freddo

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esperienza del -- il freddo e il caldo del contemporaneo, da Baudrillard a ricettari di pozioni

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f reddoesperienza del —

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Davide Vizzini

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milano 2004

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Il freddo altrove 4elettronica da concerto 6luoghinòn 8freddo del parco 8freddo da passeggio 10della città fredda 12

sabato freddo/Feltrinelli 14

Freddo simulato 20

il customizing universale 22custom, clima portatile 22le spie e la realtà fredda 22prepararsi per l'inverno, fare legna 22freddo per bambini 26

sereo eoi limbte 28

Freddo Technics 30

spazi lisci - kunstwollen 32kunstwollen del complesso 32la potenza degli oggetti 34processing. Il rito, grazia del — 34Mbuti e Kuba 37

Seduzione calda 68

ragazze divorate 70turbamenti 72amore sulla lavatrice 72le ninfe di Sen Jing 74

Rabbia calda 76Parola calda 78

il sonno non viene, insonne 80senso nel nonsenso 80gli inabbinabili 80sereo eoi limbte 82

Il freddo e il nulla 84

freddo dell’assenza 86il freddo nell’assenza (5:01 a.m.) 86il freddo e la morte 88

Scuse di non chiarezza 90

Gli spazi della mente sono freddi? 40

lampade al neon 42freddo del benessere 44freddo della matematica? 44tre pricipii della termodinamica 44

Freddofreddo 46

freddezza 48metodo dvdv per distruggere le persone 48il freddo e il coraggio 50freddo della dimenticanza. anonimato, San Martino 50

cedimento 52rassegnazione al caldo 52

Seduzione fredda 54

resemel noibidung 56

nella rete, freddokalt 56

parole e scatole 58

prepararsi per l'inverno, fare legna 62

pavashow 64

Bread Resaerch Industry 66

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Il freddo non ci fa più paura e la luce fredda non è più tale. Il freddo

non esiste più e io lo cerco con pervi-cacia. Tutte le etichette: «freddo», sono mendaci; l’ho capito da un pezzo e il gelo devo andarlo a cercare chissà dove. Il freddo dei sotterranei del Metro non gela più nessuno, è il tinello di casa mia e il focolare. I corridoi dell’Unes di via Porpora o dell’Iper di Brugherio hanno un enorme cartello sulla porta: freddo. Ma l’insegna fredda ha le ragnatele, l’hanno etichettata chissà quando e nes-suno si è accorto che tutto è cambiato e chi lo nega mente da spudorato. O solo da pigro. I grossi frigoriferi riscaldano le mani gelatine da venticelli provenienti da altrove. E io sono col sensore termo-fotonico a lanternino a seguire i percorsi di quegli eff luvi gelati per scoprirne la sorgente. La mia televisiòn (come dice Paolo Conte) non raffredda, certo, né le luci al neon dei bar né i palazzoni di cemento intonacati a cementizia, tanto-meno i Big Mac. Basta fare un viaggio in treno per scoprirlo che il paesaggio che ci è caro, l’Italia bella, è tutta di villette e palazzotti detti freddi, giusto, sì proprio detti, solo a parole. Poi chi li compra e li abita, del proprio dice me-raviglie riscaldanti e non mente, ha tutte le ragioni.

Eppure di freddo ce n’è in giro, lo sentia-mo tutti ben bene. Da dove proverrà?

Dagli accoglienti e calducci (sempre a leg-ger l’etichetta) localini col vino in calice a 4 euro? O nelle bugie di intelletti spenti che ripetono dai soliti copioni (soliti perché ho già scritto delle gracole gozzute). Insomma, mi viene in mente solo che il freddo è dentro gli animi etichettati: «rovente». E nessuno si accorge che l’etichetta ha perso verità.

Nonon viene certo dall’advertising nè dal merchandising. Quello, se gli

strappiamo l’etichetta è caldo e quotidiano come una pantofola rintanata sotto al letto,

Il freddo altrove.

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fotografata in digitale, manco a dirlo. Ma non mi fermo qui, non posso concludere a dire che il freddo è tutto negli animi. Non lo faccio e me ne riguardo. Continua.

Davanti ad un enorme amplificatore da concerto mi sono fatto avanti al cami-

netto a suonargli vicino alla griglia. Io suo-navo e mi sono scaldato a vibrazioni tonde di coni di cellulosa e resina e lana di vetro. E poi, coccolo, io un po’ scaldavo lui, un parallelepipedo nero alto un metro e mez-zo su piccole ruote di gomma densa con so-pra un preamplificatore con gli spigoli rin-forzati d’alluminio. Era uno scambio forse,

anche se sbilanciato, non dico in che direzione. Il fatto è che suonare, chiuso gli occhi, specialmente il basso elettrico ti costruisce govoni nella mente e ringrazi quelle facoltà ataviche che hanno inventato – della specie dei colori puri e le loro combinazioni – l’ac-cordatura e i suoi rapporti matematici di prima dell’evoluzione, anzi, fuori dall’evoluzio-ne. Certo, mi sbalordisce questa scoperta dei suoni densi (potrei dire simile del colore) e visto che per me sono piovuti dal cielo, sono nato e già qualcuno aveva sintetizzato il giusto spessore della corda e la sua esatta tensione relativa, mi urlo da solo di stupore. Mi urlo da solo perché qui intorno non importa a nessuno, non so dire, nessuno se ne accorge che bisognerebbe puntargli il dito sopra per tutto il tempo. Per strada uno dovrebbe dire a tutti che incontra: hai visto che hanno fatto le corde del basso e anche quelle del violino? E che hanno codificato la scala eptatonica e la sua armonizzazione? Hai visto? Un chilo di pane. Synt 2000. Forse è solo qui il punto nucleo sul freddo: che il nocciolo rovente è questo mistero atavico di parti dure, vecchie, del cervello; io lo sento che viene da lì, quasi lo vedo. Mi mistero. Mi mistero. Non posso dire più che tremando il sottovoce.

Elettronica da concerto

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La descrizione è questa: il mio sangue in uno specchio d’aeroporto tamponato dal naso con gli asciugamano di carta strappati a ripetizione. La permanenza nello

specchio e il mio nome amplificato nella diffusione sonora: «il signor dv in partenza per (1) è atteso con urgenza al cancello d’imbarco numero sei». La permanenza nello specchio a tutto al Neon del bagno col mio sangue rosso a 37° e la paura in chi mi s’avvicendava accan-to a vedere sangue sulle superfici fredde del veroluogo aeroportuale mi fanno capire che la luce a 7000° Kelvin non è così gelida come si pensa. Vedo che la mia presenza al sangue rosso colonizza il nonluogo e lo rivela luogo. A dire in breve: basta insanguinare un lavan-dino di gelo e quel posto si umanizza; toccare il raggio infrarosso della valvola d’acqua non dà più ribrezzo e lo sguardo focheggia sulle persone in modo familiare con consapevolezza d’umana superiorità. D’un tratto ho una visione: la donna che custodisce l’igiene di questo posto, la parol-crociatomane, evaduemila del duemilatre che guarnisce l’ingresso del ba-gno delle signore, a lei è accaduto quello che a me ha fatto il sangue dal naso all’imbarco, lei delle elucubrazioni di Marc Augé non saprebbe proprio dire bene, il suo aeroporto, e

ora il mio, è un luogo bell’e buono, altroché, con il suo caldo a 37° peculiare e la storia di animali a sangue caldo che vi s’intricano. Questo è il meno, ancora una volta, l’etichet-ta ‘freddo’ è solo la distrazione consumata del posto vissuto in milioni, non è certo qui l’inverno. Ancora non afferro, forse c’è solo da contrarre un tanto il cristallino, e la reti-na col nervo ottico tutto e il cervello ad essa appeso avrà un sussulto a scoprirsi immer-sa in un mondo a contrasto tirato.

Dove va tutto il mio calore? Forse è bi-lanciato col gelo del Parco Sempione

LuoghinònFreddo del parco

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con M. che è grigio nei vialetti che pare ghiaccio. Dico, «calore disperso fuori da me e bilanciato dal gelo autunnale del parco» sta tutto sotto una logica mia: il calore che disperde da me per le giravolte acrobatiche che compio per tutto il giorno in questa città impolverata è bilanciato dal calore del gelo. Io il gelo lo intendo riscaldante dei pensieri, parlando secondo la convenzione di freddo/freddo, caldo/buono. E così, ora, stremato dalla fatica di un commesso viaggiatore mi sento le orecchie fredde dal fuori e questo mi rinfranca e mi pulisce il respiro. Ora non voglio indugiare su pennellate paesaggisti-che ma io il cielo freddo di novembre ho capito di amarlo nella sua tristezza. E già lo so che c’è un domino di associazioni su quell’espressione: amarlo nella tristezza. Io non me ne curo, mi sforzo solo di dire che va presa alla lettera; si sforzi chi legge (non lo dico più, prometto a me stesso). Lo amo cancellando che tristezza/male, freddo/triste. E muoia Sansone!

Il rompighiaccio naviga nella folla infe-rocita e ci si apre un varco stando da

soli. Non ho per niente freddo, indosso due maglioni caldi e questo cappotto di feltro

pesante. Non c’è freddo forse. Non ce n’è di freddo qui. Ma a cercarmi gli angoli lonta-ni nei vicoli che loro dimenticano sono un rompighiaccio. Questa è la sensazione net-ta. Nel mare dell’Alaska o della Siberia.

Si vedono tante cose nella folla. Per esempio come si sfida la bruttezza

della vecchiaia e ci si abbandona ed addor-menta sulle spalle in anni. E che cos’è una cortina di corpi che aspettano di mangiare? E cos’è aggirarsi per un paio d’ore nella sta-zione senza dover partire? Cos’è cammino e ore e guardare solo i propri passi e le scarpe

Freddo da passeggio

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del mondo in moto. Fra oceani di pensi e pensi drogati di deriva. E pensare a questo freddo ma sapere di cercarlo al posto sba-gliato fuori dai maglioni?

Cattivi pensieri e due metri di steel tape 13mm widht, polvere sotto le scarpe e

IKEA (prezzi validi fino al 29 agosto 2004). Spiluccando per le strade scopro che i mo-stri aiutano a spaventare le idee e a stanarle. Le nebbione coi palazzacci da quattro soldi sorgono apposta per fare il nulla tutto intor-no e far venire voglia di abbracciarsi a tutto con le proprie trovate. Non sono il primo a pensare che gli ambienti ostili sono comodi

per i pensieri. Tormentati, sì, ma carichi di produzioni concrete. Come nel sonno: quanto più la realtà si oscura oltre le palpebre, tanto più rigurgito creazioni oniriche. Se la pia-nura è monotona - e questa lo è, è spoglia e monotona - sul praticello stupidotto sorgono cattedrali di invenzioni. Questo succedeva forse fino a dieci anni fa qui. Ora la città vive di presunzione e non combina nulla di buono. La portinaia Maria mi è sbucata da dietro le spalle mentre chiudevo la porta, piccoletta mi ha sorriso da sotto l’ascella. Il basilico è vivo sa? Il basilico è vivo? Non l’avevo condannato prima di partire? Gliel’ho messo la fuori nel ballatoio del pozzo. E io lo vedevo già il ciuffetto verde dietro al vetro sabbiato. Grazie e il vaso rosa è già al suo posto in cucina nel balcone, pronto e ben disposto a insaporirmi la pasta e l’insalata. Ora gli do un po’ d’acqua al basilico e mi faccio ringraziare con un alituccio profumato. Che ci siamo detti io e Maria per un paio di minuti, sul basilico? Ah credevo fosse morto. Non gliel’ha detto il suo coinquilino. Grazie! Che bello. Giorgy Ligeti, Mozzarella Santa Lucia, Thomson dvd.

Della città fredda

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Un mio paziente mi racconta questi fatti nella sua e-mail settimanale.

È quasi sempre lo stesso racconto; è os-sessionato dal quotidiano sovrapporsi di messaggi. «Dottore», mi scrive, «si appunti questa definizione: società dell’ipermes-saggio, ne sentirà parlare».

«L’ora è giusta, i due giorni passati si sono addensati e posso scremarli. Parlerò con chiarezza perché emerga limpidamente l’intrico dei fatti sovrapposti. Un uomo con un giubbotto color ghiaccio registra di straforo il concerto di un comico/cantante nella grande Feltrinelli di Piazza Piemonte.

Io, dietro di lui, annoto su un quaderno nero costosissimo i titoli dei dischi che mi piac-ciono per spremerli poi dalla fibra ottica. Il giubbotto di quel tale è segnato di nero da una borsa portata a tracolla con la fibbia appiccicata di forfora. La borsa dev’essere in quella posizione da anni. Cosa porta con se un uomo che vive sulle strade? Che cosa è essenziale? Una borsa, un giubbotto segna-to e un registratore portatile per carpire un concerto. Il mio bombardamento sensoriale è intensissimo, sopporto livelli elevati di in-terpretazione di metalinguaggi. Il mio tem-po è premuto dall’ascolto e dall’immediato giudizio e catalogazione di spezzoni musi-cali ingurgitati a raffica davanti al lettore ottico e dall’interpretazione di messaggi grafici provenienti dalle copertine dei CD, dalle insegne, dalle indicazioni sugli scaffa-li, dai numeri di piano dell’ascensore, dalle vetrofanie delle carte di credito. Il sabato sera di questa città è una fruizione simul-tanea di messaggi programmati dall’ufficio marketing Feltrinelli filtrati dalle sensibili-tà personali eccitate dalla natura culturale dei contenuti messi in vendita, il segreto sta nell’accettarlo senza remore. Dottore, sono

assediato dall’irresistibile tensione delle

Sabato freddo/Feltrinelli

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persone verso il cambiamento dei propri stili di vita e dal loro parallelo strattonare no-

stalgico nel rimpianto di idealizzati passati gloriosi. Quello che intendo, Dottore, è che

se da un lato questa folla gode e si bea dello shopping e della fruizione caotica della

città speculativa – scenario ideale per le nostre vite, modellata a nostra immagine

– dall’altro ripudia tutto questo nel disprezzo del contemporaneo e si chiude in una

miopia improduttiva. I palazzoni dell’edilizia metropolitana si ricoprono di una tra-

sparenza di disprezzo e il paesaggio percepito si riduce ad immagine solo punteggia-

ta da quello che si ammette passi dal setaccio idealizzante. Ho visto nella felicità da

shopping e nell’abitudine ad interpretare messaggi posti su più livelli, quello che

la folla opera su di sè, uno sdoppiamento: da un lato costruisce l’habitat adeguato

al suo modo di vivere e dall’altro disprezza il suo stesso operato; si disprezza. Solo

se riuscirò a spalancare gli occhi e a rendere opache le vernici trasparenti spalma-

te su tutto saprò dare uno spintone alla storia che pare inceppata.

Quell’uomo con la barba e i capelli lunghi aggrovigliati registra il concerto senza

trasporto, come fosse un dovere. Io capisco il perché: per lui, non c’è più il piacere della condivisione collettiva di un fatto vissuto, lui godrà della musica da solo nel suo rifu-gio, e riderà in differita. Uscito dalla grande libreria, entro in un vagone del Metro e mi rendo conto di quanto la mia attenzione si narcotizzi lì dentro (vede Dottore? anch’io, mio malgrado, non so evitare di dipingere questo paesaggio metropolitano tratteg-giando sfumature negative), mi risveglio quando realizzo che la sosta alla fermata

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Pagano rompe il ritmo consueto. Proprio nel mio vagone, davanti a me, qual-cuno è uscito azionando l’apertura d’emergenza. Non sono stato il solo a sob-balzare quando il macchinista con la chiave a stella in mano si è diretto verso l’azionamento manuale chiusura porte. L’affastellarsi di messaggi pubblicitari, di pericolo, di indicazione mi ha dato la capacità di rinchiudermi e ritagliarmi uno spazio privato. Chiunque in questa città è perfettamente capace di operare questo gesto interiore. La martellata finale sull’accozzaglia mediale compressa dell’intera serata l’ha dato il sobbalzare del tempo quando, saltando sui gradini a due a due verso la mia bicicletta legata ad un lampione mi accorgo che piove forte. L’aria era mite fuori dalle librerie lontane da qui, l’acqua sui capelli ha affermato forte la demolizione delle distanze e del tempo, la coesistenza fuori dalla cronologia dell’esperienza di vita. Il percorso fra la stazione del metro e casa mia mi ha del tutto inzuppato. In principio ho provato a ripararmi sotto i cornicioni ma ad ogni attraversamento di strada mi bagnavo sempre più fondo

e così ho del tutto rinunciato ad evita-re l’acqua, postcontemporaneo Ginger Rogers, e le braccia e le mani e il ma-nubrio cromato della bicicletta erano come dentro la doccia di casa mia. Forse solo in lì la mia vita ha ripreso il suo tranquillo beneamato sviluppo monolineare.

Mi scusi Dottore, la prego, le prometto

che non scriverò più di queste cose e in

questo modo, le chiedo perdono. Di cuore.

Suo affezionatissimo»

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Freddo simulato

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Il clima si fa immateriale, fantoccio di altre tempeste efferate e, con esso,

l’ambiente ed è così che si inventa il clima portatile. Andiamo a passeggio portando intorno le nostre esistenze e le nostre at-mosfere. Su gigabytes di iPods portiamo con noi l’esistenza fino ad oggi. Lo slogan del Windows Portable Media Center: Every song you’ve ever hummed. Every TV show you’ve ever quoted. Every movie you’ve ever loved. Every photo you’ve ever taken. La propria atmosfera si distacca dalle nuvo-le e dal cielo, in verità si disancora da luogo qualsiasi e ambiente naturale, ed è forse per questo che mi devo inventare un clima in cui venga contemplata l’assenza di tempera-tura perché è nell’assenza di sito. È freddo o caldo tutto questo se non ci sono più i fronti di pressione alta o bassa localizzata (che ormai servono a tutt’altro)? L’ambivalenza perseguita anche il clima portatile.

Forse, il discorso, ossessivamente reite-rato dai media, sul clima è un surroga-

to. Perché se nel clima, l’incontro dei fronti pressori è davvero analogo allo scontro del-le falangi militari (2), nell’uccisione invelata delle sfide reali, la descrizione insistita sui telegiornali di amabili tempeste di neve o

nostalgiche torride siccità inaspettate è l’ef-figie morente sufficiente a rimpiazzare gli scontri reali tra i caldi e i freddi. La sfida freddo/caldo del tempo atmosfe-rico non può che essere il più naturale rifugio per la realtà di sfide dissimulate del ludico di massa.

In una palla di fuoco, il re è nudo. Sapevo che stavo assistendo alla mia

epoca quella sera sui due grattaceli. Ora so che ho assistito al disvelamento istantaneo della simulazione ipnotica. D’un tratto quel rigurgito di fuoco ha divelto i blindi sul vero non simulato e tanto era occultato il vero-

Il customizing universaleCustom, clima portatileLe spie e la realtà freddaPrepararsi per l’inverno,fare legna

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freddo che quel d’un tratto è ancora in moto, lungo due anni, fin qui. In un giorno si è ria-perta la sfida all’ultimo sangue, il duello cal-do che nella trance impaurita non avevamo temuto di cancellare e, quel giorno, il freddo ha verdeggiato del suo valore non simulato. È ripresa la processione piratesca di batta-glie, di gioco alto con la morte in sfida che ora sappiamo vecchia, odiata, compagna ritrovata. Quell’esplosione, nella sua per-fezione, è stata forte da farsi sentire sin da sotto le coltri di feltro e rimetterci addosso l’angoscia dell’esistenza in vita. Il sentimen-to della morte si mette a fianco dello stordi-mento collettivo e io mi guardo intorno nel morire possibile, forse sono sveglio. Non ne sono certo ancora; do segni di vitalità?

La simulazione fredda prosegue, per la sua difesa efferata, nell’occultamento anesteti-co ossessivo ma il brulichio di spie in trama sanguinosa che si scoprono a far scor-

tare i Londra-Washington da piloti da caccia tradisce la verità in doppio strato. Un aereo precipitato a Sharm El Sheikh, e basta il dubbio che l’abbia divelto dai cieli un missile da guerra piuttosto che un’avaria, perché cos’altro può sbriciolarne a quel modo la fusoliera? Basta il dubbio a svelare che esiste il dominio delle sfide duali ed è nel regno segreto delle talpe, degli infiltrati a spiarsi. Il lavorio di agenti segreti emerge di tanto in tanto sulla su-perficie delle piste aeroportuali, le spie scavano cunicoli da talpa, sono costrette a svuotare il regno simulato e, in quel vuoto, a restituire senso ad un’altra realtà, quella dell’agone per la sopravvivenza ridotto finora a scudo impotente.

Dal vuoto scavato, nulla (nulla freddo per la precisione) e da lì il tutto in potenza del ve-rovero (cfr. Il freddo e il nulla) freddo/nulla/tutto. La noia mi impedisce di spiegare.

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La simulazione fredda prosegue, per la sua difesa efferata: Non esiste certo la volontà autocoscente del verofreddo per il fatto semplice che «Nessun gioca-

tore è più grande del gioco stesso» (Rollerball citato in Baudrillard). L’impressione a guardare strabilia di rosso ma l’incastro è dei microcosmi che concorrono alla co-struzione del gioco regolato nel suo complesso.

C’è un bambino astronauta ben ancorato al suo abitacolo che fa rotta verso il su-permercato. Superato il controllo radioattività dei portelloni d’ingresso, dà uno

sguardo concentrato al radar sulla plancia mentre parla con la nave madre attraverso il trasmettitore integrato nelle scarpette antigravità. La navigazione procede senza scossoni ma il livello d’attenzione rimane costantemente su DEFCON 2. Distratto dal controllo de-gli asteroidi stampati sul pavimento il comandante bunny non si accorge di essere troppo vicino al quadrante forme di vita aliene ibernate e all’improvviso viene investito da un banco di vapore siderale. I sensori non fanno in tempo a tararsi per la nuova temperatura

e la spia d’emergenza sulla punta del naso si accende. Il capitano è attonito, è tremante dal freddo ma non può impedire che la nave madre si tuffi nel fumo per afferrare una dose di microsferette verdi nutrienti pisel-lini primavera e poi, e poi, un imprevisto, la nave madre indugia, scansiona l’archivio ibernati lasciando uscire abbondante il geli-do effluvio. Il comandante bunny ha ormai deciso di usare l’espulsione d’emergenza del seggiolino, si aggrappa alla cintura di sicu-rezza, ha già tentato più volte di schiacciare il pulsante di sgancio quando si accorge che con un tonfo del portello luminoso il vapore

freddo per bambini

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spaziale è stato ricacciato su un’altra dimensione grazie ad una manovra della nave madre. Il comandante bunny si afferra la spia sul nasino che ora si è spenta e preso da un’improvvisa euforia si sporge tutto all’indietro per cercare il contatto visivo con l’ammiraglia e suona la sirena dei festeggiamenti. La nave madre guarda il ca-pitano che con tutti e due i trasmettitori in mano le vuole dire che in fondo è stato divertente, il pericolo è il mio mestiere, per stavolta l’abbiamo scampata e adesso via verso gli spazi infiniti dell’universo finito.

Resemel noibidung olifar mosere ta goi samara goriovil ac eidomai sono vividi fres guil giovinem, turbinium desire asfigole, noi sert tui opopa iolo terese de-

rem carm tuturizin dezerti demo scifer scolom fiul gerem nono term nop teren deve fe ac mono nocte sel sel sel. Deree seren motereu dagioga lorte semente zappa sereo eoi limbte devere di un fertogi ac dezerti opop feren liop defretuui Ou Ou non.

Sereo eoi limbte rio solon fregifis aloregon sie poetre retuimon fregele defrenen-do sottepo fior, colosto fes dezerti sposi remenghi loti zanfion zanfiol. Fescimoli

trew fredondi iol potyu, fescoltamen iopo golo ollo. Zak iotescomai ilò? Dao termini poi torvagi germinuta lagosta pio ere fes limbte fregifis. Alse opolomo riutim tiofermi fio to casim, torvagi lu-glio lagosta pio fredondi iomen ac spo-sen ac lumen. Uitimon sed fioriolimbi fescoter uiter man, gerioli degi sedretiu nioly mao lermenio nuiomar guiterlin sereteriu ul olak jio zezetiuop poi to sere ac potirli cemino ferde, iopolo sede. Iol pio.Uitimon sed fioriolimbi fescoter ui-ter man, gerioli degi sedretiu nioly mao lermenio nuiomar guiterlin sereteriu ul olak jio zezetiuop poi to sere ac potirli cemino ferde, iopolo sede. Iol pio.

Sereo eoi limbte

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Freddo Technics

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Ci si mettono d’impegno a fare il fred-do. Macchinico è freddo; dissonante

è freddo; contrasto dolce/aspro è freddo; incontrollabile è freddo; ossessivo è freddo (e il suo contrasto associato: ossessivo/modulato). E poi, è freddo il kunstwollen dell’attesa che il brano si svolga come il pa-staio aspetta la lievitata, di quando non è il DJ che suona ma il suo Technics, la sua te-chnics, kunst, techné, Technics Electronics. E se un bip lungo si srotola tutt’attorno e sale sale e sale di frequenza ad allarme sotto un pianoforte dissonante, pare freddo, è eti-chettato: «freddo». Lo dicono tutti e tutti si angosciano. Ma quanto è dolce quell’ango-scia. Rivolto nel dire che mi sono, ci siamo stufati di essere creatori (poeti) e vogliamo lasciare che l’arte, Technics, ci si svolga nelle orecchie? E questa la rivolta intellet-tuale? Certo è un vero sollievo prendere a fare gli spremitori di feltro nella steppa e modulare geometrie come dice oggi D.G(3). Dunque, fare l’artigiano col suo kunstwol-len non è freddo ma nasce dal freddo e pro-duce caldo. È così per i DJ e la loro Technics Electronics ed è così per le pressatrici di feltro da steppa. E poi, si rivela questo: che nonostante tutto questo freddo, freddo,

freddo, (musica fredda, steppe fredde), il cuore mi batte di emozione ai primi stridii. Allora, dev’essere così, il mito del freddo fe-roce proviene dai tempi in cui ci era terribil-mente ostile (e i distratti non se ne accorgo-no!) ora il freddo non lo temiamo e il freddo è grande e aspro più della primavera.

Detto questo posso passare a dire del-l’oggi e che voglio prendere a costruire

cose complesse come fa un operaio. Gli strumenti me li sto raccogliendo, letteral-mente, per strada nelle facce e nei costumi. Li ho strappati a forza a tutti i passanti. Con

Spazi lisci - kunstwollenKunstwollen del complesso

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Freddo Technics

freddo, esperienza del —

la semplicità banale mi si produrranno sotto le mani complicati torrioni in bili-co sul cadere, prueggianti verso il.

C’è un divano che emana un alone di ancestrale calore. Mentre lo

spostiamo per la casa, dal soggiorno alla camera da letto, questo si porta appresso una vibrazione inpercepibile che si addensa di calore non appena lo appoggiamo alla parete sotto il viso enorme alto un metro e cinquanta della mia amante giapponese. Il divano ha una forma – come la sedia – fra le più possenti e di espressività icastica, P. avrebbe detto iperuranica. L’associazione

seduta/spalliera è un universo impresso nelle teste ed è così: che pur non volendo, la luce della camera da letto diventa calda e come del soggiorno archetipo e, seduti, il letto quasi si assimila a pari del divano in un doloroso morphing accennato ossessivamente e reiterato. Io ho provato a strattonare, ad evitare la definizione di luce calda quale spia di soggiorno accogliente. Ho voluto tentare ma ho capito che nel mondo delle idee archetipiche il calore ha un preciso valore contro cui è inutile lottare. Ho capito che solo il freddo sta migrando dal suo posto fra i banditi ad accoccolato sui divani, qui accanto a me.

Il rito regna e si insinua, bandito, nella forma razionale e ne impregna il segno tramutandosi in fatto. Il rito si investe dello stesso potere della regola e ne pos-

siede il carattere iniziatico. Le religioni millenarie sono il più grandioso monumento concepito dall’emisfero parallelo all’illuminista. Mentre si levigava il logocentrismo, campeggiava splendente la macchina poderosa della religione. Mirabilmente confor-mata, coi parati e i baldacchi, a misura perfetta del simbolico ancestrale.

La potenza degli oggettiProcessing(4), ovvero Il rito, grazia del —

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01 0203 04

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Freddo Technics

freddo, esperienza del —

Nel fascino del Code is law (5) l’ossi-moro del rito razionale. Il mistero

della norma condizionante disposta in creativa a generare idee seducenti.

01// Reading// by REAS <http://www.groupc.net>// Modified/processed by Davide Vizzini// An image is recreated from its individual component colors. // The many colors of the image are created through modu-lating the // red, green, and blue values. This is an exageration of an LCD display.// created 27 October 2002// modified by Davide Vizzini on 02/11/2004size(800, 800);noStroke();// Load an image from the data directoryBImage c;c = loadImage(«cait.jpg»);image(c, 0, 0);int xoff = 0;int yoff = 0;int p = 8;int pix = p*3;for(int i=0; i<c.width*c.height; i++) { int here = c.pixels[i]; fill(red(here), 0, 0); rect(xoff, yoff, p, pix); fill(0, green(here), 0); rect(xoff+p, yoff, p, pix); fill(0, 0, blue(here)); rect(xoff+p*14, yoff, p, pix); xoff+=pix; if(xoff >= width-pix) { xoff = 0; yoff += pix; }

}

02// Reading// by REAS <http://www.groupc.net>// Modified/processed by Davide Vizzini on 02/11/2004// An image is recreated from its individual component colors.// The many colors of the image are created through modu-lating the // red, green, and blue values. This is an exageration of an LCD display.// Created 27 October 2002// modified by Davide Vizzini on 02/11/2004size(800, 800);noStroke();// Load an image from the data directoryBImage c;c = loadImage(«cait.jpg»);image(c, 0, 0);int xoff = 0;int yoff = 0;int p = 8;int pix = p*2;for(int i=0; i<c.width*c.height; i++) { int here = c.pixels[i]; fill(red(here), 0, 0); rect(xoff, yoff, p, pix); fill(0, green(here), 0); rect(xoff+p, yoff, p, pix); fill(0, 0, blue(here)); rect(xoff+p*14, yoff, p, pix); xoff+=pix; if(xoff >= width-pix) { xoff = 0; yoff += pix; }}

Processing 01 (4)Processing 02

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Freddo Technics

freddo, esperienza del —

03// Creating (Homage to Albers)// by REAS <http://www.groupc.net>// Creating variables for colors that may be referred to // in the program by their name, rather than a number.// Created 09 December 2002// Modified/processed by Davide Vizzini on 02/11/2004size(800, 800);noStroke();color inside = color(204, 500, 0);color middle = color(204, 153, 0);color outside = color(153, 51, 0);// These statements are equivalent to the statements above.// Programmers may use the format they prefer.//color inside = #CC6600;//color middle = #CC9900;//color outside = #993300;fill(outside);rect(0, 0, 800, 800);fill(middle);rect(40, 60, 500, 120);fill(inside);rect(60, 400, 80, 80);

04// Creating (Homage to Albers)// by REAS <http://www.groupc.net>// Creating variables for colors that may be referred to // in the program by their name, rather than a number.// Created 09 December 2002// Modified by Davide Vizzini on 02/11/2004size(800, 800);noStroke();color inside = color(204, 500, 0);color middle = color(204, 153, 0);color outside = color(153, 51, 0);// These statements are equivalent to the statements above.// Programmers may use the format they prefer.//color inside = #CC6600;//color middle = #CC9900;//color outside = #993300;fill(outside);rect(0, 0, 800, 800);fill(middle);rect(40, 60, 500, 120);fill(inside);rect(60, 72, 80, 80);

Processing 03Processing 04

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Gli spazi della mentesono freddi?

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Gli spazi della mente sono freddi?

freddo, esperienza del —

Lampade al Neon emettono luce lineare, in forma di linee, si dispongono sempre

ordinate sulle superfici lisce o stirate sugli spigoli, l’alone bianco è a 72oo° Kelvin e si dispone con legge blisterica attorno al tubo fluorescente. L’interno di una stan-za illuminata da un numero congruo di lampade al Neon allineate non ha ombre e s’intride di una colorazione di pensiero az-zurrino. I tubi fluorescenti a gas Neon non hanno emissione luminosa continua ma procedono a lampi rapidamente alternati alla frequenza di produzione di 50 Hertz, quella dell’oscillazione dell’inversione di

polarità agli elettrodi che producono la fluorescenza del gas. Succede di trovare Tokyo a Milano e di crogiolarsi nella purezza monacale delle piastrelle klinker di blu gasolio. Tokyo dell’immaginario si trova nel linoleum e la pura freddezza dello spazio striato e di ideale ci entusiasma sull’attenti dentro gli ascensori vagamente rifrangenti e imbrattati di città. Non so se solo io sia cambiato o se appena d’ora possa comprendere la fiera ieraticità degli spazi mentali del Sud-Est periferico imbiancato a Neon o a lampade al Mercurio a 9ooo° K. D’ ora colgo la mutezza potente totemica degli edifici che imballaggio di spazi si incidono di mente e/o nella mente. Il tentativo di descrivere andrebbe fatto col mutismo e l’intonazione deve restare irremota come se non parlasse né mai lo sguardo focheggerà su qualcosa a meno che ∞. Rimane da dire solo delle superfici per gli spazi delle menti. Ma già, detto, e l’effetto si è prodotto nelle associazioni d’immagine in chi legge.

L’ultimo dubbio è questo: presa coscienza del freddo dello spazio cerebrale o semplicemente di encefalo qualcosa resta e potrò proseguire in ulteriore? o

demoralmente mi sono attardato sull’ovvio da ottuso Marinetti?

Lampade al neon

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1° 2°

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Gli spazi della mente sono freddi?

freddo, esperienza del —

Mi rassegno ché fa freddo. E piove anche. Un bel conforto è il tè qui vicino (caldo!) e la droga aromatica delle lettere in teoria. Mi rassegno a dire che quando sento che

la febbre la intuisco e me la ricordo il conforto è una casetta (col diminutivo vezzeggiativo) e lampade calde. Niente neon per i malati. In somma il freddo è dei pensieri spericolati e a velocità alta come per i superconduttori in azoto liquido ma non appena le condizioni intel-lettuali sono puntin meno che ideali il rifugio è una coperta e un altro corpo prodigo di baci caldi; e umidi come. Capisco che gli angeli viaggino con agio nello spazio gelido siderale.

Se il dominio D è normale rispetto ai tre piani coordinati allora per il calcolo dell’integrale triplo si può applicare indifferentemente una delle formule (1), (2), (3). Alle volte però pure

potendole applicare tutte e tre, può essere più conveniente applicare l’una anziché le altre due.Se il dominio D non è normale rispetto ad alcuno dei tre piani coordinati allora le formule (1), (2), (3) non si possono applicare. Supposto però che D sia decomponibile nella som-ma di un numero finito di domini D privi a due a due di punti interni comuni e normali

rispetto a uno qualunque dei piani coordi-nati, applicando la proprietà additiva si può scrivere

1° principio: Tutto il calore può esse-

re trasformato in lavoro.

2° principio: É impossibile traspor-

tare lavoro da un corpo freddo

senza spendere lavoro.

3° principio: L’ entropia, la misura del

grado di disordine, tende a zero.

Freddo del benessereFreddo della matematica?Tre principii della termodinamica

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Freddofreddo

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Freddofreddo

freddo, esperienza del —

Metodo dvdv per distruggere le persone.Collaudato con successo e per-

fez ionato negli anni.L’azione si svolge fra due figure: il can-noniere e la sua vittima.

Nella 1^ parte dell’operazione il canno-niere guadagnerà la stima della vitti-

ma. Tale stima non dovrà essere semplice rispetto o considerazione; la vittima dovrà annoverare il cannoniere fra le persone del più alto valore immaginabile. Il cannoniere dovrà osservare una condotta paziente e la sua vittima sarà sempre al primo posto fra i suoi pensieri. Gradino dopo gradino, il cannoniere adotterà ogni tecnica per scalare i valori della vittima, ne guarderà le tendenze e le affezioni per poter mettere davanti ai suoi occhi la più lunga sequenza di gesti meravigliosi. Questa fase potrebbe durare anni. Quando il cannoniere sarà certo di occupare uno dei posti al vertice della piramide di gerarchie e ideali della vittima, potrà senza indugio passare alla:

2^ parte. Il cannoniere incomincerà a mina-re le certezze della vittima con piccole cari-che e sceglierà quelle più profondamente ra-dicate al suo carattere, quelle non modifica-bili con procedimenti comportamentali. Gli

attacchi saranno sempre piccoli e costanti, in tal modo il cannoniere avrà un’ ottima copertura contro future recriminazioni. La vittima non sarà mai abbastanza lucida da vedere l’attacco nella sua globalità e la sua reazione alla singola azione apparirà sem-pre sproporzionata. Le vie da percorrere possono essere le più diverse: il sarcasmo, l’induzione del senso di colpa, il giudizio morale e/o intellettuale che per la vittima sarà il più autorevole, degno di rispetto e, dunque, doloroso. Sarà necessaria pazienza anche in questa fase ma in misura minore rispetto a quanto necessario nella prima.

Freddezza

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Freddofreddo

freddo, esperienza del —

I risultati non tarderanno a mostrarsi: qualche lacrimuccia mal trattenuta dopo una battuta di spirito, insicurezze, tre-mori nel lavoro e negli affetti. Se il can-noniere avrà ben operato, in breve tempo l’autostima della vittima sarà pressoché inesistente perché demolita dalla persona che più merita rispetto, la cui opinione è sempre arguta e profonda. L’occasione definitiva si presenterà presto: quando la vittima si innamorerà basterà abbat-tere il valore della persona amata.

Un giorno, non riuscendo a con-tattare la vostra vittima, an-

drete a cercarla ma al suo posto tro-verete un piccolo crateruccio di cenere nera e leggermente fumante.

Il freddo e il coraggio: Il fascino del prato buio è assaporarsi il pericolo.

Un cavaliere in un freddo 11 novembre incontra un uomo. Quell’uomo è

seminudo e fra poco morirà di freddo. Per qualche motivo Martino decide di scendere da cavallo, di togliersi di dosso il mantello, di sguainare la spada dalla vagina e di inci-dere il bordo del mantello, di rinfoderare la spada e di strappare con un gesto potente la

stoffa colorata a porpora. Con una metà del mantello continuerà il viaggio, con l’altra l’uomo semi-ibernato si coprirà un tantino. Il freddo ha molta importanza in questa storia. Per il freddo quell’uomo sarebbe morto per diventare freddo quanto novem-bre. E Martino? Sono i gesti che scaldano? E se spezza il mantello, cos’altro divide. Non ha importanze. Allora Martino salva il poveraccio dal freddo e dalla morte. Quella morte è fredda e davvero e il dissolvimento dell’identità è gelido. Martino si presenta come Martino e passa alla storia, il pove-raccio si scalda e torna dalla morte e da

Il freddo e il coraggioFreddo della dimenticanza, anonimato, San Martino

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Freddofreddo

freddo, esperienza del —

pezzo di ghiaccio, sgocciola a uomo

e passa alla storia in carne ed ossa

calde. Dunque, la perdita delle iden-

tità è freddo. Ho trovato qualcosa di

freddo freddo.

Oggi, sono andato a rannicchiar-

mi dentro di me, sono stato come

sempre a rintrufolarmi fra le mie idee

obbligatorie e ora sono un po’ stanco.

Le idee obbligatorie sono quelle che

vengono e ti obbligano a fare sforzi

per tirarle fuori, realizzarle, metterle

un’ infila all’ altra acchè godano a sa-

zietà. Ancora non ho cenato e, visto che devo fare note termiche, mi rendo con-

to che di freddo, oggi (ora, per la precisione) ho solo i piedi. Oggi sono stato al

caldo; e non me ne dispaccio più di tanto. Anche il caldo non è da bistrattare,

non è il caso di estremismi. Non ho cenato e l’idea di fermarmi qui – nono-

stante la playlist sia entrata in quest’istante in Miles Davis – di autorizzare

una pausa e sbattere indietro le immagini tiranne mi solleva un gingino, in f in

dei conti sono io che tengo la f iera, qui. Ecco, preparerò qualcosa di caldo e so

bene che fra le anse del sugo vedrò sempre un po’ di senso di spreco, sempre

il solito. Musiche, idee tiranne, e amori che girano in tondo nel bicchiere che

tengo sul capo.

CedimentoRassegnazione al caldo

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Seduzione fredda

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Seduzione fredda

freddo, esperienza del —

Resemel noibidung olifar mosere ta goi samara goriovil ac eidomai sono vividi

fres guil giovinem, turbinium desire asfigo-le, noi sert tui opopa iolo terese derem carm tuturizin dezerti demo scifer scolom fiul gerem nono term nop teren deve fe ac mono nocte sel sel sel. Deree seren motereu da-gioga lorte semente zappa sereo eoi limbte devere di un fertogi ac dezerti opop feren liop defretuui Ou Ou non.

Sereo eoi limbte rio solon fregifis alore-gon sie poetre retuimon fregele defre-

nendo sottepo fior, colosto fes dezerti sposi

remenghi loti zanfion zanfiol. Fescimoli trew fredondi iol potyu, fescoltamen iopo golo ollo. Zak iotescomai ilò? Dao termini poi torvagi germinuta lagosta pio ere fes limbte fregifis. Alse opolomo riutim tio-fermi fio to casim, torvagi luglio lagosta pio fredondi iomen ac sposen ac lumen. Uitimon sed fioriolimbi fescoter uiter man, gerioli degi sedretiu nioly mao lermenio nuiomar guiterlin sereteriu ul olak jio ze-zetiuop poi to sere ac potirli cemino ferde, iopolo sede. Iol pio.

Antefatto: L’autoseduzione di Baudrillard si applica ai blog (web log). Oggi ce n’è

uno che trasmette in diretta audio. «Il gruppo sintonizzato sull’audiovisivo è il terminale di se stesso. Si registra, si au-toregola, si autogestisce elettronicamente. Autoaccensione, autoseduzione. Il gruppo è erotizzato e sedotto dalla constatazione im-mediata che riceve da se stesso, autogestirsi sarà ben presto il lavoro universale di ogni persona, di ogni gruppo, di ogni terminale. Autosedursi diverrà la norma di ogni parti-cella elettrizzata delle reti e dei sistemi.»

Querzola: «la tecnologia psicobiologica, tutte le protesi informatiche e le reti

Resemel noibidungNella rete, freddokalt

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Seduzione fredda

freddo, esperienza del —

elettroniche di autoregolazione di cui disponiamo ci offrono una sorta di strano specchio bio-elettronico in cui ciascuno, ormai, come un narciso digitale, scivola lungo il filo e s’ina-bissa nella propria immagine.»

L’amplificazione paradossale del corpo nella sua departicellizzazione evaporata nello spazio elettrificato è né fredda né calda. Forse devo introdurre dell’altro: l’assenza di

temperatura in cui s’intraveda uno scostamento del tempo dall’andamento monolineare. Quando per un attimo scopro nella vertigine del network e nell’imperfezione della trasmit-tente la differita di esperienze e sento ciò che sente un altro terminale con decine di secondi di ritardo, in un capogiro, svergola l’autocoscienza. In questo turbine di vortice lento, che Baudrillard dice freddo, palpita una percezione inesplorata che se mi scosto dalla vista in riga razionale mi appare come l’epifania di uno schiaffo d’eterno in cui si possa percepire un tempo disturbato nelle dimensioni, allucinato di spazio e luogo nuovo su cui inesplo-rarsi. Ebbene, il battito bio-elettronico era caldo pur non essendo duale né freddo. È un soggetto che è freddokalt e si punge nella corteccia callosa in sotto al cervello.

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freddo, esperienza del —

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freddo, esperienza del —

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d, D, s.f. o m inv. 1 Quarta lettera dell’alfabeto italiano derivata dal gr. delta, il cui nome per esteso e’ di. || In italiano rappresenta il suono della consonante occlusiva dentale sonora. || In posizione intervocalica, oppure preceduta da una vocale e seguita da una semiconsonante o da una liquida puo’ avere grado tenue (dado, odio, quadro) o rafforzato (suddetto, addio, addrizzare); nelle altre posizioni ha grado medio (cardo). || Ha funzione eufonica quando si aggiunge alla preposizione a e alle cong. e, o, davanti a parola che comincia per vocale. 2 Si usa come abbreviazione in alcuni linguaggi specifici. || D nella numerazione romana, equivale a 500. || (chim.) D simbolo del deuterio. || (mat.) D simbolo della derivata. || (mus.) D nell’antica notazione per mezzo di lettere lfabetiche, simbolo corrispondente alla nota re.

Teleart SrlMaimeri Blud,DPrepararsi per l’inverno,fare legna

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Seduzione fredda

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1 Il canto 2 Neapolis 3 Starai con me 4 Ti adoro 5 Notte 6 Come aquile 7 Domani verrà 8 Buongiorno a te 9 Ai giocchi addio 10 Stella 11 Tu e il tuo mare 12 Il gladiator 13 Caruso (with guitar solo by Jeff Beck) Video - Il canto Video - Ti adoro.

Nato nel 1935 a Modena, il celebre tenore emiliano ha manifestato fin da subito una precoce vocazione al canto, come testimoniato dai resoconti familiari. Non solo infatti il piccolo Luciano saliva sul tavolo della cucina per le sue esibizioni infantili ma, spinto dall’ammirazione per il padre, anch’egli tenore dilettante (dotato di bellissima voce e cantante nella “Corale Rossini” di Modena), passava intere giornate davanti al giradischi, saccheggiando il patrimonio discografico del genitore. In quella collezione si celavano tesori di tutti i tipi, con gran prevalenza per gli eroi del belcanto, che Pavarotti imparò subito a riconoscere e ad imitare. I suoi studi però non sono stati esclusivamente musicali e anzi per lungo tempo questa era solo una passione coltivata in privato. Adolescente, Pavarotti si era iscritto alle magistrali con lo scopo di diventare insegnante di educazione fisica, cosa che si stava quasi per verificare, avendo egli insegnato per ben due anni alle classi elementari.

Parallelamente, per fortuna, proseguiva gli studi di canto con il Maestro Arrigo Pola (di cui seguirà i principi e le regole per tutta la sua lunga carriera), e in seguito, quando tre anni più tardi Pola, tenore di professione, andò a lavorare in Giappone, con il Maestro Ettore Campogalliani, con il quale perfeziona il fraseggio e la concentrazione. Questi sono, e resteranno per sempre, secondo le parole del Maestro, i suoi unici e stimatissimi maestri. [...], più volte ripresa anche in tarda età, sempre nei panni di Rodolfo. Sul podio, nientepopodimenoche Francesco Molinari Pradelli. Il 1961, comunque, è un anno [...] (Fonte: biografieonline.it)

Pavashow

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Seduzione fredda

freddo, esperienza del —

BRI Australia Limited (formerly the Bread Research Institute) is an independent centre of expertise in grains, grain processing, milling and baking. Founded in 1947 by the Bread Manufacturers of NSW, its initial aim was to assist in the improvement of bread quality. Since that time, BRI has considerably broadened its customer base and focus of activities, with expansion first into milling, then into grain quality and eventually into grains processing. our core business is the provision of research and technological expertise to the grains, grains processing and grains food industries. BRI Australia Limited is a company limited by guarantee. It is governed by a board of directors elected from a broad cross section of the industry. BRI Australia Limited (formerly the Bread Research Institute) is an independent centre of expertise in grains, grain processing, milling and baking. Founded in 1947 by the Bread Manufacturers of NSW, its initial aim was to assist in the improvement of bread quality. Since that time, BRI has considerably broadened its customer base and focus of activities, with expansion first into milling, then into grain quality and eventually into

grains processing. our core business is the provision of research and technological expertise to the grains, grains processing and grains food industries. BRI Australia Limited is a company limited by guarantee. It is governed by a board of directors elected from a broad cross section of the industry. grains processing. our core business is the provision of research and technological expertise to the grains, grains processing and grains food industries. BRI Australia Limited is a company limited by guarantee. It is governed by a board of directors elected from a broad cross section of the industry.

BRI, Bread Research Industry

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Seduzione calda

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Seduzione calda

freddo, esperienza del —

Io mi mangerei le r. Con la bocca e con le mani. E qui c’è Lisa Ponti che dice io

sono: quasi artista. E io capisco cosa vuole dirmi, la capisco Lisa Ponti, io capisco io e lei e lei ha 83 anni. Nel dirlo io so che di-venta artista. Sì, impazzisco a sguardi e a tutti gli occhi dolci che mi assalgono. Non posso muovermi in un corridoio qualunque che all’incrocio non mi sfregi la faccia uno sguardo forte addossato su di me di donna che mi desidera, aggiustandosi una ciocca dietro all’orecchio. Se mi sporgo con la ri-cevuta in mano su un banco a chiedere da bere c’è sempre a lato lo sguardo che mi

chiede di avvicinarmi a rinsaldare la conoscenza a superficie. Ma io non posso, io vorrei solo rotolarmi ad abbracci e bocca e mi ribollono il sangue quegli agghindi e quei ciuffi e quelle ciglia che mi spogliano. Le desidero tutte e mi scaldano a brani a passi. Ma non posso conversare con loro dei Viviamo di seduzione ma moriamo nella fascinazione(6) e non riesco a rispettare la regola dei discorsi nel modello e nella combinatoria mobile del-l’universo ludico, non ve lo spiego qui. Mi rifiuto perché io non voglio annegarci. E allora resisto resisto a queste bocche ingorde di me, ne prendo solo la metà e per l’altra mi ritorco. Si tratta di sola fascinazione? Niente seduzione né incanto? No quella è seduzione duale o forse lo è solo su di me perché mi muovo fuori dal freddo e su di me si stratificano desideri che smuovono gli istinti precontemporanei. E mi spiegherei così le vampe di quando esco dopo aver disegnato disegni che quasi non mi muovo per la frequenza dei battiti di pal-pebre su di me. O forse, sotto la cenere spenta della seduzione fredda, dietro alla norma e al modello autoseduttivo di tutt’intorno cova per tutti il gioco rischioso e tutto rovente della scommessa atavica, a vince chi muore per ultimo, del possesso fra i generi.

Ragazze divorate

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Seduzione calda

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Oggi parlerò dei turbamenti che le donne producono nell’animo degli

uomini. È una prigionia senza scampo in celle imbottite, è un’agonia centellinata il sussulto in silenzio che incassa un uomo ogni volta che, prima di dormire, si posa sul pensiero di ognuna delle donne desiderate. Un’ aspirazione sopraffatta dalla moistura marina, una percezione tesa di lontananza senza ponti larghi o godimenti infagottati da portarsi in scorta. La maggiore prestan-za dei cuori maschili, dei corpi, degli animi, io credo sia forgiata su questo esercizio atroce: del desiderare. A bocca aperta, verso

il soffitto ad ascoltare un tramaglio sotto lo sterno che si sfalda ad ogni fiato. L’esercizio dell’autocontrollo necessario all’amore è da Ulisse legati all’albero maestro. Non si può dare in pasto ai cagnacci la propria furia e io non posso non trattenere il desiderio. Lo incaptivisco compresso e mi tormenta la notte per covare il giorno fra visioni e sfiora-menti, canti di sirene e richiami di striduli sessi. È sempre così, mi si creda, ancora ci sono le sirene e ancora ci sono i naufraghi e i marinai, le Circi e la ciurma trasformata in porci. Io vivo ancora in quella schiavitù e da lì suggo forze roventi.(7)

L’amore non lo facciamo sulla lavatrice, oggi. Il pezzo di sapone che la occupa non può essere spostato. Non ho nessuna intenzione di spostarlo; per me è come se fos-

se incollato. Quando ho scattato questa foto la pensavo così, io sono innamorato degli oggetti più che di L., la mia fidanzata. Gli oggetti trasportano la mia vita da un giorno all’altro e lo faranno ben oltre la mia esistenza, gli oggetti sono le mie bitte per l’eternità. Per ragioni di identico, simmetrico, peso ho frantumato un giorno il piattino e ho con-

TurbamentiAmore sulla lavatrice

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Le ninfe che vivono negli anfratti del deserto di lava dell’isola di Sen

Jing attirano decine di visitatori. Decine, non centinaia né migliaia; l’ambiente è talmente ostile da scoraggiare la maggior parte dei viaggiatori. Io non mi ritenevo parte di essi, io sono uno studioso, un ricercatore, un esperto di vulcani e delle forme di vita che li abitano. Appena arrivato, una di quelle creature mi accolse con uno sguardo talmente sensuale da farmi sussultare. Ho sentito come un balzo risucchiato contro il cuore del torace e un soffio cupo nelle orecchie, anzi, nella testa. Lei guardava me sotto quel sole arrabbiato. Quell’abbaiare di calore feroce, come quello a vampe di un cane tenuto per un secolo alla catena, pronto a sbranarti d’odio bollente, mi esplodeva negli occhi e su tutto il corpo. E poi quel nero di lava si arroventava e irradiava caldo zitto ad ogni passo. Mi chiedevo: quella ragazza coi capelli biondo cenere, le gambe in vista, gli occhi loquaci ma muti, la pelle abbronzata e un vestitino appoggiato appena sui fianchi e sui seni di proporzione e bellezza vera, non stereotipa, solo mia, stava guardando proprio me? Era così. Ne spuntarono altre due di bellezza altrettanto prepotente. Camminavano sulla lava fiorita di spigoli taglienti come fossero a passeggio in una via del centro a caccia di vetrine. Io, di fronte a quelle due ragazze brune con i capelli arricciati dal mare, i sandali legati sopra il polpaccio, mi sentii ancora quel sussulto dentro. Anche loro, entrambe, passando mi guardarono seducenti. Quel vulcano placido arroventato dal sole mi stordiva. Cercavo di mantenermi

indifferente, di picchiettare le rocce in cerca di fossili, ma non riuscivo ad ignorare quella interiore depressione atmosferica che mi comprimeva il petto ad ogni passaggio di giovane donna. Ne vidi tante; troppe. Loro vivevano lì, nelle piccole caverne naturali dentro il basalto. Quando mi avvicinavo a qualche apertura e guardavo dentro, vedevo che le grotte erano arredate come confortevoli casette con tendine variopinte alle finestre e tappeti e cuscini. Se mi capitava di sentire i discorsi provenienti dall’interno di quelle case, non capivo il senso delle risatine leggere, delle parole confidenti, ma sempre, sempre, mi attraeva la loro tranquilla rilassatezza sui divani, sui letti, sui cuscini delle caverne nella lava antica. Sempre sentivo quella folata calda nelle orecchie. A lungo andare mi pareva che quel vento e quei cedimenti mi avessero scavato dentro, lasciando delle cavità che somigliavano a quelle abitate dalle bellissime ninfe. Ogni sguardo provocante mi apriva e scavava antri interiori che poi venivano colonizzati da corpi morbidi e abbronzati, da saltelli sugli scogli, da spalle baciate dai capelli. Molto prima di capire tutto questo mi resi conto di non riuscire più a tenere in mano il mio martello da geologo, mi muovevo sempre più pesante e mi arroventavo sempre più al sole rabbioso. Ero diventato io stesso di lava e basalto fiorito di spigoli vetrosi. Fui presto parte dell’isola e subito i miei anfratti e le mie caverne, grandi o piccole, scavate da sguardi, furono rivestite di tende fiorate e tappezzerie e trasformate in alloggio di amabili creature femminee.

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sumato il sapone. Mi sono innamorato di L., ancora, e di riguardi verso la lavatrice non ne ho avuti in alcun frangente. Naturalmente non ho fotografato la disgregazione dei cocci. E’ inutile dire che l’oblio non ammette documenti. Il mio buffo pendolo esi-stenziale: oblio/eterno, oblio/eterno, oblio/eterno, oblio/eterno, freddo/caldo nell’amo-re significa per me: oblio. Perché nell’amare L. io voglio tutto vivere, sempre vivere; e vivere è vivere consumato. I tentativi goffi di documentare L. in vita sono ridicoli, ma io li compio perché non mi importa di rigare in coerenza. Le centinaia di metri di pellicola fotografica sviluppata e stampata sui miei quotidiani di amante, vorrei farli cima per attraccarmene di eterni. Li sfilo i giorni e li trafilo come la sfoglia del-la nonna e li raccomando ai miei figli. Ma a viverli mi tuffo e il godìo è a consumarli.Che codardi e che vili, sorrido di coraggio quando con tutte le forze di dentro e di fuori ingoio tutta L. divaricata e me ne mangio a respiri interi e lei sembra morirmi di singhiozzi fra le brac-cia, e con la faccia e il sudore mi dice lo sgomento! non c’era questo scuffio nel ventre mio. E nel corpo! e mi sgrana gli occhi dalle orbite e grida, gridiamo, alla scoperta. Anch’io nel sinibbio.

Noi, così, ci amiamo. Lì, il pendolo si ferma all’oblio nell’antigravità istantanea, che noi non ce ne brilla del fottìo stretto in anima.

Quando i tuoi atti sono dettati dall’im-pulso sincero e feroce della rabbia,

quando il tuo scalpitare verbale o violento è il più viscerale e sincero, vivido, intelligente di tutto, anche di quello che a mente placata rimane inspiegabile forte delle ragioni che solo lo sguardo adirato sapeva vedere, le vite degli altri ti mettono fuori. Fa terrore la sincerità della rabbia. Passata la mia tem-pesta, l’ho subito compreso; era nel silenzio di chi c’era e poi di quelli a cui fu raccontato.

Rabbia calda

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Ero fuori, e mai più sarei stato guardato con gli occhi di prima. Via dal villaggio, bandi-to dall’iter consueto di costruzione sociale. Chi capiva che il mio turbinare era degno del meno retorico e più vero degli atti? Nessuno è in grado di fronteggiare espres-sioni il cui coraggioso flusso pieno è pari forse al colpo di spatola sulla tela. Questo tutti lo ignorano e io ora sono il bandito. Niente a che fare coi discorsi già detti, coi rapporti in sorriso, ma niente: sono fuori.

Mi troverò ancora un pezzo vergine di sociale e mi ci costruirò casa, nel

bene e nella violenza. Io userò gli stessi pro-positi di atti sinceri costruiti nel momento e fuori dai manuali non scritti; sempre. Tutto tranquillo, finché non ne avrò ammazzati altri quattro, appena fuori di qui.

Il sonno non viene, insonne. È una forma di trepidìo notturno che mi brivida le

carni. Tutte le cose che non ho detto oggi, e avrei voluto, mi rinfacciano brogli spigolosi sottocute. Ho le voci odiose di omuncoli in rivista che si razzuffano nei sogni e mi vociano di dentro le palpebre n’appena le serro. E di mezzo a tutto questo sgradevo-lezzo ci ho l’impazienza infantile di quando

non riuscivo a dormire per la contentezza d’un balocco nuovo. Perché oggi, di tardo ’meriggio, ho comprato una nuova macchi-na da foto. Questa è la quinta che mi faccio appendice dei miei guardi (par delle penne e de’ quadernetti da trasporto; di quelli per le idee volanti). Tant’è l’eccitazione che non dormo e ora ho acceso la luce e me la sono rimirata e già speravo in una bella luce gri-gia e nubila domani, per fare foto fredde, gelide, che si rabbrividisca al solo sguardo di sfuggita. Un po’ mi vergogno a dire che questa sera del Baudrillard sul comodino

Parola calda, il sonno non viene, insonne

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ha preso il posto il Canon-Camera-User-Guide in Inglese e Coreano ché da lag-giù veniva la ragazza di oggi. E in tutto? nelle facce che mi turbinano? viste oggi; nelle impazienze infantili; cosa rimane a non farmi prender sonno? Ci sono le speranze amorose, i miei innamoramen-ti impalpati, i visi e le carezze. Questo, tutto questo mi si aggrappa alla veglia e non m’addormenta. Ecco, questo: ci sono, le facce stupide, ci sono i desideri da bambino e ci sono le donne baciate, per tutto il giorno e per tutti i giorni che verranno. Come potrei dormire?

Il senso è: regalare. La storia delle cose e delle parole è: crepitare. Come fare a. Ci sono strepitii dappertutto e cedimenti un po’ gar. Quando succede che questa

strepitante contemporaneità viene ignorata. L’accozzaglia del presente io mi sveglio ora. Ma mi era impedito da rivoluzionismi reazionari che si moscacecavano tutti e il disagio perciò quanto! Se uno vive in un presente fatto qui perché si. Vuole! Perché se lo butta in un sacco juta e fa finta vivere in un altro tutto passato tutto? Sono i re-taggi di idealismi che temono? Sono paure ma è sempre stato o? Un po’ mi sconcerta questa miope. C’è intanto una montagna penne qui e il mondo deve essere esploso quando il vaso bianco portapenne l’ho scivolato. L’addolcito non è dolce per, si biscot-ti. Ma tanti piccoli pensieri di carezze mi addolciscono, lo dico cantilenando perché il cantilenando è un po’ regolarizza l’affastellio di cespugliame. Con una vocina quasi cantante un po’ chiando. La testolina. L’immagino e i futurini si svicciliziscono che non vuol dire nulla. Ma è un po’ come sei tu, sì, proprio tu.

Senso del nonsensoGli inabbinabili

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Resemel noibidung olifar mosere ta goi samara goriovil ac eidomai sono vividi

fres guil giovinem, turbinium desire asfi-gole, noi sert tui opopa iolo terese derem carm tuturizin dezerti demo scifer scolom fiul gerem nono term nop teren deve fe ac mono nocte sel sel sel. Deree seren mote-reu dagioga lorte semente zappa sereo eoi limbte devere di un fertogi ac dezerti opop feren liop defretuui Ou Ou non.

Sereo eoi limbte rio solon fregifis alore-gon sie poetre retuimon fregele defre-

nendo sottepo fior, colosto fes dezerti sposi

remenghi loti zanfion zanfiol. Fescimoli trew fredondi iol potyu, fescoltamen iopo golo ollo. Zak iotescomai ilò? Dao termini poi torvagi germinuta lagosta pio ere fes limbte fregifis. Alse opolomo riutim tiofermi fio to casim, torvagi luglio lagosta pio fredondi io-men ac sposen ac lumen. Uitimon sed fiorio-limbi fescoter uiter man, gerioli degi sedretiu nioly mao lermenio nuiomar guiterlin serete-riu ul olak jio zezetiuop poi to sere ac potirli cemino ferde, iopolo sede. Iol pio.

Resemel noibidung olifar mosere ta goi samara goriovil ac eidomai sono vividi

fres guil giovinem, turbinium desire asfigo-le, noi sert tui opopa iolo terese derem carm tuturizin dezerti demo scifer scolom fiul gerem nono term nop teren deve fe ac mono nocte sel sel sel. Deree seren motereu da-gioga lorte semente zappa sereo eoi limbte devere di un fertogi ac dezerti opop feren liop defretuui Ou Ou non.

Sereo eoi limbte rio solon fregifis

aloregon sie poetre retuimon fregele

defrenendo sottepo fior, colosto fes de-

zerti sposi remenghi loti zanfion zanfiol.

Fescimoli trew fredondi iol potyu, fescol-

tamen iopo golo ollo. Zak iotescomai ilò?

Sereo eoi limbte

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Costruisco tutto nel freddo dell’assenza, il nuovo punto di partenza: da tabula

rasa al tutto in potenza asintotica. Ora capi-sco la vibrazione, sempre epurata in memo-ria, che l’inverno mi mette addosso; e così un campo innevato senza orme; e così una steppa; lo spazio liscio, di sostanza: freddo. Trovo ‘nulla’ nel gelo urbano e nulla nel gelo preconcetto e lì spazio e spazio e spazio. Trovo nulla nel gelo e da lì: tutto. Il temuto gelo del bianco, bianco del gelo-carta, fred-do di freddo, è la scoperta gaudente di idee in caduta libera, l’inesprimibile supremati-sta di figure sacre sulla tela (mi si perdoni se riparto da quasi un secolo indietro). Nel diario di un seduttore Johannes dice: «Sarò morbido, flessuoso, impersonale, quasi uno stato d’animo». Sarà freddo e sarà tutto, un tutto sonnambolico in cui lo spazio pieno, quello dell’animo femmina, si ripiegherà intero fino a richiudersi, nel seduttore. Avviene quello che spera B. (Baudrillard), che l’assenza seduce la presenza, il freddo seduce il caldo. «Sono Immortale, ossia senza respiro» (8).

Questa è l’ora in cui chi dorme è più perso. Adesso, se ti avvicini, la pelle

è scaldata di rosso dal respiro lungo inu-

midito di caldo fra le lenzuola e i capelli. Ora c’è la dissoluzione della ragione, lo scomporsi della rete di coscienze in minu-ti frammenti senza il tempo senza il nulla senza regola e gerarchia, allineati nella gorgone di giorni e gote tranquille.

Dormi, e non c’è né calore né freddo, né cristalli ordinati né focolari re-

centi, ci sei tu, abbandonata senz’ordine, senza il pensiero diritto. Eppure sei lì, tutta tu, nel sonno zitto, con la vita di-svolta a doppia elica tutta in lista. Tutta te stessa è lì nel letto sciolta nel caldo rovente che se m’avvicino mi scotta, il respiro caldo di vicino le labbra.

Il freddo dell’assenzaIl freddo nell’assenza, 5:01 a.m

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Essere sveglio a quest’ora mi pare inutile ma so: che è la mia coscien-

za che ti tiene viva nel mentre tu dormi e ti perdi.

Che faccio qui al freddo ad aspetta-re la morte? Nel freddo di morte

c’è un tremo che pure è difficile par-larne, ci sono sussulti, singulti che, an-cora, sono tutt’altro che vuoto. C’è un sobbalzare violento di sfregi e strappi ed è uno sbatter i denti che è fuori che immobile, è fuori che morto. Il freddo fino a un passo prima che morto è la sfida che scotta, rovente di vita, è il sommo sfacelo del tutto in di vita. È il freddo della specie più calda.

Questo è certo il passo meno schiet-to che metto qui, non può che es-

ser così. Non può che cristalli qui, di gelo che è tutto, al sommo di forza il discorso sul freddo. Qui il gelo è tale da essere nero non d’assente ma di tutto de’ tutti. E io che sprizzo di vita.

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C’è un momento in cui incomincia tutto ora per me, è quello in cui

rimango scalzo. Succede lì che tutti i pen-sieri mi si immergono in piscina. È l’esem-pio del bastone immerso in acqua che pare piegarsi. Io so già cosa succede ora sopra al parquet, lo so cosa succede appena avvicino la tastiera prendendola a mani parallele e lo so che il richiamo del letto non è abbastanza forte. Lo so. Lo sanno tutti che non riesce di resistere al sonno come di cenere; quello che se guardo nell’intruglio e mi guardo me le mostra un po’ col fiato corto. L’intreccio, intendo, è G. che è teledipendente e vive della sua abitudine. Ma, soprattutto, è la melassa di testacce troppo lente, diamine. Che ripetono solo, come gracole gozzute. E io sempre ad aspettare, sfinito di tornare a recuperare e a spiegare la strada che ho stri-gato da un pezzo. Ora col bastone in acqua mi si piega anche la scrittura, la sento che si torce, povera. Certi pensieri non dovrebbe-ro essere rivelati. Come quelli sull’intreccio notturno a piedi scalzi, ecco perché resto a dire e non dire. Che pure sia incompren-sibile, è così per tutto il giorno! Devo con-volvermi tutto il die a spiegarmi e che pur si prenda una vacanza quella facoltà chia-

rificatrice e che i pensieri per una volta si dispieghino come sono. Ah che riposo.

Ah che fatica regatare coll’olandese volante per cozzare sempre sulle

avarizie meschine di intelletto, di sudore, di denaro e a guardare serbare i muscoli per quando saranno crepati in cartapecora. Devo lamentarmi per la pena a veder quel tale (ma si dice amico mio) che si fa gran-de facendosi commiserare? Che trasforma sciocchezze in patemi e si bea dei ‘poverino’ dei cari? Forse non dovrei, forse è di tutti e forse sono proprio io ad essere scoglio per

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altri in altre coste frangenti. La verità è che in certi istantucoli voglio tornare a stare dentro, ma dentro di me. C’è un silenzio e una penombra, della temperatura giusta. Succede, sì, che mi guardi intorno ma que-sta varietà gaia di cose – ‘questa’ voglio dire di me tutto in me – si accresce di giorno in giorno e quello che c’è fuori sembra sempre meno attraente. Io so che è un errore ma lo so per principio, ora in specie, non lo sento e le facce che penso sono solo ebeti, noiose e, quando non lo sono, sono gravi di sfoghi ustionanti e mi cacciano via.

Io quasi mi scuso per quello che dico e come ma qui non può che avvenirsi

l’esplosione del lessico, ché sto sbrigliando le idee e a spronarle scartano ombrose e la briglia non la sentono. E che, dovrei fru-stare e tirare il morso? Chiedo perdono, lo so, ormai ho capito, c’è una falce che livella le cime coll’odio, è l’umiliazione dei mediocri rancorosi che latra e sbava e io lo so che devo tornare a parlare per farmi capire. O forse, per il solo pensare così io sono quello che guarda da più in basso, guardiano del formicaio che si crede pa-pavero, ma nel bel campo di samare.

NOTE

1 Luogo geografico

2 Mats Bigert, Mapping the invisibile, in http://

www.cabinetmagazine.org

3 Decio Guardigli

4 Vedi www.proce55ing.net, M.I.T., Boston

5 Lawrence Lessig, Code and other laws of cyberspa-

ce, Basic Books, New York, 1999

6 J.Baudrillard, della seduzione, SE, Milano, 1997

7 François Redelau, Le Grand Voyage, Orléans, 1759.

Traduzione di D.V.

8 Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore.

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Bibliografia

freddo, esperienza del —

Jean Baudrillard, Della seduzione, SE, Milano 1997 Fragments – Cool Memories III, 1991-95, Verso Books, London 1997

Mark Rothko, Scritti, a cura di A. Salvini, Abscondita, Milano 2002

Michel Leiris, Francis Bacon, Abscondita, Milano 2001

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