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FONDOPERLAPROMOZIONEDIACCORDIISTITUZIONALI “PIATTAFORMADIBIOTECNOLOGIEVERDIEDITECNICHEGESTIONALIPERUN SISTEMAAGRICOLOADELEVATASOSTENIBILITÀAMBIENTALE” QUADERNO EFFICIENZAD’USODEINUTRIENTIE RAZIONALIZZAZIONEDELLEFERTILIZZAZIONI Febbraio2014

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FONDO PER LA PROMOZIONE DI ACCORDI ISTITUZIONALI“PIATTAFORMA DI BIOTECNOLOGIE VERDI E DI TECNICHE GESTIONALI PER UN

SISTEMA AGRICOLO AD ELEVATA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE”

QUADERNO

EFFICIENZA D’USO DEI NUTRIENTI ERAZIONALIZZAZIONE DELLE FERTILIZZAZIONI

Febbraio 2014

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FONDO PER LA PROMOZIONE DI ACCORDI ISTITUZIONALI“PIATTAFORMA DI BIOTECNOLOGIE VERDI E DI TECNICHE GESTIONALI PER UN

SISTEMA AGRICOLO AD ELEVATA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE”

QUADERNO

EFFICIENZA D’USO DEI NUTRIENTI ERAZIONALIZZAZIONE DELLE FERTILIZZAZIONI

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PRESENTAZIONE

Per Regione Lombardia il sostegno all’innovazione e alla ricerca, la valorizzazione del capitale umano rappresentanoleve fondamentali per rendere più attrattivo il territorio, aumentare la competitività del sistema economico,accademico, scientifico e sociale e rilanciare una crescita dinamica, solida e sostenibile.Ecco perché Regione Lombardia sta mettendo a fattor comune politiche qualificanti, svolgendo un ruolo di promotoree facilitatore di reti tra università e centri di eccellenza, istituzioni locali e nazionali, camere di commercio eassociazioni di impresa a livello locale e globale. In questo contesto si inserisce il programma di Ricerca e Sviluppo“BIOGESTECA”, uno degli 11 progetti finanziati da Regione Lombardia attraverso il “bando di invito a presentareproposte di accordi istituzionali per la realizzazione di programmi di ricerca e sviluppo nei settori energia, ambiente,salute e manifatturiero avanzato a valere sul fondo per la promozione di accordi istituzionali”. Un bando che è statolanciato nel 2009, con assegnazione nel 2010, di circa 27 milioni di euro, nell'ambito del Fondo per la Promozione diAccordi Istituzionali. Il programma BIOGESTECA, favorendo la costituzione di una rete collaborativa tra università,centri di ricerca, istituzioni e imprese del sistema lombardo della ricerca ne ha rafforzato la visibilità e la competitivitàa livello internazionale. Ma ha anche permesso di fornire risposte alla crescente domanda globale di prodottialimentari, una delle principali sfide che ci attendono e tema di Expo Milano 2015, che deve necessariamenteconiugarsi con uno sviluppo sostenibile, capace di tutelare l’ambiente e allo stesso tempo valorizzare l’applicazione distrumenti innovativi e tecnologici. BIOGESTECA ha il merito di offrire un contributo essenziale alla soddisfazione di taliesigenze attraverso un approccio innovativo cha ha portato anche alla realizzazione di una piattaforma dibiotecnologie verdi e di tecniche gestionali per lo studio e la sperimentazione di diverse soluzioni che interagiscono tradi loro con la finalità condivisa della sostenibilità del sistema agricolo. I risultati prodotti dalle attività pluriannuali delprogetto, che ha impegnato più di cento ricercatori e ha reclutato e formato più di quaranta dottorandi di ricerca egiovani ricercatori, ci forniscono interessanti spunti che a breve e medio termine si riveleranno utili per chi opera inLombardia nei settori dell’agro alimentare, delle bioenergie e della salvaguardia ambientale. Di certo il nostroimpegno sarà rivolto, anche con la collaborazione della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura diLodi che ha cofinanziato il progetto, insieme a Regione Lombardia, a dare ampia divulgazione e promozione deltrasferimento tecnologico dei risultati, con iniziative specifiche che si inseriranno tra quelle previste dalla Regionestessa e dai diversi Enti partner del progetto nelle attività di avvicinamento all’importante Esposizione Universale diMilano 2015.

Mario MelazziniAssessore alle Attività produttive,

Ricerca e Innovazione di Regione Lombardia

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IL PROGRAMMA DI RICERCA & SVILUPPO BIOGESTECA

La sostenibilità e competitività del sistema agricolo nel suo insieme impegnano il mondo della ricerca alla definizionecontinua di soluzioni e tecnologiche innovative. La configurazione attuale della produzione agraria si caratterizza perelevati impieghi di mezzi tecnici, risorse naturali ed energia che si traducono in impatti significativi sull’ambiente ed inconsistenti produzioni di rifiuti. Allo stesso tempo, i prodotti agricoli hanno quasi sempre perso le loro connotazioniterritoriali e la collettività stenta a riconoscere il ruolo dell’agricoltura come presidio di un territorio da mantenere e dicui usufruire. La competitività del sistema agricolo non può prescindere da questo riconoscimento, soprattutto in uncontesto europeo dove viene sempre più riconosciuta una remunerazione, diretta o indiretta, alla multifunzionalitàdell’agricoltura. L’obiettivo a cui tendere è, quindi, quello di un sistema agricolo che sia in grado di ridurre la pressioneambientale salvaguardando le risorse naturali limitando la produzione di rifiuti e recuperando i sottoprodotti in mododa trasformarli in energia e fertilizzanti. In questo modo, il sistema agricolo può caratterizzarsi come rispettosodell’ambiente e generare al contempo esternalità positive riconoscibili e quindi remunerabili dalla collettività.

Sistema agricolo attuale Sistema agricolo sostenibile

In stretta coerenza con le finalità del Bando “Accordi Istituzionali” lanciato nel 2009 da Regione Lombardia, ilprogramma di Ricerca & Sviluppo BIOGESTECA ha generato e consolidato una rete collaborativa tra gruppi di ricercaappartenenti all’Università degli Studi di Milano, all’Università degli Studi di Milano Bicocca, al Consiglio per le Ricercae la Sperimentazione in Agricoltura, all’Ente Nazionali Risi, alla Fondazione Parco Tecnologico Padano, alla FondazioneFilarete e ad Agricola 2000, che creando forte sinergia e integrazione tra competenze ha prodotto nuove conoscenzee innovazioni tecnologiche in grado di fornire risposte alla richiesta di sostenibilità del sistema agricolo lombardo epiù in generale delle agricoltura in ambienti ad elevata pressione antropica.Le attività del Programma BIOGESTECA, articolate in sette workpakages, hanno adottato approcci di biotecnologieverdi per la definizione di strategie di gestione delle colture e del territorio agricolo a ridotto impatto ambientale incombinazione con tecnologie per la riduzione degli input e per l’utilizzazione dei reflui e residui con finalitàenergetiche e fertilizzanti. In particolare sono presi in considerazione aspetti delle colture e della loro gestione, relativiall’uso dell’acqua, dei fertilizzanti, dei presidi fitosanitari e dell’energia, al fine ultimo di migliorare l’efficienza d’uso diqueste risorse a garanzia della sostenibilità ambientale ed economica della produzione primaria. Per alcune delletecnologie e delle alternative innovative sperimentate è stata eseguita anche una analisi tecnica, economica eambientale in modo di acquisire una valutazione non solo delle singole soluzioni, ma anche dell’intero sistema in cuipossono essere impiegate; ciò tenendo conto, quindi, anche dei loro effetti sull’ambiente in termini di energia,emissioni, utilizzo di mezzi tecnici, produzione di rifiuti e delle esternalità (positive e negative) delle produzioniagricole verso la collettività, quali il miglioramento della fruibilità e la salvaguardia del territorio.

Sistemaagricolo

Materieprime emezzitecnici

Energia dialta qualità

Risorsenaturali

Riutilizzodell’energia

Emissioniinquinanti

Prodotticaratterizzati dalla

sostenibilità delsistema produttivo

Sottoprodotti

Sistema agricolo

Materie prime emezzitecnici

Energia di alta qualità

Risorse naturali

Emissioniinquinanti

Energia dibassaqualità

Rifiuti

Prodotti pocodifferenziati

Valorizzazioneenergetica efertilizzante Rifiuti

Schema del sistema agricolo attuale Schema di sistema agricolo sostenibile

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I risultati del progetto, disponibili al sito www.biogesteca.unimi.it e raccolti in quattro volumi di sintesi (Gestione dellarisorsa irrigua; Efficienza d’uso dei nutrienti e razionalizzazione delle fertilizzazioni; Biocontrollo delle avversitàbiotiche; Gestione e valorizzazione dei reflui) forniscono alcune soluzioni tecniche e spunti innovativi che a breve emedio termine potranno fornire soluzioni efficaci per il rafforzamento della sostenibilità dell’agricoltura intensivamoderna, sia in un contesto regionale sia in un contesto più ampio nazionale e internazionale. Per quest’ultimaragione le attività e i risultati del Programma BIOGESTECA trovano piena collocazione tra le tematiche e gli obiettiviche caratterizzano l’evento EXPO in programma nel 2015 nel nostro paese.Il programma si è avvalso per il monitoraggio dei lavori di un Comitato Guida che in qualità di membri esterni alla retecollaborativa ha annoverato esperti del settore di fama internazionale quali il Prof. Paolo Balsari (Università degli Studidi Torino), il Prof. Fabio Fava (Università degli Studi di Bologna), il Prof. Enrico Martinoia (Università di Zurigo), il Prof.Zeno Varanini (Università degli Studi di Verona) e il Prof. Fabio Veronesi (Università degli Studi di Perugia). Ledivulgazione dei risultati tra gli steakeholders a vario titolo ad essi interessati si è avvalsa del sostegno della Camera diCommercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lodi.

I coordinatori del ProgrammaProf. Gian Attilio SacchiProf. Giorgio Provolo

WP1Gestione degli

apporti difertilizzanti al

suolo

WP2Efficienza d’uso deinutrienti mineralie riduzione degli

apporti difertilizzanti al

suolo

WP3Uso della risorsa

idrica nellacoltivazione del

riso

WP4Biocontrollo

WP5 Esplorazione dellavariabilità genetica

e scelte varietaliWP6 Utilizzo di reflui e

residui per laproduzione di

energia efertilizzazione dei

terreni

WP7Valutazione tecnica, economica e ambientale

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SOMMARIO

INTRODUZIONE

OBIETTIVI

ATTIVITÀ

I. EFFICIENZA D’USO DELL’AZOTO IN MAIS – CRA MAC (Responsabile: Hans Hartings)

II. EFFETTO DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA E SOLFATICA SULLA QUANTITÀ E QUALITÀ DELLE RESE IN FRUMENTO

TENERO – CRA SVC (Responsabile: Maurizio Perenzin)

III. EFFICIENZA D’USO DELL’AZOTO IN RISO – UNIMI (Responsabile: Antonio Ferrante)

IV. MONITORAGGIO DELLE POPOLAZIONI MICROBICHE COINVOLTE NEL CICLO DELL’AZOTO E SELEZIONE DI COLTURE

BATTERICHE CON ATTIVITÀ BIOFERTILIZZANTE – UNIMI (Responsabile: Daniele Daffonchio)

V. EFFICIENZA D’USO DELLO ZOLFO IN RISO – UNIMI (Responsabile: Fabio Francesco Nocito)

VI. APPROCCI ALLA RIDUZIONE DEGLI INPUT DI FOSFORO NEI SUOLI: Zea mays. – UNIMI (Responsabile: Roberto Pilu)

VII. APPROCCI ALLA RIDUZIONE DEGLI INPUT DI FOSFORO NEI SUOLI: Medicago spp. – CRA FLC (Responsabile: Carla

Scotti)

VIII. SVILUPPO DI INDICATORI DIAGNOSTICI A SUPPORTO DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA IN MAIS – UNIMI

(Responsabile: Luca Bechini)

IX. TECNICHE PER VALORIZZARE L’UTILIZZAZIONE DEGLI EFFLUENTI COME FERTILIZZANTE – UNIMI (Responsabile:

Giorgio Provolo)

X. LA SOSTANZA ORGANICA PER IL MANTENIMENTO DELLA FERTILITÀ DEI SUOLI – UNIMI (Responsabile: Fabrizio

Adani)

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

L'agricoltura sostenibile è un concetto molto ampio che,in termini generali, fa riferimento all’applicazione ditecniche agronomiche in grado di rispettare l'ambiente,la biodiversità e la naturale capacità del suolo dimantenere nel tempo la produzione vegetale (Miller eWali, 1995). L’impiego di acque per l’irrigazione,fertilizzanti chimici, reflui zootecnici e agro farmaci,unitamente alle concentrazioni di bestiame previste daitradizionali metodi di produzione agricola intensiva,rappresentano i principali fattori di impattodell’agricoltura sull’ambiente (acqua, suolo e atmosfera).Una scorretta gestione di tali pratiche può estenderel’impatto dell’agricoltura sino a coinvolgere la salute deiconsumatori. Uno sviluppo agricolo sostenibile ed ecocompatibile deve necessariamente tutelare la qualitàdelle acque e del suolo in relazione al rischio di accumulodi nutrienti minerali (nitrati, fosfati e, tal volta, solfati),lisciviati o persi per ruscellamento, o di principi attiviimpiegati per la difesa fitosanitaria. In entrambi i casil’impiego di piante più efficienti nell’uso dei fertilizzanti(minor necessità di elementi minerali a parità diproduzione) o meno suscettibili ai patogeni, ed unagestione più razionale del suolo, della componenteorganica in particolare, garantirebbe una diminuzionedegli input di prodotti agrochimici riducendo, quindi,l’impatto ambientale delle attività produttive. Nel casodei cereali, come ad esempio mais e riso che occupano lamaggior parte della superficie agricola utilizzata (SAU)delle aree di pianura in Lombardia, i genotipi oggiutilizzati sono stati selezionati attraverso piani dimiglioramento genetico condotti in condizioni di “highinput” di risorse, ovvero in situazioni di elevatadisponibilità di acqua, di fertilizzanti e, se necessario, dialcuni principi antiparassitari. Questo ha sicuramentegarantito ottime performance produttive, dovuteprevalentemente ad aumenti degli indici di raccolto,delle resistenze all’allettamento e ad una minorsuscettibilità ad alcuni patogeni, ma hacontemporaneamente determinato una riduzione dellavariabilità genetica relativa all’adattamento a condizionidi minore disponibilità (low input) di elementi nutritivi edi risorse in genere e alle resistenze ad altri patogeni. Inaltre parole rispetto a questi caratteri è stata persabiodiversità che andrebbe invece identificata e/o creataper poi essere valorizzata in ambienti diversificati perdisponibilità di risorse e sensibilità ambientale (ambientimarginali, ambienti poveri, ambienti particolarmentesoggetti a rischio per eccesso di input produttivi).La variabilità genetica naturale o indotta con i metodipermessi dalla normativa attualmente in vigore trovainoltre una valida applicazione nello studio dei processibiologici alla base dell’efficienza d’uso dell’acqua e deinutrienti da parte delle piante nonché della lororesistenza ai patogeni. Bisogna inoltre considerare che icomportamenti delle piante nei loro ambienti produttivisono determinati non solo dalle loro caratteristiche

genetiche, ma anche dalle interazioni dei loro geni conl’ambiente, dalle quali possono scaturire rispostespecifiche e diversificate. La conoscenza dettagliata diquesti aspetti potrebbe quindi fornire utili indicazioniper lo sviluppo di strategie colturali rivolte ad aumentarele efficienze d’uso delle risorse o a contenerne l’impiego,in qualità di fattori della produzione, negli agroecosistemi.La gestione della nutrizione minerale del sistema suolopianta, nel contesto territoriale lombardo, si trova adaffrontare una sorta di paradosso: da un lato la necessitàdi migliorare l’efficienza d’uso dei nutrienti da partedelle colture, allo scopo di mantenere gli attuali targetproduttivi, dall’altro quella di ottimizzare al meglio laquota in surplus di nutrienti apportati al suolo, azoto inparticolare, a causa del massiccio utilizzo degli effluentid’allevamento. Da ciò consegue l’esigenza di formularesoluzioni percorribili nel breve medio periodo,finalizzate a rivedere nel suo complesso la gestione deinutrienti soprattutto per quanto attiene le colture checaratterizzano gli attuali ordinamenti produttivi, inparticolare mais, riso e frumento con un approccio chedeve necessariamente essere interdisciplinare:fisiologico, biomolecolare, microbiologico e chimico.La coltivazione intensiva dei cereali è strettamentedipendente dall’applicazione di grandi quantità difertilizzanti azotati, fattore di primaria importanza perl’incremento delle produzioni quanti qualitativerealizzato negli ultimi decenni (Abrol et al., 2007).Tuttavia, l’eccessivo impiego di fertilizzanti azotati èproblema attuale che necessita di essere affrontato conla messa a punto di agrotecniche e con l’identificazionee/o la costituzione, nell’ambito delle principali speciecoltivate, di varietà ad elevata efficienza d’uso dell’azoto(NUE), disponibile nel terreno o apportato dafertilizzanti. Le recenti innovazioni nel campo dellabiologia molecolare, ed in particolare l’utilizzo dimarcatori molecolari per la selezione assistita, fornisconostrumenti per l’identificazione o costituzione di varietàad alta NUE. L’efficacia di tali tecniche è ulteriormenteesaltata dalla eventuale conoscenza delle basi genetichee molecolari che sottendono al carattere NUE (Good etal., 2000; Pathak et al., 2008). Nel caso di un cerealecome il mais (Zea mays) , la NUE, intesa come la capacitàdella pianta di utilizzare una certa quantità di fertilizzanteazotato per raggiungere la massima produzione digranella, è influenzata da numerosi fattori morfologici,fisiologici e biochimici (Gallais e Hirel, 2004, Hirel et al.,2007) quali assorbimento radicale, trasporto dei nitrati odell’azoto ridotto verso l’apparato fogliare, e rilocazionedell’azoto organicato da organi vegetativi alla granella.L’approfondimento e l’ampliamento delle indagini voltead identificare specifici loci che favoriscono la NUE innuovi materiali genetici ottenuti incrociando linee eliteaumenterebbe considerevolmente le conoscenze sui genicoinvolti con maggior probabilità di successo per laproduzione di nuovi ibridi di mais ad elevata NUE.Nel caso del frumento tenero (Triticum aestivum) la

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selezione di genotipi ad elevata NUE assume unaparticolare importanza non solo in relazione alle elevatenecessità di azoto che la specie manifesta, ma anche inrelazione al fatto che tale carattere è un fattore chiaveper il miglioramento della qualità panificatoria dellefarine (Guarda et al., 2004; Corbelli et al., 2006). Leinformazioni a proposito della variabilità del carattereNUE nel germoplasma di Triticum spp sono alquantolimitate e frammentarie. Prime informazioni potrebberoessere ottenute confrontando il carattere NUE in alcunevarietà rappresentative tra le più coltivate e note percaratteri di produttività e qualità panificatoria. Tuttavia,la possibilità di avviare programmi di miglioramentogenetico indirizzati all’ottenimento di genotipi ad elevataNUE non può prescindere dalla conduzione di indagini divariabilità intraspecifica più ampie (Singh e Arora, 2001;Guarda et al., 2004).E’ necessario inoltre considerare che lo sviluppo di nuovisistemi di gestione delle colture può generare nuoveproblematiche legate all’efficienza d’uso dei nutrienti daparte delle piante. Caso interessante è quello del riso,dove l’introduzione di sistemi di coltivazione a ridottoregime idrico in sostituzione della tecnica disommersione continua dei suoli crea un insieme di nuoveproblematiche legate alle capacità di adattamento dellevarietà locali alla differente condizione di ossigenazionedei suoli, nonché alle loro performance produttive. Inparticolare, se nei suoli asfittici sommersi la formaprevalente di azoto disponibile per le piante èl’ammonio, nei suoli aerati, generati con la nuova tecnicadi coltivazione, la forma prevalente di azoto disponibilediviene il nitrato. Reddy (1982) ha descritto come leperdite di azoto in risaia per il ciclo nitrificazionedenitrificazione siano predominanti nel bilancio delmacronutriente, superando i 100 kg ha 1. Tuttavia, inrisaia sommersa tale perdita incide in maniera limitatasull’impatto ambientale, in quanto l’azoto nitricoprodotto sarebbe soggetto alla trasformazione in azotoatmosferico. Diversamente, in condizioni aerobiche,l’attività dei batteri denitrificanti rimane localizzata aduna piccola parte del suolo agrario, incrementando irischi di contaminazione delle falde da nitrati. In talecontesto risulta evidente la necessità di riconsiderarealcuni aspetti fisiologici legati alla NUE, quali l’efficienzadi assorbimento e di utilizzazione dei fertilizzanti azotatida parte delle piante, in relazione alle forme prevalentipresenti nel suolo ed alla loro reale persistenza. Infatti, ilnitrato non essendo adsorbito sui colloidi del terrenodeve necessariamente essere rapidamente assorbitodalle piante quando disponibile, al fine di evitareconsistenti perdite per lisciviazione che ridurrebberol’efficienza d’uso dei fertilizzanti azotati creando, nelcontempo, problemi di inquinamento di altri compartiambientali.Oltre alla produzione agricola, le pratiche difertilizzazione azotata influenzano la funzionalità dellecomunità microbiche del suolo. Il rapporto tra rilascioe fissazione di azoto atmosferico è un parametro

fondamentale nella determinazione del bilancio nutritivodel suolo. Il processo di nitrificazione è essenziale negliecosistemi agricoli dove le fertilizzazioni azotate sonorealizzate quasi interamente con ammonio. L’ossidazionemicrobica dell’ammonio è il processo metabolico chelimita la nitrificazione, uno dei passaggi chiave del ciclodell’azoto. Inoltre, le comunità microbiche del suolo conattività denitrificanti sono importanti nelladeterminazione dell’entità dell’inquinamento da nitrati, iquali possono essere ridotti a nitriti o ad azoto gassoso oammoniacale da un’ampia gamma di microrganismi,appartenenti a gruppi tassonomici diversi. Il processo didenitrificazione è inoltre rilevante nel rilascio di ossidonitroso, gas serra che contribuisce al surriscaldamentoglobale e alla degradazione dell’ozono atmosferico. Laconoscenza specifica dell’abbondanza e della diversità inrizosfera delle comunità microbiche coinvolte nel ciclodell’azoto in funzione dell’adozione di specifiche sceltevarietali o agrotecniche consentirebbe di valutare quali diqueste sono in grado di minimizzare le perdite di azotosotto forma gassosa come conseguenza dell’attivitàmicrobica e quindi contribuire al miglioramentocomplessivo della NUE. Ad oggi la maggior parte delleinformazioni esistenti in tal senso sono da considerarsisolo parziali in quanto si basano su analisi chedipendendo dalla coltivabilità in laboratorio delle diversespecie microbiche. E’ possibile acquisire informazioni piùcomplete adottando metodi di ecologia molecolaremicrobica oggi disponibili ed in grado di descrivere tutti imicrorganismi presenti in un campione di suolo, senza lelimitazioni attribuibili alla non coltivabilità della maggiorparte dei microrganismi ambientali. Tali metodi si basanosull’estrazione e sulla caratterizzazione del DNAmicrobico di un suolo o dalla rizosfera di una pianta.Un altro elemento da prendere in dovuta considerazioneè lo zolfo (S) la cui efficienza d’uso nelle piante (SUE),definibile come l’incremento di produzione per unità di Sapplicata al suolo, è un carattere agronomico controllatosimultaneamente da diversi geni e dalla loro interazionecon l’ambiente (FAO, 2006; Hawkesford e De Kok, 2006;Loudet et al., 2007). Tale carattere ha assuntoun’importanza particolare negli ultimi decenni inconseguenza di una drastica riduzione degli input di S(riduzione delle emissione in atmosfera di SO2 dovutaall’uso di combustibili fossili a basso contenuto in S eintroduzione di concimi fosfatici a ridotto titolo insolfato) che sta causando la progressiva comparsa difenomeni di solfo carenza in diverse colture ed arealiagricoli (Hawkesford, 2000). Poiché lo S esercita ruoliessenziali nella fisiologia della pianta, limitazioni nellasua disponibilità si ripercuotono sulla produttività dellecolture e sulla loro capacità di adattarsi all’ambiente(Hawkesford, 2000). E’ noto ad esempio come una scarsadisponibilità di S riduca l’efficienza d’uso dell’azoto daparte delle piante (Salvagiotti et al. 2009; Fismes et al.,2000; Koprivova et al., 2000) nonché la loro tolleranza anumerosi stress ambientali abiotici e biotici (Ceccoti,1996; Rausch e Wachter, 2005).

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Il ricorso empirico a fertilizzazioni solfatiche potrebbeessere un metodo immediatamente applicabile percontrobilanciare eventuali carenze del nutriente.Tuttavia una migliore comprensione delle basi molecolarie fisiologiche della SUE potrebbe permettere lapianificazione di interventi di fertilizzazione più specificied efficienti nel supportare la produttività e la qualitàdelle produzioni in un contesto di agricoltura di “lowinput”. Alcune molecole conosciute come sulfurcontaining defense compounds (SDCs), svolgono ruoliimportanti nei meccanismi di risposta delle piante adiversi tipi di stress (Rausch e Wachter, 2005). Gli SDCscomprendono lo zolfo elementare (S0), il solfuro, ilglutatione (GSH), le fitochelatine (PCs), metabolitisecondari (glucosinolati, fitoalessine e sulfolipi) ed alcuneproteine ricche in cisteina (tioneine e difensine). In casodi stress la sintesi di SDCs è indotta e ciò permette allapianta di contenere, entro certi limiti, gli effetti negatividel fattore sfavorevole. La maggior sintesi di SDCscostituisce per la pianta uno sink addizionale di zolfo chea sua volta stimola, secondo un meccanismo regolatoriodi tipo “demand driven”, alcune attività responsabilidell’assunzione e della assimilazione del solfato (Rausche Wachter, 2005). Diverse ricerche suggerisconol’esistenza di una stretta relazione tra la disponibilità disolfato nel suolo ed i livelli di SDCs e che la formazione diSDCs raggiunga la saturazione per disponibilità di S nelsuolo superiori a quelle che comunque garantiscono lacrescita ottimale della pianta (Marschner, 1995; Bloem etal., 2005; Rausch e Wachter, 2005). In caso di esposizionead uno stress biotico o abiotico la maggior sintesi di SDCsdetermina un aumento delle necessità di S della pianta e,quindi, variazioni sostanziali nelle vie di assimilazione delsolfato e di sintesi della cisteina e del GSH (Rausch eWachter, 2005). Queste risposte adattative non sono inalcun modo prevedibili sulla base delle normaliasportazioni di S da parte della coltura e potrebberoessere influenzate negativamente anche in caso di buonadisponibilità di solfato nel suolo, causando perditeproduttive in caso di stress (Rausch e Wachter, 2005).Diversamente da quanto accade per gli altrimacronutrienti (N, P, K) normalmente considerati neipiani di fertilizzazione, esistono poche informazioni sulledosi e sulla tempistica nel caso dello zolfo. In particolare,esistono ancora sostanziali incertezze relativamente allapersistenza del solfato nel suolo ed alla sua disponibilitàeffettiva, perché la concentrazione dell’anione (la formaprincipale di zolfo disponibile presente nel suolo) èspazialmente molto variabile; occorre inoltre considerareche circa il 95% dello zolfo totale di un suolo agrario èorganico e quindi non prontamente disponibile. Poiché lamineralizzazione dello zolfo nel suolo dipende dalle suecaratteristiche chimico fisiche e microbiologiche e danumerosi fattori ambientali, risulta evidente che qualsiasiazione o agrotecnica in grado di alterare tali fattori puòincidere sulla disponibilità di solfato con conseguentiperdite produttive, riduzione della NUE e maggiorsuscettibilità a stress di diversa natura. La capacità della

pianta di sfruttare al massimo le disponibilità di zolfo èdefinita dalla sua SUE che a sua volta dipende dallacapacità metabolica (SAC: Sulfate Assimilation Capacity)di indirizzare il solfato assorbito verso l’assimilazione.Genotipi ad elevata SAC garantirebbero a parità disolfato nei suoli una miglior capacità di crescita, una NUEmigliore e probabilmente una maggior tolleranza a stressabiotici e biotici. Tutto ciò per la coltura potrebbesignificare una minor necessità di fertilizzanti e ditrattamenti con presidi fitosanitari. Infine, nel caso delfrumento tenero, poiché l’attitudine panificatoria dellefarine dipende fortemente dal contenuto in proteine diriserva del seme ricche in cisteina, una migliore SACpotrebbe potenzialmente garantire, oltre ad una NUEmigliore (Salvagiotti et al, 2009), una miglior qualità delleproduzioni a parità di interventi tecnici sulla coltura.Oltre all’azoto e allo zolfo, anche il fosforo rappresentaun macronutriente essenziale per tutti gli organismiviventi. Negli ecosistemi agricoli il bilancio del fosforo èdeterminato dal prelievo dovuto alla raccolta dellabiomassa vegetale prodotta e dalla sua reintroduzione informa organica attraverso l’uso di reflui zootecnici o informa inorganica apportata con i fertilizzanti fosfatici.Diversamente dai ruminati, che possono utilizzare lafitina grazie all’attività delle fitasi prodotte daimicrorganismi del rumine, gli animali monogastrici nonsono in grado di disporre del fosforo e dei cationi fitinicipresenti nei semi, al punto di necessitare integrazioni difosforo libero e micronutrienti nella loro dieta (BrinchPedersen et al., 2007). E’ noto che la nutrizione di animalinon ruminanti con mangimi a base di semi di cereali e dioleaginose, causa l’escrezione di una considerevolequantità di fosforo immagazzinato nell’acido fitico(myoinositolo 1,2,3,4,5,6 esafosfato) che, non essendodigerito, finisce nei reflui e, di conseguenza, nel suolo. Ildestino della fitina non digerita presente nei refluiprovenienti dagli allevamenti suinicoli costituisce unimportante problema ambientale. Infatti, la fitinadistribuita al suolo con i reflui subisce l’attacco idroliticodei microrganismi ed il fosfato così liberato tende adaccumularsi nel suolo per poi raggiungere, attraversofenomeni di erosione, le acque superficiali,determinandone l’eutrofizzazione. In tale contesto, lariduzione del tenore in fitina o la sua completaeliminazione dalle cariossidi di mais utilizzate nella dietadi suini e avicoli rappresentano obiettivi prioritari per leattività di breeding. Attualmente, diversi programmi dimiglioramento genetico stanno indirizzando i loro sforziverso la produzione di linee e varietà di mais a ridottocontenuto in fitina (lpa, low phytic acid) ma con un buoncontenuto in fosfato libero prontamente assimilabile(Raboy et al. 2000; Pilu et al., 2003; Lorenz et al., 2008),allo scopo di migliorare le qualità nutrizionali deimangimi prodotti, riducendo contemporaneamentel’impatto dei reflui sulle caratteristiche chimiche dei suolie sulla qualità delle acque superficiali. Tuttavia, i mutantilpa sinora isolati manifestano alcuni effetti negativi qualiuna ridotta vigoria di germinazione ed una bassa resa

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(Doria et al., 2009). Appare quindi molte interessanteagire con tecniche di miglioramento genetico perl’attenuazione degli effetti negativi causati dallemutazioni lpa (Pilu et al., 2005). Questo risultato, ancorada conseguire, è intuibilmente di grande interesse poichécomporterebbe la definizione di genotipi competitivi dalpunto di vista produttivo ed in grado di attenuare iproblemi legati ad eccessivi input di fosforo in areecritiche dal punto di vista ecologico a causa di un’altadensità di allevamenti. In una logica di agricolturasostenibile assume un valore importante anche il rilanciodelle rotazioni colturali molto poco praticatenell’agricoltura intensiva. Infatti, la tecnica dellarotazione è un importante metodo per migliorare lafertilità dei suoli (l’uso di leguminose come Medicagosativa in rotazione con cereali autunno vernini consentel’aggiunta di azoto simbiotico al suolo) e per contrastarel’insediamento negli areali colturali di organismi nocivi didiverso tipo (malerbe, fitopatogeni) il cui controllorichiederebbe l’utilizzo massiccio di presidi fitosanitari.Alcune leguminose foraggere come ad esempioMedicago truncatula rilasciano nella rizosfera una fitasiextracellulare in grado di idrolizzare il fosfato dall’acidofitico. La presenza extracellulare di fitasi rendedisponibile per la nutrizione della pianta una frazione difosforo che normalmente non lo sarebbe. In caso dicondizioni che limitano l’attività fitasica deimicrorganismi del suolo, la disponibilità di piante ingrado di estrudere fitasi in rizosfera potrebbe essereinteressante in una logica di riduzione degli input difosforo inorganico al suolo. Inoltre, in aree in cui i suolisono sottoposti a massicce distribuzioni di refluizootecnici, la presenza di colture in grado di idrolizzare eprontamente assorbire il fosforo fitico potrebbe essereutile per ridurre l’entità della idrolisi batterica e quindi ilrischio di accumulo di surplus di fosforo nelle acque (Pantet al., 2004).Sempre nell’ambito delle interazioni suolo piantamicrorganismi, studi recenti hanno messo in evidenzal’esistenza di numerosissime specie microbiche e funginein grado di migliorare la tolleranza agli stress nelle piantee di aumentare la loro resistenza alle malattie, nonché difavorire la disponibilità e l’assorbimento dei nutrienti(Mercado Blanco e Bakker, 2007; Yang et al. 2009; Berg,2009). Batteri promotori della crescita vegetale (PGPB,Plant Growth Promoting Bacteria) sono associati a moltespecie e sono comunemente presenti in ambientigeograficamente e climaticamente diversi. I rizobattericon attività di promozione delle crescita vegetale (PGPR,Plant Growth Promoting Rhizobacteria), che colonizzanola superficie delle radici e lo strato di suolo rizosfericoimmediatamente aderente le radici, sono il gruppobatterico maggiormente studiato. Alcune classi di PGPRsono in grado di penetrare nelle radici e di dare origine apopolazioni endofitiche permanenti, che colonizzano ilsistema vascolare dando luogo ad un rapporto simbioticocon la pianta ospite (Ryan et al., 2008). Esistonoindicazioni sempre più chiare che l’effetto positivo dei

PGPR sulla crescita delle pianta si realizzi attraverso laloro capacità di favorire l’assorbimento idrico ed iltrasferimento di nutrienti. In altri termini alcuni PGPRsvolgono un’azione biofertilizzante fornendo alla piantanutrienti quali azoto, ferro e fosfati solubili, unitamente asostanze ad attività ormonale. L’azione si realizza siaattraverso la produzione ed il rilascio di esoenzimi ingrado di aumentare in rizosfera la concentrazione dellefrazioni biodisponibili di alcuni nutrienti minerali, siaattraverso il rilascio di esopolisaccaridi che miglioranol’aggregazione delle particelle del suolo e regolano ilcontenuto idrico della rizosfera, condizioni queste chefavoriscono la diffusione dei nutrienti verso la radice. Laselezione di specifici ceppi microbici o di loro particolariassociazioni potrebbe costituire un interessantepresupposto alla costituzione di biofertilizzanti in gradodi promuovere la crescita delle colture riducendo l’entitàdegli apporti di fertilizzante necessari. Nel caso dellecolture di mais e riso della pianura lombarda questapossibilità non è stata ancora valutata, e potrebbeassumere invece un interesse non trascurabile in unalogica di agricoltura di low input.Bisogna inoltre considerare che i concimi mineralivengono apportati in quantità importanti anche incontesti nei quali l’azoto applicato con i reflui potrebbegià essere sufficiente a colmare le necessità delle colture.Questo accade perché il contributo dei reflui zootecnicialla nutrizione azotata delle piante è difficile daprevedere, sia in termini compositivi, sia in terminidinamici. Di conseguenza, anche a causa del costorelativamente contenuto, i concimi minerali sono staticonsiderati fino a pochi anni fa un’assicurazione contropossibili cali produttivi (Schröder et al., 2000).Ora però il quadro sta gradualmente cambiando, permotivi sia normativi sia economici. La difficoltà di stimadel contributo della fertilità dei reflui zootecnici allanutrizione azotata è dovuta a due ordini di problemi.Un primo problema è costituito dal fatto che i refluizootecnici presentano concentrazioni di azotoestremamente variabili, a causa principalmente dellavariabilità delle razioni alimentari e del tipo diasportazione e stoccaggio dei reflui stessi (Marino et al.,2008; Martínez Suller et al., 2008). Un secondo problemaè quello relativo alla difficoltà di prevedere con chevelocità i reflui zootecnici rendono disponibile l’azoto informa assimilabile per le piante. L’azoto in essicontenuto, infatti, è presente in forme molto diverse (siaammoniacale, sia organico a diverso grado didegradabilità) (van Kessel et al., 2000), che subiscono undestino complesso dopo l’incorporamento del refluo alterreno agrario (Sørensen, 2004). I reflui possono infattigenerare mineralizzazione netta o immobilizzazionenetta di azoto in funzione della presenza di carboidratisolubili e del rapporto C/N della componente organica(Sørensen et al., 2003). Inoltre, la variabilitàmeteorologica è tale da rendere particolarmente incertaogni stima effettuata nel corso della stagione di crescita.In ogni caso, gran parte dell’effetto fertilizzante dei

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liquami nella stagione colturale successiva alladistribuzione è dovuto alla componente ammoniacale(Bechini e Marino, 2009), mentre quella organica simineralizza lentamente ed esplica quindi un effettofertilizzante molto più graduale nel tempo. Il contributodella fertilità residua dovuta a liquamazioni effettuatenegli anni precedenti, quindi, può esserequantitativamente importante ma al tempo stesso èestremamente difficile da prevedere (Schröder et al.,2005). Le soluzioni per evitare di utilizzare in eccesso iconcimi minerali sono attualmente costituite da misure,da effettuarsi in momenti specifici del ciclo colturale,relative al suolo o alla coltura, che possono essereconfrontate con opportune soglie di sufficienza, e chequindi possono indicare, in corso di coltivazione, lanecessità o meno di procedere ad un’integrazioneminerale della dose di azoto già applicata in preseminacon il refluo zootecnico (Magdoff, 1991; Schröder et al.,2000; Tremblay, 2009). Tali misure possono essereaffiancate dall’uso di parcelle “spia” (non concimate oconcimate in modo eccessivo), utili per fissare deiriferimenti. Altri strumenti diagnostici molto importantisono i modelli di simulazione, che consentono diprevedere la mineralizzazione dell’azoto dei reflui equindi di fornire indicazioni sulla quantità di azotopresente nel suolo in forma assimilabile per le colture(Beraud et al., 2005; Gilmour, 2009).Tuttavia, la letteratura ha dimostrato che non è ancorastato messo a punto un indicatore diagnosticoimpiegabile singolarmente in modo universale, e chequelli più usati richiedono comunque una calibrazionelocale. L’individuazione di un indicatore sintetico, basatosulla combinazione di altri indicatori e dei risultati dellasimulazione potrebbe fornire una risposta adeguata allaproblematica e consentire una concimazione azotataadeguata alla disponibilità in campo permettendo unariduzione delle emissioni e un risparmio nell’uso difertilizzanti.Se è quindi noto che negli attuali agroecosistemi gliallevamenti intensivi generano enormi volumi di effluentiche costituiscono una fonte di elementi nutritivi, inparticolare azoto, fosforo e potassio (NPK),economicamente rilevante e valorizzabile in ambitiagronomici, tale utilizzo deve essere adeguato rispettoalle caratteristiche dei suoli e ai fabbisogni delle colturepraticate, per evitare eccessi di nutrienti i grado digenerare inquinamento. Negli ultimi anni l’aspettoambientale legato all’utilizzo degli effluenti zootecnici haassunto sempre maggiore importanza ed è statoaffrontato anche in termini legislativi limitando, appunto,la quantità massima di reflui distribuibili (Provolo, 2005).D’altra parte, come prima riportato, una delle maggiorilimitazioni all’utilizzo efficiente dei liquami in agricolturaè l’elevata variabilità del contenuto in elementifertilizzanti dei reflui in funzione della gestionedell’allevamento (Provolo, 2001). Quindi, per consentireagli agricoltori di utilizzare i liquami in modo efficiente,oltre allo sviluppo di indicatori diagnostici a supporto

della concimazione azotata, è necessario fornire unmezzo semplice e rapido per stimare il contenuto in NPKdei liquami prima della distribuzione in campo, inaccordo con il Codice di Buona Pratica Agricola(Ministero per le Politiche Agricole, 1999). A questoscopo, sono stati creati modelli (Carton et al., 1997)capaci di effettuare una stima del contenuto in nutrientidelle deiezioni zootecniche. Purtroppo, l’elevatavariabilità nella composizione dei liquami rende difficilel’uso di tali modelli in maniera generalizzata. D’altro lato,negli ultimi anni sono apparsi sul mercato diversi metodiche, misurando caratteristiche chimico fisiche dei refluizootecnici, sono in grado di offrire una stima del loropotere fertilizzante (Smith et al., 1993; Sullivan et al.,1997). Queste strumentazioni si basano sulle correlazionifra alcuni degli elementi fertilizzanti dei liquami e alcunedelle loro proprietà chimico fisiche. Questi metodi,purtroppo, non sempre permettono di effettuare misure“in situ” ed ottenere i risultati direttamente, giacchélavorano su diluizioni o hanno bisogno di reattivi. Altrogrosso problema è la difficoltà di prelevare un campionerappresentativo dovuto alla grande eterogeneità deireflui. Un’alternativa a questi metodi si basa sulla misuradi proprietà elettriche dei liquami e in particolare dellaconduttività elettrica (EC) per realizzare una stima delpotere fertilizzante degli effluenti d’allevamento (Stevenset al., 1995; Bellotti, 1997; Scotford et al., 1998, Provoloet al., 2007, Suresh et al., 2009). Un’altra interessantetecnologia è la spettroscopia NIR (Millmier et al., 2000).La combinazione di metodi di calcolo che consentono distimare il contenuto di nutrienti direttamente nella vascadi stoccaggio sulla base delle modalità di gestionedell’allevamento e sensori per la misura indiretta basatisu diverse tecnologie (EC, NIR, ioni selettivi) potrebbefornire una risposta innovativa e modulare alle esigenze,sempre più pressanti anche dal punto di vista normativo,di una attenta gestione degli effluenti al momento delladistribuzione in campo.Per quanto attiene infine gli spetti della fertilità del suoloin un’ottica di lungo periodo, e quindi di realesostenibilità dell’attuale sistema agricolo, un ruolofondamentale deve essere riconosciuto alla componenteorganica, quale elemento trasversale in grado cioè diinfluenza gli aspetti chimici, fisici e biologici del suolo. Leproprietà fisiche del suolo (porosità, drenaggio,ritenzione idrica, resistenza all’erosione), chimiche(reazione, contenuto e disponibilità di nutrienti, inprimis) e biologiche, nonché tutte le attività enzimaticheche presiedono ai principali cicli biogeochimici delterreno, vengono infatti influenzate dalla componenteorganica in esso presente (Juma, 1993; Hudson, 1994;Ellert e Bettany, 1995) e, soprattutto nei suoli agrarisottoposti ad elevata pressione antropica ed agricolturaintensiva, risultano fondamentali per il mantenimentodella fertilità (Reeves, 1997). La fertilità dei terreni, cioèla capacità di ospitare, nutrire e promuovere la crescitadelle piante è infatti strettamente correlata alcontenuto di sostanza organica ed all’attività biologica in

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essa presente (Johnston, 1986). In particolare la capacitàdel suolo di interagire con l’ecosistema per mantenere laproduttività biologica, la qualità ambientale epromuovere la salute animale e vegetale, contribuisce adefinire la così detta qualità dei suoli (Doran e Parkin,1994). Tra i parametri utili a definire la qualità di un suolola componente organica viene ritenuta da numerosiautori l’indicatore più adatto, correlandosi, essa, conmolti aspetti della produttività di un agroecosistema econ la sua sostenibilità (Larson and Pierce, 1991; Sikoraet al., 1996; Stuczynski et al., 1997). Negli ultimi decenni,a causa dell’affermazione prepotente della concimazioneminerale, dei drastici mutamenti degli ordinamenticolturali (eccessiva semplificazione degli avvicendamenti)e delle pratiche agronomiche (allevamento intensivoseparato dalla terra), sono stati trascurati tutti quegliaspetti che riguardano gli apporti di sostanza organica alsuolo, perseguendo come unico obbiettivo, lamassimizzazione della produzione. E’ noto che ladiminuzione del tenore di sostanza organica,conseguente al parziale reintegro dei residui colturali e almancato uso di ammendanti, può portare a gravi dannidi carattere ambientale, nonché ad una diminuzionedella quantità e qualità dei prodotti agricoli ottenibili(Johnston, 1986). Il primo passo verso una riduzione degliinput negli agro ecosistemi passa, necessariamente,attraverso il recupero di sostanza organica nei suoli. Sistima infatti che l’incremento del 50% di sostanzaorganica in un suolo agrario che presenta un contenutodell’1%, comporterebbe un aumento del 39.6% dicarbonio microbico (attività biologica), del 40% dellacapacità di scambio cationico, e del 23 %, 57.4 % e del29.5 % del contenuto di azoto, fosforo assimilabile e

potassio scambiabile. Tali vantaggi difficilmente sipossono raggiungere, a basso costo, con altremetodologie, siano esse di tipo biologico o agrotecnico.I meccanismi che controllano la stabilizzazione della SoilOrganic Matter (SOM), possono essere definiti come ilrisultato della combinazione di tre processi: i) laprotezione fisica, cioè l’occlusione in aggregati e piccolipori che determina una minore accessibilità e una scarsasuperficie d’attacco microbica; ii) la protezione chimica,in particolare l’interazione con la frazione organominerale del suolo; iii) la protezione biochimica, nellospecifico la “recalcitranza” intesa come “lowaccessibility” ovvero l’elevata resistenza all’idrolisichimica e biologica intrinseca a talune componentiorganiche (Mikkuta et al., 2006; Helfrich et al., 2007). E’evidente, quindi, che parlare di sistemi agricoli ad elevatasostenibilità ambientale non può prescindere dallostudio della qualità dei suoli nel suo complesso e, perquanto sopra riportato, degli aspetti quanti qualitatividella sostanza organica. Infatti, se da un lato tutte lericerche indirizzate al miglioramento dell’uso da partedella pianta dei nutrienti sono da sostenersi, dall’altro èabbastanza controverso ottenere un vantaggio,vanificato, poi, dalla diminuzione di efficienza dovuta allaperdita di sostanza organica al suolo.La possibilità di mettere a punto un indice sintetico sullaqualità della sostanza organica e una primacaratterizzazione dei suoli di pianura lombardi da questopunto di vista può costituire un primo fondamentalepasso per l’attuazione di un programma di incremento emantenimento della sostanza organica dei suoli,consentendo di identificare come prioritari quelli piùdepauperati.

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OBIETTIVI

L’approccio multidisciplinare adottato nel presentestudio, e finalizzato ad individuare sistemi idonei allagestione e al mantenimento della fertilità, nonchéstrategie per la selezione di piante ad elevata efficienzad’uso dei nutrienti, si è posto, in sintesi, gli obiettivi diseguito riportati.

Sviluppare indicatori e identificare geni utili per lacostituzione e/o selezione di nuovi genotipi di mais,utilizzabili nelle aree cerealicole lombarde,caratterizzate da una più elevata efficienza d’usodell’azoto.

Valutare, in prove parcellari, l’effetto di diversi inputazotati e solfatici sulla produzione di granella infrumento tenero e sulla qualità panificatoria dellefarine ottenute.

Caratterizzare la variabilità esistente nelle principalivarietà di riso adottate in Italia per il carattereefficienza d’uso del nitrato, anche in funzione dellapossibile introduzione di tecniche atte a garantire unminor consumo di acqua irrigua.

Studiare l’abbondanza e la diversità delle comunitàmicrobiche coinvolte nel ciclo dell’azoto, associatealla rizosfera di piante riso e mais sottoposte a diversiregimi nutrizionali, allo scopo di valutare il lorospecifico contributo nel ciclo dell’azoto e neldeterminare l’efficienza d’uso del nutriente in alcunespecie di interesse agrario, in funzione delle tecnicheagronomiche e gestionali adottate.

Selezionare microrganismi adatti a stabilire simbiosicon le radici delle piante di mais e riso ed in grado difavorire l’assorbimento idrico ed il trasferimento dinutrienti, allo scopo di sviluppare futuri approcci dibiofertilizzazione.

Caratterizzare la variabilità esistente nelle principalivarietà di riso adottate negli ambienti Italiani per ilcarattere efficienza d’uso dello zolfo, allo scopo diselezionare genotipi in grado di valorizzare le risorse

di zolfo disponibili nel suolo, anche in funzione delletecniche di gestione dell’acqua.

Valutare la variabilità esistente in frumento teneroper gli effetti della concimazione solfatica sullaqualità delle farine ottenute.

Valutare l’impiego di granella di mais a bassocontenuto in fitina per la produzione di mangimispecifici per animali monogastrici (polli e/o suini),nonché selezionare nuovi materiali idonei allo scopoda iscrivere al registro varietale.

Valutare l’effetto della presenza di differenti variantialleliche del gene PHY1 (codificante una fitasiextracellulare) sulla capacità delle piante di renderedisponibile il fosforo fitico presente nei suoli perl’assorbimento radicale, all’interno di logiche miratealla riduzione degli input di fosforo inorganico alsuolo.

Definire un indicatore diagnostico a supporto dellaconcimazione azotata in copertura al mais nelleaziende zootecniche.

Fornire un sistema che attraverso il monitoraggiogestionale e la messa a punto di una sensoristicaadeguata consenta di conoscere le caratteristichedegli effluenti al momento della distribuzione.

Effettuare un monitoraggio dei suoli lombardi, infunzione del differente utilizzo agronomico e delleloro principali proprietà chimico fisiche, conparticolare riguardo alla componente organica.

Studiare, alla luce di recenti teorie, i meccanismi diconservazione del carbonio organico mediantetecniche di frazionamento chimico, nonché valutarele dinamiche della conservazione della sostanzaorganica in base alla tessitura, agli ammendantiimpiegati e all'utilizzo del suolo stesso, allo scopo didefinire quali pratiche e politiche debbano esseresviluppate in futuro per poter riportare i suoli a queilivelli di fertilità e qualità che costituiscono il principiodi una sostenibilità dell’uso degli stessi.

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I. EFFICIENZA D’USO DELL’AZOTO IN MAIS – CRA MAC (Responsabile: Hans Hartings)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

Nelle aree antropizzate l’azoto immesso nell’ambientederiva principalmente dai reflui civili e dalle attività difertilizzazione delle colture. Lo sviluppo di efficientisistemi di depurazione ha progressivamente ridotto leimmissioni di azoto derivanti dai reflui civili,diversamente da quanto è avvenuto in agricoltura dove ilricorso alla fertilizzazione azotata ha contribuito a crearealcuni problemi di sostenibilità. In particolare, la necessitadi aumentare le produzioni agricole per ettaro, l’adozionedi piante esigenti in termini di azoto (quali ad esempio ilmais, spesso seminato su terreni poco idonei alla suacoltivazione), l’abbandono delle rotazioni e la necessità dismaltire i reflui zootecnici, hanno generato una fortepressione sull’agro ecosistema.Considerando queste premesse, appare evidente che ilsettore agricolo dovrà affrontare nei prossimi anni alcunesfide importanti tra le quali quella di soddisfare ladomanda globale di prodotti alimentari, riducendo nelcontempo la pressione sull’ambiente, le richiesteenergetiche e l’impiego di mezzi tecnici, attraverso losviluppo di biotecnologie e agrotecniche in grado dimitigare l’impatto ambientale e proteggere gli habitatnaturali e la biodiversità, salvaguardando la redditività delsettore.Per studiare i processi alla base dell’assorbimentodell’azoto da parte delle piante, è stato creato unambiente controllato per poter crescere plantule di maisa concentrazioni predeterminate di azoto. In questomodo è stato possibile individuare la concentrazioneminima di azoto necessaria per una corretta crescita delleplantule. A questa concentrazione, le plantule mostranocomunque uno sviluppo rallentato e delle differenzemorfologiche evidenti, rispetto alle piante cresciute senzaalcuna limitazione di azoto. Nella Figura 1 è possibileosservare che l’aspetto della pianta cambiasostanzialmente al variare della disponibilità di azoto nelmezzo di crescita.In particolare, si può notare come lo sviluppo della parteaerea della pianta vari con la quantità di azoto presentenel terreno. È evidente che non solo concentrazioni bassedi azoto ma anche concentrazioni troppo elevate, anchese in forma meno evidente, rallentano lo sviluppo dellapianta. Lo sviluppo dell’apparato radicale segue unandamento diverso con un’estensione inversamenteproporzionata alla concentrazione di azoto disponibileper la pianta.Allo scopo di identificare e studiare i geni coinvolti nellerisposte della pianta a concentrazioni variabili di azoto,sono state prodotte due serie di plantule: la prima serie èstata mantenuta in condizione di bassa concentrazioned’azoto, mentre la seconda serie è stata cresciuta inpresenza di una alta concentrazione di azoto.Per campionare a stadi fisiologi simili e considerando chele plantule evidenziavano una velocità di crescita variabile

in base alla concentrazione di azoto somministrato,diverse serie di piante ad elevata concentrazione di azotosono state prodotte nell’arco di alcuni giorni,permettendo, in questo modo, di eseguire icampionamenti allo stesso stadio fisiologico nella stessagiornata.

Figura 1. Effetto di diverse disponibilità di azoto sulla crescita diplantule di mais (da sinistra a destra concentrazioni crescenti diazoto).

All’emersione completa della quarta foglia, una partedelle piante mantenute in condizioni di bassaconcentrazione d’azoto è stata trasferita su un terrenocon elevata concentrazione di azoto. Sono staticampionati gli apparati radicali delle piante così trattatedopo un’ora (TI1) e dopo sei ore (TI6) d’incubazione.Contemporaneamente sono state campionate le radicidelle piante mantenute a bassa concentrazione d’azoto(TL1 dopo 1 ora; TH6 dopo 6 ore). I campioni prelevatisono stati usati per l’estrazione di mRNA che,successivamente, è stato usato per la preparazione disonde molecolari per l’ibridazione di microarrayAffymetrix.Le piante sottoposte a ciascun trattamento sono statesuddivise in tre batch indipendenti, che hanno, quindi,dato origine a tre ibridazioni indipendenti. I datimicroarray sono stati sottoposti ad analisi statisticamediante l’utilizzo del software FlexArray ver. 16.1.1.Sono stati considerati validi i confronti con valore di P <0.01 e un rapporto tra i segnali controllo – test superiorea 2 (logFC < 1 o logFC > 1).

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RISULTATI OTTENUTI

Il confronto TI1 – TL1 ha evidenziato la presenza di 1292sequenze con aumentata espressione a unaconcentrazione di azoto più elevata e 1342 sequenze conuna espressione ridotta. Vice versa, il confronto TI6 – TL6

ha mostrato 1577 sequenze con un incrementod’espressione e 1211 sequenze con una diminuitaespressione dopo induzione. I dati ottenuti sono statianalizzati mediante il protocollo SEA (Singular EnrichmentAnalysis), presente al sito agriGO(bioinfo.cau.edu.cn/agriGO/analysis.php), permettendodi individuare diversi arricchimenti significativi deitermini GO. In questo modo sono stati individuatinumerosi elementi appartenenti alle principali viebiosintetiche. Sono sembrate di particolare interessealcune delle vie biosintetiche appartenenti allagluconeogenesi, alle vie biosintetiche degli amminoacidie dei composti aromatici ed alle vie del metabolismodell’azoto (Figura 2).Diversi membri di queste vie biosintetiche sono statiselezionati per studi di espressione mediante RT PCR.

A questo proposito, è stata preparata una serie di mRNAestratti dalle radici di piantine cresciute a bassaconcentrazione d’azoto ed indotte con azoto più altedotazioni d’azoto a tempi scalari (0 min; 30 min; 1 ora; 2ore; 4 ore; 6 ore; 12 ore e 24 ore). Una serie analoga dimRNA estratti dalle radici di piantine mantenute a bassaconcentrazione d’azoto e campionate agli stessi intervalli,è stata usata come controllo. Utilizzando queste serie dimRNA, l’analisi RT PCR condotta con primer disegnatisulle sequenze individuate tramite SEA ha permesso diattribuire un profilo d’espressione a ognuna dellesequenze scelte.L’espressione delle stesse sequenze geniche è stata,inoltre, monitorata in una serie di linee di mais, coltivatein pieno campo. Sono stati analizzati sia ibridicommerciali di diversa origine, sia linee pure di recentecostituzione. Per queste analisi sono stati prelevati deicampioni dall’apparato radicale delle piante e dalla partedello stocco adiacente all’apparato radicale. Per ciascunaaccessione, sono stati campionati tessuti a partire dacinque piante, permettendo un’analisi statistica deirisultati d’espressione.

Figura 2. Tre vie biosintetiche (visualizzate parzialmente) le cui componenti hanno evidenziato un cambiamento nel profilo diespressione dopo induzione con azoto per un’ora.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

La presenza di pattern genici, identificabili attraverso unoscreening precoce, e la costituzione di primer in grado dianalizzare il livello d’espressione di diversi geni coinvoltinella risposta della pianta al variare dei livelli di azoto,

potrebbe permettere una selezione mirata di linee dimais più efficaci nell’utilizzo dell’azoto. Infine, i marcatoriindividuati potranno essere usati in ricerche future perstabilire una correlazione tra l’espressione genica eefficienza d’uso dell’azoto, utilizzando un ampiocampione di varietà e linee di mais.

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II. EFFETTO DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA E SOLFATICA SULLA QUANTITÀ E QUALITÀ DELLERESE IN FRUMENTO TENERO – CRA SVC (Responsabile: Maurizio Perenzin)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

La coltivazione intensiva dei cereali, adottata in questiultimi decenni, è strettamente legata all’utilizzo di grandiquantità di fertilizzanti azotati, che rivestono una grandeimportanza per l’incremento delle produzioni in terminiquantitativi e qualitativi. Tuttavia, il ricorso ad elevatequantità di concimi azotati ha creato negli ultimi annidiversi ordini di problemi, in quanto: a) il costoenergetico per la loro produzione è estremamente alto;b) ha contribuito a determinare l’inquinamento delleacque di superficie e di falda; c) la normativa relativa alla“direttiva nitrati” ha imposto limiti severi relativamentealle quantità di azoto utilizzabili nelle aree vulnerabili.Nel caso del frumento tenero, l’individuazione di genotipiad elevata capacità di assorbimento dell’azoto assumeuna importanza particolare sia per l’elevate richieste delnutriente che la specie manifesta, sia perché questocarattere è fortemente legato alla qualità panificatoriadelle farine. In questi ultimi anni ha assunto unaimportanza sempre maggiore anche l’efficienza d’usodello zolfo in quanto questo elemento esercita ruoliessenziali nella fisiologia della pianta. Una sua carenzapuò determinare, ad esempio, una diminuzionedell’efficienza dell’uso dell’azoto o una diminuzione dellacapacità della pianta di resistere a stress biotici e abiotici.L’obiettivo principale di questa attività è stato quello divalutare, in prove parcellari di pieno campo, l’effetto didiversi input azotati e solfatici sulla produzione digranella in frumento tenero e sulla qualità panificatoriadelle farine ottenute. E’ stata inoltre valutata lavariabilità esistente in Triticum aestivum per gli effettidella concimazione solfatica, mediante l’utilizzo di 40genotipi di frumento tenero appartenenti alla banca delgermoplasma disponibile presso CRA SCV e selezionati00

mediante un criterio temporale (anno di costituzione,introduzione in coltura o diffusione) integrato concaratteristiche produttive e qualitative.

Prove parcellariAl fine di valutare gli effetti dei due elementi minerali,azoto (N) e zolfo (S), si è provveduto ad allestire dueprove di campo, condotte negli anni 2011/12 e 2012/13,nei terreni dell’azienda Belfuggito sita in S. AngeloLodigiano (LO), impiegando un disegno sperimentale ablocchi randomizzati con tre repliche (parcellaelementare 10 m2). Ognuna delle due prove prevedeva:a) 3 varietà di frumento tenero appartenenti a trediverse classi qualitative: Bologna (frumento di forza),Blasco (frumento panificabile superiore), Illico (frumentopanificabile); b) 4 livelli di concimazione azotata: 0, 80,160 e 240 kg N ha 1 ; c) 3 livelli di concimazione a base dizolfo: 0, 30 e 60 kg S ha 1.In fase di accestimento le due prove sono stateconcimate con metà della dose di N prevista e con ladose di 30 kg ha 1 di S utilizzando il concime liquidoAzos300 (Yara; 57% S, 15% N). Allo stadio di fine levata èstata effettuata la seconda concimazione con N e, doveprevisto dal protocollo, con S.Le date nelle quali sono stati effettuati i principaliinterventi agronomici sono riportate nella Tabella 1.

Prova genotipiQuaranta genotipi scelti in base all’epoca di costituzioneo di diffusione in coltura sono stati seminati in parcellecostituite da sei file di 1 m di lunghezza, secondo unoschema sperimentale a blocchi randomizzati con duereplicazioni.Non è stato previsto l’apporto di diverse dosi di N, masolo la concimazione azotata aziendale frazionata (1/3ooo

Tabella 1. Scheda agronomica dei campi prova

Prova parcellare2011/12

Prova parcellare2012/13

Prova genotipi2011/12

Tessitura del terreno medio impastotendente sabbioso

medio impastotendente sabbioso medio impasto

Coltura precedente mais da trinciato mais da trinciato mais da trinciato

Data di semina 10/11/2011 20/11/2012 20/11/2011

Date distribuzione azoto 06/03/2012 27/03/2013 14/03/2012

28/04/2012 02/05/2013

Date distribuzione zolfo 21/03/2012 17/04/2013 22/03/2012

27/04/2012 09/05/2013 27/04/2012

Data di raccolta 17/07/2012 19/07/2013 28/07/2012

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alla semina, 1/3 ad inizio accestimento e 1/3 in levata,per un totale di 120 unità ha 1 di N). Lo zolfo è statodistribuito ad inizio accestimento (30 kg ha 1) e, doveprevisto dal protocollo sperimentale, allo stadio di finelevata (30 kg ha 1).

Andamento meteoL’andamento climatico relativo al primo anno divalutazione, durante la stagione autunnale, è risultatofavorevole per le operazioni di semina. Il clima invernaleè risultato particolarmente rigido e sono stati riscontrati,specialmente nella prima decade di febbraio, valori ditemperatura estremamente bassi. Le precipitazioninevose hanno comunque protetto la coltura dagliabbassamenti termici. Queste condizioni climatiche, chehanno caratterizzato la dormienza vegetativa, sonoperdurate per quasi tutto il mese di febbraio. Al risvegliovegetativo, le abbondanti piogge primaverili,accompagnate dall’aumento graduale delle temperature,hanno sostenuto lo sviluppo delle piante, le quali nonhanno mostrato infezioni tangibili da parte di agentifungini. La maggiore frequenza delle precipitazioni incorrispondenza dei mesi di maggio e giugno ha causato,in alcuni casi, l’insorgenza tardiva di alcune malattiecrittogamiche, quali fusariosi della spiga e septoriosi.Tuttavia, l’entità degli apporti idrici naturali hadeterminato un aumento delle produzioni unitarie edella qualità merceologica del prodotto alla raccolta, convalori talvolta superiori alla media.L’andamento climatico che ha accompagnato il ciclocolturale del frumento nel secondo anno di prova è statocaratterizzato da temperature invernali miti e daprecipitazioni abbondanti.Durante l’inverno la media settimanale dellatemperatura minima non è mai scesa sotto i 2 °C, conpunte di 6 °C nella prima decade di dicembre.

La primavera è stata fresca, con temperature medieintorno ai 20 °C durante la spigatura e mai sopra i 30 °Cdurante la fase di riempimento delle cariossidi. Perquanto riguarda le precipitazioni, si sono registratequotidianamente pioggia o neve dall’inizio di novembrefino alla prima decade di giugno. Il computo totale dellapioggia caduta in tale periodo è stato di oltre il doppiorispetto allo stesso periodo del primo anno.Relativamente alle fitopatie non si sono registratiattacchi di oidio, mentre sono stati di media intensitàquelli di septoriosi e fusariosi della spiga. La rugginebruna si è presentata abbastanza tardivamente e non haarrecato danni significativi.

RISULTATI OTTENUTI

Prove parcellariNelle Tabelle 2 e 3 sono riportati i principali risultatiagronomici relativi ai fattori “dose N” e “dose S” per idue anni di prova. Dall’analisi della varianza (dati nonpresentati), per il primo anno, effetti significativi per idue fattori sono stati riscontrati solamente per il pesoettolitrico; nel secondo anno, invece, l’azoto haevidenziato effetti significativi per tutti i caratteriagronomici presi in considerazione mentre lo zolfo haavuto effetti significativi sui caratteri produzione digranella, peso ettolitrico e data di spigatura. Interazionisignificative tra i due elementi sono state evidenziatesolamente nel primo anno per i caratteri data dispigatura, altezza pianta e danni da septoria.Nel 2011/12 (Tabella 2) la produzione media è risultatadecisamente buona (7,68 t ha 1). La produzione digranella era incrementata, come atteso, dall’aumentodella disponibilità di N (passando da 6,98 t ha 1 per ladose 0 a 8,09 t ha 1 per la dose 240), ma venivapenalizzata dalla dose più elevata di S.

Tabella 2. Effetti della concimazione azotata e solfatica sulle principali caratteristiche agronomiche. I dati si riferisconoalla campagna agraria 2011/12.

Azoto Zolfo Produzionegranella

Pesoettolitrico

Dataspigatura

Altezzapianta

Septoria

(t ha 1) (kg hL 1) (gg da 1/4) (cm) (0 9)0 6,98 77,3 36 84 3,280 7,81 78,5 35 85 3,1160 7,84 77,3 36 86 3,1240 8,09 76,9 36 86 3,4DMS

(P 0.05) 1,27 0,8 1 3 0,5

0 7,58 77,1 36 85 3,330 7,91 77,4 36 85 3,160 7,55 78,0 36 85 3,2

DMS(P 0.05) 0,59 0,8 0 2 0,2

Media 7,68 77,5 36 85 3,2CV 7,3 1,2 1,7 3,5 15,3

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Tabella 3. Effetti della concimazione azotata e solfatica sulle principali caratteristiche agronomiche. I dati si riferisconoalla campagna agraria 2012/13

Azoto Zolfo Produzionegranella

Pesoettolitrico

Dataspigatura

Altezzapianta

Septoria

(t ha 1) (kg hL 1) (gg da 1/4) (cm) (0 9)0 3,27 79,6 49 61 6,680 5,09 79,3 47 70 6,3160 5,90 78,5 48 72 6,0240 6,41 77,5 48 74 5,8DMS

(P 0.05) 0,39 0,8 1 2 0,3

0 5,31 79,3 47 70 6,130 5,32 78,5 49 69 6,160 4,88 78,4 48 69 6,3

DMS(P 0.05) 0,26 0,6 1 2 0,2

Media 5,17 78,7 48 69 6,2CV 10,6 1,1 2,4 4,9 5,2

Questo andamento risultava evidente anchenell’interazione con le singole dosi di N e con le singolevarietà (dati non presentati).Nel secondo anno (Tabella 3) la resa media è risultatadecisamente più bassa (5,17 t ha 1) con un decremento diben 2,51 t ha 1 rispetto all’anno precedente. Evidentirisultavano anche gli effetti della concimazione azotatacon produzioni che variavano da 3,27 t ha 1 per la doseN0 a 6,41 t ha 1 per la dose N240. Anche in questaseconda prova si confermava la tendenza delle dosielevate di S a ridurre i livelli produttivi. Il peso ettolitricoera invece diminuito da dosi elevate sia di N sia di S.L’andamento dei principali parametri qualitativi relativi alprimo anno di prove è riassunto nella Tabella 4, mentrele interazioni tra le due tipologie di concimazione sonoriportate, per alcuni caratteri, nelle figure successive.Il parametro hardness (Tabella 4), ovvero la durezza dellacariosside, appariva fortemente influenzato dallaconcimazione azotata: già a basse dosi (N80), infatti,l’indice di durezza medio si attestava sui valori deifrumenti di tipo hard. Le variazioni dell’hardness dovuteallo zolfo erano invece trascurabili.Il contenuto proteico delle farine, come ben noto, èrisultato strettamente dipendente dall’apporto azotato:la dose massima (N240) ne ha prodotto un incremento diquasi quattro punti percentuali (Tabella 4 e Figura 1A).Gli effetti dello zolfo su tale parametro erano invecemodesti e solo in assenza di concimazione azotata (N0)l’apporto di zolfo alla massima dose S60 sembrava esseredeterminante (Figura 1A).L’andamento del volume di sedimentazione in SDS infunzione della concimazione azotata risultava in linea,come atteso, con quello precedentemente descritto peril contenuto proteico; in questo caso tuttavia, la doseN160 sembrava sufficiente a raggiungere la massimaperformance qualitativa (Tabella 4).Per quanto riguarda i parametri alveografici, siriscontrava un forte effetto dell’azoto sul rapporto P/L

(tenacità/estensibilità), che diminuiva gradualmente da0,99 (N0) a 0,57 (N240): tale variazione era imputabileessenzialmente all’aumento dell’estensibilità (L), mentrela tenacità (P) non subiva variazioni. Sul parametro P/Lsono state altresì registrate interazioni tra i due tipi diconcimazione, sebbene non sia possibile evidenziare unchiaro trend (Figura 1B).La concimazione azotata aveva un forte effetto anche sulparametro W, che rappresenta la forza della farina, checresceva progressivamente al crescere della dose diazoto. Lo zolfo, nella dose massima (S60) produceva unaumento del parametro, molto evidente soprattutto alladose di N80 (Figura 1C).I parametri farinografici erano positivamente influenzatidalla concimazione azotata, con il generale aumentodella stabilità e la conseguente proporzionale riduzionedella caduta passando dal trattamento N0 al trattamentoN240; la concimazione a base di zolfo determinava lastessa tendenza, anche se con variazioni molto piùcontenute. L’assorbimento idrico degli impastiaumentava di due punti percentuali già con la dose N80per poi mantenersi invariato alle dosi superiori; inassenza della concimazione azotata (N0) si evidenziavaun forte contributo dello zolfo nella dose di 60 unitàsull’assorbimento idrico degli impasti (Figura 2A).Rimangono da verificare sul raccolto del secondo anno diprove le interazioni delle concimazioni solfatiche sulledosi N160 e N240.Nelle prove di panificazione, i parametri migliori si sonoregistrati con la concimazione azotata N160, mentre lozolfo di per sé non ha prodotto variazioni sostanziali. Leinterazioni risultavano più marcate per il volume, anchese I risultati necessitano una ulteriore validazione sulraccolto del secondo anno (Figura 2B,C).

Prova genotipiPer questo studio è stata utilizzata una collezionecostituita da 40 linee di frumento tenero arbitrariamente

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suddivise in 9 gruppi. I gruppi 1/2 comprendevano lepopolazioni locali (gruppo 1) e alcune linee da esseselezionate (gruppo 2); i gruppi 3 e 4 riunivano le lineecostituite nei primi tre decenni del XX secolo (materialisviluppati da Nazzareno Strampelli); i restanti gruppicomprendevano varietà costituite in epoche successive,anni ‘40/’50 (gruppo 5), anni ‘60/’70 (gruppo 6), anni‘70/’80 (gruppo 7), anni ‘80/’00 (gruppo 8) e annisuccessivi al 2000 (gruppo 9).Come già evidenziato per le prove parcellari, anche inquesto caso lo zolfo ha influito negativamente sui livelliproduttivi, con decrementi significativi in corrispondenzadella dose più elevata (Figura 3A).Relativamente al contenuto proteico (Figura 3B),indipendentemente dalla dose di S, risultava evidente,come già ampiamente riportato in letteratura, un suodecremento progressivo a partire dalle varietà più antiche(gruppi 1/2) fino alle più recenti (gruppo 9), con unariduzione di circa due punti percentuali. In ogni gruppo, adeccezione del gruppo 3, all’aumentare della dose di S ilcontenuto proteico risultava più elevato rispetto alla doseS0.Il volume di sedimentazione in SDS (Figura 3C), cherappresenta un indice della qualità del glutine, hamostrato un andamento tra i gruppi opposto rispetto aquello del contenuto proteico: i gruppi 1/2 e 3 infatti,nonostante avessero mostrato il contenuto proteico piùelevato, hanno fatto registrare, indipendentemente dalladose di S, un volume basso, quindi una qualità del glutinescarsa rispetto alle varietà più recenti.

Anche questo dato è in accordo con i dati presenti inletteratura e con nostre precedenti esperienze, e vienespiegato con la selezione, durante il percorso delmiglioramento genetico, di genotipi con subunitàgluteniniche e gliadiniche (i componenti principali delglutine) in grado di conferire al glutine, grazie allapeculiare struttura molecolare, una maggiore qualità. Ilvolume di sedimentazione non sembrava però essereinfluenzato dalla concimazione a base di zolfo.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

Alla luce dei primi risultati ottenuti dallasperimentazione agronomica sulla concimazione delfrumento, si può evidenziare che: a) l’azoto influiscepositivamente sui livelli produttivi mentre lo zolfo,distribuito a dosi elevate, tende a deprimerli; b) il pesoettolitrico è influenzato negativamente da dosi elevatesia di azoto che di zolfo; c) i principali parametriqualitativi e tecnologici sono positivamente influenzatidall’azoto ma anche dallo zolfo, seppure in modo menoeclatante. Tali risultati andranno comunque confermaticon le analisi sul materiale derivante dal secondo anno diprove.Si ritiene tuttavia necessaria l’impostazione di ulteriorisperimentazioni, in particolare ripetute in ambienti concaratteristiche pedoclimatiche differenti, al fine didefinire in maniera precisa l’interazione tra l’apporto diazoto e l’apporto di zolfo sulle caratteristiche qualitativee tecnologiche delle farine di frumento tenero.

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III. EFFICIENZA D’USO DELL’AZOTO IN RISO – UNIMI (Responsabile: Antonio Ferrante)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

Lo studio è stato condotto su 12 varietà di riso (Arborio,Baldo, Balilla, Carnaroli, Centauro, Gange, Gladio, Loto,Roma, Selenio, Sirio e Vialone) scelte fra le piùrappresentative per gli ambienti risicoli italiani allo scopodi ottenere informazioni sulla loro capacità diutilizzazione del nitrato quando allevate in condizioni didiversa disponibilità di ossigeno nel mezzo di crescita,ovvero in situazioni simulanti i terreni di coltivazione inasciutta e in sommersione. A tale scopo le piante sonostate coltivate in idroponica adottando: i) una soluzionenutritiva standard mantenuta costantemente aerata persimulare le condizioni di coltivazione in asciutta; ii) unasoluzione definita “stagnante”, addizionata con agar0,1% ed in grado di mantenere condizioni ipossiche,tipiche dei terreni sommersi, a livello degli apparatiradicali. Le piante sono state allevate nelle suddettecondizioni per 4 settimane, per poi essere campionateseparando le radici dalle porzioni aeree.L’azoto totale delle radici e dei germogli è statodeterminato per mezzo di un analizzatore elementare,mentre il contenuto in nitrato è stato dosato con ilmetodo dell’acido salicil solforico. Su campioni ritenutirappresentativi si è provveduto a dosare anche l’attivitàdella nitrato reduttasi (NR), un enzima chiavedell’assimilazione del nitrato nelle piante.

RISULTATI OTTENUTI

L’efficienza d’uso del nitrato, intesa come capacità diassimilazione, è stata determinata, nelle 12 varietàanalizzate, per mezzo del rapporto nitrato/azoto totale(NO3 /Ntot) che caratterizzava si le radici sia i germogli.I risultati hanno evidenziato un accumulo di nitratonettamente più alto nelle piante ipossiche rispetto aquelle normossiche, sia nella radici sia nella parte aerea.Il più elevato contenuto di nitrato nel germoglio è statorilevato nella varietà Vialone, con 53 mol g 1 PF e 37mol g 1 PF rispettivamente nelle condizioni di

allevamento in soluzione stagnante ed in soluzioneaerata. Nel gruppo con valori più alti, dopo Vialone, siritrovano Carnaroli, Gladio, Arborio e Loto, con 40 45mol g 1 PF (soluzione stagnante) e 18 25 mol g 1 PF

(soluzione areata). Le concentrazioni più basse sono stateriscontrate nelle varietà Baldo, con 25 mol g 1 PF(seppure con un’ampia variabilità) e 21 mol g 1 PF, e inCentauro, con 26 mol g 1 PF e 20 mol g 1 PF,rispettivamente nella soluzione stagnante e nellasoluzione ossigenata (Figura 1).La capacità di accumulare nitrato nelle radici nonsembrava essere relazionabile a quella descritta per leporzioni aeree nelle diverse varietà (Figura 2). La capacitàdi accumulo dei due organi è infatti risultata diversa evariabile da varietà a varietà, indicando che le piante

Figura 1. Concentrazione di nitrato nei germogli di piante di risoallevate in soluzioni aerate e stagnanti. I valori riportati sono lemedie con le relative deviazioni standard (n = 4).

potrebbero differire per le loro caratteristiche didistribuzione interna del nitrato. Si può inoltre notare(Figura 2) come solo due varietà, Sirio e Carnaroli, nonabbiano mostrato differenze significative nellaconcentrazione di nitrato nelle due condizioni di crescita.

Figura 2. Concentrazione di nitrato nei germogli di piante di risoallevate in soluzioni aerate e stagnanti. I valori riportati sono lemedie con le relative deviazioni standard (n = 4).

Considerando il rapporto NO3 /Ntot, adottato in questostudio come indice dell’efficienza d’uso del nitrato, si puòaffermare che tutte le varietà allevate in condizioni nonlimitanti di ossigeno hanno mostrato un’efficienza piùelevata (rapporto più basso). Le varietà Baldo, Gange,Sirio, Centauro e Selenio mostravano di essere le piùefficienti. Baldo e Gange non mostravano differenze diefficienza nelle due condizioni di allevamento. Le varietàmeno efficienti sono risultate Carnaroli, Vialone, Arborioe Loto (Figura 3).L’efficienza d’uso del nitrato nelle radici è risultata essereinferiore rispetto a quella misurata nei i germogli (Figura4). Analogamente a quanto descritto per le porzioniaeree l’efficienza risultava inferiore nelle condizioni diallevamento in soluzione stagnante. Anche in questo casola distribuzione delle varietà in funzione dell’efficienzad’uso differiva parzialmente rispetto a quella descritta

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Figura. 3. Rapporto NO3 /Ntot in germogli (A) e radici (B) di 12 varietà di riso allevate in soluzioni aerate e stagnanti. I valoririportati sono le medie con le relative deviazioni standard (n = 4).

con riferimento alle porzioni aeree.Gli studi sull’assimilazione del nitrato sono stati condotti,misurando l’attività della nitrato reduttasi, su 4 varietà(Carnaroli, Centauro, Selenio e Vialone) che hannomostrato un comportamento estremo in termini diefficienza d’uso del nitrato (Figura 4).In tre varietà, Carnaroli, Centauro e Selenio, l’attivitàdella NR nei germogli è risultata più elevata nelle piante

Figura 4. Attività della nitrato reduttasica nei germogli di 4varietà di riso. I valori riportati sono le medie con le relativedeviazioni standard (n = 4).

coltivate in condizioni stagnanti (da 2 a 5 volte più alta);nella varietà Vialone, invece, non si osservavanodifferenze significative tra le due condizioni.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

I risultati ottenuti indicano che il rapporto NO3 /Ntot è unottimo indice per potere individuare le varietà che hannouna migliora efficienza d’uso del nitrato. In generale, lepiante allevate in condizioni di ossigeno non limitante,ossia in condizioni simulanti l’asciutta, hannoun’efficienza d’uso del nitrato maggiore. In questecondizioni la varietà con un più alto valore di efficienzad’uso del nitrato era Selenio, mentre in condizioni dianossia le migliori prestazioni si sono registrate per Sirio,Selenio e Loto. In conclusione è possibile affermare chele condizioni di ipossia inducono un maggiore accumulodi nitrato e una minore efficienza d’uso. Inareata/asciutta si ottengono risultati diametralmenteopposti. Ciononostante le piante allevate nella soluzionestagnate hanno uno sviluppo e una colorazione dellefoglie migliore. Ulteriori studi sull’espressione dei genicodificanti per gli enzimi coinvolti nell’organicazione delnitrato sono attualmente in corso per delucidare questocomportamento.

A B

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IV. MONITORAGGIO DELLE POPOLAZIONI MICROBICHE COINVOLTE NEL CICLO DELL’AZOTO ESELEZIONE DI COLTURE BATTERICHE CON ATTIVITÀ BIOFERTILIZZANTE – UNIMI (Responsabile:Daniele Daffonchio)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

Nel luglio 2012 si è provveduto al campionamento dipiante di mais e riso sottoposte a diverse praticheagricole. Nello specifico, presso l’Ente Risi di Mortarasono state campionate due varietà di riso (Baldo eGladio) coltivate in asciutta (ovvero irrigazione turnata) oin sommersione e, contemporaneamente, sottoposte omeno a concimazione azotata, secondo lo schemariportato in Tabella 1, per un totale di 8 tesi.Nel caso del mais sono state prelevate piante sottoposteo meno a concimazione azotata ed entramberegolarmente irrigate presso i campi del CRA di Bergamo,per un totale di 2 tesi (Tabella 1).Per ogni tesi sono state prelevate 3 piante, trasportate incondizioni refrigerate in laboratorio. Entro 24 ore dalcampionamento per ciascuna pianta la frazione di suolorizosferico aderente l’apparato radicale (R) è stataseparata dalle radici, dalle quali è stata successivamentericavata, previa sterilizzazione superficiale, la frazioneendofita (E) costituita dalla microflora che colonizza itessuti interni della pianta. Le frazioni così suddivise sonostate conservate a 4°C per gli isolamenti e a 20°C per leanalisi molecolari.

Monitoraggio delle popolazioni microbiche coinvolte nelciclo dell’azotoI campioni rizosferici ottenuti dalle piante di mais e risosono stati utilizzati per lo studio delle comunitàbatteriche ad esse associate, con particolare interesseper le comunità batteriche coinvolte nel ciclo dell’azoto.Per studiare la comunità batterica è stato utilizzato unapproccio di ecologia microbica molecolare in grado didescrivere la struttura e la composizione della comunitàbatterica totale senza le limitazioni imposte dallacoltivazione. Il DNA totale è stato estratto da ciascunarizosfera ed utilizzato come templato per l’amplificazionetramite Polymerase Chain Reaction (PCR) di due specificigeni: i) il gene nifH codificante per una subunità dellanitrogenasi, enzima essenziale per la fissazione dell’azotoatmosferico (Wakelin et al., 2007); ii) una porzionespecifica del gene 16S rRNA conservata all’interno dellaclasse dei Betaproteobatteri, batteri noti in letteraturaper la loro capacità di ossidare l’ammonio (Offre et al.,2009). La struttura e la diversità delle comunitàmicrobiche sono state descritte applicando tecniche diPCR DNA fingerprinting (DGGE) con successiva analisistatistica dei risultati (Principal Component Analysis, PCA)(Marasco et al., 2013).00

Selezione di colture batteriche con attivitàbiofertilizzantePer la selezionare colture batteriche con attività

biofertilizzante si è proceduto all’isolamento di battericon attività deaminasica dell’acido 1 aminociclopropanocarbossilico (ACCd) dalla frazioni endofita e rizosferica,secondo il protocollo descritto da Penrose e Glick (2003).Tale enzima è in grado di degradare l’ACC, immediatoprecursore dell’etilene prodotto dalla pianta incondizioni di stress (Glick et al., 2003). I batteri cosìisolati sono stati quindi identificati tramitesequenziamento del gene 16S rRNA e sottoposti ad unoscreening tramite saggi in vitro per valutarne lepotenzialità di promozione della crescita vegetale (PGP).In particolare sono state valutate le attività PGPcorrelate: i) ad un miglioramento dello stato nutrizionaledella pianta quali la solubilizzazione del fosfatoinorganico (Mehta e Nautiyal, 2001) e l’aumento dellabiodisponibilità del ferro tramite rilascio di siderofori(Schwyn e Neilands, 1987); ii) all’influenza diretta sulbilancio ormonale della pianta tramite sintesi dell’auxinaacido 3 indolacetico, coinvolta nella proliferazioneradicale (Brick et al., 1991) e iii) per la sintesi diesopolisaccaridi (Santaella et al., 2008) in grado difavorire la colonizzazione radicale e trattenere molecoled’acqua nei dintorni della radice grazie alla formazione diun biofilm idrofilico. Sulla base del numero e del profilodi attività PGP di ciascun ceppo, un ristretto numero diisolati è stato selezionato e saggiato in microcosmo supiante di mais per validarne l’attività biofertilizzante invivo.

RISULTATI OTTENUTI

Analisi della comunità microbica coinvolta nel ciclodell’azoto: batteri azoto fissatori e ammonio ossidantiLo studio condotto sulle comunità batteriche associate alsistema radicale di piante di riso e mais ha permesso diacquisire informazioni più complete sui microrganismicoinvolti nel ciclo dell’azoto. In particolare sono stateanalizzate le popolazioni coinvolte in due fasi distinte delciclo dell’azoto che hanno forti ripercussioni,rispettivamente, sulla produttività agricola e la perdita diconcimazione azotata, quali la fissazione dell’azoto el’ossidazione dell’ammonio (Bernhard, 2012).L’analisi statistica PCA condotta sui profili di bandeottenuti da DGGE fingerprinting (Figura 1A e C) mostracome la struttura delle comunità diazotrofe associate allarizosfera di mais e di riso della varietà Gladio risultinoinfluenzate, rispettivamente, dal sito (parcella diprovenienza) e dalle pratiche irrigue (Figura 1D e G). Alcontrario, il microbioma azoto fissatore associato allarizosfera di riso Baldo risulta influenzato dalle praticheirrigue, in particolare si riscontra una strutturasignificativamente diversa da tutte le altre nel caso dellerizosfere di piante cresciute in asciutta e non sottoposte

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Tabella 1. Elenco del materiale vegetale campionato ripartito sulla base delle tecniche colturali utilizzate durante lacrescita riso e mais.

Piante analizzate Pratiche agricole applicate

Crescita in asciutta Crescita in sommersione

Riso (Gladio) + N N + N N

Riso (Baldo) + N N + N N

Irrigazione regolare

Mais + N N

a concimazione azotata (Figura 1B e E).Per quanto riguarda le comunità batteriche ammonioossidanti (AOB), nella rizosfera di mais trattato condiversa fertilizzazione azotata non si distinguonosignificativamente tra loro, dimostrando come l’apportoazotato non influisca nel determinarne la struttura(Figura 2A e D). Al contrario, nel caso del riso dellavarietà Baldo la comunità AOB, analogamente a quantoosservato per gli azoto fissatori, risulta fortementeinfluenzata dalle pratiche irrigue: le comunità sidistinguono in base alla pratica colturale in sommersioneo in asciutta, con un debole effetto dovuto alleconcimazioni azotate (Figura 2B e E). Anche nel casodella rizosfera del riso della varietà Gladio le praticheirrigue hanno una maggior influenza sulla comunità AOB,ed in particolare la combinazione di crescita in asciutta esenza concimazione modella una comunità microbicaAOB peculiare (Figura 2C e F).

Isolamento di batteri con potenziale biofertilizzanteUna collezione di 379 isolati batterici con attività ACCdeaminasica è stata ottenuta dalla frazione endofita erizosferica di piante di mais e riso. L’identificazione degliisolati e la distribuzione dei taxa hanno evidenziato comein tutte e due le colture analizzate la comunità rizosfericasia caratterizzata da una maggior diversità filogeneticarispetto alla frazione endofita. La comunità endofitacoltivabile del riso è risultata costituita da batteri deigeneri Enterobacter e Bacillus mentre la comunitàdell’endosfera di mais presentava un maggior numero digeneri tra cui Enterobacter, Burkholderia, Pseudomonas,Azomonas e Stenotrophomonas. Le frazioni rizosferichedelle due colture sono risultate composte principalmenteda batteri appartenenti alla famiglia delleEnterobacteriaceae, con la dominanza dei generiEnterobacter e Klebsiella (Figura 3).Una collezione di 379 isolati batterici con attività ACCdeaminasica è stata ottenuta dalla frazione endofita erizosferica di piante di mais e riso. L’identificazione degliisolati e la distribuzione dei taxa hanno evidenziato comein tutte e due le colture analizzate la comunità rizosfericasia caratterizzata da una maggior diversità filogenetica

rispetto alla frazione endofita. La comunità endofitacoltivabile del riso è risultata costituita da batteri deigeneri Enterobacter e Bacillus mentre la comunitàdell’endosfera di mais presentava un maggior numero digeneri tra cui Enterobacter, Burkholderia, Pseudomonas,Azomonas e Stenotrophomonas. Le frazioni rizosferichedelle due colture sono risultate composte principalmenteda batteri appartenenti alla famiglia delleEnterobacteriaceae, con la dominanza dei generiEnterobacter e Klebsiella (Figura 3).I risultati ottenuti dai test in vitro sono riportati in Figura4 e mostrano come in entrambi i modelli vegetali ibatteri endofiti presentano un numero maggiore di ceppicon attività PGP (72,7%) rispetto ai rizobatteri (58%). Perquanto riguarda la distribuzione delle attività si notacome la capacità di sintetizzare auxine sia presente in unnumero significativo di isolati batterici provenienti daentrambe le specie vegetali saggiate (55,2% in riso e 80%in mais). Al contrario, la capacità di solubilizzare i fosfatiè più diffusa nella comunità microbica associata al mais(84% dei ceppi). Le capacità di produrre esopolisaccaridie siderofori coinvolti, rispettivamente, nella protezionedelle radici e nella biofertilizzazione del suolo, sonougualmente distribuite all’interno delle due comunitàanalizzate (44,8% e 51,7% in riso e 32% e 40% in mais).Dieci isolati con attività ACCd selezionati dai test in vitrosono stati saggiati in vivo per valutare la loro capacità nelpromuovere la crescita vegetale su piante di Zea mays(mais). Questo test ha permesso di selezionare 5 ceppibatterici che grazie alle loro attività biofertilizzanti sonoin grado di favorire la crescita vegetale manifestando unaumento di biomassa prodotta dalla pianta che varia dal86% al 139%, rispetto al controllo non batterizzato(Figura 5).

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

Esistono indicazioni sempre più chiare riguardanti il ruolodei batteri, naturalmente associati alle piante,nell’esercitare un effetto positivo sulla crescita dellepianta stesse grazie alla loro capacità di favorirel’assorbimento ed il trasferimento di nutrienti. In altri

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Figura 1. Analisi della comunità batterica azoto fissatrice. Profili DGGE della comunità microbica associata a piante di mais (A), risoBaldo (B) e riso Gladio (C), soggette alle diverse pratiche colturali analizzate. Analisi PCA dei “line plot profile” ottenuti tramite laconversione dei profili di bande di ogni campione mediante l’utilizzo del software Image J (D, E e F).

Figura 2. Analisi della comunità batterica ammonio ossidante. Profili DGGE della comunità microbica associata a piante di mais (A),riso Baldo (B) e riso Gladio (C), soggette alle diverse pratiche colturali analizzate. Analisi PCA dei “line plot profile” ottenuti tramitela conversione dei profili di bande di ogni campione mediante l’utilizzo del software Image J (D, E e F).

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Figura 3. Distribuzione filogenetica degli isolati. Percentuale di generi batterici all’interno delle frazioni (END, endofita; RIZ,rizosferica) nelle piante di mais e riso analizzate.

Figura 4. Distribuzione delle attività PGP in riso e mais. E, endofiti; R, rizosfera; IAA, produzione di auxine; Sol P, solubilizzazione delfosfato inorganico, EPS, produzione di esopolisaccaridi; Sid, produzione di siderofori.

Figura 5. Valutazione dell’attività di promozione della crescita in vivo. Incremento percentuale dello stelo di piante di mais batterizzate dopo tre settimane di crescita in serra. CN, controllo negativo non batterizzato.

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termini questi batteri, classificati come batteri PGP(PGPB), svolgono un’azione biofertilizzante fornendo allapianta nutrienti in forma biodisponibile quali azoto, ferroe fosfati, unitamente a sostanze ad attività ormonale. Lecomunità microbiche del suolo hanno inoltre un ruolofondamentale nei cicli degli elementi e nellecaratteristiche nutrizionali e di fertilità del suolo stesso. Ilpresente studio si è concentrato pertanto: i) sullepopolazioni microbiche coinvolte nel ciclo dell’azoto, inparticolare responsabili della reazione di azotofissazioneche incrementa la quantità di azoto ammoniacale nelsuolo, e nella reazione di ammonio ossidazione cheossidando questo nutriente a nitrito contribuisce allaperdita di azoto dal suolo; ii) sulla selezione di batteri conproprietà di promozione della crescita delle piante, chepotrebbero essere sfruttati nella formulazione dibiofertilizzanti in pratiche agricole sostenibilicontribuendo a ridurre l’utilizzo di fertilizzanti chimici. Ilrapporto tra rilascio e fissazione di azoto atmosferico èun parametro fondamentale nella determinazione delbilancio nutritivo del suolo. Al tempo stesso, ancorapoche informazioni sono disponibili riguardo all’influenzadelle pratiche di fertilizzazione azotata sulla funzionalitàdelle comunità microbiche coinvolte nel ciclo dell’azoto.L’analisi delle comunità microbiche associate a piante diriso sottoposte a specifiche scelte agrotecniche evarietali ha permesso di valutare quali di queste siano ingrado di influenzare il ciclo dell’azoto, minimizzando leperdite di azoto sotto forma gassosa e quindicontribuendo al miglioramento complessivo della NUE(Nitrogen Use Efficiency).I risultati ottenuti da questo studio, condotti sull’interacomunità microbica grazie all’utilizzo di tecnichemolecolari, mostrano come le pratiche agricole siano ingrado di influenzare le popolazioni microbiche coinvoltenel ciclo dell’azoto. È da sottolineare il fatto chel’apporto di fertilizzanti non risulta essere un fattore cheinfluenza significativamente la diversità microbica dellamicroflora del suolo. Al contrario, i dati mostrano comeparcelle diverse di suolo, potenzialmente caratterizzate

da micro differenze nelle variabili ambientali e nellacomposizione chimica e le pratiche irrigue esercitino unaforte influenza su queste comunità. Per quanto riguardala selezione di specifici ceppi microbici capaci dipromuovere la crescita vegetale, i dati mostrano come lepiante di mais e riso, sottoposte o meno allaconcimazione azotata, presentino naturalmente unafonte di batteri PGP. Gli isolati selezionati costituisconoquindi un interessante presupposto per la costituzione diformulati biofertilizzanti in grado di promuovere lacrescita delle colture cerealicole riducendo la richiesta diapporti di fertilizzante, necessari nell’ottica diun’agricoltura di low input.I dati ottenuti mostrano come i) le pratiche colturali inalcuni casi sono in grado di influenzare specifici gruppifunzionali batterici aventi un ruolo importante neiriguardi della fertilità del suolo, ii) l’apporto difertilizzanti non risulti essere il fattore che influiscemaggiormente sulla diversificazione della comunitàcoinvolta nel ciclo dell’azoto, che appare inveceinfluenzata principalmente dalle tecniche irrigue perquanto riguarda il riso e dalla micro variabilità del suoloper quanto riguarda il mais. L’analisi della comunitàcoltivabile associata al sistema radicale di riso e maismostra come queste piante siano associate a batteri conun interessante potenziale biofertilizzante. Infatti, leattività PGP più diffuse tra gli isolati ottenutirappresentano alcuni dei meccanismi ritenutifondamentali per la promozione della crescita vegetale.La produzione di IAA in particolare, un fitormoneappartenente al gruppo delle auxine, influenzadirettamente il bilancio ormonale della pianta,stimolando in particolare lo sviluppo dell’apparatoradicale. La solubilizzazione del fosfato inoltre garantiscela presenza di fosforo biodisponibile, che costituisce unodei fattori limitanti lo sviluppo della pianta. Il potenzialePGP osservato in vitro è stato confermato in vivo da 5ceppi. I 5 ceppi risultano quindi promettenti inoculibatterici che potrebbero trovare utilizzo per applicazionibiofertilizzanti in campo.

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V. EFFICIENZA D’USO DELLO ZOLFO IN RISO – UNIMI (Responsabile: Fabio Francesco Nocito)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

12 varietà di riso (Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli,Centauro, Gange, Gladio, Loto, Roma, Selenio, Sirio eVialone), selezionate fra quelle di maggior interesse pergli ambienti risicoli italiani, sono state caratterizzate conriferimento al carattere “efficienza d’uso dello zolfo”.Lo studio è stato condotto su piante allevate in condizionicontrollate (fitotrone), in soluzioni idroponiche simulantile condizioni del suolo di risaia in asciutta (soluzioneaerata) e in sommersione (soluzione stagnate). Il primosistema di allevamento prevede l’utilizzo di una soluzioneidroponica completa mantenuta aerata in modo dasimulare le condizioni di disponibilità di ossigeno che siverificano nei suoli non sommersi; il secondo sistema,invece, prevede l’utilizzo di una soluzione idroponicastagnante (addizionata di agar allo 0,1%) in grado dilimitare la diffusione dei gas negli intorni delle radici e,quindi, di simulare le condizioni di allevamento del riso insommersione. L’efficienza d’uso dello zolfo è statastimata sulla base del rapporto fra la concentrazione delsolfato e quella dello zolfo totale, sia nelle radici sia neigermogli delle piante.

RISULTATI OTTENUTI

Nella condizione di allevamento in soluzione stagnanteesiste una discreta variabilità per il carattere efficienzad’uso dello zolfo nei germogli delle 12 varietà analizzate.La quantità di zolfo non assimilata variava infatti dal70,6% in Vialone al 92% in Roma (Figura 1A).L’allevamento in soluzione aerata (passaggio da ipossia anormossia) comportava un aumento generalizzato dellapercentuale di zolfo non assimilata nei germogli e,pertanto, una riduzione dell’efficienza d’uso del nutrientefatta eccezione per le varietà Roma, Carnaroli e Balilla,in cui non si osservavano variazioni significative del ilcarattere in esame (Figura 1A). In condizioni normossichele varietà che presentavano una maggiore efficienzaerano Vialone, Balilla, Carnaroli, Gladio e Roma. Icomportamenti osservati nel passaggio da ipossia anormossia erano prevalentemente legati ad un aumentodella concentrazione di solfato nei germogli (Figura 1B);le variazioni nella quantità totale di zolfo presente neigermogli risultavano infatti contenute e generalmentenon significative (Figura 1C).Per quanto riguarda le radici, il passaggio da unacondizione ipossica ad una normossica comportava unincremento significativo sia della concentrazione disolfato (Figura 2A), sia della concentrazione di zolfototale (Figura 2B), risultando in un decremento dellaquantità di zolfo assimilata (Figura 2C).

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

I risultati di questo studio hanno evidenziato l’esistenza di

una discreta variabilità per il carattere efficienza d’usodello zolfo nei germogli delle 12 varietà di riso analizzate.L’efficienza d’uso in condizioni normali di coltivazione,determinata sulla base del rapporto solfato/S totale,variava infatti dal 70,6 al 92%, indicando che in tutte levarietà analizzate la maggior parte dello zolfo che siritrova nelle porzioni aeree delle piante non è assimilato.In modo interessante, lo studio ha evidenziato come ilpossibile passaggio del riso da un sistema di allevamentoin sommersione ad uno in asciutta possa determinareun’ulteriore diminuzione dell’efficienza d’uso dello zolfoe, pertanto, della capacità potenziale di adattamentodelle piante a condizioni di stress di tipo biotico eabiotico. La diminuzione di efficienza d’uso che si osservain modo generalizzato nei germogli delle piante allevatein condizioni normossiche potrebbe pertanto esserelegata ad un aumento della traslocazione di solfato dalleradici alle porzioni aeree.

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VI. APPROCCI ALLA RIDUZIONE DEGLI INPUT DI FOSFORO NEI SUOLI: Zea mays. – UNIMI(Responsabile: Roberto Pilu)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

La produzione di granella a basso contenuto di acidofitico (low phitic acid, lpa) (Cichy e Raboy, 2008) o conalti livelli di fitasi (Brinch Pedersen et al., 2002) conconseguente aumento della bio disponibilità di cationi eminerali, è considerato un importante traguardofinalizzato alla produzione di semi con qualità nutrizionalimigliorate, di grande interesse per i paesi in via disviluppo (Raboy, 2009).Nelle piante lpa, la riduzione di acido fitico èstrettamente legata all’incremento equivalente nel semedi fosfato inorganico, così che il fosforo totale rimaneinvariato. Come risultato, il fosforo disponibile per lanutrizione animale ed umana risulta fortementeincrementato. Numerosi studi condotti sugli animalimonogastrici hanno infatti mostrato come l’impiego dimangimi a base di mais, orzo o soia lpa determini unincremento dell’utilizzo del fosforo contenuto nelmangime ed una contemporanea riduzione del fosforoescreto, in rapporto diretto con la diminuzione del fitatoe con l’incremento del fosforo non fitinico presente neisemi (Cichy e Raboy, 2008).Attualmente sono state isolate numerose mutazioni lpain diverse specie quali mais, frumento tenero, riso, orzo,soia, fagiolo e Arabidopsis thaliana (Rasmussen eHatzack, 1998; Pilu et al., 2003; Stevenson Paulik et al.,2005; Guttieri et al., 2006; Yuan et al., 2007; Campion etal., 2009). Purtroppo la maggior parte dei mutanti lpaoggi descritti nei cereali presenta alcune caratteristicheindesiderate che compromettono i livelli di germinazionedelle cariossidi e la loro maturazione, nonché laresistenza agli stress delle piante (Pilu et al., 2005;Guttieri et al., 2006; Doria et al., 2009).

Per quanto detto, il presente lavoro è statoprincipalmente finalizzato alla valutazione di un possibileutilizzo del mais lpa nel campo della mangimistica edall’isolamento di nuove mutazioni lpa da utilizzare nelbreeding del mais.La produzione di semente ibrida lpa (lpa) e dellarispettiva semente di controllo (controllo/wt) dautilizzare per la preparazione di mangimi ha richiestol’allestimento di campi di produzione condotti incollaborazione con l’azienda Agricola 2000 S.c.p.A. InFigura 1A sono riportati gli schemi di incrocio utilizzati. Lasemente ottenuta è stata quindi impiegata per la per lacostituzione di 4 diversi mangimi (controllo/wt,controllo/wt + P, lpa e lpa + P) che sono stati testati suuna popolazione di 144 galline ovaiole in un periodo di45 giorni (Figura 1B). In Figura 1C è invece mostrata lacomposizione delle 4 formulazioni dove la formulazionewt + P è quella utilizzata normalmente in questiallevamenti. La prova di alimentazione è stata svolta incollaborazione con l’Azienda Agricola Barbante diMediglia.Prima del loro utilizzo i 4 diversi formulati sono statianalizzati per i contenuti in fosforo totale e libero (Figura2).L’isolamento di nuove mutazioni lpa in mais ha inveceprevisto la caratterizzazione di popolazionimutagenizzate, alcune delle quali costituite in lavoriprecedenti.

RISULTATI OTTENUTII risultati ottenuti nelle prove di alimentazione dellegalline ovaiole hanno mostrato che le 4 diete formulatenon producevano variazioni significative del peso deglianimali (Figura 3), nonché del contenuto in Ca, P, Fe e Zn

Figura 1. Schema di incrocio per la produzione delle sementi ibride (A) utilizzate su galline ovaiole (B) per la formulazione delle 4diete controllo/wt, wt + P, lpa e lpa + P (C).

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Figura 2. Quantità di fosforo totale (A) e libero (B) presente nei quattro mangimi proposti alle galline ovaiole durante la provasperimentale. Le barre rappresentano i limiti fiduciali al 5%.

Figura 3. Galline ovaiole utilizzate per le prove sperimentali (A); peso medio delle galline ovaiole valutato ad all’inizio (barra bianca)ed al termine (barra grigia) della prova di alimentazione (B). Le barre rappresentano i limiti fiduciali al 5%.

Figura 4. Contenuto in calcio, fosforo, ferro e zinco delle ceneri ottenute dalle ossa delle galline ovaiole utilizzate nella prova dialimentazione. Le barre rappresentano i limiti fiduciali al 5%.

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totale delle ossa (Figura 4) e non influenzavano ilnumerodi uova prodotte nel periodo di osservazione(Figura 5).

Figura 5. Numero totale di uova prodotte da 36 galline ovaiolein 45 giorni durante la prova di alimentazione.

I risultati hanno inoltre evidenziato che l’adozione dimangime lpa, rispetto a quello di formulazione standard

(Wt + P), comportava una riduzione significativa dellaquantità di fosforo totale presente nella pollina prodottadalle galline ovaiole durante la prova di alimentazione(Figura 6).L’isolamento di nuove mutazioni lpa in mais ha inveceprevisto la caratterizzazione di due popolazionimutagenizzate, ottenute per mutagenesi chimica (EMS) etraspositiva regionale, quest’ultima attraverso l’uso di unelemento trasponibile Ac che mappava nelle vicinanzedel locus Lpa1/ZmMRP4 (Figura 7).La mutagenesi regionale effettuata con l’elemento Ac,ubicato sul braccio corto del cromosoma 1, ha portatoalla produzione di circa 5000 semi mutagenizzati chesono stati saggiati per il contenuto di P libero tramite ilsaggio di Chen, che permette di determinarerapidamente il fenotipo lpa (Figura 8A). Le putativemutazioni isolate sono in via di caratterizzazione conl’ausilio di marcatori molecolari allele specifici (Figura8B).Per quanto riguarda la mutagenesi chimica, l’utilizzodell’agente mutagenizzante EMS ha portatoall’isolamento del mutante lpa1 7 (Figura 9) chepurtroppo è risultato essere inutilizzabile dal punto divista del breeding per gli effetti pleiotropici negativiriguardanti le caratteristiche del seme.

Figura 6. Quantità di fosforo totale (A) e libero (B) presente nella pollina prodotta dalle galline ovaiole durante la prova dialimentazione. Le barre rappresentano i limiti fiduciali al 5%.

Figura 7. Preparazione delle popolazioni mutagenizzate ed isolamento di mutazioni inserzionali al locus lpa1(A); posizione di mappadel gene lpa1/ZmMRP4 rispetto alla posizione del trasposone Ac utilizzato per la mutagenesi traspositiva regionale.

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Figura 8. Approcci sperimentali utilizzati per l’isolamento di putative mutazioni al locus Lpa1 (A); saggio di Chen per il fosforo liberoed impiego del marcatore molecolare specifico per l’isolamento del genotipo lpa1 1/lpa1 1.

Figura 9. Ripartizione del fosforo (libero, fitinico e totale) nellefarine farina ottenute da semi Wt e lpa1 7. Le barrerappresentano i limiti fiduciali al 5%.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

I risultati ottenuti hanno permesso di dimostrare chel’utilizzo di mais lpa potrebbe consentire, alle aziendemangimistiche, di formulare mangimi, da utilizzare inallevamenti di galline ovaiole, privi di fosfati in grado digarantire molto probabilmente le stesse performance, inparticolare per quanto riguarda il numero di uovaprodotte, rispetto all’utilizzo dei mangimi attualmente incommercio. La pollina prodotta avrebbe inoltre unaminor quantità di fosforo, divenendo così di più facilegestione dal punto di vista ambientale.L’isolamento di nuove mutazioni e il successivo utilizzo dinuovi mutanti lpa nel campo della mangimisticapotrebbero ulteriormente migliorare i risultati ottenutinella prova di alimentazione con il mutante lpa1 1.Future ricerche dovranno sicuramente approfondirequeste tematiche al fine di confermare i risultati ottenutisul altri animali d’allevamento monogastrici.

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VII. APPROCCI ALLA RIDUZIONE DEGLI INPUT DI FOSFORO NEI SUOLI: Medicago spp. – CRA FLC(Responsabile: Carla Scotti)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

La distribuzione di reflui da allevamenti di bovine da lattesu prati di erba medica (medicai in rotazione) è unapratica agronomica diffusa nel sud della Lombardia(province di Cremona, Mantova e, in misura minore,Pavia e Lodi). In questi reflui zootecnici la presenza difosforo (P) in forma inorganica e organica costituisce,insieme all’azoto (N), un input che si aggiunge alladotazione naturale del suolo e alla eventualeconcimazione minerale. La frazione di P organico deireflui, come del suolo, è costituita prevalentemente dafitati, derivati dell’inositolo 6 fosfato; questi compostipossono presentare mobilità diversa nel profilo delterreno in dipendenza della tessitura, del pH e dellapresenza di sostanza organica (Quiquampoix e Mousain,2003), ed essere dunque soggetti a fenomeni dilisciviazione con potenziale impatto sulla falda freatica(Toor et al., 2003). L’utilizzo da parte delle piante delfitato richiede il distacco dei gruppi fosfatici per viaenzimatica (fitasi, fosfatasi) o attraverso processi dimineralizzazione. Indagare la capacità di erba medica diutilizzare le fonti di P presenti negli effluenti zootecnici, ein particolare la frazione organica, consentirebbe dimigliorare l’efficienza complessiva dell’uso degli effluentie controllarne l’impatto ambientale.In Italia, fino ai primi anni 2000, l’erba medica è statacommercializzata e coltivata soprattutto come ecotipi,cioè popolazioni locali evolutesi e adattatesi a specificiambienti geografici e agronomici (Rotili et al., 2000). Nelpresente studio abbiamo scelto due ecotipi di erbamedica diversi per l’origine e il potenziale adattamento:l’ecotipo Cremonese, proveniente da zone diallevamento zootecnico intensivo da latte e l’ecotipoSenese originario di zone a zootecnia estensivaprevalentemente da carne. L’ipotesi alla base di questascelta era che i due ecotipi presentassero una diversacapacità di utilizzare i nutrienti contenuti nei refluizootecnici, con particolare riferimento al fosforoorganico, in ragione della specifica pressione selettivadell’ambiente in cui si sono evoluti. Oltre ai caratteriproduttivi della pianta e alle relative asportazioni di P, èstata studiata la parte radicale (radici secondarie etubercoli azoto fissatori); infatti con i liquami vengonoapportati ingenti quantitativi di azoto che devono essereconsiderati per il loro possibile effetto sulla nodulazionedi erba medica da parte del simbionte Sinorhizobiummeliloti. Infine, è stato esaminato il percolato e il suocontenuto nelle diverse forme di P per stimare ilpotenziale di lisciviazione di questo elemento inconseguenza dei trattamenti con liquame.Un possibile fattore discriminante nella capacità diutilizzo del P organico e fitico in particolare da parte dierba medica è stato individuato nella presenza di una

particolare fitasi radicale. Questo enzima, identificatonella specie modello Medicago truncatula (Xiao et al.,2006) e codificato dal gene MtPHY1, è in grado diidrolizzare il fosfato dell’acido fitico rendendolodisponibile per la pianta. MtPHY1 possiede una sequenzasegnale per l’escrezione cellulare ed è quindi estrusodalle radici nella rizosfera. Il gene di erba medicaortologo a MtPHY1, e dunque verosimilmente con lastessa funzione, è stato scelto come target molecolarespecifico della nostra analisi sulla capacità di utilizzo del Porganico da parte dei due ecotipi.Dopo una prova preliminare, condotta nel 2012, cheprevedeva il semplice confronto tra un controllo e untrattamento con liquame in presenza della stessaconcimazione fosfatica minerale normalmente usata pererba medica, si è deciso di confrontare l’efficienza diutilizzo di tre diverse fonti di P: oltre al liquame, che hacostituito il riferimento per determinare i livelli deimacroelementi da apportare nelle altre tesi a confronto,è stato utilizzato acido fitico (100% P organico) e fosfatodi potassio bibasico (100% P inorganico).Obiettivi di questo lavoro sono dunque: i) indagare lacapacità di utilizzo del P, organico e inorganico, presentenegli effluenti zootecnici da parte di due ecotipi di erbamedica con diverso adattamento ad ambienti diallevamento zootecnico intensivo; ii) studiare lavariazione (allelica e di espressione) del gene ortologo diMtPHY1 nei due ecotipi di M. sativa in quantopotenzialmente implicato nella capacità di utilizzo del Pfitico.

Risposta di erba medica alla somministrazione di fontidiverse (inorganiche e organiche) di PLe singole piante, di un anno di età, sono state allevate incontenitori tubolari 80 x 8 cm (densità equivalente a 200piante m 2) all’interno dei quali è stato collocato un tuboforato, di diametro 5 cm, che ospita la pianta (Figura 1). Icontenitori tubolari sono stati riempiti con un terrenosabbio limoso (sabbia 59%, limo 27%, argilla 13%) a pH7,9 e povero di P assimilabile. La prova è stata allestitautilizzando 162 piante, metà appartenenti all’ecotipoCremonese (da 5 famiglie S2) e metà all’ecotipo Senese(da 6 famiglie S2) secondo un disegno a blocchirandomizzati (2 ecotipi x 3 fonti di P x 3 ripetizioni) inmodo da avere parcelle elementari di 9 piante. Dopo unafase di adattamento delle piante e dopo l’effettuazionedel 1° taglio (29.05.13) alle piante sono state fornite lefertilizzazioni fosfatiche secondo i tre trattamentiprevisti. Il liquame (100 mL tubo 1 equivalenti a 200 m3

ha 1) ha costituito il riferimento per la dose di P (120 Kgha 1, pari a 60 mg pianta 1) e di N (100% del NH4

+ e 50%dell’N organico come indicato in Tabella 1). Laconcimazione potassica, equivalente a 250 Kg ha 1, èstata comune ai tre trattamenti.

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Tabella 1. Dosi di P e N apportate nei tre trattamenti: liquame, acido fitico, P inorganico.

Ptot Pinorg Porg Ntot NH4+ Norg

Analisi chimica del liquame (mg kg 1) 605 420 185 3,42 1,31 2,11Equivalente per ha (kg) apportato alla coltura 120 469 260 209a

a solo il 50% dell’N organico del liquame è stato considerato disponibile per le piante.

Dopo la concimazione sono stati effettuati 4 tagli adistanza di 30 giorni (giugno settembre). Sono statideterminati la produzione di sostanza secca aerea perpianta e il contenuto in P della parte aerea.La perdita per lisciviazione di fosfato in forma organicaed inorganica è stata stimata alla fine di ogni cicloproduttivo mediante irrigazione dilavante e raccolta delpercolato mediante apposite sacche (Figura 1); i dati sonoespressi utilizzando la stessa unità di base usata perl’analisi della parte aerea.

Figura 1. Contenitori tubolari con raccolta del percolato.

Analisi del gene ortologo a MtPHY1il gene putativo sequenziato in M. sativa presenta unastruttura esoni/introni identica al corrispondente gene diM. truncatula (7 esoni e 6 introni) e il 97% di omologiadella sequenza codificante. L’analisi di sequenza(EcoTILLING), effettuata in collaborazione con laPiattaforma Genomica del Parco Tecnologico Padano diLodi, ha riguardato una frazione di 725 bp delle 1631 bpche costituiscono la sequenza codificante del gene ed èstata effettuata su 18 e 21 piante S2 rispettivamente perl’ecotipo Senese e Cremonese.

RISULTATI OTTENUTI

Le produzioni di sostanza secca (s.s.) aerea sono risultatesimili per i due ecotipi e per i diversi trattamenti diconcimazione (Tabella 2). Al secondo taglio,immediatamente successivo alla concimazione, le tesi

trattate con liquame hanno mostrato un decrementosignificativo di produzione rispetto alle tesi trattate conacido fitico. Si può ipotizzare che questo effetto siaattribuibile alla immobilizzazione di nutrienti dovuta alpicco di attività microbica che comunemente si osservadopo l’incorporazione nel suolo di materiali organici nonstabilizzati.Le asportazioni di P relative alla parte aerea sono state alcontrario diverse per i due ecotipi: Cremonese hamostrato valori superiori a Senese sia al primo taglio(non concimato) sia nei tagli 2, 3 e 4 (Figura 2).Per quanto riguarda le diverse forme di P somministrate,l’asportazione nelle tesi trattate con acido fitico risultavasuperiore (tagli 2 4) rispetto a quelle concimate con Pinorganico che è risultato maggiormente lisciviabile.La forma di P prevalente nei percolati è risultata quellainorganica (62 88% del P totale); il P organico variavadunque dal 12% (Senese P inorganico) al 38%(Cremonese liquame) del P totale. I volumi di percolatonon sono stati significativamente diversi tra ecotipi etrattamenti; tuttavia, le quantità di P inorganico lisciviatosono state significativamente superiori in Senese rispettoa Cremonese mentre i livelli di lisciviazione di P organicosono risultati simili (Figura 3). La tesi trattata con fosfatodi potassio ha mostrato il maggior livello di lisciviazionementre il trattamento con liquame ha mostrato laminore perdita di P; questo potrebbe essere dovuto allapresenza nel liquame di forme di P organicomaggiormente resistenti all’idrolisi enzimatica o allamineralizzazione. Considerando i risultati di asportazionee lisciviazione di P, l’ecotipo Cremonese ha mostratomaggiore capacità ed efficienza di assorbimento diquesto elemento rispetto a Senese. Immediatamente dopo il 5° taglio le parcelle tubolarisono state aperte per l’esame della crescita radicale edella nodulazione nell’intercapedine tra i due tubi (Figura4). Il peso secco delle radici secondarie non ha mostratodifferenze significative né tra ecotipi né tra trattamenti.La capacità di formare noduli N2 fissatori è risultatainvece significativamente superiore in Cremoneserispetto a Senese (Tabella 2). Cremonese sembra dunquein grado di mantenere un più efficiente processo dinodulazione anche in presenza di elevati apporti di N(Tabella 1). Le tesi trattate con liquame hanno mostratouna tendenza, al limite della significatività statistica, aprodurre più noduli rispetto al trattamento con Pinorganico (Tabella 2). Una possibile causa di questoeffetto positivo del liquame potrebbe essere dovuta allamaggiore macroporosità che si realizza nel terrenotrattato con liquame e che comporta condizioni diaereazione più favorevoli alla nodulazione.

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L’analisi EcoTILLING effettuata sull’ortologo del geneMtPHY1 ha evidenziato 19 SNP (Polimorfismi a SingoloNucleotide) nella porzione analizzata. Quattro di questiSNP determinano un cambio di aminoacido in diverseposizioni dell’enzima fitasi; le piante che portano questemutazioni a livello omozigote hanno una frequenzamolto ridotta (1 pianta su 39 analizzate). Nessuna dellevarianti alleliche individuate è caratteristica di unparticolare ecotipo.L’analisi dei livelli di espressione del gene responsabiledella produzione di fitasi extracellulare nei materiali inprova è tuttora in corso.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI I due ecotipi di erba medica hanno mostrato

differenze significative per la capacità di utilizzo del P,indipendentemente dalla forma somministrata(organica, inorganica, mista). Nelle zone in cui sipratica sistematicamente la distibuzione di liquamil’utilizzo di germoplasma Cremonese consentirebbedi aumentare l’efficienza di utilizzo dei liquami oquella delle fertilizzazioni fosfatiche e di ridurre laperdita di P per lisciviazione. Le basi fisiologiche diquesta maggiore capacità di Cremonese di utilizzare ilfosforo rimangono da indagare.

Nell’ecotipo Cremonese la nodulazione ha mostratouna maggiore tolleranza alla presenza di azoto, ailivelli apportati dal liquame, rispetto a Senese. Questacapacità potrebbe rappresentare uno specificoadattamento di Cremonese al suo ambiente diorigine.

La presenza prevalente di P inorganico nei percolatidelle tesi trattate con forme organiche (acido fitico)o miste (liquame) di P indica un elevato livello diattività di degradazione enzimatica del suolo erizosferica (microrganismi del suolo, radici dellepiante). Tuttavia una frazione minoritaria di Porganico è ugualmente presente nei percolati di tutti itrattamenti, compreso quello con il solo P inorganico.Una parte del P organico sfugge dunque ai processi didegradazione/mineralizzazione ed è mobile nelterreno. Nei distretti zootecnici altamente intensivil’avvio di un monitoraggio del fosforo sembra dunqueopportuno.

Gli ecotipi di erba medica rappresentano una fonte didiversità per adattamenti morfo fisiologici a specificiambienti/condizioni agronomiche che merita diessere indagata nelle sue basi fisiologiche e geneticomolecolari e sfruttata per la costituzione varietale.

Forme organiche del P costituiscono una fonte piùeconomica di fosforo per le colture in grado diutilizzarle e possono rappresentare una parte nontrascurabile della soluzione circolante nel suolo eessere soggette a lisciviazione. Il monitoraggio diquesto elemento, insieme a quello dell’azoto, è unelemento importante per ridurre l’impattoambientale di sistemi agricoli ad alta intensività.

L’erba medica appare una coltura di forte interesseper la valorizzazione degli apporti di liquame, inparticolare quando si utilizzi germoplasma con unalunga storia di adattamento in distretti a zootecniaintensiva.

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VIII. SVILUPPO DI INDICATORI DIAGNOSTICI A SUPPORTO DELLA CONCIMAZIONE AZOTATA INMAIS – UNIMI (Responsabile: Luca Bechini)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

L’obiettivo delle attività era la verifica, nei sistemicolturali maidicoli lombardi, di vari indicatori diagnosticiproposti nella letteratura scientifica, per valutarnel’effettiva utilità nel supporto alla concimazione azotatain copertura del mais. Per essere considerati utili, gliindicatori devono distinguere situazioni caratterizzate dadiversa fertilità residua, causata, ad esempio, dall’utilizzoripetuto di effluenti zootecnici in dosi diverse. Perraggiungere questo obiettivo sono state condotte duesperimentazioni in serra e una in pieno campo.

Sperimentazione in serraUtilizzando suoli con storie agronomiche molto diverse,in serra sono stati confrontati la produzione di mais e ivalori degli indicatori diagnostici, mantenendo uguali lealtre condizioni di coltivazione (luminosità, temperaturae disponibilità di acqua). Si è quindi allestito unesperimento, durato due anni, utilizzando uno schemasperimentale a blocco randomizzato con quattrorepliche, in cui il fattore sperimentale era l’aziendaagricola da cui provenivano i suoli. I suoli messi aconfronto erano sedici, quattordici provenienti daaziende zootecniche a diverso carico di bestiame (setteaziende con suoli a tessitura franco sabbiosa, e sette contessitura franco argillosa), e due provenienti da aziende,per le medesime classi tessiturali, che non facevano usodi effluenti.Il mais è stato coltivato in vaso con una gestioneagronomica omogenea per tutti i trattamenti (diserbo,trattamenti antiparassitari, impollinazione). L’apporto diacqua è stato modulato in base al tipo di suolo evitandocarenze idriche. Non si è apportato azoto minerale innessuno dei trattamenti.La prova è stata condotta per due anni successivi suglistessi vasi. Oltre alla risposta produttiva (biomassa aerea,granella e azoto asportato), sono stati misurati indicatorisia sulla pianta (SPAD; concentrazione di azoto nellefoglie allo stadio di quarta e sesta foglia; CSNT), sia sulsuolo (azoto minerale nel terreno in presemina, alla sestafoglia e alla raccolta; ISNT; GPT; Schröder et al., 2000;Zebarth et al., 2009).

Sperimentazione in pieno campoIn pieno campo nel 2012 su quattro appezzamenticoltivati a mais sono stati valutati alcuni degli indicatorigià provati in serra, estendendo le misure colturali finoalla fase fenologica di dodicesima foglia. Utilizzando unblocco randomizzato con quattro repliche, in ogniappezzamento sono stati messi a confronto duetrattamenti, uno non concimato con azoto e unoconcimato con urea in dosi tali da assicurare una crescitanon limitata dall’azoto. Il fosforo ed il potassio sono stati

aggiunti in entrambi i trattamenti. Anche in questa provasono stati misurati sia la resa della coltura, sia gliindicatori diagnostici sul suolo (PSNT) e sulla coltura(SPAD, biomassa aerea e azoto asportato alla sesta, nonae dodicesima foglia). Inoltre, sono state misurate leconcentrazioni di azoto delle lamine fogliari e acquisiti inlaboratorio gli spettri nel vicino infrarosso delle stesseagli stadi di sesta, nona e dodicesima foglia. Lo schemasperimentale era predisposto per verificare la capacitàdegli indicatori di prevedere la massima produttività(sperimentalmente ottenuta nel trattamento concimato).

RISULTATI OTTENUTI

In tutti gli esperimenti (sia in serra sia in pieno campo) lerese del mais sono state molto diverse nei differenti suoliutilizzati, confermandone l’eterogeneità e quindigarantendo la variabilità delle situazioni studiate el’intervallo di variazione degli indicatori utilizzati.Con l’eccezione del PSNT e del CSNT, i risultati sonopresentati in grafici che riportano sull’asse orizzontalel’indicatore, e su quello verticale la produzione del mais.Sia gli indicatori sia la produzione sono statistandardizzati rispetto ai valori medi misurati neltrattamento più produttivo nella medesima località. Ciòsignifica che per le prove di serra il valore di ogniindicatore e di ogni dato produttivo è stato diviso per ilcorrispondente valore medio del trattamento piùproduttivo in quell’anno (separatamente per classetessiturale), mentre nella prova in campo i valori misuratinel trattamento non concimato sono stati divisi per quellimedi del trattamento concimato, separatamente perogni appezzamento. Valori inferiori a 1 sono quindi subottimali, mentre valori uguali a 1 rappresentano i casi incui si è raggiunta la massima produzione o il massimovalore dell’indicatore.

Indicatori misurati sul suolo prima della semina dellacolturaL’ISNT e il GPT non hanno espresso utili capacitàdiagnostiche. Entrambi sono stati provati solo nel primoanno in serra.Nel caso dei suoli franco sabbiosi le scarse prestazionidell’ISNT potrebbero essere dovute all’elevata dotazionedi azoto in forma minerale presente in presemina.Questo potrebbe avere attenuato il valore diagnosticodella quota di azoto organico facilmente mineralizzabilestimata dall’ISNT. Inoltre i valori critici da noi stimatisono risultati ampiamente superiori a quelli trovati inletteratura (Klapwyk e Ketterings, 2006). Il GPT ha fornitorisultati in un ristretto intervallo di variazione e connotatida elevata incertezza analitica, esprimendo cosìun’insufficiente capacità discriminante tra terreni condiverso effetto residuo.

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Indicatori misurati allo stadio di sesta fogliaAllo stadio di sesta foglia (V6) nessuno degli indicatoricolturali (Figura 1A,B) ha consentito di distinguere tra lesituazioni ad alta e bassa fertilità. Di conseguenza aquesto stadio gli indicatori misurati sulla coltura nonhanno costituito un adeguato strumento per prevederel’eventuale necessità di concimazione azotata. Situazioniche hanno prodotto in modo molto differenziato, infatti,hanno presentato valori simili degli indicatori.Allo stadio di sesta foglia la concentrazione di nitrati nelterreno (PSNT) ha confermato l’utilità diagnosticariportata in letteratura. La Figura 2 mostra infatti chequando il PSNT assume valori elevati, la produzionefinale sarà massima anche in assenza di concimazioneminerale in copertura, mentre per valori inferiori larelazione tra indicatore e produzione è crescente. I valorisoglia identificabili in base ai dati di serra non sonodirettamente trasferibili in campo, dove le perdite diazoto dopo la misura del PSNT sono verosimilmentemaggiori.

Indicatori misurati allo stadio di nona e dodicesimafogliaIn pieno campo allo stadio di nona (Figura 3) edodicesima foglia, la limitazione alla crescita colturaleimputabile a carenza di azoto è risultata più facilmenteidentificabile tramite gli indicatori misurati sulle piante.Tutti gli indicatori sono stati linearmente correlati con laproduzione finale, a indicare un migliore poterediagnostico in questi stadi rispetto al V6. L’azotoasportato dalla coltura ha mostrato un intervallo divariazione maggiore rispetto agli altri indicatori. Laspettroscopia NIR ha permesso di stimare il contenuto diazoto delle lamine fogliari in modo adeguato (Figura 4).

Indicatori misurati alla raccoltaIl CSNT ha confermato quanto già riportato in letteratura,e cioè che al momento della raccolta è possibileidentificare le situazioni che sono state caratterizzate daeccessiva disponibilità di azoto durante il periodo dicrescita colturale (Figura 5).

Figura 1. Relazioni tra biomassa aerea del mais alla raccolta e valori SPAD (A) e di concentrazione di azoto fogliare (B) misurati allostadio di sesta foglia. Le barre rappresentano la deviazione standard tra le repliche sperimentali.

Figura 2. Relazione tra biomassa aerea del mais alla raccolta econcentrazione di azoto nitrico nel terreno allo stadio di sestafoglia (PSNT). Le barre rappresentano la deviazione standard trale repliche sperimentali.

Figura 3. Relazione tra biomassa aerea del mais alla raccolta eindicatori misurati allo stadio di nona foglia (V9) sulla coltura(biomassa aerea e sua asportazione di azoto) o sulla laminadella nona foglia (concentrazione fogliare di azoto e SPAD).

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Figura 4. Concentrazione di azoto areica nelle lamine fogliari dimais (mg N/cm2 foglia): confronto tra misure e stime con laspettroscopia nel vicino infrarosso.

Figura 5. Relazione tra biomassa aerea del mais alla raccolta econcentrazione dei nitrati nella base dello stocco alla raccolta(CSNT, Corn Stalk Nitrate Test).

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

Nei sistemi intensivi studiati è possibile eseguire misureche consentono di ridurre o annullare le dosi di azotominerale distribuito in copertura al mais con i fertilizzantidi sintesi. Tra gli indicatori studiati sia in serra sia incampo, il PSNT (Figura 2) è il più interessante perché èeseguito in un momento che consente ancora diintervenire con la concimazione nell’epoca normalmentescelta. Lo svantaggio è lo sforzo richiesto per eseguiremolto rapidamente il campionamento e l’analisi delterreno.In pieno campo, il contenuto di azoto della biomassaaerea a V9 (Figura 3) e V12 è stato molto informativo.Anche le misure SPAD standardizzate a V9 (Figura 3)hanno fornito risultati incoraggianti.

Tali indicatori tuttavia richiedono uno sforzo maggiorerispetto al PSNT, consistente nel campionamento dellabiomassa aerea e sua analisi chimica o acquisizione dellamisura SPAD manualmente su singole lamine fogliari dinumerose piante, e nella realizzazione di un trattamentoconcimato in modo ottimale che consenta distandardizzare le misure. Inoltre, quando le informazionidiagnostiche sono acquisite sulla coltura dopo lo stadioV6, bisogna prevedere l’applicazione di azoto conmodalità diverse dallo spandiconcime tradizionale (ad es.con fertirrigazione o con trampoli).Il test dei nitrati nello stocco del mais ha confermatol’utilità di valutazione alla fine della stagione,consentendo di identificare a posteriori uno stato dieccesso o di carenza di azoto.

GLOSSARIO CSNT (Corn Stalk Nitrate Test): è la concentrazione di nitrato presente nella base degli stocchi di mais dopo la

raccolta. E’ utile per valutare ex post la gestione della concimazione azotata. GPT (Gas Pressure Test): si basa sulla misura del gas sviluppato da un suolo dopo essere stato trattato con

acqua deionizzata e ipoclorito di calcio (che ossida la sostanza organica e determina la produzione di CO2).Fornisce una semplice e rapida stima dell’azoto mineralizzabile.

ISNT (Illinois Soil Nitrogen Test): stima la concentrazione di amminozuccheri nel suolo (indice della presenza diazoto facilmente mineralizzabile). Il suo uso è stato suggerito per valutare la necessità della concimazione almais.

PSNT (Pre Sidedress Nitrate Test): è la concentrazione di nitrati nel terreno (0 30 cm) misurata quando il maisè allo stadio di sesta foglia. Indica se nel terreno è (o sarà) disponibile abbastanza azoto per la crescita dellacoltura. E’ utilizzato per valutare la necessità della concimazione in copertura al mais.

SPAD (Soil Plant Analysis Development chlorophyll meter): strumento portatile in grado di stimare il contenutodi clorofilla delle foglie in modo rapido e non distruttivo, basato sulla radiazione trasmessa attraverso la foglianel rosso e nel vicino infrarosso. Utilizzato per valutare la dotazione azotata delle colture.

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IX. TECNICHE PER VALORIZZARE L’UTILIZZAZIONE DEGLI EFFLUENTI COME FERTILIZZANTE –UNIMI (Responsabile: Giorgio Provolo)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

Gli effluenti zootecnici costituiscono una fonte dielementi nutritivi, in particolare azoto, fosforo e potassio(NPK), valorizzabili in ambito agronomico. Tale utilizzodeve essere, tuttavia, adeguato alle caratteristiche deisuoli e ai fabbisogni delle colture praticate. Ai fini delladeterminazione del contenuto in nutrienti per impostareuna corretta applicazione al suolo, l’unica tecnica almomento utilizzabile fa ricorso ad analisi di laboratorio.Questo sistema risulta tuttavia costoso, poco pratico nelcampionamento e lento nel fornire i risultati rispetto alleesigenze dettate dalle tempistiche di distribuzione incampo (Ndegwaa et al., 2002).Per lo svolgimento dello studio ci si è ispirati a precedentiesperienze e dispositivi presenti sul mercato che,misurando caratteristiche chimico fisiche dei refluizootecnici, sono in grado di offrire una stima del loropotere fertilizzante (Sullivan et al., 1997): sistemi come loSlurry Meter, densimetro tarato sui valori degli elementifertilizzanti (Piccinini et al., 1990), l’Agrosmeter ed ilQuantofix, per l’azoto ammoniacale (Piccinini e Bortone,1991; Van Kessel e Reeves III, 2000), l’idrometro perl’azoto ed il fosforo (Zhu et al., 2004), il metodo delloione selettivo per l’azoto (Price et al., 2003). Un’altratecnologia che ha fornito interessanti risultati riguardal’uso della spettroscopia del vicino infrarosso (NIR), manonostante alcune esperienze hanno consentito divalutarne le possibilità operative (Millmier et al., 2000),non sono in commercio tecnologie consolidate.

L’obiettivo principale dell’attività di ricerca è la messa apunto di sistemi per la caratterizzazione degli effluenti almomento della distribuzione in campo, che consentanoagli allevatori di utilizzare i loro effluenti in modoadeguato, sfruttandone il loro potenziale fertilizzante e,di conseguenza, riducendo le emissioni verso l’ambiente.In particolare, la ricerca ha riguardato lo sviluppo disensori a basso costo per l’analisi indiretta dellecaratteristiche chimico fisiche degli effluenti zootecnici, ela definizione di un sistema di calcolo per conoscernerapidamente le caratteristiche al momento delladistribuzione.A questo scopo si è provveduto al campionamento(Figura 1), alla caratterizzazione chimica e alla scansionecon spettroscopia NIR, di effluenti derivanti da differentitipologie di allevamento, tal quali o digeritianaerobicamente, il cui destino è la valorizzazione inambito agricolo. Al momento del campionamento, adogni azienda è stato sottoposto un questionario relativoalla gestione dell’allevamento (alimentazione, numero dicapi, stabulazione, rimozione effluenti, presenza di acqueaggiuntive, ecc.), per recuperare una serie diinformazioni, dalle quali evincere quelle maggiormente

incidenti sulle caratteristiche del campione finale.

Figura 1. Fase di campionamento degli effluenti zootecnicipresso un’azienda.

Ogni campione è stato sottoposto ad analisi chimica perindividuare il contenuto di sostanza secca (SS), sostanzaorganica (SO), azoto totale (Ntot), azoto ammoniacale(TAN), fosforo totale (Ptot), potassio totale (Ktot),densità, pH e conduttività elettrica (CE).Per la CE e il pH sono state acquisite misure, oltre che construmenti da laboratorio, anche con dispositivi portatiliutilizzabili in campo (Figura 2A,B). Per la misura delladensità, più che uno strumento è stato valutato ilprincipio di misura da trasferire su dispositivi da campo ecioè pesare un volume noto (Figura 2C).Contestualmente tutti i campioni sono stati caratterizzatianche con spettroscopia NIR, utilizzando unospettrometro Buchi NIR FLEX 500. Gli spettri sono statiacquisiti nel vicino infrarosso (1000 2500 nm) intransflettanza. Il campione è stato immesso in una piastradi Petri e coperto da un transflettore in acciaio cheriflettesse il fascio luminoso incidente sul fondo dellapiastra (Figura 2D).I dati misurati e le informazioni raccolte sono statielaborati sviluppando una regressione lineare multipla(MLR), tecnica statistica che consente di stimare il valoreatteso di una variabile dipendente (SS, Ntot, TAN, Ptot eKtot) a partire da valori dati di variabili indipendenti (CE,pH, densità, letture spettrali e informazioni aziendali).Per valutare la qualità predittiva dei modelli ottenuti èstato usato il coefficiente di variazione (CV). Questoindice esprime la precisione di una misura rapportandol’errore della stima del modello predittivo, con la mediacampionaria. Essendo un numero adimensionale edesprimibile come valore percentuale, permette diconfrontare dati con differenti unità di misura o range divariazione diversi.

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Figura 2. Misura della conduttività elettrica con sonda da campo (A); misura e del pH con dispositivo da campo (B); misura delladensità mediante pesatura di un cilindro graduato (C); spettrometro Buchi NIR FLEX 500 durante la lettura di un campione (D).

RISULTATI OTTENUTIL’attività di campionamento ha interessato 111allevamenti localizzati sul territorio lombardo e haconsentito di raccogliere 127 campioni costituiti da 36liquami bovini, 31 liquami di suini da ingrasso, 30 liquamidi suini a ciclo chiuso e 30 digestati. In seguito alcampionamento si è provveduto alla caratterizzazionechimico fisica e all’analisi con spettroscopia NIR deicampioni prelevati. Le analisi e gli spettri ottenuti sonostati sottoposti alle elaborazioni preventivate.

Selezione delle lunghezze d’onda significativeA seguito dell’acquisizione spettrale, utilizzando l’interoset di spettri, di cui un esempio è riportato in Figura 3,sono state selezionate 12 lunghezze d’onda dello spettrocomprese tra 1400 a 2400 nm, significative per lapredizione di SS, Ntot e TAN. Non è stato possibileindividuare specifiche lunghezze d’onda per il fosforo e ilpotassio. Questo è confermato anche da altri autori che,utilizzando lo spettro intero, hanno riportato difficoltàpredittive per questi elementi (Millmier et al., 2000).

Informazioni aziendali utilizzate nel modello predittivoA partire dalle informazioni raccolte con i questionarisottoposti alle aziende, sono stati selezionati i fattoriritenuti maggiormente incidenti sulla composizione delcampione, da utilizzare nei modelli predittivi, inparticolare: produzione unitaria di liquame (esprime la diluizione

dell’effluente in base alla stabulazione ponderata sul

peso vivo caricato su di essa); tecnica di rimozione dell’effluente dalla stalla

(l’incidenza di questa sulla diluizione dell’effluente); diluizione della razione (espressione della percentuale

di acqua aggiunta rispetto agli alimenti); età massima (età massima dell’effluente campionato); acque aggiuntive (indicatore della presenza di acque

di lavaggio, mungitura, raffrescamento o abbeverata); pioggia (quantità di acque piovane in base all’età del

refluo); temperatura (temperatura media calcolata in base

all’età del refluo); aggiunta di biomassa/azoto/fosforo (quantità di

biomassa/azoto/fosforo immessa nel digestore oltreal refluo), relativamente ai soli campioni di digestato.

Figura 3. Esempio di spettri NIR ottenuti con strumento dalaboratorio Buchi NIRFlex 500.

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Stima indiretta del contenuto di nutrientiNel modello di regressione multipla, il contenuto disostanza secca (SS), azoto totale (Ntot), azotoammoniacale (TAN), fosforo (P) e potassio (K) di ognicampione è stato messo in relazione con tutti i parametridi stima indiretta (CE, pH e densità, letture ottiche einformazioni derivanti dalla gestione dell’allevamento).La qualità predittiva dei modelli ottenuti, suddivisi in basealla componente stimata e all’effluente analizzato, è statavalutata tramite il coefficiente di variazione (CV), cheviene calcolato rapportando la media del contenuto diogni componente all’errore del modello (RMSECV RootMean Square Error in Cross Validation), i cui valori sonoriportati in Tabella 1.La qualità predittiva dei modelli ottenuti, espressa dalcoefficiente di variazione (CV) è riportata in Tabella 2. Ilvalore percentuale corrisponde all’errore percentuale checi si attende di commettere nel predire il contenuto disostanza secca e degli altri nutrienti analizzando un datoeffluente, con il sistema di misura messo a punto.Nel caso dei liquami bovini è possibile predire ilcontenuto di azoto totale con un errore del 6%, mentrel’azoto ammoniacale con un errore dell’11%. In Figura 4viene mostrato il confronto tra il dato misurato e il datostimato dal modello per l’azoto totale, ed è evidentel’ottima correlazione tra i due valori che conferma lacapacità predittiva dell’insieme dei parametri utilizzati.

Figura 4. Confronto tra valori misurati in laboratorio e valoristimati dal modello di regressione multipla per l'azoto totalecontenuto nei liquami bovini.

Per i liquami suini, nel caso di allevamento di suini daingrasso si riesce a predire il contenuto di sostanza secca(SS) che notoriamente è fortemente correlata con ilfosforo totale (Ptot) con un errore del 12%, ma buonirisultati si ottengono anche per l’azoto totale (Ntot) eammoniacale (TAN) con errori, rispettivamente, del 16%e 17%. Lo stesso si può dire per la stima dell’azotoammoniacale in liquami di suini a ciclo chiuso, che mostraun errore del 15%.

Soprattutto per l’azoto, questi risultati confermano lacapacità estimativa del sistema di misura, in quanto glierrori ottenuti si avvicinano a quelli delle analisi dilaboratorio.I modelli realizzati sui digestati non hanno raggiunto unlivello di stima accettabile, probabilmente a causadellecaratteristiche del prodotto notevolmenteinfluenzato dal tipo di biomasse utilizzate e quindi menocorrelabili con parametri indiretti, rispetto agli altrieffluenti.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONITenendo conto della complessità che caratterizza ilcampionamento e l’analisi con tecnologie nonconvenzionali degli effluenti zootecnici, i risultati ottenutisono da considerarsi molto positivi in quanto prima d’oranon era mai stata affrontata, in modo così integrato, lamessa a punto di un sistema di misura per la stimaindiretta dei nutrienti degli effluenti.L’introduzione della tecnologia NIR e in particolare sullamisura relativa ad un numero limitato di lunghezzed’onda, è già consolidata per altri campi di applicazione,mentre il trasferimento delle misure di conduttivitàelettrica, pH e densità, in dispositivi da campo è già statovalutato per analizzare effluenti zootecnici, anche se irisultati finora ottenuti fornivano un’indicazione dautilizzare più in termini comparativi che assoluti.Anche se il trasferimento in condizioni operative diquesti sistemi di misura, richiede la messa a punto disensori che devono essere opportunamente semplificatie adattati all’applicazione specifica, è possibile prevedereun dispositivo a costo contenuto che forniscaun’indicazione circa il contenuto di nutrienti dei liquamial momento della distribuzione. Allo stato attuale sembrapiù fattibile uno strumento da utilizzare in situ pervalutare il contenuto di nutrienti su un campione diliquame prelevato dalla vasca. Un eventualetrasferimento on line, ad esempio direttamente su carrospandiliquame con funzionamento automatico,costituisce un ulteriore possibile sviluppo del sistemarealizzato.Il sistema di misura indiretta delle caratteristiche deglieffluenti, abbinando delle misure elettriche e ottiche coni dati aziendali, consente di fornire all’allevatore undispositivo a basso costo che gli permetta con facilità erapidità di conoscere al momento della distribuzione incampo e con un limitato margine di errore, il contenutodi azoto e fosforo degli effluenti zootecnici. Questopermetterebbe non solo un utilizzo molto più razionale esostenibile di questi fertilizzanti organici, maconsentirebbe di conseguenza risparmiare anche unrisparmio sull’acquisto di concimi minerali.

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X. LA SOSTANZA ORGANICA PER IL MANTENIMENTO DELLA FERTILITÀ DEI SUOLI – UNIMI(Responsabile: Fabrizio Adani)

ATTIVITÀ SVOLTE E METODOLOGIE UTILIZZATE

La sostanza organica, costituita dall’insieme di tutti icomposti di origine non minerale presenti nel terreno,comprende sia la biomassa, i tessuti e i residui, vegetali eanimali freschi, sia i materiali organici in stato didecomposizione più o meno avanzata. Nell’ecologia deisistemi agrari la fertilità dei terreni coltivati, cioè lacapacità di ospitare, nutrire e promuovere la crescitadelle piante, è strettamente correlata al contenuto disostanza organica del terreno, dalla quale dipendono ladisponibilità di nutrienti e le caratteristiche chimiche,ooo

fisiche e biologiche del suolo stesso.Pertanto, essendo la sostanza organica importante sia daun punto di vista biologico ed ecologico, che agronomicoe produttivo, si è cercata una spiegazione razionale econcreta ai meccanismi della sua conservazione neltempo, soprattutto alla luce delle nuove ricerche (Adaniet al., 2012; Schmidt et al., 2011), per garantire ilmantenimento o l’aumento della fertilità dei suoli agrari.Per tale scopo, si è proceduto al campionamento di unasvariata gamma di suoli, in modo che fosserorappresentativi delle diverse realtà rurali sparse nelterritorio regionale lombardo (Figura 1).

Figura 1. Mappa dei campionamenti dei suoli.

L’obiettivo di questo tipo di campionamento è statoquello di possedere un numero di suoli tale per cui nonsolo differissero per caratterizzazione chimico fisica, mache fossero anche differenti per utilizzo agronomico.Come si vede dalla Figura 1 infatti, oltre ai suoli chevengono annualmente impiegati per le tradizionalicolture erbacee, sono state considerate anche lerotazioni colturali, le colture arboree e altri impieghi didiversa natura (orti, pascoli, incolti…) o comunqueinerenti con le attività agricole. È altresì possibile notarecome i suoli lombardi siano principalmente impiegati percolture cerealicole, in molti casi in monosuccessione daanni.

I suoli sono stati caratterizzati chimico fisicamente inmodo che si potesse costituire un data set cheraccogliesse tutti i parametri e le possibili variabilideterminanti: per questo scopo sono stati determinaticapacità idrica massima, tessitura apparente, pH, azotototale, carbonio totale, fosforo assimilabile, capacità discambio cationico, basi di scambio (Ca, Mg, Na, K), etasso di respirazione.Oltre alla caratterizzazione dei suoli, si è proceduto alfrazionamento della componente organica. Ilfrazionamento, basato sulla metodica proposta daMikutta et al., 2006, si esegue mediante una tecnicachimica di separazione e determinazione delle diverse

Suolo coltivato con colture erbacee

Suolo coltivato con rotazione di colture erbacee e orticole

Suolo coltivato con colture arboree

Suolo utilizzato per altri scopi agricoli (orti, pascoli, incolti…)

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frazioni di carbonio organico, che nell’insiemecostituiscono la dotazione organica di un suolo. Grazie aidiversi meccanismi che un suolo ha di conservarenaturalmente la sostanza organica, è possibilequantificare tre diverse tipologie di carbonio e, diconseguenza, tre diversi metodi di conservazione dellasostanza organica (Figura 2).Come si può osservare in Figura 2, grazie a un primotrattamento con ipoclorito di sodio (NaOCl) è possibiledeterminare il carbonio labile, ovvero quel carbonio più

prontamente disponibile per i microrganismi del suolo edunque soggetto a una degradazione nel breve e medioperiodo. Dopo l’eliminazione di tutte le argille presentidurante il trattamento con acido fluoridrico (HF), èpossibile determinare il carbonio protetto e conservatodai minerali (principalmente dalle argille) e il carboniorecalcitrante, ovvero quella sostanza organica di difficiledegradazione che è in grado di resistere più a lungo neltempo, esplicando probabilmente anche un effettoammendante.

Figura 2. Schema di conservazione della sostanza organica (a sinistra) e frazionamento della sostanza organica con relativadeterminazione delle diverse frazioni di carbonio organico (a destra).

RISULTATI OTTENUTI

I risultati mostrano innanzi tutto la grande variabilità checontraddistingue i suoli campionati, a causa dei diversiimpieghi, delle diverse colture e delle diversecaratteristiche pedogenetiche. Si è notato che l’uso delsuolo e probabilmente il momento di campionamentodello stesso sono dei fattori che determinano una piùelevata variabilità durante le analisi. Per tali motivi,dall’insieme iniziale di suoli, sono stati selezionati queicampioni che potevano essere più significativi einteressanti in termini analitici. Si nota, in Tabella 1 comele diverse tipologie di carbonio siano presenti, o meglioconservate, in modalità e quantità completamentediverse.Il frazionamento ha permesso di stabilire che nei suoliagricoli lombardi è presente una percentuale media dicarbonio protetto dai minerali pari circa al 24%.Tale dato è però soggetto ad una notevole variabilità,data probabilmente dalla quantità e dalla tipologia delleargille presenti, nonché dalla modalità di utilizzo delsuolo stesso. Questo tipo di carbonio ricoprirebbe benpoche funzioni dal punto di vista agronomico in quantonon è raggiungibile nel breve e medio periodo daimicrorganismi del suolo che non possono pertantomineralizzarlo. La letteratura afferma che tale frazione dicarbonio organico può oscillare tra i secoli ed il millennio

di età, conservandosi proprio grazie all’interazione traessa stessa e i minerali (Dungait et al., 2012; Lehmann etal., 2007; Mikutta et al., 2006; Six et al., 2002).Diversamente, il pool di carbonio labile è certamentesuperiore rispetto alle frazioni protette dai minerali orecalcitranti. Questa percentuale così alta rispetto allealtre frazioni può suggerire che la maggior parte delcarbonio presente nei suoli analizzati sarebbe soggetto auna rapida mineralizzazione (Dungait et al., 2012).Questo porterebbe sicuramente alla liberazione di unagran quantità di nutrienti per le colture e contribuirebbea mantenere alto il livello di fertilità.Seguendo quanto schematizzato nella Figura 2 riguardole modalità di conservazione della sostanza organica, sipuò notare infatti come il carbonio labile aumenti ladisponibilità di nutrienti per le piante. Si è notato,confrontando l’analisi chimico fisica dei suoli, come lafrazione di carbonio labile contribuisca all’aumento dialcuni parametri del suolo quali la capacità di scambiocationico, l’azoto totale, il rapporto C/N, il fosforoassimilabile, il potassio e ovviamente il tasso direspirazione del suolo stesso. La rapida degradazione diquesta frazione potrebbe contemporaneamentecomportare la depauperazione delle risorse del suolo inun lasso di tempo abbastanza ridotto, in quanto èprettamente costituita da composti organiciprontamente disponibili.

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La letteratura suggerisce infatti, mediante radiodatazioneal 14C, che il carbonio che viene rimosso dal trattamentocon NaOCl ha un’età media definita “moderna”, ovveroquantificabile in decadi o pochi secoli (Mikutta et al.,2006). Una mancata e corretta gestione del suolo e degliapporti di fertilizzanti organici può probabilmentecontribuire a un rapido calo del livello di fertilità in tempirelativamente brevi. Viceversa, la frazione di carboniorecalcitrante, ovvero la frazione a cui nello schema dellaFigura 2 viene associata la proprietà di ammendante, èquella meno presente; la sua percentuale è mediamentepari al 7.4%. La ridotta presenza di questa frazionepotrebbe essere imputabile al tipo di sfruttamento perfini agricoli ma soprattutto alla tipologia e alla quantitàdegli apporti di sostanza organica. Il carboniorecalcitrante è in grado di conservarsi grazie alle propriecaratteristiche chimiche e strutturali (Papa et al., 2013): èstato dimostrato come tale carbonio sia soprattuttocostituito da polisaccaridi di pareti cellulari o cutine esuberine di piante e radici (Dungait et al., 2012; Mikuttaet al., 2006). L’aumento di tale frazione potrebbecontribuire non solo al mantenimento della fertilità, maanche allo stoccaggio del carbonio nel sistema suolo. Unapercentuale ridotta può essere testimone del fatto che losfruttamento del suolo per le produzioni agricole halentamente consumato le risorse carboniose del suolo.Anche in questo caso una corretta gestione dovrebbeprovvedere all’apporto di materiale organico che si possaconservare e che possa esplicare un effetto ammendanteper i suoli. Riguardo al tempo di persistenza di questafrazione carboniosa, la letteratura è tutt’oggi controversae gli studi sono attualmente in corso.

RICADUTE OPERATIVE E CONCLUSIONI

Il nuovo approccio analitico per lo studio della sostanzaorganica del suolo e la sua conservazione, ha permessodi capire quelle che sono le effettive dinamiche cheportano all’arricchimento o all’impoverimento deiterreni, abitualmente utilizzati in campo agricolo. Ilfrazionamento della sostanza organica ha reso evidentecome ogni suolo sia soggetto a dei meccanismi chedipendono da molteplici fattori, che possono essere siadi origine antropica sia naturale.Grazie allo studio mediante nuove metodologie e nuoviapprocci scientifici, è possibile non solo capire ladinamica della conservazione del carbonio organico, mavalutare in quale caso sia più necessario intervenire per ilmantenimento della fertilità del suolo, garantendo unabuona resa in termini colturali e agricoli.Grazie alle valutazioni che derivano dall’isolamento dellefrazioni di carbonio organico del suolo, è possibileeffettuare una diagnosi dello stato di sfruttamento delsuolo stesso e del suo livello di fertilità: la correttagestione del suolo permette la conservazione dellefrazioni di carbonio organico per periodi di tempo molto

lunghi. Un incremento del contenuto di carbonioorganico mediante l’apporto di biomasse con potereconcimante e ammendante, per esempio letame edigestato, migliora e stabilizza i parametri chimico fisicidel suolo stesso.Lo studio ha permesso di definire che l’apporto disostanza organica contribuisce all’arricchimento delle trefrazioni di carbonio organico presenti nel suolo. Diqueste, solo due garantirebbero il miglioramento dellecaratteristiche chimico fisiche di un suolo, in quanto unaparte di esse non è utilizzabile nel breve e medioperiodo, conservandosi al suolo. La frazione protetta daiminerali, infatti, non collabora all’aumento della fertilitàdel suolo in quanto tale componente non può esseremineralizzata dai microrganismi, ma ricoprirebbeun’importanza di carattere prettamente ambientale, inquanto rappresenta il pool di carbonio stoccato nel suoloe sottratto dunque all’atmosfera. Si è dimostrato invececome le restanti frazioni, il carbonio labile e il carboniorecalcitrante, sarebbero fondamentali per definire emantenere un livello di fertilità adeguato per leproduzioni agricole. Il continuo e adeguato apporto disostanza organica migliora le caratteristiche del suolo ele “prestazioni” a livello colturale.Grazie alle nuove ricerche e ai nuovi approcci analiticiriguardo lo studio della conservazione della sostanzaorganica nel suolo, è stato possibile applicare taliconoscenze anche alla realtà agricola lombarda. Ilfrazionamento e la determinazione del carbonio organicohanno permesso di studiare i suoli agricoli lombardi inmodo del tutto innovativo che ha permesso altresì diribadire l’importanza della sostanza organica e dunquedella corretta gestione della stessa.Grazie al frazionamento della sostanza organica, è statopossibile definire che i suoli agricoli sono prettamentecaratterizzati da un carbonio che potrebbe essereconsumato nel breve e medio periodo e checontribuirebbe sì a garantire un buon livello di fertilità,ma si consumerebbe altrettanto velocemente. Si è vistoinfatti come questo carbonio contribuisca a migliorare lecaratteristiche chimico fisiche del suolo ma non è ingrado di conservarsi per lungo tempo.È stato possibile confermare quella che è la probabilefunzione nel suolo della frazione recalcitrante, ovverol’effetto ammendante. Tale frazione è però quella menopresente, suggerendo che probabilmente losfruttamento del suolo non è accompagnato da unadeguato apporto di sostanza organica.L’impiego di ammendanti e concimi organici qualiletame, digestato, separati solidi, etc, sono in grado nonsolo di apportare dei benefici immediatamenteapprezzabili che si riflettono sulle performance dellecolture agricole, ma sono in grado anche di migliorare estabilizzare le caratteristiche chimico fisiche di un suolo,garantendo il perdurare o l’aumento del suo livello difertilità.

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