Francesco Arecco e Giancarlo Soldi, il nome segreto delle cose, Torino, 2011

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Il nome segreto delle cose Doppia personale di Francesco Arecco e Giancarlo Soldi A cura di Kevin McManus Torino, dicembre 2011-gennaio 2012

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Catalogue of the double exhibition by Francesco Arecco e Giancarlo Soldi, Care of Kevin McManus

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Il nome segreto delle cose

Doppia personale di Francesco Arecco e Giancarlo SoldiA cura di Kevin McManus

Torino, dicembre 2011-gennaio 2012

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Artisti

Giancarlo SoldiNato nel 1931 a Ovada, Alessandria. Decano della Scuola Ovadese. Il suo lavoro ha ispirato e fatto scuola a Mirco Marchelli, Ezio Minetti e - può non sembrare - Francesco Arecco.Espone sin dagli anni ’60 in gallerie e mostre pubbliche.

Francesco AreccoNato nel 1977 a Gavi, Alessandria.Compie studi classici e artistici, giuridici e naturalistici.Avvocato e autore in materia di energia e ambiente.Menzione speciale della Giuria al Premioartivisive S. Fedele 2011 (Milano), invitato dalla Giuria al Premio Bice Bugatti 2011 di Nova Milanese (MB), menzione speciale della Giuria al Premio Nocivelli 2011 (Brescia) e al Premio Guerrieri Rizzardi - Fondazione Canova 2011 di Negrar (VR).Mostre collettive alla Galleria S. Fedele di Milano (2010 e 2011), in Galleria Bianconi (2011), alla Barchessa Rambaldi di Bardolino (VR) (2011).Galleria di riferimento: Bianconi, Milano.

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Introduzione a Giancarlo Soldi

Carlo Pesce, Catalogo della mostra Pittori AbErranti, Serravalle Scrivia (AL), 2011.

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Giancarlo Soldi, teatrino, La Traviata, 2006.

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Il nome segreto delle cose. Francesco Arecco e Giancarlo SoldiA cura di Kevin McManus

L'idea della mostra è quella di mettere in dialogo i lavori di due artisti apparentemente diversissimi: Giancarlo Soldi con i suoi collage tridimensionali, che nella loro franca eloquenza ricordano i giochi per i bambini, e Francesco Arecco, che nelle sue forme minimali dà voce al vuoto e alla poetica materialità del legno. A dispetto di questa apparente distanza i due artisti, seppur appartenenti a generazioni diverse, provengono dallo stesso contesto e sono legati, almeno spiritualmente, da un rapporto maestro-allievo. Non è tanto negli esiti formali, ma piuttosto nell'idea di arte che va cercato il punto di contatto: arte non come comunicazione scoperta, ridondante e immediatamente archiviabile nel "già noto", e neppure come pura presenza tautologica o assenza di senso. Soldi e Arecco non si limitano all'evidenza delle cose, ma neppure pretendono di tradurle in un linguaggio; piuttosto le fanno risuonare, le interrogano e lasciano che sia il riguardante a ricevere l'eventuale risposta, il loro "nome segreto".Si dice in ambienti matematici che tutto possa essere spiegato in parole semplici, se non per incapacità o malafede; e proprio il tema della semplicità è alla base del lavoro di Francesco Arecco e Giancarlo Soldi.Due modi di lavorare antitetici. Ma legati dalla volontà di fare della poesia il filo conduttore della propria attività. Non si tratta di una poesia retorica e lussureggiante di artifici. È piuttosto la poesia che ogni oggetto, ogni forma minima contiene, se fatta risuonare a dovere, e se ascoltata con attenzione.

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Il confronto/dialogo che due artisti apparentemente così diversi possono instaurare è sul tema del nome delle cose. Secondo le antiche regole magiche chi conoscesse il nome vero (spesso segreto, a volte dimenticato) delle cose, le possedeva realmente. Può darsi che sia puro spirito di suggestione. Ma può anche trattarsi di una sottile metafora della cultura, o per lo meno di una cultura che vediamo allontanarsi sempre di più. Oggi è forse l’immagine delle cose, la pellicola che le riveste a farcele possedere nella loro transitorietà. Il nome, la consequentia rerum degli antichi, ci riporta all’illusione che le cose ci siano sempre, che siano radicate nell’essenza del mondo. «Ciò che noi chiamiamo rosa, anche se portasse un altro nome serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo»; queste le parole che Shakespeare mette in bocca a Giulietta. Compito dell’arte, nel momento in cui si sofferma ad ascoltare i nomi delle cose, può essere quello di dimostrare il contrario.Soldi e Arecco giocano - perché non lo si nasconde: pur serissimi, si divertono - a scoprire il senso vero, l’unico che valga la pena cercare, delle cose. Quello legato al loro nome. E producono cose. Non si tratta di rappresentare, e nemmeno di presentare, ma piuttosto di evocare, di far cogliere una zona d’ombra (o di luce) nella quale le cose ci cercano. E non si tratta neppure di affermare una verità, ma di suggerire la bellezza di una ricerca. Dove sta la magia del nome? Nel permetterci di esprimere l’autoevidenza delle cose, o nel darci modo di farle apparire quando non ci sono? Il nome sta al posto della cosa, come vorrebbe lo strutturalismo, o dentro di essa?Dalla volontà di rispondere a questi quesiti scaturisce la scelta, come sede espositiva, di una scuola, di un luogo di sapere, e non solo di vedere, entro il quale i lavori dei due artisti sono posti in dialogo, l’uno di fronte all’altro, in un confronto impossibile che proprio nel cercare una possibilità si mostra però rivelatore della potenza del nome, e del suo segreto.

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SALA 1Nella prima sala le Casse di vento di Arecco sono fatte per risuonare, sono contenitori che suggeriscono un'idea di contenuto, piuttosto che comunicarne asseverativamente uno specifico. Sulle due pareti principali iniziano dunque i dialoghi tra Soldi e Arecco, con lavori che in modo differente fanno risuonare, evocano il concetto espresso dal titolo. Le Virtù di Soldi, personificazioni allegoriche che nella loro semplicità disarmante cantano il proprio significato anziché enunciarlo chiaramente, dialogano una a una con tre Limosine di Arecco, che con la loro fessura e il loro “rumore segreto” ottengono lo stesso effetto, vivendo la parola che le definisce anziché cercando di significarla linguisticamente.

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SALA 2Con altrettanta schietta serialità, i Sette peccati capitali di Soldi, incarnazioni moderne e astutamente ingenue delle personificazioni antiche, ci mettono nel vivo dei propri concetti, ce li mostrano con la sapienza sintetica del gioco. Di fronte, in un caos calmo che contrasta con la quiete delle Limosine nella sala precedente, i Testimòni di Arecco osservano implacabili: non espressioni del “testimoniare”, ma segni nello spazio, che svolgono la propria funzione attraverso una presenza minima ma nondimeno indiscreta.

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SALA 3La sala è dominata dai Teatrini di Soldi, le opere liriche nella fila superiore, le favole in quella inferiore; esempi essenziali e magici di racconto, che nella loro pregnanza mostrano la narrazione come apparire improvviso di momenti significativi. Ai due lati, le Casse di vento di Arecco amplificano il canto dei Teatrini, lo diffondono e lo fanno risaltare, ostentando la propria natura di contenitori di senso, di piccole architetture pronte ad accogliere la vibrazione delle cose, piuttosto che cercare di tradurla in parole.

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SALA 4Un tavolo al centro della sala, che sembra comunicare con il cielo e la natura che fanno capolino dalla finestra. Sul tavolo gli Aeroplanini di Soldi visualizzano in un istante, più di mille descrizioni, l’idea del volo, del puntare verso l’alto con la miracolosa semplicità del giocattolo. Un volo poetico che non si pone limiti, pronto a scrutare l’immensa lontananza delle stelle. Le Mappe celesti di Arecco, che intervallano la serialità degli aeroplanini, cercano le stelle nelle striature e nei pertugi del legno, quasi a significare che il cielo è ovunque, purché lo si sappia cercare nel segreto delle cose.

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Mostra realizzata con

Foto di Andrea Girone e Andrea Repetto

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Vernice fresca di Andrea Repetto

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Vernice fresca di Andrea Repetto

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