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Forti e pazienti in tutto

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Penitenza, dominio di sé, silenzio, sono i temi che considereremo, approfondendo la nostra spiritualità. La pazienza sarà l’attitudine che vorremo sviluppare considerando le dinamiche umane, coltivandone l’efficacia per vivere relazioni adulte e responsabili, con la perseveranza necessaria a chi deve misurarsi con realtà complesse. La pazienza, infatti, ci aiuta a rimanere presenti, nelle varie situazioni, con un atteggiamento costruttivo, attivamente. Abbiamo la speranza che il testo della Genesi possa aiutarci a indagare le cause dei nostri comportamenti, per educarci ad un bene maggiore, ricercato con maturità autentica”. Lettera annuale dei Responsabili di ramo

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Il Silenzioso Operaio della Croce, alla scuola di Maria, impara a dire il suo sì con fede, con docilità,

in una fedeltà promessa, che attende di divenire matura nel tempo, accogliendo la ricchezza dei doni

a lui riservati mediante la sua appartenenza all’Associazione.

(Direttorio, Vita spirituale, Formazione della persona – n. 11)

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Non si nasce “capaci e meritevoli”; non si nasce intelligenti, non si nasce motivati,

non si nasce pazienti ma si diventa tali solo attraverso l’educazione.

Il suo compito è promuovere la formazione dell’uomo, la piena formazione della personalità,

intesa come formazione integrale, originale e massimale.

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Riflettere sulla pazienza per noi significa desiderio di vivere la vita

con una disposizione di tenacia, perseveranza, mansuetudine, tolleranza, plasmabilità, invece di lasciarsi andare a comportamenti che denotano

impazienza, intransigenza, intolleranza, insofferenza.

Dal Progetto Formativo – Diventare benedizione

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Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali

dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti,

ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede.

Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il

bene.

Dal Progetto Formativo – Diventare benedizione

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Tra la partenza e il traguardonel mezzo c’è tutto il restoe tutto il resto è giorno dopo giorno e giorno dopo giorno è silenziosamente costruiree costruire è potere e potere è sapere attendere la perfezione.

don Andrea Santoro

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Che cos’è la pazienza?

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Bontà, calma, remissività, condiscendenza, tolleranza, rassegnazione, sopportazione, mansuetudine, benevolenza…

Una immagine per la pazienza?

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Insofferenza, intolleranza, nervosismo, irrequietezza, agitazione, precipitazione, intransigenza…

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Che cos’è l’impazienza?

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Non è lassismo: né verso se stessi né verso gli altri. In passato si puntava molto sulla disciplina, sul rispetto delle regole,

col rischio di scadere nel moralismo, nella convinzione che tutto dipende dai nostri sforzi. Per reazione oggi, dando la giusta

preminenza all’azione della grazia, si tralascia a volte di sottolineare quanta disciplina richieda l’accoglienza della grazia.

Così proprio noi, che pretendiamo di avere una fede disincantata, scettica verso i fenomeni miracolosi, corriamo il rischio di credere che

la grazia di Dio agisca in modo magico in noi e negli altri. La pazienza verso noi stessi e verso gli altri deve renderci capaci

di attendere i cambiamenti per tempi lunghissimi, e essere disposti anche a non vederli mai, continuando però a definire con

determinazione e precisione ciò che ci compete ogni giorno.

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Che cosa non è:

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La virtù della pazienza educa a rispettare i tempi di Dio. Ci educa a riconoscere Dio come il giusto, che

lavora nei tempi lunghi della storia. Il regno di Dio non si realizza compiutamente sulla

terra: non dobbiamo quindi cadere nella delusione e nell’irritazione.

È la virtù di chi non si lascia spaventare dalla fatica, di chi non rinuncia a seminare anche quando le

situazioni sembrano complesse e improduttive. Ma soprattutto è la virtù di chi semina ben sapendo che

i tempi lunghi della storia porteranno altri a raccogliere i frutti della semina.

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Che cosa è:

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“Siate pazienti fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli

aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le

piogge d’autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la

venuta del Signore è vicina” (Gc 5,7-8).

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È la virtù di chi dispone uno spazio accogliente per l’altro,

di chi si apre con generosità al perdono. Pazienza significa avere perseveranza nell’offrire il

nostro contributo specifico al regno di Dio.È proprio in questo che noi uomini siamo collaboratori,

interlocutori veri, dello Spirito Santo.

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Vi preghiamo, fratelli, vivete in pace tra voi. Vi esortiamo, fratelli: correggete

gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti.

Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene

tra voi e con tutti. (1 Tess 5, 12-15)

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Pazienza di Dio

Secondo l’espressione che l’Antico Testamento usa per descrivere Dio, a partire dall’Esodo, egli è

paziente/magnanime = macróthymos, mentre il genere umano oppone sempre resistenza:

Dio persevera affrontando continuamente la resistenza dell’uomo.

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Paziente e misericordioso è il Signore,

lento all'ira e ricco di grazia (Sal 144, 8)

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Nel Nuovo Testamento, attraverso l’Incarnazione di Cristo, la perseveranza di Dio raggiunge

la resistenza dell’uomo e la educa a opporre resistenza

non alla grazia ma alle avversità e al peccato.

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Così, la pazienza diventa il culmine della semina della Parola di Dio nella storia dell’uomo e l’uomo

impara ad entrare nella magnanimità di Dio, imparando da lui ad essere paziente

anche nelle situazioni apparentemente senza senso e senza scopo:

l’attesa di Giobbe della rivelazione di Dio,l’attesa dei servi e delle vergini nella notte.

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Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni,

ben sapendo che la tribolazione produce pazienza,

la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza

(Rm 5, 3-4)

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Nella filosofia greca classica, la pazienza non aveva grande valore.

Questo a causa del suo termine:

hupomonein = soprassedere, rimanere indietro, in contrapposizione all’iniziativa aggressiva; rimanere sotto alle cose e agli avvenimenti,

inteso come un continuo soggiacere, in contrapposizione alla resistenza attiva.

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In questa linea si è mossa la tradizione cristiana. Il mistero della pazienza sta tra uno “scomparire” (hypó) e un “permanere” (ménein):

il primo aspetto di questo scomparire e permanere sta nell’atteggiamento del Padre del cielo

che sospende il giudizio tra “i buoni” e “i cattivi”;

il secondo aspetto ha il suo paradigma nel chicco di grano che sembra scomparire e soccombere ma che poi permane nel suo dare frutto in alta percentuale.

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Nello scomparire e nel permanere in silenzioso giudizio

e in una silenziosa fecondità c’è il luogo proprio della pazienza.

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Possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto (Col 1, 10-11)

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Se la pazienza dei filosofi classici (ad es. la kartería degli stoici = lo sviluppo del valore come forza e capacità di resistere a prove durissime)

era una virtù ancora egocentrica e triste, già nel primo pensiero cristiano era superato l’appiattimento della pazienza sulla passività

e ne era presentata la paradossale unione di passività ed attività.

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Tra i Padri della Chiesa è soprattutto San Gregorio Magno ad occuparsi

della pazienza, parlandone come della “virtù specifica dei tempi difficili”.

Consiste nel sopportare il male presente, perché il Signore lo trasformi in bene per il futuro.

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Duplice è il movimento della volontà che è all’opera nella pazienza.

In un primo movimento (volontà passiva) il soggetto si ritrae,

per lasciare posto all’altro da sé;

in un secondo movimento (volontà attiva) il soggetto permane nella acquisizione

che ha saputo raggiungere e la sviluppa creativamente e fecondamente.

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L’attività e la pazienza sono come i due poli estremi della nostra vitalità:

da una parte l’intraprendenza, la vivacità, la creatività;

dall’altra un’apparente passività esterna, l’impossibilità di operare.

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La pratichiamo dunque in due forme che comprendono infinite modalità.

Una è quella per cui perseveriamo nell’agire, anche sottostando a difficoltà, in vista di un fine.

È caratterizzata dalla costanza ed è parte integrante della fortezza, perché capace di ripensare finalità

e condizioni e quindi di riformulare l’azione conforme a un discernimento.

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L’altra forma della pazienza è quella per cui accogliamo una situazione che ci impedisce di agire esternamente conforme a quello che vorremmo, seguendo anche propositi nobili di

generosità e di servizio al Signore.

L’azione diventa allora tutta interiore: di offerta e disponibilità, di preghiera e unione

col Padre che agisce, di povertà e affidamento allo Spirito che ama

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Questo per costruire pazientemente l’unità del dono di noi, raccogliendo e facendo

convergere tutte le potenzialità della vita:cuore, sentimenti, capacità, tempo, rapporti.

intorno al progetto di salvezza in cui siamo impegnati. Il primo compito è imparare la pazienza con se stessi:

la crescita spirituale si snoda lentamente durante l’intera vita.

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Tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (1Tm 6, 9)

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Il quotidiano

Il luogo e il tempo per esercitare questa pazienza fiduciosa e sperimentarne gli effetti benefici

sono proprio le situazioni della nostra vita, in modo particolare la quotidianità.

Pensiamo non solo a quando non vediamo realizzarsi ciò che ci eravamo prefissi

ma anche a quando ci troviamo in mezzo a situazioni non volute, per causa nostra o degli altri, comunque sgradevoli che non riusciamo ad evitare.

Quelle di vivere standoci dentro, senza ribellarci e senza lamentarci, perché comunque

in queste situazioni Dio c’è.

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Si richiede anche un alto grado di formazione del senso sociale: saper convivere con gli altri

come essi riescono ad essere, accettare quello che ci possono dare,

accoglierli malgrado gli urti di carattere, frenando l’irascibilità,

riconciliarsi quotidianamente

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Parlare nella propria lingua è facile:ognuno può aggiungere rumore, confusione, spreco.

Esercitare la virtù della pazienza è difficile:occorre essere formati alle difficoltà della vita e

accettare che questa non è mai facile.

Per mezzo della pazienza, ogni difficoltà affrontata con lealtà e umiltà

non lascia intorno a sé morte e distruzione ma speranza e avvenire.

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Tutte le volte che l’ansia per qualcosa che non si realizza

o l’amarezza per qualcosa che non si è realizzato

prendono il postodell’attesa paziente e fiduciosa

nel nostro cuore, è come se consegnassimo a Dio una dichiarazione di sfiducia e in ultima analisi una rinuncia a vivere.

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Si trova invece nella pazienza il segreto della calma nelle estreme contrarietà, nelle continue trasformazioni della vita.

Si prende allora parte alla vita come diákonoi di Dio, cioè come servitori alla liturgia della pazienza di Dio (in senso liturgico)e come servitori che corrono nella polvere e sono coperti di polvere (in senso greco).

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Per questo la pazienza appare come la maturità vera e propria dell’amore, nella capacità serena di accogliere i contrasti profondi della vita, delle situazioni, delle persone, vivendole come le doglie del parto, nell’attesa di una piena rivelazione

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La regola di san Benedetto considera la pazienza come la maturità a cui perviene il servizio di una persona consacrata: quando si abbraccia la vita e si persevera senza fiacchezza o cedimenti proprio nell’obbedienza delle cose ardue e avverse.

È la pazienza intesa come un farsi silenziosi nel servizio effettivo.

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Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace,

pazienza, benevolenza, bontà,

fedeltà, mitezza, dominio di sé.

Contro queste cose non c'è legge

(Gal 5, 20-23).

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Oggi è cambiata la nostra percezione del tempo: la fretta non si chiama più "fretta", ma "velocità", "tempo reale". L'inganno della velocità è un tipico inganno telematico. Da questo punto di vista un paradigma tipico del mondo dell’economia (“il tempo è denaro”), si è spostato a livello delle nostre abitudini. Quando noi scriviamo una e-mail o un sms ci aspettiamo che l'altro ci risponda un minuto dopo. Non ammettiamo che non ci sia, che non abbia voglia di rispondere, che non voglia leggere con più attenzione quello che abbiamo scritto. Se non risponde magari gli telefoniamo dicendo: "Ma hai avuto l'e-mail?"

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Fattori contrastanti

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Lo scorrere del tempo ci appare sempre di più come qualcosa che non riusciamo a dominare, gli impegni sembrano toglierci il respiro. Non a caso, la psichiatria fenomenologica descrive la depressione come un’esperienza di vita in cui uno sembra di non avere più tempo, di avere il tempo contato, fino a che, sentendosi braccati si incorre in un autentico stallo esistenziale.Questa descrizione si attaglia perfettamente alla vita quotidiana di decine di milioni di persone che non si considerano affatto depresse. Questo perché l’emergenza, lo stato d’assedio è divenuto quotidianità.

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Fattori contrastanti

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Fattori contrastantiAl contrario, la dilazione temporale dell’esercizio della volontà buona è il modo di essere della pazienza quale longanimità. La longanimità rientra fenomenologicamente nella pazienza in quanto ha come proprio oggetto la dilazione del bene sperato. La dilazione, propria della pazienza, offre un supplemento temporale che consente la riflessione.

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Perché cresca una spiga o sbocci un fiore ci sono tempi che non si possono forzare;

per la nascita di una creatura umana occorrono nove mesi;

per comporre un libro o una musica di valore bisogna spesso impegnare anni in paziente ricerca.

Questa è anche la legge dello spirito. “Tutto quello che è frenetico / presto sarà passato”.

(R. M. Rilke, I sonetti a Orfeo)

Per l’incontro col mistero occorrono pazienza, purificazione interiore, silenzio, attesa.

Giovanni Paolo II - Mercoledì, 26 luglio 2000

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In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio,con purezza, sapienza, pazienza,

benevolenza, spirito di santità, amore sincero, con parole di verità

(2Cor 6, 4-7)

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Pazienza = patireNella sofferenza è come contenuta una particolare chiamata alla virtù, che l'uomo deve esercitare da parte sua. Questa è la virtù della perseveranza nel sopportare ciò che disturba e fa male. L'uomo, così facendo, sprigiona la speranza, che mantiene in lui la convinzione che la sofferenza non prevarrà sopra di lui, non lo priverà della dignità propria dell'uomo unita alla consapevolezza del senso della vita. Salvifici Doloris n.23

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Pazienza = patire

Se si guarda il termine latino, patientia da patire, si evidenzia il significato di un silenzioso permanere (moné) sotto (hipó) la sofferenza: Dio si è assoggettato a questo silenzioso scomparire, paragonandosi al chicco di grano.

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Pazienza = patire

La sofferenza è una crescita e anche una maturazione.

L’uomo che cresce oltre se stesso, matura, diventa più ricco in umanità

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Pazienza = patire

Nel portare a compimento il senso del dolore, attuiamo ciò che di più umano c’è in noi. Proprio quando siamo soli, senza aiuto

e senza speranza, in situazioni che non possiamo mutare,

siamo interpellati in maniera specifica: ci è chiesto di cambiare noi stessi

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Pazienza = patire

La sofferenza, così, non è una passione da subire

ma un’azione da compiere, una realtà da vivere attivamente

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Accetta quanto ti capita, sii paziente

nelle vicende dolorose, perché con il

fuoco si prova l'oro,

e gli uomini ben accetti

nel crogiuolo del dolore. Affidati a lui

ed egli ti aiuterà; segui la via diritta

e spera in lui.(Sir 2, 4-6)

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Pazienza = patireSecondo Pulcini, oggi nella nostra società si è passati da un tipo di uomo prometeico, mosso dai propri interessi, dal desiderio di potere e ricchezza che però aveva ancora

una visione del futuro e un progetto di vita, all’uomo narcisista, cioè senza passioni, un individuo privo di

progettualità, orientato al consumo e preoccupato solo del presente, con tendenze onnipotenti e parassitarie, occupato solo ad assorbire dal mondo tutto ciò che

promette di soddisfare le sue pretese. Privo di legami emotivi con gli altri, l’uomo senza passioni è sempre in

corsa, mosso da un desiderio insaziabile che tenta di colmare senza riuscirvi perché l’essenza del desiderio, al contrario della passione, è il vuoto. L’unica passione che

prova è quella del benessere, del consumo, che lo porta a coltivare l’invidia per quello che gli altri hanno e che anche

lui ritiene di poter avere”.

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Possibili prospettiveSe soffriamo di una certa incapacità di attendere, di mettere un tempo fra l’insorgere del desiderio e il suo appagamento, corriamo il rischio di cedere ai bisogni immediati, anche di basso profilo, piuttosto che puntare su quelli più nobili, che

però andrebbero approfonditi e “soddisfatti” con sforzo; il rischio di non sopportare le difficoltà e non assumere

l’ascesi necessaria per raggiungere le mete; di non apprezzare i beni perché sono stati ottenuti troppo

facilmente, senza pagare di persona; di non maturare per la vita che, prima o poi, o forse sempre, ci mostra i suoi

aspetti duri, cioè la fragilità.

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Bisogna comprendere la gerarchia delle cose e degli avvenimenti, farsi un’idea dei passi

che richiede il cammino verso gli obiettivi, avvicinare esperienze altrui,

rendersi conto delle energie da sviluppare.

Possibili prospettive

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Evitare di prendersi cura solo di sé.

Uno degli slogan più di moda al giorno d’oggi sarebbe autonomo da tutto e da tutti, dove l’idea di autonomia

dell’individuo è strettamente connessa al saper dominare gli altri nella relazione, nell’essere sempre occupati per

affermare se stessi.

Qui sta la fragilità, perché essere liberi non vuol dire essere da soli nel mondo ma riporre la propria fiducia

in molte cose e persone.

Possibili prospettive

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Essere capaci di donare

L’uomo prometeico e il narcisista, hanno per la filosofa un rapporto con l’altro insoddisfacente, basato sul proprio interesse, sul

desiderio di affermare se stessi a ogni costo. La nuova via proposta è “l’uomo reciproco”, che basa la sua

essenza sulla capacità di “donare”, data dal fatto, spiega Pulcini, che “ogni essere umano sin dalla sua nascita è inserito in relazioni

di reciprocità, è un dono per l’altro, in quanto è fragile e dipendente dall’altro”. Una capacità di donare da intendersi “non

come altruismo caritatevole o sacrificale, ma come capacità di mettersi in gioco, lasciarsi contaminare per avere relazioni non solo con ‘il nostro prossimo’, ma con il mondo, gli sconosciuti,

tutto ciò che rende possibile e arricchisce la nostra vita.

Possibili prospettive

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Possibili prospettiveL'Altro è solo nemico, rivale o può essere anche amico? Oppure dobbiamo rassegnarci ad essere individui solitari senza passioni né legami, assenti e inautentici? Occorre tempo per costruire un'amicizia; ed occorrono luoghi (fisici e mentali) per farla vivere. Ma oggi tempo e spazio sono stati annullati. L'amicizia ha ceduto il passo a rapporti sociali di scambio, dove il "fare" prevale sulla capacità e possibilità di "essere". Viviamo sempre più in un mondo di "relazioni" continue e pervasive, ma puramente funzionali (è "comunicazione-informazione", non "comunicazione-comprensione"). Sono cioè relazioni senza passioni.

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Sapere risvegliare le proprie passioni.

In un’epoca di anestesia delle passioni, l’ultimo atto possibile di un risveglio dei sentimenti è la cura.

La cura allora presuppone una persona che non ha atteggiamenti di onnipotenza, ma consapevole della propria finitezza umana, della propria vulnerabilità, dei propri limiti e per questo è pronta a un diverso rapporto con gli altri e

con se stessa per cercare nuove possibilità, nuove aperture feconde all’esistenza.

Possibili prospettive

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Fuggi le passioni giovanili; cerca la giustizia, la fede,

la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro.

Evita inoltre le discussioni sciocche e non educative,

sapendo che generano contese. Un servo del Signore non deve essere

litigioso, ma mite con tutti, atto a insegnare,

paziente nelle offese subite, dolce nel riprendere gli oppositori.

(2Tm 2, 22-25)

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Possibili prospettiveNei giorni della sua elezione al papato, nell'aprile 2005 Benedetto XVI ha parlato della pazienza di Dio: Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte.

Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore ... Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E

nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza ... il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il

mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini. La sapienza del cuore

contempla anche la pazienza. Il tempo non scorre invano.

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È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo

ingiustamente. Se facendo il bene

sopporterete con pazienza la sofferenza,

ciò sarà gradito davanti a Dio.

A questo infatti siete stati chiamati, poiché

anche Cristo patì per voi,

lasciandovi un esempio, perché

ne seguiate le orme

(1Pt 2, 19-21)

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Nell’atto di assunzione consapevole della sofferenza,

da sub-fero, che significa star sotto, portare un peso sulle spalle, si trasforma in offerta:

portare l’essere dove manca.

Possibili prospettive

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Chi ha dato al dolore dell’uomo il suo carattere sovrumano è Cristo paziente, il grande fratello d’ogni povero, d’ogni sofferente. Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore; Cristo lancia una vocazione al dolore. Questa voce è fra le più misteriose e le più benefiche che abbiano attraversato il quadro della vita umana. Gesù chiama il dolore a uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare, se unito al suo, fonte positiva di bene, fonte delle più sublimi virtù, che vanno dalla pazienza all’eroismo e alla sapienza. Il potere salvifico della Passione del Signore può diventare universale, e immanente in ogni nostra sofferenza, se accettata e sopportata in comunione con la sua sofferenza. La «compassione» da passiva si fa attiva. Nel cristiano si inizia un’arte strana e stupenda: quella di «saper soffrire», quella di far servire il proprio dolore alla propria ed alla altrui redenzione.

Via crucis al Colosseo parole del Santo Padre Paolo VI

Venerdì Santo, 27 marzo 1964

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Fin dal mattino è l’azzurro il colore della pazienza. L’azzurro della poesia e il bianco preliminare dell’alba,la notte oscura dell’animae gli uomini grigi,il verde della germinazione e della crescita e il rosso della protesta e del grido.E uno speciale colore senza nullo colore:la luce paziente della coscienza.

(I sette colori della pazienza, Vittorio Vettori)

Page 65: Forti e pazienti in tutto Giornate di Formazione 2009.

Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore.Cerca di amare le domande,

che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera.

Rainer Maria Rilke