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Antonio Milanese (logopedista) www.trainingcognitivo.it [email protected] 1 Fonetica e fonologia dalla teoria alla riabilitazione logopedica nel bambino e nell'adulto di Antonio Milanese (logopedista) Seguiteci su Facebook per essere sempre aggiornati su articoli, recensioni e web-app Ultimo aggiornamento: 13/10/2017 Lo scopo è quello di mostrare la stretta relazione tra la teoria linguistica e la pratica logopedica in valutazione e riabilitazione. Ognuno degli argomenti trattati richiederebbe un libro a parte, dunque a molti specialisti questa trattazione potrà sembrare superficiale. Tuttavia, ritengo che avere un quadro generale prima di entrare nel dettaglio possa aiutare molti di coloro che si accingono a studiare, per lavoro o per passione, questa materia. Per segnalare qualunque incongruenza potete scrivermi a [email protected] Questo articolo è diviso in 4 parti: 1. Fonetica e fonologia: la teoria (pag.2) 2. La valutazione degli aspetti fonetici e fonologici nel bambino (pag. 6) 3. Il trattamento degli aspetti fonologici nel bambino (pag. 10) 4. La valutazione e il trattamento degli aspetti fonologici nell'adulto (pag. 13)

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Fonetica e fonologia

dalla teoria alla riabilitazione logopedica

nel bambino e nell'adulto di Antonio Milanese (logopedista)

Seguiteci su Facebook per essere sempre aggiornati su articoli, recensioni e web-app

Ultimo aggiornamento: 13/10/2017

Lo scopo è quello di mostrare la stretta relazione tra la teoria linguistica e la pratica logopedica in

valutazione e riabilitazione. Ognuno degli argomenti trattati richiederebbe un libro a parte, dunque a molti

specialisti questa trattazione potrà sembrare superficiale. Tuttavia, ritengo che avere un quadro generale

prima di entrare nel dettaglio possa aiutare molti di coloro che si accingono a studiare, per lavoro o per

passione, questa materia. Per segnalare qualunque incongruenza potete scrivermi

a [email protected]

Questo articolo è diviso in 4 parti:

1. Fonetica e fonologia: la teoria (pag.2)

2. La valutazione degli aspetti fonetici e fonologici nel bambino (pag. 6)

3. Il trattamento degli aspetti fonologici nel bambino (pag. 10)

4. La valutazione e il trattamento degli aspetti fonologici nell'adulto (pag. 13)

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Parte 1: La teoria

Che cos’è la fonetica. Ogni lingua è composta da diversi suoni che combiniamo per produrre parole e

frasi. La fonetica si occupa delle caratteristiche fisiche dei suoni usati dalle lingue naturali. Esistono tre

grandi rami della fonetica:

fonetica acustica: analizza le caratteristiche acustiche del segnale sonoro

fonetica articolatoria: studia la produzione dei suoni attraverso l’apparato articolatorio

fonetica percettiva: studia la percezione dei suoni da parte dell’ascoltatore

Fonetica articolatoria. In italiano, la produzione dei suoni linguistici avviene attraverso la modificazione di

un flusso d’aria polmonare egressivo (cioè dall’interno verso l’esterno). L’aria che fuoriesce dai polmoni

attraversa diverse cavità (bronchi, trachea, laringe, cavità orale o cavità nasale) e viene più o meno

modificata. All’interno della laringe si trova la glottide, un organo complesso che contiene le corde vocali.

La vibrazione o non vibrazione delle corde vocali durante il passaggio dell’aria permette la prima grande

distinzione tra suoni sordi (prodotti senza vibrazione) e suoni sonori (prodotti con vibrazione). Il tratto

sordo/sonoro è distintivo nella nostra lingua e permette di distinguere, ad esempio, una f (sorda) da

una v (sonora).

Vocali e consonanti. In italiano le vocali sono tutte sonore. Cosa le distingue dalle consonanti? Le vocali

sono fondamentalmente prodotte in modo libero, cioè l’aria esce senza ostruzioni (la differenza tra una

vocale e l’altra, infatti, è dato solo dall’apertura della bocca e dalla posizione della lingua e della

mandibola). Al contrario, nella produzione delle consonanti avviene sempre una qualche ostruzione. Non

mi dilungherò sul modo in cui gli articolatori fissi e mobili, entrando più o meno in contatto tra di loro,

generano i diversi suoni, perché porterebbe via molto tempo ed è materia trattata in tutti i corsi di laurea

rivolti al linguaggio. Mi limiterò a riportare la tabella con i luoghi e i modi di articolazione per consonanti e

vocali italiane:

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Questo divertente programma vi permetterà di osservare in modo interattivo come cambia il suono

prodotto a seconda del diverso posizionamento degli articolatori.

Che cos’è la fonologia. La fonologia studia la competenza fonologica che un parlante ha della propria lingua

materna, cioè quel sistema che si va sviluppando nei primi anni della vita di un essere umano e in cui viene

stabilita una differenza tra suoni che distinguono significati e suoni che non li distinguono (Nespor M.

(1993), Fonologia, il Mulino, Bologna, p. 17). In particolare la fonologia studia:

La descrizione dei fonemi di una lingua (inventario fonetico)

La descrizione dei limiti posizionali e sequenziali dei fonemi all’interno di una parola

La descrizione delle variazioni nella pronuncia del fonema

Libri consigliati sulla fonologia: M. Nespor e Laura Bafile (2008), I suoni del linguaggio e U. Bortolini (1995),

Lo sviluppo fonologico in Sabbadini, Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva

Differenza fra fonetica e fonologia. La prima grande differenza che stabiliamo tra fonetica e fonologia è

che la prima si occupa degli aspetti “fisici” dei suoni, mentre la seconda degli aspetti “mentali” all’interno di

una lingua. La differenza diventerà evidente nel paragrafo successivo, quando mostreremo come,

all’interno di una lingua, suoni prodotti anche in modo diverso vengano ricondotti allo stesso fonema.

Gli allofoni. Tra tutti i suoni che l’essere umano è in grado di produrre, ogni lingua seleziona quelli che sono

i suoi suoni distintivi e, di conseguenza, quelli non distintivi. In italiano, ad esempio esiste una sola [r] e il

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bambino impara presto a riconoscere come [r] anche suoni molto diversi come la [r] classica “alveolare”, la

[r] francese “uvulare” o una [r] monovibrante. Questo nonostante la differenza tra la [r] italiana e la [r]

francese, dal punto di vista acustico, sia uguale a quella tra la [d] e la [g]. Il caso più eclatante è quello della

[n] che riconosciamo come [n] nonostante i suoni prodotti

in naso, Gianpaolo, mangiare, conca e anfibio siano 5 suoni diversi! In questo caso parliamo di allofoni dello

stesso fonema. Questa operazione che compiamo nei primi anni di vita è così importante da renderci più

difficile l’apprendimento di altre lingue in cui alcune differenze che nella nostra lingua non vengono

evidenziate diventano invece contrastive. Pensiamo, ad esempio, alla lunghezza delle vocali in inglese che

può distinguere ship da sheep. Non essendo la lunghezza delle vocali contrastiva in italiano, non riusciamo

a percepire immediatamente la differenza tra i due suoni in inglese.

Per approfondire: Sisinni B. (2016), Fonetica e fonologia nella seconda lingua, Carrocci

Coppie minime. Cosa permette, allora, di identificare due fonemi diversi? Come abbiamo detto nella

definizione, è necessario che i due fonemi producano due significati diversi. [m] e [n] si distinguono in

italiano perché, ad esempio, possiamo creare la coppia minima mano/nano, cioè cambiando il primo

fonema otteniamo due significati diversi. Torneremo più avanti sui criteri per creare delle coppie minime.

Per approfondire: Le coppie minime 1, Le coppie minime 2

Fonologia segmentale e soprasegmentale. Non sono solo le vocali e le consonanti a cambiare il significato

delle parole (fonologia segmentale); anche altri elementi sonori possono comunicare un cambiamento di

significato. In cinese, ad esempio, la variazione tonale di ma può produrre quattro diversi significati. In

italiano, il tono non cambia il significato della parola, ma può cambiare quello della frase, trasformandola

da affermativa a interrogativa. Un altri elemento soprasegmentale importante per l’italiano, poi, è

l’accento: a parità di vocali e consonanti, le parole pero e però comunicano due significati diversi.

I tratti distintivi. I tratti distintivi sono il punto d’incontro tra la fonetica e la fonologia. Vediamo perché.

Abbiamo detto che determinate classi di suoni possono essere considerate “simili” in relazione a una lingua

e quindi fanno parte dello stesso fonema (i fonemi si indicano generalmente tra due barre diagonali, come

ad esempio /f/). A volte, però, una leggera variazione del suono provoca un cambiamento di significato,

come quando ad esempio in faro e varo. In questo caso abbiamo una coppia minima di parole: le parole

sono identiche in tutto e per tutto tranne che per un segmento (la [f] e la [v]).

Dalla fonetica articolatoria, però, abbiamo visto che possiamo scomporre ancora di più i fonemi in tratti,

cioè proprietà fisiche che rendono quel suono membro di quella classe e non di un’altra. Anche in questo

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caso, la trattazione estensiva dei tratti porterebbe via diverse pagine, per cui ci limitiamo a rimandarvi al

libro già citato di Marina Nespor e illustrare i tratti delle consonanti e vocali italiane. Per comodità di

classificazione, i tratti sono binari, ovvero possono essere solo presenti (+) o assenti (-).

L’accento. La definizione dei tratti dell’accento è un po’ più complessa. Dal punto di vista acustico la sillaba

accentata è più forte, dura più a lungo e ha una maggior altezza tonale (in italiano i più importanti sono la

lunghezza e l’intensità – in questo caso si parla di accento dinamico per differenziarlo da quello a maggior

impatto tonale, l’accento musicale).

La lunghezza e le doppie. In italiano la lunghezza delle consonanti ha un valore distintivo quando

differenzia le consonanti singole dalle doppie. È un argomento che abbiamo trattato in modo più esteso in

un articolo a parte a cui vi rimandiamo per un approfondimento.

In questa prima parte abbiamo visto un po’ di teoria e abbiamo “scomposto” i suoni della lingua nei loro

tratti distintivi. Vedremo nel prossimo capitolo quanto questo lavoro di analisi sia importante per

individuare le competenze e le difficoltà di un bambino con una produzione linguistica non adeguata

rispetto all’età.

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Parte 2: La valutazione nel bambino

Il disordine fonologico. Esistono bambini che, pur non avendo problematiche di tipo uditivo, anatomico,

neurologico o intellettivo, producono delle parole o intere espressioni ricche di errori, a volte scarsamente

intelligibili.

Come già ricordato nell’articolo sul disturbo di linguaggio:

Normalmente i bambini a 18 mesi dovrebbero essere intelligibili al 25% circa delle persone

con cui non vige familiarità, per passare al 50% ai 2 anni, tra il 50% e il 75% ai 36 mesi e tra

il 75% e il 100% dopo i tre anni.

Pinton, Lena e Zmarich, I disordini fonetico-fonologici in I disturbi del linguaggio (eds.

Marotta, Caselli)

Certo, il linguaggio può essere incomprensibile o distorto per problemi di pura articolazione, ma è molto

frequente il caso in cui il bambino è effettivamente in grado di produrre un alto numero di suoni, ma che

non sia in grado di usarli nel modo corretto. Ad esempio, può dire la [p] in palla, ma ometterla in topo. Gli

studi di Stoel-Gammon e Dunn citati da Bortolini (I disordini fonologici in Sabbadini (ed), Manuale di

neuropsicologia dell’età evolutiva) evidenziano 6 caratteristiche del disordine fonologico:

Limitato repertorio di suoni

Strutture verbali sillabiche limitate

Persistenza di strutture già errate

Sfasamento cronologico

Tipi di errori non comuni

Notevole variabilità, ma senza alcun progresso

Secondo Ingram, invece, esistono quattro tipi di occorrenza e uso dei processi:

Persistere di processi normali

Processi insoliti e presenza di parole idiosincratiche

Uso variabile dei processi

Preferenza sistematica di un suono (es: tetismo)

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A questi, Bortolini aggiunge, in seguito alle osservazioni dei bambini italiani, una quinta caratteristica: l’uso

di processi contrastanti.

Esiste una discreta letteratura sui tempi di acquisizione dei suoni (che dipende sia dalla maturazione del

bambino che, banalmente, dalla comparsa dei denti) e dei processi fonologici. Anche in questo caso,

rimandiamo alla letteratura specifica concentrandoci sulle anomalie.

Tratto da Bortolini, U. (1995). I disordini fonologici, in G. Sabbadini (a cura di), Manuale di neuropsicologia

dell’età evolutiva (pp. 342-357). Bologna: Zanichelli.

La valutazione. Mentre per la parte testistica quantitativa rimandiamo al nostro precedente articolo

sui test impiegati per la valutazione nel linguaggio del bambino, in questo paragrafo ci concentreremo

sulla raccolta di un campione di eloquio da parte del bambino. Da questo semplice atto, il logopedista può

ricavare una quantità enorme di informazioni. Dopo aver effettuato la trascrizione fonetica (a proposito

della quale consiglio questa guida della collega Eleonora La Monaca), sarà possibile stilare il

primo inventario fonetico.

L’inventario fonetico ci consente di:

Individuare i suoni presenti e assenti (e in quale posizione)

Individuare “classi” di suoni presenti e assenti

Dal punto di vista pratico esistono diversi metodi per raccogliere il campione (eloquio spontaneo,

denominazione, ripetizione, sedute più o meno strutturate), così come esistono diversi criteri per valutare

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la presenza/assenza di un fonema a seconda della posizione (inventario secondo Stoel-Gammon, secondo

Paul e Jennings, secondo Bortolini, ecc.); in questo caso è bene specificare, nella stesura della relazione, il

criterio adottato. L’ideale sarebbe raccogliere un campione di 250-300 parole, ma spesso si tratta di un

obiettivo irraggiungibile; Bortolini nell’introduzione al test PFLI indica come ideale un campione di circa 100

parole, ma nella pratica clinica spesso il punto di partenza è ancora più basso. L’inventario fonetico è

l’obiettivo della cosiddetta analisi indipendente, quella che valuta le capacità del bambino

indipendentemente dal modello adulto di riferimento.

Competenza percettiva. Il livello percettivo è spesso il punto di partenza per l’introduzione di un nuovo

fonema. Il bambino, infatti, può essere in grado di articolare due fonemi diversi, addirittura riconoscerli

come diversi, ma non come distinti. In questo caso diventa essenziale il lavoro con le coppie minime per a)

far acquisire al bambino la distinzione tra i due fonemi e b) far comprendere al bambino che non si tratta di

due suoni intercambiabili (due allofoni dello stesso fonema), ma di due fonemi diversi in grado di

identificare parole diverse.

All’analisi indipendente segue l’analisi relazionale che, al contrario, confronta la realizzazione del bambino

col modello adulto.

Analisi in tratti distintivi. Come già spiegato nella parte teorica riguardante la fonologia, i tratti sono

componenti più “generali” che permettono di definire classi di suoni della lingua. Individuare regolarità

nell’assenza di un tratto permette di eseguire un lavoro più generalizzabile che a volte può rendere il

linguaggio molto più intelligibile lavorando solo sul piano percettivo e motorio. Altrettanto importante, dal

punto di vista strettamente relazionale, è individuare con quale tratto venga sostituito un determinato

tratto assente (ad esempio, molto spesso le fricative sono sostituite con occlusive).

Analisi contrastiva. Si tratta del confronto, a livello segmentale, tra la produzione del bambino e quella

dell’adulto. Permette di individuare rapidamente sostituzioni, distorsioni, omissioni sia qualitativamente

che quantitativamente e, soprattuto, permette di vedere se il bambino utilizza i suoni per trasmettere le

diversità di significato richieste dalla lingua.

Analisi dei processi. Lavorare sui processi significa individuare delle costanti nelle “regole” che il bambino

applica nella produzione delle parole. La fonotassi, ad esempio, indica le regole di successione dei fonemi

nella costruzione delle parole. Ogni lingua ha le sue regole fonotattiche (l’italiano, ad esempio, impedisce la

creazione di parole con, ad esempio, la sequenza -zpg-). Si possono ravvisare, nel bambino, sistematiche

“estensioni” di queste regole che portano a produzioni incomplete o distorte (pensiamo, ad esempio, alla

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classica cancellazione di sillaba iniziale). In questo caso il lavoro è cognitivo-linguistico e non affronta un

determinato suono, ma un intero processo.

Differenza con l’analisi contrastiva. Mentre l’analisi contrastiva analizza le semplificazioni a livello di

segmenti (consonanti e vocali), l’analisi dei processi mette in luce le semplificazioni che il bambino

attua nella struttura delle parole e nelle classi di fonemi.

In particolare, distinguiamo due classi di errori.

Processi che semplificano la struttura fonotattica:

Cancellazione di sillaba debole /’fate/ per elefante

Riduzione di dittonghi /’pedi/ per piedi

Cancellazione consonantica /kon’fei/ per confatti

Cancellazione vocalica /’tsello/ per uccello

Metatesi /fe’ke/ per caffè

Epentesi /’vretro/ per vetro

Armonia consonantica /’mome/ per dorme

Armonia vocalica /lo’one/ per leone

Riduzione del gruppo consonantico /’fate/ per frate

Processi che semplificano il sistema:

Stopping (sostituzione di fricate e affricate con occlusive) /’telo/ per cielo

Affricazione (sostituzione di una fricativa con un’affricata) /’tSappa/ per sciarpa

Fricazione (sostituzione di occlusiva o affricata con fricativa) /sokko’lata/ per cioccolata

Gliding (sostituzione di consonante con approssimante) /’aejo/ per aereo

Anteriorizzazione (sostituzione di velari con alveolari o palatali) /’ota/ per oca

Posteriorizzazione (sostituzione di alveolare o labiale con palatale o velare) /’nake/ per nave

Desonorizzazione (sostituzione di consonante sonora con sorda) /pa’nana/ per banana

Sonorizzazione (sostituzione di consonante sorda con sonora) /’bikkoli/ per piccoli

Una valutazione completa può permettere di ricondurre la difficoltà del bambino a uno dei quadri del

disordine fonologico visti precedentemente ma, spesso, la valutazione può (e in alcuni casi deve) essere

completata con analisi successive:

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Prassie

Stimolabilità

Acuità uditiva

Capacità uditivo-percettive

Capacità cognitive

Parte 3: Il trattamento nel bambino

Libri con esempi di attività e trattamento:

I disturbi del linguaggio (Marotta e altri, 2014)

Il disordine fonologico nel bambino con disturbi del linguaggio (Sabbadini e altri, 2004)

Il disordine fonologico nel bambino con disturbi del linguaggio: eserciziario (Anchisi e altri, 2015)

La valutazione e il trattamento del disordine fonologico (Michelazzo e Vaquer in Caselli

(ed.). Logopedia in età evolutiva, II ed. 2007)

La valutazione (vedi articolo precedente), oltre a dare indicazioni sulla gravità del disturbo fonologico,

fornisce anche indicazioni importanti sul tipo di trattamento da privilegiare.

In generale, possiamo suddividere i trattamenti in: percettivi, motori e cognitivo-linguistici.

Trattamento percettivo. Ha lo scopo di migliorare la capacità di percezione, elaborazione e distinzione di

un particolare tratto. L’elemento fondamentale, in questo caso, è l’opposizione tra due suoni: uno in cui il

tratto è presente e uno in cui il tratto è assente. Si comincia da strutture sillabiche semplici (CVCV

duplicata) per poi aumentare la complessità della struttura sillabica e la posizione del bersaglio all’interno

della parola. Alcuni esempi di attività possono essere:

Compiere un’azione quando si riconosce il fonema target (battere le mani, usare un determinato

colore…)

Gioco dell’oca: si tira il dado e si pronuncia la parola disegnata sulla casella (o pescata dal

logopedista)

Tombole: si pesca un gettone o un’immagine col fonema target e chi ce l’ha può sovrapporlo nella

sua casella

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Giochi con pupazzi di stoffa o marionette da dita in cui uno dei personaggi ha il nome o pronuncia

la parola target

Trattamento motorio. Il training motorio non va confuso con l’impostazione articolatoria del fonema.

Stiamo pur sempre parlando dell’aspetto fonologico, dunque lo scopo di questa fase è aiutare il bambino a

produrre il fonema target in un contrasto fonemico significativo e, successivamente, aiutarlo a

generalizzare questa acquisizione nelle diverse posizioni della parola (iniziale, mediana, finale) e nelle

diverse strutture sillabiche. Molti giochi usati nella parte percettiva possono essere rapidamente

“convertiti” al trattamento motorio semplicemente dando al bambino il compito di denominare quelle

figure che prima erano denominate dal logopedista.

Giochi con coppie minime: le coppie minime (applicabili a tombole o ad altri giochi) sono molto utili per

agganciare l’opposizione dei suoni a un’opposizione di significati. In questo modo il bambino realizza

l’importanza, dal punto di vista comunicativo, del fonema target. Con le coppie minime si possono fare

delle tombole o dei giochi dell’oca e, soprattutto, dei memory in cui bisogna trovare la parola della coppia

corrispondente.

Per la generalizzazione dei suoni si possono usare delle immagini da far denominare (l’Eserciziario citato

precedentemente ne racchiude parecchie), filastrocche e racconti figurati (vd. Phonoclick tra i materiali

gratuiti)

Materiali gratuiti:

Generatore di coppie minime: uno strumento da noi realizzato per ottenere rapidamente delle

coppie in opposizione in base al fonema

Phonoclick: è una web-app (e app per Android) gratuita che contiene storie da leggere e ascoltare

suddivise per fonema target

Materiali a pagamento:

Giochiamo con i fonemi: contiene numerose schede (percorsi del gioco dell’oca, tombole) divise

per fonema target

Coppie minime 1 e Coppie minime 2: contiene numerose immagini e idee per attività con le coppie

minime

Fonemi illustrati: un’app per tablet (ma anche un cofanetto con le carte) per lavorare sui diversi

fonemi in diverse posizioni

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Trattamento cognitivo-linguistico. Questo tipo di trattamento può avere due scopi: consolidare e

generalizzare quanto acquisito nelle fasi precedenti (in questo caso si possono proporre anche dei giochi di

“correggi l’errore”) o lavorare su difficoltà più “alte” come la semplificazione dei processi. Proprio per

quanto riguarda la semplificazione dei processi (ad esempio, la cancellazione di sillaba debole), può essere

utile ripartire dall’aspetto puramente percettivo ancorando ogni sillaba a un’immagine, per poi passare a

lavori con coppie minime stavolta orientate a enfatizzare la differenza tra la produzione corretta e quella

errata.

Evidenze internazionali sul trattamento fonologico.

Effectiveness of speech intervention for phonological disorders: a randomized control trial (Almost e

Rosenbaum, 1998)

Pattern-based approaches to phonological therapy (Stoel-Gammon, Stone-Goldman e Glaspey, 2002)

Evidence-baset management of phonological impairment in children (Baker e McLeod, 2004)

The value of phonological analysis in speech therapy (Ygual-Fernandez, Cervera-Merida e Rosso,2008)

Evidence-based practice: a matrix for predicting phonological generalization (Gierut e Hulse, 2011)

Phonological Treatment for School-aged Children: A Considerationfor the Effectiveness of Maximal and

Multiple Opposition Approaches (Paulson e Olszewski)

The effect of target-selection strategy on phonological learning (Rvachew e Nowak, 2001)

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Parte 4: L'adulto

Testi consigliati:

Boscarato S. e Modena L., Terapie mirate al recupero delle funzioni linguistiche in Flosi, Carlomagno

e Rossetto (eds.), La riabilitazione della persona con afasia, Carrocci 2013

Basso A., Conoscere e rieducare l’afasia, Il pensiero scientifico, 2005

Spesso i test per la valutazione dell’afasia non presentano una parte esplicitamente dedicata alla fonologia,

ma permettono di inferire le abilità fonologiche residue del paziente e un’eventuale compromissione del

sistema fonologico attraverso le altre prove (racconto spontaneo, denominazione, decisione lessicale, ecc.).

In particolare, nel BADA (Miceli e altri, 1994), sono presenti prove di discriminazione di non parole volte a

valutare l’entità del disturbo fonologico non lessicale.

Il modello neoconnessionista di Kendall e altri (Phoneme-Based Rehabilitation of Anomia in Aphasia,

2008) afferma che “le rappresentazioni fonologiche fungono da pattern di connettività con e tra i domini

uditivo, motorio-articolatorio, ortografico e concettuale-semantico) […] In seguito a ictus, le

rappresentazioni fonologiche residue fungerebbero da “fondamenta” per migliorare la capacità di recupero

lessicale” (Boscarato e Modena, p.46).

È interessante notare il cambiamento di prospettiva: poiché non siamo più nell’ambito evolutivo, non

dobbiamo “acquisire” una nuova competenza ma cercare di ricostruire le abilità fonologiche al fine di

agevolare il recupero lessicale. Non si tratta di nulla di sorprendente se si considera che buona parte della

riabilitazione neuropsicologica si basa sul modello semantico-lessicale in cui l’aspetto fonologico

rappresenta la porta d’ingresso e di uscita della comprensione e della produzione verbale.

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Le attività proposte da Kendall e collaboratori sono:

Esposizione di immagini dell’apparato fonoarticolatorio con la corretta articolazione dei suoni

Dare informazioni relative alle caratteristiche visive e propriocettive necessarie per articolare

correttamente i fonemi

Descrivere le caratteristiche oromotorie che permettono di distinguere un fonema dall’altro

Distinzione e manipolazione di parole e non parole da ascoltare, leggere mentalmente e produrre

oralmente

Un altro metodo che sfrutta l’aspetto fonologico per favorire il recupero lessicale è il Phonological

Components Analysis (PCA) di Leonard, Rochon e Laird (2008). In questo caso si presenta un’immagine al

centro di un foglio chiedendo di recuperare la parola bersaglio; indipendentemente dalla riuscita, si incita il

paziente a recuperare alcune caratteristiche fonologiche:

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parola in rima

primo fonema

una parola che inizi con lo stesso fonema

ultimo fonema

numero di sillabe

Anche Basso (nel libro citato in apertura) propone di lavorare sul buffer fonologico nel caso venissero

individuati errori nella ripetizione di sillabe. Anche il trattamento si basa sulla discriminazione di sillabe

sempre più complesse viste e/o udite (nel caso di sillabe lette, si possono usare diversi caratteri per evitare

il confronto meramente visivo). Come sottolinea Basso, tutti questi tipi di input possono essere

programmati per essere eseguiti al computer (Basso 2005, p.74).

In generale, molte tecniche prevedono un cue fonologico (fonema o grafema iniziale) per sollecitare il

recupero di una parola. Secondo Conroy (Using phonemic cueing of spontaneous naming to predict item

responsiveness to therapy for anomia in aphasia,2012) le parole denominate con cue minimo in valutazione

sono quelle che hanno più probabilità di essere denominate senza cue al termine della terapia.

Tra gli studi che cercano di potenziare abilità fonologiche non lessicali c’è un lavoro di Corsten e altri

(Treatment of input and output phonology in aphasia, 2007) in cui, attraverso l’uso del computer, vengono

mostrate parole e non parole monosillabiche sempre più complesse. Il paziente deve:

decidere se due parole ascoltate sono uguali o diverse

identificare, fra 4 parole scritte, la parola ascoltata

presentazione progressiva di 4 parole in modalità uditiva e visiva e successiva produzione da parte

del paziente (ripetizione o lettura)