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MARTHA CANFIELD Università di Venezia Fine del millennio fine della storia: l'incubo apocalittico nell'opera di Carmen Boullosa Con il termine "millenarismo" si designa la credenza secondo cui Cristo regnerà per mille anni sulla terra, con i suoi santi risorti, prima della resurre- zione finale del suo regno definitivo e celeste. Il millenarismo, che si nutre an- che delle attese messianiche del tardo giudaismo ', si appoggia soprattutto sul- l'Apocalisse di Giovanni: E vidi un angelo scendere dal cielo [...] E afferrò il dragone, il serpente antico che è il diavolo o Satana, e l'incatenò per mille anni; quindi gettatolo nell'abis- so, chiuse e vi pose sopra il sigillo, in modo che non potesse più sedurre le na- zioni finché non fossero passati mille anni [...] E vidi le anime di coloro che era- no stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia [...] e vissero e regnarono con Cristo per mille anni. Il resto dei morti non prese a vivere finché non si compirono i mille anni. Quel- la è la prima resurrezione. {Apocalisse, 20, 4-5) Speranze millenaristiche si trovano in molte sette e tendenze religiose del nostro tempo (dagli avventisti ai mormoni), ma anche in certe teorie politiche che auspicano un rovesciamento dell'ordine sociale e lo stabilimento di una giustizia definitiva dove gli umili saranno finalmente redenti: anche nei diari del Che Guevara si possono trovare espressioni che rimandano a questo antico motivo millenaristico, e in maniera più rozza ma palese negli scritti rivoluzio- nari di Abimael Guzmán, capo di Sendero Luminoso. 1 «Ecco, infatti, che io sto per creare/ cieli nuovi e terra nuova!/ Il passato non sarà più ricordato,/ non verrà più in mente»: Isaia, 65-17.

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MARTHA CANFIELDUniversità di Venezia

Fine del millennio fine della storia: l'incubo apocalitticonell'opera di Carmen Boullosa

Con il termine "millenarismo" si designa la credenza secondo cui Cristoregnerà per mille anni sulla terra, con i suoi santi risorti, prima della resurre-zione finale del suo regno definitivo e celeste. Il millenarismo, che si nutre an-che delle attese messianiche del tardo giudaismo ', si appoggia soprattutto sul-l'Apocalisse di Giovanni:

E vidi un angelo scendere dal cielo [...] E afferrò il dragone, il serpente anticoche è il diavolo o Satana, e l'incatenò per mille anni; quindi gettatolo nell'abis-so, chiuse e vi pose sopra il sigillo, in modo che non potesse più sedurre le na-zioni finché non fossero passati mille anni [...] E vidi le anime di coloro che era-no stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e quantinon avevano adorato la bestia [...] e vissero e regnarono con Cristo per milleanni.Il resto dei morti non prese a vivere finché non si compirono i mille anni. Quel-la è la prima resurrezione.

{Apocalisse, 20, 4-5)

Speranze millenaristiche si trovano in molte sette e tendenze religiose delnostro tempo (dagli avventisti ai mormoni), ma anche in certe teorie politicheche auspicano un rovesciamento dell'ordine sociale e lo stabilimento di unagiustizia definitiva dove gli umili saranno finalmente redenti: anche nei diaridel Che Guevara si possono trovare espressioni che rimandano a questo anticomotivo millenaristico, e in maniera più rozza ma palese negli scritti rivoluzio-nari di Abimael Guzmán, capo di Sendero Luminoso.

1 «Ecco, infatti, che io sto per creare/ cieli nuovi e terra nuova!/ Il passato non sarà piùricordato,/ non verrà più in mente»: Isaia, 65-17.

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Tuttavia è chiaro che questo rovesciamento dell'ordine esistente dev'esse-re preceduto dalla rovina del medesimo, intesa anche come la fine dei tempi. Iltermine «apocalisse» e l'aggettivo che ne deriva, «apocalittico», quindi, diven-tano così il simbolo degli ultimi giorni dell'umanità, che saranno contrasse-gnati da fenomeni spaventosi: gigantesche inondazioni marine, crollo di mon-tagne, frane terribili, il cielo che s'incendia in un indescrivibile disastro. Così,più che «rivelazione» secondo il suo etimo, «apocalittico» risulta indicativodella fine del mondo.

Due avvenimenti del nostro secolo rafforzano l'impressione di essere ailimiti dei tempi, e non più sorretti dalla provvidenza:

a) uno è la consapevolezza sempre più diffusa del disastro ecologico che ilgenere umano ha provocato, condannandosi al tempo stesso alla propria di-struzione. La fine di questo secolo - e di questo millennio - è contrassegnatada questa allarmante scoperta e dall'angoscia che ne consegue.

b) l'altro, avvenuto a metà secolo, ci lascia segnali di un orrore che va aldi là dello struggimento davanti ai disastri naturali o alle stragi causate dallaimprevidenza o dalla stoltezza umane. Parliamo dell'Olocausto2.

Come ha spiegato bene il grande filosofo Hans Jonas, recentementescomparso, la «soluzione finale» di Hitler non si può paragonare con nulla,nemmeno con Hiroshima, che rimane un fatto bellico. Nel suo libro // concet-to di Dio dopo Auschwitz5, egli sottolinea il grande paradosso che sia stato pre-cisamente l'antico popolo dell'alleanza - alleanza a cui non credeva più nessu-no di quanti presero parte allo sterminio, assassini e martiri - ad affrontare ildestino dell'annientamento totale con il falso pretesto della razza. È diffìcile,in effetti, concepire un più mostruoso capovolgimento dell'elezione in maledi-zione, al punto di rendere ridicolo ogni tentativo di attribuirvi un senso 4.

Così, per l'ebreo, che vede nell'aldiqua (non nell'aldilà) il luogo della

2 Mentre siamo in fase di correzione di bozze, un anno dopo la realizzazione del conve-gno, e appena finita la guerra della NATO contro la Serbia, continuano ad arrivare notizie rac-capriccianti dello sterminio dei kossovari effettuato dal regime di Milosevic, in nome della"pulizia etnica". La parola Olocausto torna a ricomparire e a segnare tristemente la fine delmillennio. Molti vedono nella guerra dei Balcani un oscuro segno del secolo, appena iniziatoquando l'attentato di Sarajevo apri la strada alla prima Guerra Mondiale.

3 Hans Jonas, // concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, II melangolo, Genova,

1997.4 Ibidem, p. 22.

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creazione, della giustizia e della salvezza divina, Dio è il signore della Storia,per cui Auschwitz rimette in questione il concetto stesso di Dio che la tradi-zione ha tramandato. L'antico interrogativo di Giobbe - quale Dio ha per-messo che ciò accadesse? — si ripropone pesantemente ed esige una nuova ri-sposta.

Per Jonas la risposta non può che essere diametralmente opposta a quelladella Bibbia: nel libro di Giobbe ci si richiama alla pienezza di potenza di Diocreatore, Jonas si richiama alla sua rinuncia alla potenza. E ci parla di una Tra-scendenza che diviene consapevole di se stessa con la comparsa dell'uomo, laquale comporta per Dio una certa dose di sofferenza. Allora, un Dio sofferenteè un Dio diveniente, che ha concesso qualcosa all'Altro da sé, da lui stesso crea-to, e che quindi diviene con esso. Ciò spiega perché il mondo non è perfetto.Questo Dio sofferente e diveniente, che è anche un dio che si prende cura,coinvolto in ciò di cui si preoccupa, questo Dio tuttavia - afferma Jonas - difronte ad Auschwitz restò muto.

Non più quindi una visione rassicurante dell'illimitata onnipotenza divi-na, bensì una visione inquietante e sofferta di un dio non onnipotente, oquanto meno che non può esercitare la sua onnipotenza. Inoltre questo Dioimpotente e muto, che vede marciare le sue creature al macello, configura unastoria e produce una visione che non riguardano unicamente gli ebrei, ma tut-to il genere umano, sconvolgendo le sicurezze teologiche e oscurando ognifede nel futuro.

L'idea del dio impotente di Jonas coincide con il concetto del demiurgoimperfetto dello gnosticismo (che lo stesso Jonas ha studiato in modo partico-lare e in rapporto con la filosofìa dell'esistenzialismo5), e nutre sotterranea-mente buona parte della grande letteratura del nostro secolo, da MargueriteYourcenar a Jorge Luis Borges. Esso è presente, ad esempio, nel delizioso ro-manzo di Franco Ferrucci, // mondo creato6; nonché nella costante preferenzaper il plurale per designare la divinità - «gli dèi», con un vezzo falsamente poli-teista - , tipica di molti autori contemporanei, fra cui Alvaro Mutis.

La rivelazione apocalittica quindi, tradizionalmente presentata con l'im-magine di Dio che ha in mano un libro con sette sigilli, appare nelle riscritture

5 Hans Jonas, Lo gnosticismo, SEI, Torino, 1973.Oltre che la limitata potenza di Dio, il romanz

l'umanità: cfr. Franco Ferrucci, II mondo creato, Mondadori, Milano, 1986.

6 Oltre che la limitata potenza di Dio, il romanzo sottolinea l'incerto confine fra Dio e

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del nostro tempo con una forte intensificazione del valore del libro e una di-minuzione del valore di Dio. E così avviene esattamente nell'opera di CarmenBoullosa (Messico, 1954), che nella sua costante ricerca - ad ogni nuovo librorinnovata7 - riserva un interesse particolare al tema e alla funzione della scrit-tura, al rapporto con il lettore e al destino finale del "libro". In Antes (1989), lamorte della bambina crea la condizione in cui la parola viene generata: la bam-bina fa parlare il silenzio, gli da un codice, e alla fine fa parlare la morte8. InPapeles irresponsables (1989), l'intreccio si crea a partire da racconti e note didiversi scrittori, in un gioco intertestuale parodico e ironico, nel quale il com-pito di scrivere diviene un'impresa collettiva e amichevole. Ma è soprattutto inLlanto (1992) e in Cielos de la tierra (1997) dove l'indagine della testualità ap-pare legata alla storia intesa come una parabola che non può che concludersicon una distruzione collettiva o, appunto, apocalittica. Nel primo dei due ro-manzi il tempo del racconto è il presente, ma in connessione con il passatopre-ispanico del Messico, attraverso quell'oggetto emblematico e salvifico cheè il corpo di Moctezuma. Il corpo ricostituito del capo azteco è un simbolodella fine dei tempi. Egli dice, in efifetti, che «el fin sobrevendría sobre la tierrasi yo regresara con un cuerpo que he perdido»9. Nello stesso modo il corpo re-stituito di Inkarri (il dio andino che, ucciso dai conquistatori, cresce sotto ter-ra: quando le sue parti saranno di nuovo complete s'alzerà in piedi e tornerà lagiustizia) è un simbolo del messianismo popolare. Ma nel romanzo della Bou-llosa non si tratta di cosmovisione etnica, né di un'altra versione storicistica,bensì del discorso narrativo, dell'enunciazione del romanzo, che è il luogo incui il corpo di Moctezuma effettivamente ricompare10.

In Cielos de la tierra l'intenzione dell'autrice si fecalizza ancora nel mo-mento immediatamente successivo alla Conquista (come aveva fatto anche inDuerme), indagando nello scontro fra due mondi, alla ricerca di una risposta ai

7 Le opere narrative di Carmen Boullosa sono: Mejor desaparece (1987), Antes (1989),Papeles irresponsables (1989), Son vacas, somos puercos (1991), El médico de los piratas (1992),Llanto (1992), La Milagrosa (1993), Duerme (1994), Cielos de la tierra (1997). È anche poetes-sa: La salvaja (1994), Los delirios (1998). Ha scritto inoltre racconti per bambini e testi perteatro.

8 Julio Ortega, Carmen Boullosa: la textualidad de lo imaginario, in «La Torre», anno X,n°38, pp. 167-181.

9 Carmen Boullosa, Llanto, Era, México, 1991, p. 22.10 Julio Ortega, op. eh., p. 177.

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molti interrogativi e angosce del presente. Ma qui il gioco fra i vari livelli nar-rativi si complica ancora rispetto alle prove precedenti, a dimostrare la notevo-le destrezza e maturità creativa della scrittrice.

Nella finzione del romanzo gli autori sono due: la Boullosa stessa e untale Juan Nepomuceno Rodríguez Álvarez, avendo la prima dato ascolto a tut-te le voci che compongono il mosaico dell'opera, ed essendo il secondo il rac-coglitore di due delle tre storie che vi s'intrecciano. Le vicende raccontate - equindi i livelli diegetici - sono in effetti tre. Una è avvenuta nel Cinquecento,pochi anni dopo la caduta di Tenochtitlan e l'insediamento degli spagnoli, edè raccontata da Hernando de Rivas, indio, strappato alla famiglia e cresciutoin un seminario, ex-allievo del prestigioso Collegio Santa Cruz di SantiagoTlatelolco. Hernando è testimone della feroce distruzione del mondo da cuiproviene e con grandi difficoltà tenta la ricostruzione di se stesso nel nuovomondo, di cui innanzi tutto abbraccia l'insegnamento religioso. La sua storia èstata tramandata da lui stesso ai posteri attraverso un manoscritto in latino - lalingua che conosceva meglio - che ha avuto l'accortezza di nascondere neldoppio fondo di una robusta sedia.

La seconda storia avviene nel presente, cioè nel momento attuale, ed ènarrata da Estela Ruiz, messicana, 40 anni, copiatrice e traduttrice del mano-scritto di Hernando, che considera di sua proprietà in quanto l'ha trovato ca-sualmente in seguito al crollo della sedia in questione. La seconda voce narran-te è quindi la sua, fra tutte e tre quella che si sente meno - 4 interventi in tut-to, mentre le altre due ne fanno 19 e 18 rispettivamente - dato che ha lasciatopoche postille personali in margine alla traduzione, e soltanto un breve cennobiografico.

La terza storia avviene (o avverrà) nel futuro, quando della Terra non ri-marrà che un grande cimitero e la testimonianza muta dei musei e delle biblio-teche, non più visitati o consultate da nessuno, tranne che dalla giovane Lear,terza voce narrante. Lear fa parte dell'esiguo gruppo di sopravvissuti, che sisono installati in una sorta di bolla d'aria sopra l'atmosfera - ormai completa-mente irrespirabile - e cercano di non incorrere negli errori degli antenati, percui rifiutano gli oggetti: l'industria quanto l'artigianato, quanto qualsiasi ma-nipolazione della natura, della quale sulla terra spoglia non c'è che il ricordo.Ma essi rifiutano anche la memoria, pericolosa perché può istigare alla mega-lomania del passato; e infine rifiutano il verbo: la parola, il linguaggio scritto,quindi la lettura, come i celebri abitanti del futuro descritti da Ray Bradbu-

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ry n , e poi perfino la comunicazione orale. In questo mondo allucinante e pre-suntamente "felice" (come nella nota parabola di Aldous Huxley), Lear costi-tuisce un'eccezione. Crede ancora nel potere salvifico della parola, soprattuttoscritta, soprattutto poetica. Così nel suo racconto ritorna il manoscritto diHernando tradotto da Estela e recuperato dalla stessa Lear, e nei suoi com-menti e riflessioni tornano spesso le voci dei poeti del passato - da Rubén Da-río e López Velarde a Heine e a molti altri, essendo Alvaro Mutis il più citato epiù amato fra tutti.

Il romanzo diviene in questo modo un particolare omaggio al grandepoeta colombiano; e la parabola apocalittica ha un preciso punto di partenzanella sua poesia visionaria e profetica. Ma in essa incontra anche, come vedre-mo, un'illuminazione e una speranza. Di Mutis è l'epigrafe con cui si apre ilgioco delle finzioni romanzesche: i versi tratti dalla raccolta Los emisarios(1984) sottolineano l'usura del tempo e della morte, ma suggeriscono ancheche la bellezza e l'amore possono sollevarsi al di sopra dell'ineluttabile degra-do:

Me pregunto cómo has hechopara vencer el cotidiano usodel tiempo y de la muerte12.

Soltanto alla fine del romanzo capiremo che questa rivincita sulla mortepassa unicamente attraverso la letteratura e che, persa la fiducia nella manife-stazione del Trascendente, rimane unicamente il libro come immagine salvifi-ca e promessa di redenzione.

La storia di Hernando ricrea nel passato l'angoscia della fine del mondo,sicuramente vissuta dalle popolazioni indigene d'America, una volta appuratoil vero senso dell'arrivo degli stranieri e una volta comprovato che non eranoin grado di fermare l'invasione. In questa apocalisse il valore del libro è degra-dato a manoscritto segreto, confessione di una vicenda privata, per quantoemblematica; mentre il conforto divino è assente. Dio abbandona l'uomo per-

11 Cfr. il suo celebre romanzo del 1953, intitolato Fahrenheit 451 per allusione alla tem-peratura in cui brucia la carta.

12 «Mi domando come avrai fatto/ a vincere la quotidiana usura/ del tempo e della mor-te»: Figlia sei dei Lagidi, in Gli elementi del disastro, Le Lettere, Firenze, 1997. Il volume, anto-logico e con testo a fronte, è curato da me stessa.

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che l'uomo non sa più ascoltare la Sua voce. Hernando è portatore di undramma collettivo di perdita dell'identità: spesso ripete «non sono» e «non ap-partengo a nessuno»13. Tuttavia riconosce anche una sua responsabilità, al dilà del suo ruolo di vittima, nell'aver dimenticato i propri dèi: «Madre mia:Hernando, yo, tu hijo, desconoció las palabras de los antiguos dioses»14. Maegli ha anche misconosciuto la parola divina della trascendenza, e così ha persoil senso della vita, insieme al gusto di vivere e alla gioia semplice di essere vivo.Hernando sente di deambulare nella tenebra e nel cercare di esprimere la suaassoluta desolazione trova i versi dei suoi padri, versi di un canto nahua chetragicamente invitano alla morte, poiché perfino gli dèi sono morti: «si murié-ramos, muramos; si pereciéramos, perezcamos; que a la verdad, los dioses tam-bién murieron».

Il crollo del mondo indigeno poteva sembrare un sacrificio necessario perla nascita del mondo ispanico e cattolico - portatore quindi di verità — inAmerica. Così l'aveva interpretato Juan Zorrilla de San Martin nel suo Tabaré(1888), a scapito della fiera popolazione charrúa, originaria delle rive del fiu-me Uruguay. Cent'anni dopo nessuno può considerare più la questione inquesti termini, tanto meno in paesi come il Messico, il Perù, la Colombia, sedidi grandi civiltà la cui perdita crea un vuoto che non si finisce mai di percepi-re. E questo vuoto è dovuto forse più che alla perdita dei notevoli astronomi,matematici, architetti, scultori, orefici, che erano stati i maya, gli aztechi, gliinca, i chimú, i chibcha, etc. etc., in altre parole più che alla perdita di culturecapaci di sublimare e di creare, alla perdita di quel rapporto di armonia e di ri-spetto della natura che era di tutti i popoli originari dell'America, e che in se-guito è venuto a mancare, in maniera sempre più sfrontata lungo i secoli, conlo sviluppo della società urbana e industriale, fino ad arrivare allo scempio eco-logico che oggi conosciamo bene.

Nelle sue riflessioni Lear, terza voce narrante, sopravvissuta al disastroplanetario, associa l'anima umana alla Natura, allo spirito della terra: «Fue latierra quien al morir mató al hombre. Naturaleza al irse se llevó al hombreconsigo. Devastada dejó al hombre sin alma»15. E ancora una volta trova nellavoce di un poeta la formulazione di questo sentimento riverente nei confronti

13 Carmen Boullosa, Cielos de la tierra, Alfaguara, México, 1997, p. 364.14 Ibidem, p. 365.15 Ibidem, p. 170.

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del paesaggio: «Buey que vi en mi niñez echando vaho un día/ bajo el nicara-güense sol de encendidos oros». Darío, citato da Lear, arriva a stabilire unaformula di uguaglianza fra i boschi, il vento, il sole, gli animali - uccelli, tori,colombe - e la propria anima: «yo os saludo, pues sois el alma mía».

Perso il legame fecondo con la Natura, per evocarlo rimangono soltantola nostalgia e la parola. Per questo Lear non può condividere il rifiuto del lin-guaggio operato dai suoi congeneri. Se l'uomo ripudia il nome, diventa nulla.

Per il contrario, se l'uomo trova il nome diventa padrone della realtà no-minata, e cioè creata a nuova vita con il nome. Il discorso di Estela ci portachiaramente verso questa consapevolezza. Estela vive in un momento partico-lare della storia messicana e latinoamericana: è appena avvenuta la riscopertadell'America attraverso la ricreazione letteraria effettuata dal cosiddetto boom ein particolare da García Márquez in Cien años de soledad (1967), ed è già vici-na la fine dei tempi (fine del millennio) con il suo incubo apocalittico, chesarà vissuto dalla sua continuatrice Lear. «A nuestros ojos», dice Estela, «elmundo volvía a nacer por escrito en Cien años de soledad. Éste era el nuevo gé-nesis, reescrito caribeño y latinoamericano por García Márquez» 16. Già AlejoCarpentier aveva dimostrato che quasi tutto era iniziato nei Caraibi, dalla Sco-perta alla Rivoluzione, dalla schiavitù all'industrializzazione. Ora la Boullosaaggiunge due tasselli fondamentali: la ricreazione di questo mondo nella nuo-va sembianza definita da García Márquez - ricreazione mediante la parola let-teraria - ; e la distruzione dello stesso mondo, anch'essa mediante la parola let-teraria, formula e finzione simbolica racchiuse nel libro stesso che fin dal titolosi presenta come insieme cosmico: Cielos de la tierra.

Tuttavia, osserva ancora Estela/Boullosa, nell'Eden marqueziano gli indianinon sono attori di questo rinascimento. Gli avi dei Buendia sono tutti spagnoli,la loro stirpe appartiene esclusivamente al mondo dei conquistatori. Quindi, «gliindiani non partecipano alla ricreazione del mondo, di un mondo che appartienea loro, e i nuovi Adamo ed Eva appartengono a questo mondo illecitamente»17.E noi, continua a riflettere Estela, partecipavamo in questo stesso peccato. Maalla fine l'abbiamo pagato caro18. Con Cien años si era fondata un'utopia genesia-ca, che aveva affascinato il mondo bianco americano e in seguito il mondo inte-

16 Ibidem, p. 202.17 «Los indios no participan en la recreación del mundo, de un mundo que les pertene-

ce, y los nuevos Adán y Eva pertenecen ilícitamente al mundo»: Ibidem, p. 203.18 «Caro lo hemos pagado»; Ibidem, p. 204.

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ro. Ma la negligenza di trascurare l'abitante naturale di quel mondo e in più l'u-nico che avesse saputo mantenere una costante armonia con la natura, si sarebberiversata contro. Il vento apocalittico che alla fine del romanzo spazza via Ma-condo era forse un'inconsapevole profezia. Estela/Boullosa individua la colpa del-la stirpe, non nell'incesto o nell'endogamia, come faceva García Márquez, bensìnell'arrogante ignoranza del primo volto americano. L'ammonimento di Marti,«América se levantará con sus indios o no se levantará», anch'esso lanciato dalcentro dei Caraibi, che finora non sembra sia stato veramente ascoltato, è sicura-mente presente nella riflessione di Estela.

Come nel gioco delle scatole cinesi, o come nei «cesti» rammentati nei ti-toli in esperanto dei singoli capitoli, le storie raccontate in questo romanzo siracchiudono una dentro l'altra. Quella di Lear comprende tutte le altre e forseper questo il compito assegnato a questa voce narrante è quello più impegnati-vo. A lei spetta tirare le somme e dirci l'ultima parola.

Lear - come abbiamo già ricordato - vive in un mondo in cui la parola èstata bandita insieme al ricordo, forse con la speranza di evitare il dolore. MaLear è una lettrice e tutta l'antica saggezza non è persa se uno la tiene presente.Qui non si cita Eschilo, ma le massime dei suoi corifei tragici nutrono e spie-gano le conclusioni di Lear. Il dolore è la via della conoscenza e l'oblio è lapeggiore disgrazia dell'uomo. Così Lear, che tiene desto in sé il ricordo diquello che è stato il mondo prima della distruzione, esercita al tempo stessodentro di sé la capacità di reggere il dolore e non smette mai di usare il lin-guaggio - lei legge, lei scrive, lei parla - perché ha capito che ogni rivelazioneper essere tale ha bisogno della parola.

In uno dei suoi viaggi alla Terra, Lear ha una rivelazione. Scopre un fiu-me di acque pulite, una vecchia casa e al centro del patio un albero dalla fron-da sussurrante. Allora capisce oscuramente e riproduce le parole del suo vene-rato poeta Mutis:

Jamás había visto un ser semejante [...] «No, Alteza Serenísima, no es para ti la di-cha de esa carne que te pareció tener ya entre tus brazos. Vuelve, señor, a tu caminoy trata, si puedes, de olvidar este instante que no te estaba destinado. Este recuerdoamenaza minar la materia de tus años y no acabarás siendo sino eso: la imposiblememoria de un placer nacido en regiones que te han sido vedadas»19.

19 «Non aveva mai visto un essere simile. [...] "No, Altezza Serenissima, non è per te lagioia di quella carne che ti sembrava di avere già fra le tue braccia. Torna, signore, sulla tua

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Si tratta di un brano di El sueño del Príncipe-Elector, della raccolta Cara-vansary (1981), dove il principe ha una visione di un mondo che non potràmai conoscere direttamente. La visione è di una donna, una india nuda inmezzo all'acqua limpida di un fiume sconosciuto. E tanto il paesaggio quantola donna rappresentano l'America. Nel sogno del principe due dimensioni di-verse s'incontrano per un momento, per creare la nostalgia lancinante di ciòche non sarà vissuto. A Lear accade esattamente la stessa cosa. Ma quello checonta ora è che non ci sono altre parole se non quelle del Poeta per formulareun'America che si perde nel momento di raggiungerla. Come un miraggio.Come una meta per la quale non siamo preparati. Come un ideale che ha bi-sogno, per compiersi, delle stesse forze che abbiamo stoltamente sprecato.

Rimanendo quindi fedele al linguaggio, Lear risulta alla fine «la únicacarne y el único apetito que restan vivos sobre la Tierra» 20. Le parole e la natu-ra sono strettamente collegate e una volta uccisa la parola - dice Lear - non c'èun albero che possa ospitarli, fare ombra per loro, fornire loro l'anima di Na-tura. Gli atlantidi, vale a dire gli abitanti di questo fantomatico pianeta che sichiama Atlàntide, sono ormai una specie estinta. Senza passato non c'è presen-te. Senza ricordo non c'è io. Così, davanti agli occhi inorriditi di Lear, gli at-lantidi si lasciano andare a giochi autolesionistici e cannibaleschi, che sono laconferma di quanto si siano estraniati dal proprio corpo e dagli altri. Diversa-mente dal cannibalismo rituale, in cui ingoiare una parte del soggetto nemicoo congiunto produce l'assimilazione dentro di sé del soggetto stesso, nei giochidescritti da Lear il corpo è semplice oggetto, non Altro soggetto, bensì pezzodi materia senza anima e quindi liberamente manipolarle.

Già Octavio Paz aveva stabilito che il messicano vive chiuso nel labirintodella propria solitudine perché l'orrore delle sue origini21 non gli permetteva diguardare dentro di sé l'Altro respinto, e quindi nemmeno fuori di sé l'Altro con

strada e cerca, se puoi, di dimenticare questo istante che non era destinato a te. Questo ricordorischia di minare la materia dei tuoi anni e finirai per non essere altro: l'impossibile memoriadi un piacere nato in regioni da sempre vietate a te"»: II sogno del Principe-Elettore, in Gli ele-menti del disastro, cit., p. 137.

20 Ibidem, p. 359.21 II padre violentatore o «Gran Chingón», associato al Conquistatore e in particolare a

Hernán Cortes, e la madre umiliata, associata all'india violentata o «chingada», e in particolarealla Malinche: cfr. Octavio Paz, El laberinto de la soledad (1959), FCE, México, 1987, pp.67-80.

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Fine del millennio fine della storia: l'incubo apocalittico nell'opera di Carmen Boullosa 519

cui congiungersi e completarsi. «La pienezza, l'unione, che è riposo, felicità, ar-monia col mondo, ci attendono alla fine del labirinto della solitudine» 22: era ilsuo incoraggiante monito che tuttavia i messicani non riuscivano a compiere per-ché, in effetti, l'orrore del passato non permette di creare un futuro. Nell'immagi-nazione visionaria della Boullosa, l'orrore del passato produce un effetto ancorapiù radicale: la distruzione della specie. E così nel suo incubo apocalittico, allaprima distruzione, quella del pianeta Terra, succede una seconda, quella dell'A-tlàntide, utopia frustrata dalla paura. La fine della storia è così terribile che unmoto di compassione suggerisce all'autrice (Lear/Boullosa?) di attribuire la causadel disastro alla divinità: diciamo che Dio ha abbandonato le sue creature. L'apo-calisse finisce così con un paradosso, e si compie all'insegna, non del ritorno delRedentore, ma della sua definitiva assenza.

Rimane ancora un dubbio: e se fosse Lear a non aver capito? E se fosse inve-ce più sensato quello che proponevano gli adantidi, ossia abolire la lingua e lamemoria? Gli enunciati del Poeta, sibillini come non mai, sembrano dimo-strarlo:

Vivir sin recordar seria, tal vez, el secreto de los dioses23.

Il dubbio di Lear non si risolve; e alla fine il suo ultimo messaggio riman-da tutto alla dimensione del libro, quello spazio aperto e in continua genesi,dove lei può vivere - ed effettivamente vive - insieme a Hernando e a Estela.Essi salveranno così il linguaggio e la memoria, e proveranno orrore anche se iloro corpi non sentiranno più il freddo né il dolore24. In altre parole, entreran-no nell'unica dimensione in cui il tempo e la morte vengono sconfitti. Dimen-sione aperta e per tanto rimessa continuamente in discussione, rivolta a gene-rare costantemente nuovi significati:

Un abismo estará abierto a nuestros pies. Ésos serán los cielos de la Tierra.

E forse, carissimo poeta Mutis, carissima Carmen Boullosa, vivere senzaricordare sarebbe il segreto degli dei. Ma per la stessa ragione sarebbe anche lafine degli umani.

22 Octavio Paz, // labirinto della solitudine, trad. Alfonso D'Agostino, Mondadori, Mila-no, 1990, p. 242.

23 Si t rova in La visita del Gaviero, della raccol ta Los emisarios ( 1 9 8 4 ) . I n i ta l iano in Glielementi del disastro, cit., p. 161. In Carmen Boullosa, op. cit., p. 363.

24 Ibidem, p. 369.

Page 12: Fine del millennio fine della storia: l'incubo ... · doppio fondo di una robusta sedia. La seconda storia avviene nel presente, cioè nel momento attuale, ed è narrata da Estela