Filosofia Genova

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RIVISTA DI FILOSOFIA / vol. XCI, n. 2, agosto 2000 MIRELLA PASINI – DANIELE ROLANDO La filosofia a Genova 1. Crisi del positivismo e dintorni Gli anni che vanno dalla fine dell’Ottocento alla pri- ma guerra mondiale, quelli che tutte le storie della cul- tura filosofica considerano gli anni della crisi del positi- vismo, segnano invece a Genova un rifiorire della cultu- ra positivistica. Genova aveva vissuto l’esperienza della «Rivista di filosofia scientifica» diretta da Enrico Mor- selli e l’attività di ricerca del suo gruppo, spiegatasi in campo antropologico e psichiatrico; ne faceva parte però anche Ettore Regalia, uno psicologo (che di mestiere fa- ceva l’antropologo a Firenze all’ombra del famoso sena- tore Paolo Mantegazza) propenso alla revisione del posi- tivismo più hard. A Genova insegnava l’illustre clinico Edoardo Maragliano (rettore dell’Ateneo genovese dal 1907 al 1917), mentre Alberto Issel fondava il Museo di Geologia e l’Orto botanico e il mecenatismo di Giaco- mo Doria consentiva l’apertura del Museo di Storia na- turale. Nelle aule della facoltà di Lettere e filosofia s’in- contrava la figura modesta e malinconica di Sante Ferra- ri, che a Genova aveva cominciato la sua carriera uni- versitaria nel 1893, dopo un ventennio di faticoso pere- grinare tra licei di provincia, e lì la concluse nel 1929, avendo alle spalle trentacinque anni di onorato servizio. Poco lontano teneva lezione Alfonso Asturaro, salito dal profondo Sud (ma si era laureato alla Normale) per in- segnare Filosofia morale e poi, dal 1903, Sociologia, in- segnamento istituito proprio per lui dal Ministero. Qual- che anno dopo si aggiungeva a loro sulla cattedra di Fi-

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  • RIVISTA DI FILOSOFIA / vol. XCI, n. 2, agosto 2000

    MIRELLA PASINI DANIELE ROLANDO

    La filosofia a Genova

    1. Crisi del positivismo e dintorni

    Gli anni che vanno dalla fine dellOttocento alla pri-ma guerra mondiale, quelli che tutte le storie della cul-tura filosofica considerano gli anni della crisi del positi-vismo, segnano invece a Genova un rifiorire della cultu-ra positivistica. Genova aveva vissuto lesperienza dellaRivista di filosofia scientifica diretta da Enrico Mor-selli e lattivit di ricerca del suo gruppo, spiegatasi incampo antropologico e psichiatrico; ne faceva parte peranche Ettore Regalia, uno psicologo (che di mestiere fa-ceva lantropologo a Firenze allombra del famoso sena-tore Paolo Mantegazza) propenso alla revisione del posi-tivismo pi hard. A Genova insegnava lillustre clinicoEdoardo Maragliano (rettore dellAteneo genovese dal1907 al 1917), mentre Alberto Issel fondava il Museo diGeologia e lOrto botanico e il mecenatismo di Giaco-mo Doria consentiva lapertura del Museo di Storia na-turale. Nelle aule della facolt di Lettere e filosofia sin-contrava la figura modesta e malinconica di Sante Ferra-ri, che a Genova aveva cominciato la sua carriera uni-versitaria nel 1893, dopo un ventennio di faticoso pere-grinare tra licei di provincia, e l la concluse nel 1929,avendo alle spalle trentacinque anni di onorato servizio.Poco lontano teneva lezione Alfonso Asturaro, salito dalprofondo Sud (ma si era laureato alla Normale) per in-segnare Filosofia morale e poi, dal 1903, Sociologia, in-segnamento istituito proprio per lui dal Ministero. Qual-che anno dopo si aggiungeva a loro sulla cattedra di Fi-

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    losofia teoretica leclettico Roberto Benzoni, il cui meri-to principale di lavoratore fedele dellaccademia sembraessere stato quello di aver fondato la Scuola di specializ-zazione in pedagogia.

    Erano gli anni de La Voce e i liguri Camillo Sbar-baro e Giovanni Boine partecipavano allimpresa. MarioNovaro aveva fondato a Oneglia La Riviera Ligure, ri-vista di livello non certo provinciale. A Genova soggior-nava, come sempre guardingo e solitario, Dino Campa-na. La citt non era ai margini nemmeno in campo arti-stico: il livornese Plinio Nomellini vi aveva trascorso glianni pi fecondi e i genovesi Cornelio Geranzani e Ru-baldo Merello per fare solo qualche nome sapevanorivisitare divisionismo e simbolismo con personale origi-nalit. Alcuni eventi culturali e politici avevano attiratolattenzione su Genova, dalle celebrazioni colombianedel 1892 allinaugurazione del monumento ai Mille aQuarto nel 1915, realizzato da Eugenio Baroni in unadrammatica tensione tra simbolismo e espressionismo.

    Ma un profilo filosofico di Genova tardava a manife-starsi. Certo Asturaro non era, almeno allora, uno sco-nosciuto: la sua Sociologia1, che mirava a precisare log-getto e il metodo della sociologia come scienza autono-ma e a definirne uno statuto epistemologico, era discus-sa sulle pi importanti riviste internazionali.

    Quanto di ci che avveniva nelle aule universitarie enei salotti intellettuali entrava in relazione con la vita cit-tadina? Ferrari viveva solitario e pensoso sulla collina diPieve, nello struggente ricordo del figlio morto fanciullonel 1905 cos lo descrive Adelchi Baratono che erastato suo allievo2. Da quella data interruppe per lunghianni non certo lo studio, ma la fatica di dare alle stampe

    1 A. Asturaro, La sociologia: i suoi metodi e le sue scoperte, Chiavari,Libreria Editrice Ligure, 1897 e Genova, Libreria Editrice Moderna, 1907;ma si veda anche Il materialismo storico e la sociologia generale: prelezioneal corso di sociologia generale dellanno 1902-1903 nellUniversit di Geno-va, Genova, Libreria Editrice Moderna, 1903.

    2 A. Baratono, Sante Ferrari (in memoria), Annuario dellUniversitdegli Studi di Genova, aa. 1939-40, pp. 369-77.

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    i suoi lavori. Quando finalmente decise di completare lasua opera su Pietro dAbano con la pubblicazione di unlavoro sugli scritti astronomici del padovano, si trovspiazzato dalla grande impresa di Pierre Duhem, che erariuscito a scovare un manoscritto ancora sconosciuto e adarne notizia prima di lui. Intanto Roberto Benzoni, do-cente di Filosofia teoretica, diventava preside della Facol-t e si dedicava sempre di pi ai problemi di psicologia edi pedagogia, materia di cui tenne lincarico sino al 1934.Lo aveva sostituito per pochi anni sulla cattedra di teore-tica il mantovano Cesare Ranzoli, che giungeva a Genovadopo un soggiorno siciliano: lo aveva preceduto il suc-cesso editoriale del suo Dizionario di scienze filosofiche,che voleva essere uno strumento chiaro, fruibile dal letto-re medio. E lobiettivo fu evidentemente raggiunto seHoepli lo ha ripubblicato fino al 1963.

    2. Da un fascismo antemarcia a un antifascismo intimisti-co: Giuseppe Rensi

    Larrivo a Genova di Giuseppe Rensi sulla cattedradi Asturaro morto nel 1917 non pu essere consideratoun fatto di routine, data la statura culturale e politica delpersonaggio. Il 20 novembre 1918 data della prolusioneal primo corso di Filosofia morale, dedicato significativa-mente alla scepsi estetica e quindi volto a demolire lebasi della filosofia dello spirito crociana Rensi potevaessere considerato una delle figure emergenti della culturaitaliana. La sua biografia intellettuale era di tutto rispetto.Avvocato e autore di pregevoli monografie di filosofia deldiritto, era noto a livello internazionale per essere statoper anni caporedattore di una rivista come Coenobium,nella quale aveva lasciato limpronta del suo anticlericali-smo e del suo ateismo radicale. Era autore di importantisaggi sulla nozione e la pratica della democrazia3 e, in

    3 Cfr. G. Rensi, Una Repubblica Italiana: il Canton Ticino, Critica so-ciale, Milano, 1899, ristampato a cura di G. Vigorelli, Locarno, Dad,

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    tempi pi recenti, della pi rigorosa e feroce demolizio-ne della Filosofia della pratica crociana4. Pi significativa,e pi controversa, era la sua figura politica. Socialista,tanto da dover andare in esilio in Svizzera (ove avevasalvato il giovane rivoluzionario Mussolini dallespulsio-ne) per sfuggire alle leggi eccezionali di Pelloux, nel1911 si era schierato con Bissolati a favore della guerradi Libia e nel 14 era divenuto interventista e autorevolecollaboratore de Il Popolo dItalia, rompendo cos siacon il Partito socialista sia con Coenobium.

    Appena arrivato a Genova il nuovo professore di Filo-sofia morale si dedic a unattivit quasi frenetica: undeciso impegno anti-idealistico lo port a elaborare ilsuo pensiero filosofico in volumi quali i Lineamenti difilosofia scettica, La scepsi estetica, lIntroduzione alla sce-psi etica5. Il suo punto di vista finir sempre pi per de-finirsi, in modo inconsueto per la tradizione filosoficaitaliana, nello stesso tempo come una forma di reali-smo (ammissione cio di qualcosa al di fuori e indi-pendente dalla coscienza), di irrazionalismo (la realtultima estranea alla nostra ragione, e quindi, dal puntodi vista della ragione, assurda) e di scetticismo (lanostra ragione non pu in nessun senso pretendere didominare la realt).

    Questo non fu per laspetto pi importante dellat-tivit pubblicistica di Giuseppe Rensi da quando era

    1994, e Gli Anciens Rgimes e la democrazia diretta, Bellinzona, Colom-bi, 1902, in seguito con il titolo La democrazia diretta e con introduzionedi A. Ghisleri, Roma, Libreria Politica Moderna, 1926, ristampato a curadi N. Emery, Milano, Adelphi, 1995.

    4 Ci riferiamo a La Trascendenza. Studio sul problema morale, Torino,Bocca, 1914, testo nel quale peraltro, come di costume, Croce veniva appe-na citato. Il rapporto fra Rensi e Croce si deterior progressivamente fra il1912 (momento della massima consonanza, testimoniata dalla pubblicazio-ne, da parte della casa editrice Laterza, del volume rensiano Il genio eticoe altri saggi) e il 1920, quando Rensi pubblic le Polemiche antidogmatiche(Bologna, Zanichelli), che conteneva un violento attacco sia a Croce sia aGentile.

    5 Editi i primi due volumi a Bologna da Zanichelli nel 1919 e laltro aNapoli, Perrella, 1921.

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    divenuto, per lo meno accademicamente, genovese:nel 1920 uscir infatti, a Palermo e non a Genova, ilsuo pi importante contributo al pensiero politico, quel-la Filosofia dellautorit che molti Garin e Bobbiocompresi finiranno per considerare una specie di ma-nifesto ideologico del fascismo. Lo scopo principale del-lopera quello di distruggere il fondamento contrattua-listico delle liberal-democrazie: lidea rousseauiana ekantiana di volont generale. Per Rensi non veroche, stabilita nei modi prescritti e proceduralmente cor-retti, essa rappresenti laffermazione di una forma supe-riore di razionalit. Non nemmeno vero che obbeden-dole non subiamo in realt nessuna costrizione, perch,per dirla alla maniera kantiana, semplicemente sottomet-tiamo il nostro io empirico al nostro vero io noumenico,che ci impone di obbedire alla ragione e alla sua uni-versalit. La critica di Rensi si fonda su due presuppo-sti. Il primo connesso alla sua filosofia dellassurdo:non esistono una sola ragione e una sola universalit,ma tante ragioni e tante universalit quante sono le voli-zioni e le pulsioni individuali, che si frantumano e simoltiplicano anche allinterno di ciascun individuo. Laragione solamente uno strumento di astrazione e diuniversalizzazione dei nostri obiettivi. Lapplicazionedella ragione come strumento per la soluzione dei con-flitti fra individui o gruppi di individui perci ineffi-cace, se non dannosa: il solo risultato che si pu otte-nere quello di trasformare qualsiasi conflitto in unaguerra di religione fra valori universali o universalizzabi-li. Molto pi interessante il secondo presupposto: au-torit e libert sono realt antinomiche che si contrap-pongono nettamente. Non possibile proclamarsi liberimentre in realt si obbedisce: dove comincia lautoritfinisce la nostra autonomia sia sul piano morale sia suquello giuridico.

    La conseguenza immediata che Rensi ne trae non molto libertaria, anche se, anni dopo, col senno di poi,gli baster aggiungere una postilla interpretativa di po-che righe per rovesciare completamente in senso liberale

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    il suo discorso6. Solo un forte principio di autorit pudirimere i conflitti, e a questa autorit si deve obbedirenon perch sia buona o razionale ma perch lautoritstabilita; per di pi non esiste neppure un modo razio-nale per decidere chi debba esercitarla. Insomma unmanifesto a uso del Cromwell o dellAugusto di turno per ricorrere ai paragoni allora pi in voga cui sisarebbe comunque dovuto concedere lonere e lonoredi ripristinare unordinata vita sociale.

    Limpressione si rafforza ma nello stesso tempostranamente si stempera se si esaminano gli interventipi direttamente politici di questo periodo, che Rensi haraccolti nei Principi di politica impopolare e in Teoria epratica della reazione politica7: il punto di discrimine po-trebbe essere il 5 dicembre 1919, quando nella Rivistadi Milano Rensi pubblic la prima parte delle Conside-razioni reazionarie8. In questo lungo articolo egli non silimitava a criticare la demagogia rivoluzionaria del mas-simalismo socialista che i leader riformisti come Tura-ti, cui il primo dei volumi sopra citati era ancora dedi-cato, non riuscivano a contrastare e la colpevole iner-zia della borghesia italiana di fronte a coloro che inten-devano espropriarla del proprio potere politico ed eco-nomico, ma attaccava la libert di stampa, cio uno deifondamenti dello stato liberale moderno, dichiarandoconcluso il ciclo delle democrazie liberali, necessaria-mente giunte alla distruzione di se stesse. Il testo pisignificativo della particolarit e dei limiti dello spiritoreazionario rensiano per Onore al crumiro9 del 1921,unesaltazione del crumiro visto come il moderno eroedellindividualismo contro la massificazione, propriocome lo scioperante di un decennio prima. Da una par-

    6 Cfr. G. Rensi, Autobiografia intellettuale, Milano, Corbaccio, 1939, ri-stampato a cura di R. Chiarenza, Milano, DallOglio, 1989, p. 29.

    7 Editi rispettivamente a Bologna, Zanichelli, 1920 e a Milano, LaStampa Commerciale, 1922.

    8 Poi in Principi di politica impopolare, cit., pp. 87-124.9 Cfr. G. Rensi, Teoria e pratica della reazione politica, cit., pp. 133-38.

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    te, quindi, egli esaltava lindividualismo borghese, dal-laltra la monarchia e lunico modello autoctono di regi-me politico che abbia avuto successo in Italia, la repub-blica di Venezia con il suo Consiglio dei Dieci e il ri-spetto rigido della maest delle leggi.

    immaginabile10 che dal 1919 al 26 Rensi abbiacondotto una lotta per laffermazione della sua idea diun fascismo capace di fare i conti con il Critone plato-nico11, quindi poco adatta alla stabilizzazione di un regi-me totalitario. La battaglia risult definitivamente persaquando dopo anni di leale collaborazione Il Popo-lo dItalia gli rifiut il diritto di rispondere su un pia-no di parit a un violento attacco di Giovanni Gentile12.Il fatto che il Cromwell di turno aveva finito per nongradire lapologia rensiana della sua funzione, o avevatrovato un migliore apologeta in Giovanni Gentile, cheera anche in grado di spiegare che questobbedienzarappresentava il culmine della razionalit della storia.

    Il punto di arrivo teoretico della vicenda fu Autorite libert. Le colpe della filosofia (1926), sintetico ed effi-cace riassunto della Filosofia dellautorit, ma anche esoprattutto lucido tentativo di ricostruire, sulla base didue identit contrapposte, lintera filosofia politica mo-derna. Alla cosiddetta filosofia della libert dellideali-smo, destinata a sfociare nella tirannide, proprio per lapretesa di inglobare nella supposta universalit della ra-gione tutte le differenze e le alterit, Rensi contrappone-va una realistica filosofia dellautorit, che dal riconosci-mento dellirriducibile pluralismo delle ragioni degli in-dividui traeva la liberale consapevolezza della necessitdi imporre il meno possibile, e di sottrarre comunquealla sfera dellimposizione pi ambiti possibili ad

    10 Questa almeno la tesi di M. Veneziani, di cui citiamo solo Rensi,linattualismo e il fascismo, in Linquieto esistere, Atti del Convegno su Giu-seppe Rensi nel cinquantenario della morte (1941-1991), a cura di R. Chia-renza et al., Genova, Edizioni Effeemmeenne, 1993, pp. 102-10.

    11 Cfr. G. Rensi, Il Critone (critiche ai fascisti) e Il Critone e i fa-scisti, in Teoria e pratica della reazione politica, cit., pp. 176-83 e 184-90.

    12 Cfr. Il Popolo dItalia, 14 aprile 1926.

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    esempio quello religioso. Era la definitiva consumazionedi unillusione, ma non unadesione acritica allantifasci-smo, perch implicava laccettazione della democrazianon come valore, ma solo come il metodo pi indoloredi prendere decisioni collettive13.

    Il seguito noto e rientra nella storia della resistenzagenovese: un primo arresto nel 27 e una prima sospen-sione dallinsegnamento; una seconda detenzione nel 30,che coinvolse anche la moglie e da cui Rensi riusc auscire con lespediente del falso necrologio14, seguita daun tranquillo e brevissimo confino a Levanto; infinelesclusione dallinsegnamento e il definitivo confinodentro la biblioteca universitaria, lontano dal pubblico.Quanto sia stata improvvisa e traumatica la fine dellasua possibilit di contare nellambiente accademico dellacitt ha ricordato pubblicamente, nel convegno rensianodel 1991, lultimo suo allievo, Alessandro Fersen: egli, almomento di discutere la tesi di laurea, LUniverso comegiuoco, non pi con Rensi, ma con Giovanni EmanueleBari, allievo di Martinetti appena designato a sostituireil reprobo Rensi, non solo rischi di non laurearsi,ma, accusato in piena commissione di laurea di averpresentato un elaborato immorale e eversivo, avrebbe ri-schiato addirittura larresto se altri membri della com-missione non fossero riusciti a rabbonire il relatore.Mentre non ci sono tracce di una particolare incidenzadel Rensi ideologo del fascismo sulla citt, non si pudire la stessa cosa per la sua vita semiclaustrale dentro

    13 Come ha messo in evidenza Dino Cofrancesco, se il fascismo diRensi non era stato quello tipico, neppure sarebbe stato tipico il suo anti-fascismo: cfr. Giuseppe Rensi dinanzi al fascismo, in Linquieto esistere, cit.,pp. 96-101, ora in D. Cofrancesco, Intellettuali e potere. Capitoli di storiadella cultura italiana del Novecento, Genova, Name, 1999, pp. 179-85.Uninterpretazione analoga ha dato A. Santucci, Un irregolare: GiuseppeRensi, in Eredi del positivismo. Ricerche sulla filosofia italiana fra 800 e900, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 271-310.

    14 Oppure, secondo una versione parallela, attraverso una rete di in-fluenze amicali, capaci di influire sul capo della polizia: cfr. L.M. De Ber-nardis, Lamico di casa, in Linquieto esistere, cit., pp. 199-200.

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    la biblioteca universitaria, nonch per i suoi ricevimentidomenicali nella casa di via Palestro, che divenne unodei centri di resistenza culturale al regime. molto dif-ficilmente calcolabile linfluenza sullintelligentsia geno-vese, mediata da circoli sempre pi grandi, di questocenobita laico che poteva usare della sua auctoritassolo attraverso i frequentatori del suo parco salotto edelle sale interne della biblioteca universitaria. La suaattivit di autore raggiunse il culmine metafisico conIl materialismo critico15, un originale tentativo di letturamaterialistica della critica della ragion pura kantiana, ov-viamente sempre in funzione anti-idealistica16; quindi siconcentr sullo studio del problema morale, che porteral postumo La morale come pazzia (1942), il pi rigoro-so tentativo italiano prima della scuola analitica nord-occidentale di costruire una meta-etica rigorosamenteemotivista.

    La scoperta o riscoperta del Rensi cenobita fu perlaforisma. La resistenza rensiana si concret infatti inuna serie di volumetti da meditazione (Schegge, Cicute,Scol17) pagine di diario secondo la sua definizione, voltia raccontare e riraccontare in infiniti modi il montalianomale di vivere, che rappresentano una specie di lette-ratura civile ipercondensata, per lettori naturalmenteportati a sentirsi eletti perch e finch si riconoscevanoin essi. Lultimo e il pi riuscito, le Lettere spirituali, in

    15 Uscito in prima edizione a Milano, Casa Ed. Sociale, 1927 e, am-pliato, a Roma, Casa del Libro, 1934.

    16 Il tentativo ebbe un certo successo, tanto da suscitare interesse eapprezzamento presso la fronda antiattualista interna al partito fascista:cfr. N. Emery, Il materiale epistolare rensiano, in Linquieto esistere, cit., p.244.

    17 Lelenco completo per molto pi ampio: Schegge (pagine di undiario intimo), Rieti, Bibliotheca ed., 1930; Cicute (dal diario di un filosofo),Todi, Atanr, 1931; Impronte (pagine di diario), Genova, Libreria EditriceItalia, 1931; Sguardi (pagine di diario), Roma, La Laziale, 1932; Scol (pagi-ne di diario), Torino, Montes, 1934; Frammenti di una Filosofia dellErroree del Dolore, del Male e della Morte, Modena, Guanda, 1937. E infine leLettere spirituali raccolte in volume solo dopo la morte di Rensi, Milano,Bocca, 1943; ristampate a cura di R. Chiarenza, Milano, Adelphi, 1987.

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    cui i temi religiosi giovanili si fondevano felicementecon lo scetticismo metafisico e lemotivismo etico, ebbeuna diffusione meno criptica, anche se probabilmentenon meno fortunosa, visto che apparve, a puntate, nellarivista Religio di Buonaiuti la cui sopravvivenza erasempre a rischio. Era questo, a quanto pare, lultimo le-game con la cultura nazionale rimasto a Rensi.

    Un solo professore, in qualche modo legato a lui, do-veva sopravvivere nelluniversit genovese: Alfredo Pog-gi, che di Rensi non era stato allievo, ma certo fu pertutta la vita amico. Laureato in giurisprudenza e in filo-sofia, libero docente di Pedagogia dal 1926, Poggi inse-gnava storia e filosofia in un prestigioso liceo cittadino enon ottenne mai una cattedra per la sua palese opposi-zione al regime. Anche lui esiliato, negli anni della ditta-tura, nel centro bibliografico della biblioteca universita-ria genovese, inventore di un socialismo kantiano poi ri-preso da Adelchi Baratono, Poggi il pi genovese anche se era nato a Sarzana tra i filosofi dellateneo;ma riusc a entrarvi, con un incarico di Storia della filo-sofia nella Facolt di Magistero, solo nel dopoguerra18.Altrettanto accadde al giurista Paolo Rossi, autore nel32 di un coraggioso pamphlet sulla pena di morte. Assi-duo frequentatore del salotto rensiano, costituisce conPoggi un versante della cultura genovese impegnato po-liticamente nella lotta al fascismo: solo negli anni 50ebbe la cattedra di Diritto penale e divenne in anni pitardi, dopo una brillante carriera politica, presidentedella Corte costituzionale.

    Poggi mirava a costruire una filosofia della persona edella libert che potesse porsi come alternativa allattua-lismo dominante. Ne La filosofia come scienza del vivere

    18 Quello di Poggi forse un caso particolare, e la sua figura avrebbeavuto un maggiore risalto anche a livello nazionale se per lunghi anni nonfosse stato costretto al silenzio o a pubblicare solo su riviste, peraltro diprestigio, come Logos o la Rivista di filosofia. In anni precedenti erastato presente nelle collane delleditore Formiggini con Socialismo e religio-ne, 1911. Sulleditore cfr. A. Santucci, La cultura filosofica nelle edizioniFormiggini, in Eredi del positivismo, cit., pp. 311-48.

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    costruiva un personalismo laico, profondamente imbevu-to di kantismo e fiducioso nelle possibilit della ragionedi coordinare fini individuali e sociali19. Questo testo,che rielaborava una stesura risalente al 30, pot esserepubblicato solo nel 1948 nella modesta versione di rac-colta di lezioni dellanno accademico precedente. Era ilprimo volume di una trilogia20 dedicata alla definizionedel personalismo di matrice kantiana elaborato da Poggicon un intento profondamente educativo nei confrontidei giovani della nuova Italia, in contrapposizione allefilosofie della crisi. Poggi mirava a rivendicare lautono-mia della sua posizione rispetto al personalismo france-se, il cui manifesto (del 1936) risultava posteriore allasua prima elaborazione. Nelle sue opere la persona inserita in una societ, dalla famiglia alle associazioniallo stato nazionale fino allauspicato stato federale euro-peo. Negli anni in cui Michele Federico Sciacca costrui-va il suo feudo nella facolt di Lettere, nelle aule delMagistero si ascoltava cos una voce laica, mirante alladifesa della libert di coscienza e delleguaglianza deicittadini di fronte alla legge, senza primati di sorta. Ep-pure qua e l curiosamente nelle sue pagine si leggelaperto rammarico davanti ai rischi della diseducazionegiovanile dovuta al malcostume dominante: invece delleitaliche cose di buon gusto i giovani seguono le modestraniere, amano il cinematografo, i polizieschi e il boo-gie woogie, danza lasciva quantaltra mai! Un anti-ameri-canismo depoca che, unito alla critica al macchini-smo, sarebbe potuto diventare la consueta critica allasociet borghese; ma il pensiero di Poggi, seppure sordoalle voci delle avanguardie artistiche, non soggiaceva a

    19 Il saggio era originariamente intitolato Educazione delluomo nuovo eaveva vinto nel 1930 il premio ministeriale per la filosofia dellAccademiadei Lincei, ma non fu pubblicato per le posizioni politiche dellautore, chegi nel 1924 era stato ammonito e trasferito dufficio a Cuneo e nel 33esonerato definitivamente dallinsegnamento.

    20 Oltre a La filosofia come scienza del vivere sociale si vedano Luomocome persona, Genova, L.U.P.A., 1949, e Persona e societ, Genova, Libre-ria M. Bozzi, 1950.

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    nessun conformismo di chiesa, di stato e tanto meno dipartito e coltivava lideale di una societ ordinata e giu-sta, ma il pi possibile libera.

    3. Il ritorno di un esteta: Adelchi Baratono

    Adelchi Baratono, nonostante la sua origine fiorenti-na, pu essere considerato profondamente e autentica-mente radicato nella vita della citt. Nato nel 1875, in-serito ancora studente insieme al fratello nellallora vita-lissimo mondo culturale genovese, allievo di due numicome Asturaro e Morselli, attivo fin da ragazzo nellavita dei circoli operai genovesi, fu uno dei dissenzien-ti della fondazione del Partito socialista italiano avve-nuta a Genova nel 1892 (era contrario allesclusione de-gli anarchici, perch contraria era la base)21. Cionono-stante il suo ritorno nel 37, dopo unassenza pi chedecennale, sulla cattedra di Filosofia teoretica non fu ilpunto di arrivo di una tranquilla carriera universitaria.Alla base di questa sta la mancata successione ad Astu-raro, che ha spezzato in due la sua presenza nella realtgenovese. La parte della sua carriera pi creativa sulpiano intellettuale e pi proficua sul piano accademicosi svolse fuori Genova, prima a Cagliari e poi a Milano,dove furono suoi allievi Dino Formaggio e Luciano An-ceschi. Quando nel 1918 Giuseppe Rensi arriv a Geno-va, come successore di Asturaro, Baratono non era certopi semplicemente un giovane studioso di belle speran-ze: era autore di una Sociologia estetica22 di ispirazioneasturariana, di un congruo numero di studi psicologiciderivati dallinsegnamento di Morselli e di due tentativioriginali di costruire una filosofia della psicologia, i Fon-damenti di psicologia sperimentale del 1906 e la Psicolo-

    21 Per quanto riguarda latteggiamento e i comportamenti politici diBaratono facciamo riferimento soprattutto a U. Silva, Il socialismo storicodi Adelchi Baratono, La Riviera Ligure, VIII, nn. 24-25, pp. 147-61.

    22 A. Baratono, Sociologia estetica, Civitanova, Ed. Marchigiana, 1899.

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    gia sintetica del 191123. Aveva anche pubblicato un volu-me di scritti pedagogici24 frutto dellinsegnamento nellascuola di specializzazione per maestri che Benzoni avevaappena fondato; e in occasione dellattribuzione di quel-linsegnamento era riuscito ad avere la meglio su padreGiovanni Semeria, di lontana origine lombarda, ma figuraimportante nel mondo cattolico genovese dei primi annidel Novecento. Nel corso della guerra si era impegnato atentare una sintesi dei suoi molteplici interessi intellettua-li: ne era nato Critica e pedagogia dei valori25, pubblicatonel 1919, dopo che la cattedra di Asturaro era gi stataassegnata. Lidea che sta a base dellopera, rigorosamentedivisionista, che i valori, tutti i valori anche ilvero e il bello sono essenzialmente espressione diun dover essere; lintera attivit umana dominata dauna specie di kantiano primato della ragion pratica. Lim-pianto dellopera per complicato dalla presenza di unaforte esigenza pedagogica: il primato della ragion pratica,come Baratono lo concepisce, implica una specie di iden-tificazione fra attivit teoretica e attivit pedagogica. Se ilconoscere un modo di realizzazione di un dover essere,insegnare a conoscere lo , a maggior ragione, ancora dipi; anzi riflettere sul conoscere e insegnare a conosceresono in ultima analisi la stessa cosa. Era un tentativo dicombattere lattualismo gentiliano sul suo stesso terreno: igentiliani doc come Ugo Spirito e Vito Fazio-Allmayer lointesero perfettamente26, tanto da aprire contro questo li-bro un vero e proprio fuoco di sbarramento.

    Si apr a questo punto una parentesi essenziale nellabiografia di Adelchi Baratono: per alcuni anni, dalla fine

    23 A. Baratono, Fondamenti di psicologia sperimentale, Torino, Bocca,1906 e Psicologia sintetica, Genova, Casa ed. Stenografica, 1911.

    24 A. Baratono, Discorsi sulleducazione, Genova, Libreria Editrice Mo-derna, 1914.

    25 A. Baratono, Critica e pedagogia dei valori, Palermo, Sandron, 1919.26 La recensione di Ugo Spirito (1921) ristampata in Lidealismo ita-

    liano e i suoi critici, Firenze, Le Monnier, 1930, pp. 130-41. Per quanto ri-guarda Fazio-Allmayer cfr. Giornale critico della filosofia italiana, I,1920, pp. 442-47.

  • Mirella Pasini e Daniele Rolando232

    della guerra al consumarsi dellAventino, limpegnopolitico divenne per lui predominante. Baratono fu nonsolamente un intellettuale di professione ma il filosofodella direzione del partito, secondo la (non si sa quan-to benevolmente ironica) definizione di Turati. Venutameno ogni possibilit di azione politica, ecco Baratonorientrare nel mondo accademico. Vince finalmente a Ca-gliari la cattedra di Filosofia e infine vero capolavorodi diplomazia accademica che gli coster laccusa dirinnegato dallintransigente Carlo Rosselli27 succedea Martinetti a Milano, dopo che questi era stato radiatodallinsegnamento per essersi rifiutato di giurare fedeltal regime fascista, su proposta dello stesso Martinettiche lo aveva scelto come sostituto28. Il Baratono salitoin cattedra a Milano non solo era enormemente diversodal Baratono allievo di Asturaro e Morselli, ma era an-che diverso dal dualista neokantiano di Critica e pedago-gia dei valori: prendendo alla lettera le obiezioni dei cri-tici gentiliani, aveva infatti deciso di non esser pi dua-lista. Il mondo sensibile, uscito nel 34, insieme con unaserie di saggi di storia della filosofia29, rappresenta pro-babilmente il frutto pi maturo del suo pensiero. I pri-mi cinque capitoli de Il mondo sensibile sono rivolti adifendere la dignit filosofica del suo oggetto e a spiega-re la sua conversione da Kant a Hegel: da un autoreper cui il valore vale per le esistenze; diviene pensieroreale in quanto si applica ai contenuti fenomenici a unaltro per il quale i valori valgono in quanto reali esono reali in quanto valori del divenire fenomenico30.Gli ultimi due capitoli, con una almeno apparente inver-sione di rotta, riprendono le conclusioni della Critica delgiudizio. Conclusione paradossale: non esiste altro valo-

    27 Cfr. Quaderni di Giustizia e libert, 1932, p. 96.28 Questa per lo meno la tesi sostenuta da F. Scrivano in Baratono e

    lestetica, La Riviera Ligure, VIII, nn. 24-25, p. 47, idealizzando proba-bilmente almeno un poco la situazione.

    29 A. Baratono, Filosofia in margine, Roma, Albrighi e Segati, 1930.30 A. Baratono, Il mondo sensibile, Messina, Principato, 1934, p. 213.

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    re che il bello, che vale in quanto sensibile e perciprova empiricamente la possibilit dei valori trascenden-tali e ce li presenta31.

    Nel 37 faceva cos ritorno a Genova per insegnareFilosofia teoretica uno studioso dagli interessi profonda-mente mutati, ben deciso a lasciar perdere etica e politi-ca torner a occuparsene solamente alla vigilia dellamorte, nel clima della liberazione, affrontando di nuovoil tema della corretta interpretazione della filosofiamarxiana32 per occuparsi in chiave decisamente anti-crociana del rapporto fra arte e filosofia. significati-vo il fatto che loperazione culturale pi importantedel secondo periodo genovese sia stata a parteunimportante monografia su Hume il volume Filoso-fia e poesia, uscito nel 1945 dopo un lungo silenzio33. questo un testo che probabilmente mantiene un cer-to fascino, anche per il pi smaliziato lettore di oggi,proprio per la duplicit della sua struttura. Lopera,costruita su due piani, in primo luogo un trattato diestetica programmaticamente scritto a rovescio, almenosecondo Baratono, rispetto alle filosofie dellarte coeve,che tendevano a partire dalle singole arti per arrivarealla fantasia creatrice: un testo che parte dalla fan-tasia creatrice per arrivare alle tecniche specifiche dellesingole arti. un trattato di estetica, quindi, che tendea assomigliare il pi possibile a un trattato di stilistica,ma anche la soluzione di un problema teoretico, anzidel problema teoretico per eccellenza, quello del valo-re. La sua idea che, essendo larte produzione di va-lori allinterno della dimensione sensibile, tra metafisicaed estetica esiste una specie di circolo virtuoso: lesteti-ca fornisce lunica possibilit di dare concretezza al

    31 A. Baratono, Il mondo sensibile, cit., p. 267.32 Cfr. Le due facce di Carlo Marx, a cura di G. Dagnino, Genova, Di

    Stefano, 1946.33 A parte la cura di unantologia di poesie di Verlaine (Liriche scelte,

    Milano, Denti, 1946) e La mia grammatica, Firenze, Sansoni, 1942, interes-sante intrusione nello studio del linguaggio.

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    problema del valore, mentre la metafisica permette didare il necessario spessore alle ricerche estetiche: il bel-lo esiste, il solo valore che esista, dato con le qualitsensibili34.

    Da questo punto di vista laspetto pi interessantedel discorso sta nella rivalutazione programmaticamen-te anti-crociana del bello naturale, prova dellunitmetafisica di essere e valore ch lultima meta della fi-losofia. Lesempio che Baratono fa intenzionalmentebanale: quando il classico uomo della strada osservan-do il cielo pieno di nubi, dice che brutta giornata,denuncia semplicemente la discrepanza fra la situazionepresente e il valore, sia pure solo atmosferico, a cuiaspira. Se interviene un secondo interlocutore artistaa dire che bel temporale, non fa altro che mettere traparentesi gli obiettivi e le attese del primo interlocutore,concentrando la sua attenzione disinteressatamente sulleluci e sui colori del cielo. Se poi intervenisse un terzointerlocutore poeta e artista assieme, potrebbe affer-mare che bel brutto tempo, mettendo insieme lacontemplazione estetica disinteressata del fatto fisicocon la contemplazione disinteressata del dolore, del-lansia, del timore che il primo interlocutore ha prova-to di fronte a esso. La differenza fra bello di natura ebello artistico sta semplicemente nel fatto che la situa-zione nel caso in questione il temporale invece diessere data viene artificialmente costruita, senza cheper ci comporti un salto qualitativo dal punto di vistadellemozione estetica.

    Non meno interessanti sono Il mio paradosso e Locca-sionalismo sensista35, due tentativi di ricostruire, conmolta libert, la propria biografia intellettuale e di defi-nire la propria posizione attraverso linvenzione di unimprobabile occasionalismo sensista: testimonianza

    34 A. Baratono, Filosofia e poesia, cit., p. 12.35 Rispettivamente in Concetto e programma dei filosofi doggi, a cura

    di A. Guzzo, Milano, Bocca, 1941, pp. 227-51, e in Filosofi italiani contem-poranei, a cura di M.F. Sciacca, Como, Marzorati, 1944, pp. 104-41.

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    nello stesso tempo delloriginalit della posizione barato-niana, ma soprattutto del suo isolamento nel panoramaculturale che si andava delineando nei primi anni del do-poguerra, lontano anche da quella scuola banfiana concui Baratono aveva collaborato a Milano. La liberazionelaveva fatto rientrare nel gioco politico e aveva accre-sciuto il suo potere accademico, tanto che gli vennedato lincarico di ricostruire la scuola di specializzazioneper maestri divenuta poi lattuale Magistero, la cuiaula magna non a caso a lui dedicata. Ma neppurequesto valse a reinserirlo nel gioco accademico: si-gnificativo il fatto che a Genova Baratono lasci soloun successore, Andrea Galimberti, il cui incarico diFilosofia morale si riveler ben presto precario. Stra-na figura di cattolico neoilluminista aveva firmatoil manifesto del movimento nel 1953 , nel corso delsuccessivo regime sciacchiano fu confinato per quasitutta la vita su un incarico di Pedagogia, per vincerefinalmente una cattedra di Storia della filosofia soloal momento di andare in pensione.

    4. Un cattolicesimo militante: Michele Federico Sciacca

    Pochi filosofi italiani si sono premurati di raccogliere,fase per fase, tutta la loro produzione intellettuale incorposi volumi e di dare una specifica etichetta a ognifase come fece Michele Federico Sciacca. Al momentodel suo arrivo a Genova sulla cattedra di Filosofia teo-retica Sciacca stava uscendo dallo spiritualismo cristia-no per entrare nella filosofia dellintegralit.

    Nato a Giarre in Sicilia, egocentrico studente a Na-poli dallintensa vita non solo di studio, allievo gentilia-no di Aliotta (come egli stesso si descrive), implacabilenemico non solo della filosofia crociana che sostanzial-mente accusava di essere una forma di positivismo emarxismo camuffati ma anche e soprattutto del mo-dello di intellettuale che Croce impersonava, Sciaccaaveva pubblicato nel 1934 un articolo dallimpegnativo

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    titolo La crisi dellidealismo36, cui aveva fatto seguito ilvolume Linee di uno spiritualismo critico, uscito nel 36con una benedicente prefazione di Aliotta. In parallelo,nel 1937 come egli stesso ha documentato pubblicandopagine del suo diario avveniva la conversione religiosa37che lo colloc in quel ristretto gruppo di intellettuali,neoconvertiti per definizione, per i quali lopzione reli-giosa non semplicemente un avvenimento ma una spe-cie di bandiera. Poco dopo, nel 1938, portato da Ar-mando Carlini, vinceva la cattedra di Storia della filosofiaa Pavia. Punto di partenza del suo itinerario la doman-da quasi classica per uno spiritualista, cristiano o no:dove la consistenza della persona, se essa non pu esse-re fondamento di se stessa, e se Dio non esiste?38. Fuquesta domanda a distaccarlo progressivamente sia dal-lidealismo gentiliano sia dal relativismo di Aliotta e a far-lo approdare al Programma metafisico (con la parola dor-dine: vogliamo rinnovare lo spiritualismo, non nelle sueformule morte, ma nella sua vita feconda) apparso suLogos39, la rivista di Aliotta di cui Sciacca era divenutocaporedattore dopo Abbagnano, chiamato a insegnare aTorino. Questo saggio fin per rappresentare il manifestodel nuovo orientamento filosofico. Suoi compagni di stra-da erano Augusto Guzzo e Armando Carlini, dalla cuiposizione speculativa, per, Sciacca dir successivamentedi essersi sempre differenziato, non potendo pi accetta-re, una volta uscito dallattualismo, nessuna forma ditrascendentalismo di matrice kantiana o hegeliana.

    Determinante per favorire il passaggio dallo spiritua-lismo critico allo spiritualismo cristiano fu il rappor-

    36 Pubblicato originariamente in Ricerche filosofiche, 1934, pp. 1-19;poi riprodotto parzialmente in Dallattualismo allo spiritualismo critico, Mi-lano, Marzorati, 1961, pp. 103-17.

    37 Per queste notizie ci rifacciamo alla sua agile autobiografia La clessi-dra. Il mio itinerario a Cristo, (1 edizione Torino, S.E.I., 1945), Milano,Marzorati, 6 edizione, 1966, e, per quanto riguarda la conversione, alleNote di diario pubblicate in appendice.

    38 M.F. Sciacca, La clessidra, cit., p. 106.39 Ora in Dallattualismo allo spiritualismo critico, cit., pp. 425-26.

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    to con Gentile. Fu questultimo a spingerlo, pare con-trovoglia, a riscoprire Rosmini, affidandogli fin dal 35la riedizione dei Principi della scienza morale e della Sto-ria comparativa e critica dei sistemi intorno al principiodella morale40. Ne usc uninterpretazione realistica,completamente opposta a quella classica gentiliana di unRosmini visto come il nostro molto provinciale Kant.Altro incontro fondamentale fu quello con la filosofiablondeliana, il cui influsso fin per sopravanzare anchequello rosminiano41. In questa fase, per lui ancora irri-mediabilmente troppo laica, critica filosofica e opzionereligiosa rimanevano decisamente separate, anche seSciacca ne affermava la non reciproca esclusione, vistoche la filosofia non poteva far altro che riconoscere isuoi limiti nei confronti del piano superiore religioso. Inquesto periodo (che coincide sostanzialmente con linse-gnamento pavese) si colloca unattivit culturale quanti-tativamente enorme e scandita da una serie di operazio-ni di recupero culturale particolarmente rilevanti, alme-no dal punto di vista di un mondo cattolico in cui ilgiuramento antimodernista era ancora la norma, in cuivaleva ancora lindice dei libri proibiti e in cui la messaera ancora in latino. In primo luogo la riscoperta, inpolemica con Gentile, della filosofia rosminiana come fi-losofia non eterodossa, di cui testimonianza il volumeInterpretazioni rosminiane42: si tratta forse del maggiormerito di Sciacca che gli valso, com noto, lambitopremio di venire sepolto con tutti gli onori a Stresa nelCentro di studi rosminiani. Connessa alla riscoperta diRosmini una rilettura del Risorgimento e della sua fi-losofia in chiave non programmaticamente anti-cattoli-

    40 A. Rosmini, Principi della scienza morale, Firenze, Sansoni, 1936 eStoria comparativa e critica dei sistemi intorno al principio della morale, Fi-renze, Sansoni, 1937.

    41 Gli scritti che Sciacca ha dedicato a Blondel dal 37 al 61 sono rac-colti in Dialogo con Maurizio Blondel, Milano, Marzorati, 1962.

    42 Ledizione definitiva, pubblicata come al solito da Marzorati, del1958, ma consta di studi elaborati a partire dal 1936.

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    ca43 e la rimessa in circolo del pensiero blondeliano inchiave programmaticamente non modernista. E il succes-so era chiaramente legato alla rigida professione di orto-dossia preconciliare da cui queste operazioni venivanoaccompagnate.

    Nel 1947 arrivava dunque a Genova, per insegnareFilosofia teoretica, un abile organizzatore culturale che,dopo aver codiretto Logos per anni, aveva appenafondato con tre amici unimportante rivista di cultura,Humanitas, e avrebbe fondato presto la sua rivista fi-losofica per definizione Il Giornale di metafisica; ungiovane caposcuola che si portava da Pavia tutti gli al-lievi importanti, colonizzando il corso di laurea in filo-sofia. Ma arrivava anche un uomo profondamente insod-disfatto della sua attivit speculativa e ben deciso a la-sciare una propria specifica orma filosofica: non solo percostituire una scuola, o per travasarvi una sua scuola gibella e fatta, ma anche per completare un suo specificoprogetto speculativo e costruire una filosofia dellintegra-lit che rimediasse ai difetti del semplice spiritualismocristiano. Prima espressione di questo progetto fu il sag-gio Lesistenza di Dio44; seguiranno a breve distanza volu-mi come Linteriorit oggettiva del 51, Luomo questosquilibrato e Atto e essere del 56, Morte e immortalitdel 59 fino a La libert e il tempo del 1965 e oltre.Alla base della nozione di interiorit oggettiva sta unadicotomia radicale: o il nominalismo empiristico, e quin-di la rinuncia a ogni nozione di verit, oppure laccetta-zione di una verit oggettiva fondante, che sola pu ga-rantire la realt spirituale umana. Se luomo spirito, equindi la verit sta in qualche modo dentro di lui, ac-canto alla ragione discorsiva devesserci Rosmini docet unintelligenza intuitiva dellessere: da una parte i con-cetti, dallaltra lidea. A una ragione immanentistica si

    43 Cfr. Il pensiero italiano nellet del Risorgimento, Milano, Vallardi,1948, poi Marzorati, 1963.

    44 M.F. Sciacca, Lesistenza di Dio, Il Giornale di metafisica, 1949, pp.1-19, 93-134, 238-57; ora in Filosofia e metafisica, Milano, Marzorati, 1962.

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    contrappone e si affianca unintelligenza trascendentisti-ca e teistica. C quindi una profondit e vastitdelle strutture della natura umana che la ragione criticanon pu esplorare compiutamente; ed merito delpensiero contemporaneo, contrapposto da Sciacca alpensiero moderno che ha trovato nellattualismo gentilia-no il suo compimento, il mettere in luce limpotenzadella ragione di fronte a esse. ovvio che la metafisicanon sia scienza, se con questo termine si intende unprodotto della ragione discorsiva; ma essa comunquepossibile, se si distingue interiorit da trascendentalit.

    Che cosa aggiunge Luomo questo squilibrato a questoquadro? Non molto a prima vista, dal momento che allabase restava la dicotomia fra ragione discorsiva e intelli-genza intuitiva, esemplificata dallimmagine del soggettocome un porto da cui partono contemporaneamente spe-dizioni allesplorazione dellintero globo terracqueo e pa-lombari a sondare, per quanto possibile, la profonditdel mare. La novit rappresentata dallimpiego di que-sta dicotomia nellanalisi della situazione umana, moltovagamente alla maniera come allora si diceva degliesistenzialisti. Individuo e persona si contrappongono e siintegrano come ragione e intelligenza; la stessa dicotomiasi riproduce a livello sociale o del noi: una cosa lacoscienza collettivistica del noi inferiore, unaltra lacoscienza comunionistica del noi di valore. Manca perancora cosa gravissima per un gentiliano sia pure tran-sfuga e rinnegato un terzo termine, ed ecco Sciaccadare attraverso un ritorno al rosminiano sentimentofondamentale di s in cui coscienza di s e coscienzadellessere coincidono una sua definizione del terminespirito, sintesi concreta di ragione e intelligenza, indivi-duo e persona, ma sintesi affatto singolare, diversa dauomo a uomo, in quanto ciascun uomo entra nel mon-do fornito di un biglietto personale: ha dellessere che qualcosa di personalmente suo45. La scoperta della

    45 M.F. Sciacca, Luomo questo squilibrato. Saggio sulla condizione uma-na (1 ed., Roma, Bocca, 1956), Milano, Marzorati, 5 ed., 1963, p. 132.

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    creaturalit o meglio la scoperta che ciascuno di noipu realizzare la sua autenticit solo riconoscendosicreatura rappresenta il coronamento, insieme filoso-ficamente necessario e religiosamente gratuito, dellanali-si filosofica della natura umana. Significativa era la rica-duta in campo morale: anche qui troviamo la distinzionefra ragione etica e intelligenza morale, donativa, ossiabasata non sulla virt ma sul dono di se stessi agli altri.Da qui linevitabile apertura della morale alla religione.

    Per un verso Sciacca si differenziava quindi dalla neo-scolastica perch rifiutava di pronunciare una condannain blocco del pensiero moderno: questultimo ha resopossibile la scoperta dellinteriorit come qualcosa diqualitativamente distinto dal piano della conoscenzascientifica. Si pensi al rapporto di odio e amore che hasempre collegato Sciacca a Gustavo Bontadini: una stret-ta collaborazione a Gallarate, ma anche una sotterranearivalit nella pretesa di rappresentare il cattolicesimo neitermini pi autentici. Daltra parte, per, la verit meta-fisica del pensiero moderno, se non vuole diventarescientismo e nichilismo, risiede nella scoperta di questainteriorit, e quindi della verit religiosa che le sta die-tro. Da questo punto di vista risulta particolarmente ric-co di significato il convegno rensiano del 196646, forselultimo evento culturale di rilievo dellera di Sciacca.Poteva sembrare una decisione molto liberale di renderomaggio a un grande maestro scomparso e di configura-re, per lo meno a posteriori, lesistenza di una specificascuola filosofica genovese. In realt fu soprattutto sesi tiene presente la relazione pi importante, affidata adAugusto Del Noce il tentativo di inglobare qualsiasiragionamento teoretico, che non voglia ridursi a psicolo-gismo o sociologismo orride parole per Sciacca al-linterno della nozione di interiorit e del suo esito ine-vitabilmente cattolico.

    46 Giuseppe Rensi. Atti della giornata rensiana (30 aprile 1966), a curadi M.F. Sciacca, Milano, Marzorati, 1967.

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    5. Comprimari e vicini di casa

    Finora abbiamo parlato dei protagonisti e dei percor-si talvolta tortuosi delle loro biografie intellettuali. Mol-tissime furono per le figure dei comprimari, studiosianche famosi o giovani agli inizi della carriera, che sifermarono a Genova per pochi anni. Cesare Ranzoli,Giuseppe Emanuele Bari e Ugo Spirito si avvicendaro-no sulla cattedra di Filosofia teoretica nellinterregno traBenzoni e Baratono. Insegnarono invece Filosofia moraledopo lallontanamento di Rensi, ancora Bari, poi Calo-gero Sacheli e Fausto Bongioanni e infine Andrea Ga-limberti, che tenne questo incarico per pi di un decen-nio. Dopo Sante Ferrari non si vide pi uno storicopermanere cos a lungo nella sede genovese: negli anni30 si susseguirono le apparizioni fugaci di Santino Ca-ramella, di Attilio Crespi, di Antonio Banfi, di GiovanniSemprini e di Vincenzo La Via, finch non giunse aGenova con un incarico di Storia della filosofia, dal1938 al 1943 proprio Sciacca. E nellavvicendarsi dicos diversi studiosi risiede forse la ragione banale percui non si costruita a Genova una tradizione stabile diquesta disciplina, anche se a dire il vero non tutte que-ste presenze furono ugualmente brevi e fugaci. Caramel-la, giovanissimo talento filosofico e letterario nella Ge-nova degli anni 20, era genovese, ma si era formato nelrapporto con Gobetti, con Croce, con Lombardo-Radi-ce, al di fuori quindi della cultura della citt. Il suo an-tifascismo gobettiano gli valse la sospensione dallinse-gnamento e larresto (1928); fu poi reintegrato nellinse-gnamento ma a Messina e visse tutta la vita accademicain Sicilia47. Giovanni Semprini, invece, che aveva comin-ciata la sua carriera accademica come assistente di san-scrito a Bologna, assunse lincarico di Storia delle dottri-ne politiche nella vicina Facolt di Giurisprudenza e a

    47 Stefano Verdino ha ricostruito le vicende di quegli anni in La cultu-ra tra le due guerre, in G. Bertone, P. Boero, V. Coletti et al., La letteratu-ra ligure. Il Novecento, Genova, Costa e Nolan, 1988, I, pp. 269-379.

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    Genova svilupp la sua attivit di studioso, in particola-re del pensiero del Rinascimento, diventando genovese atutti gli effetti.

    Ci siamo trovati quasi per caso a varcare i confinidella Facolt di Lettere e a entrare in altri luoghi dovepure si sono maneggiate argomentazioni e tecniche filo-sofiche. I filosofi tout court hanno sempre avuto in cittdegli insigni vicini, i filosofi del diritto: Antonio Falchi,Luigi Bagolini, Giovanni Tarello e Silvana Castignone.La situazione nellambito della filosofia del diritto geno-vese speculare rispetto a quella della filosofia e ba-sta: nessuna figura di gran livello fino al dopoguerra,ma piuttosto le basi per la costruzione di una scuolache gi prima del 68 prometteva di diventare fruttuosadi studi e di ricerche. Falchi domin la filosofia del di-ritto a Genova per tutta la prima met del Novecento eoltre48: egli seppe vivere la crisi della cultura positivistasenza brusche svolte, in un diluirsi del positivismo nellostoricismo positivistico, formula nella quale la sceltadellaggettivo non ripudia le antiche radici49. Del restoanche la sua lettura sociologica delle opere di Vico mo-stra la ricerca di un fondamento fattuale del diritto, deltutto antitetico a quello rensiano, perch basato sullacoscienza comune delle comuni utilit. Nelle vesti del-lo storico delle dottrine politiche o in quelle del sociolo-go del diritto, ma soprattutto come filosofo, Falchi pro-pone ripetutamente un anti-idealismo di fondo: ancheuno dei suoi concetti chiave, lidea dello stato colletti-

    48 Allievo di Icilio Vanni, Falchi aveva iniziato la carriera accademica aPerugia, per poi tornare vincitore di concorso nella natia Sassari; quindiera stato chiamato a Genova nel 1925 (sulla cattedra occupata per un cin-quantennio dal positivista Vittorio Wautrain Cavagnari): docente di Filoso-fia del diritto, fu preside di facolt dal 1928 al 1935 e dal 1946 al 1954,promotore della facolt di Scienze politiche, quindi docente di Sociologiadel diritto.

    49 Da Le esigenze metafisiche della filosofia del diritto e il valore dellapriori, Sassari, Dess, 1910, emerge chiara ladesione a una metodologia in-duttiva, la cui tradizione si pu far risalire a Machiavelli e Vico, ma critica-mente avvertita rispetto al riduzionismo positivista, a cui Falchi non rispar-mia critiche.

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    vit, su cui scrisse per pi di un trentennio50 e che po-trebbe avere una qualche parentela con lo stato etico, invece radicata, non senza oscillazioni verso posizioni piliberali, nel volere unitario e nellobbligatoriet del suoprecetto, in una sorta di comunitarismo ante-litteram.

    Con larrivo di Luigi Bagolini, ordinario di Filosofiadel diritto dal 1954 al 1964, qualcosa cambi: giungevauno studioso di unaltra generazione, per cui il positivi-smo era decisamente il passato. Bagolini aveva studiatoAristotele, ma mostrava interesse verso il neopositivi-smo51 e verso gli empiristi inglesi. Impegnato nella ricer-ca del fondamento del diritto, non ne dava n una spie-gazione razionale n radicalmente emotivista, perchpensava di trovare in Hume e in Smith i margini peruna nozione di giustizia che mettesse ordine tra le di-verse opzioni individuali; era inoltre sensibile alle tema-tiche di Bergson e di Scheler e attento alla nuova filoso-fia del dialogo.

    Quando nel 1957 Tarello e la sua compagna di studiSilvana Castignone divennero assistenti di Filosofia deldiritto, la loro ribellione alla filosofia del diritto dei filo-sofi, per una filosofia del diritto dei giuristi aveva certa-mente a modello la scuola analitica nord-occidentale,ma aveva anche radici pi vicine, nella scuola di dirittogenovese, come dimostrer il loro modo particolarmenteavvertito di essere analitici senza perdere di vista la di-mensione storica e sociale del diritto. Lattenzione diTarello per lo sviluppo della cultura giuridica, alla qualededic la Storia della cultura giuridica moderna52 e lim-presa dei Materiali53, ne una prova evidente. Sicura-

    50 Si vedano gli scritti raccolti ne Lo stato collettivit. Saggi, Milano,Giuffr, 1963, da I fini dello Stato e la funzione del potere, Sassari, Dess,1913, a Volont statuale e coscienza giuridica, fino ad allora inedito.

    51 L. Bagolini, Giudizi di valore e neopositivismo [1954], poi in Visionidella giustizia e senso comune, Bologna, Il Mulino, 1968.

    52 G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. I. Assolutismo ecodificazione dei diritto, Bologna, Il Mulino, 1976.

    53 I Materiali per una storia della cultura giuridica raccolti da Gio-vanni Tarello, che presero vita nel 1971, erano e sono editi a Bologna

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    mente questo atteggiamento non trovava consonanzenelle vicine aule della Facolt di Lettere e filosofia. Ne-gli anni 50, mentre Sciacca costruiva la sua filosofiadellintegralit, un giovanissimo Tarello partecipava at-tivamente alla vita della Societ di cultura, unesperienzalaica, in evidente contrasto con la possibile o auspicata(da Sciacca) egemonia cattolica sulla cultura cittadina.Come voci cos dissonanti avrebbero potuto accordarsinellambiente accademico?

    Del resto, nonostante le connessioni possibili in qual-che momento (Rensi, dopo tutto, si era laureato in giu-risprudenza e aveva insegnato Filosofia del diritto, anchese non negli anni genovesi), i due ambienti erano rima-sti sempre separati. Ancora in anni recenti si avvertivauna sorta di reciproca diffidenza: i filosofi tendevano astabilire una gerarchia tra filosofie e filosofie di e i filo-sofi del diritto a giudicare irrimediabilmente come unesercizio di retorica qualsiasi filosofia non tecnicamenteavvertita. ben vero che la domanda sul fondamentodel diritto una domanda eminentemente filosofica ealtrettanto si pu dire dei temi discussi dalla teoria dellagiustizia: almeno per questi aspetti dunque la filosofiadel diritto avrebbe potuto avere piena legittimazionenellambiente filosofico della Facolt di Lettere, tantopi in quello genovese che non peccava certo di simpa-tia per lidealismo e per la sua svalutazione del diritto adisciplina empirica. Ma questi temi, se avevano interes-sato Bagolini, erano quanto di pi lontano potesse esser-ci dalla sensibilit di Tarello, deciso a considerare quelladomanda abbastanza priva di senso e il problema deivalori un argomento troppo legato alle scelte personaliper diventare oggetto di sapere filosofico; mentre era at-tento alla teoria generale e alla sociologia del diritto,che al contrario non erano argomenti filosofici per i fi-losofi puri.

    dal Mulino, ma prodotti nella fucina dellallora Istituto di Filosofia del di-ritto genovese, di cui Tarello era direttore.

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    6. Verso la normalizzazione

    Insediatosi sulla cattedra di Filosofia teoretica, Sciac-ca lasciava, un po a malincuore, quella di Storia della fi-losofia a Carlo Mazzantini, proveniente da Torino (e pre-sto ben lieto di ritornarvi), e iniziava una politica accade-mica diretta alla formazione di una propria scuola. Dal1951 un gruppo di giovani pavesi insegn le disciplinefilosofiche a Genova. Maria Teresa Antonelli, che si oc-cupava della metafisica di Bradley e dellontologia rosmi-niana, ma aveva scritto una monografia su Origene a cuifar seguito un saggio su Bernardo di Chiaravalle, ottennelincarico di Storia della filosofia medievale. Alberto Ca-racciolo, che aveva da poco pubblicato gli Scritti di esteti-ca54 e aveva studiato lestetica crociana, insegnava ovvia-mente Estetica. A Romeo Crippa, studioso di Oll-Lapru-ne, di Blondel e di Laberthonnire, fu affidato linsegna-mento di Filosofia della religione e Pietro Prini, prima ditrasferirsi nella pi prestigiosa sede romana, passando perPerugia, insegnava Storia della filosofia antica e studiavaPlotino. I giovani poi matureranno e domineranno la sce-na della filosofia per i successivi decenni, quando, libera-tisi della ingombrante figura del maestro, si porrannoessi stessi come maestri di pensiero. Anche questa suc-cessiva operazione, che normalmente in tutte le sediuniversitarie avviene in modo naturale, a Genova statatraumatica. Nel 1967, per una banale questione di incari-chi (Sciacca, a quanto pare, non voleva accettare che unmedico insegnasse Psicologia) la rottura si consum irri-mediabilmente. Sciacca decise che la sua prima sconfittaaccademica dentro le mura della Facolt di Lettere do-vesse essere anche lultima e si chiuse, con i fedelissimi,tra cui la pi giovane allieva pavese, M. Adelaide Raschi-ni, in volontario esilio nella Facolt di Magistero. Fu unarottura fra culture filosofiche, fra diverse sensibilit poli-tiche e anche fra modi di essere cattolici.

    54 A. Caracciolo, Scritti di estetica, Brescia, G. Vannini, 1949.

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    Quando una famiglia accademica si sfascia allimprov-viso, le versioni sono tante, contrapposte e difficilmentecomponibili. Si pu forse dare di questa spaccatura unaverosimile spiegazione teoretica. Come si detto, tut-ta la prima generazione sciacchiana era pavese, legatacio a un processo culturale, almeno potenzialmente in-compatibile con la filosofia dellintegralit che Sciaccaera venuto a costruire a Genova. Significativa da questopunto di vista la contrapposizione che si era venutacreando fra lui e il suo allievo Crippa a proposito del-linterpretazione di Blondel: due letture egualmente reli-giose e cattoliche ma irrimediabilmente opposte, da cuiemergevano due Blondel, uno protointegralista, laltroteorico dellautonomia e dellimpenetrabilit alla filosofiadella dimensione religiosa. Dicotomia che diventer pinetta quando Crippa decider di studiare il pensiero diLocke, che Sciacca considerava non un filosofo ma tut-tal pi un medico mancato, e lateo Spinoza, in unacornice di programmatica rivalutazione del pensiero delSeicento, visto come origine della modernit, a sua voltainterpretata non come la negazione dello spirito cristia-no ma come il suo pi pieno sviluppo. Un discorso si-mile si potrebbe fare per il percorso intellettuale dellal-tro protagonista della scissione. Basta confrontare fraloro il Caracciolo de La persona e il tempo55, probabil-mente il suo scritto pi condizionato dalla prospettivasciacchiana, con i saggi raccolti successivamente nel vo-lume Religione e eticit56, tutti scritti a cavallo della rot-tura: da una parte un breve volume senza note, teso acercare unimpossibile sintesi fra le posizioni di Kant eCroce per dare consistenza al termine persona, dallaltraun maturo tentativo, del tutto speculare rispetto a quel-lo di Crippa, di fare della filosofia la vera teologia, sal-vando per in qualche modo lautonomia della dimen-sione religiosa, fuori da ogni principio confessionale.

    55 A. Caracciolo, La persona e il tempo, Brescia, Paideia, 1955.56 A. Caracciolo, Religione e eticit. Studi di filosofia della religione,

    Napoli, Morano, 1971.

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    C per un altro aspetto della questione che meritadi venire affrontato: larrivo di unintera scuola cattoli-co-militante nel mondo cattolico genovese dominato dal-la figura del cardinale Siri, che non bisogna dimenti-carlo quando decise di darsi una valenza culturale siguard bene dalladottare una delle riviste sciacchianema fond Renovatio con Gianni Baget Bozzo. Dalpunto di vista della curia Sciacca, almeno allinizio, deveessere stato un pericoloso intruso che portava comun-que con s una cultura meno provinciale. Daltra parteabbastanza presto, probabilmente gi in periodo precon-ciliare, nella cultura cattolica genovese si formarono mo-vimenti alternativi. Risale addirittura agli anni dellimme-diato dopoguerra lesperienza del gruppo di giovani chesi raccoglieva intorno a Nando Fabro e alla sua rivistaIl Gallo57. Sciacca risultava cos troppo innovatore perla cultura cattolica cittadina che si era da tempo dimen-ticata di padre Semeria, troppo irrimediabilmente con-servatore per i neonati cattolici del dissenso: una situa-zione che il concilio deve avere aggravato trasformandoimmediatamente la sua filosofia dellintegralit da epi-sodio di apertura culturale in monumento di conserva-zione ecclesiale.

    Caduta legemonia sciacchiana, furono possibili aper-ture prima inimmaginabili. A insegnare storia della filo-sofia medievale venne per qualche anno Cesare Vasoli,mentre Evandro Agazzi, che per alcuni anni aveva inse-gnato Logica matematica nella Facolt di Scienze e ave-va appena scritto Temi e problemi di filosofia della fisi-ca58, uno dei primi tentativi in Italia di costruire unin-formata epistemologia di una specifica disciplina scienti-fica, ebbe la cattedra di Filosofia della scienza. Gli anni70 dopo il ritorno a Firenze di Vasoli saranno ca-

    57 Il primo numero della rivista, il cui frontespizio reca limmagine delgallo e il richiamo al rischio del tradimento nelle parole di Marco, apparvenel gennaio del 1946.

    58 E. Agazzi, Temi e problemi di filosofia della fisica, Milano, Manfredi,1969.

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    ratterizzati quindi dal progressivo formarsi di almeno trecentri di aggregazione: una vivace scuola epistemologicaaperta al confronto con la pi avanzata epistemologia an-glo-sassone anche se non dimentica della matrice reali-stica, di origine bontadiniana, del suo fondatore, attor-no a Evandro Agazzi; una scuola ermeneutica, dallim-postazione ben distinta e originale rispetto a quella tori-nese di origine pareysoniana, per limportanza data altema del nichilismo, intorno ad Alberto Caracciolo;mentre Romeo Crippa, dopo essersi conquistata una po-sizione di rispetto nellallora ristretto club dei secentisti,tentava una molto personale mediazione fra empirismohumeano ed esigenzialismo cattolico, che aveva trovatogi espressione nei saggi raccolti in Libert e responsabi-lit59. Accanto a loro merita di venir ricordato lallievonon cattolico di Mazzantini Alberto Moscato, un neo-kantiano appassionato di Pascal e della cultura ebraica,che, dopo luscita di scena di Sciacca, aveva ottenutolincarico di Estetica e ha concluso la sua carriera sullaseconda cattedra di Filosofia teoretica. Dallincrocio de-gli interessi secenteschi di Crippa e Vasoli emerse poi lafigura di Dino Pastine, pioniere negli studi sulla culturabarocca.

    Si pu a questo punto trarre qualche conclusione dalnostro racconto, cercando di delineare quella che po-tremmo chiamare lanomalia, per certi aspetti forse feli-ce, della sede genovese a partire dal 1917. Da una partela presenza di tre eminenti studiosi, ciascuno a suomodo, tre veri e propri personaggi, destinati a lasciarealla citt, insieme con innumerevoli allievi, anche aned-doti pi o meno gustosi: Rensi, Baratono e Sciacca. Dal-laltra, almeno fino allarrivo di Sciacca, nessuna grandescuola, tradizioni continuamente spezzate, passaggi fuga-ci di figure che diventeranno famose altrove, e tutto ciin una sede universitaria n insulare n provinciale. Al-tra caratteristica un elemento di continuit che pure

    59 R. Crippa, Libert e responsabilit, Roma, Armando, 1969.

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    emerge con evidenza: limpermeabilit alla cultura ideali-stica che si collega con un fondo permanente, anche setalvolta inconsapevole, di positivismo. Sciacca, lunicoinquinato dal gentilianesimo era in realt un trasfuga, eda pochi anni scomparso Luigi Brian che ha tenutoper molti anni la cattedra di antropologia in perfettacontinuit con la tradizione dellantropologia fisica vete-ropositivista.

    Un altro elemento appare chiaramente: se si confron-tano da una parte le ultime produzioni scientifiche diRensi e Baratono, teoricamente opposte fra loro comesono, con i volumi di Sciacca, appare un salto qualitati-vo rilevante. Da una parte due analisi moderne nutritedel meglio del pensiero contemporaneo Rensi si eradimostrato un intelligente lettore di Moore quando inItalia quasi nessuno sapeva che questo filosofo era esisti-to , dallaltra una simpatica reincarnazione del sempi-terno spiritualismo di fonte platonica. Intorno a Rensi ea Baratono, per, il vuoto o quasi, intorno a Sciacca, equindi dopo Sciacca, una scuola di allievi teoreticamentepi originali, e quindi forse, dopo il suo sfaldarsi duran-te il mitico 68, linizio di una normale evoluzione discuole filosofiche.

    Summary. Three significant personalities mark the philosophicalteaching from 1916 to 1968 at the Facolt di Lettere of GenoaUniversity: Giuseppe Rensi, who in 1918 replaced the last eminentpositivist philosopher Alfonso Asturaro as professor of filosofiamorale, and in 1933 was compelled to silence by fascism; Astura-ros pupil Adelchi Baratono, who became professor of filosofiateoretica only in 1937, after a long and difficult career; and final-ly, the catholic scholar Michele Federico Sciacca, who replaced Ba-ratono after his death in 1947. Notwithstanding the scientific abili-ties of the others, only Sciacca succeeded in building a permanentlocal tradition of studies. This tradition, though, collapsed in 1968,when Sciacca retired to the Facolt di Magistero, and his pupilsAlberto Caracciolo and Romeo Crippa opened new research direc-tions. At the same time, at the Law Faculty, after Giorgio Falchislong presence, Luigi Bagolini assumed the chair of filosofia del di-ritto. When he moved to Bologna University, his young pupilsGiovanni Tarello and Silvana Castignone replaced him with a newanalytic methodology.