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FARE NATUROPATIA Fondamenti di Psicosomatica Caterina Carloni

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FARE NATUROPATIA

Fondamenti diPsicosomatica Caterina

Carloni

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FareNaturopatia

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FONDAMENTI DI PSICOSOMATICA

Caterina Carloni

edizioni

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© Copyright 2011Edizioni Enea - SI.RI.E. srlI edizione febbraio 2011

ISBN 978-88-95572-42-0

Edizioni EneaSede Legale - Viale Col di Lana 6/a, 20136 MilanoSede Operativa/Magazzino - Piazza Nuova 7, 53024 Montalcino (SI)

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Progetto graficoLorenzo Locatelli

Disegno in copertinaFederica Aragone

Stampato e rilegato daGraphicolor, Città di Castello

I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, informatica, multimediale, ripro-duzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresi microfilm e copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi.

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La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.

Carl Gustav Jung

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INDICE

9 Prefazione

11 Introduzione

13 1. STORIA E SVILUPPO DELLA MEDICINA PSICOSOMATICA

21 2. LA MALATTIA COME LINGUAGGIO DEL CORPO

22 1. L’interpretazione psicosomatica dei disturbi 23 2. La cute e i suoi simboli 28 3. L’apparato respiratorio 31 4. Il sistema cardiocircolatorio 36 5. Il sistema digestivo 40 6. Il sistema urinario 42 7. L’apparato sessuale e riproduttivo 45 8. Il sistema immunitario 46 9. L’apparato endocrino 47 10. L’ossatura 48 11. Il sistema nervoso 49 12. I disturbi dell’alimentazione 51 13. Il tumore: il tentativo misterioso di avviare una trasformazione 52 14. La depressione: la crisi che rinnova 54 15. L’attacco di panico: l’energia vitale che vuole uscire allo scoperto

57 3. GLI STRUMENTI D’INDAGINE

57 1. L’inconscio, le sue leggi e i miti 61 2. La comunicazione non verbale e la fisiognomica 68 3. L’enneagramma

75 4. GLI STRUMENTI TERAPEUTICI

75 1. Le tecniche psico-corporee 79 2. L’arteterapia 81 3. L’alimentazione 81 4. Un approccio alternativo: la psicologia bhaktivedantica e la visualizzazione meditativa

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Fondamenti di Psicosomatica

85 5. IL CICLO DELLA VITA

86 1. La ricerca sulle esperienze in punto di morte 87 2. Elizabeth Kubler-Ross e la psicotanatologia 88 3. Raymond Moody e le esperienze di pre-morte 90 4. Brian Weiss e l’ipnosi regressiva 91 5. La tradizione bhaktivedantica

101 6. LA PSICOSOMATICA E LE MEDICINE ANTICHE

101 1. La medicina olistica greca102 2. La medicina spirituale dei nativi americani103 3. Il Taosimo104 4. La Medicina Tradizionale Cinese104 5. La Medicina Tibetana Tradizionale106 6. La tradizione tolteca107 7. La medicina degli antichi Egizi108 8. L’Ayurveda: la più antica scuola di psicosomatica114 9. La psicologia dello yoga

119 Conclusioni

121 Riferimenti bibliografici

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Prefazione

Il termine “psicosomatica” richiama all’unità mente-corpo. In una visione olistica del mon-do e dell’essere umano non si distingue più il sintomo fisico dalle dinamiche interiori che lo hanno portato a manifestarsi e l’interpretazione simbolica della malattia diventa un appassio-nante viaggio alla scoperta di sé e alla comprensione del perché di una malattia o di un disturbo.

Il disagio interiore, le fasi di “crisi” richiamano a una “correzione del percorso” che non è più adeguato per consentire alla persona la realizzazione di sé e quindi la felicità e la salute, è richiesto dunque un cambiamento, un rinnovamento che non sempre la persona è disposta a riconoscere e attuare. La capacità di nuovi adattamenti e mutamenti nella vita è fondamentale, irrigidirsi in vecchie posizioni e comportamenti quando non sono più adatti alla realtà che ci troviamo a vivere, conduce a problemi più gravi rispetto alle difficoltà che potremmo incontrare “lasciandoci andare” per aprirci al nuovo con tutte le sue possi-bilità di crescita e rinnovamento. Tutto muta, è inevitabile, è la legge del mondo materiale, è inutile dunque restare avvinghiati al passato e a vecchi comportamenti ormai obsoleti, la vita stessa richiede ogni giorno capacità di trasformazione e di evoluzione.

Quando contrastiamo questo normale processo della vita, la vita stessa ci viene in aiuto mostrandoci, attraverso il sintomo, la malattia, l’errore da correggere.

Dunque la capacità di trasferire il linguaggio simbolico del corpo in modelli che ne consentano una chiara comprensione è l’obiettivo della psicosomatica. L’autrice, Caterina Carloni, ha saputo esprimere in modo chiaro e immediatamente comprensibile i profondi legami, le intime connessioni tra mente e corpo. Strumento formidabile per chi si approc-cia alla persona che chiede aiuto, col desiderio di fornire una comprensione più ampia del perché della sua malattia. La consapevolezza infatti è il primo fondamentale passo verso la vera guarigione che può sgorgare solo da chi vive il sintomo nel proprio corpo, le sue personali sensazioni e percezioni.

Lo stesso evento può essere vissuto da ognuno in modo del tutto diverso, e se non è sufficientemente digerito ed elaborato, trasformato e riconosciuto nel suo “significato”, può richiedere prepotentemente di essere “metabolizzato” attraverso sintomi che si ma-nifestano in diverse parti del corpo. L’occhio ci chiede di guardare meglio, l’orecchio di ascoltare, le gambe di procedere, di camminare, di avanzare, le mani di agire, il cuore di amare e perdonare… Cosa c’è di più interessante della comprensione delle dinamiche pro-fonde in cui si trova a vivere ogni essere umano? Buon viaggio dunque, attraverso organi e simboli: bellissima la meta! una migliore conoscenza di sé.

dott.ssa Catia Trevisani

Catia Trevisani, medico-chirurgo, si laurea nel 1988 presso l’Università degli studi di Milano; contemporaneamente approfondisce e pratica la Medicina Olistica.Ha fondato e dirige dal 1995 la Scuola di Naturopatia SIMO (Scuola Italiana di Medicina Olistica) in cui insegna il Metodo SIMO per l’integrazione delle singole discipline.Insegna Nutrizione, Floriterapia, Reflessologia, Cromopuntura e Naturopatia applicata. Pratica come medico naturopata e promuove la Medicina Olistica attraverso corsi e libri. Ha scritto: Introduzione alla Naturopatia, Audiocorso di Introduzione alla Naturopatia, Reflessologia Naturopatica, Fonda-menti di Nutrizione, Fiori di Bach e Naturopatia, Curarsi con il cibo, Curarsi con l’acqua.

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Introduzione

Come recentemente riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la salute non è solo assenza di malattia, ma “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”.

Il benessere è quindi qualcosa di ampio e dinamico: è vivere in armonia con noi stessi, rispettando i nostri ritmi e i nostri limiti; è svolgere un lavoro gratificante e in armonia con le nostre aspirazioni e attitudini; è nutrire il corpo e la mente con “cibi” sani; è avere buone relazioni interpersonali e mantenere un buon equilibrio tra vita sociale e privata; è riconoscere i propri bisogni, coltivare interessi e sviluppare i talenti personali. Soprattutto, salute significa privilegiare la qualità delle relazioni affettive e andare con fiducia alla ricerca della felicità e dell’amore.

Anche la tutela del sistema ambientale e la sintonia dell’uomo con i cicli della natura, unita a un’organizzazione sociale che favorisca la realizzazione e lo sviluppo delle risorse degli individui, costituisce una componente imprescindibile del benessere.

È evidente, infatti, che saper mediare tra esigenze provenienti da diverse dimensioni della nostra vita – mentale, corporea, emotiva, sociale, affettiva e spirituale – è garanzia di buona forma psicofisica e di una valida capacità d’interazione con l’ambiente.

La progressiva diffusione di medicine e terapie non convenzionali testimonia, d’altro canto, la crescente necessità di uscire dal vicolo della settorializzazione, tipico della me-dicina positivista e meccanicista, per giungere a una concezione multidimensionale della vita e della salute, secondo il modello olistico.

La psicosomatica è indubbiamente una delle branche più interessanti e rappresentative di questa scienza della globalità.

Nata agli inizi del Novecento grazie agli impulsi provenienti dagli studi sulla psicolo-gia del profondo, la psicosomatica moderna, arricchita dalle straordinarie intuizioni delle religioni e delle filosofie orientali e dalle recenti scoperte delle fisica moderna, quantistica e sistemica, ha sviluppato una nuova concezione della salute.

La visione dell’uomo, secondo questo approccio, si fonda sia sul metodo medico scien-tifico che su un’interpretazione simbolica vasta e aperta degli eventi e degli “incidenti” corporei, considerati una preziosissima chiave di accesso all’essenza più profonda dell’in-dividuo.

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1Storia e sviluppo della medicina psicosomatica

La psicosomatica è l’arte e la scienza di curare l’essere umano come totalità. Il suo scopo è favorire lo sviluppo di una nuova e differente consapevolezza della vita e della malattia. Il sintomo, in quest’ottica, diventa uno strumento di crescita, la malattia un’espe-rienza necessaria all’evoluzione, il disturbo fisico un simbolo che apre la strada a nuovi significati esistenziali, riavvicinando l’essere umano a se stesso e riportandolo sul proprio cammino evolutivo.

Nel caso di una guarigione possibile, lo psicosomatista offre consapevolezza, strumenti di crescita, di guarigione e di sostegno, aiutando la persona a prendere coscienza di sé e dello squilibrio patologico, e a comprendere come cambiare la propria vita, come cambia-re la propria coscienza, in modo che le energie del corpo cambino da uno stato di squilibrio e blocco a uno stato di armonia e più elevata polarità energetica: così viene curata l’unità olistica corpo-mente-spirito.

Nel caso di una guarigione impossibile la persona viene comunque riequilibrata nelle sue energie e allineata lungo l’asse dei suoi centri psicofisici. Le viene spiegato che la ma-lattia non è guaribile, che è necessario un processo di grande accettazione della realtà, che è opportuno seguire gli eventi e, nel caso di malattie terminali, di prepararsi spiritualmente alla morte. Una volta non c’erano i rimedi antidolorifici di adesso e la persona soffriva, ma aveva una possibilità in più, la meditazione, grande generatrice di endorfine, le mor-fine endogene che tolgono il dolore. Quando arrivava la morte, il medico non si accaniva per tenere in vita il malato qualche mese o qualche giorno in più, infilandogli aghi e tubi o somministrandogli medicine; veniva invece spiegato che il momento era arrivato, che bisognava aprire la coscienza e abbandonare il corpo in una condizione di serenità. Anche la morte può essere affrontata in uno spazio di meditazione e di crescita interiore, creando uno stato di consapevolezza, di calma e di accettazione.

L’eziopatogenesi di un disturbo è sempre multifattoriale. Ogni “malattia” nasce da una molteplicità di cause: fisiche, genetiche, alimentari, comportamentali, lavorative, ambien-tali, energetiche, relazionali, emotive, sociali, psicologiche, karmiche, spirituali e così via.

È essenziale avvicinarsi alla malattia con grande umiltà, con la consapevolezza che non sempre è possibile rintracciare il senso reale e profondo del disturbo e la sua collocazione all’interno del vasto disegno della vita.

Il terapista può solo offrire una nuova consapevolezza insieme a nuovi strumenti di crescita e di guarigione, aiutando la persona a capire che cos’è, nella sua vita reale, la differenza tra logos (la legge dell’ordine, della sincronicità e della vita) e caos (la legge della casualità, della degenerazione e del disordine), l’equilibrio fra il dharma (il corretto

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modo di vivere in armonia con l’esistenza) e il karma (i condizionamenti inconsci che ci spingono ad azioni “patologiche”).

In alcuni casi, la malattia porta con sé le conseguenze di un atteggiamento mentale distruttivo di cui il paziente prende via via consapevolezza, adoperandosi e collaborando per rimuovere le cause della malattia stessa. Questa guarigione coincide direttamente con la sua crescita. A volte, invece, la persona non ha la forza, o la chiarezza, di affrontare il problema, perché su di essa gravano condizionamenti troppo profondi per essere risolti in quel momento col suo livello di consapevolezza. In questo secondo caso la persona può sempre depurarsi, cambiare alimentazione, bilanciarsi con medicine (naturali, omeopati-che o di sintesi) o anche con tecniche chirurgiche. Nel tempo è possibile la guarigione, che anch’essa tuttavia coinciderà indirettamente con la sua crescita.

Il punto centrale della guarigione è proprio il risveglio di una nuova coscienza della realtà così com’è, della consapevolezza del proprio potere, della propria bellezza, del co-raggio di vivere e di morire.

Due sono le accezioni della parola “psicosomatica”. In senso ristretto, con questo ter-mine si intende quella branca della medicina che si occupa di disturbi organici che, non rivelando alla base una lesione anatomica o un difetto funzionale, sono riconducibili a un’origine psicologica.

In un’accezione più ampia, invece, la psicosomatica rimanda a una visione olistica che, superando il dualismo cartesiano mente-corpo, considera l’uomo un’unità in cui la malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio.

La medicina psicosomatica ribalta, infatti, lo schema eziologico classico – che prevede la lesione dell’organo come causa della disfunzione, a sua volta causa della malattia – nello schema secondo cui il protrarsi di uno stress funzionale, che ha origine nella vita quotidiana dell’individuo, genera una disfunzione dell’organo che causa successivamente una lesione e infine sfocia nella malattia.

La medicina psicosomatica è quindi sinonimo, in questa seconda e più esatta accezione, di medicina totale, di comprehensive medicine, come è in uso nella letteratura americana. Benché il termine psicosomatica nasca nel XIX secolo, tutta la storia del pensiero filosofi-co e della medicina antica è permeata dalla questione della separazione tra anima e corpo (dualismo) o di una loro sostanziale identità (monismo).

Fu il medico tedesco Johan Christian Heinroth a utilizzare nel 1818 per la prima volta la parola “psicosomatica”; nel 1824 lo studioso Friedrich Groos formulò l’ipotesi che le malattie rappresentassero gli effetti somatici delle passioni e delle emozioni negative.

Nel 1876 lo psichiatra inglese Henry Maudsley scriveva: “Se l’emozione non è sca-ricata all’esterno con l’attività fisica o con un’idonea azione mentale, agirà sugli organi interni alterandone le funzioni”, anticipando così il concetto psicoanalitico di conversione isterica.

In realtà, come sostenne English nel 1952, “la parola psicosomatica è un termine rela-tivamente nuovo per designare un rudimento della pratica clinica antico come la medicina stessa”.

L’opportunità di un approccio psicosomatico in medicina era noto allo stesso Platone, che nel Carmide scriveva:

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1. Storia e sviluppo della medicina psicosomatica

Forse anche tu sai per aver udito dei bravi medici se per esempio ci va uno con male agli occhi, gli dicono che non si può cominciare a sanare gli occhi soli, ma che bi-sognerebbe curare anche la testa se si vuole guarire gli occhi; e dicono ancora che è un’assurdità pensare di curare la testa per se stessa senza tenere conto dell’intero corpo. Così cercano di curare e sanare la parte applicando un regime all’intero cor-po. Il nostro Zalmosside (eroe della mitologia tracia, NdR), che è un dio, vuole che come non si deve cominciare a sanare gli occhi senza tenere conto del capo, né il capo senza il corpo, così neppure si deve cominciare a sanare il corpo senza tenere conto dell’anima, anzi questa sarebbe proprio la ragione per cui tante malattie la fan franca ai medici greci, perché essi trascurano il tutto di cui invece dovrebbero pren-dersi cura, quel tutto che è malato e dunque non può guarire in una parte. Il male o il bene non irrompe nel corpo e in tutto l’uomo se non dall’anima, dalla quale tutto proviene, come dalla testa proviene tutto ciò che corre agli occhi; così che si deve cominciare a curare soprattutto quella, se si vuole che la testa e le altre parti del corpo stiano bene.

Anche Ippocrate, considerato il padre delle medicina occidentale e vissuto tra il V e il IV secolo a.C, affermava che tutte le funzioni organiche sono influenzate dalle passioni. Secondo le sue teorie, le emozioni possono alterare gli equilibri fisiologici del corpo e indurre patologie, in quanto “gli organi ubbidiscono ai sentimenti”.

Ippocrate elaborò metodi che, diversamente da quelli dei suoi predecessori, risentivano in minor misura dell’animismo o delle altre dottrine religiose. Nella cura e nel trattamento delle malattie, egli fece affidamento soprattutto su un’attenta osservazione clinica e sulla stretta collaborazione tra medico e paziente.

La scuola di Ippocrate sosteneva la cosiddetta “teoria umorale”, basata sulla convin-zione che il corpo umano fosse composto, appunto, di quattro umori: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. Si pensava che gli umori fossero i vapori di sostanze materiali che, oltre a essere causa di malattia, potevano tuttavia contribuire anche alla salute fisica. Questa concezione era applicata a livello clinico per definire i tipi corporei costituzionali e caratteriali. Anche le norme dietetiche e l’influenza delle stagioni su salute e malattia rivestivano particolare importanza nel metodo ippocratico.

Il profilo psicologico di una persona era così strettamente legato alla struttura fisica e di conseguenza certi tratti di temperamento venivano tipicamente associati a relativi gruppi caratteristici di malattie.

Aristotele (vissuto dal 384 al 322 a.C.), adottando una prospettiva analoga a quella di Ippocrate, basò le proprie ricerche sulla classificazione naturalistica e sull’osservazione empirica. Un’importante parte della sua ontologia e tassonomia era basata su un sistema di classificazione che combinava ciò che egli definiva le quattro qualità primarie (caldo, freddo, umido, secco) con le quattro sostanze o elementi (aria, fuoco, terra, acqua). Era considerata importante non tanto la fisiologia dell’organismo quanto la sua descrizione anatomica.

Nello stesso solco teorico e condividendo la dottrina dei quattro umori, Galeno di Per-gamo, vissuto all’incirca dal 131 al 200 d.C., aveva notato la correlazione tra malattia e profilo emotivo, rilevando una maggiore incidenza di tumori in donne affette da melan-conia rispetto a quelle sanguigne. Ciò lo portava a postulare una dottrina della specificità,

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secondo la quale specifici tipi di personalità sono correlati a specifiche predisposizioni a certe malattie.

L’opinione comune è che egli abbia studiato in Asia Minore e alla scuola di medicina di Alessandria d’Egitto.

Il metodo di Galeno, ripreso da quello di Aristotele, seguiva un indirizzo razionali-sta, anteponendo la ragione, l’osservazione e la sperimentazione alla conoscenza derivata dall’esperienza empirica o sensoriale. Attraverso la tradizione araba sviluppatasi più tardi, Galeno divenne il medico più autorevole del mondo antico. Il suo stile chiaramente occi-dentale divenne, nei successivi 1500 anni, la base teorica di tutta la metodologia medica fino almeno al XVI secolo. In verità, la sua influenza persistette fino alla fine del XIX secolo, a dispetto delle scoperte mediche del XVII secolo, come la descrizione di Harvey della circolazione sanguigna del 1615 e le osservazioni di cellule e microbi di van Leeu-wenhoek.

La stessa psicoanalisi nasce dal confronto con un problema psicosomatico: quello della sintomatologia organica dell’isteria e della nevrosi d’angoscia.

La questione era stata affrontata in modo esauriente già dal 1878 da J.M. Charcot nel corso dei suoi famosi esperimenti di ipnotismo alla Salpetrière. Charcot era in grado di rimuovere sotto ipnosi i più diversi sintomi somatici dell’isteria, quali l’anestesia, le con-trazioni e le paralisi, e, su queste premesse, aveva ipotizzato che il blocco fisico potesse essere prodotto da un’idea, visto che l’idea opposta poteva farlo sparire.

La riflessione di Freud su tali fenomeni è all’origine della nozione di “conversione”, un termine fondante per la prima psicosomatica.

Secondo Freud, la tendenza alla conversione è un tratto tipico dei pazienti isterici, at-traverso la quale tali soggetti “rendono inoffensive rappresentazioni e idee insopportabili, incompatibili, trasformando la loro somma eccitazione in qualcosa di somatico” (Studi sull’isteria, 1895). Quando, cioè, un contenuto psichico – un’immagine, una pulsione, un desiderio – è incompatibile con l’Io, inammissibile alla coscienza e contrario alla morale, l’affetto ad esso associato è rimosso dalla coscienza con la repressione e convertito in un disturbo senso-motorio che simboleggia ed esprime a livello corporeo il contenuto inaccettabile, risolvendo così in parte il conflitto psichico originario (Freud lo definirà “il misterioso salto dalla mente al corpo”).

Nella processo di conversione risiedeva il problema del passaggio dallo psichico al somatico, che Freud intendeva risolvere in termini fisiologici, ma per il quale, come ri-conobbe egli stesso più tardi, non riuscì mai a trovare spiegazioni soddisfacenti. Un’altra causa dei sintomi somatici psichicamente condizionati, come scrisse nel saggio del 1894 Neuropsicosi da difesa, era la nevrosi d’angoscia, in cui si manifestano – attraverso la crisi vera e propria – sintomi fisici che possono includere palpitazioni, sudore, tremore, diarrea, nausea, alterazioni respiratorie, mal di testa. In questo secondo caso, Freud riteneva più corretto affrontare e indagare tali disturbi, risultato dell’attivazione del sistema nervoso autonomo, in un’ottica biomedica.

Freud anticipò, in tal modo, la spaccatura del movimento psicosomatico in due ap-procci distinti, l’uno orientato in senso fisiologico, l’altro in senso psicoanalitico, che si verificherà cinquant’anni dopo con l’applicazione razionale del concetto di stress alla fi-siopatologia (stress = una reazione emozionale intensa a una serie di stimoli esterni che mettono in moto risposte fisiologiche e psicologiche di natura adattiva, secondo la defini-zione di Selye).

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1. Storia e sviluppo della medicina psicosomatica

Uno dei primi seguaci di Freud che si occupò di psicosomatica fu G. Groddeck. Per questi la malattia, tanto psichica quanto somatica, è un messaggio dell’Es espresso in forma di simbolo.

Autodefinendosi psicoanalista selvaggio, estese il dominio delle affezioni psicosoma-tiche ben oltre il modello della conversione freudiana. Per Groddeck la malattia organica rappresentava, in modo analogo al sogno, l’espressione somatica simbolica di processi psichici (1917). Riteneva, cioè, che tutte le malattie costituissero i segni corporei attraver-so cui l’inconscio comunica all’esterno l’esistenza di un blocco psicologico.

Il corpo, infatti, è per lui una mappa di rappresentazioni simboliche e le malattie sono le stigmate di un conflitto emotivo non risolto e non razionalizzato.

Ogni processo patologico, per Groddeck, è un processo difensivo in cui il malato può rifugiarsi per proteggersi dal mondo esterno, che esige da lui prestazioni che superano le sue capacità. Il processo patologico è quindi un percorso simbolico in cui si possono leg-gere le difficoltà che ciascuno incontra nella sua vita.

Le sue teorie, tuttavia, restarono senza eredi, soprattutto per la mancanza di una dialet-tica all’interno della relazione psiche-soma e per una visione monista improntata eccessi-vamente al misticismo.

Per W. Reich tutti i processi biologici seguono il binario di carica-scarica. Quando la scarica è impedita, tutto l’organismo entra in tensione, e se questa condizione si croni-cizza, a livello psichico si forma una “corazza caratteriale” e a livello fisico una “corazza muscolare”. Queste armature rappresentano una forma di controllo delle emozioni e una potente struttura di difesa da esse.

Le teorie di Reich sono alla base dell’analisi bioenergetica di Lowen (1910-2008), se-condo il quale non è possibile sciogliere gli irrigidimenti muscolari senza risolvere il con-flitto di natura psichica corrispondente, così come non è sufficiente elaborare le nevrosi senza intervenire contemporaneamente sul blocco corporeo.

M. Boss, sulla base dell’analisi esistenziale, ritiene che la malattia esprima o l’unica modalità con cui il corpo si apre e si relaziona con il mondo, o le modalità escluse che, non esprimendosi in un vissuto globale, si annunciano patologicamente. Da questa prospettiva le regioni del corpo colpite dalla malattia dipendono da una relazione patologica, interrotta o esasperata, col mondo.

Schilder ha sottolineato come la percezione di un sintomo, il suo valore per il soggetto, le fantasie e i timori connessi sono legati all’immagine corporea che il paziente si è costruito. Stress psicosociali e malattie psichiche aumentano l’incidenza dei disturbi dell’immagine corporea che si manifestano attraverso disturbi somatici che vanno a colpire parti e fun-zioni del corpo investite di significati simbolici consci e inconsci.

Secondo Cannon, le malattie psicosomatiche sono dovute allo stress, cioè a risposte emozionali troppo intense o troppo a lungo mantenute. Questa condizione mette in moto risposte fisiologiche e psicologiche il cui scopo è quello di abbassare la tensione interna. Il comportamento messo in atto per attenuare lo stress, secondo Cannon, può essere di attacco o di fuga, oppure di adattamento. Quando gli sforzi del soggetto falliscono perché lo stress supera la capacità di risposta, allora si è esposti a una vulnerabilità nei confronti della malattia dovuta a un abbassamento delle difese dell’organismo.

McDougall formula l’ipotesi psicodinamica, secondo cui il paziente psicosomatico è un soggetto incapace di formulare fantasie come mezzo di gratificazione di pulsioni istintuali.

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Fondamenti di Psicosomatica

La carenza di fantasia fa sì che la sua attenzione sia incentrata sull’ambiente e sulla realtà esterna a cui il paziente è super adattato. L’insorgere dell’energia istintuale, in assenza di una rappresentazione fantastica in cui potersi esprimere, si scarica sul corpo con risultati autodistruttivi.

F. Deutsch (1884-1964) fu un medico e psicoanalista che dedicò la sua vita a scoprire la relazione esistente tra fenomeni psicologici e fisiologici. Per Deutsch la malattia rappre-senta un mezzo per eliminare conflittualità, per adattare le pulsioni istintuali individuali alle richieste culturali, con un dispendio di energie minore rispetto alla nevrosi e senza ledere le norme comportamentali del contesto sociale. Ci si ammala, cioè, per mantenere una sorta di equilibrio. La malattia si configura come processo di conversione di disagi più o meno gravi. Deutsch ipotizzava anche una conversione improntata all’istinto di morte, autodistruttiva, caratterizzata da una retroiezione di impulsi aggressivi diretti verso oggetti odiati ma simbolizzati nel proprio corpo. La questione della scelta d’organo per esprimere il disagio sottostante occupa un grande posto nella sua riflessione. Secondo Deutsch la “continua corrente di conversione nel somatico”, in azione anche nei soggetti sani, è una specie di linguaggio corporeo che serve a scaricare, in maniera simbolica, l’inconscio sovraccarico di frammenti di emozioni e altri complessi psichici.

L’opera di F. Alexander (1891-1964) costituisce una pietra miliare nel campo della psi-cosomatica. La sua innovazione consiste nel negare il concetto di malattia psicosomatica come categoria specifica e nell’affermare che ogni malattia teoricamente è psicosomatica. Per Alexander l’eziologia di ogni malattia è pluricausale. Egli distingue nettamente tra conversione e nevrosi d’organo.

La conversione, carica di emotività, ha luogo nel sistema neuromuscolare volontario e sensoriale. La nevrosi viscerale riguarda organi controllati dal sistema nervoso autonomo. Mentre il sintomo di conversione esprime simbolicamente il conflitto rimosso, la nevrosi d’organo non soddisfa nessuna istanza.

Nelle nevrosi d’organo si distinguono due modalità di sviluppo delle patologie, riferi-te al coinvolgimento delle funzioni vegetative del sistema simpatico oppure del sistema parasimpatico.

Il simpatico agisce principalmente sui processi catabolici di mobilitazione delle risorse energetiche per far fronte a situazioni di emergenza, mentre il parasimpatico stimola i pro-cessi anabolici di accumulo delle riserve di energia. I due sistemi sono spesso antagonisti, poiché la stimolazione dell’uno inibisce l’attività dell’altro.

Alexander definisce l’attività del simpatico come una preparazione dell’organismo alla lotta e alla fuga, e l’attività del parasimpatico come una recessione delle attività rivolte all’esterno, quindi un “ritiro vegetativo”.

L’iperattività dei due sistemi produce due distinte tipologie di nevrosi d’organo:• disturbi cardiaci, vascolari, delle cefalee e dell’artrite reumatoide nel caso di repres-

sione degli istinti di lotta e fuga, con quadri sintomatici riferibili al sistema simpatico;• disturbi gastrointestinali e respiratori nel caso di ritiro vegetativo, riferibili all’iperat-

tività del parasimpatico, in cui invece di un’azione rivolta all’esterno si verifica una modificazione autoplastica sostitutiva dell’azione.

I disordini organici, secondo Alexander, evolvono in due tempi:1) stato emotivo cronicamente alterato, disturbo funzionale;2) disturbo funzionale, alterazione dei tessuti, malattia organica.

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1. Storia e sviluppo della medicina psicosomatica

H.F. Dunbar (1943) riteneva che il sintomo psicosomatico fosse “l’effetto di stati di attivazione fisiologica cronica ed abnorme generata da emozioni inappropriate alla situa-zione e agli stimoli o inadeguatamente espresse”. In particolare, riteneva che ci fosse una correlazione tra la specificità della malattia e il tipo di personalità.

Lavorando su una vasta mole di interviste anamnestiche e attraverso l’uso della diagno-stica psicodinamica, la psichiatra americana affermava di aver individuato delle significa-tive correlazioni tra malattie e profili di personalità: tutti i pazienti affetti, per esempio, da ipertensione avevano caratteristiche personologiche simili: esisteva, cioè, una sorta di cli-ché caratteriale per ogni malattia psicosomatica. La persona sofferente alle coronarie era un soggetto che lavorava e lottava con fermezza, con grande autocontrollo e con una spic-cata tendenza al successo; il malato di ulcera era un tipo iperattivo e intraprendente ecc.

Le teorie della Dunbar vennero criticate sia sul versante psicoanalitico – per la su-perficialità delle osservazioni e per la trascuratezza verso il materiale inconscio, da cui, secondo la prospettiva psicodinamica, traggono origine le azioni umane – che dagli espo-nenti dell’approccio psicofisiologico, secondo i quali l’autrice non aveva dato spiegazioni convincenti circa il rapporto di causalità tra malattie psicosomatiche e tratti di personalità.

Le teorie della Dunbar, malgrado ciò, hanno avuto larga diffusione nella letteratura psicosomatica successiva, tanto da essere rintracciabili nelle teorizzazioni di Friedman e Rosenman (1959) sulle associazioni tra disturbi e tipi di personalità, e nell’opera di C. Bahnson (1981) sulle correlazioni tra personalità e cancro.

Nello stesso periodo delle teorizzazioni della Dunbar e di Alexander, lo psichiatra ame-ricano H. Wolff tentava di applicare il concetto di specificità al di fuori della tradizione psicodinamica. Wolff ipotizzava che le malattie psicosomatiche fossero l’effetto di un fallito adattamento ad eventi stressanti o a fattori patogeni (1950). L’idea prendeva origine dall’osservazione che gli individui tendono ad avere modi peculiari di far fronte agli sti-moli e agli stress dell’ambiente e che queste reazioni caratteristiche tendono a somigliarsi tra i membri di una stessa famiglia.

Secondo Wolff esisteva così una risposta protettiva adattiva specifica dell’individuo e ereditariamente determinata. Le modificazioni psicologiche, fisiologiche e comportamen-tali erano viste come fattori concomitanti di risposta individuale allo stress.

Nel 1966 D.W. Winnicott (1896-1971) scrisse un articolo fondamentale dedicato alla psicosomatica, in cui discusse lungamente sul trattino che separa le due porzioni del ter-mine psico-somatico. Questo viene considerato la parte più importante della parola perché definisce l’area che deve essere studiata, il segno che “congiunge e separa i due aspetti del-la pratica medica”. È su questo trattino che lavora lo specialista di malattie psicosomatiche ed è qui che si inserisce il problema del paziente, la sua dissociazione tra psiche e soma.

Molto interessante l’intuizione di Winnicott, pediatra e grande psicoanalista, riguar-dante il processo maturativo del bambino. Se il processo di sviluppo del bambino procede regolarmente, il godere del funzionamento del corpo rinforza lo sviluppo dell’Io, e anche lo sviluppo dell’Io rinforza il corpo.

Un normale processo di maturazione dallo stato primario non integrato dipende dall’at-teggiamento materno; se questo si rivelerà sufficientemente adeguato si realizzerà l’in-tegrazione psicosomatica, cioè la psiche riuscirà ad abitare dentro il soma, altrimenti si produrrà un’insicurezza dell’abitare nel corpo, con conseguenze di depersonalizzazione e disturbi psicosomatici.

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Fondamenti di Psicosomatica

La malattia denota sempre una fragilità del legame tra psiche e corpo. L’aspetto po-sitivo della malattia, in questo senso, consiste nella sua proprietà di mantenere l’unità psicosomatica dell’individuo, sebbene in negativo.

Un’altra teoria della specificità dei disturbi fu avanzata da Lacey, Bateman e Van Lehn (1953). Essi avevano rilevato che gli individui tendono a manifestare reazioni fisiologiche altamente soggettive verso un’ampia gamma di stimoli. Ad esempio, un soggetto può ri-spondere allo stress con un aumento della tensione muscolare della testa e del collo, uno con un innalzamento della secrezione gastrica, un altro ancora con una risposta cardiova-scolare. Questi diversi individui svilupperanno quindi rispettivamente emicrania, ulcera peptica, ipertensione o patologie cardiache.

Questo modello, come quello di Wolff, poneva le basi per il superamento del paradigma psicodinamico in medicina psicosomatica e apriva il programma di ricerca sperimentale sulla specificità dei correlati fisiologici delle reazioni emozionali.

Il problema dell’espressione comportamentale delle emozioni fu uno dei punti essen-ziali dell’evoluzione della psicosomatica. Questo aspetto costituisce un problema fonda-mentale anche per gli approcci più biologisti della psicosomatica contemporanea.

La questione è stata indagata perfino da un punto di vista linguistico e simbolico; nel 1963 Marty, de M’Uzan e David introdussero il concetto di “pensiero operativo” per in-dicare una presunta povertà immaginativa e una scarsa attitudine alla simbolizzazione dei pazienti psicosomatici. Secondo i tre psicoanalisti francesi, il malato psicosomatico è di solito una persona efficiente e apparentemente ben adattata, estremamente concreta e incapace di staccarsi col pensiero dal presente immediato. Tale incapacità di vivere, in-tendere e verbalizzare le proprie emozioni venne chiamata “alessitimia” da due psichiatri dell’Università di Harvard, P. Sifneos e J. Nemiah (1970). Il termine significa letteralmen-te: incapacità di leggere le emozioni. Questa incapacità costringerebbe i pazienti, secondo gli autori, a sviluppare un linguaggio del corpo abnorme e patogeno.

Secondo Cremerius (1918-2002), noto psicoanalista tedesco, tuttavia, il pensiero ope-ratorio è caratteristico di certe classi culturali con problemi a esprimere le proprie emozio-ni, piuttosto che dei pazienti psicosomatici.

Attualmente, gli studi e le ricerche riguardanti la medicina psicosomatica stanno pro-gressivamente avvicinandosi alle concezioni olistiche delle antiche tradizioni mediche orientali, in particolare all’Ayurveda.

L’Istituto di ricerca Riza Psicosomatica contribuisce da molti anni, attraverso corsi, articoli, sondaggi e seminari, a diffondere una nuova concezione della malattia che superi il dualismo mente-corpo e sensibilizzi verso una comprensione dei significati positivi ed evolutivi del sintomo.

R. Dahlke, psichiatra e psicoterapeuta tedesco molto profilico, ha recentemente pubbli-cato un dizionario dal titolo Malattia come simbolo, in cui sostiene la tesi che la malattia sia un evento sensato, un sistema usato dall’anima per rendere l’uomo consapevole dei propri conflitti irrisolti.

Molto interessanti anche i lavori e gli studi di N.F. Montecucco, medico e ricercatore italiano, che propone una concezione della salute psicofisica come via di crescita persona-le e mezzo per arrivare all’unità dell’essere.

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2La malattia come linguaggio del corpo

Quando un sintomo si affaccia nella nostra vita, ne avvertiamo subito la duplice natura: da un lato nasce in noi e appartiene al nostro corpo, dall’altro sembra destabilizzarci, di-struggere i nostri equilibri e apparirci come una presenza nemica.

La prima reazione è quella di cacciarlo via, eliminarlo, per tornare ai nostri ritmi abi-tuali, alla nostra normalità, alle nostre abitudini, ma nel caso in cui si imponga per durata o intensità, sentiamo di essere abitati da forze sconosciute, sulle quali non abbiamo potere e che non siamo abituati ad ascoltare.

In genere consideriamo la salute con una modalità di base, che è quella dell’assenza di sintomi e di dolore. Eppure, per natura, questa condizione non può essere costantemente presente. Anzi, non è questa la vera salute, ne è solo una parte.

Non c’è stata neanche una singola esistenza, nella storia dell’uomo, in cui la malattia non si sia manifestata almeno una volta nell’arco dell’intera esperienza individuale: lo rivelano i dati clinici attuali, i testi dell’antichità, gli scheletri dell’età della pietra. Sembra esistere una legge valida in tutto il mondo per cui, anche se facciamo di tutto per evitarlo, prima o poi qualcosa giunge ad alterare il nostro equilibrio vitale generando la “crisi”.

La malattia è un’interruzione del nostro vivere quotidiano. Separa il tempo in un “pri-ma”, variamente articolato, e in un “adesso”, improvvisamente doloroso e confuso. La vita scorreva tranquilla quando d’un tratto arriva un’appendicite acuta che porta al ricovero in ospedale, un’influenza che costringe a sospendere i ritmi lavorativi, un’anemia che ci indebolisce e obbliga a fastidiose ricerche diagnostiche.

Un’osservazione più attenta può rivelarci che la nostra vita non scorreva proprio tran-quilla, e che, forse, non ci apparteneva del tutto.

Arriva la malattia e ci sentiamo traditi, perché, malgrado sia stata preannunciata da mil-le segnali, ci coglie sempre di sorpresa. Il corpo non è più un luogo sicuro, la nostra casa solida e protettiva, ma ci abbandona, ci rovina la giornata, ci ostacola.

Eppure l’evoluzione naturale non ha eliminato la possibilità della crisi e della malattia. Intere specie viventi si sono estinte, organi e funzioni si sono atrofizzate nel corso di mi-lioni di anni, cambiamenti radicali sono avvenuti nelle varie specie viventi, ma la malattia permane come fattore ineliminabile nella vita di ognuno di noi.

Tutto induce a pensare che essa non sia una dimenticanza o un errore del processo di selezione naturale delle specie, ma bensì un processo funzionale e necessario attraverso il quale la vita “rimescola” la sua materia biologica e si afferma in modo più consapevole e maturo. Paradossalmente non può esserci salute né evoluzione, sia nella materia che nella coscienza, senza la malattia.

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Fondamenti di Psicosomatica

1. L’interpretazione psicosomatica dei disturbi

La malattia spezza i vecchi equilibri e crea le condizioni per una nuova dimensione esistenziale.

Il disagio che impone, il senso di smarrimento e l’assenza di risposte di fronte alla sua imprevedibilità, il suo essere muta e oscura quanto più è grave e invalidante, ci impegna in un percorso di recupero della nostra identità più profonda e dei nostri talenti più nascosti, costringendoci a una visione più ampia dell’uomo e della vita.

L’uomo è per sua natura un’entità dinamica e poliedrica, in cui non solo psiche e cor-po sono collegati tra loro – come nella classica concezione della psicosomatica – ma esprimono soprattutto la stessa realtà su piani diversi: uno più sottile (mentale, psichico e spirituale) e uno più materiale (corporeo). La malattia e i sintomi si collocano all’interno di questa interazione dinamica, e perciò sfuggono all’indagine scientifico-razionale basata sui criteri di riproducibilità sperimentale.

Tutte le antiche civiltà lo avevano compreso, e – anche perché spesso ignare dei mecca-nismi fisiologici – curavano le patologie basandosi esclusivamente sulla lettura simbolica, impregnata della loro specifica cultura e della religione di riferimento.

Lo sciamano guaritore non sapeva nulla del funzionamento del corpo, ma sapeva co-gliere i contenuti simbolici profondi di ogni disturbo, e interveniva assicurando sicurezza a tutta la tribù.

Lo stregone delle popolazioni pellerossa coglieva i segni della natura, evocava il po-tere curativo degli animali (il coraggio dell’aquila, l’intuizione del falco, l’introspezione dell’orso) per migliorare il rapporto tra l’uomo e il grande mistero della vita.

Il rishi della cultura indovedica partiva dal principio che il disturbo fisico fosse l’esito di una serie di comportamenti “adharmici”, cioè contrari all’ordine cosmico universale, compiuti in questa o nelle precedenti vite.

La medicina moderna, figlia della rivoluzione scientifica dei secoli scorsi, non ha inve-ce nessuna considerazione dei simboli insiti nel corpo – che non sono “dimostrabili” se-condo i parametri scientifici – e si concentra solo sul funzionamento, privando il sintomo della sua anima e separando quest’ultima dal corpo.

Si salvano così molte vite, ma c’è tanto malessere e le patologie sono in aumento.L’uomo è un’unità dinamica, composta da bios e psiche, materia e spirito; è tanto una

macchina automatica quanto un corpus ricco di simboli. Realizza se stesso attraverso l’esperienza della propria dimensione fisica e spirituale, e incorre, in particolari condizio-ni, in eventi patologici anch’essi ricchi di significato e di presupposti evolutivi.

Oggi, fortunatamente, l’integrazione degli studi di psicologia del profondo con le stra-ordinarie intuizioni delle religioni e delle filosofie orientali e con le sempre maggiori cono-scenze della fisica moderna sta portando a una nuova visione della malattia; una visione che pur rintracciando tappe psicopatologiche e atmosfere esistenziali comuni a quasi tutti gli individui con quel preciso disturbo, non dà per scontato che uno stesso sintomo non possa avere un senso completamente diverso, a volte opposto, per una persona rispetto a un’altra.

Simbolo significa “tenere insieme nello stesso momento”. Un simbolo psicosomatico tiene insieme tanti aspetti del nostro essere che – secondo logica – non potrebbero stare insieme.

Un sintomo è simbolico nel senso che può esprimere contemporaneamente il desiderio e l’avversione per qualcosa, una paura e insieme un’attesa, un bisogno di autonomia ma anche di dipendenza, la voglia di amore ma anche il dispiacere per un rifiuto.

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2. La malattia come linguaggio del corpo

Il corpo, inteso come simbolo, diventa la sede in cui gli opposti coesistono, come avvie-ne in modo sincronico a livello psichico. Fondamentale è il modo in cui affrontiamo e cu-riamo la malattia. La crisi che segue l’incidente o lo squilibrio è un momento di altissimo valore in cui cogliere una grande opportunità. Riccorrere subito ai farmaci, trascurare il sintomo, affannarsi alla ricerca del “perché” della malattia possono rappresentare ostacoli al processo di trasformazione e di rinascita innescato dalla malattia.

L’atteggiamento migliore è quello plasmato sul dinamismo della realtà del sintomo, costituito da uno sguardo attento e rilassato ai cambiamenti esistenziali e al nuovo stile di vita imposto dalla malattia.

Uno degli strumenti base, indicato dalle ultime ricerche europee del settore, è la co-siddetta “dimensione d’organo”. Secondo questo strumento di indagine, ogni organo o tessuto è depositario di immagini arcaiche e di funzioni primarie, presenti in noi da tempo immemorabile, che rappresentano un modo di essere al mondo.

La dimensione della pelle, ad esempio, è quella della relazione, della comunicazione con il mondo. Lo stomaco simboleggia la disponibilità ad accogliere. Il sistema immuni-tario rappresenta uno stato di all’erta.

Ognuno di noi possiede tutte queste dimensioni, ma a seconda del momento della vita che attraversa, abita preferenzialmente in uno o in alcune di queste.

Ciò significa che chi è calato in una determinata dimensione d’organo, quando intervie-ne un conflitto interiore inconscio, potrà esprimerlo più facilmente a quel livello.

Nello stesso tempo, quando si presenta un sintomo, l’organo in cui esso insorge e il modo in cui si manifesta ci racconta il percorso di vita della persona, ci parla dei suoi talenti nascosti e del modo per recuperarli, aiutando così a trovare la giusta via di guari-gione; una guarigione che non va intesa solo come scomparsa di sintomi, ma anche come approdo ad un nuovo equilibrio, più in sintonia con l’essenza della persona.

2. La cute e i suoi simboli

FunzioniLa cute è l’organo che riveste tutto il corpo. È formata, dall’esterno verso l’interno, da

tre strati: epidermide, derma e ipoderma o tessuto adiposo sottocutaneo. È dotata di grande resistenza alla trazione e al contempo è molto elastica. Svolge una funzione di protezio-ne meccanica, termica e contro i microrganismi; inoltre contribuisce alla conoscenza del mondo esterno (il tatto), alla regolazione della temperatura corporea, all’escrezione di so-stanze di scarto (con il sudore), al deposito e alla produzione di energia (grazie all’adipe).

Contiene moltissime fibre nervose sensoriali per rilevare il dolore, le vibrazioni e la pressione, e ha la capacità di rigenerarsi e autoripararsi.

SimbologiaLa cute è l’organo della relazione con il mondo esterno. Ci delimita e fa di noi un’unità.

Rappresenta la parte visibile di noi stessi ed esprime la nostra individualità. È la preziosa pergamena sulla quale, inconsapevoli, scriviamo ogni giorno la nostra storia.

È il primo rivelatore della nostra interiorità e della nostra personalità: attraverso il ros-sore, il pallore, la sudorazione si rivela uno specchio in cui uno sguardo attento può coglie-re lo stato d’animo e le fantasie, i segreti e le paure. La cute rappresenta la nostra identità.

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Fondamenti di Psicosomatica

La pelle, attraverso i segni che porta su di sé, esprime bene certe caratteristiche interio-ri: le impronte digitali, le cicatrici, le rughe di espressione e i segni del tempo testimoniano il vissuto delle nostre esperienze e rivelano agli altri l’unicità del nostro essere. La cute rappresenta il confine, costituisce un filtro e una barriera contro gli agenti nocivi. Simbo-licamente, svolge un’importante funzione di limite e di perimetro che consente all’indivi-duo di riconoscersi come essere distinto e delimitato.

Rendendo evidenti all’esterno le risposte vascolari che segnalano situazioni emozionali interiori, rappresenta un importante mezzo di comunicazione interpersonale. In particolare nel mondo animale, ma anche in quello umano, essa costituisce il sistema comunicativo deputato alla regolazione dei comportamenti aggressivi, sessuali e pulsionali, attraverso modificazioni nella sua forma e nel suo colore in parti specifiche del corpo.

Nelle tribù primitive, inoltre, la cute e i suoi annessi, variamente colorati, trattati e adornati, svolgevano un ruolo comunicativo con significati simbolici legati a situazioni magiche, di combattimento, terapeutiche e sociali. Attraverso la cute il corpo emana il proprio odore che ha un suo codice di riconoscimento e una sua “marcatura” personale.

Le patologie e il loro significato

Dermatite

La dermatite (o eczema) è una malattia della pelle caratterizzata da uno stato infiamma-torio che causa prurito, vescicole, gonfiore, rossore e spesso trasudazione, croste e desqua-mazione. All’origine ci sono allergie e/o intolleranze, agenti irritanti, fattori psicologici, stress, infezioni. Tra le varie forme, le più frequenti sono:1) la dermatite atopica, che si presenta con eruzioni, essudato e croste, tipica dei bambini

con tendenza alle allergie;2) la dermatite seborroica, che forma squame soprattutto sul cuoio capelluto, su volto e

schiena e che colpisce più spesso gli adulti sotto forte stress;3) l’eczema classico, che può interessare ogni zona del corpo con chiazze rosse, vescicole,

croste e squame.

La simbologia delle dermatiti segnala la presenza di emozioni “di fuoco” che affiorano in superficie. Se intendiamo la cute come una carta geografica del nostro generale stato di salute, le dermatiti rappresentano i luoghi in cui sta avvenendo una battaglia, un conflitto in cui alcuni confini sono attaccati o vanno ridefiniti.

La persona mostra energie profonde che vorrebbero emergere – perlopiù legate alla creatività, alla sessualità, all’intimità, alla socialità – ma qualcosa impedisce loro di ma-nifestarsi in modo sano. Paure, sensi di colpa, nevrosi, fobie, timidezza, senso di inade-guatezza le bloccano. Ogni infiammazione rappresenta un conflitto, una vitalità trattenuta.

A rischio sono tutti coloro che trattengono le proprie emozioni, gli individui ricchi di passione e di talento che però temono il giudizio degli altri e che sono molto influenzabili dalle figure dotate di autorità e di autorevolezza, le persone timide e sensibili per natura che avvertono un senso d’insicurezza riguardo alle proprie capacità.

Per il trattamento di questa patologia risulta di estremo beneficio ritrovare il contatto con i ritmi della natura, frequentare paesaggi con piante, corsi d’acqua, animali. Anche il recupero della dimensione del gioco è importante, soprattutto se inteso come divertimento e non come competizione.

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2. La malattia come linguaggio del corpo

acne

L’acne è una malattia infiammatoria della cute che colpisce le ghiandole sebacee e i fol-licoli piliferi; insorge perlopiù dopo la pubertà con presenza di brufoli sul volto e/o sulla parte superiore del tronco. Si può manifestare anche nell’adulto sotto stress.

A prescindere dall’età, l’acne origina da un accumulo di energia sessuale; gli ormoni (in particolare gli androgeni) risultano in eccesso e quelli non convogliati nella loro forma naturale si scaricano a livello cutaneo dove stimolano una maggiore produzione di sebo. Il sebo, se in quantità abnorme, favorisce la comparsa di comedoni, i classici “punti neri”, o di brufoli, piccoli vulcani bianco-giallastri che contengono materiale infiammatorio. Il ragazzo o la ragazza non riescono a gestire le nuove pulsioni – piacevoli ma sconosciute – e a viverle nel contesto socio-culturale e morale in cui sono calati. È un dato di fatto che chi si avvicina alla sessualità tra i 13 e i 16 anni in modo spontaneo e interiormente non conflittuale soffre di acne in modo nullo o minimo.

alopecia

L’alopecia è una caduta completa o parziale di peli e/o capelli che può interessare qual-siasi parte del corpo, ma è più frequente sul capo. Esistono diverse forme di alopecia: quella totale implica la perdita completa di tutti i capelli e peli, mentre in quella areata la caduta è localizzata in chiazze rotondeggianti e irregolari. Le cause più frequenti possono essere di tipo stressogeno, tossico (assunzione di farmaci come i chemioterapici), infettivo o ereditario.

Il significato simbolico della patologia riguarda direttamente il tema dell’affettività, dei legami e dell’energia che fluisce. A prescindere, infatti, dall’ampiezza e dalla localizzazio-ne di tale patologia, essa spesso segue – dopo alcune settimane o mesi – a un’esperienza affettiva traumatica per la persona: separazioni, trasferimenti in nuovi ambienti, perdita di riferimenti importanti ecc. Rappresenta il modo con cui la persona sta elaborando la rot-tura di un legame e comunicando il suo profondo malessere; quanto avvenuto costituisce per lei una “rottura” nel suo continuum esistenziale, un lutto che ha lasciato un vuoto, una mancanza di vitalità.

La comparsa del sintomo, soprattutto in un bambino, indica uno stato di sofferenza non espresso oppure non adeguatamente preso in considerazione.

Nell’adolescente l’alopecia è simbolo di una grande difficoltà nello sviluppo psicolo-gico; il ragazzo è dibattuto tra la naturale tendenza a scoprire e affermare la propria per-sonalità e una dipendenza ancora molto spiccata verso la figura materna. In altri casi, nel ragazzo l’alopecia si associa a una radicale sensazione di non poter esprimere la sessualità e/o la creatività a causa di un’atmosfera familiare impregnata di moralismo, razionalità e dipendenze reciproche.

Nell’adulto l’alopecia si presenta soprattutto in forma di calvizie precoce su una base di stress psichico e mentale, dovuta perlopiù a un eccesso di studio o di lavoro. Questa tipologia un tempo era soltanto maschile, ma oggi la rarefazione della chioma si riscontra anche in diverse giovani donne che seguono uno stile di vita “maschile”.

L’alopecia è una patologia prevalentemente connessa con il senso di perdita di se stessi: è accaduto qualcosa che ha tolto un “pezzo d’identità” (uno stato familiare o di coppia, un ruolo professionale o sociale) e determinato uno stato di demotivazione.

Una piccola area di alopecia indica che il problema è settoriale, cioè riguarda un solo ambito di vita, mentre la perdita totale di peli e capelli segnala che il senso di perdita tocca in grande profondità.

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Fondamenti di Psicosomatica

Nell’anziano questa patologia può simboleggiare il dolore e il ripiegamento per la per-dita di una persona cara (più di tutti il partner), una difficoltà nell’accettare l’invecchia-mento e la perdita di un ruolo sociale.

In tutti questi casi è evidente come il senso di perdita si accompagni a un blocco dell’energia vitale.

Sono a rischio:1) bambini che nella prima e seconda infanzia hanno vissuto o stanno vivendo eventi

affettivi carichi di disagio;2) giovani in condizione di grande tensione psichica protratta nel tempo;3) persone che non riescono a cogliere l’importanza di alcuni eventi negativi della vita

relazionale e tendono a banalizzare, sdrammatizzare o “tirare avanti”, mentre qualcosa dentro di loro si rompe.

Qualunque sia la strada curativa che si intraprende, è necessario non solo avere pa-zienza, ma anche grande cautela, evitando interventi radicali o terapie d’urto sia fisiche che psichiche. Qualcosa ha smesso di crescere e di fluire, e potrà riprendere a farlo solo naturalmente.

Si rivela spesso utile, indipendentemente dai fatti scatenanti, stare il più possibile in mezzo alla natura, per ritrovare tempi e cicli più vicini alle profondità della psiche e rige-nerarsi alle radici.

Dal punto di vista psicologico, è importante ritrovare il senso di unità e di identità, cosa che può essere ottenuta attraverso percorsi che integrino psicoterapia, tecniche corporee e rimedi naturali in modo personalizzato. Per il bambino è opportuno un approccio di psicoterapia della famiglia.

Herpes zoster

L’herpes zoster è il nome scientifico che indica la malattia comunemente nota come “fuoco di Sant’Antonio”. È causata dall’infezione del virus della varicella, che colpisce le radici nervose a vari livelli, dai nervi encefalici (come il trigemino) a quelli spinali che innervano il tronco. Ciò provoca forti dolori che si diramano alla zona della pelle corri-spondente al nervo colpito, dove si formano vescicole ed eritemi.

L’insorgenza dell’herpes zoster è dovuta alla riattivazione di un virus già presente nell’organismo che vi era entrato molti anni prima e non era mai stato eliminato dal siste-ma immunitario.

Il nucleo simbolico di tale patologia è legato a un conflitto antico rimosso (l’entrata nell’organismo del virus) ma non eliminato dalla coscienza, che sta riemergendo (il virus persistente nel sistema nervoso) in modo aggressivo per imporsi alla nostra attenzione.

La comparsa dell’herpes zoster, nella grande maggioranza dei casi, indica che nella vita della persona si è “riacceso” un conflitto. Può trattarsi di una passione ancora una volta non corrisposta, di una nuova, grande contrarietà inespressa, di un’umiliazione subita e non rivendicata, di un lutto o una separazione non accettati. Oppure può essere una situa-zione che innervosisce fortemente, un prolungato abuso della propria pazienza o l’impos-sibilità di vivere una storia d’amore. Vedovanza, routine matrimoniale e un prolungato stato di vita da single sono i contesti più favorevoli all’insorgenza della patologia.

Il sintomo assume inoltre diverse sfumature simboliche a seconda delle differenti parti del corpo che colpisce. La sua localizzazione al volto manifesta il riemergere di un conflit-

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2. La malattia come linguaggio del corpo

to legato all’ambito creativo-professionale, laddove questo rappresenta il pilastro princi-pale su cui si basa l’immagine e l’identità della persona. Nella zona del torace, segnala un vissuto traumatico in ambito affettivo-sentimentale. Lo zoster addominale riguarda invece un vissuto più viscerale, legato al mondo degli istinti, della sessualità, della vendetta, dell’aggressività.

L’ herpes zoster colpisce in maggioranza persone che non hanno elaborato uno o più eventi negativi accaduti nel corso della vita e che esprimono in modo rigido e limita-to il disagio psichico, il dolore affettivo o una mancanza. In generale, esprimono inade-guatamente le proprie emozioni profonde. L’herpes zoster, in quanto riattivazione di uno schema già vissuto da diverso tempo, riguarda nella maggior parte dei casi persone nella seconda metà della vita.

Combattere l’herpes zoster con i farmaci senza cambiare nulla nella propria vita rischia di spingere questa grande energia, che vuole affiorare, sempre più in profondità. Si rivela pertanto più utile dare spazio alle emozioni, aiutare il riconoscimento di disagi e sentimen-ti profondi. In tal senso si può trarre aiuto da esperienze di gruppo come lo psicodramma e/o la dance therapy. Anche la creatività è un elemento curativo fondamentale.

psoriasi

La psoriasi è una malattia cutanea, cronica e recidivante – cioè caratterizzata da fasi di miglioramento e fasi di riacutizzazione – che esordisce di solito nell’adolescenza o nella prima età adulta e peggiora in condizioni di stress. Si manifesta con placche secche e ben delimitate, di forma e dimensioni variabili, ricoperte di squame grigie al di sotto delle quali è presente un eritema più o meno spiccato a seconda che la psoriasi sia in fase acuta o quiescente. Le sedi più frequenti di localizzazione sono gomiti, ginocchia, cuoio capelluto, regione sacrale, avambraccio, nuca. I sintomi, presenti soprattutto nella fase acuta sono: episodi di prurito intenso e talora sensazione di bruciore. Le cause non sono conosciute, anche se c’è una forte ipotesi di genesi autoimmunitaria.

La psoriasi indica la difficoltà a comunicare le emozioni, tanto in entrata (come nelle allergie) quanto in uscita (come nell’acne).

Un’area più o meno grande di cute, nella psoriasi in fase quiescente, è ispessita e ri-coperta da squame grigiastre compatte, che impediscono a quel tratto di pelle di operare scambi fisiologici con l’esterno. In chiave analogica ciò significa che una persona ha dei punti in cui si sente strutturalmente fragile e in questi mette una “toppa” o una “corazza” al fine di ridurre gli scambi emotivi con l’esterno, percepiti come pericolosi. Tuttavia, la lesione conosce fasi di ricostruzione, nelle quali la corazza si riduce e lascia il posto a un eritema acceso che brucia o prude. Simbolicamente la pulsione a lasciar fluire le emozioni tenta di farsi largo fra le difese che la persona ha messo tra sé e il mondo.

Le persone affette da psoriasi hanno in comune alcuni tratti importanti:1) per quanto possano sembrare socievoli, non mettono mai in gioco, nella relazione, il

loro nucleo profondo: l’interlocutore, anche il partner, sente che “oltre un certo punto” essi non permettono di entrare e che non si mettono mai in gioco del tutto;

2) fanno fatica a esprimere le emozioni in modo diretto e lineare, e altrettanta ne fanno per accettarle dall’esterno senza mediazioni verbali che ne riducano l’intensità e l’im-mediatezza;

3) si percepiscono fragili in alcuni ambiti (soprattutto affettivi), e per non affrontare il pro-blema si dichiarano indipendenti, senza accorgersi di cadere spesso in un atteggiamento

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Fondamenti di Psicosomatica

di continua richiesta di supporto. Il problema centrale – la vulnerabilità – viene risolto eludendolo e lasciandolo immutato, ovviamente in modo inconscio.

Quando l’energia che si esprime nell’eritema viene “coperta” dalla corazza, finisce per spingersi in profondità, dove si trasforma in intensi episodi di cefalea o di colite, a testimonianza di come essa contenga un’energia incomprimibile che cerca comunque di essere elaborata ed espressa. L’estensione della psoriasi è in proporzione all’insicurezza che la persona sente di avere.

La psoriasi esprime, in ultima istanza, un problema di identità.La parola chiave per curare la psoriasi, qualsiasi strada si intraprenda, è gradualità: le

terapie troppo veloci o d’urto sono sconsigliate poiché contrastano con la necessità della pelle (e del paziente) di ritrovare, nella crescita, un ritmo e un’armonia perduti. Nel caso di una psoriasi lieve è consigliabile modificare il modo di vivere e le relazioni individuali, privilegiando l’aspetto confidenziale e profondo rispetto a un dialogo superficiale seppure frequente. Può essere utile un percorso di psicoterapia, tecniche di rilassamento corporeo o forme di meditazione, preferibilmente da svolgere in gruppo.

Nella forma medio-grave è bene non sottoporsi forzatamente a situazioni emotivamen-te pericolose, cercando tuttavia di modificare il proprio stile comunicativo provando a esternare i propri eventuali rifiuti, rinunce o contrarietà in modo diretto.

Non va dimenticato che lo stato d’animo e l’equilibrio emotivo influenzano fortemente i sintomi.

cellulite

La cellulite è un processo infiammatorio causato da una degenerazione della micro-circolazione del tessuto adiposo che porta alla ritenzione e al ristagno di liquidi negli spazi intercellulari. Compare nel tessuto sottocutaneo di alcuni distretti corporei: cosce e natiche, ma anche addome, ginocchia, braccia e dorso. Le cause sono diverse: insuffi-cienza venosa degli arti inferiori, sovrappeso, abuso di farmaci, predisposizione genetica, gravidanza, menopausa.

La simbologia della cellulite è legata ad una rinuncia alla femminilità. Il corpo delle donne che hanno subito un trauma amoroso cerca, attraverso la cellulite, di proteggersi da un ulteriore dolore. La donna segnala il ritiro da un nuovo coinvolgimento affettivo e sessuale, creando una corazza contro gli attacchi esterni tramite una barriera anestetica e antiestetica.

3. L’apparato respiratorio

FunzioniÈ composto dagli organi deputati alla funzione respiratoria che assicurano lo scambio

di gas tra sangue e aria. Comprende, a partire dall’alto e dall’esterno: naso e bocca, fa-ringe, laringe, trachea e polmoni. L’aria, ricca di ossigeno, entra dal naso o dalla bocca, transita per la trachea e raggiunge gli alveoli polmonari attraverso l’albero bronchiale. A ogni inspirazione l’ossigeno passa nel sangue che lo trasporterà ai tessuti dell’organismo. In senso opposto, l’aria “usata” contenente anidride carbonica risale per uscire dal naso o dalla bocca.

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2. La malattia come linguaggio del corpo

SimbologiaSimbolicamente, è attraverso questo apparato che avviene lo scambio tra mondo esterno

(macrocosmo) e mondo interno (microcosmo).L’aria è il primo nutrimento vitale che ognuno di noi riceve dal mondo, e di questo “lat-

te cosmico” si nutre nel corso della vita fino all’ultima espirazione che concluderà la sua esistenza. Tra questi due momenti, una catena ininterrotta di inspirazioni ed espirazioni segnerà il ritmo della vita caratterizzato da una continua relazione del mondo interno del soggetto con il mondo esterno.

Ad ogni inspirazione l’uomo porta dentro di sé il mondo, per restituire poi parti di se stesso a ogni seguente espirazione.

Con la funzione respiratoria si assiste simbolicamente a un continuo riadattamento dell’identità personale, che interagisce e si confronta con l’identità collettiva.

Eventuali problemi alle alte vie respiratorie esprimono difficoltà relazionali di tipo so-ciale, circa l’ambiente con cui ci si sta rapportando. Ciò è evidente con tonalità diverse in riniti, tonsilliti, faringiti e laringiti.

Nelle basse vie respiratorie la relazione si sposta a un livello più profondo. Ciò che con l’inspirazione entra a far parte della persona, viene in contatto con gli aspetti più arcaici e strutturali dell’identità. Con l’espirazione, poi, si esternano in senso inverso i contenuti profondi che si sono incontrati. Perciò, quando si manifesta un problema bronchiale e soprattutto polmonare, la difficoltà relazionale riguarderà in particolare valenze emotive profonde della persona.

Le patologie e il loro significato

asma

L’asma è una malattia infiammatoria, spesso cronica, delle vie polmonari, caratterizzata da crisi respiratorie con sibili, difficoltà sia nell’inspirazione che nell’espirazione, talvolta tosse secca con senso di soffocamento. È causata da un broncospasmo scatenato dall’inala-zione di allergeni (pollini, polveri, peli di animali ecc.) o da forti stress psicofisici in individui geneticamente predisposti. La frequenza e l’intensità delle crisi può essere molto variabile.

Alla base di questo disturbo c’è la paura di perdere la continuità degli affetti. Il sim-bolo dell’asma risiede evidentemente nel meccanismo patologico che lo produce. La crisi inizia con un broncospasmo espiratorio: i bronchi, cioè, cercano di trattenere il più pos-sibile l’aria al loro interno. Questo movimento riflette lo schema psicologico-affettivo dell’asmatico. L’aria, prima ancora del cibo, è la prima forma di nutrimento quando ve-niamo al mondo. L’aria ci permette di sopravvivere e, come tale, rappresenta uno dei tanti volti della figura materna.

Nell’asmatico la mamma gioca un ruolo chiave: è colei che fin da quando il bambino è nato manifesta il suo amore in modo ambivalente, ponendo limiti e condizioni, come a dire: “Va e sii libero, ma all’interno delle aspettative che ho su di te”.

Questo meccanismo, ovviamente inconscio, produce una sorta di gabbia soffocante che si esprime attraverso il corpo: ogni volta che il bambino o il ragazzo, a volte anche l’adulto, vuole fare scelte autonome, si riattiva l’antica paura di essere deprivati dell’aria-mamma, e la crisi scatta per tenere dentro quanta più aria-sicurezza possibile. Ciò crea la sensazione reale di soffocamento. Nell’inconscio si crea l’equivalenza: fare scelte auto-nome = rischiare di morire, e in effetti la crisi d’asma non curata può talora essere letale.

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Caterina Carloni, psicologa e

psicoterapeuta, specializzata in

Medicina Psicosomatica presso

l’Istituto RIZA di Milano. Vive e

lavora a Roma.

Effettua psicoterapie individuali

e di gruppo, utilizzando tecniche

di rilassamento, training autogeno,

distensione immaginativa e visua-

lizzazione.

16,00 €

Il termine “psicosomatica” richiama all’unità mente-corpo. In una vi-

sione olistica del mondo e dell’essere umano non si distingue più il

sintomo fisico dalle dinamiche interiori che lo hanno portato a mani-

festarsi e l’interpretazione simbolica della malattia diventa un appas-

sionante viaggio alla scoperta di sé e alla comprensione del perché di

una malattia o di un disturbo.

Il disagio interiore, le fasi di crisi richiamano a una correzione del

percorso che non è più adeguato per consentire alla persona la rea-

lizzazione di sé e quindi la felicità e la salute; è richiesto dunque un

cambiamento, un rinnovamento che non sempre la persona è disposta

a riconoscere e attuare. La capacità di nuovi adattamenti e mutamenti

nella vita è fondamentale, irrigidirsi in vecchie posizioni e comporta-

menti quando non sono più adatti alla realtà che ci troviamo a vivere,

conduce a problemi più gravi rispetto alle difficoltà che potremmo

incontrare lasciandoci andare per aprirci al nuovo con tutte le sue

possibilità di crescita e rinnovamento.

Quando contrastiamo questo normale processo della vita, la vita stes-

sa ci viene in aiuto mostrandoci, attraverso il sintomo, la malattia,

l’errore da correggere.

Dunque la capacità di trasferire il linguaggio simbolico del corpo in

modelli che ne consentano una chiara comprensione è l’obiettivo della

psicosomatica.

9 788895 572420

ISBN 978-88-95572-42-0

EDIZ IONI

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