo e cuocere per 15 minuti. Di fi anco al ragú, far bollire acqua

salata con la pasta fi no a cuocerla al dente. Una volta scolata, farla saltare nel recipiente con il ragú caldo.

Cospargete di parmigiano, menta e prezzemolo.

90'

Preparazione

++

Diff icoltà

4

Persone

Tutto il mondo è Paese

“ Ang isang paglalakbay ay nagsisimula sa iisang hakbang ”“ Un lungo viaggio comincia con un sol passo ”

A CURA DI LUIGI SERENELLI

Filippine

25 #4Ottobre 2010

“Chi laüra ghà una camisa e chi fà nagott ghe n'à dò”Chi lavora ha una camicia e chi non fa nulla ne ha due (DIALETTO MILANESE)

Chi l’avrebbe mai detto? La radio più aperta al mondo straniero e agli immigrati, almeno nel panorama

delle emittenti milanesi, è Radio Meneghina. Una scoperta che lascia di stucco se si pensa al nome, alle origini, al repertorio musicale e alla stessa segreteria telefonica della sede che risponde in dialetto stretto. Eppure se si dà un occhio al palinsesto e si ha occasione di parlare con il direttore, Tullio Barbato, ci si ritrova immersi in una realtà assolutamente internaziona-le. Dalle frequenze 91.950 non viene

trasmessa solo musica o informazione

legata a Milano, ma dalla città si spazia

ben oltre i confi ni italiani fi no ad arrivare al

Perù, alle Filippine e al Brasile.

Di questi tre Paesi si parla in modo originale in trasmissioni a loro completamente dedicate. Circa quindici anni fa è partito il programma “Perù: anche italiana la musica della costa”, idea brillante e di successo proposta dal presiden-

te dell’associazione culturale Peruan-ità, Arman-do Pace, e dal vicepresidente Sergio Garcia. Punto di forza, il legame tra Perù e Italia evidenziato dai brani musicali di autori peruviani di origine italiana, spesso lombarda o ligure, e dalle conta-minazioni tra la cultura locale e quella italiana. Ampio e inaspettato il riscontro del pubblico,

misto come è mista l’off erta di argomenti e suggestioni di ciascuna puntata: la metà de-

gli ascoltatori è italiana, l’altra peruviana.

Dal Perù alle Filippine. In questo caso la trasmissione“Tinig sa Itaas”, su temati-

che religiose, è prevalentemente in lingua fi lippina e dà spazio anche all’informazione.

Più leggera “La stanza di Yo”, dedicata alla

musica brasiliana.

Il merito di tanta apertura e attenzione verso il mondo straniero va al fondatore e direttore della radio, il giornalista Tullio Barbato. Di sé dice di essere un “milanese bastardo” perché fi glio di un padre “terrone” (pugliese) e di madre francese.

DICCI LA TUA

Voci Mixa a Milano Milanese al 100% la più internazionale delle radio locali: Perù, Filippine e Brasile nel palinsteso di radio Meneghina

Costume e società

Primo anno scolastico con il tetto del

30% per la presenza di bambini stranieri,

Un'opportunità per l'apprendimento o una

nuova diffi coltà per le famiglie?

Ma va... tetto non imposto in nessuna scuola, è solo propaganda per far contenti gli elettori della Lega o del Pdl...una bufala...a ogni scuola bastava chiedere una proroga e rimanere com'è. ANNA

Sono d'accordo con la neces-sità di non creare classi ghetto, che lo sono anche per i nostri fi gli. Non voglio che crescano senza un contatto con i bambini italiani, con la cultura del Paese che sarà e che è già il loro. ZHARA

Si tratta di discriminazione, il mescolamento dovrebbe essere favorito dalla politica ma non imposto. Ci sono strumenti per rendere valide le scuole e non appesantire le classi dove magari si fatica perché i bambini non sanno bene la lingua. La soluzione è sempre la solita: non tagliare i fondi alle scuole!!! FILIPPO

Sono d'accordo. Sono in Italia da tanti anni, una ventina, e una volta l'immigrazione era di meno e noi più rispet-tati. Adesso bisogna frenare l'immigrazione, arrivano troppi stranieri. AHMED

Per il prossimo numero:“Nuova Milano”, questa la lista civica che Abdel Hamid Shaari, presidente dell'Istituto islamico di viale Jenner,

vorrebbe presentare alle elezioni comunali della prossima primavera. La voteresti?

Scrivi a [email protected]

GINEVRA BATTISTINI

L'artiglio della talpa

Nel 1912 a uno straniero bastava nascere in Italia per essere italiano. Oggi deve

compiere 18 anni e ha solo 12 mesi di tempo per fare richiesta.

Un anno per diventarlo, tutta la vita per pentirsene.

Miguel Angel Luna Bernales, co-conduttore, insieme ad Armando Pace e Luisa Lucato, del programma italo-peruviano “Perù: an-che italiana la musica della costa”, giornalista di 35 anni, in Italia da 10.“Torneremo in onda tutti i giovedì dalle 18.15 alle 19 a partire da metà ottobre . Per me è un’esperienza straordinaria. Ogni volta è un viaggio diverso che mi coinvolge e rilassa completamente. Mi piace moltis-simo - se potessi, vivrei solo di questo - raccontare storie, creare atmosfere, trasportare il pubblico in un mondo magico e antico come il Perù. Oltre ai bra-ni musicali, che variano da quelli andini, creoli, afro-peruviani ma anche latinoamericani, trasmettiamo e spieghiamo gli intrecci che legano la nostra cultura alla vostra: un esempio su tutti Antonio Raimondi, esploratore e naturalista milanese dell’800, che dedicò la sua vita a catalogare piante e animali del Perù e s’impegnò nella realizzazione di impor-tanti infrastrutture come consulente scientifi co. Che dire poi del panettone? A Natale nel mio Paese lo mangiano tutti: dalla costa alle Ande!”.

Perù on air

A CURA DI ALBERTO FORNARI

27 #4Ottobre 2010

Se vuoi segnalarci un artista emergente scrivi a [email protected]

“Un giorno metti la pentola a bollire sul fuoco, e sei in un posto. Quando l’acqua bolle sei già in un altro. Quando la pasta cuoce in un altro ancora, e la mangi chissà dove”. Così la vecchia nonna di Laura Halilovic commenta lo sgombero del campo nomadi in cui si trova. Lei, dal canto suo, ne ha fatto un fi lm: “Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen”, in cui racconta la sua storia e quella dei suoi cari, tra

discriminazioni e vita quotidiana. Woody Allen è il regista che l'ha folgorata fi n da piccola. Lei, da allora, ha coltivato un sogno: fare la regista. Oggi, con questo docu-mentario prodotto con RaiTre, quel sogno è diventato realtà. “Da quando ho fatto questo fi lm molti si interessano a me. Il pericolo è che lo facciano solo perché sono rom, diversa”. Una diversità che le viene additata anche dalla sua comunità “perché non voglio vivere secondo la nostra tradizione e non intendo sposarmi per realiz-zare il mio futuro”. Proprio con queste parole i suoi genitori, nel documentario, la spingono alle nozze: “Sei già vecchia, hai 19 anni”, le dicono. Ma lei ha le spalle larghe. Nata a Torino, Laura ha vissuto nel campo vicino all’aeroporto di Caselle

fi no all’età di 8 anni. Poi la sua famiglia ha ottenuto una casa popolare. Il suo docu-mentario ci fa entrare nel campo, dove la nonna e gli zii ancora vivono, e in casa sua. La vita di una famiglia rom mostrata senza pudori. Una vita come le altre e, come le altre, diversa da tutte.

Laura HalilovicREGISTA

Torino, 1989www.youtube.com/watch?v=K7qe1egTkfs

Kariim El Bezawy ha 15 anni, una passione per l’hip hop e le idee chiare. “La mu-

sica rap dovrebbe occuparsi di più del tema dell’antirazzismo. Purtroppo, però,

la maggior parte dei rapper, una volta famosi, si limita a seguire il mercato”. Lui, nato in Italia da genitori egiziani, ha inciso, con altri due amici, la canzone “Nessun uomo è illegale”. Con perfetto accento milanese ci racconta le diffi coltà di chi emigra in cerca di una vita migliore e non risparmia il suo j’accuse agli ita-liani. “Parlate di democrazia e in più di integrazione/ma c’è lo stesso sentimento la stessa reazione/ di gente che parla di criminali e terroristi/ l’Italia sembra che ormai sia piena di razzisti”. Il pezzo, cantato anche in arabo, è nato dopo un

laboratorio al Corvetto, quartiere di Milano a forte presenza di immigrati. “Io e altri 20 ragazzi - racconta Kariim - abbiamo imparato i rudimenti dell’hip hop: fare i bassi, i big box e registrare. Poi, alla fi ne, abbiamo inciso sei pezzi. Io ho scritto il testo per “Nessun uomo è illegale” e poi l’ho registrato con Nicola Scalo-gna e Davide Barilli”. La canzone si può ascoltare su youtube. Un buon punto di partenza per far sentire la propria voce. Uno stimolo e un invito ai suoi coetanei a fare lo stesso.

Karim El BezawyRAPPER

Mixa Talent

Quando ero uno studente spiantato, mi è capitato di distribuire volantini pubblicitari per guadagnare qualche soldo. Da allora apro sempre il portone ai ragazzi che me lo chiedono. Non è solidarietà, ma immedesimazione.

Immedesimarsi è ciò che fa anche

Claudilèia Lemes Dias nel racconto

“Scioglilingua”, inserito nell’antolo-

gia “Rondini e ronde” edita da Man-

grovie Edizioni, con la prefazione di Jean Léonard Touadi. Claudilèia è nata a Rio Brilhante, in Brasile, e vive in Italia. “Scioglilingua” racconta la storia inventata ma verosimile di Khaled, giovane iraniano “volantinaro” a

Roma. L’autrice sa cosa vuol dire essere stranieri in Italia, sa mettersi nei panni altrui, sa governare la lingua e lo stile. Il suo racconto comincia con una giornata tipo di Khaled alle prese col suo lavoro quotidiano, fi no al momento dell'inci-dente: viene investito da un'auto, resta a terra, perde portafoglio e documenti. Quando si riprende, Khaled non è più

Khaled: è uno sconosciuto, uno stra-

niero da identificare ed espellere. Da questo momento l’autrice non chiama più il protagonista con il suo nome, lo chiama X. Eccolo nel Cie di Ponte Gale-ria. Colpito da quel mondo pieno di do-lore, X scrive un inno in onore dei suoi abitanti, disegna una bandiera e fonda un nuovo idioma con il quale tutti pos-sano esprimersi e capirsi. Dopo 6 mesi di reclusione senza un’identità, X viene eletto “presidente del Paese più piccolo e multietnico del mondo, programmato per disintegrarsi in qualunque momen-to… Attraverso un colpo di penna”. X, tornato Khaled per la burocrazia, viene prelevato dalle guardie per il rimpatrio. Lui, con orgoglio presidenziale, consi-

dera il gesto come un colpo di sta-to. “Scioglilingua” è un racconto suggestivo, che ben rappresenta la condizione di molti giovani im-migrati speranzosi ma vessati, la nostra burocrazia, la loro voglia di rivalsa e, nondimeno, la qualità letteraria dell’antologia edita da Mangrovie. Il libro è composto

da poesie e racconti scritti nella

nostra lingua da autori italiani e

stranieri (sudamericani, asiatici, africani, caucasici), noti e meno noti. E già questa è una bella pro-va di integrazione. È una grande sfi da, quella di Mangrovie, che cerca di mettere in luce il nuovo corso della narrativa italiana. E questo potrebbe essere davvero un piacevole golpe nella nostra lettera-tura. Tenete d’occhio Claudilèia Lemes Dias e tutti gli altri autori, molti di loro faranno strada. I proventi di questo libro sono interamente devoluti al pro-getto “DIRITTIperDIRITTI” e saranno utilizzati per progetti culturali a favore dei migranti.

Autori vari

SCRITTORIMangrovie edizioniRondini e Ronde, 2010www.mangrovie.org

Laura

Halilovic

Il rap

di Kariim

Milano, 1994Nessun uomo è illegalewww.youtube.com/watch?v=IpP9_gqfb dU

Lo scioglilingua delle rondini

CHIARA PIZZIMENTI

1597PRIMA CITAZIONE SUL

CRICKET IN INGHILTERRA IN UN PROCESSO SI PARLA

DEL GIOCO «CRECKETT»

1893FONDAZIONE

DEL GENOA CRICKET AND FOOTBALL CLUB,

PRIMA SOCIETÀ ITALIANA

1900UNICA OLIMPIADE

A INSERIRE IL CRICKET TRA LE SPECIALITÀ

IN PROGRAMMA

CRICKET

Quando si chiede ad Ahmed Sarfraz di spiegare cosa è il cricket e cosa c’è di bello

e utile in questo sport, la risposta parte da lontano, dai colonizzatori britannici in Asia. “È un gioco che permette di tenere in alle-namento tutte le parti del fi sico – dice – uno sport nobile che gli inglesi hanno portato da noi”. Ahmed, pachistano in Italia da

24 anni, è uno degli insegnanti che lo

scorso anno hanno introdotto il cri-

cket in due scuole di Desio, alle porte

di Milano. Una decina di lezioni in 5 classi di due istituti elementari, un esperimento non privo di una coda polemica da parte di chi avrebbe preferito veder insegnata la tradizionale lippa (gioco popolare nato nel XV secolo, peraltro diffuso in tutta Italia e non solo in terra brianzola). Secondo Ahmed un successo: “Mi aspettavano e anche adesso

quando mi incontrano mi salutano. In poche lezioni hanno impa-rato molto e alcuni hanno continuato a giocare con i compa-gni di scuola”.

Un’esperienza che si ripeterà? Ahmed Sarfraz è pronto a ri-mettersi in gioco. “Aspettiamo che arrivi una richiesta, c’è la forte volontà di far conoscere questo sport e insieme la nostra cultura”. La disciplina era sconosciuta ai più fra i ragazzi. “Hanno però imparato in fretta – sostiene Ahmed – e sono diventati bravi. Alcune

ragazze sono andate anche meglio dei

maschi. I campioni si possono trova-

re, ma si deve praticare la disciplina,

apprenderla”. La risposta a chi vorrebbe uno sport più tradizionale insegnato nelle scuole era già nella prime parole di Sarfraz: “Lo hanno portato gli inglesi in Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh. Non è uno sport nostro, è europeo!”.

Desio è solo una delle patrie italiane del cricket. Nei parchi di Bologna si vedo-

no già da almeno una decina di anni

giovani armati di mazza e palla, per lo più immigrati da Pakistan, India e Sri Lanka. Lo stesso accade a Venezia. Spiega il presidente dell’A.S.D. Venezia Cricket Club, Alberto Miggiani: “Il nostro obiettivo è presentare il cricket a un pubblico più ampio

come sport oltre che come tema legato all’immigrazione”. Il lato sportivo e quello sociale insieme fi n dalla nascita del club, nel 2006. Miggiani, architetto, vide i ragazzi che giocavano nel piazzale vicino al suo uffi cio a Marghera e andò a conoscerli. Proprio quei ragazzi del Bangladesh hanno scelto il nome, così italiano, della società.

A uno di loro chiediamo cosa serve

perché il cricket si faccia strada in

Italia. “Prima di tutto i campi dove la

gente ti veda giocare. Pochi sanno che

ci siamo”. È la risposta immediata di Anam Mollik, detto “Moeca”, 20 anni arrivato nel 2006 dal Bangladesh in Italia con il sogno nel cassetto di fare il giocatore professioni-sta. Nei parchi non sempre c’è la possibilità di creare un pitch, una corsia piana di 20 metri per i lanci, e sono arrivate multe a chi giocava nel verde. Anam conferma però una realtà già nota anche al mondo politico italiano: il cricket aiuta l’integrazione. “Avevo già giocato in Bangladesh, qui sono stato convinto dagli amici e mi è servito molto per conoscere persone e integrarmi in Italia”.

Cricket no-stranoUno sport sempre più giocato anche in Italia, grazie ai fi gli degli immigrati da India, Pakistan e Bangladesh

Sono circa 1000 gli atleti tesserati in Italia, ma gli ama-tori, gli sportivi della domenica, sarebbero quasi 20mila. Oltre alla nazionale A, ci sono tutte le squadre juniores compresa l’Under 15, campione d’Europa in divisione B nel 2009. Una vittoria ottenuta da una squadra compo-sta da immigrati (12 ragazzi su 13) e dedicata dal presi-dente federale Simone Gambino a Umberto Bossi perché dimostrava che “gli extracomunitari danno anche lustro all'Italia”. “A livello mondiale – spiega il segretario fe-derale Luca Bruno – per la nazionale maggiore siamo al 27esimo posto su 102 nazioni”. Non male per uno sport che nel nostro Paese non è professionistico. Lombardia, Emilia Romagna e Lazio le regioni in cui si pratica di più, al Sud mancano strutture e organizzazione. Chi gioca in queste squadre? Immigrati, italiani e giovani cittadini che sono italiani sui campi sportivi, non ancora per la legge. “Per la Federazione – dice Bruno – i nati in Italia e chi ha imparato qui lo sport sono equipa-rati, giocano come italiani non come stranieri”. Le leggi non sportive invece sono ancora lontane da questa posizione e capita che molti dei ragazzi impegnati nelle squadre al compimento dei 18 anni di età debbano pre-occuparsi della regolarizzazione. L’importanza di questa disciplina sportiva è però evidente anche per il mondo politico: il cricket è stato preso come sport simbolo per l’integrazione già nel 2007 dal Ministero delle Pari Opportunità.

Quella vittoria dedicata a Bossi

“Lo hanno portato gli inglesi in Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh. Non è uno sport nostro, è europeo!”

28 #4Ottobre 2010

Sport Il 26 novembre 1980 nasce l'Associazione Italiana Cricket

29 #4Ottobre 2010

Contorsioni per uno stipendioLa storia a puntate di Angela, giornalista 30enne, baby sitter e tanto altro ancora. Dal Perù a Milano per iniziare sola una vita nuova.

Mentre cammino penso alle storie da raccontare. Guardo i visi della gente in giro, che - come me - ha un panino tra

le mani per placare la fame e proseguire la giornata di lavoro.

Avere una doppia vita non è per niente facile. In redazione arrivo alle 14, sempre di corsa, per fare la giornalista. Di mattino però lavoro come baby sitter. All’alba sono un’immigrata come tanti, al tramonto do la parola a chi sperimenta sulla propria pelle l’amarezza dell’essere immigrato. “Mi pagano meno di un lavoratore italiano o di un immigrato in regola. Questa è discriminazione e io la vivo”, mi ha detto un giorno un egiziano 50enne che non voleva rivelare il suo nome e nemmeno essere fotografato. Lavorare in nero, vivere nel buio e nella massima incertezza è il pane quotidiano degli immigrati.

Nell’attesa del pullman mi viene in mente Leonor Rodríguez, infermiera peruviana di 60 anni. “Mai avrei pensato di lavorare così, con uno stipendio misero per fare mestieri pesanti che non avevo mai fatto in vita mia”, mi confessò una sera quando - impotente - piangeva amaramente. La ragione?

L’addobbo che puliva scivolò dalle sue mani e cadde sul fi nissimo centrotavola della casa in cui faceva la colf. Chissà quanto era costato quel pezzo di marmo, ora sbeccato. Leonor non sarebbe mai stata in grado di ricomprarlo, neanche lavorando tutta la vita. Almeno non guadagnando 6 euro all'ora per 8 ore a settimana.

Le sue molte preoccupazioni, la mancanza delle fi glie e di suo marito, ma soprattutto la depressio-ne in cui era caduta, l’avevano fatta dimagrire già 7 chili. Per non preoccupare la sorella, che l’aveva aiutata a venire in Italia, Leonor nascondeva le sue malattie. E poi, come poteva aff rontare le spese mediche? Non essendo in regola, il Servizio Sanitario le era precluso. I pochi soldi che incassa-va li spediva a casa, cercando di fi ngere che tutto andava bene.

Le parlai dell’esistenza del Naga, centro d’assi-stenza per gli stranieri irregolari, e convinsi Leonor ad andarci.

Dopo un paio di settimane si riprese, ma conti-nuava a dimagrire. Aspettava solo il momento di tornare a casa e ritrovare i suoi, anche se questo desiderio si scontrava con i progetti di miglioramen-

to personale ed economico, per i quali aveva lasciato il Perù.

Finalmente il pullman che mi avrebbe portata in redazione spuntò in viale Monza, strapieno di pas-seggeri, quasi tutti immigrati frettolosi di arrivare a destinazione. Tra di noi ci riconosciamo, sia per il colore della pelle, sia per il nostro sguardo pesante e carico di aspettative. Come quelle che Leonor custo-diva nel più profondo di sé.

Erano già passati 8 mesi da quando era arrivata in Italia e pur avendo imparato un po’ la lingua non riusciva ad avere un lavoro full time, e nemme-no la possibilità di regolarizzarsi. Anche suo marito si era indebitato per arrivare in Spagna, pensando alla possibilità di riunirsi un domani con la moglie. Sogni spezzati! Leonor non ce la faceva più a vivere in Italia e tornò in Perù. Così ha messo fi ne alle sue peripezie, in un Paese dove non aveva mai trovato l’opportunità di una vita migliore. Compresi che migrare è una scelta fatta da molti.

Ma la tenacia e il coraggio nelle avversità, sono appannaggio di pochi.

ANGELA ROIG PINTOILLUSTRAZIONE FRANCESCA SASSOLI

Le avventure di una giovane peruviana - Episodio 4

Vita Italiana

Carta d'Identità

NOME Angela Roig Pinto

NATA A Arequipa (Perù) l'8/10/1979

SEGNI PARTICOLARIIrrimediabilmente ostinata. Inseguo i miei sogni con testardaggine. Prendo la vita con piacere e mi godo le mie giornate facendo la runner, la giornalista, la commerciale, la baby sitter e, di recente, anche la fi danzata.

Puoi leggere tutti gli episodi su mixamag.it/vita-italiana

Tra di noi ci riconosciamo, sia per il colore della pelle, sia per il nostro sguardo pesante e carico di aspettative

Guarda la videointervista

di Angela su Dimmi chi sei

www.mixamag.it

30 #4Ottobre 2010

RISPONDE: ANDREA D'AMICIS AVVOCATO [email protected]

Caro Khalis,come certamente saprai, la normativa in vigore prevede che il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquisti la cittadinanza quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, o dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale (art. 5, legge 91/1992). Da quanto scrivi hai sicuramente il primo requisito per vedere accolta la tua richiesta. La stessa legge, però, all'art. 6 nega la cittadinanza a chi abbia subito una condanna per un delitto non colposo, per il quale sia prevista una pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione. Effettivamente il reato di ricettazione (art. 648 cod. pen.) rientra nella categoria di questi delitti. L'unica possibilità di superare l’ostacolo è l'ottenimento della riabilitazione, che estingue la pena. La richiesta deve essere rivolta al Tribunale di sorveglianza e può essere concessa quando siano passati almeno tre anni dal giorno in cui la pena sia stata completamente eseguita, ovvero sia stata in altro modo estinta, e a condizione che la persona condannata abbia dato prova effettiva e costante di buona condotta. Per la riabilitazione normalmente è richiesta anche la prova del risarcimento del danno.

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Cara Mixa,sono un cittadino straniero e vivo in Italia da circa 13 anni. Ho sempre avuto il permesso di soggiorno. Sei anni fa ho sposato una ragazza italiana e nel 2008 ho chiesto la cittadinanza. Pochi giorni fa il ministero dell’Interno ha respinto la mia domanda perché nel 2004 sono stato condannato per ricettazione. In eff etti avevo acquistato un motorino, risultato poi rubato. Io non lo sapevo. Cosa posso fare per ottenere lo stesso la cittadinanza?

Khalis

Gentile lettrice,come già saprà, il vigente Testo unico sull'immigrazione non consente di regolarizzare i lavoratori extracomunitari già in Italia in situazione di irregolarità. L'ultima occasione per farlo è stato lo scorso settembre in occasione della L. 102/09 che ha consentito l'emersione dal nero degli stranieri impiegati come colf o badanti. L'unica strada percorribile è attendere la publicazione di un decreto fl ussi - che stabilisce anno per anno le quote di nuovi ingressi per lavoro e che relativamente all'anno in corso non è stato ancora emanato -, grazie al quale lei potrà presentare (ma dovrà essere tempestiva, ne avrà comunque notizia prima dai media) una chiamata nominativa in favore della giovane lavoratrice. Così - se rientrerà nelle quote – la ragazza avrà l'occasione di fare ingresso regolare in Italia con visto per lavoro. Deve comunque sapere che le recenti modifi che al testo unico ad opera del c.d. pacchetto sicurezza hanno inasprito le sanzioni penali per chi impiega manodopera immigrata non in regola. Oggi il nuovo comma 12 dell'art. 22 punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5.000 euro per ogni persona impiegata dal datore di lavoro.

RISPONDE: PAOLO ODDI AVVOCATO ESPERTO IN DIRITTO DELL'[email protected]

Cara Mixa,vorrei far lavorare come baby sitter di mia nipote una ragazza del Salvador che non è più in regola. Lo è stata per anni da minorenne, ma da quando è maggiorenne e il padre ha perso il lavoro anche lei è caduta nell'irregolarità. So che rischio pene severe. Io però non sono la “sfruttatrice”, che vuole abusare di manodopera in nero. Voglio solo aiutare una persona in diffi coltà pagandola esattamente come un'italiana. Cosa posso fare? Luisa

Gentile signora Blanca,un rapporto di lavoro a tempo indeterminato può essere interrotto in diversi modi: per accordo tra le parti, per dimissioni del lavoratore o per licenziamento motivato e comunicato con lettera scritta dal datore di lavoro.Nel suo caso non si è verifi cata alcuna delle ipotesi sopra descritte poiché lei si è regolarmente assentata per tornare nel suo Paese di origine (fruendo di un periodo di aspettativa non retribuita per gravi motivi familiari previsto dall’art. 4 della L. 53/2000) e, al suo rientro, non ha sottoscritto alcun atto di risoluzione del rapporto, non ha ricevuto alcuna lettera di licenziamento e tanto meno ha consegnato le sue dimissioni. Di conseguenza il suo rapporto di lavoro è ancora in essere. Questo signifi ca che attraverso l’invio di una lettera lei può richiedere al suo datore di lavoro di essere riammessa in servizio con il regolare pagamento delle sue retribuzioni. Nella sua situazione le consiglio comunque di non consegnare le dimissioni poiché perderebbe il diritto al sussidio di disoccupazione, cosa che invece le spetterebbe in caso di licenziamento; dalla consegna della lettera di licenziamento ha 68 giorni per richiedere all’INPS il sussidio e 60 giorni per impugnare la decisione del suo datore di lavoro.

RISPONDE: FEDERICA ZIRONI AVVOCATO DEL [email protected]

Cara Mixa,sono peruviana, ho un regolare permesso di soggiorno e lavoro in Italia da diversi anni per una società di pulizie. Sono dovuta tornare in Perù per assistere per due mesi mia madre gravemente malata e, quindi, ho chiesto un periodo di aspettativa. Al mio rientro mi è stato detto che il mio lavoro era terminato. Mi avevano licenziata. Poi mi è stato chiesto di consegnare una lettera di dimissioni. Vorrei sapere come comportarmi.

Blanca

I N DI R I Z Z I U T I L I A M I L A NO

Uffi cio stranieri CGILCamera del Lavoro Corso Porta Vittoria, 4302.55025253/4

[email protected]

Per informazioni e appuntamento: dal LUNEDI al VENERDI dalle 9.30 alle 12.30presso lo “Sportello Informativo”Maurizio Crippa tel. 02.55025254

[email protected]

Rossella [email protected]

www.cgil.milano.it

Sai, Servizio Accoglienza Immigrati

Assistenza legale e orientamento per la ricerca lavoro per immigrati gestito dalla Caritas. Via Galvani, 16tel. 02.67380261- fax 02.67382230

[email protected]

Nefi da

Sportello di consulenza legale e orientamento.Si occupa soprattutto delle tematiche relative ai ricongiungimenti familiari.Via Barona ang. via Boffalora, tel. 02.89155293

[email protected]

CESIL-ANOLF della CISL

Centro di solidarietà internazionale lavoratoriRapporti con la Questura, ospedali e centri di prima accoglienza, servizi sociali per i minoriVia Benedetto Marcello, 10 tel. 02.20408142 - fax 02.2049754

[email protected] - [email protected]

www.anolf.it

NAGA

Assistenza SanitariaPiazza S. Fedele, 4 - tel. 02.863521Via Zamenhof 7/a - tel. 02.58102599

[email protected]

UIL

Centro operativo servizi assistenza per gli stranieri. Via Campanini, 7fax 02.671103450 cell 338.5805619www.uilmilanolombardia.it

API COLF

Si occupa soprattutto di consulenza a colf e badanti.Via IV Novembre, 6 tel. 02.67490135www.apicolf.it- www.naga.it

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A CURA DI NATALIA ZAKHAROVA

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Sono nata a Milano, il 1° luglio del 1981, da una famiglia di origini egiziane. Porto il velo come reazione all'utilizzo del corpo della donna in Occidente

ISTRUZIONELaurea in Scienze

politiche, specialistica in relazioni

internazionali e in scienze cognitive

HOBBYVolontariato, lettura, sport

NON MI PIACE DELL'ITALIA

La gente spesso è ipocrita e ha molti

pregiudizi

RELIGIONEMusulmana

LINGUEItaliano, arabo, tedesco, cinese

LAVOROImpiegata in

banca

IL MIO PAESE IDEALE

La Spagna, perché concilia la mia

identità occidentale con quella araba

PORTAFORTUNAIl Corano

MI PIACEDELL'ITALIA

Mi manca quando sono

all'estero

Rasha El Nakoury

TELEVISIONENon la guardo molto, la trovo

monotona

GIORNALITutti.

Repubblica, Il Giorno, Il Giornale...

CARATTEREAggressiva,

impulsiva, ma anche tenera

Dimmi chi sei

DIRET TORE RESPONSABILEGinevra Battistini

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VICEDIRET TOREFrancesco Bianco

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HANNO COLLABORATOTonia Cartolano, Alberto Fornari, Sara

Milanese, Livia Parisi, Chiara Pizzimenti,

Stefania Prandi, Angela Roig Pinto,

Chiara Semenzato, Luigi Serenelli, Marco

Todarello, Elisabetta Tramonto, Simona

Volta, Natalia Zakharova, Federica Zoja,

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PROGET TO GRAFICO Zetalab Srl, Milano

ART DIRECTOR Lucio LuZo Lazzara

IMPAGINAZIONE Veronica Grigolo

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SI RINGRAZIANO Miguel Angel Luna Bernales,

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IN COPERTINA Kariim, Pavit e Ilaria al parco di

Largo Marinai d'Italia a Milano

Registrazione n° 21 presso il Tribunale di Milano in data 18 gennaio 2010 - © Copyright Cartacanta 2010 - tutti i diritti riservati

MOTTO DI RIFERIMENTO

“Noi rivoluzionari siamo romantici, ma lo siamo in modo diverso. Siamo

disposti a dare la vita per quello in cui crediamo”.

Ernesto Che Guevara

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