FISICA ATOMICA E SUBATOMICA LA...

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1 FISICA ATOMICA E SUBATOMICA LA RELATIVITA' § 1 La velocità della luce – il vento dell'etere Nel 1800 i fisici ritenevano che nello spazio esistesse un fluido, chiamato vento dell'etere , che si muovesse alla velocità di un punto sulla Terra, nella sua rotazione intorno al Sole (velocità media 3 10 4 m / s), ma in senso opposto ad essa. Ritenevano pure che, applicando la legge di composizione delle velocità, un raggio di luce venisse accelerato o rallentato, secondo che esso si propagasse nella stessa direzione del vento dell'etere, o in senso opposto Due fisici statunitensi, Michelson e Morley, dimostrarono con un famoso esperimento che un raggio di luce si propaga alla stessa velocità, tanto se viaggia in direzione Est-Ovest quanto se si muove in direzione Ovest-Est e conclusero che il vento dell'etere non esiste § 2 L'esperimento di Michelson e Morley L'apparecchio impiegato da Michelson, detto interferometro, era montato su una lastra di marmo, che galleggiava sul mercurio ed era perciò in grado di essere ruotata in qualunque direzione. Un raggio di luce, originato da una unica sorgente A, A veniva diviso in due da una lastra di vetro, L, posta in B, semiargentata, per riflettere una parte del raggio e lasciarsi attraversare, con rifrazione, dall'altra parte. O B In R ed in S c'erano due specchi che riflettevano i L R raggi all'indietro: i cammini dei due raggi erano quindi i seguenti: ABR con il ritorno RBO ed ABS con il ritorno SBO. S Al termine dei loro cammini diversi i due raggi si ricombinavano su una lastra fotografica O dove, appunto per la differenza dei percorsi, appariva una figura di interferenza Veniva prima effettuato un esperimento con l'interferometro orientato in modo che il percorso RBO fosse in direzione Est-Ovest e si registrava la figura di interferenza Si ripeteva poi l'esperimento con l'apparecchio ruotato di 180° in modo che lo stesso percorso fosse orientato in direzione Ovest-Est e si registrava di nuovo la figura di interferenza Se ci fosse stata l'influenza del vento dell'etere sui tempi di percorrenza dei cammini, dovuta al fatto che, a seconda dell'orientamento dell'apparecchio, la velocità della luce avrebbe dovuto sommarsi o sottrarsi a quella del vento dell'etere, ci sarebbe stato un cambiamento della figura di interferenza Non essendo stata registrata nessuna variazione, gli sperimentatori conclusero che il vento dell'etere non esiste

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FISICA ATOMICA E SUBATOMICA

LA RELATIVITA'

§ 1 La velocità della luce – il vento dell'etere Nel 1800 i fisici ritenevano che nello spazio esistesse un fluido, chiamato vento dell'etere, che si muovesse alla velocità di un punto sulla Terra, nella sua rotazione intorno al Sole (velocità media 3 104 m / s), ma in senso opposto ad essa. Ritenevano pure che, applicando la legge di composizione delle velocità, un raggio di luce venisse accelerato o rallentato, secondo che esso si propagasse nella stessa direzione del vento dell'etere, o in senso opposto Due fisici statunitensi, Michelson e Morley, dimostrarono con un famoso esperimento che un raggio di luce si propaga alla stessa velocità, tanto se viaggia in direzione Est-Ovest quanto se si muove in direzione Ovest-Est e conclusero che il vento dell'etere non esiste § 2 L'esperimento di Michelson e Morley L'apparecchio impiegato da Michelson, detto interferometro,era montato su una lastra di marmo, che galleggiava sul mercurio ed era perciò in grado di essere ruotata in qualunque direzione. Un raggio di luce, originato da una unica sorgente A, A

veniva diviso in due da una lastra di vetro, L, posta in B, semiargentata, per riflettere una parte del raggio e lasciarsi attraversare, con rifrazione, dall'altra parte. O B In R ed in S c'erano due specchi che riflettevano i L R raggi all'indietro: i cammini dei due raggi erano quindi i seguenti: ABR con il ritorno RBO ed ABS con il ritorno SBO. S Al termine dei loro cammini diversi i due raggi si ricombinavano su una lastra fotografica O dove, appunto per la differenza dei percorsi, appariva una figura di interferenza Veniva prima effettuato un esperimento con l'interferometro orientato in modo che il percorso RBO fosse in direzione Est-Ovest e si registrava la figura di interferenza Si ripeteva poi l'esperimento con l'apparecchio ruotato di 180° in modo che lo stesso percorso fosse orientato in direzione Ovest-Est e si registrava di nuovo la figura di interferenza Se ci fosse stata l'influenza del vento dell'etere sui tempi di percorrenza dei cammini, dovuta al fatto che, a seconda dell'orientamento dell'apparecchio, la velocità della luce avrebbe dovuto sommarsi o sottrarsi a quella del vento dell'etere, ci sarebbe stato un cambiamento della figura di interferenza Non essendo stata registrata nessuna variazione, gli sperimentatori conclusero che il vento dell'etere non esiste

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La conclusione più generale è che la velocità della luce ( che nel vuoto è ≅ 300 000 km /s) è la stessa qualunque sia il sistema di riferimento scelto, perché non si somma né si sottrae ad altre velocità § 3 Il tempo assoluto e la simultaneità

I fisici prima di Einstein ritenevano che esistesse un tempo assoluto, cioè immutabile e identico in tutti i sistemi di riferimento ( ad es un osservatore O1 fermo ed un osservatore O2 in movimento con velocità v ) Se si potesse trasmettere istantaneamente ( cioè velocità S1 S2

della luce c = ∞ ) un segnale, ad es un lampo di luce emesso dalla esplosione contemporanea di due stelle fisse, S1 ed S2 lontanissime tra di loro e dagli osservatori, tutti gli osservatori concorderebbero nell'affermare che i due lampi sono stati simultanei O2 Se esistesse la simultaneità assoluta sarebbe possibile O1 sincronizzare tutti gli orologi dell'universo, anche se in moto relativo uno rispetto ad un altro; esisterebbe quindi un tempo v assoluto, che scorrerebbe uguale per tutti gli osservatori, fermi od in moto Ma poiché la velocità della luce non è infinita, si deve concludere che il tempo assoluto non esiste § 4 Gli assiomi della teoria della relatività Einstein propose di rifondare la fisica partendo da due assiomi: -1- Invarianza delle leggi fisiche Le leggi ed i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento -2- Invarianza della velocità della luce La velocità della luce è la stessa in qualunque sistema di riferimento inerziale, indipendentemente dallo stato di moto o di quiete del sistema stesso o dalla sorgente della luce Questo secondo assioma spiega il risultato dell'esperimento di Michelson: infatti se la velocità della luce non dipende dal sistema di riferimento, non si ha variazione nei tempi di percorrenza dei cammini dei raggi ottici, capovolgendo lo strumento da un senso dei percorsi a quello opposto § 5 La relatività della simultaneità Se in due punti P1 e P2 equidistanti da un punto P, si verifica un lampo di luce e se la P1 P2 luce giunge in P contemporaneamente, cioè P nello stesso istante, siccome P1P = P2P, i lampi di luce devono essere stati simultanei

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. Questo concetto, però, è relativo Figura al v Si supponga che alle due estremità di un vagone tempo t = 0 O2 ferroviario, in moto verso sinistra con velocità v elevata, scoppino due petardi. O1 La luce da essi emessa giunge, contemporaneamente, all'osservatore O1, fermo a terra alla stessa distanza dai punti delle due esplosioni Invece, essendo il vagone in moto, il lampo di luce di sinistra giunge, se v è molto elevata, all'osservatore ∆s O2 che sta a metà del vagone, un po' prima del lampo di destra, perché, mentre i due lampi viaggiano alla velocità della luce, il vagone, che si muove alla elevata Figura dopo v velocità v, percorre lo spazio ∆s un tempo ∆t O2 Per O1 i due lampi sono stati simultanei; per O2 no • • Simmetricamente, se invece di fare riferimento al binario O1 fermo si fa riferimento al vagone in moto come se fosse fermo, i due lampi risultano simultanei per l'osservatore O2 e non per O1, E' facile constatarlo esaminando le due figure, corrispondenti a due istanti vicinissimi tra di loro , pari a ∆t = ∆s /v , molto piccolo essendo v molto grande. Si può quindi concludere che il giudizio di simultaneità è relativo, in quanto dipende dal sistema di riferimento La simultaneità assoluta non esiste e quindi non si può definire un tempo assoluto che scorra nello stesso modo per tutti gli osservatori Tuttavia nella vita quotidiana, essendo le velocità come la v molto inferiori rispetto a c, non è possibile avere una esperienza diretta della relatività della simultaneità § 6 La dilatazione dei tempi Con riferimento alla figura; E è un orologio emettitore S S

di luce; alla distanza d al di sopra di E c'è uno specchio S. P è una piattaforma che si muove con velocità v molto grande, su cui è collocato E Per un osservatore O1 situato sulla piattaforma la d luce emessa da E, per ritornare ad E dopo la iflessione sullo specchio S percorre due volte il A B cammino ES nel tempo ∆t = 2 d / c, (1) O1 E E H E segnato dall'orologio E P v Per un osservatore O2 fermo a terra, dato il O2 movimento della P verso destra, la luce percorre i cammini uguali AS e SB, impiegando un tempo ∆t', segnato sempre da E Geometricamente è AS2 = AH2 + SH2 (2) Così pure si ha ( per la (1)) __ __ AS = ½ ∆t' c AH = ½ ∆t' v HS = d = ½ ∆t c Elevando le tre espressioni al quadrato e sostituendole nella (2) si ricava c2 (∆t')2 = v2 (∆t')2 + c2 (∆t)2 da cui si ottiene la relazione fondamentale

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________ ∆t' = ∆t / √ 1 – (v/c)2 (3) Il denominatore della (3) è minore o uguale all'unità ( per v = 0 il denominatore è uguale a 1, per 0 < v < c il denominatore è minore di 1) Quindi ∆t' è sempre ≥ ∆t (misurato da O1) La formula (3) esprime la dilatazione dei tempi Che significa che la durata di qualunque fenomeno risulta minima se è misurata nel sistema di riferimento solidale con esso, cioè nel sistema in cui il fenomeno inizia e finisce nello stesso punto (come O1) Nei sistemi di riferimento in moto (come O2) la durata del fenomeno è maggiore. Si è così scoperto che la misura dello stesso intervallo di tempo è relativa in quanto essa dipende dal sistema di riferimento in cui questo è stato misurato E' un'altra conferma che in fisica non esiste il tempo assoluto La durata di un fenomeno, misurata in un sistema di riferimento solidale con esso, si chiama intervallo di tempo proprio ( in breve : tempo proprio ) del fenomeno. Viene indicato con ∆τ ________ Se si pone γ = 1 / √ 1 - (v/c)2 La (3) diventa ∆t' = γ ∆t (4) In cui γ (≥1) è detto coefficiente di dilatazione dei tempi L'andamento di γ in funzione della velocità v è quello γ

rappresentato in figura c è detto velocità limite 1 v c § 7 La contrazione delle lunghezze Si consideri di nuovo il vagone ferroviario di § 5, in moto con velocità v verso sinistra, e si supponga che v P

al fianco dei binari siano piantati due paletti A e B . O2

L'osservatore O1, fermo a terra, misura la distanza tra i due paletti, che nel suo sistema di riferimento risulta A B ∆x Le posizioni dei due paletti non cambiano con O1 il trascorrere del tempo e ∆x è la differenza tra tali ∆x' ∆x posizioni Se un punto sul vagone impiega il tempo ∆t per passare da una posizione all'altra, si ha ∆x = v ∆t (1) Per O2, che è sul vagone, la misurazione della distanza tra i paletti, secondo il suo sistema di riferimento, è più complicata v P Di questa grandezza esiste una definizione naturale: O2

in un dato sistema di riferimento, la lunghezza di un segmento è la differenza tra le posizioni dei suoi estremi, misurate nello stesso istante di tempo, rispetto agli orologi di quel sistema di riferimento O2 può quindi misurare la distanza ∆x' tra i paletti, calcolando la differenza tra le posizioni istantanee nelle vicinanze dei suoi orologi che sono sincronizzati O2 può pure effettuare una misurazione diversa mettendosi in una posizione P del vagone e misurando l'intervallo di tempo ∆t' che intercorre tra il passaggio di un paletto vicino a P ed il passaggio del secondo paletto Evidentemente è ∆x' = v ∆t' In cui ∆t' è il tempo proprio nel sistema di riferimento di O2

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Per effetto della dilatazione dei tempi (v § 6), al tempo ∆t' corrisponde, nel sistema di riferimento di O1, che si muove rispetto ad O2, un tempo ∆t più lungo; cioè è ∆t = γ ∆t' Da cui ∆x' = v ∆t' = v ∆t / γ E, ricordando la (1), si ha ________ ∆x' = ∆x / γ = √ 1 – (v/c)2 ∆x Essendo il radicando ≤ 1 si può affermare che la lunghezza di un oggetto, in un sistema di riferimento solidale con esso, risulta minore della lunghezza propria dell'oggetto in un sistema di riferimento in cui esso è in quiete (fermo) Ne consegue che la lunghezza propria è la massima lunghezza di un segmento, che può essere misurata nei vari sistemi di riferimento Si può pertanto affermare che il movimento provoca una contrazione delle distanze Come per il tempo si deve concludere che anche lo spazio assoluto non esiste Questo carattere relativo delle grandezze fisiche dà il nome alla teoria einsteiniana, che è stata confermata da numerosi esperimenti con gli acceleratori di particelle § 8 La meccanica relativistica può sostituire quella classica Tenendo presenti gli assiomi di Einstein ( § 4 ) e tenendo presente che il principio di simultaneità è relativo ( § 5 ) e che la durata di un fenomeno varia, allungandosi ( § 6 ) e che varia anche la lunghezza di un segmento, accorciandosi, su queste basi è possibile costruire tutta la meccanica relativistica, sostituendo quella classica di Galileo e Newton, quando le velocità dei corpi in moto non siano troppo piccole rispetto alle velocità della luce c § 9 L'equivalenza tra massa ed energia Nella meccanica classica valgono le leggi indipendenti di conservazione dell'energia e della massa Nella meccanica relativistica, invece, si scopre che la "massa" non si conserva separatamente. Infatti essa non è se non una forma di energia, che va aggiunta all'energia cinetica ed alla energia potenziale quando si parla di conservazione dell'energia .Per la teoria della relatività la massa di un corpo, che assorbe una certa quantità di energia E, non si conserva, ma aumenta della quantità ∆m = E / c2 (1) Invece la massa di un corpo, che perde dell'energia ( ad es emettendo luce.), diminuisce della stessa quantità (1 ) S' S S' S § 10 La quantità di moto della luce v p1' v p1 p1y' px' Per dimostrare la (1) di § 9 occorre sapere che la luce non trasporta solo energia ma anche quantità di M m v m moto Un corpo che assorbe un lampo di luce con energia , E, riceve una quantità di moto p = E / c (1) px' Sia M un corpo di massa m, fermo nel sistema di p2 p2y' riferimento S, che assorbe nello stesso istante due p2'

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lampi di luce provenienti da due direzioni opposte che trasportano, ognuno, l'energia E / 2 Ciascun "pacchetto di energia cede al corpo una quantità di moto p = E / 2c Poiché le due quantità di moto hanno stessa direzione, stessa intensità e versi opposti la loro risultante vettoriale è nulla. Il corpo resta fermo, perché la sua quantità di moto non è variata Se si osserva lo stesso fenomeno in un sistema di riferimento S' che si muove, perpendicolarmente alla direzione delle quantità di moto p1 e p2, alla velocità costante v, rispetto ad S, la somma vettoriale delle due quantità di moto. cedute dalla luce al corpo di massa m, non è nulla, perché le due componenti px', che hanno stessa direzione e stesso verso, si sommano, dando come risultato 2 px', mentre le due componenti verticali py ' hanno stessa direzione ma verso opposto e quindi si annullano La figura a fianco rappresenta la quantità di moto p' ( AC ) A orientata verso la massa m, la sua componente orizzontale p'

px' ( BC ), la velocità della luce c ( AE ) e la velocità v del c

moto del sistema S' rispetto ad S (DE ) B C Dall'uguaglianza dei due triangoli rettangoli ABC ed ADE px'

si ricava px' = (v/c) p' = (v/c) E / 2c = v E / 2 c2 Quindi la quantità di moto del corpo aumenta della entità D v E ∆p' = 2 px' = v E / c2

Il modulo della quantità di moto del corpo, nel sistema inerziale S', prima dell'assorbimento dei due pacchetti di energia, uguali a E / 2, era pa' = m v (1) Dopo tale assorbimento la (1) diventa pb' = pa' + ∆p' = mv + v E / c2 D'altra parte la velocità del corpo non cambia qualunque sia il sistema di riferimento, quindi deve essere cambiata la sua massa Dopo avere assorbito l'energia E, il corpo deve avere una massa m' tale che sia pb' = mv + v E / c2 = m' v (2) Dal 2° e dal 3° membro della (2) si ottiene m' - m = E / c2 (3) Cioè ∆m = E / c2 che è la (1) di § 9 che si voleva dimostrare § 11 La massa è energia La (1) di § 9, scritta di solito E = m c2 (1) è la relazione di Einstein, che permette di affermare che la massa è una forma di energia in quanto essa scompare quando compare energia e viceversa Un corpo fermo e non soggetto a forze possiede una energia E0, detta energia di quiete o di riposo, per il solo fatto di avere una massa m0 Si può scrivere E0 = m0 c

2 (2) § 12 Energia, massa e quantità di moto in dinamica relativistica -1- L'energia totale relativistica Un corpo fermo possiede l'energia di riposo E0 ( v la (2) di §11 ). Secondo la fisica classica , se si muove con velocità v, possiede anche un'energia cinetica K = ½ m0 v

2 Si suppone che il corpo non sia soggetto a forze, per cui non si tiene conto di energie potenziali L'energia totale E, per la fisica classica ( cioè per il modulo di v molto piccolo rispetto a c), è E = m0 c

2 + ½ m0 v2 = m0 c

2 [ 1 + ½ (v/c)2 ] (1)

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Quando v/c è molto piccolo (< 0,2) il termine tra parentesi quadre della (1) è uguale al fattore di dilatazione γ ( la (4) di § 6 ) Per cui la (1) è da ritenersi una approssimazione della m0 c

2 E = = γ m0 c

2 (2) √ 1 – (v/c)2 che è l'energia totale relativistica Il grafico di E in funzione di v ha un asintoto verticale per v = c. Ciò significa che, se v si avvicinasse a c, la sua energia totale tenderebbe a diventare infinitamente grande. Quindi per accelerare un corpo fino a portarlo a velocità c, occorrerebbe fornirgli una quantità infinita di energia . Poiché ciò non è possibile, c risulta una velocità limite: nessun corpo può raggiungerla, né tantomeno superarla -2- Ovviamente l'energia cinetica relativistica Kr è la differenza tra l'energia totale del corpo e la sua energia di riposo Quindi Kr = E - m0 c

2 = γ m0 c2 - m0 c

2 = (γ - 1) m0 c2 (3)

Quando v è molto minore di c, ( condizione della fisica classica ), riprendendo la (1), la (3) si può scrivere nel modo seguente Kr = [ 1 + ½ (v/c)2 – 1 ] m0 c

2 = ½ m0 v2

che è l'espressione della energia cinetica della fisica classica -3- La massa relativistica Analogamente a quanto fatto per le altre grandezze, si può definire la massa relativistica come m0 m = γ m0 = (4) √ 1 – (v/c)2 E poiché dalla (2) di § 12 risulta γ m0 = E / c2 si ha m = E / c2 che è la (1) di § 11 Dalla (4) si deduce che la massa relativistica non è una costante (come nella fisica classica) ma una funzione della velocità Per v = 0 è γ = 1 e quindi m = m0 , che è la massa di riposo del corpo, misurata nel sistema di riferimento a corpo fermo -4- La quantità di moto relavistica La quantità di moto relativistica di un corpo di massa m, in moto con velocità v, si può definire come pr = m v = γ m0 v Per v molto minore di c, ricordando quanto detto al § 12, si ha pr = m0 v [ 1 + ½ (v/c)2 ] = m0 v (5) essendo il termine tra parentesi quadre praticamente uguale a 1 La (5) è l'espressione della quantità di moto nella fisica classica

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§ 13 La conservazione dell'energia A differenza delle grandezze fisiche considerate nel § 12, che hanno espressioni diverse nella fisica classica e in quella relativistica, le leggi di conservazione dell'energia e della quantità di moto valgono sempre § 14 Il problema della gravitazione Innanzitutto va ricordato che la massa inerziale è la massa che sotto l'azione della forza di 1 N accelera di 1 m/s2 ( m = F/a ) e che la massa gravitazionale è quella cui si fa riferimento nella formula newtoniana della gravitazione universale F = G m1 m2 / r2

( v § 59 della "Meccanica" ) Le due masse sono proporzionali tra di loro, anzi (scegliendo opportunamente l'unità di misura) sono addirittura uguali L'uguaglianza della massa inerziale e della massa gravitazionale di uno stesso corpo giustifica il fatto che tutti i corpi, che si trovano nella stessa zona dello spazio, risentono della stessa accelerazione di gravità, indipendentemente dalla loro massa o dal loro materiale. Questo risultato sperimentale portò Einstein a formulare la sua teoria della gravitazione Osserviamo ora due fenomeni Supponiamo che un ascensore, per la rottura delle funi, cada in caduta libera: sia l'ascensore, sia le persone, sia gli oggetti nella cabina cadono (prescindendo dagli attriti) con la stessa legge del moto, dovuta alla gravità. ( v il § 30 della "Meccanica" ) Le persone nell'ascensore non avvertono più la pressione alle piante dei piedi, dovuta al loro peso, né il peso di un eventuale oggetto nelle loro mani Si è in un campo gravitazionale e le masse dei corpi in caduta libera sono masse gravitazionali Supponiamo ora che una astronave viaggi nello spazio di moto rettilineo uniforme (assenza totale di forze) a distanza enorme da qualsiasi corpo che possa esercitare su di essa un'attrazione, (quindi fuori della legge di Newton) Anche in questo caso si osserva il fenomeno di assenza di peso, però non c'è campo gravitazionale, perciò le masse sono inerziali § 15 Il principio di equivalenza Sulla base di esperimenti simili a quelli descritti nel § 14, Einstein formulò il principio di equivalenza, il quale stabilisce che in una zona dello spazio-tempo è sempre possibile scegliere un sistema di riferimento tale da simulare l'esistenza di un campo gravitazionale (come nel caso dell'astronave di §14) o viceversa, in modo da eliminare l'effetto della forza di gravità Sul principio di equivalenza e sul principio di relatività generale, secondo il quale le leggi della fisica hanno la stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento ( anche accelerato ), (v § 4) è basata la teoria della relatività generale Secondo questa teoria lo spazio-tempo è lo spazio a quattro dimensioni consistenti nelle tre coordinate cartesiane x, y, z e dalla coordinata t ( tempo ) Un punto di questo

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spazio-tempo rappresenta un evento fisico che si verifica in un determinato punto dello spazio ed in un determinato istante In relatività generale si verifica che ---la presenza di masse incurva lo spazio-tempo ---i corpi soggetti alla forza di gravità si devono considerare come delle particelle libere che si muovono secondo le geodetiche dello spazio-tempo § 16 Gravità e curvatura dello spazio Il 5° postulato euclideo affermava che nello spazio passa una ed una sola parallela ad una retta data. Da questo derivavano altri postulati, tra cui quello che asseriva che la distanza minima tra due punti è il segmento di retta che li unisce Modificando il postulato di Euclide nacquero nuove teorie geometriche ( ad es quella che dice che per un punto esterno ad una retta passano infinite rette parallele alla retta stessa) Si può visualizzare uno spazio non euclideo, bidimensionale, pensando alla superficie di una sfera. Occorre dimenticare che la sfera è immersa nello spazio euclideo tridimensionale, che è come se non esistesse Una retta, che nello spazio euclideo passa per due punti A e B, in questo spazio è una circonferenza massima ( il piano che la contiene passa per il centro della sfera ), passante per A e B; e un segmento di retta AB è l'arco AB di lunghezza minima sulla superficie sferica Linee tra A e B all'esterno o all'interno della sfera non esistono Per un punto esterno alla suddetta circonferenza non è possibile tracciare nessuna (circonferenza) parallela ad essa perché tutte le circonferenze massime, passanti per quel punto. Intersecano la circonferenza stessa Tre rette nello spazio bidimensionale, ossia tre circonferenze massime, delimitano un triangolo Dati due punti, sulla circonferenza equatoriale, distanti tra di loro un quarto di circonferenza e date due circonferenze passanti, ognuna, per uno dei due punti e passanti entrambe per il polo Nord, le tre circonferenze suddette delimitano un triangolo avente tre angoli retti, perché le circonferenze si intersecano con angoli di 90°. Quindi la somma degli angoli interni di un triangolo, in una tale geometria, è maggiore di 180° Gli spazi nella geometria non euclidea hanno una curvatura, positiva o negativa e si dicono perciò curvi: Gli spazi della geometria euclidea si dicono piatti Per stabilire se la curvatura è positiva o negativa, basta misurare gli angoli interni di un triangolo: se la loro somma è maggiore di 180° la curvatura è positi va; se la somma è minore di 180° la curvatura è negativa § 17 Le curve geodetiche In ogni spazio le linee di lunghezza minima che uniscono due punti si chiamano curve geodetiche. Nello spazio euclideo esse sono dei segmenti di retta; in uno spazio rappresentato da una sfera esse sono degli archi di circonferenza massima AC e BC, nella figura, rappresentano due curve geodetiche in uno spazio bidimensionale Se due punti materiali le C

percorrono alla stesa velocità, partendo contemporaneamente da A e da B, osservandoli in tempi successivi notiamo che la loro distanza d diminuisce continuamente. Supponiamo che un osservatore esterno veda i due punti

d A

B

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materiali in movimento, ma non la forma dello spazio sferico. Dall'avvicinamento dei due punti egli concluderà che tra i due punti c'è attrazione. Questo è un modello semplificato della gravitazione secondo Einstein: la presenza di masse incurva la geometria dello spazio-tempo Nel contesto della teoria della relatività la gravità ha un ruolo particolare: le sue caratteristiche non sono dovute a forze agenti nello spazio, ma alla struttura geometrica stessa dello spazio § 18 Le onde gravitazionali La geometria dello spazio-tempo è determinata dalla distribuzione delle masse presenti in esso Se tale distribuzione viene modificata (ad es perché una di tali masse si sposta rapidamente) la geometria dello spazio cambia e si propaga in tutto l'Universo alla velocità della luce c Tale propagazione si chiama onda gravitazionale Le onde gravitazionali possono essere rivelate da un'antenna gravitazionale che è un cilindro di grande massa che può essere messo in oscillazione al passaggio di un'onda alla temperatura prossima allo zero assoluto Essendo il segnale molto debole, nessuno degli apparati sperimentali è riuscito a captare un segnale che sia sicuramente un'onda gravitazionale

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LA FISICA ATOMICA

§ 19 L'effetto fotoelettrico – Il potenziale d'arresto – La costante di Plank Certi metalli, colpiti da un fascio di luce di lunghezza d'onda opportuna, emettono elettroni ( v § 34 di "Elettricità e magnetismo" ) Il fenomeno raggi ultravioletti si chiama effetto fotoelettrico L'apparato sperimentale, utilizzato da Leonard, è rappresentato schematicamente in figura. L M

L ed M sono due elettrodi posti in un tubo, di elettroni

forma opportuna, in cui è fatto il vuoto Tra di essi A c'è la differenza di potenziale ∆V = VM - VL, i che può essere variata in intensità e verso con vvvvvvvvvv il dispositivo R R L'elettrodo L, colpito da un fascio di raggi ultravioletti monocromatici, se ∆V ha un certo valore, emette degli elettroni che, muovendosi da L a M, chiudono il circuito e l'amperometro segna una corrente i (di verso opposto, per convenzione, a quello del flusso di elettroni) i Le due curve della figura a fianco rappresentano l'andamento della intensità di corrente in funzione di ∆V, per due diversi valori dell'irradiamento, con luce monocromatica della stessa frequenza. | In entrambi i casi, oltre un certo ∆V > 0, la i non varia al - ∆VA ∆V

crescere di ∆V. La i si annulla completamente per un certo valore di ∆V = - ∆VA, detto potenziale di arresto, indipendente dall'irradiamento ∆VA Ciò significa che l'energia cinetica massima Kmax degli elettroni, emessi, per effetto fotoelettrico, da L di un certo metallo, dipende soltanto dalla lunghezza d'onda della luce Il valore del ∆VA cresce linearmente al crescere della frequenza della luce f = c / λ (1) fmin f ( dove c è la velocità e λ è la lunghezza d'onda della luce irradiante) Per ogni metallo esiste una frequenza minima fmin al di sotto della quale l'effetto fotoelettrico non si verifica Questo fatto è in contraddizione con quanto affermato dalla teoria di Maxwell: Kmax e ∆VA

dovrebbero crescere linearmente con l'aumento dell'irradiamento ma ciò non avviene. Per spiegare tali anomalie Einstein ha ipotizzato che la luce sia composta da pacchetti di energia: i quanti del campo elettromagnetico, chiamati poi fotoni, che hanno massa nulla e portano un'energia E, direttamente proporzionale alla frequenza della luce E = h f (2) dove h è la costante di proporzionalità detta costante di Planck, h = 6,626 10 –34 J s Einstein concluse che nella radiazione elettromagnetica l'energia è quantizzata, il che significa che, fissata la frequenza f, l'energia trasportata da un fascio luminoso monocromatico può assumere solo un insieme discreto di valori, tutti multipli di una quantità fondamentale Ricordando che, per la (1) di § 10 la quantità di moto di ogni fotone è p = E / c è anche p = h f / c

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da cui risulta che anche la quantità di moto è proporzionale ad f e quindi quantizzata Il modello a fotoni di Einstein non contraddice la teoria elettromagnetica di Maxwell: il flusso di fotoni che costituisce un fascio di luce si comporta come un'onda § 20 Spiegazione dell'effetto fotoelettrico Un elettrone può uscire dal metallo se l'energia del fotone che lo colpisce è almeno uguale al lavoro di estrazione We ( v § 33 di "Elettricità e magnetismo" ) Quindi deve essere E = h f ≥ We da cui f ≥ We / h Si conferma quindi che esiste una frequenza minima al di sotto della quale l'effetto fotoelettrico non si verifica Un elettrone, che assorbe un fotone avente energia E = h f e non dissipa energia, esce dal metallo con energia cinetica Kmax e per il principio di conservazione dell'energia si può scrivere Kmax = h f - We che permette di confermare che Kmax dipende soltanto dalla frequenza della luce incidente sul metallo di L § 21 Lo spettro dell'atomo di idrogeno Lo spettro di righe della luce emessa da un gas monoatomico, portato ad alta temperatura o attraversato da una corrente elettrica, è un insieme di righe brillanti, di diverso colore, corrispondenti, ognuna, ad una ben determinata frequenza. Le frequenze, nell'ambito della luce visibile, delle righe dello spettro dell'idrogeno, sono calcolabili con la formula f = c RH ( ¼ - 1/n2 ) In cui c è la velocità della luce, RH = 1,0968 107 m –1 è una costante di proporzionalità ed n è un numero intero maggiore di 2. Ci sono anche delle righe, corrispondenti a frequenze nell'ambito dell'infrarosso e dell'ultravioletto, che sono calcolabili con la formula più generale f = c RH ( 1/m2 - 1/n2 ) (1) In cui m ed n sono numeri interi positivi ( con n > m ) All'inizio del secolo scorso non era affatto chiaro perché ogni elemento avesse un diverso spettro di emissione, ed il problema divenne ancora più grave quando Rutherford propose il modello atomico planetario, secondo cui gli elettroni ruotano attorno al nucleo, come i pianeti attorno al Sole Infatti gli elettroni, in tal caso, sarebbero soggetti ad una accelerazione centripeta ( v § 5 della "Meccanica" ) e, secondo Maxwell, in quanto cariche accelerate, emetterebbero energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Però: - l'emissione continua di energia farebbe avvicinare gli elettroni al nucleo con moto a spirale, fino a cadere su di esso nel tempo di 10 –7 s - durante il movimento a spirale, le onde elettromagnetiche emesse dovrebbero avere uno spettro continuo, cioè dovrebbero contenere tutte le frequenze tra un massimo ed un minimo La prima di queste due deduzioni è in contrasto con l'esperienza secondo cui gli atomi non collassano in 10 –7 s e, se non sono disturbati, non emettono onde elettromagnetiche. La seconda deduzione non è compatibile con il fatto che gli spettri di righe non sono affatto continui

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La teoria di Bohr diede una prima risposta al problema delle contraddizioni tra le deduzioni teoriche e l'esperienza, risposta che sarà approfondita in seguito § 22 La "vecchia" meccanica classica Bohr sosteneva ( v § 90 di "Elettricità e magnetismo" ) che, a livello atomico, la fisica classica non valeva ed aveva introdotto due postulati - il raggio delle orbite degli elettroni può avere solo un certo insieme di valori permessi - quando l'elettrone percorre una di tali orbite non irradia Considerando un elettrone che percorre un'orbita, che per semplicità si suppone circolare, con quantità di moto p = m v, secondo Bohr le sole orbite permesse sono quelle i cui raggi sono dati dalla formula 2 π rn pn = n h (1) dove n è un numero intero, pn è il modulo della quantità di moto di un elettrone sull'orbita ennesima ed h è la costante di Planck Dalla formula (2) del § 91 di "Elettricità e magnetismo" si ricava il modulo della velocità di una massa m, con carica -e, che descrive un'orbita circolare di raggio rn, attorno ad una carica centrale +e. Essa è e vn = 2 √ π ε0 m rn Sostituendo tale valore nella (1) e tenendo conto del fatto che pn = m vn si ottiene π m rn ε0 h

2

e = n h da cui rn = n2 (2) ε0 π m e2

che è la (1) di § 92 di "Elettricità e…", dalla quale è possibile ricavare la (2) dello stesso §, che è 1 m e4 E(n) = - (3) n2 8 ε0

2 h2 che fornisce l'energia di un elettrone che percorre la n-sima orbita permessa, di raggio rn n è detto numero quantico principale, che definisce l'orbita permessa (v la (2)) e con la (3) l'energia che l'elettrone ha quando si trova su di essa ( A causa del segno - aumentando n aumenta E(n) e viceversa) Il secondo postulato di Bohr sembrava contraddetto dal fatto che un gas attraversato da una corrente elettrica emette luce. Si trattava di stabilire come ciò avviene Bohr postulò che un fotone è emesso (irradiato) da un atomo, quando un suo elettrone passa da un'orbita permessa, di energia maggiore, ad un'altra orbita permessa, di energia minore Esaminiamo il caso dell'atomo di idrogeno, che ha un solo elettrone. Quando tale elettrone riceve energia dall'esterno, ad es per effetto di un urto, può passare, dall'orbita in cui si trova, ad un'orbita, di numero quantico n1, con energia E(n1) maggiore di quella precedente; l'elettrone, così disturbato, si trova in uno stato eccitato ; così, dopo poco tempo, salta su un'orbita di numero quantico n2, minore di n1, la cui energia E(n2) è minore di E(n1) La differenza di energia E = E(n1) – E(n2) ( > 0 e quindi repulsione) è

emessa sotto forma di un fotone, la cui frequenza è ( v la (2) di § 19 ) f = E / h (4)

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Dalla (3) e dalla (4) si ricava E(n1) – E(n2) m e4 f = = ( 1/n2

2 – 1/n12 )

m e4 h 8 ε02 h3

e ponendo = c RH si ottiene la (1) di § (21) ricavata dalle ipotesi di 8 ε0

2 h3 Bohr. Si può quindi affermare che il modello atomico di Bohr, insieme con la teoria dei fotoni di Einstein, spiegano lo spettro dell'atomo di idrogeno. Oltre ad emettere fotoni, un atomo può assorbirne, se questi hanno un'energia uguale alla differenza di energia tra le due orbite permesse. Quindi un atomo assorbe le stesse frequenze che è in grado di emettere § 23 Proprietà ondulatorie della materia -1- Dualità onda-particella della luce Nella natura della luce esiste una dualità: sotto certi aspetti la luce si comporta come un'onda ( ad es l'interferenza è un comportamento esclusivo delle onde ); sotto altri aspetti si comporta come se fosse composta da particelle: i quanti di luce o fotoni -2- Dualità onda-particella della materia De Broglie ipotizzò che una simile dualità esista anche per la materia ed intuì che ad ogni particella materiale, con quantità di moto p, è associata un'onda di lunghezza λ = h/p (1) detta lunghezza d'onda di de Broglie Per gli oggetti macroscopici, essendo h molto piccola, λ è trascurabile e quindi non dà luogo a nessun effetto osservabile; invece a livello atomico λ è abbastanza grande da influire sul comportamento degli elettroni e delle altre particelle subatomiche La proposta di de Broglie a) ingloba la relazione di Planck ( E = h f ) per i fotoni e b) permette di giustificare la condizione di quantizzazione di Bohr per l'atomo di idrogeno Per il punto a), dalla p = E / c e dalla λ = c / f si ricava E = h f che è appunto la relazione di Planck per i fotoni Per il punto b), se un elettrone percorre indisturbato una certa orbita, ad esso è associata un'onda stazionaria (cioè un'onda che dopo un giro si richiude su se stessa), che deve rimanere invariata finché l'elettrone non cambia stato di moto Ma un'onda per richiudersi su se stessa senza discontinuità deve avere un numero intero di lunghezze d'onda e quindi l'orbita deve avere una lunghezza uguale a un multiplo della lunghezza d'onda associata all'elettrone, e cioè n λ Se rn è il raggio dell'orbita si ha 2 π rn = n λ e quindi, per la (1) 2 π rn pn = n h che è la condizione di quantizzazione di Bohr per un'orbita circolare dell'atomo di idrogeno, cioè la (1) di § 22 Secondo de Broglie, è la natura ondulatoria dell'elettrone a determinare le proprietà degli atomi e la quantizzazione della loro energia

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-3- Esperimento di Davisson e Germer La natura ondulatoria ( oltreché corpuscolare ) della materia venne verificata con un esperimento in cui un fascio di elettroni, la cui lunghezza d'onda, calcolata con la (1), era dello stesso ordine di grandezza del passo reticolare del metallo che fungeva da reticolo di diffrazione, passando attraverso il metallo dava luogo ad una figura di diffrazione, analoga a quella ottenuta con raggi X, della stessa lunghezza d'onda, che attraversavano lo stesso bersaglio Si concluse così che c'è analogia tra comportamento della radiazione elettromagnetica e quello delle particelle della materia: entrambi mostrano in certi fenomeni natura ondulatoria, in altri natura corpuscolare. La fisica quantistica riuscì ad inquadrare in un'unica teoria questo duplice aspetto. § 24 Il principio di indeterminazione – La costante di Plank ridotta Il principio di indeterminazione è la base della fisica quantistica La fisica prende in considerazione solo entità che possono essere misurate Mentre nel mondo macroscopico si può ad es osservare la traiettoria di un corpo illuminandolo, senza che l'energia luminosa ne vari in modo apprezzabile la quantità di moto, nel mondo microscopico una radiazione elettromagnetica, che investa un elettrone per determinarne posizione e traiettoria, ne varia in modo imprevedibile la quantità di moto. Per oggetti subatomici non ha senso parlare di traiettoria Questa considerazione qualitativa è resa quantitativa dal principio di indeterminazione di Heisenberg 1^ forma Dette ∆x e ∆p le indeterminazioni della posizione x e della quantità di moto p di un corpo materiale, Heisenberg dimostrò che: ∆x ∆p ≅ h / 2 π Se un corpo si muove su una retta, la sua posizione x e la sua quantità di moto p si possono misurare con le incertezze ∆x e ∆p, che sono inversamente proporzionali l'una rispetto all'altra Ciò non è dovuto ad imprecisione degli strumenti di misura, ma al fatto che nell'effettuare la misura di x si perturba il moto del corpo, cosicché il valore di p risulta mal determinato La quantità h/2π si chiama costante di Plank ridotta Se la costante di Planck fosse uguale a zero, ∆x e ∆p potrebbero essere contemporaneamente uguali a zero ed avrebbe senso parlare di una certa posizione x (cioè una certa traiettoria ed una certa quantità di moto) Ma poiché la costante di Planck, seppur piccola, è diversa da zero, ∆x e ∆p non possono mai essere uguali a zero contemporaneamente. Non è quindi possibile affermare che un corpo si trova esattamente in una certa posizione e che la sua quantità di moto è, ad es, nulla, cioè che il corpo è fermo in quella posizione Il principio di indeterminazione vale per tutti i corpi, ma per gli oggetti macroscopici che ci circondano esso è trascurabile, essendo ∆x e ∆p dell'ordine di grandezza degli errori di misura: ciò per effetto della piccolezza di h 2^ forma Dette ∆t e ∆E le indeterminazioni sul tempo e sull'energia , Heisenberg dimostrò che ∆t ∆E = h / 2 π

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Anche in questo caso la misura di un'energia E e quella del tempo t di durata della misura sono proporzionali fra loro. Più breve è la durata della misura, più imprecisa è la misura stessa Valgono per la 2^ forma le stesse considerazioni fatte per la 1^ La quantità h / 2 π è detta costante di Plank ridotta e vale 1,054 10 –34 J s § 25 Onde di probabilità e dualismo onda-corpuscolo Si è visto al § 23 che le particelle materiali si comportano in modo simile a quello delle onde elettromagnetiche. Ma, mentre nel caso di un' o.e.m. si ha la vibrazione del campo elettrico e del campo magnetico ( v § 80 di "Elettricità e …." ), non si sa che cosa vibra in un'onda di materia Secondo la fisica quantistica ciò che vibra in un'onda di materia è una grandezza, non interpretabile con la fisica classica, cui è stato dato il nome di ampiezza di probabilità indicata con la lettera ψ Essa è una funzione che dipende da x, y, z, e da t e serve per calcolare la probabilità che una determinata particella si trovi in un certo volume ∆V di spazio nell'intervallo di tempo ∆t. Questa probabilità è proporzionale a ψ2 Nei punti in cui ψ oscilla c'è una certa probabilità di trovarvi la particella, mentre dove la ψ = 0 la particella di certo non c'è A questo gruppo localizzato di vibrazioni si dà il nome di pacchetto d'onde Se si esegue una misura di posizione, si trova certamente un elettrone in un punto dello spazio dove ψ ≠ 0 Mentre, facendo uso delle leggi della fisica classica si può determinare esattamente la posizione di un corpo e quindi la sua traiettoria, conoscendo la posizione e la velocità iniziale ψ è molto dispersa.Le informazioni

del corpo, la sua massa e le forze sulla posizione della particella sono

che agiscono su di esso, in fisica poco precise. Maggiore precisione

quantistica ciò non è possibile per la quantità di moto

perché a parità di condizioni essa permette di calcolare solo Posizione della particella definita l'ampiezza di probabilità ψ e meglio. Minore precisione sulla

cioè la probabilità che il corpuscolo quantità di moto

si trovi , in un certo istante, in una certa posizione. Posizione definita molto bene

L'ampiezza di probabilità si può Quantità di moto definita molto

calcolare risolvendo l'equazione male

di Schroedinger

In conclusione non è possibile stabilire se un insieme di elettroni che si propagano nello spazio, trasportando energia e costituendo una radiazione, sono onde o corpuscoli Quando si propaga nello spazio una radiazione si deve considerare come costituita da pacchetti d'onda; quando la si esamina mentre interagisce con qualche dispositivo, essa si comporta come onda o come corpuscolo a seconda del tipo di misura che si effettua su di essa

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§ 26 Stabilità degli atomi Per descrivere gli aspetti, corpuscolare ed ondulatorio, della radiazione, si fa uso di modelli. Si tratta di due descrizioni diverse ma non contraddittorie. Il principio di indeterminazione permette di unificare i due aspetti. Ad es. aiuta a capire la stabilità degli atomi che è dovuta ad una situazione di equilibrio tra la forza di Coulomb, che tenderebbe ad attirare gli elettroni sul nucleo ed il principio di indeterminazione che impedisce loro di andare troppo vicino al nucleo, perché avrebbero una troppo grande quantità di moto e quindi di energia cinetica Le dimensioni dell'orbita dell'elettrone risultano dall'equilibrio di questi due effetti contrastanti Non potendo immaginare gli elettroni come minuscoli pallini (non hanno massa), e dovendo quindi escludere il modello corpuscolare, bisogna usare il modello ondulatorio Gli elettroni sono descritti dalla loro ampiezza di vibrazione come una specie di nuvola elettronica che abbraccia il nucleo ed è detta orbitale. Non vi sono elettroni che girano attorno al nucleo; gli orbitali sono stazionari, Quindi la probabilità di trovare un elettrone ad una certa distanza dal nucleo non cambia nel tempo Il principio di esclusione di Pauli ( v il § 90 di "Elettricità e ….." ) che affermava " Su una stessa orbita non possono muoversi più di due elettroni" , nel linguaggio della teoria quantistica diventa: " non più di due elettroni possono essere descritti dalla stessa ampiezza di probabilità, cioè dalla stessa nuvola elettronica" In altre parole: non più di due elettroni possono occupare lo stesso orbitale Gli Z elettroni di un atomo si devono quindi distribuire su molti diversi orbitali, di cui solo i più esterni determinano le proprietà chimiche dell'elemento di numero atomico Z. Rimaneva da spiegare perché gli elettroni non irraggiano. La loro ampiezza di probabilità è diversa da zero ma non c'è flusso circolare di carica elettrica (perché gli elettroni no si muovono) e quindi non c'è irraggiamento. Questa apparente contraddizione con il modello di Bohr è risolta come conseguenza della natura ondulatoria degli elettroni. § 27 Irraggiamento e assorbimento di fotoni Secondo Bohr gli elettroni emettono fotoni nel "saltare" da un'orbita con raggio maggiore ( maggiore energia ) ad un'orbita di raggio minore ( minore energia ) Cioè gli elettroni irraggiano quando l'ampiezza di probabilità di trovare l'elettrone varia improvvisamente Questo "salto" corrisponde ad un flusso di carica da una certa zona ad una più interna e ciò dà luogo all'emissione di onde elettromagnetiche Un atomo con numero atomico Z, che si trova nel suo stato di energia minima, cioè quando i suoi elettroni sono il più vicino possibile al nucleo, si dice che è nel suo stato fondamentale Gli stati di energia maggiore si dicono stati eccitati Parlando di stato atomico ci si riferisce all'andamento nello spazio delle ampiezze di probabilità di tutti i suoi elettroni Quanto sopra è conseguenza della natura ondulatoria degli elettroni Per quanto riguarda l'energia degli stati permessi, si parla di livelli energetici dell'atomo Quelli di energia minima sono i livelli fondamentali; i livelli energetici eccitati sono quelli con energia maggiore

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Quando un sistema quantizzato, che contiene cariche elettriche, passa da un livello energetico più alto ad uno più basso, si dice che compie una transizione, emettendo un fotone di energia uguale alla differenza di energia tra i due stati tra cui avviene la transizione Così si spiega l'osservazione degli spettri di righe a partire dalla natura ondulatoria degli elettroni atomici, detta teoria quantistica § 28 Fisica classica e fisica moderna Durante il primo quarto del XX° secolo c'è stata una rifondazione di tutta la fisica Si è dovuto rinunciare a due idee classiche fondamentali: il tempo assoluto e la natura corpuscolare delle particelle subatomiche Ora si sa che lo scorrere del tempo e la simultaneità sono concetti relativi; la massa è una forma di energia; gli elettroni ed i fotoni hanno una duplice natura: ondulatoria e corpuscolare. Essi si propagano sotto forma di onde. Nel caso dei fotoni, le grandezze che oscillano sono il campo elettrico ed il campo magnetico; nel caso degli elettroni oscilla l'ampiezza elettronica di probabilità La struttura degli atomi, delle molecole e dei solidi è determinata dalle proprietà ondulatorie degli elettroni La fisica classica non è però da rigettare in toto. Le leggi della meccanica classica sono più che sufficienti a spiegare il moto dei corpi ordinari le cui velocità sono ben inferiori alla velocità della luce e le cui dimensioni non sono microscopiche.

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LA FISICA NUCLEARE

§ 29 I nuclei degli atomi Secondo Rutherford l'atomo è costituito da un nucleo, al centro di un atomo, con Z elettroni. La carica del nucleo è Ze. Per chiarire come era fatto il nucleo, gli sperimentatori bombardarono con particelle alfa (nuclei di elio), ) angolo di diffusione dotate di una grande energia cinetica, i nuclei di Particella alfa metalli più pesanti, come l'oro e il platino. Le particelle alfa, che passavano lontano dal nucleo Lamina d'oro del metallo pesante, non subivano alcuna deviazione; se passavano vicine venivano deviate di un angolo detto angolo di diffusione, tanto maggiore quanto più vicine al nucleo passavano le particelle. Quando le distanze dal nucleo erano dell'ordine di 10 –14 m, le particelle alfa erano soggette, oltreché alla forza di Coulomb, anche ad altre forze, dette forze nucleari, che ne modificavano la traiettoria Numerose esperienze fatte usando particelle, caricate artificialmente, sui nuclei di tutti gli elementi del sistema periodico, permise di stabilire che il nucleo atomico è un corpicciolo, circa sferico, con un diametro di 10 –14 m ( 50 000 volte più piccolo del diametro di un atomo) § 30 I protoni ed i neutroni Rutherford, facendo passare un fascio di particelle alfa attraverso uno strato di azoto, osservò che talvolta un nucleo di azoto, colpito da una particella alfa, la catturava, trasformandosi in un nucleo di ossigeno, ed emetteva una particella diversa da quella incidente. Questa trasformazione di un elemento in un altro si chiama trasmutazione La particella emessa, che ha carica +e, è stata chiamata protone Qualche anno dopo Chadwick, bombardando, con particelle alfa del berillio, scoprì che i nuclei di questo elemento si disintegrano, emettendo una nuova particella, fino ad allora sconosciuta, il neutrone, così chiamato perché elettricamente neutro

Si stabilì così che un nucleo è composto da un certo numero di protoni e di neutroni, detti nel complesso nucleoni, che interagiscono tra di loro con forze attrattive, dette forze nucleari § 31 Numero di massa e numero atomico I nuclei sono caratterizzati dal numero atomico Z, che è il numero di protoni, che in un atomo, elettricamente neutro, è uguale al numero degli elettroni, e dal numero di massa A che è il numero di nucleoni; cioè numero di protoni Z più numero di neutroni N E' A = Z + N Indicando ad es con il simbolo

2713 Al il nucleo dell'atomo di

alluminio che ha A = 27 nucleoni, Z = 13 protoni e N = 27 – 13 = 14 neutroni, tenendo conto che 1

1 p è il simbolo del protone (Z = 1 A = 1) e che 10 n è il simbolo del

neutrone, sinteticamente una reazione nucleare, come ad es quella della trasformazione

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dell'azoto in ossigeno, ad opera di particelle alfa emesse da nuclei radioattivi di elio, si scrive nel modo seguente: 42 He + 14

7 N 11 p + 178 O

In queste reazioni il numero di nucleoni A ed il numero di protoni Z si conservano. Infatti 4 + 14 = 1 + 17 e 2 + 7 = 1 + 8 L'atomo 17

8 O è un atomo di ossigeno in quanto Z = 8 come tutti gli atomi di ossigeno, ma A non è uguale a 16 come è normalmente, ma 17 I nuclei,. che hanno lo stesso valore di Z dell'elemento base, ma un diverso valore di A, si chiamano isotopi dell'elemento con numero atomico Z La parola isotopo (dal greco = stesso posto) significa che tali atomi occupano lo stesso posto nel sistema periodico (v il § 89 di "Elettricità e….") § 32 Gli stati energetici dei nuclei L'energia di legame, nucleare è molto più forte dell'energia di legame, atomica. Il che significa che la forza di attrazione nucleare è molto maggiore della forza coulombiana, che lega gli elettroni al nucleo Come l'atomo, anche il nucleo è un sistema legato, che può trovarsi in diversi stati. Di solito esso si trova nello stato fondamentale cui corrisponde la più bassa energia Se il nucleo si trova in uno stato eccitato, che è instabile e con un'energia più elevata , in breve tempo subisce una transizione allo stato fondamentale, con l'emissione di un fotone. Poiché l'energia di legame dei nucleoni è di parecchi MeV (megaelettronvolt. La definizione di elettronvolt è nel § 33 di "Elettricità e :::::" ), anche il fotone emesso ha un'energia così elevata ed è detto fotone gamma, che ha una frequenza ben determinata. § 33 Le forze nucleari e l'energia di legame dei nuclei Se gli A = Z+N nucleoni fossero soggetti alle forze elettromagnetiche, i nuclei si disintegrerebbero, perché i protoni, tutti con carica elettrica positiva, si respingerebbero, distruggendo il nucleo. Come si è detto al § 31 , ci sono delle forze nucleari di legame, più intense delle forze coulombiane repulsive, che impediscono al nucleo di disintegrarsi Quando protoni e neutroni sono legati in un nucleo, la massa del nucleo è inferiore alla somma delle masse dei protoni e dei neutroni separati. La massa mancante, detta difetto di massa si è trasformata in energia, durante la formazione del nucleo Il prodotto del difetto di massa per c2 è uguale all'energia di legame del nucleo, che è l'energia da fornire al nucleo per separare i suoi componenti. Anche nelle reazioni chimiche si verifica un difetto di massa, ma le energie in gioco sono così piccole che si può affermare che in tali reazioni la massa si conserva. § 34 La radioattività naturale La trasformazione di un nucleo in un altro non avviene solo per effetto di un urto fra nuclei, ma anche spontaneamente, in alcuni isotopi a causa della instabilità del loro nucleo.

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Tale nucleo, emettendo un corpuscolo, si trasforma, cioè decade nel nucleo di un altro elemento, detto nucleo-figlio. Questi nuclei che si disintegrano spontaneamente si dicono radioattivi e possono decadere emettendo una particella alfa (nucleo dell'elio) oppure una particella beta (che è un elettrone), sempre accompagnata da un neutrino-elettrone ( ve ), particella senza carica, di massa pressoché nulla, viaggiante ad una velocità prossima a c § 35 La legge del decadimento radioattivo La legge secondo cui varia la massa di una sostanza radioattiva in funzione del tempo, è la stessa per tutti i corpi radioattivi ed è una curva esponenziale decrescente, detta curva di decadimento. La massa ha la caratteristica di ridursi alla metà in un tempo costante T1/2 detto periodo di dimezzamento Indicando con N0 il numero dei nuclei radioattivi presenti all'istante t = 0, con N (t) il il numero di nuclei superstiti all'istante t e con τ una costante tipica per ogni tipo di nucleo, detta vita media, si ha N(t) = N0 e

–1/τ Il periodo di dimezzamento ha un valore diverso per ogni elemento radioattivo e non dipende né dalla pressione né dalla temperatura Un elemento radioattivo può decadere in un altro elemento, emettendo particelle alfa e beta; questo nuovo elemento può, a sua volta, decadere in un altro elemento e così via, finché si giunge ad un nucleo stabile. Si hanno così delle famiglie radioattive Le tre famiglie radioattive esistenti in natura sono quelle dell'uranio, del torio e dell'attinio, che sono i capostipiti delle famiglie. I capostipiti hanno periodi di dimezzamento confrontabili con l'età della Terra ( 4,6 miliardi di anni ) §36 L'interazione debole Il meccanismo del decadimento alfa ( emissione di particelle alfa ) si spiega con il modello corpuscolare. Due protoni e due neutroni, di un nucleo che ne possiede molti, possono unirsi e dar luogo ad una particella alfa, che può lasciare il nucleo ( generando così un nucleo-figlio), purché sia conservata l'energia. Poiché la massa è energia, la massa del nucleo originario deve essere maggiore della somma delle masse del nucleo-figlio e della particella alfa; la differenza di massa compare sotto forma di energia cinetica del nucleo-figlio e della particella alfa Per quanto riguarda il decadimento beta ( emissione di elettroni ) ci si domanda come il nucleo possa emettere elettroni, dal momento che non ne contiene. La spiegazione consiste nel fatto che il neutrone, preso isolatamente, è instabile e si disintegra, con un T1/2 = 10,3 min, secondo il processo 10 n = 11 p + e + ve dando cioè origine ad un protone, un elettrone ed un neutrino-elettrone

Si ha così una creazione di particelle a spese della scomparsa di una parte dell'energia di riposo del neutrone Lo stesso fenomeno avviene quando un atomo passa da un livello eccitato al livello fondamentale, con l'emissione di un fotone.

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Fermi ha proposto una teoria della disintegrazione beta secondo la quale la creazione delle coppie elettrone-neutrino è causata da un nuovo tipo di forza detta interazione debole Riassumendo si può dire che nel caso di decadimento alfa le particelle alfa sono costituite da altre particelle già preesistenti nel nucleo; nel caso di decadimento beta si ha una creazione di nuove particelle che non preesistevano, ad opera delle forze di interazione debole Esistono isotopi naturali, che sono radioattivi beta, ed isotopi artificiali, detti radioisotopi, che emettono elettroni, oppure le loro antiparticelle, cioè gli elettroni positivi. Nel § 31 si era accennato ai fotoni gamma Essi hanno energia molto elevata e sono emessi subito dopo un decadimento alfa o beta. Ciò è dovuto al fatto che i nucleoni del nucleo-figlio, si trovano di solito in uno stato eccitato. L'eccesso di energia viene emesso sotto forma di fotoni Concludendo, si può dire che, mentre le particelle alfa sono emesse ad opera di forze nucleari e gli elettroni dall'interazione debole, i fotoni gamma sono prodotti nel processo di riassestamento del nucleo-figlio dopo una emissione alfa o beta o dopo una reazione nucleare § 37 Applicazioni dei radioisotopi Tra le numerose applicazioni dei radioisotopi, consideriamo le seguenti: I traccianti radioattivi servono per le diagnosi mediche. Facendo ingerire al paziente un preparato in cui una certa percentuale di atomi di iodio è costituita da atomi radioattivi, si riesce a determinare, mediante un contatore di raggi gamma, posto a contatto con le varie parti del corpo, dove si localizzano i radioisotopi. La terapia dei tumori fa uso di isotopi radioattivi ( come il cobalto 60 ), che penetrano nel corpo del paziente, per distruggerne le cellule cancerose. Gli isotopi radioattivi servono anche per produrre energia. Una certa quantità di sostanza radioattiva può essere una sorgente di calore. Infatti la radiazione alfa o beta , emessa dagli isotopi radioattivi, è assorbita dal materiale, che si scalda. Mettendo a contatto uno dei due poli di una pila termoelettrica con questa sorgente di calore, si ottiene una d,d.p. che può essere utile in casi particolari come ad es sui satelliti artificiali. § 38 Le reazioni nucleari Nelle reazioni chimiche, una o più molecole di sostanze diverse si combinano per dare origine ad altre molecole di altre sostanze. In queste reazioni sono in gioco gli elettroni esterni degli atomi e le energie coinvolte sono di qualche elettronvolt Nelle reazioni nucleari invece, un nucleo o un corpuscolo nucleare ( p, n, alfa ) si combinano e danno origine alla formazione di un altro nucleo o di uno o più corpuscoli o nuclei, più o meno complessi. Per ciascuna di tali reazioni si definisce l'energia di reazione Q l'energia che viene liberata o assorbita durante la reazione. Le energie in gioco sono di alcuni milioni di elettronvolt Si chiamano reazioni esoenergetiche quelle che avvengono con liberazione di energia ( Q > 0 ) e reazioni endoenergetiche quelle che danno luogo ad assorbimento di energia ( Q < 0 )

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Le prime, che sono le più interessanti, si possono suddividere in reazioni di fusione, in cui si fondono due nuclei leggeri per ottenerne uno più pesante, e reazioni di fissione, in cui un nucleo più pesante ad es di uranio (Z = 92 ) si spezza in due frammenti più leggeri, quasi uguali, con Z intermedio Le reazioni del tipo di fusione avvengono nella parte centrale delle stelle, in particolare del Sole Le reazioni di fissione o scissione sono altamente energetiche ( Q ≅ 0,2 GeV ). Il nucleo pesante si chiama nucleo fissile § 39 La produzione di energia nucleare di fissione I reattori nucleari a fissione sono impiegati in molti Paesi per la produzione di energia su larga scala Il principio di funzionamento è il seguente Un neutrone colpisce un nucleo di uranio 235 ( un isotopo dell'uranio ) e lo scinde in due nuclei: tellurio-136 e zirconio-97, liberando 0,2 GeV di energia ed emettendo due o tre neutroni che, a loro volta, urtando altri nuclei, danno luogo ad altre fissioni, con emissione di altra energia e di altri neutroni. Il processo, innescato da un primo neutrone, si ripete così all'infinito, liberando energia, che riscalda la massa di uranio, entro cui si svolge la reazione a catena Se si vuole evitare che tale reazione si interrompa bisogna tenere presenti alcuni punti 1°) L'uranio che serve per queste reazioni è l'U-23 5, che rappresenta appena lo 0,7 % dell'uranio totale. 2°) La fissione dell' U-235 avviene sotto l'azione di neutroni lenti. Per rallentarli si fa ricorso ad un moderatore che frena i neutroni troppo veloci: ad es l'acqua pesante D2 O (in cui D è il deuterio che è un isotopo dell'idrogeno) o la grafite ( C ). 3°) La forma geometrica del reattore deve essere ta le da impedire che dei neutroni sfuggano all'esterno. Normalmente un reattore è costituito da un nocciolo cilindrico, che contiene il moderatore (acqua pesante), nel quale sono immerse le barre cilindriche di uranio (dette barre di combustibile). Ci sono poi delle barre di controllo, costituite da sostanze avide di neutroni, che, inserite tra le barre di combustibile, servono per controllare il processo. Il calore prodotto dalla reazione, che tende ad aumentare continuamente, scalda del vapore d'acqua, che circola al di fuori del nocciolo e che fa girare una turbina a vapore, collegata con un alternatore, che genera energia elettrica . 4°) Poiché alcuni prodotti della fissione sono un v eleno per il reattore, in quanto assorbono i neutroni lenti tendendo ad interrompere la reazione a catena, occorre periodicamente estrarre dal reattore le barre di combustibile e purificarle dai prodotti della fissione § 40 La scelta nucleare Esistono molti tipi di reattori a fissione per produrre energia elettrica. La potenza è in genere dell'ordine di 1000 MW Quando viene interrotta la reazione a catena, i reattori ad acqua pesante continuano a produrre calore a causa del decadimento radioattivo dei radioisotopi incapsulati nelle barre di uranio. Per evitare che essi fondano, ci sono dei sistemi di sicurezza che intervengono, ad es iniettando acqua, per mantenere le temperature al di sotto del migliaio di gradi

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Per quanto riguarda gli incidenti, bisogna dire che la sicurezza assoluta non può mai essere garantita, ma i sistemi di sicurezza sono tali da rendere gli incidenti altamente improbabili Da alcuni anni sono allo studio reattori a sicurezza intrinseca, costruiti in modo che, appena spenti, possano smaltire il calore della fissione; non hanno bisogno di sistemi di raffreddamento di emergenza. Avranno una potenza più piccola: qualche centinaio di megawatt Rimangono i problemi dello smaltimento dei rifiuti radioattivi Rubbia ha recentemente proposto di produrre la fissione, non con neutroni lenti ma con neutroni prodotti da un fascio di protoni, generato da un acceleratore. Tali reattori sarebbero più sicuri di quelli attuali, perché per fermare le reazioni di fissione basterebbe spegnere l'acceleratore. Inoltre si potrebbe usare come combustibile il torio, che è molto più abbondante dell'uranio § 41 I reattori di fusione Le energie alternative, solare ed eolica, sono adatte per centrali di potenza piccola e media ( qualche megawatt ) Si ritiene che la fonte più promettente di energia, per centrali di migliaia di megawatt, sia la fusione nucleare, perché gli elementi leggeri necessari alla fusione sono abbondantissimi sulla Terra. Inoltre i reattori a fusione non presenteranno pericoli di incidenti e produrranno meno radioisotopi . Tra tutte le reazioni nucleari, sfruttabili, per questo tipo di reattori, la più studiata è quella in cui un nucleo di deuterio ed un nucleo di trizio si fondono, dando origine ad una particella alfa di 3,5 MeV di energia cinetica e ad un neutrone di 14,1 MeV dii energia cinetica I due metodi più perseguiti sono i seguenti: - Reattori a confinamento magnetico Per ottenere la fusione la materia è trasformata in plasma che è un gas, elettricamente neutro, costituito da ioni positivi ed elettroni. Il plasma, caldissimo, è contenuto in una bottiglia magnetica. La transizione di un gas allo stato di plasma, avviene per riscaldamento o per passaggio di una corrente elettrica In un plasma, a temperatura dell'ordine di 100 milioni di gradi, le energie cinetiche, dovute all'agitazione termica del deuterio e del trizio, sono tali da riuscire a superare la repulsione coulombiana (sono entrambi ioni positivi) e dar luogo alla loro fusione. L'energia cinetica dell'elio prodotto contribuisce ad aumentare la temperatura Per avviare la reazione, cioè per raggiungere l'ignizione occorre una grandissima energia. Inoltre occorre portare la massa reagente ad una temperatura di 100 milioni di gradi e mantenerla per un tempo, detto di confinamento Il problema più difficile è il confinamento del plasma, che non deve mai venire a contatto con le pareti del reattore in quanto le raffredderebbe immediatamente, distruggendole. Per il momento un simile reattore è solo allo stato di progetto. - Reattori a confinamento inerziale In un reattore del tipo precedente, di 1000 MW elettrici, il plasma atomico avrà la densità di un gas ed occuperà un volume di migliaia di metri cubi.

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In un reattore a confinamento inerziale la reazione dovrebbe avvenire in un volume inferiore al millimetro cubo, in cui una miscela di deuterio e torio è portata ad una densità superiore a quella di un solido ordinario, e subiscono la reazione di fusione. Il processo è così rapido che, per inerzia, gli atomi di deuterio e di trizio non hanno il tempo di allontanarsi. Di qui il nome di confinamento inerziale L'energia generata dal processo compare sotto forma di energia cinetica dei nuclei di elio e dei neutroni prodotti. Anche questi reattori sono solo allo stato di studio

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I QUARK – L'UNIFICAZIONE DELLE FORZE § 42 Gli acceleratori di particelle Agli inizi del XX° secolo Anderson scoprì l'antiele ttrone, poi detto positone. Lawrence costruì il ciclotrone, che permetteva di accelerare i protoni, mantenuti in un'orbita a spirale da un campo magnetico. A partire da questa invenzione si svilupparono gli acceleratori di particelle che hanno permesso lo studio dell'interno dei nuclei e la scoperta dei quark § 43 Ciclotroni e sincrotroni Lo schema di funzionamento del ciclotrone è il seguente Dei protoni vengono iniettati al centro del ciclotrone d.d.p. e vengono accelerati , ogni mezzo giro, quando oscillante

attraversano l'intercapedine fra due elettrodi cavi ad alta a forma di D, affacciati l'uno all'altro. che creano frequenza

un campo elettrico oscillante protoni Essi percorrono una traiettoria a spirale immersa accelerati

completamente in un campo magnetico, che, perpendicolare all'orbita, la piega continuamente campo magnetico attraverso la forza di Lorentz. perpendicolare al disegno

Alla fine del ciclo di accelerazione i protoni proseguono in linea retta Nel sincrotrone invece i protoni percorrono un'orbita circolare, perché il campo magnetico, creato dai magneti che la circondano e che piegano l'orbita attraverso la forza di Lorentz, aumenta in sincronismo con l'aumento dell'energia, causato da un campo elettrico che oscilla in una serie di cavità attraversate, ad ogni giro, dalle particelle § 44 I collisori di particelle Nell'ultimo quarto del XX° secolo entrò in funzione il collisore protone-protone, lungo 1 km, Due fasci di protoni, ognuno di 30 GeV di energia cinetica, ruotavano in senso opposto in due sincrotroni che si intersecavano in otto punti in cui avvenivano delle collisioni la cui energia era 2 volte 30 = 60 GeV. (1 GeV = 109 eV = 1,6 10 –10 J) In seguito tale apparecchio fu trasformato nel collisore protone-antiprotone, lungo 7.km Nelle collisioni fra protoni ed antiprotoni, di circa 700 GeV di energia totale, si scoprirono I due bosoni intermedi. Z e W di cui si tratterà in seguito. Nacque poi il collisore elettrone-positone (LEP), avente una circonferenza di 27 km, di circa 200 GeV di energia, trasformato poi in un collisore protone-protone i cui magneti superconduttori, mantenuti alla temperatura di 1,8° K, sono in grado di piegare la traiettoria di protoni con energia di 7000 GeV, che nelle collisioni diventano 14 000 GeV § 45 Perché energie sempre maggiori?

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I motivi sono due 1° L'energia si può trasformare in massa, per cui una maggiore energia significa una massa più grande delle particelle che si originano nelle collisioni; 2° Più grande è l'energia che si genera nelle col lisioni, più piccole sono le dimensioni esplorabili Vediamo questi due punti più da vicino - 1° Creazione di particelle ed antiparticelle Tutte le particelle, elettricamente cariche, hanno la loro antiparticella, Quando esse collidono si annichilano, cioè scompaiono, liberando energia uguale alla energia totale (energia di riposo + energia cinetica) delle due particelle Invece la scomparsa di energia dà luogo alla creazione di una particella e della sua antiparticella, che ha la stessa massa, ma carica opposta. - 2° L'esplorazione delle dimensioni subatomiche Nel grafico, del tipo detto di Feynman, sono rappresentati due elettroni, (a) e (b), che si avvicinano. e - e - Ad un certo istante l'elettrone (a) giunto in A, cambia direzione. Lo stesso avviene per l'elettrone (b) , che, tempo B

giunto in B, cambia direzione A Questo cambio di direzione è dovuto allo scambio di una γ

particella-forza, detta mediatore, emessa da uno dei due e - e -

elettroni e assorbita dall'altro. Nel caso dell'esempio, la collisione è dovuta alla forza (a) (b)

elettromagnetica conseguente allo scambio di una particella elettricamente neutra, detta fotone virtuale.γ Secondo la fisica quantistica l'energia del campo elettromagnetico è trasportata dai fotoni, per cui la forza, che agisce tra due cariche elettriche distanti, non è altro che un fotone virtuale L'energia di riposo di un elettrone m0 c

2 non potrebbe cambiare e quindi l'elettrone non potrebbe irradiare energia elettromagnetica; invece nel caso sopra esaminato l'elettrone emette una particella-forza. Questa apparente violazione del principio di conservazione dell'energia si spiega con il principio di indeterminazione (v il § 24 – 2^ forma), che consente tale violazione, purché essa avvenga in un periodo di tempo sufficientemente breve. Per questo si parla di particella virtuale § 46 Unità pratiche per l'energia e per le distanze nel mondo subatomico I fisici nucleari usano come unità pratica di misura delle distanze il fermi (fm) ≅ 10 –15 m, pressappoco uguale al raggio del protone, e come unità pratica di misura delle durate il tempo impiegato dalla luce a percorrere 1 fm ( 1 fm / c = 3,3 10 –24 s ) Espressa nelle unità pratiche , la costante di Plank ridotta vale h / 2 π = 0,2 GeV fm / c = 1,054 10 –34 J s (1)

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Tale valore implica che, se il fotone virtuale scambiato nell'esempio del § 45 – 2° trasporta un energia di 1 GeV viaggiando alla velocità c, esso può trasmettere la sua influenza fino ad una distanza ( raggio di azione ) di 0,2 fm dalla particella emettente, mentre a 10 GeV corrisponde una distanza 0,02 fm Più grande è l'energia, più piccolo è il raggio d'azione § 47 I quark Bombardando con elettroni di 10 GeV un bersaglio di idrogeno, si scoprì, mediante un acceleratore lineare, che protoni e neutroni sono, ciascuno, composti di tre quark, legati tra loro da un forza molto intensa detta forza forte I quark sono dei noccioli aventi un diametro di 0,1 fm = 10 –16 m, hanno ognuno la sua antiparticella (antiquark), sono elettricamente carichi; e pare che non abbiano nessuna struttura interna, come gli elettroni. Se i quark fossero composti di particelle più piccole, queste avrebbero un diametro inferiore al millesimo di fermi § 48 L'interazione forte dei quark Protoni, neutroni e nuclei sono particelle composte, fatte di quark e dette complessivamente adroni Un protone è fatto di tre quark, di cui due di tipo up ( quark-u ) ed uno di tipo down ( quark-d) Ognuno dei due quark-u ha carica pari a 2/3 di e; il quark-d ha carica pari a -1/3 di e, cosicché : 2 volte (2/3)e – (1/3)e = e che è la carica del protone. Analogamente il neutrone è costituito da tre quark, di cui un quark-u con carica pari a 2/3 di e, più due quark-d con carica -1/3 di e, cosicché: (1/3)e + 2 volte (-(1/3)e) = 0, che è la carica del neutrone. . Quark e antiquark interagiscono scambiandosi particelle virtuali dette gluoni, che sono quindi particelle-forza I fotoni sono le particelle-forza che mediano l'interazione elettromagnetica I gluoni sono i mediatori della forza forte, così chiamata perché molto più forte della forza elettromagnetica. Essi sono virtuali, quindi esistono per un tempo brevissimo, compatibilmente con il principio di indeterminazione. Nel § 33 si era detto che neutroni e protoni, cioè i nucleoni, sono legati tra loro dalle forze nucleari in modo da formare i nuclei. Ora si sa che tale forza è una conseguenza delle forze forti che agiscono tra i quark. La forza forte non lascia mai sfuggire i quark, che tiene legati a formare gli atomi §49 L'interazione debole dei quark Oltre all'interazione elettrica e quella forte, i quark possiedono un terzo tipo di interazione Essa consiste nella forza che provoca la trasformazione di un quark-d in quark-u con irraggiamento o assorbimento di una particella virtuale, carica, W. E' questa una manifestazione della interazione debole che spiega il decadimento beta dei nuclei. Avviene anche la trasformazione inversa.

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- I bosoni deboli carichi W + e W -

La particella forza, virtuale, W, mediatore della interazione debole, è chiamata bosone intermedio carico o astenone carico, che esiste nelle due forme W + e W - l'uno antiparticella dell'altro

W +1 indica un astenone con

d –1 / 3 carica +1 e

d

-1 / 3

W –1 indica un astenone con carica -1 e W +1 W -1 u 2 / 3 u2 / 3 Ciò spiega come con l'emis- sione di W +1 o con l'assor- Emissione di un W + 1 Assorbimento di un W – 1 imento di W –1 la carica 2/3 diventa -1/3 Così pure si spiega come con l'emissione di W –1 o con u 2 / 3 u 2 / 3 l'assorbimento di W +1 la

carica -1/3 diventa 2/3 W – 1 W - 1 d –1 / 3 d -1 / 3 Emissione di un W –1 Assorbimento di un W +1 Quando in un neutrone avviene la trasformazione di un quark-d –1/3 in un quark-u 2/3 si verifica l'emissione della coppia elettrone e neutrino-elettrone, cosicché il neutrone si trasforma in protone - Il bosone neutro Z Oltre al bosone intermedio carico o astenone carico esiste νµ e

-

anche il bosone intermedio neutro Z° o astenone neutro Z°, che fa da mediatore tra un neutrino-muone: νµ , che emette un astenone Z, ed un elettrone che lo assorbe,senza che le Z° loro cariche mutino νµ , e

- Elettrone e neutrino cambiano però la direzione del moto § 50 Le tre famiglie delle particelle-materia Gli esperimenti effettuati con il collisore elettrone-positone LEP hanno mostrato che in tutto esistono 12 tipi di particelle-materia, raggruppati in 3 famiglie Nel modello standard delle particelle e delle forze, oltre a quelle già conosciute, ce ne sono alcune non ancora nominate. Esse sono: i leptoni neutri (particelle di massa piccolissima), che sono il neutrino-muone (νµ) ed il neutrino-tauone (ντ): Poi ci sono i leptoni carichi che sono il muone (µ) ed il tauone (τ) che sono detti leptoni carichi

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Particelle-materia del modello standard Particelle Simbolo Carica PRIMA FAMIGLIA Up u +2/3 Quark down d -1/3 elettrone e -1 Leptoni neutrino-elettrone νe 0 SECONDA FAMIGLIA incantato c +2/3 Quark strano s -1/3 muone µ- -1 Leptoni neutrino-muone νµ 0 TERZA FAMIGLIA top t +2/3 Quark bello b -1/3 tauone τ -1 Leptoni neutrino-tauone ντ 0

Lo schema corpuscolare della materia è il seguente CRiSTALLO ATOMO NUCLEO PARTICELLE PARTICELLE MOLECOLA ATOMICO ADRONICHE FONDAMENTALI

• LEPTONI MESONI e,µ,τ,νe,νµ,ντ BARIONI QUARK

• protone, neutrone u,d,s,c,b,t

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§ 51 Le quattro forze fondamentali I quark, in quanto particelle-materia, oltre che alle forze forti, alle forze elettromagnetiche ed alle forze deboli, sono anche soggetti alla forza gravitazionale. Deve quindi esistere una particella che fa da mediatore della forza di gravità; essa è stata chiamata .gravitone Le quattro interazioni fondamentali e le particelle-forza che le mediano FORZE MEDIATORI SIMBOLI PARTICELLE-MATERIA SOGGETTE ALLA FORZA Forti gluoni g1 g2 g3 g4 g5 g6 g7 g8 quark Elettromagnetiche fotoni γ quark, elettroni Deboli astenoni (o bosoni) W ± Z quark, elettroni, neutrini Gravitazionali gravitoni G " " " Tutte le forze che si osservano in fisica sono comprese in questa tabella Ad es i legami chimici sono conseguenza delle forze elettromagnetiche La forza nucleare è causata, indirettamente, dall'interazione forte tra i quark. Le forze gravitazionali sono di intensità bassissima e quindi praticamente non hanno effetto nel mondo delle particelle subatomiche Le forze deboli trasformano le particelle subatomiche, ma sono troppo deboli per legarle tra loro Queste forze hanno però un'importanza enorme nelle reazioni nucleari che avvengono nel Sole e nelle stelle § 52 Raggi di azione e accoppiamenti delle forze Le quattro interazioni sono caratterizzate da un raggio d'azione e da una intensità. Ricordando il § 45-2°, in cui si descriveva la col lisione tra due particelle-materia come scambio di una particella forza, un fotone virtuale, mediatore della interazione elettromagnetica, se queste due particelle si scambiano un'energia E, la distanza a cui questo scambio avviene ( v la (1) di § 46 ) è maggiore di R = 0,2 GeV fm / E (1) Misurando R in fermi ed E in GeV vale la relazione R = 0,2 / E che conferma quanto detto al § 46 : più è elevata l'energia scambiata, minore è il raggio d'influenza - 1) Il raggio d'azione Il fotone ha massa nulla per cui la sua energia E minima è uguale a zero. Di conseguenza, in base alla (1), il suo raggio massimo d'azione tende all'infinito. Invece un mediatore con massa a riposo m diversa da zero, ha un'energia minima, cioè l'energia di riposo, uguale a m c2 ed il suo raggio d'azione risulta R = 0,2 GeV fm / m c2

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- 2) L'accoppiamento elettromagnetico Per determinare l'effetto, ossia l'intensità, di ciascuna delle quattro forze fondamentali della tabella di § 51, occorre tenere conto anche della probabilità che una particella-forza sia emessa dalla particella-materia, che ne è la sorgente Probabilità di emissione grande significa che la particella-materia sarà circondata da una particella-forza virtuale per parecchio tempo, quindi una seconda particella-materia avrà più probabilità di trovarsi entro il suo raggio d'azione e di assorbire la sua energia. Invece probabilità di emissione piccola significa che lo scambio dello stesso mediatore tra due particelle-materia è poco probabile e la forza sarà meno intensa La probabilità di emissione si quantifica mediante un numero puro, detto accoppiamento, che permette di determinare il numero di volte che bisogna osservare la particella–materia prima di trovarla " vestita" con una particella-forza virtuale Ad es bisogna osservare 137 volte un elettrone prima di trovarlo accompagnato da un fotone virtuale. Si dice quindi che l'accoppiamento elettromagnetico di un elettrone è α1 = 1 / 137 = 0,073 Nel mondo atomico e subatomico l'accoppiamento è molto inferiore all'unità - 3) L'accoppiamento debole Circa l'accoppiamento delle forze deboli all'elettrone ed ai quark, mediante dei bosoni W e Z, si tratta di interazioni molto più deboli di quella elettromagnetica. Le forze deboli e quelle elettromagnetiche sono in realtà manifestazioni di una sola forza: la forza elettro-debole § 53 L'unificazione elettro-debole In effetti l'accoppiamento debole è numericamente molto simile a quello elettromagnetico. La grande differenza apparente tra le due forze è dovuta al fatto che il fotone (mediatore delle forze eletromagnetiche) ha massa nulla, mentre gli astenoni (mediatori della forza debole) hanno masse molto grandi in scala subatomica. Sorse il dubbio che anche gli astenoni avessero massa nulla ma che qualcosa intervenisse a rompere la simmetria tra fotoni e astenoni. Questo qualcosa, secondo il modello standard delle particelle, è il campo scalare, detto piuttosto campo di Higgs, presente in tutto l'Universo,che interagisce con le particelle-forza che vengono rallentate da queste continue interazioni, di modo che la loro velocità non è più quella della luce, ma minore. Ouindi per il principio di conservazione dell'energia le particelle-forza acquistano massa Tutte le particelle, che non interagiscono con il campo di Higgs, hanno massa nulla Tutte le particelle-materia, come tutte le particelle-forza, da sole ed in uno spazio vuoto, avrebbero massa nulla, ma, per effetto del campo scalare, alcune di esse (esclusi, cioè, i fotoni, i gluoni e i gravitoni) acquistano una massa . Senza il campo di Higgs non ci sarebbero particelle con massa e quindi non esisterebbero gli aggregati di materia ( nucleoni, nuclei, atomi e in definitiva, molecole) Se l'ipotesi del campo scalare è corretta (ma è ancora da confermare) devono esistere i quanti del campo scalare: nuove particelle-forza, dotate di massa, dette particelle di Higgs

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INDICE DI "FISICA ATOMICA E SUBATOMICA" LA RELATIVITA' § 1 La velocità della luce – Il vento dell'etere pag 1 § 2 L'esperimento di Michelson e Morley 1 § 3 Il tempo assoluto e la simultaneità 2 § 4 Gli assiomi della teoria della relatività 2 § 5 La relatività della simultaneità 2 § 6 La dilatazione dei tempi 3 § 7 La contrazione delle lunghezze 4 § 8 La meccanica relativistica può sostituire quella classica 5 § 9 L'equivalenza tra massa ed energia 5 § 10 La quantità di moto della luce 5 § 11 La massa è energia 6 § 12 Energia, massa e quantità di moto in dinamica relativistica 6 § 13 La conservazione dell'energia 8 § 14 Il problema della gravitazione 8 § 15 Il principio di equivalenza 8 § 16 Gravità e curvatura dello spazio 9 § 17 Le curve geodetiche 9 § 18 Le onde gravitazionali 10 LA FISICA ATOMICA § 19 L'effetto fotoelettrico pag 11 § 20 Spiegazione dell'effetto fotoelettrico 12 § 21 Lo spettro dell'atomo di idrogeno 12 § 22 La " vecchia " meccanica classica 13 § 23 Proprietà ondulatorie della materia 14 § 24 Il principio di indeterminazione 15 § 25 Onde di probabilità e dualismo onda corpuscolo 16 § 26 Stabilità degli atomi 17 § 27 Irraggiamento e assorbimento di fotoni 17 § 28 Fisica classica e fisica moderna 18 LA FISICA NUCLEARE § 29 I nuclei degli atomi pag 19 § 30 I protoni ed i neutroni 19 § 31 Numero di massa e numero atomico 19 § 32 Gli stati energetici dei nuclei 20 § 33 Le forze nucleari e le energie di legame dei nuclei 20 § 34 La radioattività naturale 20 § 35 La legge del decadimento radioattivo 21 § 36 L'interazione debole 21 § 37 Applicazione dei radioisotopi 22 § 38 Le reazioni nucleari 22 § 39 La produzione di energia nucleare di fusione 23 § 40 La scelta nucleare 23 § 41 I reattori di fusione 24

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I QUARK - L'UNIFICAZIONE DELLE FORZE pag 26 § 42 Gli acceleratori di particelle 26 § 43 Ciclotroni e sincrotroni 26 § 44 I collisori di particelle 26 § 45 Perché energie sempre maggiori ? 27 § 46 Unità pratiche per l'energia e per le distanze nel mondo subatomico 27 § 47 I quark 28 § 48 L'interazione forte dei quark 28 § 49 L'interazione debole dei quark 28 § 50 Le tre famiglie delle particelle materia 29 § 51 Le quattro forze fondamentali 31 § 52 Raggi d'azione ed accoppiamenti delle forze 31 § 53 L'unificazione elettro-debole 32