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Historia et ius - ISSN 2279-7416 rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna www.historiaetius.eu - 13/2018 - paper 4 1 Francesco Godano L’enigmatica biografia di Ippolito Marsili. Prime note: la sfera personale e la formazione SOMMARIO: 1. L’immagine frammentaria di Ippolito Marsili – 2. La famiglia Marsili. – 3. Anagrafica di Ippolito Marsili – 4. In particolare: la morte di Marsili ed alcuni problemi nei rapporti tra le fonti – 5. La formazione giuridica. Alla ricerca di una laurea in diritto canonico – 6. Ippolito Marsili contestato iuris utriusque doctor? ABSTRACT: The article presents the first part of a research on the biography of Ippolito Marsili (Bologna, 1451 ca. - 1530), focused on a few puzzling aspects of his life. After a recollection of the historiography on the jurist, a brief history of his family is presented, highliting its ties with the Milan Duchy, which will later involve Ippolito. I then analyze Marsili’s personal data, and a few problems in the sources concerning the date of his death. Finally, an account of Ippolito Marsili’s legal education is given: I will draw attention to his missing degree in iure canonico, and I will present a hypothesis of a possible contrast (involving Marsili and the Studium of Bologna) between legal corporative entities, concerning the power of awarding academic degrees. KEY WORDS: Ippolito Marsili – Biography – Legal education. 1. L’immagine frammentaria di Ippolito Marsili La figura di Ippolito Marsili non ha bisogno di molte presentazioni. Precursore della scienza penalistica moderna, autore di una fortunata Practica criminalis, il personaggio è assai noto alla storiografia giuridica: per il suo contributo dottrinale in materia di diritto e processo penale, innanzitutto; e più in particolare, con riguardo alle sue vicende professionali, per due circostanze significative nella storia dei criminalia: l’assunzione del primo insegnamento autonomo di diritto penale di cui si abbia notizia (a Bologna, 1509), e l’invenzione della peculiare forma di tortura della privazione del sonno, detta ‘veglia’. Il giurista bolognese, tuttavia, non è stato finora oggetto di uno studio organico. Certo, non mancano i contributi storiografici che lo riguardano, soprattutto in merito ai profili dottrinali: il suo nome ricorre regolarmente nelle esposizioni di ampio respiro su diritto e processo penale 1 , e fornisce un 1 Fra cui si possono ricordare, senza pretesa di esaustività: A. Allard, Histoire de la justice criminelle au seizième siècle, Gand-Paris-Leipzig 1868 (rist. anast. Aalen 1997), pp. 403-04; C. Calisse, Svolgimento storico del diritto penale in Italia dalle invasioni barbariche alle riforme del secolo XVIII, in E. Pessina (cur.), Enciclopedia del diritto penale italiano. Raccolta di monografie, II, Milano 1906, pp. 3-538; G. Salvioli, Storia della procedura civile e criminale, parti prima e seconda, in Storia del diritto italiano, pubblicata sotto la direzione di P. Del Giudice, III, Milano 1925-27; A. Marongiu, Tiberio Deciani (1509-1582). Lettore di diritto, consulente, criminalista, parte seconda: Il “Tractatus criminalis”, in “Rivista di storia del diritto italiano”, VII (1934), fasc. 2, pp. 312-87, spec. pp. 312-20; P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, I, Milano 1953, in part. pp. 114-79; F. Cordero, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Roma-Bari 1985, spec. pp. 280 ss; relativamente ai modelli processuali, ma con ampia ricognizone dottrinale, E. Dezza, Accusa e

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Francesco Godano

L’enigmatica biografia di Ippolito Marsili. Prime note: la sfera personale e la formazione

SOMMARIO: 1. L’immagine frammentaria di Ippolito Marsili – 2. La famiglia Marsili. – 3. Anagrafica di Ippolito Marsili – 4. In particolare: la morte di Marsili ed alcuni problemi nei rapporti tra le fonti – 5. La formazione giuridica. Alla ricerca di una laurea in diritto canonico – 6. Ippolito Marsili contestato iuris utriusque doctor? ABSTRACT: The article presents the first part of a research on the biography of Ippolito Marsili (Bologna, 1451 ca. - 1530), focused on a few puzzling aspects of his life. After a recollection of the historiography on the jurist, a brief history of his family is presented, highliting its ties with the Milan Duchy, which will later involve Ippolito. I then analyze Marsili’s personal data, and a few problems in the sources concerning the date of his death. Finally, an account of Ippolito Marsili’s legal education is given: I will draw attention to his missing degree in iure canonico, and I will present a hypothesis of a possible contrast (involving Marsili and the Studium of Bologna) between legal corporative entities, concerning the power of awarding academic degrees. KEY WORDS: Ippolito Marsili – Biography – Legal education.

1. L’immagine frammentaria di Ippolito Marsili La figura di Ippolito Marsili non ha bisogno di molte presentazioni.

Precursore della scienza penalistica moderna, autore di una fortunata Practica criminalis, il personaggio è assai noto alla storiografia giuridica: per il suo contributo dottrinale in materia di diritto e processo penale, innanzitutto; e più in particolare, con riguardo alle sue vicende professionali, per due circostanze significative nella storia dei criminalia: l’assunzione del primo insegnamento autonomo di diritto penale di cui si abbia notizia (a Bologna, 1509), e l’invenzione della peculiare forma di tortura della privazione del sonno, detta ‘veglia’.

Il giurista bolognese, tuttavia, non è stato finora oggetto di uno studio organico. Certo, non mancano i contributi storiografici che lo riguardano, soprattutto in merito ai profili dottrinali: il suo nome ricorre regolarmente nelle esposizioni di ampio respiro su diritto e processo penale1, e fornisce un 1 Fra cui si possono ricordare, senza pretesa di esaustività: A. Allard, Histoire de la justice criminelle au seizième siècle, Gand-Paris-Leipzig 1868 (rist. anast. Aalen 1997), pp. 403-04; C. Calisse, Svolgimento storico del diritto penale in Italia dalle invasioni barbariche alle riforme del secolo XVIII, in E. Pessina (cur.), Enciclopedia del diritto penale italiano. Raccolta di monografie, II, Milano 1906, pp. 3-538; G. Salvioli, Storia della procedura civile e criminale, parti prima e seconda, in Storia del diritto italiano, pubblicata sotto la direzione di P. Del Giudice, III, Milano 1925-27; A. Marongiu, Tiberio Deciani (1509-1582). Lettore di diritto, consulente, criminalista, parte seconda: Il “Tractatus criminalis”, in “Rivista di storia del diritto italiano”, VII (1934), fasc. 2, pp. 312-87, spec. pp. 312-20; P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, I, Milano 1953, in part. pp. 114-79; F. Cordero, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Roma-Bari 1985, spec. pp. 280 ss; relativamente ai modelli processuali, ma con ampia ricognizone dottrinale, E. Dezza, Accusa e

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considerevole termine di raffronto per gli studi sulla penalistica intermedia, segnatamente per i più celebri autori della cd. ‘grande criminalistica’ italiana del Cinquecento2; delle sue opiniones, poi, si servono ampiamente le indagini relative ai più vari ambiti della normativa penalistica di diritto comune3. I risultati di siffatte ricerche attendono però ancora di essere annodati in un quadro unitario, che abbracci i diversi aspetti della vita e del pensiero del giurisperito.

“Marsili andrebbe ‘riscoperto’, letto e studiato”, affermava recisamente Mario Sbriccoli non molti anni or sono4. È un punto di osservazione affascinante, in

inquisizione. Dal diritto comune ai codici, Milano 1989; Id., Lezioni di storia del diritto penale, Pavia 2013; M. Sbriccoli, Giustizia criminale, in M. Fioravanti (cur.), Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, Roma-Bari 2002, pp. 163-205, ora in M. Sbriccoli, Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Milano 2009, I, pp. 3-46; I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino 2002, in part. le brevi ma dense pp. 253-69, dedicate alla scienza penale; M. Pifferi, La criminalistica, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Ottava appendice. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, Roma 2012, pp. 141-48; M.N. Miletti, Diritto e processo penale: storia di una dialettica tra antico e nuovo regime, in F. Danovi (cur.), Diritto e processo: rapporti e interferenze, Torino 2015, pp. 9-53; L. Garlati, Per una storia del processo penale: le Pratiche criminali, in “Rivista di Storia del diritto italiano”, LXXXIX (2016), pp. 61-109.

2 Vedi ad es. G.P. Massetto, La prassi giuridica lombarda nell’opera di Giulio Claro (1525-1575), in Confluence des droits savants et des pratiques juridiques. Actes du Colloque de Montpellier, 12-14 décembre 1977, Milano 1979, pp. 491-546; Id., I reati nell’opera di Giulio Claro, in “Studia et Documenta Historiae et Iuris”, XLV (1979), pp. 328-503; M.G. di Renzo Villata, Egidio Bossi, un grande criminalista milanese quasi dimenticato, in Ius mediolanum. Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996, pp. 365-616; M. Cavina (cur.), Tiberio Deciani (1509-1582). Alle origini del pensiero giuridico moderno, Atti del convegno (Udine, 12-13 aprile 2002), Udine 2004; M. Pifferi, Generalia delictorum. Il Tractatus criminalis di Tiberio Deciani e la parte generale di diritto penale, Milano 2006; relativamente ad un periodo successivo v. L. Garlati, Inseguendo la verità. Processo penale e giustizia nel Ristretto della prattica criminale per lo Stato di Milano, Milano 1999.

3 Per fare solo qualche esempio: G.Alessi Palazzolo, Prova legale e pena. La crisi del sistema tra evo medio e moderno, Napoli 1979; P. Marchetti, Testis contra se. L’imputato come fonte di prova nel processo penale dell’età moderna, Milano 1994; L. Garlati, Il “grande assurdo”: la tortura del testimone nelle Pratiche di età moderna, in “Acta Histriae”, XIX (2011), fasc. 1-2, pp. 81-104; M.N. Miletti, Il nemico capitale. La repulsa del testimone nelle pratiche d’età moderna, in “Acta Histriae”, XIX (2011), fasc. 1-2, pp. 105-126; G. Chiodi, Crimini enomi e tortura ex processu informativo. Una violazione del diritto di difesa dell’imputato?, in “Glossae”, 2016, pp. 71-107; A Bassani, Udire e provare. Il testimone de audito alieno nel processo di diritto comune, Milano 2017.

4 M. Sbriccoli, “Lex delictum facit”. Tiberio Deciani e la criminalistica italiana nella fase cinquecentesca del penale egemonico, in M. Cavina (cur.), Tiberio Deciani, cit., p. 106, nt. 38. L’auspicio si giustificava, secondo il grande storico maceratese, “se non altro” con il fatto che Marsili “incarna l’asse di snodo, per così dire, tra la fase dei Tractatus (quella che inizia con Alberto da Gandino ed arriva fino ad Angelo da Arezzo, e che fa ancora i conti con il penale negoziato, incrostato nelle prassi e incistato nell’accusatorio) e la fase del penale ormai egemonizzato dalle formazioni statali, rappresentato dalle Practicae cinquecentesche”. Al di là dell’inquadramento un po’ secco dei caratteri delle due fasi (accusa e inquisizione, apparati e prassi negoziali), la partizione individua comunque in modo efficace, credo, la posizione di Marsili fra le due epoche. Si noti peraltro come il passo in questione rappresenti al tempo stesso, in modo singolare, una chiara testimonianza dell’interesse episodico che la storiografia ha riservato a Marsili: si tratta di una lunga nota, piuttosto estemporanea rispetto al discorso principale, che appare quasi come un appunto, fatto a sé e ai lettori, per un futuro approfondimento. Più di recente, sul giurista felsineo ha espresso analoghe considerazioni M.G. di Renzo Villata, Alle origini di una scienza criminalistica laica matura: l’apporto dei canonisti quattrocenteschi. Riflessioni brevi, in O.

Condorelli - F. Roumy - M. Schmoeckel (curr.), Der Einfluss der Kanonistik auf die europaische Rechtskultur,

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effetti, quello che ci offre il criminalista felsineo. Vissuto a cavaliere fra XV e XVI secolo, attivo in diverse località dell’Italia settentrionale, egli partecipa pienamente delle trasformazioni che investono il mondo giuridico fra evo medio e moderno: esercita la sua professione fra l’ambiente comunale in declino e gli incipienti organismi statuali, in bilico fra l’autonomia della classe dei giuristi e le burocrazie amministrative e giurisdizionali; la sua mentalità è immersa nel metodo scolastico, ma intercetta alcune linee della razionalità moderna, afferrando anche – come detto – una prima autonomia didattica della materia penale. Ci troviamo, insomma, in un crocevia storico di grande interesse, ancora in buona parte da esplorare5: ed il profilo di questo giureconsulto può senza dubbio contribuire ad illuminarne più chiaramente alcuni nodi problematici.

Si è così intrapresa una ricerca volta a fornire alcuni elementi per un possibile disegno organico di Ippolito Marsili: e ai lineamenti biografici è dedicato un versante dell’indagine, esplorato nella convinzione che siffatti aspetti dell’esperienza giuridica (l’ambiente di provenienza e l’itinerario professionale dell’uomo di legge, il rapporto con il ceto di appartenenza e con le istituzioni, i successi e le difficoltà) costituiscano dati essenziali6 per comprendere – in ogni epoca – il ruolo svolto dal giurista nella società, il potere che egli esercita, ed il modo in cui le sue idee si formano e si trasmettono7; e dunque per arricchire, in

III, Straf- und Strafprozessrecht, Ko ln-Weimar-Wien 2012, p. 10, rilevando come questi sia “ancora poco studiato nel complesso del suo pensiero e del suo apporto allo sviluppo della scienza criminale”.

5 Su diversi piani. La scienza giuridica del Quattrocento, specialmente della sua seconda parte, è tuttora poco conosciuta con riguardo al suo contributo speculativo (V. Piano Mortari, Gli inizi del diritto moderno in Europa, Napoli 1980, pp. 280-82; relativamente alla scienza penalistica, A. Cavanna, La codificazione penale in Italia. Le origini lombarde, Milano 1975, pp. 15-17; G. Zordan, Il diritto e la procedura criminale nel Tractatus de maleficiis di Angelo Gambiglioni, Padova 1976, p. 4). L’intero ambito del diritto e della scienza penale fra evo medio e moderno, d’altro canto, ha sofferto di un considerevole ritardo nell’elaborazione storiografica (I. Mereu, Storia del diritto penale nel ‘500. Studi e ricerche, I, Napoli 1964, p. 75, e nt. 63, p. 135), ritardo al quale si sta oggi ponendo rimedio: con riguardo specificamente alla letteratura scientifica, D. Quaglioni, Alberto Gandino e le origini della trattatistica penale, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, XXIX (1999), 1, p. 59; L. Garlati, Per una storia del processo penale, cit., p. 71. Parimenti, il tema della funzione dei giuristi nell’età intermedia offre ancora largo spazio all’indagine (A. Padoa Schioppa, Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna 2003, p. 298).

6 Fra gli altri, evidenzia l’importanza degli studi biografici per ricostruire la funzione storica della giurisprudenza A. Padoa Schioppa, Italia ed Europa, cit., pp. 299-300: “il ruolo del giurista singolo, le sue origini sociali [...], i rapporti del giurista col potere e con le istituzioni, la coerenza o le contraddizioni della sua condotta e delle sue idee: tutto ciò può venir messo in luce solo per mezzo di quel genere storiografico [...] che è la biografia”. V. anche A. Cavanna, Il ruolo del giurista nell’età del diritto comune (un’occasione di riflessione sull’identità del giurista di oggi), in “Studia et documenta historiae et iuris”, XXXXIV (1978), p. 104; A. Padovani, Giovanni da Imola. Proposte di metodo storiografico e appunti per una nuova biografia, in M.G. di Renzo Villata (cur.), Lavorando al cantiere del ‘Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.)’, Milano 2013, pp. 79-84.

7 Sul problema cd. del ruolo del giurista, in particolare nell’età del diritto comune, v. L. Martines, Lawyers and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968; M. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Milano 1969; A. Padoa Schioppa, Sul ruolo dei giuristi nell’età del diritto comune: un problema aperto, in D. Segoloni Il diritto comune e la tradizione giuridica europea, Atti del convegno di studi in onore di Giuseppe Ermini (Perugia, 30-31 Ottobre 1976), Perugia 1980, pp. 155-66; ora in A. Padoa Schioppa, Italia ed Europa, cit., pp. 293-301; A. Cavanna, Il ruolo del

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una prospettiva più ampia, la nostra visione del ‘momento giurisprudenziale’ del diritto, dell’“incidenza operativa della mediazione giuridica nella vita dell’ordinamento”8.

Il presente contributo espone i primi risultati dell’analisi biografica, dedicati agli aspetti familiari e ‘anagrafici’ del giurista, e alla sua formazione giuridica. Si tornerà poi, in un secondo momento, sulla carriera professionale di Marsili, divisa fra l’insegnamento universitario e gli incarichi politici e giurisdizionali. A siffatta dimensione della ricerca si affianca poi – in un progetto concepito in maniera unitaria – un approfondimento della produzione scientifica e letteraria del criminalista bolognese, che spero di poter portare a compimento in tempi brevi.

È soprattutto nel campo biografico che il profilo di Ippolito Marsili si mostra oggi lacunoso. Se infatti le opere del giurista sono state raggiunte (pur sempre in modo circostanziato) da numerose incursioni storiografiche, le ricerche sulla sua vita sono davvero esigue: di conseguenza, il quadro biografico del personaggio – nonostante le recenti ricapitolazioni9 – è ancora costituito, nei suoi elementi essenziali, dei dati raccolti da eruditi e giuristi-biografi fra XVI e XVIII secolo10.

giurista, cit.; M. Ascheri, Il ‘dottore’ e lo statuto: una difesa interessata?, in “Rivista di storia del diritto italiano”, LXIX (1996), pp. 95-113.

8 A. Cavanna, Il ruolo del giurista, cit., p. 96. Sul tema della giurisprudenzialità del diritto mi limito a rinviare a L. Lombardi, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano 1967 (con riguardo in particolare al diritto intermedio pp. 79-199).

9 Le voci dizionariali di cui alla nt. 13.

10 Queste le principali fonti in cui si rinvengono tracce biografiche di Ippolito Marsili. Per quanto riguarda i repertori familiari, lo nominano P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, con le loro insegne, e nel fine i cimieri, centuria prima, con un breve discorso della medesima città, Bologna 1670, pp. 536-37; Biblioteca universitaria di Bologna [d’ora in poi BUB], ms. 4207, Montefani, Delle famiglie bolognesi, vol. 56, p. 223; G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie italiane nobili e notabili estinte e fiorenti, Bologna 1886, II, p. 87. Lo si ritrova negli alberi genealogici: Biblioteca comunale dell’Archiginnasio [d’ora in poi BCAB], ms. B.698/2, Carrati, Alberi genealogici delle famiglie di Bologna, vol. 1, p. 79; Archivio di Stato di Bologna [d’ora in poi ASBo], ms. Guidicini, Alberi genealogici, 81. Nell’alveo delle opere bio-bibliografiche, oltre al Fantuzzi (v. nt. successiva), lo segnalano G. Panzirolus, De claris legum interpretibus libri quatuor, Venetiis 1637, II, p. 291; G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori bolognesi di legge canonica e civile, dal principio di essi e per tutto l’anno 1619, con li viventi per ordine del loro dottorato, et un’appendice, dichiaratione e correttione, e tre tavole, una delle dignità e cose curiose, l’altra delli cognomi de’ forestieri, e delli dottori, Bologna 1620., pp. 152-153; I.A. Bumaldus, Minervalia bononiensia civium anademata seu Bibliotheca bononiensis, cui accessit antiquiorum pictorum et sculptorum bononiensium brevis catalogus, Bononiae 1641, pp. 93-94; P.A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi e dell’opere loro stampate e manoscritte, Bologna 1714, p. 187; J.A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infime aetatis, Graz 1962, II, p. 253; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università, e del celebre Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna 1843, pp. 201-02; U. Chevalier, Répertoire des sources historiques du Moyen-âge. Bio-bibliographie, Paris 1905-1907, II, p. 3094; non è invece contemplato in T. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis pars posterior, curantibus F. Schulz, H. Kantorowicz, G. Rabotti, Bononiae 1968. Fra le cronache, ritroviamo Marsili in BUB, ms. 770, Ghiselli, Memorie antiche manuscritte di Bologna, vol. 13, f. 513r; L. Alberti, Historie di Bologna. 1479-1543, a cura di A. Antonelli e M.R. Musti, Bologna 2006, II, p. 572; assente invece in F. dalla Tuata, Istoria di Bologna. Origini - 1521, 3 tomi, a cura di A. Antonelli e B. Fortunato, Bologna 2005; G. Gigli, Cronica. 1494-1513, a cura di B. Fortunato, Bologna 2008. Nel novero dei lavori di carattere più solidamente storiografico, si limita a nominare il criminalista G.

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Anche siffatti contributi, in massima parte, hanno trattato di Marsili in modo piuttosto sommario: dai più celebri (come quelli di Panciroli o di Fabricius) ai meno conosciuti, essi si limitano di norma ad un rapidissimo schizzo dei dati anagrafici, dell’attività nella scuola e nel foro, delle opere principali. Un quadro più dettagliato lo fornisce l’erudito settecentesco Giovanni Fantuzzi, nelle sue Notizie degli scrittori bolognesi11, in cui le informazioni fornite dai predecessori vengono riassunte ed ampliate, anche attingendo di prima mano alle fonti. Pur risalenti nel tempo, queste Notizie offrono un’immagine sufficientemente nitida delle vicende cardinali del personaggio: in assenza di approfondimenti successivi, pertanto, l’opera si è consolidata come il punto di riferimento biografico su Ippolito Marsili, e ad essa hanno fatto costantemente riferimento gli studiosi che, in vario modo, si sono accostati al giurista12, fino alle ultime voci del Dizionario biografico degli italiani e del Dizionario biografico dei giuristi italiani13.

Punto di partenza della ricerca, pertanto, è stata la ricognizione sistematica di questo complesso bibliografico; di seguito, si è proceduto ad integrarne i risultati con altre fonti letterarie, da un lato, e dall’altro iniziando uno spoglio – ancora parziale – della documentazione d’archivio relativa al nostro personaggio: in particolare, ho preso in considerazione il fondo relativo alla famiglia Marsili e quello dello Studio bolognese, conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna, insieme alle fonti archivistiche dei luoghi dove Marsili ha esercitato i suoi incarichi pubblici, nello specifico Milano, Lugano, Albenga, Faenza14.

L’indagine finora compiuta ha consentito di ampliare il panorama delle nostre conoscenze, e di correggerlo per qualche aspetto; ma ha soprattutto lasciato emergere diversi elementi problematici, che si estendono anche a Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano 1822-24, VI, parte 2ª, p. 852 (Fantuzzi indica invece p. 433 dello stesso tomo, ma il riferimento è errato); nessuna traccia di Marsili, infine, in C. Ghirardacci, Historia di Bologna. Parte terza, pubblicata per cura di A. Sorbelli, 2 tomi, Bologna 1933.

11 G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, 9 tomi, Bologna 1781-94. Il criminalista è descritto nel tomo V, 1786, pp. 280-86.

12 Ricapitoliamo qui le opere della storiografia giuridica che hanno offerto un profilo biografico del criminalista bolognese. Si limita ad una manciata di notizie A. Marongiu, Tiberio Deciani, cit., pp. 316-17; più estesamente P. Fiorelli, La tortura giudiziaria, cit., I, pp. 149-151; F. Cordero, Criminalia, cit., pp. 290-96; v. anche G. Ermini, Marsili, Ippolito de’, in Enciclopedia italiana Treccani, XXII, Roma 1934, pp. 423-24. Con riguardo, in particolare, alla cattedra di ius criminale, v. M. Cavina, La bilancia e la spada: Ippolito Marsili e le origini bolognesi dell’insegnamento criminalistico, in Ai confini del problema criminale. Saggi storico-giuridici, Bologna 2015, pp. 9-15. Al di fuori dell’ambito prettamente giuridico, v. E. Orioli, Contratto per correzione di stampe nel sec. XV, in “L’Archiginnasio. Bullettino della Biblioteca comunale di Bologna”, V (1910), n. 1, pp. 4-5; per completezza, infine, si può rilevare come Marsili sia assente dal Dizionario dei bolognesi di G. Bernabei, Bologna 1989-90 (a differenza di quanto asserisce L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit. alla nt. successiva, p. 767, nell’elenco della bibliografia).

13 L. Pallotti, Marsili Ippolito, in Dizionario biografico degli italiani, LXX, Roma 2008, pp. 764-767; M. Cavina, Marsili Ippolito, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.), Bologna 2013, II, pp. 1286-87.

14 Identificheremo precisamente tutti questi strumenti, qui solo presentati, a mano a mano che li incontreremo nel corso dell’esposizione.

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tematiche ‘laterali’ rispetto alla figura del giureconsulto. Come il titolo di questo lavoro mira ad evidenziare, infatti, non appena si tenti di osservarlo più da vicino questo eminente rappresentante della scientia iuris si fa subito piuttosto sfuggente: ogni dato acquisito nella ricerca, si può dire, ha portato nel quadro complessivo interrogativi insoliti, a volte circondati di un’aura misteriosa. La circostanza, se contribuisce a spiegare perché, nel tempo, non molto si sia raccolto sul suo conto, d’altro canto porge diversi spunti alla riflessione odierna sul criminalista, e sulla scienza giuridica del tempo.

2. La famiglia Marsili Al fine di inquadrare più chiaramente il discorso, è utile soffermarsi in limine

sull’ambiente familiare del giurista. La famiglia Marsili fa parte dell’aristocrazia che si afferma a Bologna nel

corso dell’età moderna15. Facoltoso ed influente, il casato non fu però fra quelli di spicco nella vita cittadina, fra i componenti della “inner oligarchy”16: la sua fama è legata soprattutto al suo più illustre esponente, Luigi Ferdinando Marsili, scienziato e uomo militare vissuto a cavaliere del Settecento, fondatore dell’Istituto delle Scienze di Bologna, importante centro di studio e divulgazione scientifica17. Al di là di questo personaggio (oggetto di cospicue indagini), le vicende della famiglia non sono state granché esplorate, né per parte erudita, né per parte della moderna storiografia18 (la quale d’altronde, più in generale, non ha dedicato grande attenzione alle ricerche sulle singole famiglie patrizie)19: l’unico studio di una certa organicità, a riguardo, è stato effettuato da Romolo Dodi in occasione di un più ampio lavoro sul castello di San Martino in 15 L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 764.

16 Vedi L. Martines, Lawyers and Statecraft, cit., p. 5.

17 L’Istituto, fondato nel 1711, è tuttora operante. Per un profilo del suo fondatore, si veda G. Gullino - C. Preti, Marsili Luigi Ferdinando, in Dizionario biografico degli italiani, LXX, Roma 2008, pp. 771-781 (lettura davvero piacevole, va detto: il personaggio ebbe infatti una vita straordinariamente ricca e avventurosa).

18 In realtà, sfogliando i cataloghi bibliografici, si ha l’impressione di una produzione abbondante sul tema: ma ci si accorge in fretta che quasi tutti i contributi scientifici riguardano singoli componenti della famiglia, ed in massima parte, appunto, il suddetto Luigi Ferdinando.

19 Nonostante i casati nobiliari siano comunemente giudicati un fattore primario nell’evoluzione della storia europea, specialmente a partire dall’età moderna (A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, Bologna 2007, pp. 224-25), in Italia, a differenza di altri paesi, siffatto tipo di ricerche si è sviluppato soprattutto nel contesto di iniziative volte più che altro alla riaffermazione del prestigio familiare ed alla rivendicazione dello status nobiliare, distogliendo l’attenzione da un approfondimento storiografico più rigoroso: M. Fanti, Introduzione a G. Malvezzi Campeggi (cur.), Malvezzi. Storia, genealogia e iconografia, Roma 1996, p. V. Come nota lo stesso Fanti, peraltro, nemmeno sono mancati validi cultori della materia: v. ad es. i monumentali studi di Pompeo Litta Biumi; G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit.. La moderna storiografia, peraltro, tende a considerare il fenomeno della nobiltà prescindendo dalla catalogazione delle singole famiglie, per considerarlo nella sua globalità, all’interno di specifici ambiti regionali o cittadini: v. fra gli altri gli studi raccolti in G. Duby - J. Le Goff (curr.), Famiglia e parentela nell’Italia medievale, Bologna 1981.

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Soverzano, in provincia di Bologna, che fu per qualche tempo proprietà dei nostri Marsili20; oltre ad esso, per tratteggiare il contesto in cui è nato e cresciuto Ippolito si sono qui raccolte le – scarne – informazioni che ci forniscono i lavori sulle famiglie bolognesi, insieme a ciò che qua e là si ricava da documenti d’archivio, cronache, repertori, ‘storie generali’ di Bologna, e così via21.

Le più antiche tracce della famiglia Marsili (o Marsigli)22 risalgono alla fine del XIII secolo, quando le fonti iniziano a registrare la presenza di alcuni suoi membri a Bologna23. La provenienza di questi primi esponenti è incerta, oscillando nei documenti fra Modena (di cui sarebbero esuli guelfi)24, Budrio, paese del contado bolognese25, e la Toscana26.

20 Si tratta di R. Dodi, Cenni storico-genealogici intorno alle famiglie proprietarie del castello di San Martino in Soverzano, in M. Fanti (cur.), Il castello di San Martino in Soverzano, I. La storia e le famiglie, Bologna 2013, pp. 205-79. Lo scritto, in realtà, non si occupa di tutta l’articolazione familiare: proprietari del castello furono infatti i Marsili Duglioli, uno dei due rami in cui, a partire dal Seicento, la famiglia si era scissa (lo diremo infra); pertanto, dopo aver descritto l’evoluzione unitaria dei Marsili, medievale e cinquecentesca, Dodi si occupa poi solo del ramo Duglioli.

21 Riassumiamo i principali riferimenti documentali e bibliografici sulla famiglia Marsili. Fra i lavori orientati, in vario modo, alle strutture familiari (e dunque non a singoli componenti in quanto tali), notizie del casato si trovano soprattutto negli studi storico-genealogici eruditi sui gruppi parentali a Bologna: P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili, cit., pp. 534-41; BUB, ms. 4207, Montefani, Delle famiglie bolognesi, voll. 56 e 57; BCAB, Carrati, Alberi genealogici delle famiglie di Bologna, ms. B.698/2, p. 79 (la versione definitiva), e poi mss. B.701, p. 123, B.714, pp. 78-79, B.729, p. 7 (gli abbozzi); ASBo, ms. Guidicini, Alberi genealogici, 80-81; sempre del Carrati, ricordiamo per completezza i monumentali registri: BCAB, mss. B.849-B.882, Carrati, Cittadini maschi di famiglie bolognesi battezzati in S. Pietro come risultano dai libri dell’Archivio Battesimale, dal 1459 al 1809; BCAB, mss. B.900-906, Carrati, Li matrimoni contratti in Bologna. Fedelmente estratti da loro originali parrocchiali libri; BCAB, mss. B.910-B.928, Carrati, Li morti si Nobili che Civili e di Famiglie antiche della città di Bologna fedelmente estratti dalli Libri Parrocchiali; v. poi anche G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, ossia Storia cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, 5 voll., Bologna 1868-73. Oltre alle opere specificamente bolognesi, v. anche G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., II, pp. 87-88. In ambito più propriamente storiografico, oltre alle ricerche di Dodi (su cui v. supra), troviamo A. Sorbelli, Marsili (o Marsigli), in Enciclopedia italiana Treccani, XXII, Roma 1934, p. 423. Di altre opere e documenti, che si soffermano sulla famiglia Marsili solo occasionalmente, si darà conto nel prosieguo, all’occorrenza.

22 Le due dizioni sono usate alternativamente (con una certa prevalenza della prima, di cui anche noi ci serviamo) sia nelle fonti sia in letteratura.

23 R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., p. 253; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili, cit., p. 534.

24 Ancora R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., p. 253. I guelfi modenesi supportarono i Geremei - la famiglia rappresentante del guelfismo bolognese - negli scontri con la fazione opposta, incarnata nella famiglia Lambertazzi; scontri che raggiunsero l’apice proprio nella seconda metà del XIII secolo: A. Vasina, Dal Comune verso la Signoria (1274-1334), in O. Capitani (cur.), Storia di Bologna, 2. Bologna nel medioevo, Bologna 2007, p. 591. G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., II, p. 87 assegna invece i Marsili proprio alla “fazione lambertazza”, e dunque ghibellina; circostanza però poco verosimile, anche volendo disfarsi dell’ipotesi sulla provenienza modenese-guelfa (allo stato attuale non solidissima, in effetti, dato che proviene solo da un albero genealogico seicentesco, rintracciato da R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., p. 254): lo scontro fra Geremei e Lambertazzi si conclude infatti con la cacciata sanguinosa di questi ultimi, e dei loro alleati; nelle fonti che riguardano i Marsili, però, non c’è traccia di un loro coinvolgimento in queste vicende, pertanto, fossero stati effettivamente sostenitori dei Lambertazzi, si tratterebbe di sostenitori molto tiepidi; v. da ultimo S.R. Blanshei, Politica e giustizia a Bologna nel tardo medioevo, Roma 2016, p. 58; pp. 175 ss..

25 R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., p. 277, nt. 274, che però sembra considerarla un’altra famiglia,

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La famiglia si inserisce agevolmente nelle strutture istituzionali del maturo comune, andando ad occupare diverse posizioni in campo politico e militare: i suoi membri esercitano con una certa continuità la carica di Rettore del ponte sul fiume Reno, ufficio che gestiva il transito (con relativi dazi) delle merci che andavano e venivano per Bologna via fiume27; a partire dal 1398 entrano nelle fila dei Riformatori dello stato di libertà28, il massimo organo politico della città, e successivamente29 all’interno del Senato, l’apparato di creazione pontificia che va a sostituire i Riformatori nella prima metà del XVI secolo, con il consolidarsi definitivo del potere papale sul territorio30.

Lungo tutto il corso dell’età moderna, il Senato sarà espressione delle famiglie più potenti di Bologna, che governano la città di concerto con il Legato pontificio31; ed i Marsili, acquisendo (oltre al titolo nobiliare)32 un seggio senatorio permanente agli inizi del Cinquecento, faranno stabilmente parte di questa élite, detta appunto delle ‘famiglie senatorie’33. Sullo scorcio del XVII secolo la famiglia si divide in due rami: i Marsili Rossi, tuttora esistenti a Bologna, e i Marsili Duglioli, estintisi invece verso la fine dell’Ottocento; e ciascuno dei rami siederà per proprio conto in Senato34. Nel suo complesso,

pur con lo stesso nome; v. anche L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 764.

26 P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili, cit., p. 534.

27 R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., pp. 253-56; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili, cit., pp. 534-37.

28 Sul governo bolognese dei Riformatori dello stato di libertà, poi inglobati nel Senato, v. almeno P. Colliva, Bologna dal XIV al XVIII secolo: “governo misto” o signoria senatoria?, in A. Berselli (cur.), Storia della Emilia Romagna, II. L’età moderna, Bologna 1977, pp. 13-22; I. Robertson, Tyranny under the Mantle of St. Peter. Pope Paul II and Bologna, Turnhout 2002, pp. 31 ss.; v. anche G. Guidicini, I riformatori dello stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, 3 voll., Bologna 1876-77.

29 Il 6 agosto 1483 Giovanni di Giacomo Marsili, zio di Ippolito, diventa senatore in luogo di Bernardo Sassoni (G. Guidicini, I riformatori dello stato di libertà, cit., I, pp. 60-61). All’epoca la magistratura è ancora quella dei Riformatori, ma talvolta i suoi membri, nelle fonti, si ritrovano già sotto il nome di ‘senatori’ (ivi, pp. 7-8): motivo per cui si ripete, negli scritti che li riguardano, che i Marsili sono “famiglia senatoria a partire dal 1483” (G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., II, p. 87; L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 764).

30 P. Colliva, Bologna dal XIV al XVIII secolo, cit., p. 22.

31 Su questo reggimento, detto del ‘governo misto’, v. P. Colliva, Bologna dal XIV al XVIII secolo, cit., pp. 13-34; P. Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 1982; A. Gardi, Lo Stato in provincia. L’amministrazione della Legazione di Bologna durante il regno di Sisto V (1585-1590), Bologna 1994; A. De Benedictis, Repubblica per contratto. Bologna: una città europea nello Stato della Chiesa, Bologna 1995.

32 Della nobiltà dei Marsili, però, non si hanno notizie granché precise, almeno per quanto ho potuto vedere. P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili, cit., pp. 540-41, inizia a premettere i titoli di conte e marchese, per alcuni componenti della famiglia, a partire dal 1587; G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico, cit., II, p. 87, si limita a dire che “ebbero titolo di conte e di marchese nel XVII secolo”.

33 R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., p. 256.

34 Con alterne vicende, che si ritrovano sparse nelle fonti, e sono individuate sinteticamente in BCAB, ms. B.698/2, Carrati, Alberi genealogici delle famiglie di Bologna, I, p. 79; l’arbor rappresenta anche le ulteriori articolazioni interne dei due rami familiari.

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come detto, il casato non assumerà un ruolo di primissimo piano nelle vicende politico-istituzionali della città: il suo prestigio rimane invece legato al campo scientifico e culturale, per l’opera in primis di Luigi Ferdinando e del ‘suo’ Istituto delle Scienze, ma anche di altri validi familiari35, e non ultimo del nostro Ippolito.

Concentriamo ora l’attenzione, appunto, sull’epoca del criminalista. Il periodo racchiuso fra la seconda metà del Quattrocento ed i primi anni del secolo successivo si caratterizza, in area bolognese, per l’ascesa e la caduta della signoria dei Bentivoglio36. Fra gli anni ‘50 e ‘60 del XV secolo Giovanni II Bentivoglio era riuscito ad affermare – almeno di fatto – il proprio potere sulla città, guadagnando una posizione autonoma dalla Chiesa (che pure rimase sempre, formalmente, sovrana) e tessendo una rete di equilibri con le altre potenze della penisola, interessate a sfruttare la collocazione strategica di Bologna nello scacchiere politico-militare37.

All’interno di questo processo, un ruolo fondamentale è giocato dal Ducato di Milano, in quegli anni sotto la guida della famiglia Sforza38, la quale instaura un vero e proprio patronato sulla città emiliana39. “Organica alla stabilità del regime”40, l’alleanza trova il suo apice durante i conflitti successivi alla congiura dei Pazzi (1478), che vedono il papa e il Ducato milanese l’uno contro l’altro: riuscendo a mantenere una difficile posizione di equilibrio, nel dicembre 1479 –

35 Fra cui possiamo menzionare: Cesare Marsili (1592-1633), uomo politico, ma anche matematico e astronomo, accademico dei Lincei e amico di Galileo Galilei, con il quale intrattenne un importante carteggio: v. M. Cavazza, Marsili Cesare, in Dizionario biografico degli italiani, LXX, Roma 2008, pp. 755-758; Antonio Felice Marsili (1651-1710), fratello di Luigi Ferdinando, ecclesiastico e cultore di biologia, promotore della vita culturale bolognese: M. Cavazza, Marsili Antonio Felice, in Dizionario biografico degli italiani, LXX, Roma 2008, pp. 751-755.

36 Sulla signoria dei Bentivoglio si vedano C.M. Ady, I Bentivoglio, Milano 1965; A. Sorbelli, I Bentivoglio signori di Bologna, a cura di M. Bacci, Bologna 1969; v. anche la bibliografia citata supra, nt. 28. Consolidatosi negli ultimi decenni del secolo, il dominio bentivolesco viene poi lacerandosi nel corso delle guerre d’Italia, e nel 1506 si arrende alle truppe di papa Giulio II, dando avvio al governo pontificio su Bologna.

37 “El centro de Jtalia”, come la chiamava il duca di Milano, alimentava nei maggiori poteri della penisola un forte interesse a mantenerle un ampio margine di autonomia rispetto ai progetti del papa sovrano, in modo che potesse meglio servire come strumento alle loro manovre egemoniche: M.N. Covini, Milano e Bologna dopo il 1455. Scambi militari, condotte e diplomazia, in M. Del Treppo (cur.), Condottieri e uomini d’arme nell’Italia del Rinascimento (1350-1550), Napoli 2001, pp. 166-67.

38 Sul Ducato di Milano in età sforzesca v. in generale Storia di Milano, VII. L’età sforzesca. Dal 1450 al 1500, Milano 1956.

39 C.M. Ady, I Bentivoglio, cit., spec. pp. 86 ss.; molto accurata e dettagliata M.N. Covini, Milano e Bologna, cit., pp. 165-214.

40 Così sintetizza M.N. Covini, Milano e Bologna, cit., p. 214. Uno degli episodi decisivi per la signoria bolognese, ad esempio, consiste nel braccio di ferro svoltosi nel 1466 fra i Bentivoglio e papa Paolo II, intento a ridimensionare la portata dei celebri Capitoli firmati dalla città con Niccolò IV (1447): il conflitto viene risolto proprio in seguito all’intervento (armato) del duca Francesco Sforza, che persuade il pontefice a riconoscere le prerogative dei signori bolognesi (C.M. Ady, I Bentivoglio, cit., p. 87; A. Sorbelli, I Bentivoglio, cit., p. 61).

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all’indomani della presa di Milano da parte di Ludovico Sforza41 – il Bentivoglio ottiene come ricompensa dai duchi la signoria dei castelli lombardi di Covo a Antignano, con relativo titolo di conte42; l’episodio segna il momento di maggior prestigio di Giovanni, il quale, di ritorno da Milano, al suono di campane festanti “fu in quel giorno [...] cominciato ad esser chiamato Signore”43 da tutti i bolognesi.

Sostiene l’erudito Dolfi che, fra i compagni di questo viaggio milanese, Giovanni Bentivoglio avesse coinvolto anche Giovanni di Giacomo Marsili, uomo politico e diplomatico, zio del nostro Ippolito44. Non sappiamo, dalle fonti, quale sia stato il suo ruolo, né quali fossero, più in generale, i suoi rapporti con gli Sforza; tuttavia, è assai probabile che nel frangente Giovanni Marsili abbia approfittato delle opportunità che il patronato ducale poteva offrire – nell’indotto, per così dire, dell’alleanza con i bolognesi – in termini di benefici, condotte, incarichi, ecc..45

In quegli anni, i Marsili sono una famiglia ancora in ascesa, in cerca di spazi per affermarsi, e Giovanni Marsili è uno dei protagonisti di questa ascesa (è proprio lui, tra l’altro, a guadagnare il rango senatorio che poi si farà stabile in capo alla famiglia)46; difficile non pensare, allora, ad una sua intercessione a favore del nipote presso la corte sforzesca. Poco tempo dopo il suddetto viaggio, infatti – presumibilmente nei primi mesi del 1480 – un giovane, neo-laureato Ippolito Marsili prende servizio a Lugano, in territorio lombardo, come vicario del Capitano della Valle omonima. È il primo incarico della sua carriera, il primo di una serie di officia ricoperti alle dipendenze ducali47. Come si vedrà nella parte successiva del lavoro, con gli Sforza il nostro giurista avvierà un rapporto decisivo per la sua formazione ed il suo prestigio di iudex maleficiorum; un rapporto che incarna in maniera efficace gli equilibri politici che veniamo descrivendo, e fornisce qualche indicazione suggestiva – cercherò di mostrarlo – sulla posizione del giurista negli apparati statuali in via di costruzione.

Nei vincoli ‘signorili’ della sua famiglia, dunque, all’interno delle vicende che portano al potere il Moro, Ippolito Marsili trova la sua rampa di lancio48. 41 F. Catalano, Il Ducato di Milano nella politica dell’equilibrio, in Storia di Milano, cit., pp. 334 ss..

42 A. Sorbelli, I Bentivoglio, cit., pp. 72-73. La ricompensa è concessa da Gian Galeazzo Sforza, ancora formalmente duca, e dalla madre Bona di Savoia. Dietro di essi, però, possiamo probabilmente vedere la mano di Ludovico, ormai di fatto al comando del Ducato.

43 E proprio, nota il cronachista dell’epoca, “per aver avuto il dominio delle dette castella et anche per dargli questo honorato titolo et farlo maggiore nella fattione sua”; così A. Sorbelli, I Bentivoglio, cit., p. 73, riferendosi alla cronaca del Ramponi.

44 P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili, cit., p. 537. Sul personaggio v. anche R. Dodi, Cenni storico-genealogici, cit., p. 256.

45 M.N. Covini, Milano e Bologna, cit., p. 214.

46 V. retro, nt. 29.

47 M. Cavina, Marsili Ippolito, cit., p. 1286.

48 E lo zio Giovanni avrà un ruolo anche nell’assunzione del nipote da parte dell’Alma mater, figurando fra i Riformatori dello Studio proprio nell’anno della prima condotta di Ippolito Marsili nello Studium.

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Successivamente, il suo percorso si snoderà in maniera relativamente autonoma dalle vicende familiari: impegnato nelle attività del foro, da un lato, e nello Studio bolognese, dall’altro, il giurista non si mostra – almeno nei documenti che conosciamo – interessato a partecipare alla vita ‘pubblica’ della famiglia; lo troviamo al massimo ad amministrarne i beni49, ma non a ricoprire cariche politico-istituzionali come rappresentante del patriziato bolognese. Più in generale, egli non appare mai come protagonista di vicende politiche di rilievo, nel contesto familiare come al di fuori, a Bologna o altrove; Ed anzi, quando ne viene coinvolto, sembra esserlo suo malgrado50.

È insomma nella veste eminente del giurista – nel modo ‘mediato’ che caratterizza l’azione primaria del ceto intellettuale, e mai ‘da politico’51 – che Ippolito Marsili contribuisce al consolidarsi del prestigio della famiglia. Cerchiamo allora di osservare meglio questo contributo, entrando finalmente nella biografia del personaggio.

3. Anagrafica di Ippolito Marsili Secondo la tradizione biografica, più sopra descritta, che si è affermata fino ai

giorni nostri, Ippolito Marsili nasce a Bologna nel 1450. Nel 1480 si laurea in utroque iure a Bologna, e di lì a poco inaugura la sua doppia attività professionale: assume diversi incarichi pubblici nel nord Italia, ed in particolare a Milano, a Lugano, ad Albenga, fino ai primi anni ‘90 del XV secolo; parallelamente, inizia il suo insegnamento nello Studio bolognese, che proseguirà, in modo pressoché continuo, nel corso di tutta la sua vita, insieme alle attività di avvocato e di consiliator. Dal 1509 al 1513 è chiamato a tenere, sempre a Bologna, il primo corso specificamente dedicato ai criminalia. Muore nella sua città nel 1529. Oltre ai consilia, scrive diverse repetitiones, soprattutto sul Codex, alcuni tractatus (fra cui il celebre De quaestionibus), una raccolta di Singularia, e negli anni ‘20 del Cinquecento compone la sua opera più famosa, la Practica criminalis, detta Averolda.

Posto questo quadro sintetico delle nostre conoscenze, si possono innanzitutto effettuare alcune considerazioni sui dati più strettamente ‘anagrafici’.

49 In ASBo, Marsili, Strumenti e scritture, 148 Note d’instromenti appartenenti alla casata de Marsili (secc. XV-XVIII), passim, si incontrano diverse compravendite, transazioni, convenzioni, per lo più in materia immobiliare e fondiaria.

50 Nel 1499, ad esempio, il governo dei Sedici dovette vincere le sue resistenze per convincerlo ad emanare - cosa che fece di malavoglia - un consilium pro parte in una causa che aveva avuto risonanza in città. Di questi aspetti riparleremo nel contributo successivo.

51 Le due vesti, come noto, in molti altri protagonisti della vita intellettuale si sovrappongono: fra gli altri v. O. Capitani (cur.), Cultura universitaria e pubblici poteri a Bologna dal XII al XV secolo, Atti del 2° Convegno, Bologna, 20-21 maggio 1988, Bologna 1990, in part. nell’introduzione dello stesso curatore, p. 15; v. anche L. Martines, Lawyers and Statecraft, cit., passim.

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La data di nascita di Ippolito Marsili è stata fissata dalla storiografia al 145052. Il dato è desunto strettamente da quello della morte, sulla base dell’iscrizione incisa sul suo sepolcro, la quale ci informa che l’autore “VIXIT ANN · LXXVIII · MEN · II // DIES · XI” fino ai primi di febbraio del 152953: la nascita ne segue dunque per semplice sottrazione aritmetica54. Come vedremo, la ricerca compiuta solleva diversi dubbi sull’iscrizione tombale e sulla data della morte, coinvolgendo dunque anche l’attendibilità del termine a quo della vita del giurista: i dati raccolti, tuttavia, non forniscono indicazioni per correggerla, se non in modo marginale e comunque dubbio55; né sul punto vengono in soccorso altre fonti, come quelle relative ai battesimi56.

Piuttosto, riveste un qualche interesse notare che, successivamente alla nascita, non si hanno notizie sul conto di Marsili fino all’anno della laurea, il 1480. Prima di quella data, nulla si conosce delle sue vicende, personali né formative – se non che, l’anno precedente (1479), si esercitò nell’attività di ‘proto’, ossia di correttore di bozze, per la stampa del commentario super quinto decretalium di Giovanni d’Anagni57; versione antica di un ‘lavoretto’ da studente,

52 Se non vedo male, è E. Besta, Fonti: legislazione e scienza giuridica dalla caduta dell’Impero romano al secolo decimosesto, in Storia del diritto italiano, pubblicata sotto la direzione di P. Del Giudice, vol. I, Milano 1923-25, parte 1ª, p. 865, il primo ad indicare la data nella sua nota telegrafica su Marsili; e così gli autori seguenti. Anteriormente, si indicava solo la durata della vita.

53 Per l’iscrizione v. infra nel testo. G. Panzirolus, De claris legum interpretibus, cit., p. 291, riporta solo gli anni, scrivendo però “LXXXVIIII”; l’indicazione è invece precisa in BUB, ms. 770, Ghiselli, Memorie antiche manuscritte di Bologna, vol. 13, f. 513r; ed in G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 283.

54 L’operazione non viene mai esplicitata nelle fonti; tuttavia, nemmeno si precisano altri e differenti criteri di determinazione della data di nascita: mi sembra pertanto indubbio che sia quella la logica utilizzata.

55 Spostando la data della morte dal 1529 al 1530, si potrebbe allo stesso modo far slittare la data di nascita dal 1450 al 1451: ma ciò presuppone di continuare ad utilizzare l’indicazione - relativa alla durata della vita - contenuta nell’iscrizione sepolcrale, la quale oggi non può considerarsi del tutto attendbile, sulla base di quel che diremo oltre.

56 Fino all’inizio del XX secolo, a Bologna, i battesimi dei nati in città (presumiamo qui che Ippolito non sia stato battezzato nel contado, posto che le vicende della famiglia si svolgono sempre in città) venivano celebrati tutti nella Cattedrale di San Pietro: cfr. M. Fanti, L’archivio del Battistero della Cattedrale di Bologna: origini e vicende, in G. Zacchè (cur.), Porta fidei. Le registrazioni pretridentine nei battisteri tra Emilia-Romagna e Toscana, Atti del convegno di Modena (8 ottobre 2013), Modena 2014, p. 75. Le registrazioni degli atti, però, fanno data solo a partire dal 1459, con ogni probabilità troppo in avanti per il nostro giurista. Per scrupolo, comunque, si sono controllati i registri fino a tutto il 1461, con esito negativo: Archivio arcivescovile di Bologna, Registri battesimali della Cattedrale, 1, a) 1459-1461. Per quanto riguarda i registri parrocchiali, che potrebbero contenere altre informazioni, per Bologna essi non rimontano oltre l’età tridentina: v. M. Fanti (cur.), Gli archivi delle parrocchie di Bologna soppresse. Inventario, Bologna 2006, ed in part. le considerazioni a p. 32, nt. 104.

57 L’episodio è riportato in E. Orioli, Contratto per correzione di stampe nel sec. XV, in “L’Archiginnasio. Bullettino della Biblioteca comunale di Bologna”, V (1910), 1, pp. 1-5. L’incarico di proto fu assegnato a Marsili dall’editore Henricus de Colonia, il primo stampatore tedesco (a detta di Orioli, pp. 3-4) a stabilirsi a Bologna, nel 1477. Il contratto - redatto da frate Girolamo Mamellini, dell’Ordine domenicano bolognese - è datato 18 giugno 1479, e impegna il futuro criminalista a correggere l’opera suddetta “ad arbitrium boni viri, idest viri periti” nel giro dei successivi quattro mesi; il compenso è fissato a quattordici ducati d’oro o l’equivalente della cifra in libri, a scelta del Marsili, il quale avrebbe

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si direbbe. Per il resto, sempre come scolaro, non risulta implicato (a Bologna o altrove) in disputationes o repetitiones58, né arruolato per tenere lecturae universitatis59, come invece accade di frequente fra i suoi colleghi. D’altro canto, poi, al momento del dottorato il giovane Ippolito dovrebbe avere trent’anni, o al più ventinove60: un’età abbastanza avanzata, considerando che – come vedremo – si tratta di un diploma nel solo diritto civile. Non è pertanto da escludersi, considerati questi elementi, che l’anno di nascita del criminalista sia in realtà da far scivolare in avanti di qualche anno: in assenza di altri dati, però, si tratta solo di una congettura.

Per quanto riguarda lo ‘stato di famiglia’, Ippolito Marsili è figlio di Carlo61, personaggio ignoto alle cronache bolognesi e fratello del suddetto Giovanni Marsili. Gli alberi genealogici di Carrati e Guidicini indicano come madre del criminalista una certa Giuditta Gradi o Grati62: l’indicazione è però con ogni probabilità da correggere, dovendosi sostituire Giuditta (che forse gli eruditi confondono con la moglie di Carlo figlio di Ippolito, e non padre)63 con Cecilia Zanettini64, di certo parente di Girolamo Zanettini (v. infra). Il Carrati annota un fratello di Ippolito, Marsiglio (anch’egli nel ramo giuridico, parrebbe)65, ma almeno altri due, Giacomo Filippo e Antonio, emergono dai registri

ricevuto a titolo di dono anche un esemplare del prodotto finale. Fra i testimoni del contratto è presente (ivi, pp. 2-3) anche Girolamo Zanettini, dottore di leggi nello Studio bolognese, altro zio di Ippolito, su cui v. infra nel testo.

58 Per Bologna v. C. Salterini (cur.), L’archivio dei Riformatori dello Studio. Inventario, Bologna 1997, pp. 138-150.

59 Ancora per Bologna v. U. Dallari (cur.), I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, I, Bologna 1888, pp. 113 e precedenti. Bisogna tuttavia precisare che le letture dell’Università, a quanto pare, erano solitamente concesse a studenti in condizioni economiche difficili, così da dispensar loro delle spese per il dottorato: ivi, prefazione, p. XII.

60 Retro, nt. 55.

61 La paternità è riportata fin da G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori bolognesi, cit., p. 152. E così gli autori successivi, quando si curano di segnalarla.

62 BCAB, Carrati, Alberi genealogici delle famiglie di Bologna, ms. B.698/2, p. 79; ASBo, ms. Guidicini, Alberi genealogici, 81. E la storiografia riprende l’informazione: L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 764.

63 ASBo, Marsili, Strumenti e scritture, 148 Note d’instromenti appartenenti alla casata de Marsili (secc. XV-XVIII), quaderno 3 (Repertori di scritture dai vacchettini Alidosi), f. non num. post f. 29, registra la dote di una certa “Giuditta Grati m. di Carlo Marsili”, con data 1521. V. infra, nt. 70.

64 ASBo, Marsili, Strumenti e scritture, 71 Instromenti diversi (secc. XIV-XVI), doc. 10, contiene il testamento, datato 23 agosto 1500, di “Cecilia Zanettini vedova del fu Carlo Marsigli, in cui fa erede per metà il Dottore Ippolito suo figlio”. Cecilia Marsili compare poi in un accordo con Ippolito, sempre relativo all’eredità del padre Carlo: ASBo, Marsili, Strumenti e scritture, 148 Note d’instromenti appartenenti alla casata de Marsili (secc. XV-XVIII), quaderno 1 (strumenti dell’Archivio pubblico), f. non num., 1489; e compare nei registri dei battesimi bolognesi come madre di quelli che dovrebbero essere i fratelli di Ippolito (v. nt. 66).

65 In ASBo, Comune-governo, 389 Libri partitorum (1490-1506), reg. 11, f. 12v, 24 marzo 1490, si legge che i Sedici riformatori bolognesi, accogliendone la supplicatio, “per omnes fabas albas suspenderunt per totum mensem aprilis proximi futuri omnes causas in quibus d. marsilius de marsilijs est procurator in omnibus et per omnia”.

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battesimali66. Gli stessi registri indicano S. Maria dei Carrari (detta anche dei Foscherari) come parrocchia di famiglia67.

Nei documenti d’archivio si è rintracciata la moglie di Ippolito, Andromaca de Michelis, di origine senese, che il Nostro dovrebbe aver sposato intorno al 148668. Per quanto riguarda i figli, l’albero genealogico di Carrati aveva indicato Lelio, Teodora, Scipione e Giovanni69: salvo quest’ultimo, che non si è mai incrociato, gli altri trovano tutti posto nei documenti dell’epoca, e ad essi bisogna aggiungere Carlo e Cornelia70. Fra le più ampie relazioni di parentela, va menzionato lo zio Girolamo Zanettini, civilista e canonista di una certa fama nello Studio bolognese, per molti fili legato ai Marsili71.

Ippolito vivrà a fasi alterne questa costellazione di affetti, impegnato nei primi tempi della sua professione fra lo Studium di Bologna e i tanti incarichi pubblici nel nord Italia, a cui si è fatto cenno. Di questa dimensione più intima, comunque, sappiamo al solito ben poco, se non che i figli dovettero dargli non poche preoccupazioni: due di loro, infatti, furono coinvolti in episodi di sangue, il primo (Scipione) accusato di assassinio e bandito nel 150272, il secondo (Lelio)

66 BCAB, ms. B. 849, Carrati, Cittadini maschi di famiglie bolognesi battezzati in S. Pietro come risultano dai libri dell’Archivio Battesimale, vol. I (1459-1469), annota tre battesimi di altrettanti bambini indicati come figli di Carlo Marsigli e Cecilia: Giacomo (o Giovanni?) Filippo, 6 aprile 1460 (f. 22); il già noto Marsiglio, 4 ottobre 1461 (f. 44); Antonio, 4 ottobre 1464 (f. 94).

67 Ibid.: come di norma, di fianco al nome del battezzato e alla data di nascita, nell’annotazione del registro si legge anche la ‘capella’ di appartenenza, oltre al nome di uno o più padrini. Sulla parrocchia, oggi soppressa, di S. Maria dei Carrari, v. M. Fini, Bologna sacra. Tutte le chiese in duemila anni di storia, Bologna 2007, p. 123.

68 ASBo, Marsili, Strumenti e scritture, 148 Note d’instromenti appartenenti alla casata de Marsili (secc. XV-XVIII), quaderno 1 (strumenti dell’Archivio pubblico), 1486: “transactio Cecilii de Marsiliis et Hippolyti et D. Andrei de Marsiliis [...] occasione dotis Andromachae de Michellis de Segnis uxori Hippolyti”. Il documento, estratto dalle copie degli atti dell’Ufficio del Registro (ASBo Ufficio del Registro, Copie degli atti), conferma gli estremi della vicenda, che vede Andromaca, minore di 25 anni (e la suocera Cecilia potrebbe averle fatto da tutrice) offrire una dote di 1500 monete d’argento.

69 BCAB, Carrati, Alberi genealogici delle famiglie di Bologna, ms. B.698/2, p. 79.

70 Rinviamo al solito ASBo, Marsili, Strumenti e scritture, 148 Note d’instromenti appartenenti alla casata de Marsili (secc. XV-XVIII): si veda ad es. ivi, quaderno 2 (Indice Masini), f. 5r: “Hippolitus de Marsiliis donatione a Corneglia sua figlia, 1523, 5 ottobre”; ancora ivi, fascicoletto con fogli sparsi, 1514: “confessione a Carlo di Ippolito Marsili per Sigismondo da Lucca”.

71 G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 280. Si è già detto della madre di Ippolito. Inoltre, Giulia Zanettini, figlia di Girolamo, sposò Vincenzo Marsili, altro zio di Ippolito per parte di padre: BCAB, Carrati, Alberi genealogici delle famiglie di Bologna, ms. B.698/2, p. 79. Su Girolamo Zanettini v. M.T. Guerrini, Zanettini Girolamo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.), Bologna 2013, II, pp. 2081-82.

72 Riferisce l’episodio F. dalla Tuata, Istoria di Bologna, cit., II, p. 440, in corrispondenza dell’anno 1502 si legge: “A dì 14 [settembre] fu morto Andrea de Mongardino da Sipion de m. Marsilio (sic!) di Marsilii e non se ne parlò”. In verità qualcuno ne parlò, dato che il podestà bolognese dell’epoca, Petrus Georgius de Arnulphis, bandì Scipione. Il cronista, poi, confonde evidentemente Ippolito con il fratello Marsilio, indicato come padre di Scipione: che si tratti del figlio del criminalista risulta in diversi punti della documentazione archivistica, ad es. nella decisione del governo bolognese, di qualche anno successiva, di concedere la grazia “Scipioni D. Hippolyti de Marsiliis bannito in amputatione capitis et confiscatione bonorum de anno 1502”, a seguito dell’intervenuta pace “ab

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assassinato, forse per rappresaglia, nel 151673. E sarebbe interessante, in uno sviluppo futuro, verificare se il nostro criminalista abbia avuto un ruolo nelle articolazioni giurisdizionali delle due vicende.

4. In particolare: la morte di Marsili ed alcuni problemi nei rapporti tra le

fonti Prima di passare alla formazione giuridica del giovane Ippolito, ci

soffermiamo un poco sul capo estremo delle sue vicissitudini. La morte di Marsili è infatti la prima delle circostanze che, come si diceva supra, si sono mostrate curiosamente problematiche nel corso della ricerca.

Analogamente alla data di nascita, anche quella di morte è ricavata dalla lapide celebrativa, collocata dal figlio Scipione sul sepolcro del giurista nella chiesa di San Domenico a Bologna. L’iscrizione è stata riportata sin dal Panciroli, e quasi tutti gli autori vi hanno poi fatto riferimento o l’hanno riprodotta, pur con qualche variazione.

Questo è ciò che si legge oggi, precisamente, nel chiostro della chiesa:

D · O · M HIPPOLYTO MARSILIO IURECONSULTO SCIPIO F · PATRI B · M · P · VIXIT ANN · LXXVIII · MEN · II DIES · XI OBIIT ANNO · M · D · XXVIIII VII · ID · FEBR

Ai giorni nostri, il monumento funebre non c’è più, e l’incisione si trova incastonata nella parete del chiostro. È possibile, pertanto, che si tratti di una copia della tavola originale: ma se anche così fosse, il contenuto non dovrebbe essere stato alterato. Del monumento esiste infatti un disegno, parte della raccolta di riproduzioni dei monumenta sepulchrorum realizzata nella seconda metà del XVI secolo da Tobias Fendt e Sigfried Rybisch74; considerata l’epoca di composizione, è ragionevole pensare che quel che il disegnatore avesse davanti fosse l’opera originale75. Il disegno in questione ricomprende anche l’iscrizione,

heredibus occisi”, i quali hanno richiesto che il bando fosse cancellato: ASBo, Comune-governo, 390 Libri partitorum, reg. 13, f. 85v, 5 gennaio 1508.

73 F. dalla Tuata, Istoria di Bologna, cit., II, p. 716, a. 1516: “A dì 29 [gennaio] fu morto Lelio de m. Ipolito de Marsilii, se chrede fuseno scholari, non se ne parlò, e lui avea morto deli altri che non se ne parlò”. V. anche BUB, ms. 4207, Montefani, Delle famiglie bolognesi, vol. 56, p. 228.

74 Si tratta di T. Fendt - S. Rybisch, Monumenta clarorum doctrina præcipuè toto orbe terrarum virorum collecta passim & maximo impendio cura & industria in æs incisa sumptu & studio nobilis viri D Sigefridi Rybisch, opera vero Tobie Fendt ciuis & pictoris Vratislauiensis etc. Editio tertia longè absolutissima, Francofurti ad Moenum, 1589. L’opera fu composta durante un viaggio in Italia degli autori, i quali copiarono diversi monumenti ed iscrizioni funerarie. La tomba di Marsili è riprodotta nel disegno n. 72.

75 L’opera è infatti edita a partire dal 1574, poco lontano dalla morte del giurista; è presumibile, dunque, che il monumento disegnato - iscrizione compresa - sia quello in cui effettivamente il

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ed essa corrisponde perfettamente a quella sopra riportata, i cui dati possono quindi considerarsi attendibili.

È a quest’iscrizione – annotata via via più precisamente – che gli eruditi e successivamente la storiografia hanno attinto per determinare la data di morte: dal “circiter annum MDXXV” di Panciroli, al 1528 di Ghiselli e Alidosi, questa si è poi stabilizzata al 1529 con Fantuzzi – che è anche il primo a riprodurre l’iscrizione in modo (quasi) fedele all’autentico76; ed in questa maniera si è trasmessa fino ad oggi77, senza essere suffragata da altre fonti.

1529 dunque, nel mese di febbraio; più precisamente, sette giorni alle idi di febbraio.

Le fonti relative all’insegnamento del iuris doctor, tuttavia, impongono di spostarne la morte al 1530. Un indizio in questo senso è già fornito dai cd. Rotuli dello Studio felsineo, che registrano anno per anno le assegnazioni delle varie cattedre78. In questi documenti, Marsili compare per l’ultima volta nell’a.a. 1529/30, incaricato della consueta lectura civilistica “de mane diebus festis”79: dal che dovrebbe dedursi che Marsili fosse ancora vivo nell’autunno 1529, nel periodo dell’anno in cui i Riformatori dello Studio compilavano i nuovi Rotuli80.

criminalista bolognese fu sepolto. Il tutto, naturalmente, salvi errori materiali.

76 G. Panzirolus, De claris legum interpretibus, cit., p. 291; BUB, ms. 770, Ghiselli, Memorie antiche manuscritte di Bologna, vol. 13, f. 513r; G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori bolognesi, cit., p. 153; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., pp. 282-83: dell’iscrizione del Fantuzzi manca solo il “VII” precedente a “ID · FEBR”; per il resto corrisponde a quella di S. Domenico.

77 L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 766; M. Cavina, Marsili Ippolito, cit., p. 1286.

78 I Rotuli sono oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna, divisi fra legisti (ASBo, Riformatori dello Studio, 3-9 Rotuli dello Studio, Legisti) e artisti (ASBo, Riformatori dello Studio, 10-16 Rotuli dello Studio, Artisti); cfr. C. Salterini (cur.), L’archivio dei Riformatori dello Studio, cit., pp. 9-31. I registri degli anni che vanno dal 1384 al 1799 (di artisti e legisti insieme) sono stati pubblicati da U. Dallari (cur.), I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, 4 voll., Bologna 1888-1924.

79 U. Dallari (cur.), I rotuli dei lettori, cit., II, p. 58, dove Marsili si vede ancora arruolato “ad lecturam Digesti veteris de mane diebus festis”. L’informazione corrisponde a quella del Rotulo originale: ASBo, Riformatori dello Studio, 4 Rotuli dello Studio, Legisti (a.a. 1495/96-1546/47), n. 83, a.a. 1529/30; così come a quella indicata nella minuta del Rotulo: ASBo, Riformatori dello Studio, 18 Registri dei riformatori (1515 - 1544), f. 60v. Il dato, del resto, non è sfuggito a chi, in vario modo, si è occupato di Marsili nella prospettiva della sua carriera universitaria: non si è però, rilevato questo, rilevata anche la discrasia con la data di morte. Ad esempio A. Sorbelli, Storia dell’Università di Bologna, I. Il medioevo (secc. XI-XV), Bologna 1940, p. 246, fornendo notizie del Nostro rilevava il 1530 - sulla base dei Rotuli - come ultimo anno di docenza. Anche A. Marongiu, Tiberio Deciani, cit., II, p. 316, trattando soprattutto degli insegnamenti di Marsili, volumi di Dallari alla mano, indicava cautamente il decesso “intorno al 1530”. Assai più di recente, L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., evidenzia analogamente l’estremo dei Rotuli, asserendo come l’insegnamento di Marsili si sia svolto “fino al 1530” (p. 765); ciononostante, attesta poi la morte del bolognese comunque nel 1529 (p. 766). Come chiariremo subito nel testo, non è corretto assegnare il termine ultimo effettivo dell’insegnamento al 1530 sulla base della semplice presenza nei Rotuli; ma qui interessava solo il rilievo dell’attestazione rotulare in sé, ed il (mancato) confronto con l’anno della morte.

80 Il Rotulo del 1529-30, citato alla nt. precedente, è datato “die ultima mensis Septemb. Millesimo quingentesimo vigesimo nono”.

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Limitandosi a fissare gli incarichi all’inizio dell’anno accademico, la fonte rotulare non consente, peraltro, di seguire l’effettivo svolgimento del corso. E nemmeno le minute dei Rotuli – che spesso aggiungono qualche informazione – si rivelano utili al nostro problema81. Ci si dovrebbe rivolgere, in proposito, ai cd. Quartironi degli stipendi, i documenti che annotavano i pagamenti versati ai docenti82 – sulla base della verifica della loro presenza effettiva alle lezioni, secondo il metodo delle punctationes83. Nel caso in esame, tuttavia, la fonte sembra rivelarsi poco attendibile: l’ultimo pagamento attestato per il criminalista risale infatti al dicembre 1530, come ultima tranche dello stipendio per l’a.a. 1529/1530; il giurista bolognese, però, con ogni probabilità quel corso non l’ha portato a termine.

Sulla questione risulta infatti dirimente il registro del Collegio dei dottori di diritto civile dello Studio di Bologna, organo corporativo dei docenti bolognesi principalmente deputato alla gestione delle lauree, e di cui ha fatto parte anche Ippolito Marsili. In questo registro – detto Liber secretus84, per la riservatezza con cui doveva conservarsi – sono riportate tutte le sedute del Collegio, ed il criminalista vi compare fino all’11 febbraio 1530, data in cui i colleghi ne attestano il decesso: “Die veneris xi februarii decessit excellentissimus ll. monarcha D. Yppollitus de Marsiliis Prior nostri collegii cuius vices gero cuius manes in pace quiescat”85. 81 Nelle minute si ritrovano, di tanto in tanto, annotazioni sulle vicende dell’assegnazione delle condotte, su eventuali modifiche, problemi o altro: talvolta anche sulla morte di un professore, come nel caso - proprio negli stessi anni - di Carlo Ruini (M. Cavina, Carlo Ruini. Una ‘autorità’ del diritto comune fra Reggio Emilia e Bologna, fra XV e XVI secolo, Milano 1998, p. 37). Non è però il caso del nostro giurista: ASBo, Riformatori dello Studio, 18 Registri dei riformatori (1515 - 1544), ff. 60v-62v.

82 Anche questi documenti sono conservati presso ASBo, Riformatori dello Studio, 33-46 Quartironi degli stipendi. Ad oggi, di essi non esistono pubblicazioni. Vedi C. Salterini (cur.), L’archivio dei Riformatori dello Studio, cit., pp. 38 ss.; M. Cavina, Carlo Ruini, cit., pp. 145 ss..

83 Sulla punctatio dei lettori v. C. Salterini (cur.), L’archivio dei Riformatori dello Studio, cit., pp. 76-77; M. Cavina, Carlo Ruini, cit., p. 151.

84 Entrambi i Collegi, quello di diritto civile e quello di diritto canonico (così come i Collegi di medici e artisti), avevano ognuno i propri registri ‘segreti’. Il registro dei civilisti era detto Liber secretus iuris cesarei, ed i suoi manoscritti sono oggi conservati in ASBo, Studio, 137-149 Libri segreti del Collegio civile (1378-1796); per gli anni che vanno dal 1378 al 1500 ne è stata fatta pubblicazione, in tre volumi: A. Sorbelli (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei” dell’Università di Bologna, I: 1378-1420, con una introduzione sull’origine dei Collegi dei dottori, Bologna 1938; A. Sorbelli (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei” dell’Università di Bologna, II: 1421-1450, con una introduzione sull’esame nell’Università durante il medioevo, Bologna 1942; ed infine C. Piana O.F.M. (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei” dell’Università di Bologna. 1450-1500, Milano 1984. Sul registro del Collegio di diritto canonico v. infra, nt. 114. Per l’età moderna, alla trascrizione dei registri la storiografia ha preferito una catalogazione autonoma degli esami, elaborata a partire dai registri stessi: M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri...”. I dottori in diritto nello Studio di Bologna (1501-1796), Bologna 2005.

85 ASBo, Studio, 138 Libri segreti del Collegio civile (1512-1530), f. 83r. La mano che scrive è di Andrea Angelelli, il quale - come dice egli stesso poco prima - faceva in quel momento le veci dello stesso Marsili nella tenuta del Liber, mansione affidata al priore del Collegio, nel cui ufficio si alternavano i collegiati ogni bimestre; il criminalista era stato estratto per ricoprire l’incarico nei mesi di gennaio e febbraio 1530, ma era stato dispensato, evidentemente per ragioni di anzianità, dal compito materiale della tenuta del registro (f. 82r).

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L’affidabilità di questa fonte può dirsi pressoché completa. Unicum, come noto, fra le fonti della storia universitaria, il Liber secretus è infatti compilato personalmente dai membri del Collegio, e documenta (almeno negli anni che ci interessano) un’attività svolta con notevole frequenza, anche più volte alla settimana, da parte di un gruppo di persone ristretto e coeso86. A quest’attività Marsili partecipa regolarmente, conferendo gradi accademici e ricevendone le relative propine, fino a pochi giorni prima della data summenzionata87. Pertanto, l’indicazione (confermata anche dall’omologo registro notarile dello stesso Collegio)88 porta senza incertezze a concludere che Ippolito Marsili sia morto non nel febbraio 1529, ma nel febbraio 1530, il giorno 11, o qualche giorno prima89; data che, peraltro, a ben vedere risulta anche nelle pagine dell’unico cronachista – Leandro Alberti – che a suo tempo aveva segnalato la morte del giureconsulto90, e che le fonti successive avevano poi trascurato.

Di per sé, lo spostamente di un simile dato non è certo eclatante. Volgendosi

al tragitto compiuto, tuttavia, si nota come la conclusione determini alcune incongruenze di rilievo, in particolare nei rapporti fra le fonti che concorrono a delineare il profilo del giurista felsineo.

Un primo ordine di problemi si pone con riguardo alle fonti universitarie. Le risultanze dei Libri segreti ora esposte, infatti, si mostrano coerenti con quelle dei Rotuli (che tracciano Marsili fino al 1529, e non oltre), ma confliggono – lo si è già menzionato – con quelle dei Quartironi degli stipendi, i quali registrano versamenti al criminalista fino al dicembre 1530. Su tali legami, che mostrano una forte interdipendenza tra le diverse fonti dello Studio, avremo occasione di

86 Sui caratteri peculiari e sulla tenuta del Registro segreto v. A. Sorbelli (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei”, cit., I: 1378-1420, pp. LXXIX ss.; G. Cencetti, Gli archivi dello Studio bolognese, Bologna 1938, pp. 26-29.

87 Nelle settimane precedenti l’11 febbraio 1530, i Libri segreti annotano regolarmente il nome di Marsili nel contesto delle faccende quotidiane del Collegio. L’ultima seduta che lo vede presente è proprio quella che, stando al registro stesso, precede l’incontro in cui se ne attesta la morte: il 28 gennaio 1530 viene conferito il titolo dottorale ad un certo Giovanni da Siena, del quale Ippolito Marsili risulta promotor; ASBo, Studio, 138 Libri segreti del Collegio civile (1512-1530), f. 83r.

88 ASBo, Studio, 29 Registri di atti del Collegio civile (1527-1534), f 67r: “Die veneris XI februarij 1530. Excellentissimus et famosissimus legum doctor d. Ipolitus de Marsiliis ut deo placuit in notte proxima elapsa suum debitum naturae persolvit, cuius anima requiescat in pace”. Questo secondo registro - ribattezzato dal Piana Liber notarii - ha la medesima funzione del Liber secretus (in entrambi i Collegi, quello dei civilisti e quello dei canonisti), e spesso fornisce anche informazioni supplementari che i dottori tralasciano: cfr. C. Piana O.F.M. (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei”, cit., pp. 3*-4*; G. Cencetti, Gli archivi dello Studio bolognese, cit., pp. 25-29.

89 Come abbiamo visto alla nota precedente, il Liber notarii afferma che la morte sia avvenuta “elapsa notte” l’11 febbraio. Non è detto che sia un dato preciso; tuttavia, vista la frequenza delle annotazioni dei registri, non può essere granché lontano dal giorno effettivo del decesso.

90 L. Alberti, Historie di Bologna, cit., III, p. 572. Come detto supra, nt. 10, le altre storie/cronache contemporanee o di poco successive a Marsili non contengono sue notizie; pur essendo scritta in forma vicina alla cronachistica, quella di Ghiselli è in realtà una raccolta di memorie ordinata cronologicamente, e composta molto più tardi, fra il XVII ed il XVIII secolo.

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soffermarci trattando delle lecturae marsilianee, nella parte successiva della ricerca.

Ma l’effetto più vistoso della postergazione della morte di Marsili è quello che si produce sulla tradizione biografica divergente, sopra ricordata, fino al suo primo anello. È ben comprensibile perché la data del 1529 si sia imposta fra i biografi in modo così saldo: la notizia trae origine da una fonte, quella sepolcrale, da sempre considerata molto attendibile per queste datazioni – e ragionevolmente, dato che proviene dallo stesso nucleo familiare91. Difatti la correzione finisce per porre, appunto, un vero e proprio enigma nei confronti del luogo di sepoltura di Marsili.

Come abbiamo visto, è pressoché indubbio – sulla base del confronto con il disegno di Fendt – che l’iscrizione funebre riportata supra corrisponda a quella originaria. D’altro canto, l’insieme delle fonti dello Studium or ora esaminate appare di ferrea evidenza. Quid iuris, allora? Seguendo le possibili tracce di spiegazione, l’aggiustamento al 1530 minimizza la possibilità di un errore di trasmissione dell’incisione, data la netta divergenza dei due numeri espressi in cifre romane92. Poco plausibile, inoltre, sarebbe ipotizzare che l’incongruenza sia dovuta allo stile dell’inizio dell’anno93. In assenza di altre eventualità, se ne deve dedurre che la tomba di Ippolito Marsili, costruita nel 1530 (anno della sua morte), riporti inspiegabilmente la data dell’anno precedente, il 1529.

Se si trattasse di un errore, sarebbe un errore davvero marchiano, considerando che ne verrebbero coinvolti una famiglia facoltosa che celebra un suo membro importante, un qualche artifex cui è affidata la costruzione di un monumento funerario, ed i prestigiosi ospiti di San Domenico: potrebbe essersi trascurata una simile svista, in un contesto non certo ‘informale’? In alternativa, si dovrebbe pensare ad un intervento consapevole: a cercarne una plausibile motivazione, però, ci si trova ugualmente smarriti. Né gli studiosi bolognesi che ho interpellato sono stati in grado di risolvere il rompicapo.

Il punto andrebbe diversamente approfondito, e deborda dall’interesse precipuo di questo contributo. Qui si voleva solo evidenziare come una fonte

91 Nel nostro caso, il figlio Scipione: “Scipio filius patri bene merito posuit”, ci informa l’iscrizione stessa, debitamente sciolta.

92 Se il ‘MDXXVIIII’ - che si legge sia sull’iscrizione odierna sia sul disegno di Fendt, ed è compatibile con tutte le riproduzioni degli eruditi - se quel numero fosse per qualche motivo divergente rispetto alla data segnata sul monumento originale, la divergenza si porrebbe con riguardo ad un ‘MDXXX’; errore davvero poco probabile (meno lo sarebbe, tanto per dire, il ‘MDXXVIII’ che segna BUB, ms. 770, Ghiselli, Memorie antiche manuscritte di Bologna, vol. 13, f. 513r). Rimane anche la possibilità di una variazione consapevole, la quale però risulterebbe tanto incomprensibile quanto ciò che stiamo per riferire nel testo.

93 Come è noto, ancora all’epoca di cui ci occupiamo esistevano regole diverse, nei diversi territori, per fissare l’inizio dell’anno. A Bologna, tuttavia, fino al XV secolo fu in uso lo stile cd. della natività, che faceva cominciare l’anno il 25 dicembre, qualche giorno prima dello stile moderno, fissato al 1° gennaio; poi la città si adeguò - appunto - allo stile moderno. Non si danno allora motivi di possibile incongruenza per un evento occorso in febbraio. Cfr. A. Cappelli, Cronologia, Cronografia e Calendario perpetuo. Dal principio dell’era cristiana ai nostri giorni, 7ª ediz., Milano 1998, pp. 7 ss..

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apparentemente di univoca intelligenza, qual è l’iscrizione tombale, possa in realtà – interagendo in un contesto più ampio – mostrare qualche lato oscuro.

Ad ogni modo, chiudendo il cerchio sugli estremi cronologici della biografia, quanto detto dà ragione dei dubbi espressi più sopra in relazione alla data di nascita, calcolata anch’essa sulla base della lapide94. Si è visto come la fonte riporti pure la durata della vita di Marsili – ed in modo sorprendentemente preciso: 78 anni, due mesi e 11 giorni. Non è detto che questa informazione non sia invece attendibile (magari frutto di una tenuta scrupolosa dei cd. libri recordationum95), portando quindi la data di nascita al 145196. Considerate le circostanze, tuttavia, sembra opportuno quanto meno aggiungere un ‘circa’. E così, sintetizzando: ‘Ippolito Marsili, Bologna, circa 1451– Bologna, 1530’.

5. La formazione giuridica. Alla ricerca di una laurea in diritto canonico Iniziamo ora ad entrare nella dimensione che più interessa della vita di

Marsili, ossia ciò che attiene al suo studio ed al suo lavoro nel campo giuridico. Non disponendo di notizie precise in merito, è naturale pensare che la sede

principale della formazione dell’autore sia stata la natia Bologna. Qui in effetti ottiene i gradi accademici, nel 1480; per gli anni precedenti, però, l’unico dato conosciuto, come si è visto, è quello che riguarda il contratto di correzione di bozze (pur sempre nella città emiliana).

Ulteriori elementi si possono trarre dall’alveo dei maestri di Marsili. È stato il solito Fantuzzi il primo a segnalare con una certa precisione i praeceptores del criminalista, sulla base delle stesse attestazioni presenti nelle sue opere (almeno nelle edizioni a stampa)97. Quasi tutti questi maestri sono professori nello Studium bononiensis: si tratta di Andrea Barbazza98, Alberto Cattani99 e Vincenzo 94 Supra, nt. 54 e testo corrispondente.

95 Sui libri recordationum, diari di famiglia su cui si annotava questo tipo di informazioni, v. A. Cicchetti - R. Mordenti, I libri di famiglia in Italia, Roma 1985-2001.

96 Supra, nt. 55.

97 G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 280. Prima di lui, G. Panzirolus, De claris legum interpretibus, cit., p. 291, aveva semplicemente presentato Marsili come “Felini Sandei discipulus”. Quello del discepolato è sempre “un terreno assai malfido”, come nota efficacemente M. Cavina, Carlo Ruini, cit., p. 6: s’intende, quindi, che le informazioni qui fornite vadano prese cum grano salis.

98 Su Andrea Barbazza v. A. Mellusi, Barbazza Andrea, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.), Bologna 2013, I, pp. 165-66. Il passo riportato da Fantuzzi, in cui Marsili cita Barbazza, contiene anche un episodio curioso (finora ignoto: cfr. da ultimo A. Padovani, Dall’alba al crepuscolo del commento. Giovanni da Imola (1375 ca. - 1436) e la giurisprudenza del suo tempo, Frankfurt am Main 2017, pp. 22-31) dell’insegnamento bolognese di Giovanni da Imola; nonché, allo stesso tempo, un esempio caratteristico del metodo ermeneutico di Marsili, le cui strutture argomentative sono costruite, scolasticamente, dai contesti più disparati del ‘sistema’ del diritto comune. Trattando della regola propter enormitatem criminis licet iura transgredi, nel suo De quaestionibus Marsili propone un’analogia singolare a sostegno della regola: dice infatti Bartolo che, come per l’enormità del crimine, anche “propter eminentem scientiam hominis licitum est iura transgredi”; e sul punto Marsili ricorda che “ego alias dum eram scholaris Barbatiae audivi eum viva voce dicentem in cathedra, quod alias propter illud dictum Bart. fuit positus hic Bononiae do. Ioan.de Imol. ad lectionem ordinariam de mane, licet

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Paleotti100. Enumerati i suddetti doctores, Fantuzzi asserisce che il Nostro “si portò pure o

a Padova, o a Ferrara ad udire Felino Sandeo”101. Anche il magistero del grande canonista – il suo più autentico maestro, secondo Marco Cavina102 – è ricordato nelle opere di Marsili103, e dà ragione del considerevole interesse mostrato dal criminalista per il ius canonicum104. Fantuzzi non fornisce indizi sui due luoghi menzionati. Oggi sappiamo che Felino Sandei non fu docente a Padova, ma insegnò a Ferrara (1465-1473) e successivamente a Pisa (1474-1486), con una puntata nuovamente a Ferrara nell’a.a. 1477/78105: il giovane Ippolito potrebbe allora aver seguito il Sandei in una di queste due città – e forse più probabilmente a Pisa, dove negli stessi anni insegnava anche lo zio Girolamo Zanettini, il quale potrebbe aver fatto da sensale fra i due106. Come si vedrà fra

esset statutum hic, quod aliquis forensis non posset legere lectionem ordinariam de mane, attamen regimina et reformatores studij transgresserunt illud statutum propter eminentem scientiam ipsius d. Ioan.de Imo.”. Vedi H. de Marsiliis, In titulum ff. de Quaestionibus Commentarius, Venetiis 1564, ad D. 48.18.18.9, l. Unius facinoris, § Cogniturum, n. 106, f. 249v. Ricordano il magistero di Barbazza anche L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 765; M. Cavina, Marsili Ippolito, cit., p. 1286.

99 Fantuzzi cita H. de Marsiliis, Practica criminalis Averolda nuncupata, Venetiis 1574, § Et quia, n. 39, f. 277v: “de illa dictione Mox vide plenissime per d. Alber. cataneum Bono. alias preceptorem meum in suo no.trac.violantes” ecc.. Il ricordo si ripete quasi identico in H. de Marsiliis, Singularia nova CCCC. et vetera CCC, Lugduni 1531, n. 106, f. 46r.

100 Il passo riportato da G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 280, in cui Marsili parla del maestro, recita: “et ideo alias audivi D. Vincentium de Paleotis praeceptorem meum in Cathedra viva voce dicentem se alias iuvasse quendam inquisitum a poena mortis etc.”. Nel luogo citato dall’erudito (H. de Marsiliis, Repetitio rubricae C. de Probationibus, Jenae 1586 n. 118, f. 45v) l’affermazione non si ritrova, e tuttavia la notizia rimane attendibile: Vincenzo Paleotti è professore nell’Università di Bologna negli anni in cui Marsili è studente, ed inoltre compare - lo vedremo a breve - come uno dei promotores per la laurea del futuro criminalista.

101 Sempre G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 280.

102 M. Cavina, Marsili Ippolito, cit., p. 1286.

103 H. de Marsiliis, In titulum ff. de Queastionibus Commentarius, cit., l. Patre vel marito, n. 60, f. 124v: trattando delle modalità della citazione, Marsili ricorda il pensiero del canonista, definendolo “mihi pater, dominus, et praeceptor singularissimus”. Cfr. G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 280, nt. 3, il quale cita però erroneamente il n. 47 del suddetto commento. V. anche M.G. di Renzo Villata, Alle origini di una scienza criminalistica, cit., p. 10.

104 Ivi, pp. 10-11.

105 M. Montorzi, Sandei Felino, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.), Bologna 2013, II, p. 1782. Per la verità, l’ultimo passaggio ferrarese non risulta nella voce del dizionario, ma si trova menzionata in A.F. Verde O.P., Studenti e professori fra l’Università di Ferrara e l’Università di Firenze: fine del Quattrocento - inizio del Cinquecento, in P. Castelli (cur.), “In supreme dignitatis...”. Per la storia dell’Università di Ferrara. 1391-1991, Firenze 1995, p. 83, secondo cui “il Sandei, esauritosi nel 1477 il contratto che lo legava allo Studio Fiorentino, non volle rinnovarlo subito, giocò al rialzo ed ottenne un altro e più lucroso contratto l’anno successivo e nel frattempo, nell’anno scolastico 1477-1478, insegnò a Ferrara”. In quegli anni, fra i due Studia si era innescata una notevole circolazione sia di studenti sia di professori (su cui vedi ivi, passim). È da correggere, infine, l’indicazione di L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 765, che concentra quest’intero arco di insegnamento ‘feliniano’ nel primo periodo ferrarese (1465-1474).

106 M.T. Guerrini, Zanettini Girolamo, cit., p. 2082. Notiamo incidenter che, oltre ad insegnare nello stesso

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poco, tuttavia, la presenza del criminalista in questi due luoghi rimane dubbia, e così gli estremi di un siffatto legame scientifico.

Quali che siano stati i suoi movimenti nel corso degli studi, Ippolito Marsili

consegue il suo dottorato a Bologna, il 12 gennaio 1480. Presentato alla commissione di laurea da Vincenzo Paleotti, Antonio Bolognetti, Girolamo Zanettini, Agamennone Marescotti e Bernardo da Sassuno, supera l’esame “nemine discrepante”, riceve le insegne dottorali, “et fuit colegialiter asociatus ad domum”, secondo il privilegio che si accordava ai cittadini, specialmente di famiglia illustre107.

C’è però un dettaglio rilevante in questo episodio, che solleva un ulteriore velo di mistero intorno al personaggio. Marsili è universalmente noto come iuris utriusque doctor: dottore in entrambi i diritti, civile e canonico. Così si trova scritto nelle sue opere e nella tradizione letteraria che lo riguarda: “in ambe le leggi” – scrive il solito Fantuzzi, ripreso poi dai biografi successivi – si estende il titolo ottenuto nel 1480108.

Curiosamente, il ‘biografo ufficiale’ del giurista si premura di citare anche la fonte ‘primaria’ in materia, quel Liber secretus del Collegio dei doctores bolognesi, di cui si è già parlato; trascrivendone persino uno stralcio. Sfugge però all’erudito – forse abituato alla ‘normalità’ della laurea utriusque iuris in età moderna?109 – gli sfugge che il registro in questione, il 12 gennaio 1480, annota espressamente una laurea nel solo diritto civile: il giovane Marsili – scrive il priore del Collegio – richiede di essere ammesso “ad examen iuris civilis”, e non in utroque iure110. La circostanza è confermata anche nel diploma di laurea, conservatosi fra le carte dell’Archivio di Stato di Bologna, che allo stesso modo sanziona un’abilitazione nello ius civile111.

Ateneo (negli anni 1474-1477), fra il 1475 ed il 1476 Sandei e Zanettini sono incaricati congiuntamente di emettere alcuni lodi arbitrali di rilievo (M. Montorzi, Sandei Felino, cit., p. 1782).

107 C. Piana O.F.M. (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei”, cit., p. 235.

108 G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, cit., p. 280; e poi ad es. Mazzetti 1843, p. 201; fino a L. Pallotti, Marsili Ippolito, cit., p. 765; M. Cavina, Marsili Ippolito, cit., p. 1286.

109 Com’è noto, a partire dal XVI secolo il dottorato in entrambe le leggi va a mano a mano imponendosi, marginalizzando i due percorsi separati, fino a diventare lo sbocco ordinario delle facoltà di giurisprudenza d’Ancien Régime. Per Bologna v. M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri...”, cit., p. 32. V. pure le matricole dei dottori dello Studio bolognese, infra, nt. 136.

110 C. Piana O.F.M. (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei”, cit., p. 235. E l’originale dei Libri segreti conferma parola per parola l’edizione di Piana: ASBo, Studio, 137 Libri segreti del Collegio civile (1378-1512), f. 170r. Un rapido sguardo al registro evidenzia come, almeno per questi anni, le due tipologie di dottorato si presentino in modo chiaramente distinto, rendendo poco plausibile l’eventualità di sovrapposizioni concettuali.

111 Il diploma si trova in ASBo, Codici miniati, 74 Laurea a Ippolito Marsili (1480). La parte centrale del diploma è deteriorata, rendendo difficile la lettura. In ogni caso, alla riga n. 10 si inferisce agevolmente che Marsili si è presentato per l’esame “in iure civili”; poco più sotto, poi, si legge in modo chiaro che, sostenuto l’esame, egli viene dichiarato “sufficientem habilem ad honorandum et tractandum et exercendum officium et honorem doctoratus in dicto iure civili” (righe 12-13).

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La circostanza apre a diverse possibilità. Marsili potrebbe aver conseguito il dottorato in iure canonico in un diverso momento, ed anche in un’altra Scuola; eventualità non certo inusuale, all’epoca112. Considerando che – come vedremo – il neo-dottore inizia ad assumere incarichi politici ed accademici subito dopo la laurea (e con notevole frequenza), sembra più probabile un eventuale dottorato canonistico precedente a quello civilistico113; d’altro canto, però, il percorso di norma si svolgeva in senso inverso.

Ad ogni modo – tenendo come arco cronologico prudenziale l’ottavo ed il nono decennio del XV secolo – un siffatto titolo si è finora mostrato irreperibile. A Bologna, dove pure risulterebbe più conveniente, sembra doversi escludere che Marsili l’abbia conseguito: il Liber secretus dell’altro Collegio dei legisti bolognesi – quello appunto dei canonisti114 – riporta i verbali degli esami finali in iure canonico con lo stesso scrupolo di quello dei civilisti, ed il nome di Ippolito Marsili, fra le sue pagine, non compare115.

Analogamente (ma qui la ricerca necessiterebbe di un completamento)116 non si sono rinvenute tracce del criminalista nelle altre città che, in misura diversa, appaiono legate alla sua formazione. Innanzitutto nei luoghi che, come detto, hanno ospitato il magistero di Felino Sandei: né a Pisa (dove le fonti sono frammentarie)117, né a Ferrara, dove il materiale è quanto meno più ordinato118. 112 Nel Quattrocento, l’accentuata concorrenza fra gli Studia si risolve in una forte mobilità degli studenti, i quali studiano in più sedi, e talvolta si addottorano in luoghi diversi da quelli in cui hanno studiato. Per un quadro esemplare del fenomeno, in area estense, v. F.E. Adami, L’insegnamento del diritto canonico nello Studio di Ferrara tra il XV e il XVI secolo, in “Annali di storia delle università italiane”, 8 (2004), pp. 55-59.

113 Il che, peraltro, darebbe anche ragione - pensando sempre al 1451 circa come data di nascita - della laurea (civilistica) un po’ tardiva, conseguita intorno ai trent’anni.

114 Il registro del Collegio dei canonisti dell’Ateneo bolognese era chiamato Liber secretus iuris pontificii; i suoi originali si trovano in ASBo, Studio, 126-136 Libri segreti del Collegio canonico (1377-1794), e sono stati editi, relativamente agli anni 1451-1500, nel volume di C. Piana O.F.M. (cur.), Il “Liber secretus iuris pontificii” dell’Università di Bologna. 1451-1500, Milano 1989.

115 C. Piana O.F.M. (cur.), Il “Liber secretus iuris pontificii”, cit., ad indicem, non fa menzione del criminalista, e il dato può considerarsi affidabile, data la grande acribia dello studioso che ha curato la pubblicazione. Bisogna precisare, peraltro, che l’edizione suddetta integra i dati del libro segreto con quelli dell’omologo registro notarile (v. retro, nt. 88), colmando così eventuali lacune del Liber secretus. Per scrupolo, comunque, si sono controllati anche gli originali manoscritti, limitatamente ad un arco di tempo più ristretto, gli anni 1478-1486, sempre con esito negativo: ASBo, Studio, 126 Libri segreti del Collegio canonico (1377-1528), ff. 144v-155r; ASBo, Studio, 21 Registri di atti del Collegio canonico (1473-1498), ff. 92r-177r.

116 Delle località che veniamo ad elencare (Pisa, Ferrara, Padova, Siena) ho potuto consultare solo le fonti a stampa sugli Studia e la letteratura locale relativa all’epoca considerata. Occorrerebbe, per completare il quadro, rivolgersi anche alle pertinenti fonti d’archivio.

117 La documentazione dei dottorati nello Studio pisano-fiorentino è conservata organicamente solo a partire dal 1543: G. Volpi Rosselli, Il corpo studentesco, i collegi e le accademie, in Storia dell’Università di Pisa, I*: (1343-1737), Ospedaletto (Pi) 1993, p. 377; difatti, le pubblicazioni degli Acta graduum Academiae Pisanae iniziano proprio da quella data [vol. I (1543-1599), a cura di R. Del Gratta, Pisa 1980]. Per gli anni precedenti, bisogna riferirsi al poderoso lavoro di A.F. Verde, Lo Studio fiorentino 1473-1503. Ricerche e documenti, Firenze 1973-2010: nell’elenco dei laureati (vol. II: Docenti - Dottorati, Firenze 1973), da considerarsi comunque non esaustivo (pp. 638-39), il nome di Ippolito Marsili non compare (pp.

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Oltre a queste, si è sondata la pista patavina, sulla base della (pur assai dubbia) indicazione di Fantuzzi, sopra menzionata: gli Acta graduum dello Studio veneto – dotati invece di un notevole grado di completezza – danno però esito negativo119. Così come negativo è stato il tentativo fatto su Siena, città d’origine della moglie di Ippolito, Andromaca, e che ben potrebbe aver ospitato un soggiorno di studio ‘galeotto’ del Nostro120.

Non è però solo all’Università che si deve guardare, in una simile ricerca. All’epoca di Marsili, infatti, gli Studia hanno iniziato a perdere l’autonomia dei

secoli tardo-medievali, a fronte dell’emersione dei poteri statuali e aristocratici121; e con l’autonomia, anche il loro monopolio dell’istruzione superiore. Per quanto qui ci interessa, il conferimento dei gradi accademici – il quale costituisce ius

648-729). Per quanto riguarda la storiografia su questa Scuola, ho compulsato da un lato gli indici, dall’altro le parti delle opere relative al periodo considerato, che trattano di Sandei o di Zanettini. Così, non v’è traccia di Marsili nel corposo volume di indici relativi all’opera di A.F. Verde, Lo Studio fiorentino, cit., VI: Indici (a cura di R.M. Zaccaria), Firenze 2010; né in quelli della Storia dell’Università di Pisa, I*: (1343-1737), Ospedaletto (Pi) 1993, né nel risalente A. Fabronius, Historiae Academiae pisanae, Pisis 1791-95 (rist. anast. Bologna 1971), I, sempre ad indicem. A Sandei e Zanettini si risale attraverso gli stessi indici: v. ad es. A.F. Verde, Lo Studio fiorentino, cit., IV: La vita universitaria, Firenze 1985, pp. 32-45, 67-79.

118 Si veda G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei sec. XV e XVI, Bologna 1901, pp. 52-88. Le informazioni di questo catalogo sono prese dai diplomi di laurea conservati nell’archivio notarile ferrarese (pp. 7-8), essendo andate perdute le carte dell’archivio antico dell’Universtà estense (F.E. Adami, L’insegnamento del diritto canonico, cit., p. 38). In ogni caso, le lauree registrate da Pardi si presentano con una notevole frequenza e (almeno negli anni che ci interessano) senza ‘buchi’ temporali rilevanti, ma l’elenco non può certo considerarsi esaustivo (ivi, p. 39). Non si avvista il nome di Ippolito nemmeno negli scritti dedicati alla scuola emiliana: cfr. F. Borsettus, Historia almi Ferrariae gymnasii, 2 voll., Ferrariae 1735, ad indicem; A. Visconti, La storia dell’Università di Ferrara (1391-1950), Bologna 1950, ad indicem e pp. 9-41; A.F. Verde O.P., Studenti e professori, cit., passim; F.E. Adami, L’insegnamento del diritto canonico, cit., in part. pp. 50-55; M. Pifferi, Lo studio e la corte. L’attività dei lettori di diritto criminale a Ferrara durante la signoria estense, in “Annali di storia delle università italiane”, 8 (2004), pp. 77-91.

119 Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini. Ab anno 1471 ad annum 1500, a cura di E. Martellozzo Forin, Roma-Padova 2001, III, ad indicem; sull’esaustività v. pp. 3-9. Controlli negativi anche sulla letteratura relativa allo Studio padovano v. I.P. Tomasinus, Gymnasium patavinum, Utini 1654 (rist. anast. Bologna 1986), ad indicem; F. Dupuigrenet, L’Università di Padova dal 1405 al Concilio di Trento, in Storia della cultura veneta, 3, II, 1980, pp. 607-47; A. Belloni, Professori e giuristi a Padova nel secolo XV. Profili bio-bibliografici e cattedre, Frankfurt am Main 1986, ad indicem; G. Zordan, Giurisprudenza, in P. Del Negro (cur.), L’Università di Padova. Otto secoli di storia, Padova 2001, in part. pp. 147-148.

120 Il sondaggio è negativo per G. Minnucci, Le lauree dello studio senese alla fine del secolo XV, Milano 1981, ad indicem. Bisogna però precisare che i titoli dottorali oggetto di questa pubblicazione fanno data solo dal 1484, ed inoltre mancano le registrazioni dal 1487 al 1495 (ivi, p. 2, nt. 5). Per il periodo precedente sono stati editi solo alcuni atti, risalenti tutti alla prima metà del Quattrocento, nei lavori di Zdekauer (G. Minnucci, Le lauree dello studio senese all’inizio del secolo XVI (1501-1506), Milano, 1984, p. 2, nt. 8). Anche in questo caso, il tipo di fonti e lo stato delle ricerche non permettono di escludere la presenza di ulteriori documenti (ivi, p. 2). Con riguardo alla storiografia sullo Studio v. G. Minnucci - L. Kosuta, Lo studio di Siena nei secoli XIV-XVI. Documenti e notizie biografiche, Milano 1989, ad indicem; P. Denley, Commune and Studio in Late Medieval and Renaissance Siena, Bologna 2006, sempre ad indicem.

121 Per tutti J. Verger, Le università del medioevo, Bologna 1982, spec. pp. 187 ss..

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regale, tradizionalmente appaltato agli Studi122 – va incontro fra XV e XVI secolo ad un processo di redistribuzione, che coinvolge i nuovi protagonisti della modernità.

Talvolta la prerogativa di addottorare si distacca dalle sedi della formazione. Il sovrano di Roma, per esempio, conferisce sovente la laurea in iure canonico nella forma di un privilegio honoris causa: tale fu probabilmente il caso di Alessandro Tartagni, in anni non lontani da Marsili123. In questo periodo, poi, sempre più spesso anche ai conti palatini è concessa, da parte dell’imperatore, la facoltà di far dottori124. Non è escluso, allora, che il bolognese abbia ricevuto un simile privilegio – presumibilmente, dunque, in età più avanzata. Del resto, più volte nelle sue opere Marsili stesso si cura di affermare (argomentando in tema di notorium) che chi è notorie doctus non abbisogna di una verifica delle proprie competenze per essere dichiarato tale, e dunque “non debet, si vult doctorari, examinari in collegio”125.

Ma il fenomeno forse più rilevante, su questo tema, consiste nell’emersione dei Collegi professionali dei giureconsulti, rappresentanti di quei ‘gruppi forensi’ che nel corso della modernità tendono ad imporsi sul Professorenrecht126. Tali Collegi vanno infatti a porsi, soprattutto nell’Italia settentrionale, come soggetti complementari alle istituzioni universitarie, acquisendo via via competenze sempre maggiori nella formazione e selezione dell’oligarchia professionale: fra le quali, appunto, la prerogativa di conferire i gradus accademici127. Al tempo di Marsili siffatto processo è ancora agli albori; tuttavia, non può escludersi che il criminalista ne sia stato coinvolto, magari attraverso le sue assidue frequentazioni alla corte di Milano, area in cui il fenomeno si presenta con forza, e di buon’ora128. La circostanza, peraltro, potrebbe fornire una chiave di lettura 122 G. Cencetti, Gli archivi dello Studio bolognese, cit., p. 72.

123 A. Padovani, Tartagni Alessandro, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX sec.), Bologna 2013, II, p. 1943.

124 E. Martellozzo Forin, Conti palatini e lauree conferite per privilegio. L’esempio padovano del sec. XV, in “Annali di storia delle università italiane”, 3 (1999), pp. 79 ss.; E. Brambilla, Il “sistema letterario” di Milano: professioni nobili e professioni borghesi dall’età spagnola alle riforme teresiane, in A. De Maddalena - E. Rotelli - G. Barbarisi (curr.), Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell’età di Maria Teresa, III. Istituzioni e società, Bologna 1982, p. 92; M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri...”, cit., p. 27.

125 H. de Marsiliis, Repetitio rubricae C. de Probationibus, cit., n. 204, f. 77r. E ancora l’asserzione si trova in Id, Practica criminalis, cit., § Aggredior, n. 128, f. 261v.

126 Per tutti v. E. Cortese, Il rinascimento giuridico medievale, 2ª ed., Roma 1996, pp. 98 ss.; A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, I, Milano 1979, pp. 155-73.

127 In tema si vedano M.C. Zorzoli, Università, dottori, giureconsulti. L’organizzazione della “facoltà legale” di Pavia nell’età spagnola, Padova 1986, pp. 213 ss.; E. Brambilla, Il “sistema letterario” di Milano, cit., in part. pp. 89 ss.; C. Penuti, Collegi professionali di giureconsulti con prerogativa di addottorare in area estense e romagnola, in G.P. Brizzi - J. Verger (curr.), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX), Convegno internazionale di Studi, Alghero, 30 ottobre - 2 novembre 1996, Soveria Mannelli (Cz) 1998, pp. 337-52; v. anche M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri...”, cit., pp. 27-28; A. Padoa Schioppa, Italia ed Europa, cit., p. 308.

128 V. nt. precedente. Una delle prime concessioni della facoltà di addottorare ad un Collegio professionale di cui siamo a conoscenza è effettuata dal Re di Francia Luigi XII nei confronti del

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interessante in merito all’ipotesi – che andiamo ora ad analizzare – di una possibile contestazione, in seno allo Studium di Bologna, del dottorato canonistico di Marsili.

In presenza di un simile ventaglio di possibilità, comunque, accertare l’effettiva sussistenza di questa seconda laurea si mostra obiettivo velleitario (ovviamente fontibus sic stantibus, per così dire). L’unico punto fermo, a riguardo, sembrerebbe provenire dal magistero universitario del giureconsulto. A partire dal 1508, difatti, Marsili è incaricato di diversi insegnamenti proprio in diritto canonico, nel ‘suo’ Ateneo di Bologna (e peraltro, almeno in quel primo anno, si tratta di una cattedra di rilievo)129: parrebbe ragionevole, allora, che a quella data il giurista fosse in grado di esibire un titolo di decretorum doctor, comunque ottenuto.

6. Ippolito Marsili contestato iuris utriusque doctor? Occorre però rivolgersi – chiudendo sul problema della laurea – anche ad un

diverso ordine di considerazioni, legato alle emergenze documentali. Si è detto che l’etichetta di utriusque iuris doctor accompagna regolarmente il

nome di Ippolito Marsili per tutta la tradizione letteraria che lo riguarda, ivi comprese le sue opere stampate. Se però ci si rivolge alla documentazione dell’epoca, le cose stanno diversamente: in (quasi) tutte le fonti d’archivio in cui mi sono imbattuto, e che precisano la sua qualifica, il nostro giurista – in modo simile al caso di Tartagni130 – è infatti sempre indicato come “legum doctor” (o abbreviato “ll.d.”) e mai come “iuris utriusque doctor” (o “i.v.d.”).

Così, nel dicembre 1480, in un documento processuale luganese, il notaio attesta di trovarsi “coram vobis sapienti et egregio legumdoctori domino Ipolito de Marsiliis de bononia”131, all’epoca vicario del capitano della Valle di Lugano. Qui ci troviamo a meno di un anno dalla laurea in iure civili, ma la situazione non muta nel tempo. Nei registri di pagamento del comune di Albenga, dove assume l’incarico di vicario podestarile negli anni 1492-93, il giurista è designato “ll.d.” in tutte le voci che lo riguardano132. Tornato stabilmente a Bologna, nel 1507

Collegio dei giureconsulti della città di Cremona, nel 1509: M.C. Zorzoli, Università, dottori, giureconsulti, cit., pp. 251-52.

129 U. Dallari (cur.), I rotuli dei lettori, cit., I, p. 200, II, pp. 13 ss.. Anche di queste lecturae tratterò successivemente, nella parte della ricerca dedicata alla professione di Marsili.

130 A differenza di Marsili, però, nei documenti la qualifica dell’imolese muta nel tempo: fino al 1470 si legge “ll.d.”, successivamente “i.v.d.” (A. Padovani, Tartagni Alessandro, cit., p. 1943).

131 Archivio di Stato di Lugano, Patriziato di Lugano, XII, C 4, righe 1-2.

132 Archivio comunale di Albenga, I, Magistri Rationales, 29, quaderni 10-12. V. ad es. il quaderno 10, f. 237v, in cui si registra il primo pagamento, il 26 marzo 1492, alla voce “venturus iudex videlicet d. Ipollitus de marsiliis bononiensis ll. doc.” ecc.; la sigla è la stessa in tutte le annotazioni che lo riguardano. Occorre precisare che, negli stessi registri, altri personaggi sono invece qualificati espressamente come “i.v.d.”: cfr ex pluribus ivi, f. 236v, 238r.

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Marsili viene aggregato al Collegio dei dottori di diritto civile dell’Università133, e la sua matricola (per come risulta dall’elenco delle matricole annesso alle costituzioni del Collegio) 134 riporta nuovamente la dicitura “ll.d.”135, a differenza di altri doctores, espressamente siglati come “i.v.d.”136.

Tutte queste fonti sono certo indicative, ma non decisive (e peraltro, sono antecedenti al 1508, anno del primo impegno del criminalista in decretalibus). Assai più pregnanti – come si è già più volte rimarcato – sono le pagine del Liber secretus del Collegio dei dottori civilisti dell’Alma mater. Proprio qui si rintracciano gli unici documenti (per quel che ho potuto vedere) in cui ad Ippolito Marsili è assegnato il titolo di iuris utriusque doctor: ma si tratta di passi scritti di pugno dallo stesso giurista, nei mesi in cui espletava il proprio turno come priore del Collegio, ed era quindi addetto alla tenuta del Liber. L’inizio di ogni turno, sul registro, è annunciato dal nuovo scrivente: “Tempore prioratus mei domini [...] pro mensibus...” o simili. Nella maggioranza dei casi, iniziando il proprio turno, il nostro protagonista precisa di essere “i.v.d.”137; contrariamente, si badi, a quasi tutti i suoi colleghi, i quali di norma si limitano a specificare il proprio nome138.

Anche per gli avvenimenti ordinari del Collegio, di norma, nel registro 133 ASBo, Studio, 137 Libri segreti del Collegio civile (1378-1512), ff. 239r-v.

134 L’elenco si trova in ASBo, Studio, 10 Costituzioni del Collegio di diritto civile (1397) con aggiunte posteriori e con la matricola dei dottori collegiati dal 1317. Aggiunto all’esemplare delle costituzioni e via via aggiornato nel tempo, il documento riporta le matricole dei dottori collegiati dal 1317 al 1763. Analogo elenco delle matricole, continuato però fino al 1790, si trova annesso alle nuove costituzioni del Collegio del 1591: ASBo, Studio, 16 Costituzioni del Collegio di diritto civile del 1591 con la matricola dal 1317 e aggiunte successive sino al sec. XVIII, parte iniziale del volume, 12 fogli non numerati.

135 ASBo, Studio, 10 Costituzioni del Collegio di diritto civile (1397) con aggiunte posteriori e con la matricola dei dottori collegiati dal 1317, f. 55r. E per esteso “legum doctor” in ASBo, Studio, 16 Costituzioni del Collegio di diritto civile del 1591 con la matricola dal 1317 e aggiunte successive sino al sec. XVIII, quarto foglio (non numerato), recto.

136 Fino all’inizio del XV secolo tutti i nomi sono qualificati come “ll.d.”; successivamente, a partire da “Hieremias de Angelellis v.i.d” (ASBo, Studio, 10 Costituzioni del Collegio di diritto civile (1397) con aggiunte posteriori e con la matricola dei dottori collegiati dal 1317, f. 53v) si alternano entrambe le sigle (“ll.d.” e “i.v.d.”) fino alla metà del Cinquecento, quando inizia a leggersi solo “i.v.d.” (“D. Hieronimus Fronto” è l’ultimo nome cui segue “ll.d.”, f. 56r); dalla metà del XVII secolo, poi, il titolo è sostituito da altre onorificenze o parentele (f. 60r).

137 Per la precisione, in 5 casi su 8 (senza contare l’ultimo priorato che - come s’è visto supra, nt. 85 - è scritto dal collega Angelelli), ossia: il primo priorato, per il bimestre maggio-giugno 1512, ASBo, Studio, 137 Libri segreti del Collegio civile (1378-1512), f. 253v; successivamente, quelli di settembre-ottobre 1516, ASBo, Studio, 138 Libri segreti del Collegio civile (1512-1530), f. 20r; maggio-giugno 1519, ivi, f. 36r; gennaio-febbraio 1523, f. 46r; settembre-ottobre 1523, f. 49r. il giurista omette invece il titolo in occasione dei priorati di gennaio-febbraio 1514, sempre ivi, f. 9v; e poi negli ultimi anni, settembre-ottobre 1525, f. 56r; settembre-ottobre 1527, f. 61r.

138 Sui circa cento priorati intercorsi fra il settembre 1512 e il gennaio 1530 (gli estremi dell’attività priorale di Marsili) ho contato solo tre casi (oltre a quelli del Nostro) in cui il priore ha voluto precisare il proprio titolo dottorale - che è sempre “i.v.d.”: in due casi, si tratta del primo priorato (quelli di Andrea Angelelli, ASBo, Studio, 138 Libri segreti del Collegio civile (1512-1530), f. 16v; e del novello Arcidiacono Cornelio della Volta, ivi, f. 35v), e la sigla poi sparisce nei priorati successivi; il terzo caso riguarda il collegiato Ercole Bolognetti, il quale, fra i tanti priorati ricoperti nel corso del tempo, in uno di essi - si direbbe per caso - aggiunge la solita qualifica (ivi, f. 47r).

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segreto i doctores si ritrovano indicati solo con il nome (al massimo preceduto da “dominus”). Qualche dettaglio in più si trova in occasione di eventi importanti: ad esempio, la morte di un collega. L’attestazione di quella di Marsili l’abbiamo vista più sopra139, e all’occhio attento non sarà sfuggito che la nota dell’11 febbraio 1530 riguardava l’eccellente “ll. monarcha D. Yppollitus de Marsiliis”; nello stesso punto dell’omologo Liber notarii si legge “legum doctor”140. E come per gli altri documenti – ma in modo più significativo, data la natura del Liber secretus – la sigla non sembra casuale o generica, perché altri doctores, in circostanze analoghe, sono qualificati espressamente “i.v.d.”141.

Fino alla morte, insomma, in tutte le fonti documentali che abbiamo a disposizione, ad Ippolito Marsili viene attribuito – da parte di terzi – un titolo diverso (ll.d.) da quello che lui stesso si attribuisce (i.v.d.). Non si può escludere, naturalmente, che i vari “ll.d.” che abbiamo incontrato siano tutti appellativi generici o erronei. E tuttavia, quae singula non prosunt, collecta iuvant: se mettiamo insieme queste ultime testimonianze con la difficoltà di rintracciare la laurea canonistica, è ragionevole immaginare quanto meno che siffatta qualifica sia stata al centro di una vicenda controversa. Dalle fonti sembrano emergere, da un lato, un Marsili che esibisce il suo titolo (ostentandolo – si direbbe – anche quando non serve, come nei Libri segreti); dall’altro, un ambiente (e specialmente i colleghi bolognesi) che tende a negarlo, o a ignorarlo. Forse perché si dubita del suo effettivo conseguimento. E ripensando ai percorsi dottorali ‘alternativi’, di cui si è parlato nel paragrafo precedente, potrebbe anche ipotizzarsi che i colleghi ne contestassero la provenienza, esterna al circuito tradizionale universitario.

In una simile eventualità, il problema così descritto rappresenterebbe, credo, un caso esemplare della dialettica – cui si è fatto cenno poco sopra – fra tradizione universitaria e nuove corporazioni forensi, sul campo della formazione e legittimazione del ceto dei giuristi. Se effettivamente Marsili avesse ottenuto un secondo dottorato in iure canonico al di fuori di uno Studium – magari per mano di qualche Collegio professionale lombardo – ben potrebbe immaginarsi una certa ostilità, nei suoi confronti, da parte del Collegio dei doctores bolognesi, illustri rappresentanti (e gelosi custodi, pure in senso sempre più ‘aristocratizzato’)142 dell’universitas fondata su quello ‘spazio indipendente di potere’ che, lentamente ma inesorabilmente, il giurista medievale va perdendo

139 V. nt. 85 e testo corrispondente.

140 V. supra, nt. 88.

141 È il caso, ad esempio, di Bernardus de Pinu, di cui si registra la morte il 10 novembre 1528, con il consueto “i.v.d.” di fianco al nome: ASBo, Studio, 138 Libri segreti del Collegio civile (1512-1530), f. 69v. Ed altri se ne potrebbero citare.

142 A. Sorbelli (cur.), Il “Liber secretus iuris cesarei”, cit., I: 1378-1420, Introduzione, passim; A. De Coster, La mobilità dei docenti: Comune e Collegi dottorali di fronte al problema dei lettori non-cittadini nello Studio bolognese, in G.P. Brizzi -A. Romano (cur.), Studenti e dottori nelle università italiane (origini – XX secolo). Atti del Convegno di studi. Bologna, 25-27 novembre 1999, Bologna, 2000, p. 227-241, passim.

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negli incipienti organismi statuali, e che si esprime innanzitutto nel controllo dei percorsi di preparazione e accesso alla professione.

Nel corso dell’età moderna, del resto, i fenomeni di contestazione dei titoli di laurea – fondati su questo tipo di premesse – avranno una certa diffusione, per lo meno in alcune zone143: ed anche queste forme di conflitto appaiono utili per comprendere le trasformazioni del ruolo sociale della giurisprudenza, specie nel delicato passaggio fra evo medio e moderno.

Comunque stiano le cose, e concludendo, appare certamente singolare che una simile problematica si manifesti nei confronti di un giurista di fama, che può fregiarsi dell’insegnamento di un grande canonista come Felino Sandei, e che a sua volta mostra una spiccata competenza ed un forte interesse per il versante del ius canonicum (in particolare nelle sue applicazioni penalistiche)144. Fra le altre cose, poi, stupisce il fatto che – come si è accennato – nello stesso Studio in cui appare dubitarsi del suo curriculum, Marsili sia stato comunque arruolato (almeno formalmente) per insegnare il diritto canonico.

La faccenda, nel complesso, dipinge sul profilo del criminalista bolognese un’ulteriore sfumatura enigmatica, che va ad aggiungersi a quelle che abbiamo incontrato in precedenza. Tratti problematici e malfermi, che non restituiscono certo immagini nitide, ma danno comunque corpo ad un personaggio di cui poco si conosce, e forniscono spunti interessanti alla riflessione odierna sull’esperienza giuridica di età intermedia.

Altri di questi elementi cercheremo di mostrare nella prosecuzione del lavoro, quando osserveremo Ippolito Marsili nel pieno delle sue funzioni di giurista dotto, alle prese con la cattedra e con il palazzo.

143 Sulle controversie nella gestione dei dottorati nello Studio di Pavia v. M.C. Zorzoli, Università, dottori, giureconsulti, cit., pp. 194 ss.; E. Brambilla, Il “sistema letterario” di Milano, cit., p. 104, relativamente ai Collegi professionali di area lombarda in età moderna scrive che “ogni Collegio cittadino contestava il valore legale dei titoli ottenuti altrove, e pretendeva di sottoporre quei dottori al proprio esame-abilitazione, per ammetterli all’esercizio in città e nel territorio di propria giurisdizione”. Un esempio di contestazione del titolo accademico riguarda Giacomo Antonio Marta (1559-1629), giurista napoletano che “fu accusato dai riformatori dello Studio patavino di essere privo del titolo dottorale”, ma tenne comunque diverse letture di diritto in giro per l’Italia: F. Roggero, Marta Giacomo Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, LXXI, Roma 2008, p. 24. Un altro esempio (ma dal contenuto meno chiaro) è riferito da L. Martines, Lawyers and Statecraft, cit., pp. 18-19.

144 Retro, nt. 104.