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Testimoni 7/2013 13 A questo snodo di problema- tiche ha cercato di fornire una risposta la giornata di studio organizzata per il 9 maggio dall’Istituto di Pedagogia Vocazio- nale della Pontificia Università Sale- siana. Un nutrito gruppo di studiosi ne ha discusso a partire dal libro Consacrazione e Formazione Per- manente. Missione Possibile (Editri- ce Rogate, 2012), scritto a quattro mani da don Gian Franco Poli, psi- chiatra e formatore, presbitero della diocesi di Albano e da padre Giu- seppe Crea, comboniano e psicote- rapeuta, docente all’Università sale- siana. L’iniziativa, presentata dal rettore dell’Università, don Carlo Nanni, e da don Mario Llanos per l’Istituto di Pedagogia Vocazionale, ha visto co- me primo intervento quello del bibli- sta Rinaldo Fabris, per inquadrare la tematica della formazione nelle mo- dalità della “chiamata” operanti nel- la Bibbia e nel Vangelo. Il termine “chiamata”, ha spiegato, è da preferi- re a quello di “vocazione” in quanto quest’ultimo sottintende l’idea di uno sviluppo delle proprie potenzia- lità mentre il primo si riferisce davve- ro all’azione di Dio sulla persona. La chiamata ha una sua dinamica: è ini- ziativa di Dio, il soggetto esplicita le sue paure, vengono superate con la promessa dell’aiuto di Dio per la rea- lizzazione di un progetto. «Solo chi si autoincarica non ha dubbi perché è un fanatico», ha commentato il prof. Fabris, rilevando – prendendo spun- to da san Paolo, ultima figura tratteg- giata – che «la prima chiamata è la vi- ta, è la libera iniziativa di Dio. Den- tro la libertà di Dio c’è la nostra li- bertà che può portare alla scelta, e la chiamata è sempre inseparabile da un compito». Come Gesù che libera il pescatore Pietro dalla paura del fu- turo, lo chiama a sé dalla barca, lo prepara per il Regno. FORMAZIONE Giornata di studio all’Università salesiana FORMAZIONE PER TUTTA LA VITA “Formazione permanente” e “aggiornamento”, questi sconosciuti. Si realizzano piuttosto sottoforma di corsi, iniziative di studio o percorsi intellettuali, mentre ci sarebbe un gran bisogno di riqualificare la vita spirituale e l’agire che da questa può scaturire. I fattori individuali che entrano in gioco Con il secondo intervento di padre Amedeo Cencini, canossiano, forma- tore e docente all’Università salesia- na, si è entrati nel tema dei “fattori individuali” che consentono la for- mazione permanente. E qui il relato- re ha sottolineato con energia che «non è la formazione a formare ben- sì la vita». Dunque conta moltissimo l’atteggiamento di fondo che il can- didato al sacerdozio deve avere. At- teggiamento riassunto da Cencini nel termine docibilitas, cioè la dispo- nibilità a lasciarsi plasmare, a cam- biare, a riconoscere e abbassare le resistenze e le difese. Senza tale at- teggiamento non è possibile una vi- ta sacerdotale o consacrata e «la do- cibilitas dovrebbe diventare il vero criterio per l’ammissione, perché servono persone che abbiano impa- rato ad imparare». La formazione iniziale «serve a formare la docibili- tas e quell’apertura che abbatte resi- stenze e difese». Don Vito Orlando, vice-rettore del- l’Università salesiana, ha ripercorso brevemente la “storia” della forma- zione permanente. Un’intuizione che risale agli anni del secondo do- poguerra, è stata identificata e defi- nita in diversi documenti e studi commissionati dall’Unesco, si conci- lia con l’idea della “formazione degli adulti” ed è comunemente codifica- ta nell’espressione “life long lear- ning, una formazione che non si ferma ai banchi di scuola per prose- guire lungo le diverse altre fasi della vita. Secondo Orlando esiste un col- legamento tra l’idea della formazio- ne permanente espressa dai docu- menti pontifici – ad esempio in Pa- stores dabo vobis – e le acquisizioni in ambito culturale internazionale. Mondo cattolico e mondo laico con- dividerebbero insomma l’idea che l’apprendimento per tutta la vita è un diritto, è diretto a tutti e dunque universale, riguarda tutti gli aspetti e dunque globale, integrale, continuo. Nei documenti pontifici si parla di una formazione per tutta la vita che coinvolge tutta la persona. In realtà, senza forzare i termini con paragoni, si potrebbe più semplicemente dire che la formazione permanente è un

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Testimoni 7/2013 13

Aquesto snodo di problema-tiche ha cercato di fornireuna risposta la giornata di

studio organizzata per il 9 maggiodall’Istituto di Pedagogia Vocazio-nale della Pontificia Università Sale-siana. Un nutrito gruppo di studiosine ha discusso a partire dal libroConsacrazione e Formazione Per-manente. Missione Possibile (Editri-ce Rogate, 2012), scritto a quattromani da don Gian Franco Poli, psi-chiatra e formatore, presbitero delladiocesi di Albano e da padre Giu-seppe Crea, comboniano e psicote-rapeuta, docente all’Università sale-siana. L’iniziativa, presentata dal rettoredell’Università, don Carlo Nanni, eda don Mario Llanos per l’Istituto diPedagogia Vocazionale, ha visto co-me primo intervento quello del bibli-sta Rinaldo Fabris, per inquadrare latematica della formazione nelle mo-dalità della “chiamata” operanti nel-

la Bibbia e nel Vangelo. Il termine“chiamata”, ha spiegato, è da preferi-re a quello di “vocazione” in quantoquest’ultimo sottintende l’idea diuno sviluppo delle proprie potenzia-lità mentre il primo si riferisce davve-ro all’azione di Dio sulla persona. Lachiamata ha una sua dinamica: è ini-ziativa di Dio, il soggetto esplicita lesue paure, vengono superate con lapromessa dell’aiuto di Dio per la rea-lizzazione di un progetto. «Solo chi siautoincarica non ha dubbi perché èun fanatico», ha commentato il prof.Fabris, rilevando – prendendo spun-to da san Paolo, ultima figura tratteg-giata – che «la prima chiamata è la vi-ta, è la libera iniziativa di Dio. Den-tro la libertà di Dio c’è la nostra li-bertà che può portare alla scelta, e lachiamata è sempre inseparabile daun compito». Come Gesù che liberail pescatore Pietro dalla paura del fu-turo, lo chiama a sé dalla barca, loprepara per il Regno.

FORMAZIONE

Giornata di studio all’Università salesiana

FORMAZIONEPER TUTTA LA VITA

“Formazione permanente” e “aggiornamento”, questisconosciuti. Si realizzano piuttosto sottoforma di corsi,

iniziative di studio o percorsi intellettuali, mentre cisarebbe un gran bisogno di riqualificare la vita spirituale e

l’agire che da questa può scaturire.

—I fattori individualiche entrano in gioco

Con il secondo intervento di padreAmedeo Cencini, canossiano, forma-tore e docente all’Università salesia-na, si è entrati nel tema dei “fattoriindividuali” che consentono la for-mazione permanente. E qui il relato-re ha sottolineato con energia che«non è la formazione a formare ben-sì la vita». Dunque conta moltissimol’atteggiamento di fondo che il can-didato al sacerdozio deve avere. At-teggiamento riassunto da Cencininel termine docibilitas, cioè la dispo-nibilità a lasciarsi plasmare, a cam-biare, a riconoscere e abbassare leresistenze e le difese. Senza tale at-teggiamento non è possibile una vi-ta sacerdotale o consacrata e «la do-cibilitas dovrebbe diventare il verocriterio per l’ammissione, perchéservono persone che abbiano impa-rato ad imparare». La formazioneiniziale «serve a formare la docibili-tas e quell’apertura che abbatte resi-stenze e difese».Don Vito Orlando, vice-rettore del-l’Università salesiana, ha ripercorsobrevemente la “storia” della forma-zione permanente. Un’intuizioneche risale agli anni del secondo do-poguerra, è stata identificata e defi-nita in diversi documenti e studicommissionati dall’Unesco, si conci-lia con l’idea della “formazione degliadulti” ed è comunemente codifica-ta nell’espressione “life long lear-ning”, una formazione che non siferma ai banchi di scuola per prose-guire lungo le diverse altre fasi dellavita. Secondo Orlando esiste un col-legamento tra l’idea della formazio-ne permanente espressa dai docu-menti pontifici – ad esempio in Pa-stores dabo vobis – e le acquisizioniin ambito culturale internazionale.Mondo cattolico e mondo laico con-dividerebbero insomma l’idea chel’apprendimento per tutta la vita èun diritto, è diretto a tutti e dunqueuniversale, riguarda tutti gli aspetti edunque globale, integrale, continuo.Nei documenti pontifici si parla diuna formazione per tutta la vita checoinvolge tutta la persona. In realtà,senza forzare i termini con paragoni,si potrebbe più semplicemente direche la formazione permanente è un

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aspetto che emerge dalla comples-sità della società, dalle molteplici sfi-de alle quali ognuno deve fare fron-te, e dunque si rende necessaria unarevisione e un aggiornamento delleconoscenze e delle competenze.

—I maggiori problemida affrontare

E tuttavia quale è la realtà della vitaconsacrata dentro la quale portareuna linea di formazione permanen-te? Il compito di enuclearne le pro-blematiche è stato affidato al prof.don Giuseppe Mariano Roggia, do-cente all’Università Salesiana, che inforte chiaroscuro ha fatto vedere imaggiori problemi da affrontare. Apartire da una mancanza profondadi consapevolezza. «La persona – haspiegato – si realizza nelle relazioni».Sembra lapalissiano e non lo è difronte al “rinnovamento incompiu-to” e all’ “anacronismo” di un mo-dello organizzativo del tempo e del-la vita di religiose e religiosi. «Oggiabbiamo un modello oramai anacro-nistico che riguarda il vestire, i rap-porti, l’organizzazione del tempo.Mancano modalità comunicabili, aldi là di quanto scrivono i documentiufficiali». Dunque la vita consacrata«sembra un cantiere abbandonato.Pertanto è necessario riaprire icantieri del rinnovamento in-compiuto per riuscire a coniuga-re l’ispirazione originaria con leattese dell’umanità di oggi. Ab-biamo un dato di fatto sul qualeintervenire: il cattivo stato di sa-lute delle comunità, luoghi dovenon ci si comprende più. È ne-cessario allora valorizzare lepersone in una chiara direzionevocazionale, coinvolgendo tutti.Dobbiamo considerare la comu-nità quale ambito naturale delprocesso di crescita, senza di-menticare la dimensione spiri-tuale della comunità stessa e in-serendo le relazioni all’internodi un progetto di comunione».

—Dibattitosugli interventi

Il dibattito che è scaturito dagliinterventi, molto ricco dato an-che il gran numero di parteci-

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panti, ha messo bene in evidenza co-me la “formazione permanente” siauna sorta di “cenerentola”, sospesatra approccio esclusivamente intel-lettuale ed obbligo per compiacere ilvescovo o i propri superiori. In pro-posito, don Fabris ha rimarcato co-me i documenti ecclesiali parlino dif-fusamente degli aspetti intellettuali,dimenticando la coerenza tra fede evita, la cultura e infine che l’essereumano è fatto di anima e di corpo-reità e dunque è indispensabile an-dare verso un’integrazione della per-sona e della personalità. «È qui il problema – ha spiegato convivacità don Poli – cioè ci si rivolgeall’ “esperto” nel momento in cuisiamo arrivati al livello di guardia enon si può continuare a fare finta diniente. Invece, nel nostro lavoro enei libri che pubblichiamo, cerchia-mo di ribadire che occorre un inter-vento capillare e certosino di pre-venzione, per affrontare i problemi,non ignorarli!». I problemi hanno unnome e cognome, ha insistito padreCrea. «Dobbiamo convincerci che ipreti e le suore lavorano a contattocon le difficoltà delle persone, vivo-no la costante tensione del rapportointerpersonale e devono prepararsiper reggere il peso emotivo, sia con ifedeli, sia con gli altri confratelli e

consorelle».«Un tempo – incalza don Poli – si di-ceva: aiutati che Dio ti aiuta. Oggisappiamo che è necessaria unaprofonda spiritualità che però nonbasta, da sola, per affrontare i pro-blemi relazionali e le tante sfide cheuna realtà complessa mette davantial sacerdote in parrocchia o alla suo-ra nelle diverse attività». Il libro sipreoccupa di delineare in che modouna formazione ben fatta riesca aprevenire. Formazione ben fatta si-gnifica capacità di coniugare insiemespiritualità, studio della teologia eformazione umana. La psicologianon guasta, tutt’altro. «La psicologiarelazionale – insiste padre Crea –aiuta a capire gli altri e a capire sestessi. E non c’è motivo per non ve-nire utilizzata di più sia nelle fasi didiscernimento dei candidati al sacer-dozio, sia all’interno del seminario,sia – soprattutto – dopo». Già. Per-ché il problema della “formazionepermanente” è tutto qui, come il li-bro ci dice, neanche tanto tra le ri-ghe. Cioè spesso si pensa che bastiquanto si è appreso negli anni del se-minario per poter tirare avanti tuttala vita. Ed è un vizio soprattutto ita-liano. Un po’ come accade dopo lalaurea: si pensa di non avere più bi-sogno di una formazione ulteriore. O

come i corsi prematrimoniali:utili per i fidanzati, poi dopo ilmatrimonio ogni coppia si arran-gi come può nei momenti di dif-ficoltà o di crisi. O come per i sa-cerdoti e le suore: lavorano inparrocchia o nelle loro istituzio-ni e se hanno problemi al massi-mo si prendono un “anno sabba-tico”. Oppure se ne vanno. Co-me ha detto recentemente il car-dinale Braz, de Aviz, Prefettodella Congregazione per la vitaconsacrata, il cui dicastero auto-rizza ogni anno tra le 3 e le 4 mi-la “uscite” dalle rispettive con-gregazioni. Di fronte a tale situa-zione la risposta dei due autori ènell’insistere su un programmadi “formazione permanente”.Perché prevenire è meglio checurare. E in questo caso si trattadi un’urgenza, non di uno slo-gan. La “formazione permanente”avrebbe, se ci fosse davvero, il

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grande vantaggio di scoperchiare si-tuazioni difficili, prevenirle magari,soprattutto portarle in una dimen-sione di crescita. Come ha ribaditopadre Crea, anche le situazioni piùdifficili hanno sempre un significatovocazionale da riscoprire. Quindipure le situazioni più problematichepossono diventare un’occasione dicambiamento e di crescita. «Anchequando ci troviamo vittime indifesein una situazione senza speranza,anche là, anzi proprio là, la vita puòessere piena di senso; perché allorapossiamo realizzare ciò che di piùumano vi è nell’uomo e, al contem-po, testimoniare la più umana di tut-te le capacità umane: quella di tra-sformare una tragedia in un trionfopersonale, una sofferenza in unaprestazione umana». Anzi, è proprionelle situazioni più complesse, nellecrisi, nei conflitti o nei momenti buidella storia personale e collettiva,«che ognuno di noi ha l’opportunitàdi riconoscere e di intuire che c’èqualcosa in più: c’è un senso da da-re a quello che sta vivendo. In que-sto modo l’individuo impara a guar-dare in modo diverso alla vita, sa-pendo che può mettere le sue qua-lità per realizzare quel progetto chegli è stato donato e che ora può con-cretizzare attraverso le scelte checompie in momenti come questi.Questo lavoro è un processo lento,perché ogni momento della vita èbuono per realizzarlo, ma ancheprogressivo, perché sempre più ap-pagante per il valore esistenzialeche sottende». Nel corso dei lavori della giornata,era una sensazione acutamente dif-fusa l’urgenza di un lavoro di forma-zione permanente a diversi livelli.Anche se non si è potuto parlare inmodo specifico del ruolo dei laici,pure importante, o in maniera ap-profondita delle suore (la maggiorparte delle presenti), tuttavia a di-versi livelli è emersa la stanchezza, lafatica, la portata della sfida a frontedi situazioni ecclesiali ripiegate su sestesse. Per i presenti il tema era at-tualissimo e vitale per il futuro. I la-vori si sono conclusi con l’auspicio dipoter contagiare il resto degli am-bienti di vita e di attività pastorale.

Fabrizio Mastrofini

Ogni domenica della mia in-fanzia, la stessa scena: lamia nonna iniziava di buon

mattino a mettere il paiolo di ramesul fuoco, attendeva il bollore del-l’acqua e da quel momento prende-va avvio il rito della polenta… me-scolare continuamente, con brevi so-stituzioni – tra l’altro recepite da leicome incursioni minacciose – da par-te di mio nonno. Mescolava, aggiun-geva, salava… poi a mezzogiorno eun quarto precisi, la polenta venivarovesciata sul tagliere e l’intera fa-miglia si apprestava a vivere una ter-rificante verifica… il paiolo vuotoveniva messo sotto l’acqua correntee ogni volta in cui il contatto dell’ac-qua fredda con il calore del paioloproduceva degli scoppiettii… minonna diceva: qualcuno oggi non hapregato e la polenta lo sta dicendo.Non sono mai riuscita a cogliere teo-

logicamente lo strano legame tra lapolenta e la vita spirituale… ma que-sto evento apriva in me seri esami dicoscienza ogni domenica mattina, emi chiedevo se il messaggio del paio-lo della polenta valesse solo la do-menica o avesse valenza retroattivaanche per gli altri giorni della setti-mana.Un episodio che a distanza di tempocertamente fa sorridere ma allo stes-so tempo esprime una verità di fedesemplice e fondamentale: Dio si legaalla vita dell’uomo per sempre; im-merso nelle nostre comuni vicende efaccende, le rende sacre e luogo diesperienza e di incontro.Faccende umane, come il mangiare eil bere, incorniciano la storia dellasalvezza. Se da un lato la trasgressio-ne di un comando, legato al nutrirsidell’albero della conoscenza del be-ne e del male, è posto nei racconti

VITA FRATERNA

Un momento importante della vita fraterna

LO STAREINSIEME A TAVOLA

Il clima a tavola rappresenta e mostra il calore e lacoesione della comunità: membra isolate o corpo che sinutre con la stessa intensità del pane della terra e del

pane del cielo… Il cibo diventa un vero e propriocoinvolgimento comunitario.

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