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1 Fisica Applicata Corso di Studi di Biotecnologie Anno accademico 2004-2005 Appunti delle lezioni (bozza) Livio Narici

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Fisica ApplicataCorso di Studi di BiotecnologieAnno accademico 2004-2005

Appunti delle lezioni(bozza)

Livio Narici

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L’obiettivo principale di questo corso è rivedere ed approfodire alcune nozioni di fisicasottolineando la loro importanza nella comprensione e descrizione di fenomeni estrumentazione di uso biotecnologico.

Molta parte del corso (gli approfondimenti di fisica) può essere studiata sugli stessi testisu cui si è lavorato per il corso di fisica. In queste note, oltre ai richiami di fisica, si ètentato di riportare in modo semplice le descrizioni delle applicazioni di tali concetti almondo biotecnologico.

Questa è una prima stesura di queste note. L’indicazione di errori, e ogni suggerimentoper migliorare la chiarezza sarà assai gradito.

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Richiamo della II legge di Newton

(1)

r F ris = m r a

dove:

r F ris è la forza risultante applicata al corpom è la massa (.. inerziale .. vedi dopo) del corpo

r a è l’accelerazione del corpo

Per semplicità consideriamo il corpo puntiforme.

NOTA 1 m è la costante di proporzionalità fra la forza applicata sul corpo el’accelerazione del corpo. Descrive “l’inerzia” del corpo a mutare il suo stato di moto.

Ricordiamo la definizione di accelerazione:

(2)

r a ≡ ddt

r v ≡ d 2

dt2

r R

La (1) nelle tre dimensioni si può scrivere:

(3)

FrisX = m˙ ̇ x (4)

FrisY = m˙ ̇ y (5)

FrisZ = m˙ ̇ z

Dove il doppio punto indica la derivata seconda rispetto al tempo.

FIGURA 1

Z

Y

X

R

F

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La forza peso sulla superficie della terra viene descritta dalla:

(6)

r F p = mr g

La (6) è una approssimazione (ottima) della legge di gravitazione universale di Newton,per un corpo di massa m sulla superficie della terra:

(7)

r F G = -G mMT

r 2 ˆ r

r = RT + h

Dove G è la costante di gravitazione universale:

G = 6.67 x 10–11 Nm2/kg2

RT è il raggio della terra:

RT = 6.37 x 106 m

MT è la massa della terra:

MT = 5.98 x 1024 kg

e h è la quota (misurata dalla superficie delle terra) del corpo di massa m.

Quindi essendo h <<

RT dal confronto tra (7) e (6) si trova:

(8)

FG @ m GMT

RT2 ≡ mg = Fp

Dove, omettendo il segno di vettore, sono indicati i moduli di

r F G ,

r F p ,

r g .

NOTA 2 come si nota dalla (8), la massa m che compare nella (6) descrive laquantità di materia alla quale è proporzionale la forza con cui il corpo è attratto daun’altro corpo (in questo caso la terra).

Se assumiamo che la forza peso sia l’unica forza agente sul corpo di massa m, cioè:

(9)

r F ris =

r F p

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la II legge di Newton ci dice che:

(10)

mr g = mr a

Abbiamo scritto la massa sempre con lo stesso simbolo, anche se, come indicato nellenote 1 e 2, vengono descritte due caratteristiche del corpo in principio diverse edindipendenti. Questa assunzione è basata sul risultato di esperimenti (Eotvos, 1909;Dicke, 1964; Braginsky, 1972) che hanno verificato la loro uguaglianza entro una partesu 1012 (principio di equivalenza). Detto ciò possiamo semplificare le masse e scrivere:

(11)

r a = r g

cioè in questo caso il corpo è in “caduta libera” e le (3-5) si semplificano:

FrisX = 0

FrisY = 0

FrisZ = -g

dove abbiamo assunto il sistema di riferimento della figura 1, e la forza peso diretta come

ˆ z con verso opposto.

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Richiami di attrito

Quando un corpo è posato su una superficie l’interazione con questa oppone una“resistenza” allo scivolamento.La descrizione dettegliata di questa “resistenza” è assai complicata, impossibile a trattare.Coinvolge le interazioni tra gli strati molecolari delle superfici del libro e del piano cheentrano in contatto. Vedremo però che una descrizione del comportamento globalemacroscopico è assai semplice e sufficiente per molti degli scopi di laboratorio.

Si consideri un libro appoggiato su di un tavolo. Il peso del libro è equilibrato dallareazione vincolare del tavolo. Spingiamo ora il libro, applicando una forza F parallela altavolo. Si nota che fino a

|F| ≤ |F0|

il libro rimane fermo, oltre tale valore riusciamo a metterlo in moto. Se il libro fossemaggiormente pressato contro il tavolo, supponiamo di aggiungerci del peso sopra, ilvalore di |F0| aumenterebbe. Eseguendo misure abbastanza precise potremmo osservareche al raddoppiare del peso del libro raddoppierebbe anche il valore della forzaorizzontale che si deve esercitare per muovere il libro. Potremmo cioè scrivere che

|F0| a |N|

dove N è la reazione vincolare del tavolo, che nel nostro caso è pari, cambiata di verso,alla forza peso del libro:

N = - mg

In altre parole la forza necessaria a muovere il libro è proporzionale alla forza che tieneunite le due superfici (quella del libro e quella del tavolo) a contatto. Questa forza èproprio la reazione vincolare del tavolo, che solo in questo caso particolare è pari, inmodulo, alla forza peso. In generale la reazione vincolare è pari alla componente normaleal piano della forza risultante esterna applicata al corpo. Già nel prossimo esempio, doveinterverrà anche un’altra forza esterna, N ≠ -mg.È intuitivo che tale “resistenza” al moto sia legata al materiale di cui sono costituiti illibro e il tavolo, e alla finitura degli stessi (si alla differenza fra un tavolo di legno benlevigata ed un tavolo dello stesso legno grezzo!).Possiamo infine dire che questa forza annulla la nostra forza orizzontale, esercitandoquindi una forza uguale e contraria, sino ad un massimo dato da:

FA maxstatico = msN

D’ora in avanti chiameremo questa forza FA , forza di attrito. Si noti che abbiamoaggiunto il soprascritto statico ad indicare che la FA descritta sin’ora si esercita quandonon c’e’ scorrimento fra le due superfici a contatto. La proporzionalità con N si è

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esplicitata inserendo il coefficiente µs detto coefficiente di attrito statico, che dipendedalle caratteristiche delle superfici a contatto.Per semplificare la notazione abbiamo anche eliminato i segni di modulo {| .. |}. D’ora inavanti un vettore non in grassetto indicherà il modulo del vettore.

Nel caso di questo nostro primo esempio la forza orizzontale che si deve esercitare perspostare il libro sul piano è quindi pari a µs mg. {domanda: c’è un modo per spostare illibro esercitando una forza minore di µs mg ?}

Risolviamo questo semplice esercizio: qual è la minima forza necessaria a spostareun corpo di massa m su un piano con il quale si genera un attrito descritto dalcoefficiente di attrito µs?Si consideri la situazione descritta dalla seguente figura e si lasci libero l’angolo trala forza esterna F ed il piano.

Affinchè il corpo si muova, la componente orizzontale della forza dovrà esseremaggiore del massimo attrito esercitabile.La reazione vincolare N è pari in modulo alla componente normale al piano dellaforza risultante esterna pplicata al corpo. Nel nostro caso, quindi (utilizzando unsistema di riferimento come in figura)

N = mg - Fsenq

[si noti che mg - Fsenq > 0, altrimenti il libro si solleverebbe]Per la seconda legge di Newton la condizione per il movimento è:

Fris(lungoX) > 0

F cosq - µs(mg – Fsenq) > 0

Abbiamo quindi:

F >mmg

cosq + senq

Affinchè la forza sia minima il denominatore deve essere massimo. Calcoliamone laderivata:

ddq

(cosq + msenq) = -senq + mcosq

Annullando la derivata troviamo l’angolo q0 che minimizza la forza:

-senq0 + mcosq0 = 0 fi m = tanq0

mg

FFsenqFcosqq

XY

N

8

Quindi:

F >mmg

cosq0 + senq0

=mmg

cosq(1+ m tanq0)=

mmgcosq0(1+ m2)

Dalla relazione trigonometrica cos2q + sen2q = 1 si ricava che (dividend per cos2q):

1+sen2qcos2 q

=1

cos2 qfi cosq =

11+ tan2 q

e quindi ricordando che tanq0 = µ:

F >mmg1+ m2

che è certamente minore di µmg come ci era stato richiesto.

Consideriamo ora un caso diverso, che ci consentirà di ripetere gli stessi concetti, econsiderare anche le situazioni dinamiche in cui le due superfici a contatto si muovonol’una rispetto all’altra.

Si provi a poggiare un libro su una tavola di legno e ad alzare un lato della tavolaaumentandone gradualmente l’angolo di inclinazione. Chiamiamo q quest’angolo(attenzione, questo angolo descrive una variabile diversa da quella descritta dal qprecedente!)

FIGURA 2

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Il libro rimarrà fermo sul piano fino al raggiungimento di un determinato valore

q0 ,quindi inizierà a scivolare. Questa osservazione, e la nostra conoscenza della II legge diNewton ci permette di fare alcune considerazioni già viste prima ed alcune nuove.

(i) Per q <

q0 l’attrito tra il libro ed il piano esercita una forza lungo il piano (di modulopari a FA ) uguale in modulo alla reazione vincolare della tavola, cioè la componente dellaforza peso lungo il piano (mgsenq). Tale forza di attrito ha verso contrario a quella dellacomponente della forza peso lungo il piano e quindi annulla la forza risultante lungo ilpiano sul libro. Il libro è in quiete (se volete in questo caso si può applicare la I legge diNewton).

(ii) Al variare di q<q0, quindi, FA NON è costante: aumenta in modulo all’aumentare diq, come mgsenq.

(iii) Per q >

q0 la forza di attrito non è più sufficiente ad annullare la componente dellaforza peso lungo il piano: il libro comincia ad accelerare verso il basso.

Nella situazione limite q=q0, ritroviamo la relazione precedente:

FA maxstatico = msN = msmgcos(q)

Proseguendo nel nostro esperimento, supponiamo di utilizzare una inclinazione del pianocostante

q1>

q0 . Il corpo scivola. Se misurassimo il suo moto {domanda: cosa dovremmomisurare?} ci accorgeremmo che il moto è uniformemente accelerato e che la suaaccelerazione è minore di quella che ci si aspetterebbe se non si considerasse l’attrito{domanda: qual è questa accelerazione?}. In questo caso essendo costante l’inclinazione(e quindi la componente della forza peso lungo il piano, mgsen

q1 , possiamo concludereche:

(iv) la forza di attrito NON dipende dalla velocità di scivolamento del corpo. Infatti, seciò fosse vero, il mutare della forza di attrito con la velocità che aumenta causerebbe uncambiamento nella forza risultante applicata al corpo ed una conseguente variazione diaccelerazione (II legge di Newton).

Nuovamente. Anche in questo caso dinamico, la forza di attrito dipenderà dalla forza conla quale le due superfici sono “tenute assieme” (di nuovo la reazione vincolare del piano)e dalle caratteristiche delle due superfici a contatto.Ripetendo le misure descritte sopra per diversi valori di q >

q0 è infatti possibileosservare che:

(v) per i valori di q >

q0 la forza di attrito varia come la reazione vincolare del piano,cioè la componente della forza peso normale al piano (mgcosq).

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Queste osservazioni si possono riassumere in un semplice modello. La forza di attrito FA“finchè possibile” annulla la forza F che tende a far scivolare il corpo (in questo caso F=mgsenq). Al di sopra di un valore massimo di F, la forza di attrito non riesce più adaumentare e rimane costante, al variare della velocità del corpo, mentre varia come lacomponente della forza peso normale al piano, al variare di q. Quanto detto si puòfacilmente descrivere nel seguente modo (sia F la risultante delle forze esterne sul corpolungo il piano)

FA = F (se q <

q0 , o, più in generale, F < F0)

FA maxstatico = msN = msmgcos(q) (se q =

q0 , o, più in generale, F = F0)

FA maxdinamico = md N = msmgcos(q) (se q =

q0 , o, più in generale, F = F0)

FA maxdinamico = md N = md mgcos(q) (se q >

q0 , o, più in generale, F > F0)

Dove abbiamo introdotto il coefficiente di attrito dinamico, del tutto analogo alprecedente, ma che descrive l’attrito in condizioni, appunto, dinamiche (cioè con le duesuperfici a contatto in moto tra di loro).Questo coefficiente dipenderà ancora dalle caratteristiche delle due superfici dei corpiche vengono a contatto. Nel caso dinamico scriveremo, analogamente a prima:

(12)

FA = md N = msmgcos(q)

La direzione di FA è quella del moto ed il verso è quello opposto al moto. Si verifica che,date le due superfici a contatto, il valore di m è costante.Si noti che i due casi “max” (vedi di sopra) si distinguono solo dalla presenza o meno delmoto e quindi dai coefficienti di attrito.Nella (12), l’intensità della forza di attrito può facilmente misurarsi dai nostri esperimenticon diversi q >

q0 {domanda: come?}.Abbiamo quindi ritrovato i concetti esposti prima e abbiamo anche notato alcuneproprietà della forza di attrito “durante lo scivolamento”, ad esempio che FA non dipendedalla velocità di scivolamento.

NOTA 3 Si faccia particolare attenzione al fatto che descrivendo la forza di attritoviene sempre omesso il sottoscritto “max” e non è spesso esplicito se siamo in unasituazione statica o dinamica (si trova, ad esempio, FA = µN). In una situazione staticaquesto può portare a grossolani errori. È ovvio, infatti, che la relazione scritta prima è inogni caso valida SOLO se il corpo sta già scivolando, o in situazioni alquanto particolari,quando cioè è presente una forza esterna che l’attrito bilancia. Se questo venissedimenticato ci troveremmo a descrivere una situazione impossibile, dove, ad esempio, uncorpo appoggiato su un piano orizzontale (e quindi con mgsenq=0), si troverebbe adaccelerare, per la II legge di Newton, con una accelerazione pari a FA/m.

Si torni ora alle due forze di attrito “max” descritte prima:

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FA maxstatico = msN = msmgcos(q)

FA maxdinamico = md N = md mgcos(q)

Si noti che queste due forze non sono uguali. Dal punto di vista formale questo è ovvio inquanto i due coefficienti di attrito sono diversi occorre però convincersene.Si torni all’esempio iniziale, del libro sul piano inclinato. Misure accurate farannoosservare che

FA maxstatica ≥

FA maxdinamica

Cioè che l’attrito statico massimo che può esercitarsi fra due superfici è maggiore delvalore di attrito che al massimo si può esercitare quando le due superfici a contattoscivolano l’una rispetto all’altra.

NOTA 4 Quanto appena scritto è facilmente osservabile. Si pensi di voler spostareuna cassa. La forza che si deve esercitare per iniziare a muoverla è maggiore di quellache si deve esercitare per mantenerla in moto uniforme.

Possiamo quindi concludere che

mstatico ≥ mdinamico

Per riassumere scriviamo quindi le equazioni relative al nostro libro (usando il sistema diriferimento in figura 2).

(13)

FrisX = mgsenq - md mgcosq = maX (≡ m˙ ̇ x )(14)

FrisY = -mgcosq + N = 0 = maY (≡ m˙ ̇ y )

Dove abbiamo considerato il fatto che non vi è moto lungo y.Il segno ‘-‘ nel secondo membro della (13) (FA = -mmgcosq) è stato scelto osservandoche FA ha verso sempre opposto al moto. Si noti che:Il fatto che FA abbia verso opposto al moto NON ci dice nulla circa la relazione tra taleverso ed il verso della forza esterna F agente sul corpo (nel nostro esempio F = mgsenq){domanda: si trovino esempi in cui

r F è concorde/discorde con

r F A }

Alcuni moti presentano quindi delle discontinuità nelle equazioni che li descrivono,dovute al cambiamento di segno di

r F A . Si pensi, ad esempio, al moto del nostro libro

“lanciato” verso le x < 0 (“l’alto”) che raggiunge una quota massima e quindi tornaindietro.

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Moti in un mezzo resistivo

Ci sono attriti che si comportano diversamente da quelli appena descritti, tipici dello“scivolamento” tra due superfici.Quando un corpo si muove in un fluido (aria, acqua, etc.) il fluido esercita una forza sulcorpo che tende a rallentarlo. C’è quindi una “resistenza” del mezzo al moto del corpo.Anche in questo caso, come per le forze di contatto richiamate prima, le interazioni chedanno luogo a questa “resistenza” sono assai complesse. È comunque possibile, anche peri moti in un mezzo resistivo, descrivere queste interazioni “globalmente” in modoabbastanza semplice, anche se approssimato.

Iniziamo con l’osservare una caratteristica che distingue questa forma di attrito da quantovisto in precedenza: FA in questo caso dipende dalla (..aumenta con la) velocità.Questo può osservarsi lasciando cadere una pallina da ping pong, oppure, per aumentarela visibilità del fenomeno, lanciandola (verso il basso, ad esempio, da una finestra).Dall’istante in cui si lascia la pallina le uniche forze agenti sono la forza peso ed FANel primo caso (pallina “lasciata cadere” e quindi con velocità iniziale nulla) si potràosservare come ad un primo rapido aumento di v seguirà un moto con v quasi costante.Nel secondo caso (suppuniamo di lanciare la pallina verso il basso imprimendole unaelevata velocità iniziale verso il basso) potremmo probabilmente osservare un inizialerallentamento e poi, nuovamente, un moto con v costante (fra breve capiremo perchè ènecessario imprimere una “elevata” velocità verso il basso alla pallina per osservarne unrallentamento, e sapremo anche quantificare “elevata”.Se si considera che il fluido (aria) ed il corpo (pallina) sono sempre gli stessi, se neevince come i mutamenti di accelerazione del moto siano legati alla velocità.Osservazioni quantitative permettono di determinare la forma funzionale di FA nel motoin un mezzo resistivo:

(15)

r F A = -bvn ˆ v

Dove la direzione positiva è quella del moto. Si osserva che n ≈ 1 per velocità piccole(esempio: pallina da ping pong, anche quando lanciata) e n ≈ 2 per velocità grandi (peresempio proiettili). Da ora in poi noi ci occuperemo solo di velocità piccole, quindi:

(16) FA = - bv

Il coefficiente b dipende dalle dimensioni e dalla forma del corpo, così come dall’attritotra i diversi strati di fluido.La dipendenza dalle caratteristiche del corpo può separarsi da quella legata allecaratteristiche del fluido:

(17) FA = -k h v

dove k descrive le caratteristiche del corpo, h (“viscosità”) quelle del fluido.

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Per una piccola sfera di raggio R (legge di Stokes)

(18) k = 6 p R

e quindi

(18b) b = 6 π R h

(19) FA = - 6 p R h v

Possiamo quindi definire le dimensioni di questi due parametri:

(20) [k] = L(21) [h] = FT/L2 = M/(LT)

Nel sistema cgs si definisce 1 poise ≡ 1 g/(cm s).La (19) è valida per gocce piccole e lente, ma non, ad esempio, per paracaduti acrobaticio per proiettili. In questi casi FA µ - A v, dove A è la sezione trasversale (al moto) delcorpo.

Consideriamo una goccia di pioggia, piccola, in aria calma. Per applicare la II legge diNewton dobbiamo prima determinare tutte le forze che agiscono sulla nostra goccia: laforza peso, la forza di attrito e .. la spinta di Archimede. Ogni qual volta che si devestudiare il moto di un corpo in un fluido si deve infatti considerare che, come recita ilprincipio di Archimede: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso versol’alto pari al peso del fluido spostato.

(22) Fris = mg - 6 π R h v - FArch

Si noti che anche la spinta di Archimede è stata inserita con il segno ‘-‘ in quanto direttadal basso verso l’alto, con verso opposto a g.

Dobbiamo ora scrivere FArch in funzione dei parametri del sistema. Indicando con V ilvolume del corpo (la goccia) e con d’ la densità del fluido:

FArch = V d’ g

Inoltre

m = V d

dove con d si è indicata la densità della goccia. Quindi:

(22b)

Fris = Vdg - 6pRhv -Vd 'g = Vdg 1-d 'd

Ê

Ë Á

ˆ

¯ ˜ - 6pRhv

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Quindi possiamo scrivere:

(22c)

Fris = mg'-6pRhv

Dove

(22d)

g'= g 1 -d 'd

Ê

Ë Á

ˆ

¯ ˜

Si noti che il coefficiente in parentesi può essere negativo (quando d’>d, quando cioè ilcorpo “galleggia”).

Si noti che possiamo scrivere la Fris (22c) come:

(22e)

Fris = Fext - FA

Cioè alla somma vettoriale (algebrica in questo caso, visto che il problema èunidimensionale) delle forze esterne (forza peso e forza di Archimede) e della forza diattrito.

Si scelga un sistema di riferimento orientato verso il basso (si osservi che il moto, seinizialmente verticale, rimane verticale, e può quindi essere descritto in una unicadimensione); si ricorda inoltre la seconda legge di Newton (F=ma=mdv/dt) che, con la(22c) si scrive:

(23)

dvdt

+6pRh

mv - g'= 0

NOTA 5 Si noti nella (23) che l’unica modifica apportata dall’inserimento dellaspinta di Archimede è g fi g’, dove g’ < g. Notate quindi che la spinta di Archimederiduce l’effetto della gravità fino ad rendere il contributo di quest’ultima trascurabile (sed’≈ d). Da ciò si comprende perchè gli astronauti si esercitino nelle piscine: è un ottimasimulazione della microgravità che incontreranno in orbita!

L’equazione (23) è una equazione differenziale di facile soluzione. La risolveremo, macerchiamo prima di comprenderne le principali caratteristiche.

Consideriamo di applicarla al caso della nostra goccia di pioggia. Assumiamo, persemplicità che questa parta da ferma, ed inizi il suo moto verticalmente, verso il basso.Inizialmente quindi v=0. Quindi, nei primissimi istanti del moto possiamo scrivere:

15

(24)

dvdt

≡ a @ g'

Cioè la nostra goccia è in caduta “libera”, dove le virgolette indicano la presenza dellaspinta di Archimede (g’<g).

La (23) ci dice quindi che la goccia parte con accelerazione g’, quindi la sua velocitàcomincia ad aumentare. Comicia quindi a contare il termine lineare in v [quello chedescrive il nostro attrito nella equazione (23)]. Mano a mano che la velocità cresce iltermine di attrito aumenta in valore assoluto e quindi

(24b)

dvdt

≡ a = g'- 6pRhm

v

È chiaro che in questo caso a non può mai diventare negativa (ci meraviglieremmo nonpoco ad osservare una goccia che, lasciata cadere da ferma, dopo un po’ ricominciasse asalire ….) {domanda: in quali condizioni posso avere una accelerazione negativa?}. Almassimo, quindi, il termine di attrito annullerà g’, e potremo scrivere:

(25)

dvdt

≡ a = 0

Dal punto di vista delle forze in gioco, a questo punto la forza di attrito esercitata dalfluido (aria) sul corpo (goccia) bilancia perfettamente la somma vettoriale tra la forzapeso e la spinta di Archimede, annullando la forza risultante. Il corpo da ora in poi simuove di moto rettilineo uniforme. La sua velocità vlim si calcola facilmente annullando la(24b):

(26)

vlim =mg'

6pRh

Nella (26) abbiamo assunto un moto in cui su un corpo, piccolo e sferico, agisca, oltreall’attrito, una forza esterna Fext

(27) Fext = Fp - FArch = mg’

Se avessimo considerato una forza esterna qualsiasi ed un corpo qualsiasi si puòverificare molto facilmente che avremmo trovato [dalla (26), (27) e dalla definizione di b(18b)]

(26b)

vlim =Fext

b

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La soluzione dell’equazione differenziale (facoltativo)

Riscriviamo ora la (23) utilizzando la (26):

(28)

dvdt

+ g' vvlim

-1È

Î Í

˘

˚ ˙ = 0

Definiamo ora il tempo t:

(29)

t =vlim

g'

Si noti che t è il tempo che la goccia avrebbe impiegato per raggiungere vlim conaccelerazione costante e pari a g’. Inserendo la (29) nella (28):

(30)

dvdt

+1t

(v - vlim) = 0

da cui posso scrivere:

dvv - v limv= 0

v=v1

Ú = -1t

dtt=0

t=t1

Ú

Per risolvere l’equazione differenziale cambio variabile di integrazione e pongo:

v – vlim = w

e quindi

dv = dww(v=v1) = v1 – vlimw(v=0) = – vlim

dwww=- vlim

w=v1-vlim

Ú = -1t

dtt=0

t=t1

Ú

Ricordando che l’integrale di dw/w è il lnw, possiamo scrivere:

ln (v1 - v lim)-v lim

= -1t

t1

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Elevando e ad entrambe i membri (e cambiando segno a denominatore e numeratore dellogaritmo):

vlim - v1

vlim

= e-t1 /t

(31)

v(t) = v lim (1- e- t /t )

Dove si sono omessi i sottoscritti di v1 e t1 in quanto tali valori sono arbitrari.

Si noti che per t = 0 e per t fi • ritroviamo i risultati ricavati precedentemente.Inoltre sviluppando in serie di Taylor per t piccoli (serie di Mac Laurin) otteniamo:

(31b)

e-t /t ª1-tt

e quindi, inserendo la (31b) nella (31):

(31c)

v(t) = v limtt

= g' t

cioè la velocità inizialmente cresce linearmente con accelerazione g’, come si puòapprezzare dal seguente grafico della (31), dove viene anche illustrato il significato di t,come definito dalla (29):

Derivando la (31) otteniamo l’accelerazione in funzione del tempo:

a(t ) =dvdt

= vlimddt

(1- e-t /t )

= vlimddt

(-e- t /t )

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= vlim - -1t

Ê

Ë Á

ˆ

¯ ˜ e-t /tÈ

Î Í

˘

˚ ˙

=vlim

te-t /t

Ricordando la definizione di t (29):

(32)

a(t ) = g'e-t /t

Possiamo anche ulteriormente integrare la (31) da t = 0, x = 0 ad un t = t1, x = x1arbitrari.

v(t) ≡dxdt

= v lim - vlimet /t

dxx= 0

x= x1

Ú = vlim dtt=0

t=t1

Ú - vlim e- t /t

t=0

t=t1

Ú dt

sostituendo nell’ultimo integrale

t / t = zdt = t dzz(t=t1) = t1 / t

si ottiene

dxx= 0

x= x1

Ú = vlim dtt=0

t=t1

Ú - vlimt e-z

z=0

z=t1 /t

Ú dz

x(t) = vlim t- vlim t (-)(e-t/t-1)

quindi

(33) x(t) = vlim t + vlim t (e-t/t-1)

{domanda: si studino graficamente gli andamenti di x(t), v(t) e a(t)}

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La sedimentrazione

Si considerino delle particelle di massa m in sospensione in un fluido in quiete. Sianuovamente d la densità delle particelle e d’ quella del fluido.

Le particelle tendono a salire (o a scendere) nel fluido con v costante a seconda del valoredi d’/d. Salgono se d’/d>1, g’<0, vedi (22d), scendono altrimenti.

Come visto precedentemente la forza esterna su una di queste particelle è pari a [vedi(27) e (22e)]

Fext = Fp - FArch

Fext = mg '= mg 1 -d 'd

Ê

Ë Á

ˆ

¯ ˜

e la velocità limite è (26), (22d)

(34)

vlim =mg 1-

d 'd

Ê

Ë Á

ˆ

¯ ˜

6pRh

dove abbiamo considerato l’ipotesi che le particelle siano piccole e sferiche. Nel caso diparticelle sferiche, la massa può scriversi in funzione della densità e del volume(V=4/3"πR3):

(35)

m =43

pR 3d

che inserita nella (34):

(36)

vlim =29

R 2g(d - d ' )h

≡ vs

In questo tipo di problemi la velocità limite descritta dalla (34) o dalla (36) prende ilnome di velocità di sedimentazione vs.Si nota dalla (36) che tale velocità dipende dalle caratteristiche del fluido (densità ecoefficente di viscosità) e da quelle delle particelle in sospensione (densità e raggio).{domanda: quante e quali relazioni fisiche abbiamo utilizzato per giungere alla velocitàdi sedimentazione?}.

Si può quindi osservare che, note le caratteristiche del fluido, una misura della velocità disedimentazione consente di misurare alcune proprietà delle particelle in sospensione. Per

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misurare la sedimentazione è sufficiente misurare la posizione delle particelle nelsolvente in funzione del tempo.

Ad esempio la misura della sedimentazione libera degli eritrociti nel sangue (VES) è unutile ed usato strumento diagnostico. La (36) ci fornisce una stima del valore di talevelocità. Si considerino i seguenti valori:

R = 3.5 µmd = 1.0995 g/cm3

d’ = 1.0265 g/cm3

h = 0.01 poise [si ricorda: 1 poise = 1 g/(cm s)]

vs =29

(3.5 ¥10-4 ) 2 ¥9.8 ¥102 ¥(1.0995 -1.0265)0.01

= 1.9 ¥10-4 cm / s

cioè vs ≈ 7 mm/h. Questo, ovviamente, è solo un ordine di grandezza. La sedimentzionenel sangue è infatti un fenomeno assai complesso che qui può essere trattato soloapprossimativamente. Ad esempio gli eritrociti non hanno forma sferica e tendono aformare aggregati.In un soggetto normale vs < 7 mm/h. Se questo valore dovesse alzarsi potrebbe esseresegno di una alterata aggregazione degli eritrociti o di una modificata composizione delplasma, a causa, ad esempio, di uno stato infettivo.In pratica la misura si esegue ponendo il sangue (con degli anticoagulanti) in una provettae misurando la posizione del menisco che separa gli eritrociti dal plasma ad intervalli di10-20 minuti, e graficando il risultato in funzione del tempo.È evidente come la VES possa essere un utile strumento diagnostico. Qui ne abbiamostudiato le leggi fisiche che permettono di utilizzare tale strumento.

NOTA 6 Si noti, quindi, che ogni qual volta si vada a misurare, ad esempio, la VESusando tale misura come strumento diagnostico, si sta di fatto studiando il moto deglieritrociti (nel caso della VES) descritto dalla seconda legge di Newton.

21

Centrifughe

Abbiamo visto che la velocità di sedimentazione può essere bassa. Dalla (36) e, più ingenerale, dalla dipendenza di vs da R e d intuiamo che questa tecnica potrebbe essereassai utile, ad esempio, per separare diverse particelle presenti in una stessa soluzione. Atal scopo sarebbe necessaria una vs più elevata. Dalla (26b) si osserva come, a parità dicoefficiente di attrito, e quindi una volta fissate particelle e fluido (si ricorda che b ≡6πRh, nel caso di particelle sferiche), sia necessario aumentare Fext. A questo scopo siricorre all’uso di centrifughe.

La centrifuga è una apparecchiatura che permette di porre la provetta contenente la nostrasoluzione in rapida rotazione attorno ad un asse (vedi figura 3).

Figura 3

Richiamo dei sistemi di riferimento non inerziali

Per comprendere il meccanismo di funzionamento della centrifuga dobbiamo richiamare iconcetti relativi ai sistemi di riferimento non inerziali.Un sistema di riferimento inerziale è un sistema di riferimento che si muove di motorettilineo uniforme (

r a = o) rispetto alle “stelle fisse”. Per tutto ciò che ci riguarda ilsistema del nostro laboratorio è un buon esempio di sistema di riferimento inerziale.{domanda: perchè il pendolo di Focault dimostra che, ad un più attento esame, anche ilsistema di riferimento del laboratorio non è inerziale?}In un sistema di riferimento inerziale valgono le leggi di Newton.I sistemi accelerati rispetto ai sistemi di riferimento inerziali si dicono “non inerziali”. Inun sistema di riferimento “non inerziale” non valgono le leggi di Newton, a meno di nonintrodurre le “forze fittizie”.Che in un sistema di riferimento non inerziale non valgano le leggi di Newton, almenonella formulazione che conosciamo, è semplice da verificare. Si immagini di essereseduti in un treno, il treno si muove con velocità costante (costante rispetto al suolo,quindi anche rispetto al nostro laboratorio). Siamo quindi in un sistema di riferimentoinerziale. Il nostro peso è bilanciato dalla reazione della poltrona sulla quale siamoseduti, non vi sono altre forze agenti. La mia accelerazione rispetto allo scompartimento

asse di rotazione

provetta

particella

w

r0

fluido

22

(che diventa in questo caso il mio laboratorio) è nulla. Le leggi di Newton sonosoddisfatte. Il treno frena. L’accelerazione del treno (negativa se il moto si svolgevalungo il verso positivo dell’asse di riferimento) rende il sistema di riferimento noninerziale. La mia accelerazione rispetto allo scompartimento non sarebbe più nulla se nonmi tenessi con forza per non essere sbalzato in avanti. Eppure non c’è nessuna forzaesterna agente su di me, la risultante delle forze reali è ancora nulla: le leggi di Newtonnon sono soddisfatte. Di fatto l’accelerazione del sistema di riferimento ha “mimato” lapresenza di una nuova forza, una forza fittizia. Per poter utilizzare le leggi di Newton inun sistema di riferimento non inerziale c’è bisogno di considerare anche questa forzafittizia.

Le leggi di Newton possono quindi essere utilizzate in un sistema di riferimento noninerziale se si sommano alle forze reali anche quelle fittizie, pari al prodotto della massadel corpo in studio, per l’accelerazione del sistema cambiata di segno.

Facciamo un esempio diverso. Consideriamo una stazione spaziale in orbita attorno allaterra. Il corpo che dobbiamo studiare è all’interno della stazione spaziale, ed è in quieterispetto ad essa, in condizione di “assenza di peso”. Vediamo come si può studiarne ilmoto da terra (sistema di riferimento inerziale) e dall’interno della stazione stessa(sistema di riferimento non inerziale in quanto si muove di moto circolare uniforme (equindi con accelerazione centripeta non nulla) attorno alla terra.

Dalla terra. L’unica forza agente sul corpo è l’attrazione gravitazionale con la terra(trascuriamo quella con la stazione spaziale, enormemente inferiore). Questa forza ècentrale e per la seconda legge di Newton è proporzionale alla accelerazione del corpo,che è totalmente centripeta e costante in modulo. Il moto è quindi circolare uniforme.Lungo la coordinata radiale (diretta dalla terra verso fuori) possiamo scrivere

(36b)

Fris = -G mMr2 = ma = -m v 2

r

dove il secondo segno di uguale è la seconda legge di Newton.

Dalla stazione. La forza gravitazionale è sempre presente. A questa va quindi aggiunta laforza fittizia (che viene detta centrifuga), pari all’accelerazione del sistema di riferimento(centripeta) cambiata di segno e moltiplicata per la massa. Le due forze, quella reale equella fittizia, in un moto orbitale sono uguali e contrarie. La risultante è nulla. Dalsistema di riferimento non inerziale l’astronauta osserva che il corpo è in quiete con lastazione, e quindi che le leggi di Newton sono rispettate:

(36c)

Fris = -G mMr2 + m v 2

r= ma = 0

Questa relazione ci permette di capire la sensazione di “assenza di peso” provata dagliastronauti in orbita: relativamente alla stazione orbitante la risultante delle forze è nulla!

23

Attenzione: la forza gravitazionale è certamente presente anche nella stazione spaziale, èsemplicemente bilanciata nel sistema non inerziale dalla forza fittizia centrifuga!

NOTA 7 All’inizio di questo corso si è fatto notare che le due masse che compaiononella legge di gravitazione universale e nella seconda legge di Newton (rispettivamentemassa gravitazionale ed inerziale) descrivono proprietà diverse dei corpi e sono detteequivalenti a seguito di misurazioni assai precise. La, ormai frequente, immaginedell’astronauta che fluttua immobile nella stazione spaziale a fianco del suo spazzolino dadenti, o di una scatoletta di cibo è di fatto una dimostrazione (grossolana ma convincente)di tale equivalenza. Visti da terra, infatti, spazzolino da denti, scatoletta di cbo eastronauta sono corpi per cui vale la (36b). Se le tre masse non fossero equivalentidovrebbero dipendere in modo diverso dai loro costituenti. In generale, quindi, i valori div ed r che soddisfano le (36b) nei tre casi dovrebbero essere diversi. Il rapporto mi/mgdovrebbe infatti essere diverso. Nel nostro caso, invece, i tre corpi rimangono in quietetra di loro nel loro moto orbitale (spazzolino, scatoletta e astronauta sono fermi l’unorispetto agli altri) e dimostrano che la massa inerziale e gravitazionale sono equivalenti,o, in altre parole che il rapporto mi/mg è uguale per tutte le masse, e quindi può essereposto uguale ad uno attraverso una appropriata scelta di unità.

Perchè ci occupiamo di questo nel caso della nostra centrifuga? Abbiamo sino ad orastudiato la sedimentazione nel sistema del nostro laboratorio, e siamo giunti a descrivereil comportamento della velocità di sedimentazione in funzione di paramentri importantidel nostro sistema. Ora ci accingiamo a mettere il nostro sistema in rotazione veloce, e ilnostro scopo è quello di studiarne il comportamento nel sistema rotante in modo da poterutilizzare le relazioni che abbiamo trovato sino ad ora.

Consideriamo la particella di massa m a distanza r0 dall’asse di rotazione (vedi figura 3).La centrifuga ruota con pulsazione angolare w (w ≡ 2πf, f ≡ frequenza di rotazione).L’accelerazione centripeta della particella, misurata nel sistema inerziale del laboratorio èpari a:

(37) a = - w2r0

Dove con il segno ‘-‘ si indica che l’accelerazione è centripeta, diretta verso l’asse dirotazione. Conseguentemente la forza fittizia è data da:

(38) Ff = mw2r0

Si noti che questa forza è presente SOLO nel sistema di riferimento non inerziale.Questa forza fittizia (38) agisce non solo sulla particella di massa m ma anche su tutte leparticelle del solvente. Si comporta, cioè, in modo analogo alla forza peso.

24

NOTA 8 Si osservi che la dizione “dal basso verso l’alto” nell’enunciazione delprincipio di Archimede, presuppone che si conoscano questi due “versi”. Risulta intuitivocoprendere come la definizione di “alto” e “basso” sia imprescindibilmente legata allaforza peso (e quindi di gravità), che con il suo verso definisce univocamente il “basso”.Se vi immaginaste nella provetta rotante, quindi nel sistema di riferimento non inerziale,il vostro “basso” sarebbe certamente nella direzione radiale, verso l’esterno. La forzafittizia in questo sistema di riferimento è, infatti, la forza apparentemente agente sullanostra massa e, all’interno della provetta, si comporta come la forza di gravità.

Il principio di Archimede ci dirà quindi che la particella riceve una spinta con versoopposto al verso della forza fittizia, uguale alla forza che verrebbe esercitata su unamassa di solvente di volume pari a quello della particella. In questa ottica possiamoriscrivere le equazioni che abbiamo trovato in precedenza, avendo cura di sostituire allaaccelerazione di gravità g, l’accelerazione centrifuga w2r0. Infatti (con i significati deisimboli già utilizzati in precedenza):

Fext = Ff – FArch = Vdw2r0 – Vd’w2r0

(39) Fext = Vw2r0(d – d’)

Vediamo che la (39) è identica alla (27) a meno della sostituzione

(40) g fi w2r0.

Si sottolinea che si è totalmente trascurata la forza peso. La ammissibilità di questasemplificazione verrà mostrata fra breve. Utilizzando la (40) nella (36) si ottiene:

(41)

vs =29

R2w 2r0(d - d ')h

L’utilità delle centrifughe è sostanzialmente descritta dalla sostituzione (40). Mentre g èdi fatto una costante, sia w che r0 possono variare a piacere, entro certi limiti strumentali.Abbiamo cioè uno strumento capace di aumentare vs e conseguentemente di diminuire itempi di sedimentazione. Il “vantaggio” di usare una centrifiga è descritto dalla RelativeCentrifugal Force (RCF):

(42)

RCF =w 2r0

g

Questo rapporto per una tipica centrifuga (f ≈ 1500 giri/min, r0 ≈ 20 cm) è di circa 5 x103! (e nelle ultra centrifughe arriva a quasi 106).

25

Centrifughe (valori indicativi)Low high ultra

Velocità 2-6 18-25 40-80 giri al minuto x 10-3

Max RCF 6x103 6x104 6x105

Questi valori ci confermano che l’approssimazione fatta nel trascurare la forza peso èperfettamente ammissibile {perchè?}

La (41) può essere scritta:

(43) vs = S w2r0 ≡ S g RCF

dove si è introdotto il coefficiente di sedimentazione S

(44)

S =29

R 2(d - d ' )h

dove la relazione è “specializzata” per particelle sferiche, oppure, più in generale, dalla(26b) e (39) che ricordiamo

(26b)

vlim =Fext

b

(39) Fext = Vw2r0(d – d’)

e dalla definizione di S (43) si ottiene:

(45)

S =V (d - d ' )

b

Si noti che il coefficiente di sedimentazione dipende solo dalle proprietà della particella edel liquido.Dalla (43) si può vedere che le dimensioni di S sono quelle di un tempo (S = vs/w2r0).Se misurato con l’unità di misura del Sistema Internazionale (s), S risulterebbe assaipiccolo. Si usa generalmente lo svedberg, pari a 10-13s.

A titolo di esempio il coefficiente di sedimentazione S dell’albumina e di un tipico virusinfluenzale è (in svedberg) rispettivamente 5 e 7x102.Usando una centrifuga con una velocità di rotazione pari a 2x104 giri al minuto ed un r0 =0.2 m, si trova:

RCF ≈ 9 x 104

albumina: vs ≈ 4 x 10-7 m/s

26

virus influenzale vs ≈ 6 x 10-5 m/s

???Nel primo caso occorrono più di 40 min perchè il menisco della sospensione si spostidi un millimetro, nel secondo caso sono sufficienti meno di 20 s.

Si può dimostrare che il coefficiente di attrito viscoso b può essere anche scritto infunzione della temperatura assoluta T (relazione di Einstein – Stokes):

(46)

b =RTN0D

=kTD

Dove

R è la costante dei gas (

R = 8.314 J/K mole)T è la temperatura termodinamica assolutaN0 è il numero di Avogadro (N0 = 6.022 x 1022 particelle/mole)D è il coefficiente di Diffusionek (=

R /N0) è la costante di Boltzmann (k = 1.381 x 10-23 J/K)

Dalla (43) e (46) si può scrivere:

(47)

vs = w 2r0V (d - d ') N 0DRT

Una centrifuga può essere usata per diversi scopi, ad esempio:

Separare una miscela di “corpuscoli” di diversa densità (centrifuga preparativa);

Analizzare la composizione di una sospensione, ad esempio determinando il pesomolecolare dei diversi componenti (centrifuga analitica).

La provetta si prepara con diversi strati di soluzione con densità crescente dalla cimaverso il fondo (ad esempio soluzioni di acqua e glucosio). Dalle equazioni precedenti sivede che vs = 0 quando d = d’. Conseguentemente i diversi componenti la miscelaarresteranno la loro sedimentazione in diversi strati della soluzione, separandosi secondola densità.

Possiamo riscrivere la (47) ricordando che V = m/d:

(48)

vs = w 2r0d - d '

dm N 0D

RT

Essendo il peso molecolare pari a mN0:

27

(49)

M ≡ mN 0 =RT

w 2r0

1

1-d 'd

vs

D

Misurando vs e conoscendo D si può quindi ricavare il peso molecolare M.

28

Elettroforesi

Un altro esempio di applicazione della seconda legge di Newton, attraverso la descrizionedella velocità limite in un mezzo resistivo (velocità di sedimentazione) in termini deiparametri “microscopici del sistema, è l’elettroforesi.

Questa consiste nella migrazione di particelle cariche in sospensione sotto l’azione di uncamopo elettrico

r E esterno.

Se la carica di una particella è q la forza su di essa è quindi

(50)

r F e = q

r E

Assumendo che non vi siano altre forze, a parte l’attrito, agenti sul piano orizzontale,potremo scrivere

(51)

r F ext =

r F e

Tutte le considerazioni fatte precedentemene sono quindi valide se si sostituisce mg’ conFe=qE. Dalla (26b):

(52)

vs =qEb

oppure, nel caso di particelle sferiche (18b):

(53)

vs =qE

6pRh

In pratica si immergono due elettrodi in una soluzione, ad esempio, di molecole proteichee si stabilisce una differenza di potenziale ∆V fra di essi. Ricordiamo che il campoelettrico così generato è

(54)

E =DVL

dove L è la distanza fra i due elettrodi. Il campo E è (se si trascurano gli effetti ai bordi)costante ed uniforme.

Nel caso dell’elettroforesi si introduce la mobilità elettroforetica:

(55)

me =qb

29

o, considerando particelle sferiche (18b):

(56)

me =q

6pRh

e quindi

vs =

me E

Una attenzione particolare va posta nell’eseguire i calcoli numerici. Spesso le unità deivalori riportati nelle tabelle sono “ibride”. Ad esempio

me è espresso in

mms

cmV

E è espresso in

Vcm

vs è espressa in

mms

Se si considerano valori tipici

me = 0.5

mms

cmV

L = 1 cm∆V = 20 V

vs =

me E =

me

DVL

= 0.5

mms

cmV

20V1cm

= 10 µm/s

Sfruttando le diverse velocità di migrazione (dovute alle dimensioni delle particelle e allaloro carica) si possono quindi separare e analizzare quantitativamente le componenti diuna miscela ad esempio di amminoacidi.

30

Richiami di onde

Le dispense relative a questa sezione di corso non sono ancora pronte. Gli studenti sonopregati di studiare le seguenti nozioni sul libro di testo di fisica dello scorso anno:

Onde trasversali e longitudinali.

Descrizione di un’ onda. Lunghezza d’onda, numero d’onda angolare, numero d’onda,periodo, pulsazione e frequenza.

La velocità di propagazione dell’onda.

Energia e potenza di un onda in moto. Potenza trasferita.

Il principio di sovrapposizione.

Interferenza.

Onde stazionarie.

Onde acustiche.

Velocità del suono. Onda di pressione.

Interferenza sonora.

Intensità e livello sonoro.

La scala dei decibel.

Effetto Doppler.

31

Ultrasuoni

Sono definiti ultrasuoni quei suoni che hanno una frequenza superiore a quella udibiledall’uomo. Per convenzione le onde sonore con f > 20 kHz vengono dette ultrasuoni. Siricorda che alcuni animali hanno soglie maggiori (cani 40 kHz, pipistrelli 80 kHz, farfalle170 kHz).Gli ultrasuoni possono essere generati da cristalli piezoelettrici o, più raramente,magnetostrittivi. Questi cristalli “traducono” un campo elettrico o magnetico inoscillazioni meccaniche della stessa frequenza e sono perciò definiti “trasduttori”.In un cristallo piezoelettrico il campo elettrico periodico che viene applicato tende amodificare le posizioni molecolari e produce sollecitazioni che a loro volta produconouna variazione periodica di una delle dimensioni del cristallo, cioè una vibrazione, chegenera una onda sonora.I materiali magnetostrittivi si comportano analogamente sotto l’azione di un campomagnetico periodico.Entrambi i tipi di trasduttori hanno un funzionamento reversibile, cioè se sollecitatimeccanicamente a vibrare (per esempio da una onda sonora incidente) questi produconoun campo elettrico, o magnetico, della stessa frequenza, che possono quindi essererivelati e utilizzati per misurare le caratteristiche dell’onda incidente.Vedremo che, considerando che molte delle tecniche ecografiche richiedono breviimpulsi di onde ultrasonore, questa caratteristica permette di utilizzare un unicotrasduttore per la generazione e la rivelazione, modificando elettronicamente la gestionedel cristallo da generatore durante gli impulsi a rivelatore durante le pause fra gli impulsi.Si possono generare/ricevere in questo modo onde di frequenza fino all’ordine del GHz(109"Hz). Questo, in aria, corrisponde ad una lunghezza d’onda in aria pari a circa 3 x 10-7

m (si rcordi che la velocità del suono in aria è circa 340 m/s).I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno, ad esempio, intensità fra≈10–4"W/cm2 e ≈102"W/cm2.A causa di questi ultrasuoni delle differenze di pressioni istantanee dell’ordine di 10atmosfere possono generarsi in punti distanti qualche decimo di millimetro. Si comprendequindi come gli ultrasuoni possano dar luogo ad azioni meccaniche intense.Queste sollecitazioni possono produrre, ad esempio nei liquidi, il fenomeno dellacavitazione. Questo produce delle “bolle” dove si genera un minimo di pressione. Lasuccessiva scomparsa improvvisa di queste bolle, produce un fenomeno violento, che puòessere usato come sistema di pulizia, per frammentare i medicamenti usati nell’aerosol, opersino per fratturare membrane cellulari e costituenti cellulari quali i cromosomi. Unaltro esempio dell’uso degli ultrasuoni è la litotrizione cioè l’azione frantumatrice di ondemeccaniche ultrasoniche impulsate, usata nella terapia dei calcoli.L’energia trasportata da una onda ultrasonica si attenua durante il passaggio nel mezzo.La legge che descrive questo fenomeno è esponenziale:

(1) I(x) = I0 e-ax

Vedremo che il coefficiente a è proporzionale alla frequenza dell’onda per la maggiorparte dei materiali biologici, fra circa 0.5 MHz e 15 MHz.

32

Flussimetria Doppler

Un uso degli ultrasuoni abbinato all’effetto Doppler, è quello della flussimetria, che cipermette di misurare in modo non invasivo (senza l’inserimento di sonde meccaniche) laportata dei vasi sanguigni.

Un trasduttore piezoelettrico trasmette un’onda ultrasonica a frequenza ns verso il vaso. Ilsuono viene riflesso principalmente dai globuli rossi, che si stanno allontanando e vienerivelato dal ricevitore piezoelettrico. Assumendo piccolo l’angolo tra la propagazionedell’onda ed il vaso sanguigno potremo utilizzare le relazioni apprese la scorsa lezione.La frequenza n’ con la quale un globulo rosso, in movimento, “percepirebbe” l’ondaemessa dal nostro generatore piezoelettrico è data da (si ricorda che siamo nel caso divelocità della sorgente nulla, ws = 0, ricevitore che si allontana):

(2)

n'= nw - wR

w

Dove w è la velocità del suono nel sangue, wR la velocità del “ricevitore” e n la frequenzadi emissione dell’onda alla sorgente. La riflessione si può quindi descrivere comeun’onda da una sorgente in moto (allontanamento) verso un ricevitore fermo (wR = 0):

(3)

n"= n' ww + ws

quindi inserendo la frequenza come “percepita” dai globuli rossi (2):

(4)

n"= nw - wR

ww

w + ws

= nw - wR

w + ws

In questo caso avremo

(5) wR = ws ≡ u

dove con u si è indicata la velocità dei globuli rossi. Inserendo (5) in (4) abbiamo:

(6)

n"= nw - uw + u

= nw - u + u - u

w + u= n 1 -

2uw + u

Ê

Ë Á

ˆ

¯ ˜

Cioè la variazione di frequenza è data da:

(7)

Dn = n - n"= n -n 1-2u

w + uÊ

Ë Á

ˆ

¯ ˜ = n

2uw + u

33

La frequenza di emissione e la variazione di frequenza sono noti. Dalla (7) possiamoquindi ricavarci u.

2nu- (w + u)Dn = 02nu- wDn - uDn = 0u(2n - Dn) = wDn

e quindi:

(8)

u = w Dn2n - Dn

La misura degli echi ultrasonici derivanti dalle riflessioni sulle superfici tessuto-liquido eviceversa (le pareti dei vasi sanguigni) consente di ottenere il diametro dei vasi stessi.Conseguentemente, oppurtunamente tarato, il flussimetro doppler fornisce una misuradiretta della portata dei vasi.

34

Ecografia

Dal corso di fisica ricordiamo che quando un’onda raggiunge superfici di separazione framezzi diversi, si osservano i fenomeni della riflessione e della rifrazione (assumendo lalunghezza d’onda molto più piccola delle dimensioni di tali superfici).Considerando una incidenza normale, il tempo che l’onda impiega per raggiungere talesuperficie e tornare indietro al rivelatore è ovviamente il doppio di quello impiegato perraggiungere l’interfaccia. Supponendo di avere due superfici di separazione consecutive,si può, ad esempio, misurare la distanza dalla sorgente/rivelatore di entrambe le superfici,e quindi la distanza fra esse.Si osservi la figura 1. Vi sono rappresentate due superfici di separazione che potrebberorappresentare, ad esempio, un vaso sanguigno.

Figura 1

Ponendo un trasduttore piezoelettrico a contatto della pelle nella posizione y0 e generandocon esso un impulso ultrasonoro, posso misurare la distanza del vaso dalla cute (L1) e ilsuo spessore (L2-L1) misurando gli echi di ritorno. Focalizziamoci ora sulla coordinatay"="y0; si osservi la seguente figura (attenzione: la coordinata verticale è ora il tempo!)

Figura 2

35

Con i simboli usati in figura 1 vediamo che:

(9) 2L1 = vt1 fi L1 = vt1/2(10) 2L2 = vt2 fi L2 = vt2/2

ed anche

(11) ∆L = v (t2 – t1) / 2

Dove v è la velocità del suono nel mezzo.

NOTA 1: si osservi che si è trascurata nelle equazioni (10) e (11) la differenza di velocitàdel suono tra quella del vaso e quella del tessuto circostante.

L’ampiezza dei segnali riflessi contiene informazioni relative ai tessuti attraversati edall’attenuazione durante questo cammino.[vedi (1)]Quanto illustrato in figura 2 è relativo alla sola coordinata x (la riflessione è normale!).Cioè stiamo misurando la distanza delle due superfici di separazione lungo la retta y"="y0ortogonale al nostro generatore/rivelatore. Se volessimo studiare come tali distanze simodificano sopra o sotto tale retta (lungo ‘y’), dovremmo muovere ilgeneratore/rivelatore conseguentemente e ripetere la misura ragionando di nuovo come infigura 2. Così facendo dovremmo osservare una molteplicità di “figure 2” ciascuna perogni misurazione. La stessa quantità di informazioni può essere contenuta in una solafigura in cui l’ampiezza viene codificata in punti di diverso colore, o livelli di grigio, eciascuna misura viene riportata sulla stessa figura spostata coerentemente con lospostameno del generatore/ricevitore verso l’alto o il basso (figura 2). Osservando comel’asse temporale sia uguale, a meno di un fattore di scala v/2 [vedi (9) e (10)] all’asse x:

Figura 3

Nel caso in figura 3 vediamo che le due superfici lungo la direzione “y” si muovonoverso il generatore/rivelatore e si avvicinano fra loro, come già sapevamo dalla figura 1.Abbiamo quindi riprodotto la struttura interna del nostro vaso studiando gli echiultrasonici provenienti dalle interfaccie tessuto/vaso.

36

Questa tecnica può ovviamente essere utilizzata per studiare in modo non invasivo ilcorpo umano.

Nel seguito si faranno alcune considerazioni legate a questa tecnica con particolareriguardo alla visualizzazione non invasiva degli organi interni del corpo umano.

Attenuazione

Come accennato in precedenza, quando un ultrasuono si propaga in un mezzo, e quindianche nel corpo umano, viene attenuato. L’intensità dell’onda che si propaga, ad sempionella direzione x, abbiamo visto decresce esponenzialmente.

(1) I(x) = I0 e-ax

da cui si possiamo ricavare che

(12)

a = -1x

ln I(x)I0

Visto che i rapporti di ampiezze sono solitamente espressi in dB, il valore di a potràscriversi:

(13)

a(dB cm-1) = -1x

10 log10I(x)I0

= -1x

ln I(x)I0

[10 log10 e]= 4.343 a(cm -1)

L’attenuazione degli ultrasuoni aumenta con la frequenza. Molti tessuti del corpoattenuano in modo simile e mostrano una dipendenza con la frequenza quasi lineare (siveda la figura 3, attenzione alla scala doppio-logaritmica!). Da ciò origina la regolaapprossimata che ci dice che per molti tessuti molli:

(14) a = 1 dB cm-1 MHz-1

37

Attenuazione in funzione della frequenza

Figura 3

È il caso di soffermare l’attenzione sulla (14), in particolare sul fatto che i decibel sonouna unità logaritmica. Può essere utile dalla (14) generare una tabella che dia a in diversicasi:

Frequenza(MHz)

a (dB/cm) riduzione %di intensità

(1 cm)

riduzione %di intensità

(5 cm)1 1 21 682 2 37 903 3 50 96.85 5 68 99.687 7 80 99.96810 10 90 99.9990

Tabella 1

In tabella 1 (colonne 3 e 4) si è fatto uso delle relazioni (1) (13) e (14). Si noti la fortedipendenza dell’attenuazione con la frequenza dell’onda.

L’intensità dell’ultrasuono si attenua a causa dell’assorbimento o della diffusione.

38

Assorbimento

Una della cause di attenuazione è l’assorbimento: parte dell’energia dell’onda sitrasforma in calore. Questo fenomeno è responsabile, ad esempio, degli aumenti ditemperatura cui fanno riferimento le ipertermie indotte da ultrasuoni.Ci sono molti meccanismi alla base dell’assorbimento, ma principalmente questi possonoessere raggruppati in tre classi:- Meccanismi ‘classici’ nei quali sono principalmente coinvolte forze viscose con unadipendenza con la frequenza vicino a f2. Nel caso di tessuti biologici questi sono ritenuticontributi minori. - Rilassamenti molecolari, nei quali le fluttuazioni di temperatura e pressione causanoalterazioni reversibili nella configurazione molecolare. La dipendenza in frequenza èvicino a f1, o leggermente maggiore. Questi sono ritenuti la causa principale perl’assorbimento nei tessuti, con l’eccezione di ossa e polmoni (si veda la figura 3).- Movimenti relativi, indotti dall’onda, di piccoli elementi di tessuto sono ancheconsiderati potenzialmente importanti. Questi possono avere una dipendenza con lafrequenza tra f1 e f2.Si può aggiungere, inoltre, che ad un maggiore contenuto di proteine o minore contenutodi acqua nei tessuti è solitamente associato con un maggiore assorbimento.

Diffusione

Le strutture nel corpo che possono produrre diffusione degli ultrasuoni sono didimensioni estremamente varie. Vanno dalle cellule (10 µm, circa 0.03l a 5 MHz, dovesi è usato vsuono = 1.7 x 103 m/s) alle superfici degli organi (ordine dei 10 cm, circa 300l a5 MHz). C’è quindi un ‘range’ di ben 4 ordini di grandezza! Ovviamente diversi tipi didiffusione occorrono a diversi livelli di strutture, vedi tabella che segue.

scala dipendenza infrequenza

diffusione esempi

>> l, regione geometrica,riflessione, rifrazione

f0 (nessuna dipendenza) forte Diaframma, vasi sanguignigrandi, interfaccia tessutomolle/osso, cisti …

≈ l, regione stocastica,diffrazione

variabile Media E’ una componente didiffusione presente inmolte situazioni

<< l, regione di“Rayleigh”

f4 Debole sangue

Tabella 2

Come ricordato sopra, nella regione geometrica - ad esempio l’interfaccia fra due mezziomogenei - la diffusione viene descritta dalle note leggi della riflessione e rifrazione.Nel corpo non ci sono piani o superfici levigate, si può comunque osservare come, adesempio, il diaframma agisca in qualche modo come uno specchio, e talvolta possacausare nella regione dei polmoni una seconda immagine di strutture che si trovano nel

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fegato. Altre strutture, come cisti, o lo stesso occhio, producono rifrazioni che possonoessere ben descritti dall’ottica geometrica.Come ci si aspetta, superfici di separazione tra tessuti caratterizzati da una grandedifferenza in velocità del suono (vedi tabella 3) determinano i maggiori coefficienti diriflessione R (vedi tabella 4). Quindi i polmoni attenuano molto (l’interfaccia aria-polmone produce una forte riflessione), e gli ultrasuoni penetrano con difficoltà ossa oaria (e non sono in grado di visualizzare le strutture successive) come nei polmoni oppurenel tratto gastrointestinale.

In termini qualitativi e generali possiamo dire che l’ecografia è una tecnica con unaelevata abilità di descrivere i confini tra tessuti con diverse velocità del suono.

Mezzo velocità del suono (km/s)Aria .34Polmoni 1Altri tessuti 1.4–1.7Ossa 3–4

Tabella 3

Superfici di separazione R{10log10(R/Rperf)} dBAir/solid ≈ 0Tendini/grasso ≈ -20Acqua/muscolo ≈ -26Grasso/acqua ≈ -29Muscolo/sangue ≈ -31Muscolo/fegato ≈ -37Reni/fegato ≈ -42Sangue/cervello ≈ -50

Tabella 4

Si noti che le considerazioni fatte sopra ci fanno capire la motivazione dell’uso di gel perinterfacciare il generatore dell’ultrasuono con la pelle del soggetto in misura. Questoserve infatti ad evitare una interfaccia aria/pelle che causerebbe una riflessione quasitotale dell’ultrasuono ed una conseguente attenuazione drastica del segnale utilizzabile.

Le interazioni raggruppate nella regione stocastica sono predominanti nelle regioniinterne degli organi. In questa classe vengono descritte anche le interazioni su superficiruvide di organi estesi. Questa particolare classe di diffusione accompagna quindi spessotutti i processi diffusivi.

Nella regione di Rayleigh sono descritte interazioni degli ultrasuoni su cellule (peresempio globuli rossi). L’intensità dello scattering è molto debole e segue un andamentof4.

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La risoluzione

La risoluzione, sia assiale che laterale, ci descrive la distanza più piccola fra due oggettiche può essere rivelata (nelle due direzioni).La risoluzione assiale ha un limite teorico, stabilito dalla lunghezza d’ondadell’ultrasuono. Come è facile intuire, comunque, due interfacce non possono esseredistinte se la loro distanza è minore della lunghezza dell’impulso utilizzata. Si noti che alunghezze d’onda minori (e quindi frequenze maggiori) possono anche corrispondereimpulsi di lunghezza minore, considerando che un impulso deve contenere almeno uncerto numero di lunghezze d’onda.La risoluzione laterale è invece la capacità di distinguere strutture che giacciono su unalinea ortogonale alla propagazione dell’onda. Conseguentemente tale risoluzione saràlimitata dalla dimensione del fascio: tanto più questo è sottile, tanto più sarà possibiledistinguere oggetti vicini. La collimazione del fascio dipende sia dal diametro delcristallo che lo produce (minore il diametro, migliore la collimazione) che dallafrequenza (maggiore la frequenza, migliore la collimazione).Quindi in entrambe le direzioni una maggiore frequenza rende possibile una migliorerisoluzione. Considerando la maggiore attenuazione all’aumentare della frequenza, sicomprende come sia necessario un compromesso nella scelta della frequenza edell’intensità dell’ultrasuono.Infatti una frequenza alta che migliora la risoluzione, si accompagna ad una attenuazionemolto maggiore (si ricordi che la figura 3 è in scala doppio logaritmica). In questo caso sidesidera una intensità iniziale molto alta per poter ‘vedere’ in profondità (e questo èmaggiormente vero se si considerano tutti i rumori ed i disturbi legati a questo tipo dimisura). Intensità di ≈ 80 W/cm2 divengono quindi necessarie. Ma dobbiamo tenerepresente anche le considerazioni che facevamo inizialmente sulla pericolosità degliultrasuoni. È quindi per evitare danneggiamenti ai tessuti (20 W/cm2 ad 1 MHz possonogià essere pericolosi) che si usa quindi una tecnica pulsata. Ad esempio 200 pulsazioni alsecondo di 5 µs l’una, comporta un tempo totale di trasmissione pari a 10-3 s e quindi gli80 W/cm2 corrispondono ad una potenza dissipata nell’organismo di 0.08 W/cm2, al disotto del limite di pericolosità.

Come già accennato, la tecnica impulsata consente, fra l’altro, di utilizzare lo stessostrumento (ad esempio un cristallo piezoelettrico) come generatore (durante l’emissionedegli impulsi) e come rivelatore (durante i periodi tra gli impulsi).

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Richiami di ottica

Le dispense relative a questa sezione di corso non sono ancora pronte. Gli studenti sonopregati di studiare le seguenti nozioni sul libro di testo di fisica dello scorso anno, e sugliappunti presi a lezione:

Riflessione e rifrazione

Dispersione cromatica

Interferenza

Principio di Huygens

Diffrazione

Esperimento di Young

Intensità dell’interferenza da una doppia fenditura

Interferenza su pellicole sottili

Diffrazione

Diffrazione attraverso un foro circolare

Potere risolvente – Criterio di Rayleigh

Diffrazione da una doppia fenditura

Reticolo di diffrazione

Dispersione e potere risolvente per un reticolo

Diffrazione a raggi X

Spettrofotometria