Finale di Stagione con Mariangela Vacatello e la Prague ... · Con quattro concerti tra marzo e...

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marzo/maggio 2015 Poste Italiane SpA. Spedizione in abbonamento postale 70% – CN/BO – Bimestrale n. 2/2015 – anno XXIV/BO - € 2,00 I debutti eccellenti di Concerto Italiano e Münchner Symphoniker Varignana Music Festival, II edizione: grandi stelle sotto il cielo di luglio La primavera del pianoforte con Blechacz, Yundi e Zimerman Finale di Stagione con Mariangela Vacatello e la Prague Chamber Orchestra

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marzo/maggio 2015

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I debutti eccellentidi Concerto Italiano

e Münchner Symphoniker

Varignana Music Festival,II edizione: grandi stelle

sotto il cielo di luglio

La primaveradel pianofortecon Blechacz,

Yundi e Zimerman

Finale di Stagione con Mariangela Vacatelloe la Prague Chamber Orchestra

SOMMARIOn. 2 marzo - maggio 2015

EditorialeUna tessera dopo l’altra di Fabrizio Festa 11

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Per leggereMemoria sonora: Nono, Abbado, Beethovendi Chiara Sirk

Il calendarioI concerti marzo / maggio 2015

Da ascoltareGrandeur e intimismo per Concerto Italiano,Baglini, Estrio di Piero Mioli

MICO - Musica Insieme COntemporaneaStoria e geografia di Anastasia Miro

Varignana Music Festival 2015Note d’estate: 10 - 18 luglio 2015

Note d’ascolto: la parola all’abbonatoA scuola con la musica

22242629

IntervisteRafał Blechacz - Yundi di Cristina FossatiAriel Zuckermann - Ning Feng di Valentina De IesoRinaldo Alessandrini di Fabrizio FestaMariangela Vacatello di Fulvia de Colle

18I viaggi di Musica InsiemeStoccolma: 16 - 19 aprile 2015

30I luoghi della musicaGli scatti d’arte di Hoppé di Maria Pace Marzocchi

In copertina: Mariangela Vacatello8 IM MUSICA INSIEME

Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme

EDITORIALE

Fabrizio Festa

Il Concorso “Chopin” lo hanno vinto tut-ti e tre. Certo in anni diversi. Zimerman ave-va diciotto anni nel 1975. Yundi pure, chela prestigiosa competizione ha espugnato nel2000. Cinque anni dopo (il concorso si svol-ge, lo ricordiamo, con cadenza quinquen-nale) tocca a Blechacz. Di anni il giovane po-lacco ne ha venti, ma certo non fa molta dif-ferenza. Quel che fa la differenza è che Ble-chacz ottiene un risultato da grande slam:a lui vengono infatti assegnati anche tutti ipremi speciali della giuria, incluso quello perla migliore esecuzione di una sonata, premioche proprio Zimerman gli riconosce. Altrofatto singolare, in quella edizione non ver-rà assegnato il secondo premio. Tra i giura-ti corse voce che Blechacz aveva suonato cosìbene da sbaragliare persino l’ipotesi che qual-cuno potesse qualificarsi secondo. Quasi unfestival, quindi, nel segno della prestigiosacompetizione polacca, quello che a marzoli vedrà sotto i riflettori del Manzoni uno die-tro l’altro: Blechacz il 2, Yundi il 16, Zi-merman il 23. Certo il repertorio pianisti-co è una delle architravi di una stagione in-

centrata sulla musica da camera, eppure que-sta luminosa costellazione di pianisti, cheavrà una coda nel concerto conclusivo,quando sotto i riflettori ci sarà MariangelaVacatello (l’11 maggio con l’Orchestra daCamera di Praga), merita di essere segnala-ta come un tratto distintivo della pro-grammazione di Musica Insieme. Una pro-grammazione che da sempre ha avvicinatol’esplodere di un talento emergente conl’esperienza di un artista maturo. Una pro-grammazione che, peraltro, non si lascia sfug-gire l’occasione di proporre al suo pubbli-co emozionanti cambi di prospettiva, cari-chi di suggestioni affascinanti. Ecco i Mün-chner Symphoniker con un programma dirarità nord-europee, ecco Rinaldo Ales-sandrini con il ‘suo’ Concerto Italiano con-durci attraverso la musica di Antonio Vivaldie Johann Sebastian Bach. Ancora, quindi,segni di una distinzione, del marcare con at-tenzione le scelte che portano anche lungoitinerari musicali che permetteranno al no-stro pubblico di aggiungere tessere signifi-cative al nostro già ampio mosaico musicale.

UNA TESSERADOPO L’ALTRA

Fryderyk Chopinal pianoforte

11IM MUSICA INSIEME

bbiamo incontrato tre docentidi altrettanti istituti medi supe-riori del territorio bolognese, che

da oltre un decennio partecipano con iloro studenti a Musica per le Scuole, l’ini-ziativa varata da Musica Insieme nel 2004a favore della formazione e della divulga-zione della musica fra i giovanissimi,guardando al pubblico del domani. SonoCaterina Badini, professoressa di italianoe latino all’Istituto “Keynes” di Castel-maggiore; Lucia Grazia Resi, insegnantein pensione di italiano e storia all’Istituto“Rosa Luxemburg” di Bologna; RiccardoRosetti, professore di pianoforte al Liceomusicale “Lucio Dalla”, nuova dirama-zione del Liceo “Laura Bassi” di Bologna.Oltre ai loro istituti, nel 2014/15 parte-cipano a Musica per le Scuole il Conser-vatorio “G.B. Martini” e i licei “Gal-vani”, “Minghetti”, “Righi”, “Alfieri” e“Copernico”, grazie alla fattiva collabo-razione dei professori Ghianda, Natale,

Ricchi, Cavallari, Cocchieri e Sebastiani.Un’esperienza, caso unico in Italia di col-laborazione tra una fondazione privata ele istituzioni pubbliche, che coniuga almomento del concerto le lezioni intro-duttive nelle sedi didattiche, la cui fre-quenza viene riconosciuta agli studenti intermini di crediti didattici ed inserita nelPOF d’istituto. L’obiettivo, quello cheMusica Insieme pone da sempre al centrodelle proprie iniziative, è naturalmentequello di avvicinare all’arte dei suoni i ra-gazzi, convinti come siamo dell’impor-tanza della cultura musicale nella vita diognuno, non soltanto come creazione diun bagaglio culturale, ma anche comestrumento per ascoltare e dialogare, unirsie ‘concertare’ insieme un futuro. E i do-centi, in questi anni, ci sono stati sempreaccanto con impegno e partecipazione,sottraendo magari anche qualche ora li-bera ad una missione, quella di coinvol-gere e convincere sempre più i ragazzi

CATERINA BADINI - LUCIA GRAZIA RESI - RICCARDO ROSETTI

che la classica non è un’arte ‘per i grandi’,ma un momento che può regalare, quellesì, grandi emozioni e arricchire la vita ditutti i giorni con la magia della musica.Come ha conosciuto Musica Insiemee com’è nato il suo impegno perMusica per le Scuole?Badini: «Da abbonata storica di MusicaInsieme, l’impegno è nato dalla mia pas-sione personale per un certo tipo di mu-sica cosiddetta ‘colta’: perciò quando hovisto che una delle mie risorse musicalipreferite organizzava questa rassegna perle scuole, ho pensato che fosse possibileconiugare il mio diletto all’utilità per glistudenti, anche perché sento moltissimola mancanza di un’educazione musicale,anche soltanto a carattere storico, in unliceo, come quello in cui insegno».Grazia Resi: «La mia conoscenza di Mu-sica Insieme è incominciata invece pro-prio con la scuola, a partire naturalmenteda una passione per la musica che colti-vavo già nella mia città, Torino. Il miopredecessore, il Professor Michele Tosi,aveva lanciato questa proposta, che ab-biamo adottato. Peraltro negli anni l’Isti-tuto “Rosa Luxemburg” ha aderito a di-verse iniziative, come le conferenze delMaestro Ravetti, “Viaggio nella storiadella musica”, presso la Regia Accade-mia Filarmonica (per le tre classi deltriennio dalla terza alla quinta): un’ini-ziativa molto utile anche per i docenti,permettendo quell’interdisciplinarietà fradottrine umanistiche, quali musica storialetteratura arte, che è fondamentale an-che per l’insegnamento».Nel vostro istituto, quanto spazio èdedicato all’educazione musicale eartistica in genere e con quali mo-dalità?Rosetti: «Noi siamo il primo e ad ora

NOTE D’ASCOLTO: LA PAROLA ALL’ABBONATO

14 IM MUSICA INSIEME

Tre protagonisti, con il loro lavoro di educatori e docenti, di Musica per le Scuole, larassegna dedicata da Musica Insieme agli studenti degli istituti medi superiori, condividono

con noi gioie e dolori della ‘missione’ di conquistare i giovanissimi all’arte dei suoni

A scuola con la musica

A

unico caso in città di liceo musicale, il“Lucio Dalla”; purtroppo soffriamo unpo’ di una sorta di isolamento fisico dellanostra sede (in Via Ca’ Selvatica) rispettoalle altre ‘branche’ del Liceo “LauraBassi”. Per questo coinvolgere gli stu-denti delle altre diramazioni del liceo èmolto difficile. Quando ho assunto iol’impegno di Musica per le Scuole hoavuto l’impressione di dovere un po’spronare, convincere i ragazzi che seguireMusica per le Scuole non è una cosa ‘au-tomatica’, ma una scelta attiva. Credosia una questione generazionale, ma servesempre una figura che si assuma l’oneredi concretizzare l’adesione alla rassegna,perché i ragazzi tendono spesso a viverein un loro mondo a parte...».Badini: «Abbiamo per qualche anno ade-rito a un’iniziativa, che ha portato allaformazione di un coro all’interno del-l’istituto. Poi, per questioni meramenteeconomiche, purtroppo non abbiamopotuto proseguire. I ragazzi del coroerano i più motivati, cantavano in PiazzaMaggiore insieme ad altri cori, ed orasentiamo molto la mancanza di iniziativedi coinvolgimento attivo, per cuiMusicaper le Scuole è a maggior ragione la ben-venuta».Grazia Resi: «Lo stesso tipo di partecipa-zione attiva (anch’essa terminata), eraquella di Cantiamo l’opera: i ragazzi ave-vano i CD, sui quali potevano esercitarsia cantare le arie più famose, e poi allospettacolo (al Comunale o al Manzoni)c’erano questi momenti di partecipazioneche erano piaciuti molto. Oltre a ‘sco-prire’ magari un posto nuovo come ilTeatro Comunale. Ricordo un’osserva-zione di una mia allieva che davanti aipalchi esclamò incuriosita: “E quei ter-razzini cosa sono?”».Volendo fare un’istantanea, comedescriverebbe i ragazzi che parte-cipano a Musica per le Scuole?Rosetti: «I ragazzi magari seguono Gae-tano Curreri o gli Area, si procurano bi-glietti ai concerti su Vivaticket, frequen-tano l’Estragon o il Link; insomma,hanno conoscenze musicali a volte sofi-sticate, però il repertorio classico è perloro ancora un corpo estraneo».Badini: «C’è una resistenza, da parte deiragazzi, che è poi comune alla musicacome alla prosa o alla letteratura: la prima

mento cercavamo lo studente che volessefrequentare. Invece oggi abbiamo unaventina di studenti, sui trenta totali chenel nostro istituto si abbonano a Musicaper le Scuole , che la rassegna l’hanno se-guita sin dall’inizio, per due o tre anni. Èun passo in avanti, i ragazzi sanno fin dasubito che seguiranno cinque concerti,una concezione quindi organica e nonoccasionale del fruire la musica».Ricorda un aneddoto o un com-mento dei ragazzi particolarmentecurioso o divertente?Grazia Resi: «Vedere suonare dal vivo unartista è una cosa che colpisce sempremoltissimo i ragazzi. Anche con una certaingenuità (ricordo una studentessa che ri-mase molto colpita dal pianista, e scrisse:“mi ha fatto impressione che sapesse tuttele note a memoria!”). Ma è comunqueun’emozione forte, che molti di loro con-sigliano anche ai compagni».Badini: «Spesso li stupisce anche il coin-volgimento del pubblico, un entusiasmodivistico che a loro suona estraneo per unartista ‘classico’ (vedi le folle estasiate perPollini come se fosse Bruce Spring-steen...); un entusiasmo tuttavia chespesso è contagioso, così magari i ragazzisi lasciano coinvolgere sulla fiducia!».Rosetti: «Anche il fatto di gridare “bravo”da parte di persone adulte è destabiliz-zante per i ragazzi... è l’emozione delmomento reale del concerto e non dellaprova a loro riservata o tagliata su mi-sura. Quello che non c’è nelle prove ge-nerali, per quanto utili, è proprio ilclima, la mezz’ora che precede magaril’inizio di un’opera. Essere realmente inmezzo al pubblico e non insieme ai pro-pri ‘simili’ cambia molto la prospettiva;il cellulare ovviamente va tenuto spento,ma quando i ragazzi sono tutti insiemel’atmosfera è completamente diversa.Dall’altra parte vi sono magari pregiu-dizi all’incontrario...».Grazia Resi: «Infatti disturba anchel’adulto che scarta costantemente e ru-morosamente caramelle, o tossisce senzail minimo tentativo di limitarsi. Il fattopoi che i ragazzi siano in mezzo al pub-blico li mette un po’ ‘in riga’, tuttavia ri-tengo che in questi ultimi anni abbianoessi stessi imparato a comportarsi me-glio, siano un po’ entrati nella parte diascoltatori responsabili».

domanda che mi fanno è: quando fini-sce?, ma questo accade anche quandoconsegno loro un libro: quante pagine cisono? Non chiedono di cosa parla... Nonsi tratta quindi soltanto di una pur gravecarenza di una vera educazione musicalea scuola, è proprio una questione gene-razionale».Ha notato in particolare qualchecambiamento, specie in chi magarisegue il progetto da più di un anno,nell’apprezzamento della musicaclassica?Badini: «Sì, i ragazzi hanno il terrore diannoiarsi, ma una volta scoperto che nonè così possono riservare grandi sorprese.Oggi conto almeno cinque o sei ragazziprovenienti dalla mia scuola e che fre-quentano l’università che hanno sotto-scritto l’abbonamento a Musica Insieme;altrettanti, anche se non abbonati, se-guono alcuni concerti acquistando i bi-glietti. Questa è una grande soddisfa-zione. Ecco uno scoop che stupirà magaripiù di qualcuno: il compositore che piùhanno apprezzato i ragazzi è Sostakovic!In particolare dopo l’omaggio che Mu-sica Insieme gli ha reso nel 2006, con leintroduzioni di Fabrizio Festa, ilmust perloro è diventato proprio Sostakovic...».Rosetti: «Ecco cosa è cambiato: una voltaacquistavamo un certo quantitativo diabbonamenti, e solo in un secondo mo-

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Sopra: Dmitrij Sostakovic , il compositorepiù apprezzato dagli studenti. Nella pagina afianco: i ragazzi di Musica per le Scuoleall’ingresso dell’Auditorium Manzoni(foto di Maurizio Guermandi)

rosegue con quattro concerti ilcartellone di MICO – Musica In-sieme COntemporanea, ripercor-

rendo il filo della memoria: lunedì 9marzo 2015 vedrà il flautista ManuelZurria, interprete tra i più apprezzati delrepertorio contemporaneo, impegnatonell’originale recital Landscape with tears,dove le seicentesche Lachrimae di JohnDowland saranno accompagnate da ri-prese video, e alternate a sette opere con-temporanee. Il 30 marzo, protagonistasul palco dell’Oratorio di San FilippoNeri, che anche quest’anno ospita la ras-segna, sarà il FontanaMIXensemble,oggi ufficialmente l’ensemble in residenzadiMICO: Psalms and Night Prayers, que-sto il titolo, che fonde in séNight Prayersdi Giya Kancheli e Psalms di Justé Janu-lyté, compositrice lituana della qualeverrà presentata la prima esecuzione as-soluta di una nuova versione del suo San-dglasses. A concludere la rassegna, il 20aprile, sarà una giornata ricca di eventi,ulteriore contributo di MICO al cartel-lone di Resistenza Illuminata, omaggio aLuigi Nono nel 70° anniversario dellaLiberazione. Due gli appuntamenti po-meridiani, in collaborazione con il Con-servatorio “G.B. Martini”: alle 17 tre te-stimoni storici illustreranno la figura diLuigi Nono, alle 19 il violinista EnzoPorta eseguirà La lontananza nostalgicautopica futura del compositore veneziano.Chiuderà idealmente la giornata, e la ras-segna, il concerto delle ore 20.30 in San

Filippo Neri, in programmauna nuova opera di An-

drea Agostini, In formadi canzone d’amore,frutto del progettoEXITIME/Forma-zione e Ricerca, e nelfinale il toccante ora-torio A Survivor fromWarsaw di Arnold

Schoenberg, tra-

gica testimonianza di un rastrellamentonazista nel Ghetto della capitale polacca,con la partecipazione delle Voci dellaScuola di Teatro “Alessandra GalanteGarrone”. Al tema delle persecuzioni raz-ziali si ricollega anche il recital di Andrea

Bacchetti, mercoledì 18 marzo, dedicatoa Silvio Omizzolo e Guido Alberto Fano,pianisti e compositori i cui destini sonolegati alla Resistenza e all’Olocausto. An-drea Bacchetti ci racconta come questedue figure s’inseriscano nella tradizionedella grande scuola pianistica italiana:«Penso che i tesori pianistici non si esau-riscano tutti nella musica già molto co-nosciuta. La musica italiana miscono-sciuta dal barocco al Novecento storicone è un esempio…» Quanto all’inseri-mento di Bach e Scarlatti in programma,prosegue Bacchetti: «Bach è il ‘Padre’ e lo‘Spirito Santo’ insieme. Tutta la musicadiscende da lui, persino il pop o il jazz,per cui penso che ogni concerto debbainiziare con qualcosa di suo. In partico-lare qui si radunano alcune pagine gio-vanili e la Suite francese che fa da pontecon i pezzi di Fano e Omizzolo, ispiratialla Resistenza. Il Corale variato di Fano,poi, è articolato proprio come un coralebachiano. Infine Scarlatti fa sentire le ra-dici della musica del Novecento storicoitaliano, che non sono solo nella grandemusica mitteleuropea».MICO si realizza con il sostegno del-l’Assessorato alla Cultura della Re-gione Emilia-Romagna, con il contri-buto della Fondazione del Monte diBologna e Ravenna e della Cassa di Ri-sparmio di Bologna, e con la sponsor-ship tecnica di SOS Graphics.

Con quattro concerti tra marzo e maggio, la X edizione di MICO allarga lo sguardoverso terre lontane, senza dimenticare il ricordo dell’Olocausto e l’omaggio

alla grande tradizione barocca di Anastasia Miro

Storia e geografia

MICO - Musica Insieme COntemporanea 2015

I biglietti saranno in venditapresso l’ORATORIO DI SANFILIPPO NERI (Via Manzoni, 5Bologna), il giorno del concertoa partire dalle ore 19.

PREZZI: Posto unico € 10Abbonati Musica Insieme, studentiUniversità e Conservatorio, possessori“Resistenza Illuminata Card” € 7

ACQUISTO BIGLIETTI

PX EDIZIONE

Musica Insieme COntemporanea 2015

marzo 2015 lunedìMANUEL ZURRIA flauto e videoLANDSCAPE WITH TEARSMusiche di Dowland, Mazulis, Kurtág,Leach, Eötvös, Basinski, Janulyté, Shlomowitz

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marzo 2015 mercoledìANDREA BACCHETTI pianoforteIN MEMORIAM OMIZZOLO E FANOMusiche di Bach, Fano,Omizzolo, Hasse, Scarlatti

18

marzo 2015 lunedìFONTANAMIXENSEMBLEPSALMS AND NIGHT PRAYERSMusiche di Kancheli, Janulyté, Avital

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aprile 2015 lunedìFONTANAMIXENSEMBLEVOCI DELLA SCUOLADI TEATRO “ALESSANDRAGALANTE GARRONE”ANNA MARIA SARRA sopranoFRANCESCO LA LICATA direttore⁄ AND THEY BEGAN SINGINGMusiche di Nono, Olivero,Agostini, Schoenberg

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Oratorio di San Filippo Neri(Via Manzoni 5) ore 20,30

aprile 2015 lunedì ore 17Conservatorio“G.B. Martini” di BolognaCAMINARore 17Incontro con MMaaddddaalleennaa NNoovvaattii,,MMaarrccoo MMaazzzzoolliinnii ee GGiiaannnnii DDii CCaappuuaaore 19ENZO PORTA violinoregia del suono a cura della Scuoladi Musica Elettronica del ConservatorioMusiche di Nonoin collaborazione con il CCoonnsseerrvvaattoorriioo„„GG..BB.. MMaarrttiinnii‰‰ ddii BBoollooggnnaa

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Manuel Zurria

opo Bruxelles, Istanbul, Oslo eCopenhagen, sarà Stoccolmala prossima meta dei Viaggi di

Musica Insieme. Come ogni anno in-fatti, anche questa primavera la nostraFondazione organizza e realizza unviaggio culturale per gli abbonati e i so-stenitori, accompagnandoli nella visitadella capitale europea, e abbinando ilviaggio a un importante concerto.

La capitale della Svezia, che visiteremodal 16 al 19 aprile, sorge su 14 isoleche dal lago Mälaren si protendono aOriente, sul Mar Baltico. Gli edifici ei palazzi, la ricca storia culturale e imusei raccontano le meraviglie di 700anni di storia. La città vecchia rac-chiude tutta questa storia fra le stradinemedievali, gli edifici ricurvi ma perfet-tamente conservati, il Palazzo Reale, lechiese gotiche e i bar, le caffetterie, i ri-storanti e i negozi di oggettistica didesign svedese.

La partenza è prevista giovedì 16aprile con volo di linea Lufthansa (viaMonaco), e arrivo in serata a Stoc-colma. La sistemazione dei nostriospiti avverrà presso l’Hotel HiltonStockholm Slussen, situato in posi-zione centrale tra il quartiere di Söder-malm e la zona storica della città.

La mattina di venerdì 17 aprile saràdedicata alla visita guidata di Stoc-colma, attraverso Gamla Stan, la pit-toresca e caratteristica città vecchia coni suoi vicoli di acciottolato, la Piazza diStortorget, la piazza più antica dellacittà, il Palazzo Reale e il Municipio.

L’appuntamento con la musica – dasempre tratto distintivo dei nostriviaggi – è fissato per la sera di venerdì17, presso la Stockholms Konserthus,principale teatro per la musica sinfo-nica della città, dove ogni anno si tienela consegna dei Premi Nobel: qui assi-steremo al concerto della HelsinkiPhilharmonic Orchestra, compaginestorica con alle spalle 130 anni di atti-vità, prima orchestra professionisticaad essere nata nei Paesi Scandinavi.

Con la direzione di John Storgårds,ascolteremo la Sinfonia n. 4 op. n. 90di Felix Mendelssohn e, nella secondaparte, la Sinfonia n. 2 op. 43 di JeanSibelius.

Sabato 18 aprile, la giornata si svol-gerà tra la visita di Skansen, il più an-tico museo all’aria aperta del mondoche conserva 150 edifici originali pro-venienti da ogni parte della Svezia, eVasa, dove è conservato l’ultimo va-scello da guerra seicentesco rimasto almondo. Nel pomeriggio sarà la voltadel Palazzo Reale di Drottningholm, si-tuato sull’isola di Lovö, palazzo ispiratoai modelli dell’architettura francese eolandese, fatto erigere dalla reginaEleonora nel 1662, considerato unodei palazzi reali più suggestivi d’Eu-ropa. In serata è previsto il rientro aStoccolma con giro in battello riservatosul lago Mälerenore, per poi trascorrerela serata nella capitale.

Infine, domenica 19 aprile sarà dedi-cata a scelta o alla visita individualedella città, o all’escursione guidata aSigtuna e Uppsala, pittoreschi centristorici tipicamente svedesi. Nel pome-riggio raggiungeremo l’aeroporto diStoccolma, dove un volo Lufthansa(via Francoforte) ci riporterà a Bolognain serata.

Per tutte le informazioni relative alviaggio è possibile rivolgersi diretta-mente alla segreteria di Musica In-sieme (tel. 051 271932) oppure al-l’agenzia Uvet Pomodoro Viaggi divia Farini, 3 (tel. 051 6441011).

I VIAGGI DI MUSICA INSIEME

Come ogni primavera da oltre vent’anni, Musica Insieme accompagna gli abbonatialla scoperta delle capitali europee, abbinando la visita della città all’ascolto

di concerti prestigiosi. Prossima destinazione: Stoccolma

Viaggi e cultura - Stoccolma16-19 aprile 2015

D

Nella foto sopra: una veduta panoramicadi Stoccolma. Sotto: la sala della StockholmsKonserthus, sede del concerto di venerdì 17 aprile.In basso: la Helsinki Philharmonic Orchestra

18 IM MUSICA INSIEME

opo il grandissimo successo dellaI edizione del Varignana MusicFestival, il cui pubblico ha co-

stantemente gremito la Sala Belvedere e glispazi del Palazzo di Varignana Resort &SPA, la II edizione del Festival, in pro-gramma dal 10 al 18 luglio 2015, allar-gherà ulteriormente lo sguardo sui piùinteressanti protagonisti del panoramamusicale internazionale, con nuove pre-senze e graditissime riconferme. Alcuneanticipazioni, fra le tante novità in cartel-lone: innanzitutto, un testimonial straor-dinario qual è Mario Brunello, ad oggi ilpiù celebre violoncellista italiano almondo, sarà protagonista di una ‘cartabianca’ che animerà interamente le tregiornate d’apertura del Festival. Primoitaliano nel 1986 a vincere il Concorso“Čajkovskij” di Mosca, Brunello è invitatodalle più prestigiose orchestre, dalla Lon-don Philharmonic alla NHK Symphonydi Tokyo, all’Accademia di Santa Cecilia,diretto da Temirkanov, Abbado, Chailly,Pappano, Muti, Ozawa. Brunello presen-terà alcuni progetti inediti che prevedonola collaborazione di numerosi artisti ospiti,fra cui si segnala il compositore EzioBosso, autore di musiche originali e dal-l’eccezionale impatto emotivo. Brunelloanimerà poi un’originale ‘conversazione-concerto’ con Gustavo Zagrebelsky, giu-rista italiano già Presidente della Corte

Costituzionale, sull’interpretazione di duetesti sacri come una sonata di Schuberte… la Costituzione. Altro special guest, indue recital tutti brahmsiani, sarà JulianRachlin, violinista, violista e direttored’orchestra fra i più acclamati, ed artistaimpegnato per l’educazione delle nuovegenerazioni (attivo dal 2010 anche comeAmbasciatore UNICEF). Accanto a luiquello che è oggi il pianista più richiestodai solisti di tutto il mondo: Itamar Go-lan, già al fianco di Mischa Maisky, Va-dim Repin, Janine Jansen, ed ospite dellesale e dei festival più prestigiosi. Fra i te-stimonial di questa II edizione si ricon-ferma poi un interprete d’eccezione qualè Alexander Romanovsky, vincitore an-cora diciassettenne del prestigioso Con-corso “Busoni” 2001, ed oggi pianista in-vitato dalle principali compagini, comeRoyal Philharmonic Orchestra o Filar-monica del Teatro alla Scala, diretto fra glialtri da Antonio Pappano e VladimirAshkenazy. Oltre ad esibirsi in duo conMario Brunello, in un programma espres-samente creato per il Varignana MusicFestival che affiancherà una rara sonata diLekeu all’unica Sonata di Rachmaninovper violoncello e pianoforte, Romanovskysarà protagonista di un recital con la vio-loncellista statunitense Christine Wa-lewska, già allieva del grande Gregor Pja-tigorskij. Con lei Romanovsky presenteràun affascinante programma dedicato altango – Christine Walewska è infatti de-dicataria di numerosi arrangiamenti diAstor Piazzolla. Infine, un orgoglio tuttoitaliano come il Quartetto di Cremonasarà protagonista di due appuntamenti, fracui il concerto conclusivo del festival, chelo vedranno esibirsi sia ‘in formazione’che ‘a geometria variabile’, accanto a Bru-nello, Rachlin, Romanovsky. Tutti i con-certi del Varignana Music Festivalavranno inizio alle ore 20, e saranno se-guiti da momenti conviviali e d’incontrocon gli stessi artisti.

Dal 10 al 18 luglio, la II edizione del Festival organizzato da Musica Insiemeper Palazzo di Varignana ospiterà alcuni fra i maggiori protagonisti del panorama

internazionale, offrendo un palco d’eccezione per l’estate bolognese

Note d’estate

VARIGNANA MUSIC FESTIVAL 2015

DII edizione

luglio 2015 venerdì ore 20MARIO BRUNELLO violoncelloALEXANDER ROMANOVSKY pianoforteMusiche di Lekeu, Rachmaninov

10

luglio 2015 sabato ore 20MARIO BRUNELLO violoncelloQUARTETTO DI CREMONAMusiche di Schubert

11

luglio 2015 domenica ore 17MARIO BRUNELLOGUSTAVO ZAGREBELSKYDialogo sullÊinterpretazionee forse⁄ una Sonata di Schubert

ore 20MARIO BRUNELLO violoncelloEZIO BOSSO pianoforteMusiche di Pärt, Bach,Cage, Messiaen, Bosso

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luglio 2015 martedì ore 20ITAMAR GOLANNATSUKO INOUEpianoforte a quattro maniMusiche di Schubert, Ravel, Brahms

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luglio 2015 mercoledì ore 20ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforteProgramma da definire

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luglio 2015 giovedì ore 20CHRISTINE WALEWSKA violoncelloALEXANDER ROMANOVSKY pianoforteMusiche di Piazzolla, Ginastera

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luglio 2015 venerdì ore 20JULIAN RACHLIN violinoITAMAR GOLAN pianoforteMusiche di Brahms

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luglio 2015 sabato ore 20QUARTETTO DI CREMONAJULIAN RACHLIN violinoALEXANDER ROMANOVSKY pianoforteMusiche di Schumann, Chausson

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luglio 2015 lunedì ore 20JULIAN RACHLIN violinoITAMAR GOLAN pianoforteMusiche di Brahms

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20 IM MUSICA INSIEME

Alexander Romanovsky

afał Blechacz e Yundi: due giovani pianisti, due artistiche hanno visto la propria carriera consacrarsi interna-zionalmente grazie alla vittoria della più antica e presti-

giosa competizione pianistica internazionale. Il primo, infatti,si è aggiudicato il Primo Premio al Concorso “Fryderyk Cho-pin” di Varsavia nel 2005, il secondo nel 2000, primo artistain assoluto nel suo Paese ad aggiudicarsi questo concorso. Piùche naturale allora cercare il confronto per poter capire cosa lidifferenzia e cosa li accomuna, al di là della grande passione perla musica. Quando ha cominciato ad appassionarsi alla musica,ed in particolare al pianoforte?Blechacz: «Da bambino, il mio desiderio più grande era suonarel’organo. E sull’organo, in particolare, suonare la musica di Jo-hann Sebastian Bach. In casa comunque c’era un pianoforte.Così ho cominciato a suonare entrambi. Poi, eccomi a scuoladi musica. Avevo cinque o sei anni. Da quel momento il pia-noforte è entrato definitivamente nella mia vita».Yundi: «A tre anni ho iniziato a suonare la fisarmonica. A sette

ho cominciato a frequentare una scuola di musica. Poi, in Ac-cademia il pianoforte è diventato il mio sogno: è con il piano-forte che il mio cammino musicale ha preso forma. In seguito,ovviamente ho cominciato a cambiare uno strumento dopo l’al-tro, ma tutti i pianoforti su cui mi sono esercitato sono diven-tati comunque “il mio pianoforte”. Quando ne cambi uno, èogni volta come lasciare una parte di te. Così accade pure ognivolta che suoni, non importa se si tratta dello strumento di unteatro o del tuo pianoforte».Quali sono stati i più importanti maestri (non solo insenso musicale) che ha incontrato nel suo percorso?Blechacz: «Pensando ai miei studi, due in particolare sono statii miei maestri. Il primo è stato Jacek Polanski, il mio primo veromaestro di pianoforte una volta entrato alla Scuola di Musica“Artur Rubinstein” a Bydgoszcz. Il suo insegnamento era con-centrato sullo stile classico, su Haydn e Mozart, ed è stato luia portarmi alla vittoria del mio primo concorso, non a caso,forse, un concorso intitolato proprio a Bach. Poi ho incontratoEkaterina Popowa-Zydroń. Con lei ho appreso molto sull’in-terpretazione e l’espressività, focalizzando i miei studi certo suChopin, ma anche su autori, come Debussy, che secondo lei miavrebbero aiutato ad interpretare meglio anche la musica diChopin. Infine, dovrei citare tutte le persone importanti che hoincontrato, ed anche coloro che, come Rubinstein o Miche-langeli, non ho ovviamente conosciuto, ma le cui incisioni misono state di grande ausilio».Yundi: «Sicuramente quei maestri che hanno creduto in me, chemi hanno spronato ad andare avanti. La mia famiglia, e mio pa-dre in particolare, sono stati i miei primi insegnanti. Poi i do-centi dell’Accademia di Shenzhen e tutti i musicisti dell’edi-zione del Concorso pianistico internazionale “Chopin”. Tutticostoro sono stati miei maestri sia in senso umano sia musicale.Per non parlare di Seiji Ozawa, Claudio Abbado, Valerij Ger-giev, Riccardo Chailly, Daniel Harding. Credo che tutti coloroche danno attenzione al talento e ai sogni di un ragazzo pos-sano essere considerati come suoi maestri. Chi dà una possibi-lità, chi è generoso e aiuta a costruire la vita di un bambino, chesia un padre, un nonno, un insegnante, un direttore d’orche-stra, è sempre un maestro secondo me. La lezione più impor-tante che ho ricevuto è di non lasciare mai nessuno da parte,per nessun motivo. Una lezione che non dimenticherò mai!».Lei ha vinto il Concorso pianistico internazionale “Cho-pin” di Varsavia, uno dei premi più prestigiosi per unpianista. Cosa ricorda di quel momento?

RAFAŁ BLECHACZ - YUNDI

I due pianisti si raccontano, dagli esordi musicali, entrambi curiosamentecon un altro strumento, al Premio “Chopin”, che ha definitivamente indirizzato

entrambi verso una strepitosa carriera di Cristina Fossati

Un premio per due

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L’INTERVISTA DOPPIA

22 IM MUSICA INSIEME

Rafał Blechacz

Blechacz: «Una competizione davvero lunga e difficile, questoil mio ricordo. Rammento bene le sessioni di piano solo, nellequali ho cercato di trovare lo stile giusto per eseguire mazur-che e polacche. E poi l’ultimo round: il concerto con l’orche-stra. In ogni caso, sono riuscito a restare concentrato su mestesso. Non ho guardato la TV, non ho letto i giornali, non hocercato di avere informazioni su quanto stava accadendo al con-corso, se non quelle che mi riguardavano. Il mio obiettivo eracreare in me stesso il giusto equilibrio tanto nel cuore quantonella mente, restando sempre e solo concentrato sulla musicache avrei dovuto suonare».Yundi: «Ricordo chiaramente quando ho vinto il concorso. Siè trattato davvero di un momento molto eccitante. Mi erachiaro che non avevo raggiunto il vertice, ma allo stessotempo, mi era altrettanto chiaro che il destino mi stava dandola possibilità di seguire il mio percorso e di mostrare a mestesso se questa sarebbe stata la strada giusta per me. La sen-sazione che seguì alla vittoria ne fu in certo senso il segnaledi conferma».Qual è, secondo lei, un compositore del passato o delpresente da (ri)scoprire?Blechacz: «Sono sempre incuriosito da tutto il repertorio. Inparticolare, però, mi sto dedicando alla riscoperta della musicapianistica polacca, una produzione nella quale spiccano nomiimportanti come quello della compositrice Grażyna Bacewicz.D’altronde, anche di autori più noti, come Karoł Szymanow-ski, molte opere debbono essere di fatto ancora riscoperte, edè per questo che ho voluto introdurre alcune suoi lavori nellemie incisioni discografiche».Yundi: «Io adoro tutti i compositori di musica classica. Mi odie-rei se parlassi di uno solo! Sarebbe come escludere gli altri equindi non lo farò. A proposito degli autori contemporanei,credo che ci siano grandi talenti oggi in tutto il mondo. Sonosempre molto curioso di apprendere cosa stanno facendo, esono convinto che i sentimenti, le esperienze, il genio e la cul-tura di persone così dotate illuminino gli altri esseri umani. Ap-prezzo ovviamente i compositori cinesi, anche quelli che scri-vono canzoni popolari, magari cercando di dar nuova vita aquella che fu la nostra musica del passato».Cos’è importante, secondo lei, per un giovane artistache voglia costruire una solida carriera?Blechacz: «Credo che ciascuno di noi debba in primo luogoascoltare se stesso, il proprio intuito, ciò che sente. Ogni arti-sta ha, del resto, una sua specifica personalità, e quindi dev’es-sere in base a questa che deve cercare di trovare il giusto equi-librio tra gli impegni della sua professione e la vita privata.Detto questo, ovviamente deve sempre sviluppare il proprio re-pertorio, allargandolo, cercando di affrontare stili musicali di-versi e compositori diversi, sempre però cercando di avere iltempo necessario per ottenere la giusta preparazione».Yundi: «Bisogna studiare tutti i giorni e tutto il giorno, se è pos-sibile, avendo sempre fiducia nei propri insegnanti e senzamai smettere di essere umili. Inoltre è importante seguire ma-ster class e concerti di grandi interpreti. Non bisogna maismettere di mettere un mattone sopra l’altro, e continuare afarlo sino alla fine della propria vita».

Maestro Yundi, come descriverebbe il suo rapportocon gli ascoltatori? Nota particolari differenze tra il‘suo’ pubblico in Cina e all’estero? Yundi: «Ovunque sono invitato ad esibirmi spero di instaurareun bel rapporto con il pubblico. Non c’è mai nulla di sicuro.Dal mio punto di vista io dò tutto me stesso, i miei sforzi e lemie energie sono focalizzati a comunicare con chi mi ascolta:questo è il punto focale, insieme alla musica. La psicologia e lasensibilità sono tutto per un musicista: saper suonare nonserve a nulla se le emozioni non entrano in gioco. È importanteconservare l’anima libera e trasparente in ogni momento. Perquesta ragione, secondo me, in Cina o in Italia, o in ogni al-tro paese, il pubblico non è diverso. Io mi sento legato a tuttiperché il pubblico è composto di persone che hanno espressa-mente voluto assistere al mio concerto e ascoltarmi. Le emo-zioni delle persone e la partecipazione umana sono uguali intutte le parti del mondo».Maestro Blechacz, a Musica Insieme abbiamo inveceavuto il piacere di ascoltarla più volte: qual è il suo ri-cordo di questi concerti, e più in generale del pubblicoitaliano?Blechacz: «In primo luogo rammento bene le sale: sia quella delManzoni che il Teatro Comunale sono davvero ottime sale daconcerto, dove ho sempre avuto a disposizione uno splendidopianoforte. In più, il pubblico mi è apparso sempre molto con-centrato, sensibile e caloroso. Insomma, dei miei precedenti re-cital a Bologna ho davvero un bel ricordo. Così come del pub-blico italiano in genere. Ogni volta ho vissuto una bellaesperienza, sia sotto il profilo musicale, sia dal punto di vistapersonale, trascorrendo in Italia davvero dei bei momenti».

Yundi

23IM MUSICA INSIEME

Foto Chen Man

24 IM MUSICA INSIEME

n triplo debutto a Bologna: il concerto del 13 aprilesarà l’occasione per ascoltare per la prima volta in cittàsia la celebre orchestra dei Münchner Symphoniker, fra

le principali compagini tedesche, sia il suo direttore, l’israelianoAriel Zuckermann, e il violinista cinese Ning Feng. I due, delresto, l’Italia la conoscono bene (Feng peraltro ha conseguitoil Primo Premio al Concorso “Paganini” di Genova) e la amanoper quella commistione di rigore e ‘saper vivere’, che risuona an-che nella sua musica.Percepisce qualche differenza nel modo di fare e fruirela musica nei diversi paesi in cui regolarmente si esi-bisce? Com’è in particolare il suo rapporto con il pub-blico italiano?Zuckermann: «Ho diretto a Milano l’Orchestra del Maggio Mu-sicale Fiorentino, a Bolzano l’Orchestra Haydn (una nuova col-laborazione di questa Stagione) e a Palermo, ma sarà la primavolta che mi esibisco a Bologna. Certo, le differenze tra i paesisi sentono anche nelle rispettive orchestre… tuttavia la musicaè un linguaggio così internazionale che non porrei confini. Daisraeliano sento comunque con forza la mentalità ‘meridionale’che ci accomuna agli italiani, quindi amo molto lavorare nel vo-stro paese, per il calore e l’energia della gente, e per quel-l’apertura che mi ricorda appunto la terra dove sono cresciuto». Feng: «Credo che in Italia valga un po’ la regola “prima il piaceree poi il dovere” (il che non toglie che lavoriate duramente), men-tre in Germania è il contrario: prima il lavoro, poi il piacere. Houn carissimo amico, il pianista Roberto Giordano, che vive frail Belgio e la Calabria (abbiamo tenuto oltre cinquanta concertiin duo!), e di lui ho apprezzato quella personalità, quello stile divita tutto italiano, quella capacità di godere della vita, pur nonesimendosi dal lavorare con grande impegno».Maestro Zuckermann, lei è stato fra l’altro assistentedi Iván Fischer con la Budapest Festival Orchestra, cheha poi anche diretto. Quali sono gli insegnamenti cheritiene più preziosi per la sua formazione musicale? Zuckermann: «Il periodo trascorso con Iván Fischer è stato cer-tamente grandioso, ma ho avuto meravigliosi insegnanti sindall’infanzia. È stata proprio la mia prima maestra di piano-forte, all’età di cinque anni, ad infondermi l’amore per la mu-sica. Non posso poi trascurare lo studio con Bruno Weil a Mo-naco, o con Jorma Panula, che è una vera leggenda,all’Accademia Reale di Stoccolma. Non sento di avere un‘guru’ in particolare, ma sono stato molto fortunato ad in-contrare una serie di grandi insegnanti, potendo così acquisire

da ciascuno di loro qualcosa di diverso e di davvero speciale».Parafrasando una famosa affermazione di MischaMaisky: Ning Feng è nato in Cina, ha studiato a Lon-dra e vive a Berlino. Oltre a ciò, suona uno strumentoitaliano. Maestro Feng, dove si sente a casa, e quantocontano le radici nella sua attività?Feng: «È una domanda molto difficile perché ho avuto quattroimportantissimi insegnanti di violino, ed i primi tre sono tutticinesi. Il terzo di loro l’ho conosciuto peraltro quando studiavoa Londra, quindi ho studiato in Europa con un violinista ci-nese… poi il mio quarto maestro, tedesco, l’ho avuto in Ger-mania. Devo a tutti loro quello che sono diventato. Il violino, daparte sua, è nato in Italia e la musica occidentale proviene prin-cipalmente dall’Europa, quindi anche dalla vita delle persone chel’hanno prodotta. Il fatto che io abbia studiato e viva ancora inEuropa ha influenzato sicuramente quello che sono oggi».

ARIEL ZUCKERMANN - NING FENG

Nelle parole dei due artisti, al loro debutto per Musica Insieme, emerge l’amoreper l’Italia, apprezzata sia per la sua ricchezza artistica, sia per il calore

e l’energia che la contraddistinguono di Valentina De Ieso

Passione e rigore

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L’INTERVISTA DOPPIA

Ariel Zuckermann

Foto Felix Broede

25IM MUSICA INSIEME

Come definirebbe il suo collega nel concerto per Mu-sica Insieme?Zuckermann: «Abbiamo già suonato insieme molte volte. Perso-nalmente considero Ning Feng un violinista, e soprattutto un mu-sicista, straordinario. L’ultima volta ci siamo esibiti in Francia, aMontpellier, quando abbiamo eseguito la Serenata di Bernstein».Feng: «Proprio nella Serenata di Bernstein per violino, archi,arpa e percussioni credo emerga la bravura di un direttorecome Zuckermann: si tratta infatti di un brano molto impe-gnativo metricamente per chi deve guidare l’orchestra, unagrande sfida che Ariel Zuckermann ha vinto con la sua estremachiarezza, e sostenendo in maniera naturalissima me (che houna parte molto ‘fisica’) e l’ensemble». Il programma che presenterete a Musica Insieme è‘classico’ ma originale, accostando a Paganini e Haydndue autori come Berwald e Kraus, non propriamentenoti ai più…Zuckermann: «Credo che Berwald sia un autore ingiustamentenegletto: soprannominato “il Mendelssohn svedese”, vantaben poche incisioni e poche esecuzioni delle sue pur pregevolicomposizioni. Anche il tedesco Kraus, che è vissuto all’incircagli stessi anni di Mozart (1756-1792), è stato attivo in Svezia.Entrambi sono caduti nell’oblio malgrado abbiano lasciatodei lavori bellissimi. Paganini non necessita di presentazioni,come pure Haydn, che è fra i miei autori preferiti. Tuttavia amio avviso anche Haydn è in certo modo un compositore sco-

nosciuto: di lui si ascoltano molte opere, ma altrettante nonsono adeguatamente programmate».Maestro Feng, lei si è aggiudicato il Primo Premio alConcorso “Paganini” di Genova, e del genovese ese-guirà il Primo Concerto: deve trattarsi di un autoremolto importante per la sua attività artistica…Feng: «C’è un aspetto di Paganini che amo particolarmente, edè il carattere operistico delle sue melodie. Il che può anche suo-nare naturale, essendo italiano… ma proprio in lui ritrovo quelpiacere che non esclude il lavorare sodo di cui parlavo prima: tec-nicamente i suoi lavori sono ardui, soltanto che accanto alla tec-nica c’è una miracolosa naturalezza, una melodia lirica chesgorga spontanea come un’aria d’opera. Semplicemente mera-viglioso. Il suo Concerto è splendido, concepito per l’idioma ela tecnica violinistica, e tuttavia ha una cantabilità quasi vocale».A proposito di autori ingiustamente dimenticati: ci fa-reste qualche esempio?Zuckermann: «Ce ne sono così tanti… risponderò ancoraHaydn. Andrebbe suonato di più, le sue sinfonie sono note soloper metà. Tutti lo conoscono, ma i suoi lavori non sono così fa-miliari al pubblico come dovrebbero».Feng: «Citerò anch’io un compositore assai famoso, ma a mioparere non abbastanza, specie per il mio strumento: LucianoBerio, un genio. Le Sequenze che ha scritto per i singoli stru-menti sono meravigliose, ma vorrei ricordare anche i suoi 34Duetti per due violini (1979-83): è incredibile quante idee af-fascinanti abbia potuto sviluppare; meno di un minuto, que-sta la durata di ciascun Duetto, eppure ognuno è un mondo asé. Berio dovette scrivere un testo per spiegare l’essenza deiDuetti, ma ritengo che quando la musica funziona non vi siabisogno di spiegazioni. In fondo Mozart non ha mai dovutospiegare la propria musica!».Non solo direttore ma anche flautista: Maestro Zuc-kermann, con l’ensemble Kol-Simcha avete eseguitoper decenni anche il repertorio klezmer. Zuckermann: «Sì, credo peraltro che ogni direttore dovrebbe sa-per suonare uno strumento, per mantenere anche la pratica stru-mentale: del resto un direttore senza orchestra non è niente, edeve per questo tenere sempre a mente e rispettare l’impegno ri-chiesto dal suonare uno strumento. Venendo al mio ensemble(Kol-Simcha significa “voce di gioia”), l’ultimo progetto che ab-biamo realizzato è un CD con la London Symphony Orchestra;ho imparato tantissimo da questo ensemble, e dirigere que-st’incisione insieme a loro e alla London Symphony è stato pre-zioso. Del resto, allargare i propri orizzonti, sperimentare nuovevie, essere curiosi ci arricchisce come persone e come artisti».Maestro Feng, lei imbraccia un magnifico Stradivari del1721: come definirebbe la ‘voce’ di questa leggenda-ria scuola di liuteria?Feng: «I violini Stradivari sono l’equilibrio perfetto di ogni cosariguardi il violino. Altri strumenti, come i Guarneri del Gesù,non saranno perfetti come gli Stradivari, ma restano comun-que meravigliosi. Del resto gli artisti non sono perfetti: quindiil carattere, per quanto imperfetto, del Gesù non ha nulla dainvidiare allo Stradivari. Anzi, forse lo Stradivari è sin troppoperfetto per essere affidato alle mani di un essere umano!».

Ning Feng

Foto Law

rence T

sang

inaldo Alessandrini è ormai damolti anni tra i protagonisti dellascena internazionale della musica

antica e barocca. Più che naturale alloracercare di fare il punto della situazione,tanto più che il programma che presen-terà per i nostri Concerti s’incentra sul bi-nomio Vivaldi/Bach, le cui opere sonostate fin dagli inizi al centro della renais-sance di quel tipo di musica. Da quando tutto è cominciato sonpassati una quarantina d’anni, forsepiù. Possiamo fare oggi un bilancio?«Certamente sì. È stata una vicenda altempo stesso semplice e complessa. Qua-rant’anni di storia, dal mio punto di vista,son serviti a mettere le cose al loro posto.Del resto, i primi trenta sono stati neces-sari per razionalizzare un’esigenza, chesentivamo tanto io personalmente quantomolti degli altri musicisti con i quali hoavuto la fortuna di suonare. Tale esigenzasi potrebbe sintetizzare così: bisognava ri-collocare questo repertorio in una corniceprima di tutto musicalmente adeguata.Dopo i primi momenti, in cui ci si èmossi un po’ a tentoni, quasi per sentitodire, magari copiando dai primi dischi incircolazione, le cose han cominciato a or-ganizzarsi con maggior metodo e coe-renza. Oggi le informazioni a proposito diquesto repertorio sono tali e tante cheper affrontare un’esecuzione si è viceversacostretti a fare una sorta di sintesi, purnon tralasciando certo quanto abbiamoappreso e ancora stiamo imparando».Si può ancora oggi parlare di scuoleinterpretative nazionali, magari rin-verdendo i fasti di una contrapposi-zione, quella tra italiani e tedeschi,che par proprio essere endemicaanche all’epoca dell’Europa unita?«Parlare d’Italia guardando alla musica an-tica e barocca significa in realtà far riferi-

mento a tre filoni musicali completamentediversi: quello veneziano, quello napole-tano e quello romano. Certo tra questi fi-loni sono rintracciabili commistioni ed in-trecci, ma Venezia, Napoli e Roma sonostate capitali indipendenti non solo deiloro stati, ma anche dal punto di vista mu-sicale. Quindi, se pensiamo ad una musica“italiana”, credo che il trait d’union po-trebbe essere individuato nell’unione stret-tissima fra testo e musica. Un dato questoche riscontriamo non solo ovviamentenella produzione vocale, ma anche inquella strumentale, che subisce l’influenzadei modelli che caratterizzano la musicavocale, quest’ultima composta quasi sot-tintendendo un testo. Dunque, se voles-simo parlare di una musica “italiana”, po-tremmo dire che questa si distingue daaltre produzioni coeve in Europa per ilsuo legame strettissimo con le formuledella retorica. Allargando l’orizzonte, po-tremmo dire che tutta la musica strumen-tale settecentesca deriva dal vocabolariodel teatro d’opera. Affrontarla in concertoimplica l’aver avuto a che a fare con un li-

bretto d’opera. Da qui forse la particolarebrillantezza dello stile italiano, uno stile ba-sato in verità sul principio di contrapposi-zione. Brillantezza certamente, ma anchegravitas. Non solo, quindi, pizza e man-dolini, ma anche lentezza e profondità, lagravitas ingrediente fondamentale dellostile italiano». Bach e/o Vivaldi?«Non è facile per un interprete italianooggi eseguire la musica di Bach. Bastipensare alla lingua, che ci pone problemiprecisi. In tedesco le consonanti suonano,ad esempio, in un modo specifico, cosìcome in italiano le vocali. La maniera dipronunciare una parola si trasferisce nelmodo di suonare, nelle articolazioni, nellalunghezza dei suoni. Poi c’è la differenzatra le personalità. Vivaldi ha fatto ciò cheBach non ha mai fatto. L’ego vivaldianosi trasferisce direttamente nelle sue parti-ture, che hanno di conseguenza unastruttura gerarchica evidente, dove unego appunto predomina su tutti gli altri.Bach, al contrario, mira all’integrazionedi tutte le parti, ottenendo una sorta didemocrazia nella sua costruzione musi-cale. Peraltro, Bach era affascinato dallepossibilità che la struttura gerarchica dellostile italiano offriva, e quando poteva neadottava lo spirito, l’estroversione, adesempio, nel caso delle trascrizioni da Vi-valdi. Quest’ultimo era a sua volta uomopragmatico, come lo deve essere chi la-vora per il teatro, e quindi è costretto aguidare una sorta di azienda, differente-mente da Bach che era tutto sommatouno stipendiato. Oggi Vivaldi rappre-senta quel carattere un po’ effimero, nonimbrigliabile dell’invenzione. Lontano da

qualsiasi sclerotizzazione della scrit-tura. Mentre la lingua di Bach è

una sola, Vivaldi è l’inventoredei mille e uno stile».

RINALDO ALESSANDRINI

Il celebre clavicembalista, sul palco di Musica Insieme il 27 aprile alla guida del ‘suo’Concerto Italiano, ci offre un raffronto tra Bach e Vivaldi di Fabrizio Festa

Mille e uno stile

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L’INTERVISTA

26 IM MUSICA INSIEME

ra i tanti riconoscimenti ricevuti,essere insignita a soli ventitre annidel Premio “Giuseppe Verdi: la

musica per la vita” significa molto: si-gnifica che la musica per Mariangela Va-catello è davvero la missione di una vita,il pianoforte sempre accanto (quasi unasua diramazione, come mostrano nonsenza ironia molte foto dell’artista), trasfide tecniche stimolanti e una passioneche sa contagiare anche con le parole.Incominciamo dall’inizio: Marian-gela Vacatello, partenopea, si formaa quella che è senza dubbio la mi-gliore scuola pianistica italiana, l’Ac-cademia “Incontri col Maestro” diImola…«Certo la mia formazione principale si èsvolta all’Accademia, dove sono entrata asoli undici anni, per terminare a venti. Lìho incontrato grandi insegnanti prove-nienti da tutto il mondo, oltre natural-mente ai miei maestri, Franco Scala eRiccardo Risaliti (con il quale mi sonopoi diplomata al Conservatorio di Mi-lano). Ma dal momento che mi ha defi-nito “partenopea”, vorrei aggiungere cheil mio primo insegnante, cui devo la miaimpostazione anche tecnica dai sette agliundici anni, è stato Aldo Tramma, a suavolta già allievo di Vincenzo Vitale.Quindi mi è andata piuttosto bene, po-tendo trarre profitto dalle due maggioriscuole pianistiche italiane, quella napo-letana e quella dell’Accademia imolese».Lei sente in qualche modo la ‘forzadelle radici’ italiane nella sua pro-fessione?«Io credo che chiunque si accosti alla mu-sica debba prima o poi fare i conti con lanostra tradizione, essendo l’Italia uno deipaesi in cui la musica è stata una costanteattraverso i secoli, pur nelle inevitabili oscil-lazioni. Per questo ritengo che valga la

pena di focalizzarsi un poco di più sulla no-stra musica, come fanno tra gli altri piani-sti come Lang Lang [o Yundi nel cartellonedi Musica Insieme, ndr], che eseguono la-vori della propria tradizione nazionale…».A Musica Insieme l’abbiamo ascol-tata in recital nel 2011 con un pro-gramma impegnativo, che a Liszt eProkof’ev affiancava Ivan Fedele.Che posto ha la contemporaneanelle sue scelte?«Ritengo che un esecutore non possa pre-scindere dalla musica d’oggi, mentre avolte il pubblico ha bisogno di un po’ ditempo per metabolizzarla. Tuttavia il lin-guaggio dei compositori di oggi fa partedel nostro mondo: l’autore vede, vive,sente, filtra quello che accade intorno a sé,e quello che ne scaturisce è una sorta digiornale, una testimonianza viva del no-stro presente che sta agli esecutori scopriree portare alla luce – naturalmente a se-conda della propria sensibilità. Nel miocaso è cominciata proprio con Fedele: hoeseguito in America con successo i suoiStudi boreali; poi nella Stagione 2012/13ho portato in tournée il mio TwilightProject, con brani che andavano da Ravelai due Notturni crudeli di Sciarrino (scrittipraticamente ieri, nel 2009…). Ho sceltoquesti brani per un mio studio personalesullo stile, sui colori, sui tocchi».Gli studi sono al centro delle sue piùrecenti incisioni: c’è una particolarericerca in queste scelte?«È iniziata per caso con l’incisione degliStudi trascendentali di Liszt, un mio amoredi gioventù, e sta diventando ormai unpunto centrale, almeno per qualche anno,nel mio lavoro di incisione. Dopo Liszt eDebussy posso anticipare che sono in can-tiere almeno tre cicli di studi, con l’in-tenzione di creare una raccolta che poi po-trà ampliarsi nel tempo. Lo studio è una

forma che adoro, può andare dalla mi-niatura fino alla durata di oltre un’ora,contenendo in sé oltre all’elemento tec-nico molte sfaccettature dell’autore. Unodei tre cicli, posso anticiparlo, è già incorso e riguarda l’integrale di Alberto Gi-nastera, di cui ricorreranno nel 2016 icento anni dalla nascita. Sto terminandol’incisione, che uscirà a fine 2015».Per l’appuntamento conclusivo diMusica Insieme eseguirà il SecondoConcerto di Beethoven, pietra mi-liare del genere...«Ho già in repertorio tutti i Concerti diBeethoven… e ho suonato il Quarto piùdi qualsiasi altra opera, insieme forse aglistudi di Liszt. Quindi sono pronta perl’integrale! Venendo al Secondo, è unconcerto molto fresco, con un meravi-glioso cantabile nel secondo movimentoe un tema di rondò finale che s’imprimenella memoria».

MARIANGELA VACATELLO

La straordinaria pianista partenopea, chiamata a concludere la Stagione di Musica Insiemecon il Secondo Concerto di Beethoven accanto alla Prague Chamber Orchestra,racconta con passione e profondità la propria professione di Fulvia de Colle

Italiani nel mondo

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L’INTERVISTA

29IM MUSICA INSIEME

a mostra in corso alla Gallery dellaFondazione MAST – l’istituzioneculturale, filantropica e museale

voluta dall’imprenditrice Isabella Sera-gnoli e inaugurata nel 2013, che conta an-che un auditorium con 420 posti – pre-senta 190 scatti fino ad ora inediti difotografie industriali di Emil Otto Hoppé(Monaco di Baviera 1878 – Londra1972), che, famosissimo negli anni Ventie Trenta del Novecento, fu poi quasi di-menticato dopo che nel 1954 decise di ri-tirarsi e di vendere le fotografie di un cin-quantennio di attività ad un archiviolondinese. Tutto il materiale fu inventa-riato, ma ordinato per soggetto: le circa6.000 stampe di Hoppé finirono quinditra milioni di altre immagini, così chel’opera perdette la sua integrità e il suonome venne pressoché cancellato, anchese le immagini potevano essere settorial-mente consultate: sotto le cartelle NewYork, India, Australia, Gran Bretagna…Nel 1994 il Fondo Hoppé fu acquisitodalla Curatorial Assistance di GrahamHove, società di servizi museali califor-niana specializzata in fotografia che diedeavvio alla riorganizzazione e digitalizza-zione di tutto il materiale, e in seguito apubblicazioni e mostre. Le fotografie

esposte nello spazio continuo ed inclinatodella Gallery mostrano immagini della se-conda rivoluzione industriale realizzatefra il 1912 e il 1937 in diversi paesi delmondo: Inghilterra e Germania, StatiUniti, Australia, India… in uno straordi-nario connubio tra paesaggio e fabbrica:gli edifici, le macchine, gli uomini che leazionavano, in un intenso eppure mor-bido e soffuso bianco e nero.Ma per dare conto della poliedricità diHoppé (iniziò nel 1902 dapprima comeritrattista poi come reporter di viaggi), alpiano terreno del MAST è allestita unasorta di grande camera oscura che proiettasenza soluzione di continuità 240 imma-gini scandite per argomenti, dai ritratti ainudi alla vita quotidiana alle fotografie diviaggio, alla sequenza dei 40 fotogrammidei Ballets Russes di Sergej Djagilev, di cuiHoppé fu fotografo ufficiale per le stagionilondinesi. L’incontro con l’impresariorusso data al 1896, ma il rapporto pro-fessionale all’estate del 1911, quando lacompagnia di danza, attiva dal 1909 al’29, tenne i primi spettacoli a Londra dueanni dopo gli esordi a Parigi, cui seguironotournées in tutta l’Europa e negli StatiUniti. Ai balletti con musiche di autori or-mai classici come Chopin, Schumann,Borodin, Djagilev alternò spettacoli conpartiture da lui stesso commissionate amusicisti d’avanguardia. Eclatante il caso,nel 1910, de L’Oiseau de Feu del giova-nissimo e quasi sconosciuto Stravinskij, dicolpo assurto alla notorietà, che nel 1911avrebbe composto Petruška e nel ’13 LeSacre du Printemps, mentre nel 1912 andòin scena L’Après-midi d’un Faune di De-bussy con le coreografie di Vaclav Nižin-skij. Le scene e i costumi, dove esotismiorientali si mescolavano alle rivoluziona-rie forme delle avanguardie (nel 1909 IlPrincipe Igor di Borodin e Cléopâtre di

Arenskij, nel ’10 Shéhérazade di Rimskij-Korsakov…), erano ideati e disegnati daLéon Bakst, Picasso, Matisse, De Chirico,Braque, Derain. Coreografi e balleriniprovenivano quasi tutti dal Bol’šoj e dalMariinskij: Michel Fokine – il primo co-reografo della compagnia – e Vera Fo-kina, Anna Pavlova, Lydia Lopokova,Adolph Bolm, LubovTchernicheva, Léo-nide Massine… Tamara Karsavina comeUccello di Fuoco e Bolm come Ivan Za-revič nell’Oiseau de Feu (1911), Vera Fo-kina come Zobeide e Massine comeSchiavo d’Oro in Shéhérazade (1914), Ta-mara Karsavina come Pimpinella in Pul-cinella (1920), Hubert Stowitts nell’as-solo della danza Inca in La Péri del 1922.Emil Hoppé li ha fissati e restituiti al suopubblico e a noi nella tensione dei movi-menti, nell’icasticità dell’interpretazione,nell’oltranza rivoluzionaria dei bellissimicostumi ‘modernisti’.

I LUOGHI DELLA MUSICA

30 IM MUSICA INSIEME

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In mostra presso la Gallery della Fondazione MAST, gli scatti inediti di Emil Otto Hoppé,che alle immagini della seconda rivoluzione industriale affianca ritratti di ballerinie coreografi russi di Maria Pace Marzocchi

Scatti d’arte

A destra: Hubert Stowitts nell’assolo della Danza Incain La Péri, 1922. In alto:Tamara Karsavina comeUccello di Fuoco e Adolph Bolm come Ivan Zarevične L’Oiseau de Feu, 1911

EMIL OTTO HOPPÉ. IL SEGRETO SVELATOFotografie industriali 1912-37Fondazione MAST – GalleryVia Speranza, 42 - Bologna21 gennaio - 3 maggio 2015

Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278

[email protected] - www.musicainsiemebologna.it

Lunedì 13 aprile 2015AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

YUNDI.......................................................................pianoforteLunedì 16 marzo 2015AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di Chopin, Liszt, tradizionale cineseIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

CONCERTO ITALIANOMONICA PICCININI.................................soprano

LAURA PONTECORVO...........................flauto

RINALDO ALESSANDRINI................clavicembalo e direttore

Lunedì 27 aprile 2015AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Musiche di Bach, VivaldiIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”

MÜNCHNER SYMPHONIKERNING FENG.......................................................violino

ARIEL ZUCKERMANN...........................direttore

Musiche di Kraus, Paganini, Berwald, HaydnIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insiemee “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Lunedì 11 maggio 2015AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

PRAGUE CHAMBER ORCHESTRAMARIANGELA VACATELLO...................pianoforte

Musiche di Janácek, Beethoven, Barber, DvořákIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

Lunedì 2 marzo 2015AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

RAFAŁ BLECHACZ....................................pianoforte

Musiche di Bach, Beethoven, ChopinIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

KRYSTIAN ZIMERMAN.........................pianoforte

Programma da definireIl concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna

I CONCERTI marzo/maggio 2015

Lunedì 23 marzo 2015AUDITORIUM MANZONI ore 20.30

Lunedì 2 marzo 2015

Il pianista polacco, vincitore del prestigioso Concorso “Chopin”, torna a Musica Insiemecon un intenso programma che percorre la storia del pianoforte di Francesco Corasaniti

Cantabilità e pathos

Di principi ce n’è e ce ne sarannoancora migliaia, di Beethoven ce

n’è uno solo». Parole forti, soprattuttoperché pronunciate quando i musicistinon avevano ancora dismesso la livrea, etanto più perché a dar loro voce non è unammiratore del compositore tedesco, malui stesso, rivolto ad uno dei suoi piùprodighi mecenati, il principe Lichnow-sky. I rapporti stavano cominciando adeteriorarsi e di lì a pochi mesi, siamonel 1806, si arrivò al punto di non ri-torno: Beethoven rifiutò di esibirsi da-vanti ad illustri ospiti del principe e la-sciò la sua residenza. Musicistadilettante, il principe aveva preso sotto lasua ala il giovane Beethoven, che nel1799 gli dedicò la Sonata per pianofortein do minore op. 13. Era questo un pe-riodo di febbrile attività, ma allo stessotempo di profonda sofferenza, dovutoal peggioramento delle condizioni di sa-lute, che lo portarono progressivamentea una irreversibile perdita dell’udito. Ilnome con cui la Sonata è passata alla sto-ria, Patetica, diversamente dai tanti altriapocrifi, uno su tutti Al chiaro di luna, èstato attribuito dall’editore in accordocon Beethoven. L’intento dell’editore eraquello di rendere più accattivantel’opera, ma il nome è comunque cal-zante: la Sonata è ricca di pathos, ed in-fatti lo stesso Beethoven non disdegnò difarne dono a una donna amata, Jose-phine Deym. Dopo il Grave. Allegro dimolto e con brio, segue l’Adagio cantabile,il cui nobile tema, divenuto celeberrimo,assume il respiro tipico di un’aria daopera seria. Limpida ed al contempo

profondissima, la melodia assume lesembianze del dolore più straziante.E se la Sonata di Beethoven meritò il ti-tolo di Patetica, alla Polacca in fa diesisminore op. 44 di Chopin toccò addirit-tura quello di Tragica. Dedicata alla prin-cipessa Ludmilla de Beauveau, membrodi spicco della comunità polacca a Parigi,fu composta e pubblicata nello stessoanno, il 1841. La Polacca, tripartita, pre-senta nella sezione centrale la peculiarereiterazione di un singolo accordo, checon il suo effetto percussivo simula unasorta di grandioso fraseggio di caratteremilitare. Nell’uso sapiente di sezioni con-trastanti e di melodie cantabilissime siintravede la dimestichezza di Chopincon l’opera italiana. Nel 1847 il compo-sitore polacco diede invece alle stampe iTre Valzer op. 64, gli ultimi pubblicati in

vita. Per la loro brevità, più che danzevere e proprie, paiono riflessioni interioriposte in musica. Dedicatarie sono tredonne: il primo Valzer (Molto vivace) fudedicato alla contessa Delphine Potocka,allieva e confidente di Chopin, nonchésorella di Ludmilla, il secondo (Tempogiusto) alla baronessa De Rothschild, ilterzo e ultimo (Moderato) alla contessaCatherina Branicka. Il Valzer n.1, dettoanche Valzer del Minuto per la sua bre-vità, è caratterizzato da morbidi accordidi sostegno a una melodia agitata, di sa-pore virtuosistico, a cui fa seguito unaparte lenta fino al rapidissimo finale. Raf-finato e prezioso, il Valzer suscitò gli en-tusiasmi del colto ed elegante pubblicoparigino dell’epoca. Il secondo è tra i piùfamosi del compositore e riflette effica-cemente la dualità della sua situazione:da una parte i salotti parigini, ritrovod’intellettuali, dall’altra il pensiero sem-pre rivolto alla dura realtà della sua Po-lonia, invasa dalla Russia. È una musicalanguida, interiore, che alterna una me-lodia struggente a veloci passaggi in cuiperò un velo di tristezza rimane semprelatente. Infine, l’ultimo Valzer è caratte-rizzato da una sognante delicatezza, puraespressione di perfetto equilibrio strut-turale e armonico in cui appare una sortadi dialogo tra le voci. Oltre ai valzer,Chopin sperimentò e rielaborò anchealtre forme di danza, tra i quali alla ma-zurka spetta un posto d’onore. Negli ul-timi anni di vita del compositore, unadelle figure più presenti fu l’allieva JaneSterling, la cui amica, Katharina Ma-berly, fu dedicataria delle Tre Mazurke

«

Al termine del Concorso “Chopin”, Piotr Paleczny, che sedeva in giuria, ha detto: «Blechaczera così superiore da impedire l’assegnazione del secondo premio agli altri finalisti»

Lo sapevate che...

32 IM MUSICA INSIEME32 IM MUSICA INSIEME

LUNEDÌ 2 MARZO 2015AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

Johann Sebastian BachConcerto Italiano BWV 971Ludwig van BeethovenSonata in do minore op. 13 – PateticaFryderyk ChopinNotturno in mi maggiore op. 62 n. 2Tre Valzer op. 64Tre Mazurke op. 56Polacca in fa diesis minore op. 44

RAFAŁ BLECHACZ pianoforte

Introduce Alessandro Taverna. Si occupa dicronache musicali su riviste e quotidiani, fracui le pagine bolognesi del Corriere della Sera

op. 56, composte nel 1843. Inizialmentefraintese dalla critica, poiché conside-rate un nostalgico ritorno al passato, fu-rono largamente rivalutate, una voltacompreso come il compositore avesseelevato la danza tradizionale polacca adun livello superiore, tra rigore e libertà,fra atmosfera campestre e intimo salottourbano. La prima delle tre Mazurke (Al-legro non tanto) contiene accenni di val-zer, in una pagina gioiosa ma intima. Laseconda (Vivace), dal vero e proprio sa-pore popolare, contiene una sorta di ca-none tra due parti, indipendenti tra loro.Nella terza e ultima (Moderato), il tema,latente nella prima parte, si manifestacompiutamente con forza solo nella se-conda. E se la mazurka è indissolubil-mente legata al nome di Chopin, lostesso può dirsi del notturno, di cui ilcompositore ci ha lasciato 19 luminosiesempi. Dedicato all’allieva M. de Kön-neritz, il Notturno op. 62 n. 2 è caratte-rizzato da una prima sezione placida, se-guita da una più mossa e sincopata, inun’atmosfera intima, limpidamente li-rica e meditativa.E se nella produzione di Chopin emerge

prepotentemente l’eco della cantabilitàitaliana, lo stesso non può certo dirsi diun compositore tanto pienamente tede-sco quanto Bach, emblema stesso delcontrappunto e della più articolata strut-tura formale. Eppure, ascoltando il suoConcerto Italiano in fa maggiore BWV971, si percepisce la dimestichezza conMarcello o Vivaldi. Scritto per clavi-cembalo nel 1735, fa parte della seconda

parte della Clavier-Übung, preziosa rac-colta di composizioni per strumento atastiera, compendio di stili e forme del-l’epoca. Il Concerto appare come espres-sione dell’idea bachiana di riproposi-zione di un concerto per clavicembalo eorchestra (con citazioni del modello vi-valdiano), tramite l’uso delle due tastieredel clavicembalo. L’alternarsi del forte edel piano ripropone con sapiente mae-stria il contrasto tra il “tutti” orchestralee lo strumento solista. Suddiviso in tremovimenti, è concluso dal celebrePresto, con un motivo ascendentevorticoso e impetuoso, che ria-scoltiamo in svariate tonalità,alternato ad episodi solistici.

DA ASCOLTARE

Soprattutto Chopin tra le sue registrazioni recenti. Il che per un vincitore del “Var-savia”, ovvero del premio pianistico intitolato proprio a Chopin, parrebbe deltutto naturale. Dunque, Rafał Blechacz, che incide per la Deutsche Grammophon,al celebre conterraneo ha dedicato la maggior parte delle sue fatiche disco-grafiche. Nel 2014 è uscita infatti la sua versione dell’integrale dei Preludi. Un’in-cisione importante, che dice molto dell’originale interpretazione chopiniana pro-posta da Blechacz, e che d’altronde deve confrontarsi con quelle storiche, rea-lizzate dai grandi pianisti del passato. L’anno prima era toccato ad un’antolo-gia delle polacche. Nel 2012, invece, aveva affrontato Debussy e Szymanow-ski, dando vita a due interessanti CD. Debussy che, proprio come racconta lo stes-so Blechacz nell’intervista contenuta in queste pagine, è il compositore che egliha più studiato per trovare il modo corretto di interpretare Chopin, mentre Szy-manowski, ed è sempre Blechacz a dircelo, è parte integrante di quella sua ri-cerca personale alla riscoperta della produzione musicale polacca.

Vincitoredinumerosiconcorsi internazionali,Ra-fałBlechaczsi èaffermatoa livellomondialevin-cendo all’unanimità la 15ª edizione del Concor-so “Chopin” di Varsavia e conquistando anche itre premi speciali: il Premio della Radio Polaccaper la “miglior esecuzione di mazurche”, il Pre-mio della Società Polacca Chopin per la “mi-glior esecuzione di polacche” e il PremiodellaFilarmonicadiVarsaviaper“lami-gliore esecuzione concertistica”, oltrealpremioistituitodaKrystianZimermanper“lamiglioresecuzionedi sonate”.La vittoria di Varsavia nel 2005 gli haapertoleportedellepiùimportantisa-le da concerto del mondo, sale in cuiormaisuonaregolarmente,fracuiRo-yalFestivalHalleWigmoreHalldiLon-dra, Philharmonie di Berlino e AveryFisher Hall di New York. Nel maggio2006 Blechacz ha firmato un contrat-to inesclusivacon laDGG,secondoartista polacco dopo Krystian Zi-merman, e nel 2010 ha ricevuto ilPremio Internazionale dell’Acca-demia Chigiana di Siena.

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Rafał Blechacz

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Lunedì 16 marzo 2015

Esordisce a Bologna il pluripremiato pianista cinese, con un programma che rimandaalla sua formazione ‘occidentale’, ma anche al forte legame con la tradizione musicaledella sua terra di Mariateresa Storino

Romantiche forme

Asoli 13anni Yundi si aggiudica il Concorso“Stravinskij” negli StatiUniti, pochi an-ni dopo il Premio internazionale “Franz Lizst” nei Paesi Bassi, per accrescere poi ilsuo palmarès con l’assegnazione del Primo Premio al Concorso pianistico interna-zionaledi Pechino.Si imponeperòall’attenzionedi criticaepubbliconel2000gra-zie al successo riportato nella XIV edizione del Concorso “Chopin” di Varsavia, acui partecipa su esortazione del Ministro della cultura cinese, diventando il primovincitore cinese nella storia del concorso. Da allora appare regolarmente presso lemaggiori sale, quali Carnegie Hall di New York, Royal Festival Hall di Londra, Phil-harmonie di Berlino, Alte Oper di Francoforte, Herkulessaal di Monaco, e colla-bora con orchestre e direttori del calibro di Berliner Philharmoniker con Seiji Oza-waeDanielHarding,Gewandhausorchesterdi LipsiaconRiccardoChailly,MahlerChamber Orchestra con Daniel Harding, Royal Philharmonic con Yannick Nézet-Séguin, Orchestra del Mariinskij con Valerij Gergiev.

Yundi

allata, sonata, tarantella, cantipopolari cinesi: è possibile indi-viduare delle linee di conver-

genza tra queste forme? Chopin e Liszt:quali elementi li accomunano? A que-st’ultimo interrogativo si può rispondereprontamente, data la contemporaneitàdei due compositori, la condivisione delcontesto storico-geografico e culturale,l’interesse reciproco. Romantici per ec-cellenza, in verità le somiglianze sonotante quante le diversità. Partecipi del-l’afflato romantico, entrambi dedica-

rono parte della loro creatività alla ri-scoperta e alla rielaborazione delleforme ereditate dalla madrepatria – bal-late, polacche e mazurke in Chopin,rapsodie e czardas in Liszt. Se Chopinfu sempre alquanto laconico sull’opera

di Liszt, diverso fu l’atteggiamento diquest’ultimo. Il ritratto di Chopin trac-ciato da Liszt nella sua monografia Vitadi Chopin (1851) coglie l’essenza del-l’opera del compositore polacco contale precisione che, a distanza di più diun secolo e mezzo, continua a sorpren-dere per l’acume ermeneutico dell’Un-gherese. Proprio il giudizio sulle sonatesembra convergere per taluni aspetticon le critiche che per alcuni decennifurono mosse contro la reinterpreta-zione chopiniana della forma classicaper eccellenza. Liszt valutava le sonatedi Chopin frutto della volontà più chedell’ispirazione, un’ispirazione «impe-riosa, bizzarra, irriflessiva» che non po-teva essere ingabbiata in schemi preesi-stenti. Composta tra il 1837 e il 1839,la Sonata in si bemolle minore op. 35 èpercorsa da un clima umbratile, quasidecadentista. In quattro movimenti,Schumann la definiva «una sfinge dal-l’ironico sorriso», una composizione chefinisce così come comincia: «con disso-nanze, attraverso dissonanze, nelle dis-sonanze». Alle arditezze armoniche si

B LUNEDÌ 16 MARZO 2015AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

YUNDI pianoforte

Introduce Marco Beghelli. Docentenell’Università di Bologna, coordina l’Archiviodel Canto nel Dipartimento delle Arti,ed è autore di libri di argomento musicale

Fryderyk ChopinBallata in sol minore op. 23Ballata in famaggiore -la minore op.38Ballata in la bemolle maggiore op.47Ballata in fa minore op.52Sonata in si bemolle minore op. 35Franz LisztTarantelle de bravura d’aprèsLa muette de Portici R117Tradizionale cineseColour Clouds Chasing the MoonFive Yunnan Folk Songs

accostava un’architettura formale ati-pica, tale da valutare – dichiarava Schu-mann – come «un capriccio, se non unatracotanza, l’averla chiamata Sonata,poiché egli ha qui riunito quattro dellesue creature più bizzarre». Eppure lacoerenza tematica non manca; l’organi-cità dell’insieme è garantita da una sot-tesa rete di motivi. Il motto d’aperturadel Grave introduttivo di sole quattrobattute suona come una sentenza lapi-daria, inspiegabile ma incontrovertibile.I primi due movimenti vivono di fortiopposizioni di tono, in cui ogni con-clusione consolatoria è fuggevole, comedimostra l’ingresso della Marcia funebre.Un Presto su un rapidissimo continuummelodico, quasi una sorta di brusio,spegne la sonata all’improvviso, conuno scarto dinamico violento. Se perSchumann la Marcia funebre di questasonata aveva qualcosa di quasi repul-sivo, per Liszt simboleggiava la morte diun’intera generazione, che, tuttavia, sepur dolorosa manifestava «una dolcezzacosì penetrante da sembrare non venirpiù da questa terra».Liszt riteneva che Chopin avesse fattoviolenza al suo genio ogni qualvolta loaveva costretto alle regole (come nelcaso delle sonate), perché queste «nonpotevano accordarsi con le esigenze delsuo spirito». Nella scelta di forme libere(ballata, polacca, preludio) e forme “ri-gide” (sonata, concerto), Chopin – pro-seguiva Liszt – aveva seguito l’esempiodell’amico poeta Adam Mickiewicz che,dopo aver dato vita alla poesia roman-tica polacca con Ballate e romanze(1822), si era cimentato nelle formeclassiche. Non è dunque casuale cheproprio le Ballate di Mickiewicz sianostate a lungo ritenute la fonte ispiratricedelle Quattro Ballate di Chopin. Sel’ombra del poeta polacco si stende sullecomposizioni di Chopin non è certo intermini descrittivi; ciò che si ritrovadella ballata è la tecnica narrativa: nes-suna traccia di lotta fra protagonisti (itemi), bensì una reiterazione tematica

con variazioni di intensità, di fraseg-gio, di articolazione ritmica, disposta acreare un movimento continuo. Tutta-via, anche in assenza di contrasti tema-tici, la forma è sospinta in un crescenteclima tensivo, proprio in virtù della tec-nica compositiva di reiterazione-varia-zione – a riflesso della struttura perio-dica del corrispettivo letterario –, delfluttuare del materiale melodico tra raf-finatezze armoniche «altrettanto inat-tese che inaudite» (Liszt) e pieghe cro-matiche riposte. La stesura delle Ballateimpegnò Chopin per circa un decennio,dal 1830, anno in cui fu costretto adabbandonare l’amata patria, al 1841,quando era ormai affermato composi-tore a Parigi. Il ciclo completo è unpercorso evocativo dei toni della ballatapoetico-musicale: dal drammatico (n.1) al leggendario (n. 2), al lirico (n. 3),fino all’introspettivo (n. 4); una sinossidelle possibilità espressive di una formavocale di origine popolare che da secolinarrava dell’uomo, ma che con Chopinera assurta allo stato di musica stru-mentale pura.Alla tradizione etnica si rifà anche Lisztnella Tarantella di bravura d’après LaMuette de Portici di Auber (1846). La

tarantella attraversa quasi interamentela carriera di Liszt, sia in forma di tra-scrizione di originali colti (Rossini, Au-ber, Dargomyžskij, Cui), sia come rie-laborazioni personali di spunti popolari(Canzone napolitana, Venezia e Napoli).Brano di estremo virtuosismo, in que-sta “fantasia” da Auber Liszt trae il ma-teriale tematico dalla danza del terzoatto e dal coro finale del quarto atto. Perridar vita al clima sensuale, festoso, maallo stesso tempo intriso di morte dellatarantella, Liszt sceglie la forma deltema e variazioni, dove il ritornare sulgià noto implica un accrescimento e/oun cambiamento di natura armonica,ritmica, dinamica, l’impiego insommadi tutte le risorse combinatorie cheerano patrimonio comune dei pianisti-compositori dell’epoca, tanto più di unvirtuoso come Liszt.E i canti popolari cinesi? Sono partedella memoria musicale di Yundi, testi-moni delle sue origini, e come taliespressione della sua identità nazionale.Certo non è più possibile pensare allariscoperta del patrimonio etnico-nazio-nale in chiave romantica, come regnodella purezza, ma possiamo sempre spe-rare di scorgervi qualche pallido riflesso.

IM MUSICA INSIEME

Yundi si accosta alla musica sin dall’età di tre anni: ascoltando in un negozio il suono diuna fisarmonica, se ne innamora, e solo un anno dopo saprà già suonarla con sicurezza

Lo sapevate che...

DA ASCOLTARE

Deutsche Grammophon ed EMI, questi gli editori del giovane talento cinese Yun-di. Il che significa aver già raggiunto una posizione ragguardevole nel rank mon-diale dei pianisti e quindi poter contare su editori importanti, con i quali realizzareincisioni che godranno di una capillare distribuzione mondiale. Insomma, Yun-di è a pieno titolo incluso nello star system. Certo lo interpreta da par suo, met-tendo in luce, anche nel caso delle incisioni discografiche, quella spiccata per-sonalità, che gli è riconosciuta dal pubblico delle platee di tutto il mondo. Ec-cola emergere nella recente registrazione dell’Imperatore beethoveniano(DGG 2014), registrazione che lo vede impegnato a confrontarsi con un’orchestrache proprio di Beethoven ha fatto il suo cavallo di battaglia: i Berliner Philhar-moniker. Sul podio un direttore solido come Daniel Harding. Beethoven anchenell’incisione DGG realizzata l’anno prima, con Patetica, Chiaro di Luna e Ap-passionata, segno del focalizzarsi degli interessi del pianista cinese sull’operadel Tedesco. Per i tipi di EMI segnaliamo, infine, l’integrale dei Preludi di Cho-pin e la precedente incisione dei Concerti di Ravel e di Prokof’ev, autori che Yun-di ha nel suo repertorio fin dagli anni di studio.

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36 IM MUSICA INSIEME

Il mese dedicato al pianoforte si conclude con un grande ritorno: quello del Maestropolacco, annoverato fra i più grandi musicisti del nostro tempo di Maria Chiara Mazzi

Lezioni di piano

Lunedì 23 marzo 2015

uella dei pianisti, da quando ilpianoforte è stato inventato eda quando, soprattutto, è di-

ventato il principe delle case e delle saleda concerto all’inizio dell’Ottocento, èuna schiera di artisti particolarmentelunga e differenziata. Lunga e differen-ziata perché da sempre i vari esecutori sicollocano su alberi genealogici differenti,corrispondenti alle diverse ‘scuole’ in Eu-ropa: tante lunghe genealogie divise pernazioni e per modi di suonare, tra lequali una delle più affascinanti (e anchedelle più vaste) è quella costituita daipianisti polacchi. Si dice pianoforte, inPolonia, e inevitabilmente si traccia unarco musicale meraviglioso che ha dauna parte il nome di Fryderyk Chopin edall’altra quello di Krystian Zimerman(classe 1956), la cui carriera è stata con-sacrata non a caso proprio a partire dallavittoria, esattamente quarant’anni fa, alcelebre concorso internazionale che daquel primo grande genio della musicanazionale ha preso il nome. Una vittoriache, come spesso (ma non sempre) è ac-caduto, ha consegnato al mondo dellamusica le voci più significative della sto-ria dell’interpretazione pianistica.Ma torniamo alla Polonia, paese la cuiantica, affascinante e spesso tragica storiacivile è fatta di eventi che hanno segnatola storia del mondo, e la cui storia piani-stica è costruita da compositori-inter-preti di straordinaria suggestione: bastielencarne, a caso, i nomi, da Artur Ru-binstein a Ignaz Paderewski, da JosefHoffman a Leopold Godowski, da CarlTausig o Moritz Moszkowski a Wanda

Landowska, da Witold Małcuzyński adAdam Harasiewicz… Per arrivare, ap-punto, a Fryderyk Chopin, che aveva allespalle una carriera di apprezzato concer-tista. Un simbolo ma anche un presagioquesto, se pensiamo che da quel mo-mento uno strano destino di cosmopoli-tismo ha legato i pianisti polacchi alla tor-mentata storia di quel paese e hacaratterizzato la vicenda di quasi tutti gliinterpreti di quella nazione. Suonatorierranti sono stati, spesso terminando laloro vita fuori dalla loro patria, quasitutti (Godowski e Rosenthal, Friedmanne Leszeticki, Paderewski) e, più vicino anoi, Rubinstein, la cui arte riuscì ad af-fermare l’immagine internazionale dellaPolonia, grazie anche alla forza d’impattodel mercato discografico ormai globaliz-zato. Mentre, nonostante tutto, neglianni della guerra fredda e della contrap-posizione dei blocchi, rimasero in patria,fra gli altri, Jan Ekier (autore anche dellapiù accurata edizione critica delle operedi Chopin), Alina Czerny-Stefanska eRaoul Koczalski, che dal 1945 era rien-trato a Varsavia in veste di insegnante.Ma, alla caduta del Muro di Berlino, leforze migliori del concertismo polacco

hanno ripreso nuova linfa, tracciando unanuova linea sulla quale, dalla fine deglianni Settanta, si muove appunto Kry-stian Zimerman che, dopo la vittoria nel1975 al Concorso “Chopin” di Varsavia(una delle grandi vetrine, forse la piùgrande, della Polonia in ambito interna-zionale), è stato invitato al prestigioso Fe-stival di Salisburgo dove brillava la sua re-centissima incisione delle Sonate diMozart per la celebre etichetta tedesca,per la quale avrebbe poi realizzato i Con-certi di Grieg e di Schumann coi Berlinere von Karajan, forse uno dei maggiorisponsor del giovane artista. Incisioni allequali ne sarebbero seguite altre, con Bern-stein, Giulini, Ozawa, Boulez, Rattle eche, coronate dai premi più prestigiosi delmondo, coprono il repertorio più ese-guito per pianoforte e orchestra. In pa-rallelo venivano registrati a futura me-moria, inevitabilmente, i capisaldi dellamusica per pianoforte solo e del cameri-smo, dall’inevitabile Chopin sino aFranck e Debussy e a qualche ‘puntata’ sulNovecento più vicino a noi, da Lu-tosławski a Szymanowski. Se non sempremoderno è il repertorio, moderno è peròil suo modo di suonare, in ragione di unasostanziale sobrietà di espressione, pie-namente consapevole del tanto che è giàstato detto. «Si muove con disinvoltura daBach a Szymanowski, variando stili, regi-stri e interpretazione. Le sue mani volanosulle note ora accarezzandole, ora inse-guendole con furore», scrive una recenterecensione, che prosegue: «Egli disegna lamusica con il solo movimento di mani edita, raccolto in un alone di maestria e

Q LUNEDÌ 23 MARZO 2015AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

KRYSTIAN ZIMERMAN pianoforte

Programma da definire

Da diversi anni Zimerman viaggia con il proprio pianoforte al seguito, curandopersonalmente ogni aspetto dei concerti, dal trasporto dello strumento all’accordatura

Lo sapevate che...

Introduce Giuseppe Fausto Modugno, con-certista e docente di pianoforte principalepresso l’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena

IM MUSICA INSIEME

meraviglia, che lo stupore del pubblicoriesce appena a toccare». Da qui si com-prende la rinuncia a un protagonismoche non solo ha nella platealità la suamanifestazione più fastidiosa, ma chepoggia anche su una legittimità spessodiscutibile, affidata alla consuetudinecome all’intuizione del momento.Qualcuno ha visto in Zimerman l’espres-sione del pianismo moderno, e forse inciò rientra anche questa attenzioneestrema al repertorio, non particolar-mente vasto ma selezionatissimo, co-struito a lungo termine portando avantipiù autori insieme: ciò che determinainevitabilmente tempi diversi di matura-zione e dunque la ricorrente indicazionein cartellone di “programma da definire”,nell’impossibilità di stabilire esattamente,un anno per l’altro, ciò che potrà essereeffettivamente eseguito nella serata delconcerto, diventato così da spettacolo arito di attesa e di iniziazione. Come hascritto il critico Cappelletto: «Egli ritieneessenziale l’aspetto rituale del concertodal vivo. Buio in sala, solo un cono diluce a inquadrare il pianoforte, lunga at-tesa prima del suo ingresso. Concentra-zione e imprevedibilità, con la variazionedi programma, molto frequente, annun-ciata a voce, un attimo prima dell’inizio,seguendo l’estro del momento».Da questo punto di vista Krystian Zi-merman rappresenta un vero e propriopunto d’eccellenza: raramente nella sto-

ria del pianoforte si è potuto apprezzareun così straordinario controllo delsuono, accompagnato ad una ricchezzadi sfumature davvero mirabile che dàl’esatta dimensione delle possibilità chetasti, corde e martelletti offrono alle ditadi un artista. Se a tutto ciò sommiamouna capacità straordinaria di rendere per-fettamente intellegibili le diversità stili-stiche, di suggerirci contesti e ambiti, didare il giusto rilievo a ciò che sta in-torno a ciascuna partitura, la capacità ditrovare il giusto equilibrio tra la propriaindividualità d’artista e la sostanza (sem-pre diversa) della musica, comprendiamocome Zimerman, a quarant’anni da

quella vittoria al Premio “Chopin”, siaancora ai vertici dell’arte musicale, unitoper sempre a coloro che nella storiahanno considerato la musica come qual-cosa di più grande della ‘semplice’ arte dicombinare e far ascoltare i suoni.

DA ASCOLTARE

Una quarantina i titoli in catalogo per il pianista polacco, e tutti siglati DGG.Tra i più recenti, per la verità, ci sono solo ristampe, come il tutto Debussy/Raveldiretto da Boulez (6 CD, 2012), o Berliner Philharmoniker Great Recordings (8CD, 2014), raccolte nelle quali troviamo Zimerman impegnato per esempio nelPrimo di Brahms, con Sir Simon Rattle, o nei due Concerti di Ravel. Tra questeristampe, non possiamo non citare quella che lo vide, ancor giovanissimo, conKarajan affrontare i Concerti di Grieg e Schumann (2012). Nel 2011 la DGGconsegna al pubblico tre incisioni importanti: ancora due raccolte (tutto Liszt)e un album interamente dedicato alla musica della compositrice Grazyna Ba-cewicz, figura importante nella scena musicale polacca del secolo scorso. Inu-tile dire che andando a ritroso nella discografia, l’appassionato può trovare granparte del repertorio più amato (Chopin, Schubert, Beethoven), Zimerman co-munque lasciando ampio spazio anche in sala di registrazione alla modernitàe quindi a pagine e compositori meno frequentati dai pianisti, compreso il tro-varlo con Bernstein impegnato in una registrazione delle Noces stravinskianein compagnia di Martha Argerich, Homero Francesch e Cyprien Katsaris.

Da oltre trent’anni nell’alveo dei più grandi pianisti del nostro tempo, Krystian Zi-merman inaugura la propria carriera internazionale nel 1975, con la vittoria alConcorso “Chopin” di Varsavia. Come egli stesso afferma, le collaborazioni congrandi artisti, sia nel campo della cameristica che nella direzione d’orchestra, so-no stati la sua più grande fortuna. Ha suonato con Kremer, Chung, Menuhin e sot-to la direzione di Bernstein, von Karajan, Ozawa, Muti, Maazel, Previn, Boulez,Mehta, Haitink, Rattle e ha avuto l’opportunità di conoscere pianisti della genera-zioneprecedentealla suaqualiArrau,BenedettiMichelangeli,Rubinstein,Richter,che hanno avuto tutti un’importante influenza sulla sua formazione musicale. Nel2005, in seguito alla vittoria al MIDEM di Cannes nella sezione “musica per or-chestra”per la sua incisionedeiConcerti n.1en.2diRachmaninov, ilMinistro fran-cese della cultura gli ha conferito la Legione d’Onore. Ha ricevuto inoltre il Dotto-rato honoris causa dell’Università di Katowice, mentre recentemente il Presidentedella Repubblica Polacca gli ha consegnato la prima e più alta onorificenza perpersonaggi non legati al corpo militare: la Croce al Merito con Stella.

Krystian Zimerman

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n rapporto alla qualità della sua mu-sica, nessun paese europeo è stato pe-nalizzato dalla geografia, dalla storia e

dal pubblico internazionale come la Svezia.Se l’area scandinava ha prodotto almeno unepigono per paese, capace poi di affondarele radici nella grande tradizione continen-tale (Grieg per la Norvegia, Sibelius per laFinlandia), la Svezia è rimasta a lungo or-fana, assieme alla Danimarca, di un rap-presentante forte nel parlamento musicaleeuropeo. E questo è accaduto non perchéle mancassero candidature adeguate, maperché queste giunsero troppo tardi, a seggiormai chiusi. Non sembrerà pretestuosoricordare cheToscanini diffuse e incise vo-lentieri musiche di Kurt Atterberg (1887-1974), un tardoromantico forse fuoritempo massimo, dotato però di grande ge-nio orchestrale, tangibile nelle sue novesinfonie e in meravigliosi concerti. I figli diStoccolma sono tuttavia cresciuti dopo chepraticamente in ogni paese erano già nate,e talvolta defunte, le scuole nazionali. Maarrivare tardi non è certo una colpa agli oc-chi di chi, come noi oggi, può avvicinarsicontemporaneamente a Ildegarda di Bin-

gen e Xenakis.Quella of-

ferta

da Ariel Zuckermann con i MünchnerSymphoniker è senz’altro una buona oc-casione per aprire una finestra sulla Sveziae, chissà, un giorno godere delle meravigliedel Concerto per violino di Peterson-Ber-ger o delle sinfonie di Allan Petterson.Che la Svezia per decenni abbia rinun-ciato ad inaugurare una propria scuola,preferendo la musica d’importazione (siasul filone sacro di matrice luterana, sia suquello profano con gli Italiani e i Francesialla corte dei re), lo prova in carne e ossaJoseph Martin Kraus, un bavarese tra-piantato a Stoccolma per puro accidentebiografico (seguì infatti alla ventura uncompagno d’università svedese). Tedescoa tutti gli effetti, cambiò cittadinanza inqualità di compositore ufficiale di Gu-stavo III, il re assassinato nel 1792 al ce-lebre ballo in maschera che avrebbe ispi-rato il dramma di Verdi. Kraus non ebbesolo la sfortuna di assistere al regicidio del

suo mecenate, ma condivise con Mozartquasi la stessa parabola biografica, ovverodal 1756 al 1792, morendo appena unanno dopo il Salisburghese. Per questasurreale coincidenza il nostro fu chia-mato “Mozart di Odenwald”. Un nomi-gnolo ben poco rivelatore, perché la suamusica, che in realtà è d’ispirazione fe-conda e carica di penombre protoro-mantiche, non ha davvero nulla di pro-vinciale o imitativo. Semmai si faanticipatrice di contrasti drammatici e diturbolenze dell’anima quasi pre-schuber-tiani. La sua Sinfonia Funebre per la se-poltura di Gustavo III è da circoscriveretra le creazioni più sublimi di fine Sette-cento. Il Requiem, poi, gareggia con i mi-gliori dell’epoca, fatto salvo ovviamentel’inarrivabile capolavoro mozartiano.Meno nota è invece la Sinfonia in do mi-nore VB 142 proposta nel concerto diMusica Insieme (dove “VB” sta per Van

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Con un solista e un direttore d’eccezione, la compaginetedesca che quest’anno festeggia i 70 anni d’attivitàdebutta nella nostra Stagione con un programma‘classico’ quanto originale di Luca Baccolini

Sguardo al Nord

Lunedì 13 aprile 2015

LUNEDÌ 13 APRILE 2015AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

MÜNCHNER SYMPHONIKER

NING FENG violinoARIEL ZUCKERMANN direttore

Joseph Martin KrausSinfonia in do minore VB 142Niccolò PaganiniConcerto n. 1 in re maggiore op. 6per violino e orchestraFranz Adolf BerwaldOuverture da Estrella de SoriaFranz Joseph HaydnSinfonia in sol minore Hob. I: 83La Poule

Introduce Nicola Sani. Compositore emusicologo, è Sovrintendente delTeatroComunale di Bologna

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Boer, curatore del catalogo), compostanel 1783 dopo un tour europeo che loportò anche a Bologna per conoscere Pa-dre Martini, appena in tempo prima dellasua morte (il volto di Kraus spicca nellacollezione di ritratti del frate bolognese).Non risultò mai chiaro se fosse proprioquella sinfonia a far dire a Haydn «sarà persecoli ricordata come un capolavoro: benpochi possono vantarsi di aver compostoqualcosa di simile»; certo, nella produ-zione di Kraus, tra molti lavori smarriti onon pubblicati, quest’esemplare si collocaai vertici per asciuttezza, efficacia e incisi-vità del linguaggio, in pieno coinvolgi-mento “Sturm und Drang”, di cui il te-desco-svedese fu un esponente non solomusicale, ma anche letterario, con poesie,tragedie e saggi sull’arte.Non soltanto per la stima riservatagli daHaydn, ma anche in virtù di un comuneterreno estetico, sarà piacevole ascoltare in

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Fondatanel1945comeSymphonie-OrchesterKurtGraunke, lacompaginedeiMünchnerSymphonikerpresentaunrepertorioampioevariegato,eaffiancacollaborazioni di grandi artisti internazionali con eccellenti solisti e direttoridella nuova generazione. Con più di cento concerti ogni anno in Europa, Asiae Stati Uniti, i Münchner sono una delle orchestre più interessanti del momen-to. Da dieci anni l’Orchestra è anche partner del Gut Immling Opera Festival,con numerose produzioni liriche all’attivo. Strettamente legati all’Orchestrasono il direttore onorario dei Münchner Symphoniker Philippe Entremont ed ilprimo direttore ospite principale Ken-David Masur. Dalla stagione 2014/15 èstatonominatonuovodirettoreprincipaledellacompagineil tedescoKevinJohnEdusei. Nato e formatosi in Cina, prima di specializzarsi alla Royal Academydi Londra, il violinista Ning Feng si è aggiudicato nel 2006 il Premio “Paga-nini”. Collabora attualmente con le più prestigiose orchestre, dalla Los Ange-les Philharmonic alla Sinfonica di Macao, dalla Filarmonica di Hong Kong al-la Sinfonica di Stato Russa, esibendosi nelle più importanti sedi internaziona-li, come Konzerthaus di Vienna, Sydney Opera House, Konzerthaus di Berli-no. Vincitore di numerose competizioni internazionali, il direttore israelianoAriel Zuckermann inizia la sua carriera musicale come flautista per poi spe-cializzarsi come direttore all’Accademia Reale di Stoccolma con Jorma Panu-la; oggi dirige compagini di primo piano, quali London Symphony Orchestra,Orchestre de Chambre de Lausanne, Sinfoniche di Basilea e di Lucerna, Or-chestra Filarmonica d’Israele e Filarmonica Ceca.

I protagonisti

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parallelo la coeva Sinfonia n. 83 dell’Au-striaco, quella nota ai posteri col nomi-gnolo di La poule, per l’onomatopea delsecondo tema del movimento iniziale, cheriecheggia con l’oboe il chiocciare dellagallina. Il fatto che Haydn, in una dellesue rare incursioni nella tonalità minore,opti per quest’inserto ironico la dice lungasulla sua superba maestria nel mischiarestile alto e popolare, profondità di pen-siero e gaiezza di spirito. In realtà, nono-stante il primo tema avviato con slancio insol minore, senza introduzioni lente, ilresto dell’opera nulla concede ai toni in-quieti dello Sturm und Drang: la tonalitàminore lascia infatti il passo rapidamentea un Andante di grazia mozartiana, poi aun purissimo e classicissimo minuetto einfine a una vivace conclusione dal-l’aspetto di danza. Tra Kraus e Haydn,dunque, il vero “Viandante sul mare dinebbia” dipinto da Caspar David Frie-drich è indubbiamente il primo.Percorso inverso, dalla Svezia alla Germa-nia, dovette intraprendere invece FranzAdolf Berwald (1796-1868), che da Stoc-colma scese a Berlino per cercare una le-gittimazione artistica quasi mai certificata-gli in vita. Eppure è con lui che la Sveziacominciò a destarsi dall’indolenza e a cam-minare sulle proprie gambe: Berwald, comeGade in Danimarca, aprì la strada più chea una marcata identità svedese, all’effettivapossibilità di realizzarsi. Ascoltando la suaOuverture dall’opera del 1862 Estrella deSoria si avrà infatti la percezione di riviverele stagioni di Mendelssohn, ma con quegliaccenti nordici che, successivamente irro-rati da una tavolozza di colori più ampia esoprattutto dal patrimonio di musica po-polare, avrebbero dato vita a un vivido sa-pore svedese. L’opera Estrella de Soria fu perBerwald una delle rare parentesi di tiepidosuccesso in un’esistenza di magrissime sod-disfazioni, per non dire di autentiche beffe,come quando gli fu conferita, sottratta epoi infine riconsegnata la cattedra al Con-servatorio di Stoccolma, pochi mesi primadi morire. Di certo, un successo vero e co-stante non gli arrise mai. Negli anni giova-nili, per mantenersi a Berlino dovette la-

vorare come impiegato in una vetreria. Co-stretto per comprensibili ragioni a rien-trare in patria, trovò occupazione in unaclinica come contabile. Gli studi irregolari,la spontanea, non originalissima adesioneal primo romanticismo tedesco e un rap-porto complicato con le istituzionimusicalisvedesi non hannomai contribuito a fare diBerwald un caposcuola riconosciuto, né inpatria né all’estero. Oggi questo giudiziopuò però a buon diritto essergli riconse-gnato, postumo come la prima esecuzionedel suo magnifico Concerto per pianofortee orchestra. Sia per Berwald che per Krausla Svezia è dunque un orizzonte ancora de-stituito di un genuino carattere nazionale,ma senza di loro, probabilmente, non pocoavrebbero faticato gli eredi successivi inquelle terre longitudinalmente sconfinate.In fondo, nella corsa all’identità musicale,la battaglia di Niccolò Paganini non fumeno aspra, combattuta in questo casotra l’anima dell’esecutore e la vocazione alcomporre. Il corpus per violino e orche-stra, quindi anche il suo Primo Concerto

eseguito nel programma da Ning Feng, ètestimone di una tensione tra l’instancabileattività concertistica e quella, soltanto inparte realizzata, di produttore di musicapropria. Paganini dovette comporre, scom-porre e riassemblare di continuo i suoimateriali, per far fronte alle richieste che gligiungevano. Così, adeguandosi anche alleconsuetudini dell’epoca, pagine già scrittediventano arie per concerti diversi. Da quiil suono operistico che sovente ritorna,con interventi orchestrali rutilanti, ampieintroduzioni e lunghissimi cantabili.Quanto Paganini abbia contribuito allaformazione di una scuola violinistica anchein Scandinavia lo testimonia il norvegeseOle Bull (1810-1880), che adolescentesuonava già i Capricci del Genovese e ini-ziò, proprio da Bologna, una carriera in-tercontinentale addirittura più alacre delpredecessore. Il violino sarebbe presto di-ventato il terminale più amato dai com-positori nordici. E se Berwald col suoConcerto del 1820 rimediò un sonoro fia-sco, da Sillen, Peterson-Berger, Atterbergfino a Sinding, Borresen e Sibelius questogenere avrebbe ripreso un vigore e un re-spiro non inferiori al resto d’Europa. Forsemolto tempo passerà ancora prima di ri-scoprire i tesori di quelle latitudini: ma cer-tamente aiuta sapere che i padri musicalidella Scandinavia, battezzati dal mondo te-desco e imbevuti inizialmente di gusto ita-liano, a contatto con il nostro gusto nonappaiono così lontani. Avvicinarvisi puòriservare grandi ricompense.

Ning Feng suona uno Stradivari del 1721, conosciuto come “MacMillan”,gentilmente concesso dalla Premiere Performances di Hong Kong

Lo sapevate che...

Lunedì 13 aprile 2015

DA ASCOLTARE

Fondata nel 1945, ma nota con suo nome attuale solo dal 1990, l’Orchestra Sin-fonica di Monaco ovviamente ha dato un suo rilevante contributo alla discografia.Tanto più, e val pena sottolinearlo, che ad essa sono state affidate oltre cinquecentocolonne sonore, tra le quali quelle di pellicole come Il silenzio degli innocenti odi serie televisive come Il giovane Indiana Jones. Insomma, siamo di fronte a unacompagine che frequenta abitualmente la sala di registrazione, spesso inciden-do titoli lontani dal repertorio tradizionale, ad esempio Il Fantasma dell’Opera,il celebre musical, nel 1994 per la Orbis. Il tutto senza farsi mancare quel cheper un’orchestra tedesca è indispensabile, a cominciare da Bach, Brahms e Schu-bert che troviamo qua e là nel loro catalogo discografico. L’era digitale, infine,ci obbliga a segnalare i molti file mp3 scaricabili che la vedono protagonista, ipiù recenti dei quali sono dedicati alla produzione orchestrale di Antonín Dvořák.

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Ensemble di riferimento per la prassi esecutiva antica, la compagine guidata daAlessandrini ci conduce in un viaggio fra due generi affascinanti come il concertoe la cantata, declinati da due Maestri come Bach e Vivaldi di Fabrizio Festa

Rivoluzioni barocche

Lunedì 27 aprile 2015

Non sa che sia dolore/Chi dall’amico suo parte e nonmore»: comincia così il testo anonimo della Cantata

BWV 209, che Bach vide eseguita per la prima volta a Lipsianella primavera del 1729. Questo anche l’anno in cui è statacomposta? Forse no. Forse Bach l’ha scritta una ventina di anniprima. Incertezza questa che non ci fa essere certi neppure dellaragione per cui è stata composta. Un amico in partenza? Pro-babilmente sì. Sappiamo dal testo, infatti, che costui si recheràad Ansbach, cittadina bavarese situata nella Media Franconia,sede fino al 1792 dell’omonimo principato. In ogni caso, l’opera,divisa in cinque parti (sinfonia, recitativo, aria, recitativo, aria),obbedisce ai canoni retorici che all’epoca delineavano il profiloaffettivo dell’addio. Canoni che Bach interpreta da par suo, ov-viamente, ma in maniera talmente canonica da non farci capireper chi e per quale ragione «lasci a noi dolente il core». Insomma,una bella pagina d’occasione che ci illumina quanto i ben piùfamosi Concerti Brandeburghesi, tra i quali il Quinto è forse ilpiù celebre, sulla natura della musica bachiana. Compatta, coe-rente, strutturata, emozionante, ma sostanzialmente poco inclineal lasciar spazio a quell’invenzione tanto cara al Vivaldi [come del

resto bene dice Alessandrini nell’intervista che il lettore può trovaresempre in queste pagine, ndr]. I Brandeburghesi vedono la lucetra il ’17 e il ’23 – Bach è a Köthen – e rappresentano l’enne-simo esempio di quella straordinaria integrazione tra le parti, chefa di Bach un caso unico nell’intera storia della musica. Resta ildubbio: l’ultimo dei neoplatonici, o il primo dei musicisti del-l’era industriale? Di questo, però, ci occuperemo a breve.Chi capì che i tempi erano già cambiati fu Vivaldi. “Vengo a voiluci adorate” è stata composta dopo il 1734. Eppure la sua è giàmusica di stile “classico”, come si evince dalla bellissima melo-dia che apre la prima aria di questa cantata (cui seguirà un re-citativo ed un’aria conclusiva). Eppure – prendendo qui a pre-stito la felice definizione che ne dà Alessandrini nella citataintervista – è davvero il compositore dai mille e uno stili, comedel resto dimostrano i suoi affascinanti e variopinti concerti. Nonbasta però a sopravvivere nel feroce mondo dell’opera lirica,quello cui pure Bach avrebbe voluto attingere, ma non ebbe maila possibilità di fare. Per quello bisogna già essere attrezzati, comeHändel, con le attitudini e gli strumenti dell’imprenditore. Ca-pitalismo musicale ante litteram? Forse sì. Il teatro d’opera non

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Rinaldo Alessandrini e il Concerto Italiano

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è solo artigianato: ci vuole di più. Saremmo tentati di dire chesiamo di fronte ad un fenomeno culturale che è espressione dellarivoluzione industriale e quindi del primo capitalismo, e che pro-prio nel capitalismo ottocentesco – non è un caso – trova vita-lissima linfa. Se questa nostra intuizione fosse vera, non po-tremmo che dedurre che il lessico storico-musicale necessiterebbedi una profonda revisione. Qualunque idea si abbia, infatti, delbarocco, definire “barocchi” musicisti come Antonio Vivaldi oJohann Sebastian Bach è come minimo fuorviante. Barocchicome? Come Bernini, che muore nel 1680, cioè quando Bachnon era ancora nato e Vivaldi aveva due anni? O come Rubens,che si era spento nel 1640? O come il Marino, che nella sua Na-poli era morto nel 1625? E che ne è di quel manierismo musi-cale che in certo qual modo avrebbe dovuto traghettare la tardapolifonia rinascimentale nel nuovo mondo della melodia ac-compagnata d’inizio Seicento? Insomma, già da queste brevi os-servazioni comprendiamo come la tassonomia storico-musi-

cale, almeno nella sua forma vulgata, quella che per convenzioneappunto, o forse solo per comodità, continuiamo ad utilizzare,abbia davvero bisogno di una rinfrescata. D’altronde dovremmochiederci – pur sapendo che non si possono fissare limiti esattie che nella storia della cultura difficilmente esistono eventi chespartiscono un prima e un dopo in maniera inequivocabile – senon sia il caso di individuare almeno un labile confine: una li-nea dopo la quale, pur con i necessari distinguo, pur tra sfu-mature e chiaroscuri, gli eventi hanno preso una direzione piut-tosto che un’altra. Lo scopo è semplice: fare chiarezza auditiva.Cioè sapere cosa stiamo ascoltando collocandolo, per quantopossibile, in una cornice illuminante. Il che non è poco quandosi parli di Bach e di Vivaldi oggi. Quando ascoltiamo un branomusicale dovremmo farci domande che ci aiutino a capire comee dove è nata la musica che ci viene presentata.Tornando al nostro spartiacque, su una sponda di questo ipo-tetico fiume, quella dove si gettano le fondamenta del ponte che

LUNEDÌ 27 APRILE 2015AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

CONCERTO ITALIANO

MONICA PICCININI sopranoLAURA PONTECORVO flautoRINALDO ALESSANDRINI clavicembalo e direttore

Introduce Rinaldo Alessandrini

Concerto Italiano si è imposto tra i gruppi italiani che hanno rivoluzionato i criteri d’esecuzione della musica antica, a partire dalrepertorio madrigalistico, fino a quello orchestrale e operistico per il XVIII secolo. Le incisioni discografiche dell’ensemble sono or-mai considerate versioni di riferimento da critica e pubblico, a testimonianza del rinnovato interesse verso un repertorio ora rivisita-to attraverso la sensibilità mediterranea. Oltre che fondatore e direttore di Concerto Italiano, Rinaldo Alessandrini è clavicem-balista, organista e fortepianista. Da vent’anni sulla scena della musica antica, conduce anche un’intensa attività solistica, ed è ospi-te dei festival di tutto il mondo. Nel 2003 è stato nominato Chevalier dans l’ordre des Artes et des Lettres dal Ministro francese dellaCulturaedè Accademico della FilarmonicaRomana.Membro dal 2003 di Concerto Italiano,MonicaPiccinini collabora con lepiùimportanti compagini di musica antica italiane, e con Hespèrion XXI e La Capella Reial de Catalunya diretti da Jordi Savall. Flautosolista dell’ensemble, Laura Pontecorvo svolge da anni attività concertistica con diverse formazioni orchestrali e da camera, tracui Europa Galante, Accademia Bizantina e I Turchini, con le quali ha preso parte a numerosi festival internazionali.

I protagonisti

Johann Sebastian BachCantata „Non sa che sia dolore‰ BWV 209per soprano, flauto e archiAntonio VivaldiConcerto in sol minore RV 156 per archiConcerto in sol maggiore RV 438 per flauto e archiCantata „Vengo a voi luci adorate‰ RV 682per soprano e archiJohann Sebastian BachConcerto Brandeburghese n. 5 in re maggiore BWV 1050per flauto, violino, clavicembalo e archi

Monica Piccinini

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poi ci porterà sull’altra, potremmo trovarci Vincenzo Galilei in-tento a far discutere Piero Strozzi e Giovanni Bardi intorno allamusica degli antichi e dei moderni in quel di Firenze nel 1581.AnticipandoVerdi di un paio di secoli all’incirca, il Galilei ci diceche tornare all’antico sarà un progresso. Antichità greca, mancoa dirlo. La Grecia che sarà anche del Canova, che nasce però nel1757, sette anni dopo la morte di Bach; Canova che è un con-temporaneo di Mozart e che già parla neoclassico (la lingua diMozart in certo qual modo). E prima ancora del Winckel-mann, gli inizi della cui vita intersecano quelle dei nostri Vivaldie Bach.Winckelmann pubblica i suoi Pensieri sull’imitazione del-l’arte greca nella pittura e nella scultura nel 1775; la sua Storia del-l’arte antica nel 1763. Cioè quarant’anni dopo il fondamentaleTrattato dell’armonia ridotta ai suoi principi naturali del Rameau,uscito nel ’22, mentre nel 1750 (l’anno della morte di Bach)Baumgarten aveva dato alle stampe il suo Aesthetica, segnandocosì di fatto la nascita di quella disciplina che delle arti avrebbestudiato i fondamenti. In questo turbinar di pubblicazioni tra-volgenti sta anche il saggio del Burke, quell’Inchiesta filosofica sulsublime che vide la luce negli stessi anni dei saggi winckelman-niani, tra il ’56 e il ’59.La storia, però, si diverte, è noto. Nel 1618 Cartesio scrive ilCompendium Musicae, trattatello pitagorico-euclideo, nel qualegeometria e psicologia, proprio come avrebbero voluto non sologli evocati Pitagora ed Euclide, ma anche Platone, s’incontranoper spiegare perché l’arte dei suoni riesce a commuoverci.

L’anno dopo Kepler dà alle stampe l’Harmonices Mundi: la cir-conferenza diventa un’ellisse, la “esse” dei manieristi, già in voga,domina nella pittura a scapito delle proporzioni rinascimentali,nei teatri di corte s’ascoltano le prime opere liriche. Sono glianni di Monteverdi (1567-1643), alla fine dei quali Cartesiopubblica il saggio che fa calare definitivamente il sipario sul Ri-nascimento: Passioni dell’anima, 1649. Gli antichi invocati daGalilei non ci fanno una bella figura. Anzi, l’incipit del primoarticolo recita: «Non c’è niente in cui appaia meglio la limita-tezza delle scienze tramandateci dagli Antichi, quanto in ciò cheessi hanno scritto delle passioni». Et voilà: tanti saluti a Grecie Romani, tragici o filosofi che fossero. Delle Passioni ce ne oc-cupiamo noi, creando un efficace mix di fisica, filosofia, psi-cologia, fisiologia, alla faccia anche di quanti (compreso loscrivente fino all’altrieri) credevano davvero che Cartesio volessedel tutto separati mente e corpo. Qui siamo già sull’altrasponda. Dunque potremmo cominciare a dire che Bach e Vi-valdi appartengono all’epoca post-cartesiana.Vivaldi e Bach stanno in questa terra di mezzo. Vivono latransizione da professionisti della musica, sbarcando il lunariogiorno dopo giorno: tagliandosi, cioè, una loro porzione di spa-zio in un contesto, quello musicale, vicino alla saturazione emolto competitivo. Certo, meglio un contratto con questo oquel nobile, ma il vero successo lo si ottiene solo rischiando conl’opera (vedi Händel). Così Vivaldi va a spegnersi in quel diVienna nel 1741, e finisce sepolto in una fossa comune, sebbenenella capitale austriaca un paio di targhe ne onorino il ricordo.Vienna dov’era andato per sfuggire al nuovo che avanzava:l’opera di stile napoletano. Lo stile alla moda che Mozart di lìa poco avrebbe tagliato – ancora storie viennesi – in fogge stra-ordinarie. Già, Mozart: Vivaldi è più vicino al Salisburghese cheal barocco in salsa mantovana d’inizio Seicento. Di questo cene sono ampie tracce nelle partiture mozartiane, basti pensareall’uso delle progressioni. Bach invece guarda al futuro. Non cheavesse letto Cartesio, ma certo è che di metodo ne possedeva davendere. Metodo, applicazione, costanza, inventiva: un alchi-mista che ha scoperto un fantastico metodo per l’appunto percomporre pagine che destano meraviglia, così come le tantemacchine strane (più o meno automatiche, più o meno inge-gnose), che furoreggiavano nei salotti di quegli anni. È il co-smografo che Kepler avrebbe voluto avere al suo fianco. Val lapena rammentare che la prima tastiera elettrica della storia – ilclavecin électrique – Delaborde la costruirà nel 1759 (solo noveanni dopo la morte di Bach). Nel 1787 nasce il telaio mecca-nico, da cui Jacquard nel 1801 deriverà il suo: la prima mac-china automatica industriale. Ci piacerebbe credere, pur sa-pendo che non è così, che Bach avesse capito cosa stavasuccedendo: ma quale rivoluzione scientifica! La rivoluzione sichiama capitale, è l’industria, la macchina, che da oggetto dimeraviglia sta diventando catena di montaggio.

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Fra gli autori prediletti da Alessandrini, Monteverdi è al centro di una trilogia operistica,allestita alla Scala di Milano dal 2009 al 2015, con la visionaria regia di Bob Wilson

Lo sapevate che...

Lunedì 27 aprile 2015

DA ASCOLTARE

In scena o in sala d’incisione, Rinaldo Alessandrini e il‘suo’ Concerto Italiano sono parimenti infaticabili. In po-che righe non è neppure immaginabile riassumere unapiù che decennale attività discografica, peraltro tanto ric-ca di successi da essere divenuta punto di riferimento pertutti gli appassionati di musica antica e barocca. Clau-dio Monteverdi e Antonio Vivaldi ovviamente sono trai fil rouge. Allora citiamo: nel 2014 per i tipi della Naï-ve ecco i Vespri Solenni (monteverdiani manco a dirlo)per la Festa di San Marco, incisione della quale parliamopiù diffusamente nella rubrica Da ascoltare su questo stes-so numero, e che rimanda anche al DVD L’uomo e il suodivino girato da Claudio Rufa, che mostra appunto Ales-sandrini impegnato nel dirigere Monteverdi. Dieci anniprima aveva inciso il Vespro per la Beata Vergine, cui ave-vano fatto seguito l’Orfeo (2007) e i Madrigali Guerrieriet Amorosi (2013). Guardando al programma che il Con-certo Italiano presenterà per Musica Insieme, non man-ca nella sua discografia il ‘classico’ confronto Bach/Vi-valdi. Ancora per la Naïve, eccolo a disposizione del pub-blico nel 2011, sei CD dove troviamo anche sempreverdicome le Stagioni e i Brandeburghesi.

Cala il sipario della XXVIII edizione dei Concerti con una delle compagini più longeve eoriginali, accompagnata dal virtuosismo e dalla carica espressiva della ‘nostra’ Vacatellodi Sara Bacchini

Lunedì 11 maggio 2015

Una classica modernità

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a letteratura per orchestra è tal-mente varia e multiforme da ri-sultare pressoché infinita: orchestra

sinfonica, orchestra da camera, orchestrad’archi, orchestra di fiati, sono solo alcu-ni degli organici che fanno capo alle com-posizioni strumentali di questo genere. Ungenere che dal XVI secolo in poi ha at-traversato la storia della musica e anno-vera fra i propri padri Bach, Haydn, Mo-zart e Beethoven. A questi grandi maestritutti i compositori faranno riferimento inepoche successive, dal romanticismo finoallo sperimentalismo novecentesco. L’or-chestra d’archi è formata, lo dice il nome

stesso, da soli violini, viole, violoncelli econtrabbassi; in pratica, un quartettod’archi – organico classico tra i più ela-borati ed apprezzati dai compositori – por-tato all’ennesima potenza. E proprio daun quartetto per archi trae origine uno deibrani più famosi ed eseguiti del Nove-cento: l’Adagio op. 11 di Samuel Barber.Nato in Pennsylvania, Barber (1910-1981) iniziò a comporre già a sette anniper approdare, dopo gli studi al Curtis In-stitute of Music di Philadelphia, all’Ac-cademia Americana di Roma nel 1935.Qui scrisse il Quartetto per archi in si mi-nore (1936), il cui secondo movimento,

arrangiato per orchestra d’archi su sug-gerimento di Arturo Toscanini – che loeseguì con l’Orchestra sinfonica dellaNBC il 5 novembre 1938 a New York –venne pubblicato come Adagio per archiop. 11. È l’opera più famosa di Barber, ese-guita anche ai funerali dei due presiden-ti americani Roosevelt e Kennedy, ed è sta-ta scelta sia dal regista Oliver Stone per lacolonna sonora del film Platoon (1986) siada David Lynch per The Elephant Man(1980). Nella sua versione originale,l’Adagio segue e fa da contrasto ad un pri-mo movimento decisamente violento,per cedere successivamente il passo a

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una breve ripresa del materiale tematicoprecedente. Il compositore statunitenseevitò sempre lo sperimentalismo di alcu-ni colleghi americani della sua generazione,preferendo esprimersi con armonie e for-me relativamente tradizionali. Gran par-te della sua musica è infatti caratterizza-ta da un senso della melodia quasi lussu-reggiante, tale da essere definita ‘neoro-mantica’, sebbene alcuni dei suoi lavori piùmaturi, come il Third Essay e Dance ofVengeance, mostrino un uso sapiente di ef-fetti percussivi, modernismi e richiamineo-stravinskiani.La vicenda artistica di Leoš Janácek(1854-1928) mostra caratteri di assolutaoriginalità: la sua produzione rappresen-ta per certi versi un unicum nel panoramacompositivo europeo novecentesco, un cor-po strumentale e operistico estremamen-te variegato, che fa di Janácek indiscuti-bilmente il maggior compositore ceco mo-derno, e una delle figure più enigmatichedella musica del XX secolo. Per molti annil’attività compositiva del Boemo (sino allafine dell’Ottocento) si mantenne nel sol-co della tradizione nazionale, che ricono-sceva in Smetana e Dvorák i suoi più il-lustri rappresentanti. Soltanto con l’aprir-si del nuovo secolo, nel 1903, e dopo lalunga elaborazione del capolavoro operi-stico Jenůfa, il musicista prende le distanzedall’influenza tardo-romantica per imporsicome un compositore originale e moder-no. Il suo stile è essenzialmente affranca-to da vincoli armonici rigidi, caratteriz-zandosi invece per una invenzione melo-dica personalissima, basata sull’analisimaniacale delle inflessioni prosodiche e ac-centuative del linguaggio boemo parlato.Col passare degli anni, l’ispirazione del-l’artista sembra assecondare gli impulsi diun crescente affrancamento dalla tradi-zione, con esiti di sempre maggiore vita-lità e modernità. La Suite per archi JW 6/2(1877-78) appartiene alla fase compositivagiovanile di Janácek, e pur ascrivendosi allasua fase canonicamente tardo-romanticaracchiude in sé alcune intuizioni e soluzioniarmoniche destinate a confluire nell’evo-luzione successiva della sua esperienza crea-tiva. Nel 1877 il maestro ventitreenne, conuna grande predilezione per l’amicoDvorák, del quale esegue le opere sinfo-niche oltre a rielaborarle per diversi orga-

nici strumentali, inizia ad imporre con esu-beranza la sua personalità originale e in-sofferente verso gli accademismi: fondaun’orchestra di amatori per la quale scri-ve le sue prime opere strumentali e com-pone la Suite per orchestra d’archi, eseguitaalla fine di quello stesso anno a Brno. Pri-ma opera del suo catalogo orchestrale, laSuite è un interessante documento stori-co del periodo classicistico di Janácek: insei brevi movimenti, resterà inedita fino al1926. I primi due (Moderato e Adagio)oscillano tra richiami armonici wagneria-ni e melodie brahmsiane, mentre il suc-cessivo Andante con moto presenta un ca-rattere ritmico decisamente derivante dal-la tradizione popolare ceca. Al Presto,che rielabora in tono classico il materialemelodico di un incompiuto Sonetto perquattro violini, fa da contraltare il più cupoe notturno Adagio che conduce all’Andantefinale: ed è proprio questomovimento con-clusivo a rivelare l’indisciplinato classici-smo di Janácek.Costante riferimento del compositoreboemo fu lo stimato maestro e amico An-tonín Dvorák, che rimane, accanto aSmetana e allo stesso Janácek, uno deimaggiori esponenti della musica boemadel secolo scorso. Il suo linguaggio fluen-te e spontaneo esalta la gioia del “fare mu-sica” da sempre tipica degli Slavi, e dei Ce-

chi in particolare: canti di strada, di oste-ria, di campagna rivivono nella sua pro-duzione, senza volgarità ma anzi con sem-plicità e bonarietà. E la storia delle sueopere, delle sinfonie, delle pagine came-ristiche, ci parla proprio di questo spiri-to, di quel radicato sentimento popola-re mai tradito, sempre rigenerato dal-l’interno. L’eco di questa ‘musica della ter-ra’ è per Dvorák un moto intimo e in-delebile. La Serenata in mi maggiore op.

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LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30

Leoš JanácekSuite JW 6/2 per archiLudwig van BeethovenConcerto n.2 in si bemolle maggioreop.19 per pianoforte e orchestraSamuel BarberAdagio op.11 per archiAntonín DvorákSerenata in mi maggiore op. 22per archi

PRAGUE CHAMBER ORCHESTRA

MARIANGELA VACATELLO pianoforte

Introduce Fulvia de Colle. Da quindici anni aMusica Insieme, collabora alla direzione artistica,scrive di musica e traduce per Einaudi Editore

Esibitasi con le orchestre più famose in sale come la Wigmore Hall di Londra, laDisney Hall di Los Angeles, la Carnegie Hall di New York, nel 2005 viene sceltaper rappresentare l’Italia al Musical Interpretation Prize 2002 di Bruxelles e si ag-giudica il Premio “Giuseppe Verdi: la musica per la vita”, come riconoscimento alsuo precoce talento e alla sua straordinaria tecnica. Dopo aver conseguito il Ma-ster all’Accademia di Imola nel 2006, viene premiata al Concorso “Busoni” 2005ed al “Reine Elisabeth” 2007, e nel 2009 vince il “Top of the World” norvegese eil Premio del Pubblico al prestigioso “Van Cliburn” statunitense.

Mariangela Vacatello

Nel corso di oltre mezzo secolo di attività, la Prague Chamber Orchestra si è di-stinta per le sue straordinarie esecuzioni sia all’estero, sia in patria, esibendosi inCanada, Giappone, Australia, Hong Kong, Corea. Impostasi all’attenzione dellacritica grazie alla partecipazione al Festival della Primavera di Praga nel 1952, èben presto entrata nel novero delle principali compagini ceche. Nonostante si esi-bisca per tradizione senza un direttore, nel corso della propria attività la PragueChamber Orchestra ha collaborato su alcuni programmi specifici con direttori dellivello di Václav Neumann, Gerd Albrecht, Sir Charles Mackerras, e con solisti co-me Michelangeli, Accardo, Maisky, Gabetta.

Prague Chamber Orchestra

22 per archi è assimilabile alla produzio-ne cameristica sia per l’origine settecen-tesca della serenata, sia perché la fioritu-ra di questo genere creativo era stretta-mente collegata alla disponibilità di stru-mentisti boemi, sia tra gli archi sia tra i fia-ti, arruolatisi nelle orchestre arcivescovi-li o principesche mitteleuropee. Brahmse l’influente critico Hanslick furono tra iprimi a manifestare a Dvorák la propriasimpatia per questo lavoro sin dal primoascolto. La Serenata fu scritta nel 1875 insoli dodici giorni. Ripartita in cinque mo-vimenti in forma di suite, è un brano diintensa carica melodica e di grande fascino.Il primo movimento (Moderato) si apre

con il bellissimo e celeberrimo tema chepassa dai violini ai violoncelli e vicever-sa, originando la sensazione di visione ae-rea di un paesaggio incantevole all’inter-no del quale per un attimo l’occhio cer-ca di mettere a fuoco i piccoli momentidella vita quotidiana. Il Tempo di Valse chesegue è senza dubbio frutto delle primeesperienze del compositore quando si gua-dagnava da vivere come membro dell’or-chestra da ballo “Komzàk”: un valzer lie-ve e vaporoso che all’interno del movi-mento si evolve continuamente fino al no-stalgico tema del Trio centrale, che pre-annuncia la linea melodica del successi-vo Larghetto. Il terzo movimento è un bril-

lantissimo Scherzo in cui le serrate imi-tazioni contrappuntistiche tra le diversesezioni strumentali sembrano ricordare ilgioioso vociare di una festa paesana. Lastraordinaria invenzione melodica delLarghetto (il cui tema viene richiamato an-che negli altri movimenti) catalizza la qua-si completa attenzione dell’intera Serenata:frasi struggenti, intriganti cellule sonore,risonanze che si diradano, insomma unconcentrato di emozioni che conduce al‘felice spirito’ di terra boema nel Finale,annunciato da incalzanti elementi a squil-lo e veloci staccati discendenti a canonetra i violini e il resto dell’orchestra.Il Concerto per pianoforte e orchestra insi bemolle maggiore op. 19 di Beethoven,composto tra il 1794 e il 1798, venne ese-guito per la prima volta a Praga e vanta,tra le prime esecuzioni che richiamaronosull’opera l’attenzione del pubblico, quel-le del grande pianista ungherese ErnőDoh-nány. Questo concerto è mozartiano nel-la struttura del primo movimento (Alle-gro con brio), che rimanda per alcuni ver-si al Concerto in re minore KV 466 del ge-nio salisburghese: l’entrata del solista,che non espone subito il primo tema mainizia a fantasia, con figurazioni derivatedal materiale tematico già esposto dal-l’orchestra; il rapporto tra solista e orche-stra, con il pianoforte integrato nellamassa degli strumenti, dalla quale emer-ge spesso ma nella quale si inserisce anchecome se fosse uno dei componenti del-l’orchestra; l’organico e, soprattutto, la so-miglianza ritmica e melodica tra i secon-di temi dei due concerti. Il secondo mo-vimento è un Adagio tra i più grandi delprimo Beethoven, e di altissimo valoreemotivo: la cadenza finale svela una stra-ordinaria forza drammatica dell’orchestrache cede il passo ad un parlante recitati-vo del pianoforte. L’ultimo movimento(Rondò. Molto allegro) è un rondò disemplicissima struttura, a metà tra il ron-dò brillante e il rondò pastorale, al cui in-terno il pianoforte prima, e i violini poi,intonano un frammento melodico del se-condo tempo della Sinfonia “Pastorale”.

La Prague si caratterizza per essere un’orchestra senza direttore: a prescinderedall’ampiezza dell’organico, ogni membro della compagine assume un ruolo paritetico

Lo sapevate che...

48 IM MUSICA INSIEME

Lunedì 11 maggio 2015

DA ASCOLTARE

Di Mariangela Vacatello in versione digitale abbiamo già detto proprio su que-ste pagine. Rammentiamo quindi solo le due incisioni per la Brilliant: Liszt, Studitrascendentali, e il più recente tutto Debussy (2012). Il catalogo dell’Orchestra daCamera di Praga, invece, è lungo e articolato. Del resto, non potrebbe essere di-versamente. Basti rammentare che l’anno di fondazione del celebre ensemble cecoè il 1951. Lasciando da parte la gloriosa età dei long playing, nell’epoca del com-pact disc la compagine praghese ha ulteriormente arricchito la già lunga lista del-le sue registrazioni. L’ha arricchita scegliendo con cura un repertorio spesso inu-suale, scelta già di per sé meritevole della massima attenzione e di sincera lode.Certo non manca la Serenata di Dvořák (2001), ma questa s’inserisce in un per-corso dove troviamo pagine rare come i Concerti per clarinetto di Baermann (2002)per la Orfeo o le sinfonie e le partite di Frantisek Tuma incise nel 2010 ed at-tualmente disponibili solo come file audio. E poi ci sono Dittersdorf, Mysliveček,Benda, Hoffmeister, e così via accanto al sempre amato e gettonato Mozart.

Resistenza Illuminata è il titolo di unomaggio a Luigi Nono nel settante-simo anniversario della Resistenza edella guerra di Liberazione e di un pro-getto interdisciplinare che prevedeconcerti, mostre, proiezioni, convegnie incontri tra Bologna, Ferrara, Mar-zabotto, Modena, Reggio Emilia.Molte le opere che saranno eseguitenel corso della manifestazione, tra lequali Il Canto Sospeso, basato sulle let-tere dei condannati a morte della Re-sistenza europea, diretto da RobertoAbbado. Alla realizzazione dell’ini-ziativa tematica collabora, per la con-sulenza scientifica, la Fondazione “Ar-chivio Luigi Nono” di Venezia. L’Ar-chivio è stato fondato nel 1993, su ini-ziativa di Nuria Schoenberg Nono, perraccogliere, conservare e promuovereil lascito del compositore. Tale lasci-to consiste di manoscritti (23.000 fo-gli di schizzi, abbozzi e studi prepa-ratori per le sue composizioni musi-cali e 12.000 di appunti e di scritti dinatura musicale, teorica e politica); let-tere (6.400 con esponenti di spiccodella storia, dell’arte, della politica edella cultura italiana e internaziona-le); nastri (230 bobine, fra materialipreparatori delle opere elettroniche, re-gistrazioni delle prime assolute dellesue composizioni e di alcune intervi-ste); libri e partiture (12.400 volumi,molti dei quali glossati, rari, antichi,

unici); vinili (1.370, con registrazio-ni di musica popolare di ogni prove-nienza geografica, di discorsi e dicanti politici nazionali e internazio-nali); fotografie (6.500); programmidi sala (300), manifesti (170), recen-sioni e saggi critici (4000). Per com-memorare il novantesimo anniversa-rio della nascita di Luigi Nono, nel2014 l’Archivio ha pubblicato un li-bro speciale (Per Luigi Nono. Dediche,a cura di Nuria Schoenberg Nono)con immagini e trascrizioni in linguaoriginale e in inglese di dediche alcompositore, trovate tra i libri e le par-titure della sua biblioteca personale,conservati nell’Archivio. Il libro con-tiene una selezione di 40 dediche, trale oltre 700 dediche ritrovate, e bre-vi note biografiche che spiegano il rap-porto di ciascun dedicante a LuigiNono. Alcuni nomi degli autori del-le dediche: fra i tanti, Theodor W.Adorno e Nanni Balestrini, JulianBeck e Massimo Cacciari, Italo Cal-vino e Pietro Ingrao, György Kurtáge Gió Pomodoro. Un viaggio tra rap-porti di stima reciproca e di amiciziache, in modo vertiginoso, fa scorreredavanti a noi i maggiori protagonistidi diversi campi dell’arte e della cul-tura del Novecento.

Per Luigi Nono. Dedichea cura di Nuria Schoenberg Nono(Fondazione Archivio Luigi Nono, 2014)

Helmut Failonie Francesco MeriniL’Orchestra. Claudio Abbadoe i musicisti della Mozart(Mammut Film, 2014)

Per Mammut Film, con ilcontributo di Fabio RoversiMonaco, Fondazione Cari-

sbo e Museo della città di Bologna, è uscito ilDVD L’orchestra. Claudio Abbado e i musicisti del-la Mozart di Helmut Failoni e Francesco Meri-ni. Un’ora per raccontare la vita dell’OrchestraMozart, che, già scomparsa, ha però lasciato unsegno. Claudio Abbado fondò “la Mozart” riu-nendo i migliori musicisti e mescolando giova-ni promesse ed affermati solisti: da JohaneGonzalez, contrabbassista venezuelano prove-niente da un barrio di Caracas, al trombettistatedesco Reinhold Friedrich. Seguendo l’orche-stra nel tour italiano ed europeo 2012/13, il do-cumentario offre uno sguardo unico e privilegiatosul lavoro del Maestro Abbado e sull’essere mu-sicisti di classica nel nuovo millennio, raccon-tando alcuni dei componenti dell’orchestra, daiconcerti alla vita privata: Maria Francesca Latella,Federica Vignoni, Lucas Macías Navarro, AloisPosch, Alessio Allegrini. Con due intervisteinedite ed esclusive al maestro Abbado e ripre-se durante i concerti e le prove di Bologna, Lu-cerna, Vienna, Madrid e Palermo.

Luca ChiantoreBeethoven al pianoforte.Improvvisazione, composi-zione e ricerca sonoranegli esercizi tecnici(Il Saggiatore, 2014)

Luca Chiantore è un pianista emusicologo formatosi a Mila-

no e all’Università di Barcellona. Finiti gli studi èrimasto in Spagna dov’è noto come interprete e stu-dioso, specializzato soprattutto in tecnica pianistica.Per l’editrice Il Saggiatore esce la traduzione di unsuo ampio saggio intitolato Beethoven al pianoforte.Improvvisazione, composizione e ricerca sonora ne-gli esercizi tecnici. Se n’è parlato molto per un solocapitolo in cui l’autore sostiene «Non fu Beetho-ven a scrivere Per Elisa». Ovviamente, la reazioneè stata ampia, ma non è questa la tesi più interes-sante. Il volume, in realtà, guarda al compositorein un’interessante prospettiva inedita: quella degliesercizi tecnici. L’autore ha trovato tali brani tra gliappunti di Beethoven, eppure si tratta di una te-stimonianza preziosa. Non si tratta della tecnica cuisiamo abituati, quanto di una riflessione pratica cheprelude e sottende alle composizioni più note delTedesco. Insomma, chiamarla tecnica sembra unpo’ riduttivo: siamo di fronte alla testimonianza af-fascinante del suo rapporto fisico con lo strumento,in vista di nuovi spazi sonori. Di grande interes-se anche il discorso sull’improvvisazione.

PER LEGGERE

MEMORIASONORA

Un DVD e due librici restituiscono letestimonianze di grandiMaestri, raccontandocil’Orchestra del MaestroAbbado, le dediche aLuigi Nono e le riflessionisulla tecnica pianisticadi Beethoven

di Chiara Sirk

50 IM MUSICA INSIEME

Cercare, nei cataloghi monteverdiani, i Vespri so-lenni per la festa di San Marco, è perfettamente inu-tile. Si eseguirono, nella Venezia del primo Seicento,grazie a tanto maestro di cappella, ma così belli epronti come i Vespri della Beata Vergine non si tro-vano, e non perché siamusica perduta. Come si usa-va, Monteverdi componeva, eseguiva, e pubblica-va in modo da prospettare scelte libere e diverse.Per farla breve, Rinaldo Alessandrini e il suoConcerto Italiano hanno consultato prima le cro-nache e poi le stampe musicali: da queste, un po’dai citati vespri mariani del 1610 e specie dalla ric-chissima Selva morale e spirituale del 1640 hannotratto quanto occorreva, quanto risultava dagli usie costumi. Ed eccoli qua, i Vespri ricomposti, so-prattutto ma non solo monteverdiani perché l’an-tifona è gregoriana e dopo il salmo compare una“sonata in loco antiphonae” (invece della replica),a firma d’altri e per esempio di Giovanni Gabrie-li. Ma certo i grandi salmi e mottetti sono suoi, nel-la loro già barocca e cioè variopinta grandeur. In que-sta volutamente diseguale panoramica vocal-stru-mentale il Concerto Italiano non si fa mancare nul-la, passando dalla monodia gregoriana alla polifo-nia concertata con ogni libertà di fraseggio ed espe-rienza di spettacolo, sempre con trasparenza di con-trappunto e scioltezza di pronuncia latina. Così nelCD, cui il cofanetto annette un DVD. Si tratta diun video, un “film” che, ricordando come la regi-strazione abbia avuto luogo a Mantova, prodigasplendide immagini d’architettura sacra e profanadella città dei Gonzaga, con stralci di prove, mo-menti di registrazione, pause di conversazione fracollaboratori e amici. Quando poi Alessandrini, ci-tando la querelle della prima e seconda “pratica”mu-sicale scoppiata nel primo Seicento, cita come cen-sore diMonteverdi l’Artusi, il cuoco con cui sta par-lando non può che sorridere, anch’egli ricordan-do un Artusi: il romagnolo Pellegrino, famoso au-tore della Scienza in cucina e arte di mangiar bene.

Concerto Italiano, Rinaldo AlessandriniVespri solenni per la festa di San MarcoL'umano e il suo divino. Alessandrini dirigeMonteverdi. Un film di Claudio Rufa(CD e DVD, Naïve, 2014)

GRANDEUR E INTIMISMOAlessandrini e il Concerto Italiano ridanno vita ai Vesprimonteverdiani, Baglini si misura con il capolavorodi Musorgskij, mentre l’Estrio incanta con l’incisionedei Trii di Mendelssohn

Che i Quadri di un’esposizione siano un capolavo-ro, un capolavoro tale da rasentare quasi l’incom-patibilità con il normale pianismo ottocentesco, è

fuor di dubbio. E Maurizio Baglini, pisano del 1975 in piena carriera datempo, se n’è servito: nel doppio CD della Decca ha registrato tutta l’ar-dua partitura (con un titolo inglese che forse sorprende ma ha la stessa at-tendibilità di quello italiano), mettendola in apertura e conseguendo otti-mi risultati; e poi si è lanciato in un’integrale musorgskiana dove ha bril-lato di luce propria, se non a quattro mani in compagnia di Roberto Pros-seda e senza temer confronti con un passato illustre. Notevole il lirismo, daRêverie a Une larme, ma non meno dell’umorismo, evidente nel First pu-nishment delle Memorie infantili. Au village, inoltre, è lento, quasi senza tem-po e senza ritmo; e se On the Southern Shore of the Crimea ha il sapore diuna ballata lontana, Nanny and me sembra un’antica filastrocca. Su tutto,una paletta dinamica straordinaria (basti la Polka che chiude il primo CD);e la capacità, continua, di suggerire confronti con Rossini e Satie.

Maurizio Baglini, Roberto ProssedaPictures at an Exhibitionand other Piano Works(2 CD, Decca, 2014)

DA ASCOLTARE

Una trentina di pezzi, il camerismo diMendelssohn;e non tutti fortunati nel repertorio, e tanto meno nella discografia. Dei dueTrii per archi e pianoforte, ad esempio, il primo brilla anche dei nomi diHeifetz, Stern, Casals, Rubinstein e Cortot; ma, sebbene il resto della suapresenza in catalogo sia notevole, non si può dire che sia oggetto di con-cupiscenza. Buona dunque l’idea di proporlo unitamente al secondo nellegrazie, fra l’altro, di un trio tutto femminile. Il quale, fondato nel 2005 egià padrone dei capolavori della sua formazione (fino a MadameTaillefer-re), inanella i quattro più quattro movimenti del Trio n. 1 in re minore op.49 e del Trio n. 2 in do minore op. 66 leggendo le indicazioni di Mendel-ssohn allaMendelssohn, cioè con un entusiasmo e un’intensitàmai debordanti,sempre romantici, ma giammai anticlassici. Il secondo Scherzo è velocissi-mo, invero, proprio “quasi presto”, ma l’Andante espressivo precedente suo-na molto misurato, così come il primo Scherzo profuma ancora di Mozarte l’attacco dell’opera 66 intende la richiesta “energia” in termini più di di-namica che di potenza.

EstrioLaura Gorna, Cecilia Radic, Laura ManziniMendelssohn TriosDecca, 2014)

di Piero Mioli

52 IM MUSICA INSIEME

BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA,BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO

E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIODI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA,

COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA,FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO,

GRUPPO HERA,MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION,M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA,

UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNAPROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA

EditoreFondazione Musica Insieme

Galleria Cavour, 2 – 40124 BolognaTel. 051 271932 – Fax 051 279278

Direttore responsabileFabrizio Festa

In redazioneBruno Borsari, Fulvia de Colle, Valentina De Ieso,

Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi

Hanno collaboratoSara Bacchini, Luca Baccolini, Francesco Corasaniti,

Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi,Piero Mioli, Anastasia Miro, Chiara Sirk, Mariateresa Storino

Grafica e impaginazioneKore Edizioni - Bologna

StampaGrafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)

Registrazione al Tribunale di Bolognan° 6975 del 31-01-2000

Musica Insieme ringrazia: