Filosofia, Ecologia e Stili di Vita: Arne Næss e la Deep ... fileParte II: Teoria e Norme della...

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1 Università degli Studi di Trento Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Filosofia Tesi di Laurea Filosofia, Ecologia e Stili di Vita: Arne Næss e la Deep Ecology Relatore: Prof. Michele Nicoletti Correlatrice: Prof.ssa Paola Giacomoni Tesi di Laurea di: Luca Albrisi Matricola: 122784 Anno accademico 2007/2008 Appello del 17/09/2008

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Università degli Studi di Trento

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in

Filosofia

Tesi di Laurea

Filosofia, Ecologia e Stili di Vita:

Arne Næss e la Deep Ecology

Relatore: Prof. Michele Nicoletti Correlatrice: Prof.ssa Paola Giacomoni

Tesi di Laurea di: Luca Albrisi Matricola: 122784

Anno accademico 2007/2008

Appello del 17/09/2008

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“ So if you decide not to make use of the opportunity you have,

not to try to live your life in a way which is constructive and helpful,

you end up looking back and say: ‘ why did I bother living?’ ”

Noam Chomsky

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Indice

Introduzione............................................................................................................. .9

Parte I: un’Introduzione

I. Arne Naess: Biografia e Bibliografia...................................................................13

II. Radici Storiche della Filosofia Ambientale

1. Dalla preistoria al XIX secolo................................................................................ 19

2. Il pensiero ambientalista nel Novecento: Antropocentrismo e Biocentrismo........ 24

a. Conservazione e preservazione

b. Presa di coscienza ambientale e denuncia

c. Cristianesimo ed “orientalizzazione”

III. Teorie Ecofilosofiche: una Panoramica

1. Antropocentrismo......................................................................................................31

a. Antropocentrismo forte

b. Antropocentrismo debole

2. Biocentrismo..............................................................................................................33

a. Biocentrismo individualista

b. Biocentrismo olistico

3. Deep Ecology............................................................................................................ 37

Parte II: Teoria e Norme della Deep Ecology

IV. Dai Sette Principi del 1973 alla Piattaforma del 1976

1. I sette punti del 1973.............................................................................................. 41

2. Crisi della società moderna e Deep Ecology.......................................................... 45

a. La situazione

b. Una piattaforma del movimento della Deep Ecology

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V. Dal Pensiero Ecologico al Pensiero Ecosofico

1. Terminologia............................................................................................................ 49

a. Ecologia

b. Ecofilosofia

c. Ecosofia

2. Valutazioni e norme.................................................................................................. 50

3. La natura tra oggettività e Gestalt............................................................................. 51

a. Le qualità della natura ed il relazionismo

b. Gestalt e pensiero gestaltico

c. Emozione e valore

4. Le norme fondamentali............................................................................................. 54

Parte III: Ecosofia Applicata ed Ecosofia T

VI. Ecosofia, Tecnologia e Stili di Vita

1. Mutamento di mentalità.......................................................................................... 59

2. Tecnologie e stili di vita......................................................................................... 60

VII. Ecosofia ed Economia

1. Economia e sistema normativo............................................................................... 65

2. Il Prodotto Nazionale Lordo (PNL)........................................................................ 66

3. L’attribuzione di un prezzo alla Natura.................................................................. 68

VIII. Ecosofia e Politica

1. Non si può evitare la politica.................................................................................. 71

2. La posizione dei partiti verdi e le tematiche ecopolitiche fondamentali................ 72

a. Inquinamento

b. Risorse

c. Popolazione

3. Autodeterminazione, Self-reliance e comunità locali............................................ 74

4. Il processo di trasformazione................................................................................. 76

IX. L’Ecosofia T

1. Il diritto universale a realizzare le proprie potenzialità.......................................... 79

2. L’unicità della specie umana.................................................................................. 81

3. Identificazione, solidarietà e realizzazione del Sé.................................................. 82

4. L’attribuzione del valore ed il concetto di friluftsliv.............................................. 84

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5. Norme ed ipotesi su cui si sviluppa l’Ecosofia T................................................... 86

a. Livello metafisico

b. Livello fisico

Conclusioni.............................................................................................................. 89

Bibliografia.............................................................................................................. 97

Risorse multimediali................................................................................................101

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Introduzione

In epoca moderna risulta impossibile sfuggire ad alcune riflessioni fondamentali

riguardo esperienze che investono la nostra esistenza a livello etico, politico e sociale.

Gli stili di vita dell’uomo moderno si scontrano nettamente con quelli elaborati nel

corso della sua storia ed il suo rapporto con la realtà circostante sembra essere

radicalmente mutato in particolar modo negli ultimi due secoli. Se questi nuovi stili di

vita sembrano da un lato donare ricchezza e felicità, il rovescio della medaglia nasconde

una degenerazione del rapporto Uomo-Mondo.

I danni ambientali sembrano essere un palese campanello d’allarme dell’irrispettosa

posizione che gli uomini si sono arrogati il diritto di assumere all’interno della natura.

Occorrono proposte, confronti e soluzioni al fine di prendere coscienza della nostra

posizione attuale nel mondo e per cercare di assumere uno stile di vita che sappia essere

il più possibile armonico in esso.

La parte introduttiva di questa tesi presenta in primo luogo un’analisi, a grandi

linee, del rapporto dell’uomo con la natura nei principali periodi storici. Sono qui

analizzati, dalla preistoria all’età moderna, i diversi modi in cui l’uomo si è percepito

all’interno della Natura – e più in generale del Mondo – fino a giungere alla definizione

di quelle che si sono delineate come le principali teorie ecofilosofiche:

Antropocentrismo, Biocentrismo e Deep Ecology.

L’interesse ad analizzare approfonditamente l’Ecologia Profonda deriva dalla struttura

filosofica delle teorie su cui essa poggia.

La seconda parte della tesi espone i principi base del movimento dell’ Ecologia

profonda presentati da Arne Naess – suo ideatore – in quello che è stato considerato il

manifesto della Deep Ecology: “The Shallow and the Deep, Long Range Ecology

Movement. A Summary”.

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Successivamente si è deciso di analizzare più in profondità la terminologia usata

dall’autore, il sistema normativo da lui proposto e la visione gestaltica che è posta alla

base delle teorie da lui elaborate.

La terza parte della tesi abbandona l’ambito puramente teorico-normativo per

mettere in paragone l’ecosofia, proposta da Naess, con gli stili di vita moderni ed i

sistemi economici e politici vigenti nelle società industriali. Lo sviluppo di questi

capitoli si presenta come una critica alle teorie poste a sostegno dei moderni assetti

sociali, politici ed economici presentando dei sistemi alternativi e dei nuovi principi a

partire dai quali risulti possibile strutturare uno stile di vita che si inserisca

armoniosamente nel Mondo. In ultima analisi è stata presentata l’Ecosofia T, basata

sulla personale visione del mondo di Arne Naess.

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Parte I: un’Introduzione

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Cap. I:

Arne Naess: Biografia e Bibliografia

Nonostante Arne Naess sia considerato il più importante esponente della filosofia

scandinava, il materiale riguardante la sua vita non è facilmente reperibile.

Per la ricostruzione degli eventi salienti di un’esistenza ricca di esperienze eterogenee

com’è stata quella di Naess, ci si è basati principalmente su articoli di riviste di settore

come Trumpeter ed Inquiry, nelle quali è stato possibile trovare testimonianze di

filosofi, attivisti politici e professori che hanno avuto modo di collaborare a stretto

contatto con Naess.

Una vita straordinaria come quella di questo filosofo è difficilmente riassumibile in

poche righe ed altrettanto difficile è riuscire a raccogliere l’intera bibliografia della sua

a dir poco prolifica attività, tuttora in corso.

La sensazione emersa durante tali ricerche è quella che Naess abbia volutamente

condotto la propria esistenza evitando il più possibile la notorietà quasi ad incarnare il

modello pluralista ed olistico delle proprie teorie filosofiche.

Arne Dekke Eide Naess nasce ad Oslo, Norvegia, il 27 Gennaio del 1912.

Studia filosofia, astronomia e matematica all’università di Oslo, dove si laurea nel 1933

e consegue il dottorato nel 1936. Segue inoltre dei corsi alla Sorbona e all’università di

Vienna.

Prima di aver compiuto i suoi 25 anni partecipa alle riunioni del Circolo di Vienna dove

“fu accolto come una nuova cometa nel firmamento filosofico”1. Durante la sua

permanenza nella città austriaca sviluppa inoltre una stretta collaborazione, della durata

di circa quattordici mesi, con Edward Hitschmann, collega di Freud.

Nel 1937-1938 studia teoria dell’apprendimento a Berkeley con il professor E.C.

Tolman.

1 Warwick Fox, Arne Naess: A Biographical Sketch, in “Trumpeter”, Vol. 9 (1992), N°2, p.1

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Tornato in Norvegia ottiene, a soli ventisette anni, la cattedra di filosofia presso

l’università di Oslo, posizione che occupa fino al 1969 quando decide di “live rather

than to function”2.

Il merito dell’ ingresso della filosofia scandinava nella Encyclopedia of Phylosophy può

essere attribuito all’originale contributo di Arne Naess, ideatore di una semantica

empirica radicale e leader del cosiddetto “gruppo di Oslo”.

“Se è vero che la filosofia norvegese ha avuto un periodo morto, è altrettanto corretto

asserire che, in primo luogo per merito di Arne Naess, codesta filosofia è ora nel bel

mezzo di un periodo di crescita rigogliosa”3.

Durante gli anni accademici le sue indagini riguardano argomenti di storia della

filosofia - in particolare autori come Kierkegaard, Carnap, Wittgenstein, Heidegger e

Sartre - filosofia della scienza, filosofia del linguaggio e della comunicazione,

semantica empirica, logica, scetticismo e filosofia politica.

La riflessione di Naess sulla semantica empirica, che si sviluppò

prevalentemente durante gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, indaga i modi

in cui il linguaggio può legittimamente essere usato in relazione a determinati e

particolari contesti.

Secondo Warwick Fox, suo amico e collaboratore, il lavoro e la persona di Arne Naess

“creò un nuovo clima che non influenzò solo la filosofia e la ricerca sociale ma un

campo ben più ampio”4.

Il filosofo norvegese infatti appartiene ad una generazione di studenti universitari che

dovette sostenere il cosiddetto examen philosophicum5, organizzandone lui stesso i corsi

di preparazione tra il 1939 e il 1954. Questo presuppone delle vaste conoscenze in

campi eterogenei.

Tra il 1949 ed il 1950 è il leader scientifico di un progetto dell’UNESCO

sviluppato per esaminare la natura delle controversie ideologiche tra Oriente ed

Occidente. Tale progetto si risolse in un’analisi empirica dei diversi usi del termine

democrazia dall’antichità ad oggi. Il testo che ne scaturì, “Democracy in a world of

2 Warwick Fox, Arne Naess: A Biographical Sketch, in “Trumpeter”, Vol. 9 (1992), N°2, p. 1 – “vivere non sopravvivere” (traduzione mia) 3 Justus Hartnack, “ Scandinavian Phylosophy”, in The Encyclopedia of Philosophy, ed. Paul Edwards, Vol. 7, New York: Macmillan, 1967, p. 301 4 Warwick Fox, Arne Naess: A Biographical Sketch, in “Trumpeter”, Vol. 9 (1992), N°2, p. 3 5 Esame propedeutico riguardante logica, metodologia e storia della filosofia richiesto ad ogni studente dell’ Università di Oslo indipendentemente dalla scelta del percorso di studi

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tension”, fu immediatamente esaurito e mai più ristampato dall’ UNESCO “a causa del

carattere politicamente pericoloso dei suoi contenuti”6.

Nel 1958 fondò Inquiry, nota rivista filosofica e di scienze sociali di cui rimase editore

fino al 1975.

Dopo il 1969, anno in cui Naess si ritira dalla carriera accademica, sviluppa la

sua filosofia pluralista verso tematiche ecofilosofiche ed ambientaliste, nonché sul

pensiero di Spinoza e Gandhi. Questo è il periodo in cui pone le basi della sua Ecologia

Profonda e più precisamente nel 1973 con l’articolo apparso su Inquiry “The Shallow

and the Deep, Long-range Ecology Movement. A Summary” e nel 1976 con “Ecology,

Community and Lifestyle” opera in cui sottolinea l’importanza della responsabilità

individuale e dell’attivismo nella soluzione della crisi ambientale globale.

Naess non si è limitato infatti alla sola produzione teorica, ma è ben noto per il

suo attivismo politico: direttore per diversi anni del gruppo norvegese di Greenpeace ed

esponente del Partito Verde, ha preso più volte parte a proteste nonviolente in difesa

dell’ambiente. Famoso esempio di tale attività è la sua partecipazione, il 14 Gennaio del

1981, all’ “Alta Confrontation” dove “circa 1000 persone tra cui un significante numero

di professori, avvocati e scienziati, si sono incatenati nel tentativo di evitare la

costruzione di un impianto elettrico e di una diga nel profondo nord della Norvegia.

Durante le successive ventiquattro ore furono liberati di forza dalle loro catene e portati

via da 6000 poliziotti in quella che fu la più grande azione di polizia nella storia della

Norvegia”7.

A testimonianza della sempre presente base pluralista della sua filosofia e quindi

del suo modo di pensare e vivere, Arne Naess ha trascorso una vita sorprendente. Oltre

che per il suo pensiero e per le sue opere, egli è infatti famoso per le sue straordinarie

doti sportive ed in particolare alpinistiche. Nel 1950 realizzò la prima ascesa del Tirich

Mir (7690m) la cima più alta della catena dell’Hindu Kush, Pakistan; prese inoltre parte

a diverse spedizioni sull’Himalaya. “Tutti coloro che conoscono Naess possono

testimoniare che è una persona straordinariamente energica.[...] Discussioni con Naess

6 Arne Naess, 1983. 7 Ron Eyerman, Intellectuals and popular movements: the Alta confrontation in Norway, New Praxis N°3 (1983), p. 185

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sono sempre scandite da momenti di attività fisica – sciate o arrampicate su roccia in

Norvegia, trekking e tennis in Australia”8.

“Arne Naess che scia, Arne Naess che fa un bagno, Arne Naess che scala montagne,

Arne Naess che fa boxe, Arne Naess che vive da solo nella sua casa di montagna, Arne

Naess che racconta barzellette, Arne Naess che scrive di scetticismo...

Arne Naess è un pluralista radicale...”9. Così scrive di lui Fons Elders, organizzatore di

una serie di dibattiti per la televisione tedesca cui presero parte otto filosofi tra cui Karl

Popper, Noam Chomsky, Michel Foucault e, appunto, Arne Naess.

Per quanto riguarda la bibliografia di Naess - come si accennava all’inizio di

questo breve excursus sulla sua vita – va detto che questo filosofo ha prodotto

innumerevoli lavori inerenti aree d’interesse molto varie, redatti in diverse lingue:

norvegese, danese, svedese, tedesco ed inglese.

Una delle bibliografie più complete del suo lavoro è contenuta in “Philosophers on

Their Own Work”, opera di Marcier e Svilar. Questa, pur fermandosi all’anno 1982,

registra 28 libri, 18 monografie ed articoli nella serie “Philosophical Problems”

dell’Università di Oslo, 143 articoli in giornali accademici e specializzati, 45 articoli in

riviste non specializzate, 29 articoli su quotidiani, 17 monografie ed altri articoli tecnici.

Naess è stato inoltre coautore di 6 libri e monografie nonché di 12 opere riguardanti

l’alpinismo.

Nel 1997 fu avviato lo “SWAN Project” - acronimo di “Selected Works of Arne Naess”

- che si proponeva di “portare lo spettro completo delle opere accademiche più

importanti di Naess al pubblico inglese”10.

Il risultato di tale lavoro furono 10 libri raccolti in 9 volumi, per un totale di circa 3000

pagine11. Nonostante la mole, questa ricerca, a detta degli stessi partecipanti, “non è

certamente un’esaustiva raccolta del lavoro di Naess”12 a causa della straordinaria

8 Warwick Fox, Arne Naess: A Biographical Sketch, in “Trumpeter”, Vol. 9 (1992), N°2, p. 2 9 Fons Elders, The reflexive water: The Basic Concerns of Mankind, Souvenir Press, 1974, p. 274-275 10 Harold Glasser, Selected Works of Arne Naess: SWAN Introduction, in “Trumpeter” Vol.14 N°3 (1997) 11 The SWAN Contents: Volume I: Science as Behaviour; Volume II: Interpretation and Preciseness: A Contribution to the Theory of Communicative Action; Volume III: Scepticism; Volume IV: Which World Is the Real World; Volume V: The Pluralist and Possibilist Aspect of the Scientific Enterprise; Volume VI: Gandhi and Group Conflict: An Exploration of Satyagraha; Volume VII: Communication and Argument Freedom, Emotion, and Self-Subsistence: The Structure of a Central Part of Spinoza's Ethics; Volume VIII: Selected Papers: 1936-1996; Volume IX: Stones Philosopher: Dialogues with Arne Naess 12 Harold Glasser, Selected Works of Arne Naess: SWAN Introduction, in “Trumpeter” Vol.14 N°3 (1997)

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prolificità dell’autore ma anche, purtroppo, alla scarsa quantità di opere tradotte in

lingua inglese.

Altrettanto numerose sono state le sue lezioni “svoltesi in innumerevoli luoghi, la

maggior parte dei quali meravigliosi e preferibilmente vicino a montagne o deserti:

(alcuni di questi: Berkeley, Santa Cruz, Reykjavik, Hangzhou, Helsinki, Tromso,

Peking, Canton, Hong Kong, Chengdu, Jerusalem...) Così come la volontà di presentare

le proprie idee in una molteplicità di contesti popolari o semipopolari in opposizione al

puro contesto accademico.”13

Per concludere è interessante riportare un elenco di tutti i premi di cui è stato insignito

Naess: il Royal Norwegian Order of St. Olav, l’ Årets Peer Gynt nel 2004, il Nordic

Council Award for Nature and Environment nel 2002, l’Uggla Prize Humanistiska

Föreningen dell’ Università di Stoccolma nel 2002, Diploma and Medal dal Re Harald

V di Norvegia nel 1998 per il suo collaborazione con l’Intelligence Agency XU durante

l’occupazione tedesca, Medaglia di riconoscimento conferita dalla Presidenza della

Repubblica Italiana nel 1998, il Nordic Prize da parte della Swedish Academy nel 1996,

il Mountain Tradition Award da parte della Croce Rossa a Oslo nel 1996, il Mahatma

Gandhi Prize for Non-Violent Peace sempre a Oslo nel 1994, il Fridtjof Nansens Award

da parte della Fridtjof Nansens Foundation per la promozione della Scienza nel 1983, il

Sonning Prize (equivalente del Nobel per la Danimarca) per il suo contributo alla

cultura europea nel 1977.

Gli furono inoltre attribuiti due dottorati ad honorem: dall’ Università di Stoccolma nel

1972 e dall’ Università Nazionale Norvegese di Sport ed Educazione fisica nel 1995.

Nel 2002 sia il Club Alpino Norvegese che l’Associazione Turistica Norvegese lo

proclamarono membro onorario.

13 Warwick Fox, Arne Naess: A Biographical Sketch, in “Trumpeter”, Vol. 9 (1992), N°2, p. 3

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Cap. II:

Radici Storiche della Filosofia Ambientale

1. Dalla preistoria al XIX secolo

Per riuscire a delineare i problemi affrontati dalla filosofia ambientale – o ecofilosofia -

ed essere quindi in grado di cogliere le sfumature che contraddistinguono le diverse

modalità di concepire il rapporto tra Uomo e Natura, è necessaria un’analisi preliminare

di come l’uomo abbia concepito se stesso - ed il mondo che lo circonda – nei diversi

momenti storici. Infatti “se da un lato i dati scientifici ci aiutano nella comprensione del

mondo, sono soprattutto le nostre convinzioni filosofiche che incidono profondamente

la nostra morale e quindi determinano il nostro comportamento”14.

Una vera presa di coscienza dei problemi ambientali e della nostra posizione-nel-mondo

è possibile solo alla luce di una riflessione su come si sia evoluto il nostro modo di

concepirci nei confronti della natura.

L’uomo preistorico, cacciatore e raccoglitore, godeva di uno strettissimo

rapporto con la natura; questo a causa del fatto che il suo modo di vivere era influenzato

in massima parte dall’ambiente che lo circondava. Il suo principio di autoconservazione

si scontrava spesso con le insidie rappresentate dalla natura in diverse ed innumerevoli

forme. Per questo arrivò a credere di essere circondato da una realtà di demoni e spiriti

da cui doveva difendersi, che doveva rispettare, ma che in ogni caso rappresentavano

una realtà a cui egli apparteneva e di cui considerava necessario far parte.

Questo modo di concepirsi all’interno di un tutto e di concepire ogni cosa – persone,

cose ed avvenimenti – come dotati di un’anima, ha portato alcuni antropologi a

classificare questo periodo della nostra storia con il termine Animismo.

14 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 10

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Secondo alcuni filosofi come Eugen Fink e lo stesso Naess – anche se a mio

parere andrebbero svolte maggiori ricerche a riguardo - il primo vero grande

cambiamento in questo modo di pensare è da attribuirsi allo sviluppo del pensiero

ellenico nell’antica Grecia del V secolo a.C., il quale pone le basi del pensiero

filosofico occidentale.

Seppur nel pensiero dei primi filosofi si possa ancora ravvisare una ricerca dei principi

primi della vita nella natura – basti pensare a filosofi come Talete o Anassimene, che

individuano proprio nella natura l’Arché o principio di tutte le cose - e quindi una

continuazione del precedente spirito animista, è con Democrito (ca. 460-370 a.C.) e con

l’affermarsi del materialismo che l’uomo inizia a concepirsi come qualcosa di separato

dagli eventi fisici ed inizia quindi a studiarli come fenomeni a sé stanti.

Il distacco dal modo preistorico di percepirsi fu definitivamente portato a termine da

Platone, il quale sviluppò una metafisica a partire dalla propria dottrina delle idee. Tale

concezione del mondo infatti separa in modo netto il mondo naturale da quello ideale e

perfetto, ammettendo una duplice natura umana (Mito dell’auriga) che, per raggiungere

la verità, deve indirizzare la propria ricerca verso un mondo diverso da quello fisico

(Mito della caverna).

Questo “portò ad una svalutazione della realtà fisica nel suo complesso.[...]un aspetto

dell’esistenza fu isolato dagli altri e classificato come ‘realtà fisica’ “15.

In generale, tutti i pensatori di questo periodo tendevano a ritenere la natura come

qualcosa che, pur essendo sfruttata, potesse autoregolarsi, oppure come un meccanismo

che produceva delle gerarchie perfette in cui l’uomo occupava l’apice: “Se dunque la

natura niente fa né imperfetto né invano, di necessità è per l’uomo che la natura li ha

fatti, tutti quanti”16.

Una visione simile di tale rapporto sembrava essere ritratta dai testi sacri

dell’ebraismo e, successivamente da quelli cristiani. Questi infatti, ritraendo un cosmo

perfettamente ordinato e creato da un Dio Sommo, Onnipotente ed Onnisciente,

ridefiniva la posizione dell’uomo all’interno della natura, del mondo e dell’intero

universo. Se, come afferma la Bibbia, l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di

Dio, ne risulta un essere eletto e superiore rispetto agli altri e quindi libero di usare a

15 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 242 16 Aristotele, Politica, traduzione di R. Laurenti, La terza, Bari 1993, p. 17

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proprio piacimento tutto ciò che lo circonda. La Genesi afferma chiaramente: “Dio

disse: - Facciamo l’uomo: sia simile a Noi, sia la Nostra immagine. Dominerà sui pesci

del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che

strisciano al suolo”17 ed inconfutabilmente “Se sarà versato il sangue di un uomo, ossia

la sua vita, io interverrò per punire: io punirò ogni animale che avrà ucciso un uomo e

punirò ogni uomo che ha ucciso un altro uomo”18. La punizione divina dunque, era

concepita solo nel caso in cui fosse l’animale ad attaccare l’uomo e non viceversa,

ponendo quest’ultimo in una posizione indiscutibilmente superiore nella gerarchia del

mondo naturale. “Nel medioevo vi furono svariati processi i cui imputati erano animali

che avevano ucciso degli uomini”19.

Nel XVII secolo, si possono riscontrare filosofie contrastanti tra loro per quanto

riguarda il rapporto uomo-natura. Alcuni, come Cartesio, filosofo che pose le basi del

pensiero scientifico occidentale, erano del parere che la “sensibilità fosse prerogativa

dell’uomo, l’unico dotato di linguaggio e quindi l’unico in grado di pensare, di provare

sensazioni e dolore. Gli animali, al contrario, erano semplici oggetti, macchine prive di

sensibilità e coscienza, su cui era lecito compiere ogni tipo di esperimento”20.

Thomas Hobbes, padre della filosofia politica moderna, descrisse lo stato di natura,

ovvero prepolitico, come una situazione di guerra in cui l’uomo è costretto ad

un’esistenza insicura, solitaria, brutale e breve. Diventava allora una vera e propria

necessità distaccarsi da questa condizione abbandonando i propri diritti naturali per

sostituirli con diritti e doveri civili, legittimando in questo modo un ordine politico.

Al contrario, John Locke considerò lo stato di natura come condizione di pace,

benevolenza ed assistenza nel quale ogni uomo aveva diritto alla vita, alla libertà ed alla

proprietà. Il potere dello Stato doveva perciò limitarsi a tradurre le leggi di natura –

considerate sempre come superiori - in leggi positive. Locke non si distanziava

comunque dalla visione cristiana che concepiva l’uomo come padrone della natura,

donatagli da Dio, e di cui doveva essere un amministratore saggio e rispettoso.

Al di là delle diverse interpretazioni della natura come qualcosa da cui difendersi o

come qualcosa da cui prendere spunto per l’organizzazione delle società nascenti,

17 La Bibbia interconfessionale, Elle Di Ci, Torino 1999, Genesi 1,26 18 La Bibbia interconfessionale, Elle Di Ci, Torino 1999, Genesi 9,1 19 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, nota 23, p. 113 20 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 18

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furono innumerevoli le filosofie definibili come antropocentriche, ovvero che ponevano

l’uomo in una posizione di privilegio all’interno della natura.

Pur essendo l’antropocentrismo il concetto dominante delle filosofie del Seicento, si

possono incontrare filosofi di quel periodo che concepirono l’uomo come essere

integrato nella natura. Esempio ne è Baruch Spinoza, che definì l’uomo come

manifestazioni della sostanza o come Gottfried Leibniz, il quale affermò “ Un uomo,

una pianta un animale vanno guardati non per quelle creature contingenti, limitate, finite

che sono ma per quell’infinito che, consapevolmente o meno, l’anima di ciascun vivente

reca dentro di sé”21.

Nel secolo successivo aumentarono le voci di coloro che vollero criticare

l’antropocentrismo: “Françoise Voltaire sentì la necessità di contestare la tesi cartesiana

dell’associazione necessaria tra linguaggio e sensibilità [...]. Jean-Jacques Roussseau

sottolineò la somiglianza fra la sensibilità umana e quella animale e David Hume

descrisse le capacità umane, incluse quelle morali, come un caso speciale di capacità

animali.”22. Per Immanuel Kant, la violenza verso gli animali era da considerarsi una

perversione che nella maggior parte dei casi poteva leggersi come un’ anticipazione di

violenza verso gli altri uomini.

Nel Settecento le idee illuministe contribuirono certamente a riavvicinare l’uomo alla

natura o perlomeno al rispetto di essa ed in particolar modo del regno animale.

L’inglese John Oswald nel 1791 pubblicò The Cry of Nature or an Appeal to Mercy and

to Justice on Behalf of the Persecuted Animals23 ed il conterraneo George Nicholson nel

1797 diede alle stampe On the Conduct of Man to Inferior Animals24. Sempre in quegli

anni, John Lawrence nel suo A Philosophical Treatise on Horses and on the Moral

Duties of Man Towards Brute Creation25 “sostenne che lo jus animalium avrebbe

dovuto essere parte di ogni sistema legale fondato sui principi di giustizia ed

umanità”26.

21 V. Baricalla, Leibniz e l’universo dei viventi, edizioni ETS, Pisa 1995 22 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005 23 Il grido della natura o un appello alla compassione e alla giustizia nell’interesse degli animali perseguitati (trad. mia) 24 Sulla condotta dell’uomo verso gli animali inferiori (trad. mia) 25 Un trattato filosofico sui cavalli e sui doveri morali dell’uomo nei confronti degli animali selvaggi (trad. mia) 26 Cfr. R.F. Nash, The right of nature, The University of Winsconsin Press, Madison, Winsconsin, 1989, p.24-25

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Questo “allargamento dell’etica” agli animali trovò solide basi nel pensiero di Jeremy

Bentham, teorico di filosofia del diritto anglo-americana. Avendo come presupposto il

“Principio di massima felicità”, secondo cui la sofferenza è male e il piacere è bene, egli

riposizionò gli animali tra un insieme di esseri viventi capaci di soffrire e quindi aventi

specifici diritti. Bentham pose il cosiddetto dilemma dei “casi marginali” affermando

che “se l’uomo non aveva nessuna remora a maltrattare o sopprimere gli animali

giustificandosi col fatto che non li riteneva razionali o intelligenti, allora poteva fare

altrettanto con gli esseri umani nelle loro stesse condizioni: neonati, persone in coma,

handicappati mentali”27.

Fu proprio grazie a queste riflessioni che, su proposta di Richard Martin, il 22 giugno

del 1882 in Inghilterra si arrivò all’introduzione di una vera e propria legge sul

maltrattamento del bestiame.

Concetti etici che abbracciavano la natura nel suo complesso videro la luce tra la

fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo con la nascita del Romanticismo. A detta dello

storico Donald Worster “ alla base della visione romantica della natura vi era quella che

le generazioni future avrebbero chiamato prospettiva ecologica, vale a dire la ricerca di

una percezione olistica e integrata, l’enfasi sull’interdipendenza e i rapporti naturali e il

forte desiderio di ridare all’uomo un legame intimo con il vasto organismo che

costituisce la terra”28; i romantici sono dunque da considerarsi biocentristi.

Nel XIX secolo si assistette perciò alla nascita dell’ambientalismo ed in particolare

grazie al primo e forse più grande sostenitore di questa corrente di pensiero:

l’americano, Henry David Thoreau. Sostenitore dell’esistenza di una super-anima

permeante ogni cosa vivente nonché abile osservatore dello stile di vita umano al fine di

calcolarne l’impatto sul territorio, Thoreau promulgò un modello di vita in armonia con

la natura, così come avevano fatto per millenni gli indiani d’America.

La prima grande opera sull’impatto ambientale umano fu Man and Nature29 del 1864.

Il suo autore, George Perkin Marsh, era convinto che l’uomo non dovesse ricoprire una

posizione di proprietario nei confronti della Terra ma che dovesse bensì tutelarla senza

alcuno spreco. Inoltre il diplomatico, filologo ed ambientalista americano era convinto

27 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 22 28 D. Worster, Storia delle Idee Ecologiche, pp. 114 29 G.P. Marsh, Man and Nature. Or, Physical Geography as Modified by Human Action, Scribner, New York 1865

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che “[...] la vita animale e vegetale è un problema troppo complicato perchè

l’intelligenza umana riesca a risolverlo, e noi non potremo mai sapere quanto è ampio il

cerchio di disturbo che produciamo nell’armonia della natura quando gettiamo il più

piccolo ciottolo nell’oceano della vita organica”30; per questo vedeva l’esigenza di una

serie di cambiamenti a livello politico e morale.

Il primo a sostenere che la vita non umana avesse dei diritti intriseci fu invece Edward

Payson Evans, che partendo dalla critica al principio kantiano secondo il quale la

violenza sugli animali fosse da considerarsi solo come un preludio alla violenza su altri

uomini, “dichiarò che qualsiasi tentativo di separare il genere umano dalla natura era

filosoficamente falso e moralmente pernicioso”31. Egli inoltre, riprendendo un

argomento già sollevato in precedenza da Arthur Schopenhauer, criticò il fatto che la

cristianità giustificasse gli scempi ambientali da parte dell’uomo, riducendo la

considerazione della natura a mero bene strumentale.

2. Il Pensiero ambientalista nel Novecento: Antropocentrismo e Biocentrismo

Come illustrato, l’evoluzione del pensiero ambientalista presenta la nascita di due linee

di pensiero in netta contrapposizione tra loro. La prima considera l’uomo come essere di

spicco all’interno della natura, la quale è invece da considerarsi un semplice mezzo

posto nelle sue mani; la seconda, al contrario, riconosce alla Terra e a tutti i suoi abitanti

un valore indipendente da quello utilitaristico umano. La prima teoria è detta

Antropocentrismo, la seconda Biocentrismo.

Quest’ultima ha registrato un numero sempre crescente di sostenitori a causa dei grandi

disastri ambientali che hanno segnato la fine del XIX e tutto il secolo scorso. Proprio a

causa di questi avvenimenti sono nate, a partire dagli anni 1960, nuove teorie e

movimenti di contestazione ambientalista nonché associazioni in difesa dell’ambiente

come il WWF nel 1961, Greenpeace nel 1969, Earthforce nel 1977 e, in Italia, Lega

Ambiente nel 1980.

30 Cfr. R. F. Nash, The Right of Nature, p. 38 31 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 24

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Si deve però sottolineare come anche all’interno della corrente biocentrica si

possano riscontrare due correnti diverse: una, l’Ambientalismo, ha un orientamento di

tipo olistico e tende dunque a considerare gli insiemi di individui (gruppi, specie,

ecosistemi ecc..); l’altra invece si schiera a difesa dei Diritti animali da un punto di vista

individualista, considerando unico e fondamentale ogni individuo di una determinata

specie.

Pur avendo entrambi interesse ad un allargamento dell’etica al di fuori dell’uomo,

purtroppo ambientalisti e sostenitori dei diritti degli animali finiscono spesso per

scontrarsi su temi quali la sperimentazione animale o il vegetarianismo, atteggiamento

che sicuramente gioca a favore degli oppositori antropocentrici.

a. Conservazione e preservazione

Come si è detto precedentemente, l’urgenza di un sentimento protettivo nei confronti

della natura derivò dalla presa di coscienza dei disastri ambientali cui l’uomo assisteva e

di cui si riconosceva essere causa. Queste catastrofi erano ravvisabili soprattutto nel

Nuovo Mondo dove una politica liberista si scontrava decisamente con una natura

rigogliosa ed in parte ancora intatta: “nel 1700, più di mezzo milione di acri della

foresta del New England erano stati disboscati per l’allevamento e l’agricoltura [...] Nel

1880 soltanto il 40 per cento della superficie del Massachussets poteva essere

considerata area boschiva”32.

Fu per questi motivi che il presidente degli Stati Uniti d’America, Theodore Rosevelt,

durante i primi anni del XX secolo decise di intervenire su questa situazione

convocando a consiglio i maggiori esperti in materia. In questa occasione Gifford

Pinchot, nominato consulente ambientale della Casa Bianca, elaborò il concetto di

“conservazione”. Il suo progetto si basava sull’istituzione delle Forest Reserves -

chiamate oggi National Forests - nelle quali l’uomo non era tenuto a preservare la natura

perfettamente integra, come nei National Park, ma era libero di utilizzarne le risorse a

patto di rispettare determinati criteri. La politica di Pichot deve essere però analizzata

più da vicino per poter trarre adeguate conclusioni a riguardo; infatti “ se da un lato a

32 D. Worster, Storia delle idee ecologiche, cit. , pp. 98-99

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Pinchot si deve riconoscere il fatto di essere riuscito a limitare l’abitudine allo

sfruttamento sconsiderato tipico della frontiera, dall’altro lato la conservazione era più

rivolta alla tutela dell’economia che non alla salvaguardia ambientale. La politica della

conservazione tendeva (e tende) a massimizzare la produttività per il bene esclusivo

degli uomini. Così, ad esempio, secondo il principio della conservazione furono

sterminati i predatori quali lupi, puma, coyote ed orsi grigi allo scopo di salvaguardare

gli erbivori a cui i cacciatori amavano sparare”33. Come facilmente intuibile, una

politica di questo tipo portò ad un disequilibrio degli ecosistemi in cui fu introdotta,

causando un soprannumero di erbivori che, prima di morire di fame, razziarono tutto ciò

che di commestibile trovarono, pascoli compresi.

Risulta quindi fondamentale, in un’ottica ecofilosofica, distinguere tra i concetti di

“conservazione” e “preservazione”. Mentre la seconda esige che l’uomo lasci

totalmente integra la natura non mettendovi quindi mano, la prima invece considera i

suoi prodotti come sfruttabili, se pur in un’ ottica sostenibile34.

Un’altra rivoluzione a livello scientifico fu attuata dell’ecologia che introdusse

problematiche totalmente innovative. Questa nuova materia infatti, mettendo in luce una

serie di nuove relazioni fra gli esseri viventi e la natura, sembrava descrivere

un’interdipendenza tra tutti gli organismi che andava a confermare scientificamente la

concezione della Natura come un tutto organico.

b. Presa di coscienza ambientale e denuncia

Durante la seconda metà del XX secolo nacquero una serie di filosofie rivoluzionarie

riguardanti il rapporto tra uomo e Natura; una di queste fu la Land Ethic (Etica della

terra) proposta da Aldo Leopold ispirandosi al pensiero di un filosofo russo suo

contemporaneo: Piotr Demianovich Ouspensky. Quest’ultimo aveva elaborato una

teoria che concepiva ogni cosa esistente come composta da una parte fisica, fenomenica,

ed una parte intangibile, noumenica. Ciò che accomunava tutti gli esseri, viventi o

apparentemente senza vita, era proprio quella parte intangibile, in grado di creare

33 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 30-31 34 R.F. Nash, The right of nature, The University of Winsconsin Press, Madison, Winsconsin, 1989

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equilibri paragonabili all’armonia esistente tra le cellule di un essere vivente complesso.

Secondo questa concezione, dunque, tutte le parti della Natura, organiche ed

inorganiche, sarebbero parti integranti di uno stesso superorganismo.

Aldo Leopold si laureò in silvicoltura alla Yale Forest School nel 1909 e, lo stesso anno,

si arruolò nel corpo forestale statunitense. Una volta assegnato alle foreste dell’Arizona

e del New Mexico35 divenne uno dei maggiori esperti dell’attuazione del principio di

conservazione di Pinchot.

Durante una campagna di sterminio dei predatori, però, visse una sorta di crisi interiore

che lo portò a ripensare la natura partendo appunto dalle teorie di Ouspensky. Così

tentò, come disse egli stesso, di “pensare come una montagna”, ampliando il proprio

punto di vista antropocentrico; rielaborò la filosofia del pensatore russo inserendo

l’ecologia come pilastro fondamentale della sua nuova teoria. Ciò che teneva insieme il

sistema non era dunque un principio invisibile bensì processi ecologici tangibili. Queste

teorie, espresse in una raccolta di suoi saggi, A Sand Country Almanac36, pubblicata

postuma nel 1949, divennero i principi ispiratori di molte filosofie biocentriche

olistiche.

Alla base del suo ragionamento, nel capitolo “Etica della terra”, vi è la definizione di

etica come il complesso di norme morali di comportamento cui l’uomo si rifà al fine di

vivere in armonia all’interno della società; l’uomo applica quindi a sé stesso delle

norme autolimitative in quanto parte di una comunità. Applicando questo ragionamento

ad una realtà più ampia, Leopold pensò che se l’uomo fosse stato in grado di

riconoscere la propria posizione integrata all’interno delle comunità ecologiche, allora

avrebbe dovuto necessariamente riconoscere i diritti della natura: “un’etica della terra

non può certo impedire la modifica, la gestione e l’uso di queste “risorse” [terreni, corsi

d’acqua, piante, animali ecc.], ma afferma il diritto che esse continuino ad esistere e,

almeno in certi luoghi particolari, possano conservare il loro stato naturale”37. Ciò che

rende questa teoria totalmente rivoluzionaria è il fatto che, mentre prima di allora si era

parlato di diritti dei singoli individui, fossero essi uomini animali o vegetali, con

Leopold nasce un’etica applicata a livello di gruppi, specie, habitat e processi

35 http://www.aldoleopold.org/about/AldoLeopold.pdf 36 A. Leopold, Almanacco di un mondo semplice, traduzione di G. Arca e M. Maglietti, Red edizioni, Como 1997 37 Ibidem, p. 165

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ecosistemici. “ La maggior parte dei membri della comunità terrestre non ha un valore

economico. Fiori selvatici e i passeracei ne sono un esempio. [...] Eppure queste

creature sono componenti della comunità biotica e se, come credo, la stabilità di questa

dipende dalla sua stessa integrità, essi hanno ogni diritto di continuare ad esistere”38.

Con l’Etica della terra l’uomo diventa dunque parte integrante della Natura e

quest’ultima acquista un valore intrinseco indipendente da quello attribuitole dall’uomo.

“In breve un’etica terrestre modifica il ruolo dell’Homo Sapiens da conquistatore della

terra a semplice membro e cittadino della sua comunità”39. In conclusione, per Leopold,

al contrario di ciò che esponeva Pinchot con il proprio concetto di conservazione, “ È

giusto ciò che tende a mantenere l’integrità, la stabilità e la bellezza della comunità

biotica; è sbagliato ciò che ha una tendenza diversa”40.

Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta del secolo scorso, furono

molte le opere scritte a denuncia degli scempi ambientali in atto in tutto il mondo: The

road to Survival41 di William Vogt e Our Plundered Planet42 di Fairfield Osborn, tanto

per citarne alcune, mettono a fuoco problematiche quali deforestazione e

sovrappopolazione. Quando, nel 1962, fu pubblicato Silent Spring43 di Rachel Carson,

libro di denuncia sull’ abuso di pesticidi ed insetticidi come il DDT, “il terreno era

pronto per il divampare delle polemiche tra le grandi società produttrici di pesticidi ed i

primi movimenti ambientalisti”44 fornendo “una prova in più della nostra ridicola

presunzione di voler soggiogare la natura con la forza bruta”45.

c. Cristianesimo ed “orientalizzazione”

Fino agli anni Sessanta del XX secolo la Chiesa Cattolica non si era occupata in prima

persona dei diritti della natura, mantenendo una posizione tendenzialmente

antropocentrica. Posti però di fronte a rivoluzioni filosofiche in tema ambientalista quali

38 Ivi p. 170-171 39 Ivi p. 165 40 Ivi p. 184 41 W. Vogt, The road to Survival, W. Sloane Associate, 1948 - La via verso la sopravvivenza (trad. mia) 42 F. Osborn, Our Plundered Planet, Grosset & Dunlap, 1951 - Il nostro pianeta saccheggiato (trad. mia) 43 R. Carson, Primavera Silenziosa, Hamish Hamilton Ltd. , London, 1962 44 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 34 45 R. Carson, Primavera Silenziosa, Hamish Hamilton Ltd. , London, 1962

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quelle avvenute nel Novecento, furono numerosi i teologi che espressero la propria

posizione in materia. Primo tra tutti Joseph Sittler che nel 1954 rilesse la figura di S.

Francesco d’Assisi sottolineando gli aspetti delle sue teorie che più si avvicinavano

all’ambientalismo, ovvero la considerazione della totale uguaglianza tra tutte le

creature.

La posizione della Chiesa Cattolica si sforzava dunque di avvicinarsi alle nuove

concezioni ambientaliste ma cercando di evitare con cautela un ritorno all’animismo che

avrebbe minato le basi della propria religione. La natura dunque meritava

considerazione e rispetto non in seguito ad un riconoscimento della posizione umana

integrata nell’ecosistema ma in quanto, anch’essa, creatura di Dio. L’uomo, che doveva

dimostrarsi saggio e premuroso, rimaneva comunque amministratore della natura.

Questa rilettura cristiana della rapporto tra uomo ed ambiente si può definire

Antropocentrismo debole in quanto, pur non differenziandosi dall’antropocentrismo

“puro” – o cosiddetto Forte – per quanto riguarda il riconoscimento di una posizione

privilegiata dell’uomo all’interno dell’universo, se ne distanzia in parte, predicando il

rispetto nei confronti della natura.

Nonostante gli sforzi della Chiesa, furono in molti ad individuare nelle radici giudaico-

cristiane della cultura occidentale l’origine della concezione dell’uomo fatto ad

immagine e somiglianza di Dio e, in quanto tale, autorizzato a sfruttare la natura a suo

piacimento46.

Queste critiche, ed il relativo allontanamento dal cristianesimo, portò allo sviluppo di un

nuovo interesse per le filosofie e per le religioni orientali come taoismo, buddismo,

shintoismo ed induismo. Queste religioni infatti sembravano in grado di fornire

un’immagine maggiormente integrata dell’uomo all’interno della natura.

In questo senso operavano anche gli sforzi per la riscoperta del pensiero degli indiani

d’America negli U.S.A. Fu l’antropologo Stan Steiner a descriver la filosofia degli

indiani: “ Nel Cerchio della Vita tutti gli esseri sono uguali. Tutti siamo Sorelle e

Fratelli. La nostra vita è in comune con quella degli uccelli, degli orsi, degli insetti,

delle piante, delle montagne, delle nuvole, delle stelle, del sole. Per essere in armonia

con il mondo naturale si deve vivere nei cicli della vita”47.

46 Cfr. Lynn White, The Historical Roots of Our Ecological Crisis, in “Science, 1967, p.155 47 Cfr. B. Devall, G. Sessions, Ecologia Profonda, traduzione di G. Ricupero, edizioni gruppo Abele, Torino 1989, p. 100

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La scoperta di questi modi alternativi di concepire il rapporto uomo-natura ebbe una

larga diffusione a partire dagli anni Sessanta in tutto il mondo occidentale e, tramite

l’appoggio di esponenti appartenenti ad ogni classe sociale, influenzò i campi dell’arte,

della letteratura, della musica e persino della scienza.

Parallelamente a teorie scientifiche o dalle solide basi razionali, si svilupparono,

soprattutto negli Stati Uniti, una varietà di sette o movimenti culturali di cui l’esempio

più famoso è il cosiddetto “New Age”.

Sempre in quegli anni nacque una delle idee ambientaliste più famose degli anni

Ottanta: l’ipotesi Gaia. James Lovelock l’inglese, chimico dell’atmosfera, che l’ideò, si

rese conto che il rapporto tra mondo inorganico e vita non era in realtà unidirezionale.

“Non era solo il mondo inorganico a modificare la vita, anche la vita modificava la

Terra e il suo clima”48. Egli stesso scrisse: “Userò la parola Gaia quale termine sintetico,

come “emblema” dell’ipotesi stessa che propongo: cioè che la biosfera sia un’entità

auto-regolata, capace di mantenere vitale il nostro pianeta mediante il controllo

dell’ambiente chimico e fisico”49. Fu così che il termine Gaia iniziò ad essere usato da

chiunque considerasse il pianeta Terra come un’entità vivente.

Questa concezione del nostro pianeta venne usata sia dai biocentristi più estremi, i quali

svilupparono teorie fantasiose che descrivevano la terra come un vero e proprio essere

vivente, sia da irremovibili antropocentristi che invitavano Gaia ad eliminare l’uomo

dalla propria superficie nel momento in cui lo avesse ritenuto davvero necessario per la

propria autoregolazione.

Al di là delle diverse posizioni assunte, sembra ragionevole osservare come il

tema ambientale non sia evitabile all’interno del dibattito moderno, e tantomeno la presa

di coscienza del peso politico, sociale ed economico che esso porta con sé.

48 Ibidem 49 J.Lovelock, Gaia, nuove idee sull’ecologia, traduzione di V. Bassan Landucci, Bollati Boringhieri, torino 1996, p.7

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Cap. III:

Teorie Ecofilosofiche: una Panoramica

L’obiettivo di questo capitolo è quello di riassumere e rendere più chiara la suddivisione

dei diversi orientamenti filosofici sviluppatisi in campo ecologico. A questo scopo

verranno inoltre introdotte alcune teorie non trattate nel precedente capitolo.

Una panoramica generale in campo ecofilosofico risulta necessaria al fine di

comprendere in modo approfondito le teorie e le posizioni assunte dalla Deep Ecology,

oggetto centrale di questo trattato.

1. Antropocentrismo

Per i sostenitori di queste teorie i concetti di “valore” e “diritto” sono legati

inscindibilmente all’uomo che si pone in veste di valutatore nei confronti del pianeta e

delle altre forme di vita. Di conseguenza, può godere di un valore solo l’uomo, come

entità in sé, o ciò a cui l’uomo attribuisce un valore.

a. Antropocentrismo Forte

Questo frangia dell’antropocentrismo accomuna tutte quelle filosofie che reputano il

ruolo dell’uomo predominante all’interno della natura. Gli esseri umani avrebbero

quindi tutto il diritto di disporre di quest’ultima a proprio piacimento, senza porsi il

problema di quali potrebbero essere le conseguenze di tali azioni.

“L’antropocentrismo forte viene detto anche “etica della frontiera” - o “etica del

cowboy” - in quanto ricorda il comportamento tenuto dai pionieri nel vecchio West che

era indipendente dal governo e da tutti i suoi meccanismi”50.

50 J. Useem, New Ethics or No Ethics?, in Fortune, Vol. 141, n°6, Marzo 2000

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I sostenitori di questa corrente nutrono una fiducia illimitata nelle capacità umane di

rimediare ai disequilibri che l’uomo stesso ha creato – e continua a creare – con

comportamenti e politiche irragionevoli.

Attualmente tali posizioni sono supportate da pochi sostenitori; numerose ricerche in

campo scientifico, ed in particolare in campo ecologico, hanno infatti dimostrato

inconfutabilmente l’influenza del comportamento umano sugli equilibri naturali e la

necessità di una presa di coscienza in questo senso al fine di salvaguardare la

sopravvivenza della nostra, e numerose altre specie, su questo pianeta.

b. Antropocentrismo Debole

“Le posizioni conservazionista ed utilitaristica moderne credono sia giusto utilizzare

saggiamente le risorse ambientali per salvaguardare la salute dell’uomo, per rendergli la

vita più piacevole e per lasciare alle generazioni future le stesse possibilità di sviluppo

che abbiamo noi oggi”51.

Tra i maggiori sostenitori di questa tesi vi è il filosofo australiano John Passmore, il

quale, pur ammettendo che l’uomo “dovrà mutare atteggiamento rispetto a molte

importanti questioni”52, era convinto che non fosse necessaria una vera e propria

rivoluzione del pensiero occidentale per arrivare alla formulazione di una moderna etica

ambientale. Egli stesso, nel suo libro La nostra responsabilità nei confronti della

natura, sottolinea che “una cosa è raccomandare alle società occidentali maggior

prudenza nell’atteggiamento verso le nuove tecnologie, minore spreco delle risorse

naturali, maggior coscienza della loro dipendenza dalla biosfera; un’altra è avanzare

l’ipotesi che solo ricercando una nuova etica, una nuova metafisica, una nuova religione

e rinunciando all’approccio critico-analitico, orgoglio delle società occidentali, esse

potranno risolvere i loro problemi ecologici”53.

Dal punto di vista di Passmore, inoltre, l’etica è qualcosa che riguarda soltanto l’uomo;

di conseguenza tutti gli esseri che non sono i grado di comunicare non possono far parte

di una comunità morale. Tutelare gli animali da sofferenze inutili e la natura da uno

sfruttamento eccessivo, pur essendo doveroso, non significa attribuire dei diritti alla

51 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 48 52 J. Passmore, La nostra responsabilità per la natura, Feltrinelli, 1986, p. 19 53 Ibidem

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natura. Secondo il filosofo australiano sarebbe dunque l’uomo a perdere dei diritti non

la natura a guadagnarne: “un fiume non acquista dei diritti dal momento in cui si limita

la libertà dell’inquinatore”54. Il concetto di diritto è perciò applicabile esclusivamente a

ciò che è umano.

Il punto di vista secondo cui l’uomo sarebbe arbitro di ciò che è bene e ciò che è male,

nonché unico detentore di diritti, è comune a tutte le posizioni antropocentriche.

Secondo queste filosofie “solo l’uomo è, e rimane, il perno centrale della natura”55.

2. Biocentrismo

Se l’antropocentrismo - sia esso forte o debole - riconosce sempre e comunque il ruolo

centrale dell’uomo all’interno della natura, il punto comune di tutte le posizioni

biocentriche è proprio il ritenere inadeguato qualunque tipo di antropocentrismo,

sostenendo che la natura sia dotata di un valore intrinseco indipendente da quello che

l’uomo possa attribuirle.

a. Biocentrismo individualista

Tra le teorie biocentriste individualistiche è possibile attuare una successiva distinzione

tra le correnti “pure” – come l’ ”etica animale” ed i “diritti animali” – ed altre che si

avvicinano maggiormente alle posizioni olistiche – come il “principio di vita” ed il

“rispetto per la natura”.

Fu Peter Singer, filosofo australiano, a sviluppare il concetto di ”Etica animale”.

Nei suoi due articoli più famosi, Animal Liberation56 e All Animals Are Equal57, egli

rivendica il principio di uguaglianza di tutte le specie, un principio di uguaglianza che

tende a salvaguardare la diversità. “Il principio di base dell’uguaglianza [...] è

54 Ibidem 55 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 51 56 P. Singer, Animal Liberation, New York Review of Books, 20, April 5th, 1973 57 P. Singer, All Animals Are Equal, in: M.E. Zimmermann et al (edts.), Environmental Philosophy, Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey, 1998. Originariamente pubblicato su: Philosophic exchange, vol.1, n. 5, 1974

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l’uguaglianza della considerazione; e un’uguale considerazione per esseri differenti può

portare a differenti trattamenti e differenti diritti”58.

Singer sostituisce ad un utilitarismo della somma – che, come criterio di scelta, prende

in considerazione una semplice somma di tutte le conseguenze positive e negative di

una determinata azione – un utilitarismo della preferenza, che tiene conto anche dei

soggetti coinvolti dalle conseguenze delle azioni in questione. All’atto pratico quindi,

mentre l’utilitarismo della somma giustifica azioni molto gravi nei confronti del singolo

a beneficio della maggioranza, l’utilitarismo della preferenza pone delle norme morali

intrasgredibili. “Sarebbe pronto il vivisettore ad eseguire il suo esperimento su un

bambino neonato orfano, se questo fosse l’unico modo di salvare molte vite?” se non lo

fosse “ allora la sua solerzia ad usare i non-umani è semplice discriminazione”59. Un

aneddoto interessante al riguardo narra di un oppositore che fece notare a Singer come i

ratti fossero pericolosi in quanto mangiavano i bambini, Singer rispose dicendo che

quella era la dimostrazione inconfutabile che anche i ratti nutrono degli interessi.

Singer giustifica la disobbedienza legale in nome della salvaguardia dell’integrità

morale: “Se è in nostro potere prevenire qualcosa di male senza sacrificare qualcosa di

comparabile importanza morale, è nostro dovere morale farlo”60.

Il filosofo americano Tom Regan si spinse oltre sostenendo la necessità di

riconoscere l’esistenza di veri e propri “Diritti animali” e considerando l’utilitarismo un

concetto facilmente confutabile e per di più tendente ad oscurare il vero problema

ambientale. Secondo Regan , gli animali necessiterebbero di veri e propri diritti in

quanto possessori di un valore intrinseco, detto “valore inerente”, che appartiene a

qualunque essere “in grado di rendersi conto se sta meglio o peggio a causa di azioni

altrui”61.

Un altro americano, Kenneth E. Goodpaster, sostenne che la semplice

concezione dell’esistenza di individui degni o non degni di considerazione morale fosse

di per sé una discriminazione. Non hanno ragion di esistere, secondo il filosofo

americano, dei criteri come la razionalità, la capacità di provare dolore o la capacità di

comunicare, secondo i quali poter definire se un essere vivente sia degno o meno di

58 Ibidem 59 Ibidem 60 Cfr. L. Battaglia, Etica e diritti degli animali, Laterza, Bari 1999 61 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 58

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diritti. Secondo Singer, l’unico criterio ammissibile è l’ “essere vivi” e quindi l’unico

principio a cui ha senso appellarsi è il “Principio di vita”.

Secondo Paul W. Taylor , invece, tutte le ragioni per cui l’uomo si ritiene

superiore agli altri esseri viventi partono dalla sua prospettiva, causando così una

confusione concettuale. “Se la nostra società occidentale è arrivata a negare le

differenze fra gli uomini in quanto non esistono prove scientifiche a sostegno, perchè

allora continuiamo a voler discriminare gli altri organismi quando la nostra base

biologica, il DNA, è la stessa?”62. Di conseguenza questa superiorità non è

rivendicabile, è puro pregiudizio. Al contrario, una dottrina che sottolinei l’imparzialità

delle specie apre la porta ad una ragionevole “Etica del rispetto”.

b. Biocentrismo olistico

La corrente biocentrica olistica, come già illustrato, nacque con il pensiero di Aldo

Leopold. La sua Etica della terra ha avuto il merito di tracciare una netta linea di

separazione dalle teorie precedenti in quanto presenta una struttura deontologica – e

quindi orientata ai doveri – piuttosto che prudenziale o cautelativa, arrivando così a

teorizzare una vera e propria “etica del valore”.

Il filosofo americano Holmes Rolston III, invece, impostò la sua ricerca su

un’attenta analisi del rapporto tra organismi, specie ed ecosistemi.

Il nodo centrale sta, secondo Rolston, nel riconoscere un valore alla vita in sé piuttosto

che considerarla un bene strumentale al servizio dell’uomo; un valore biogenico

dunque, non antropogenico.

Il singolo individuo inoltre, esaminato come soggetto solitario, non ha alcuna possibilità

di sopravvivenza e non è quindi portatore di alcun valore se estromesso dal proprio

ecosistema; lo stesso Rolston afferma che “solo con una visione più ampia del singolo,

preso come “punto di esperienza” nella rete delle interconnessioni tra i viventi, acquista

un valore intrinseco per sé, promuove la propria realizzazione e al tempo stesso

modifica l’ambiente attraverso la sua tecnica, il suo know-how”63. In questo senso è

dunque la specie a diventare oggetto morale in quanto determina il futuro dei singoli.

62 Ibidem, p.62 63 Cfr. P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005

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Da un punto di vista evoluzionistico infatti, più ampia è la variabilità genetica di una

specie e più questa avrà la possibilità di sopravvivere nel tempo. In quest’ottica

l’estinzione è da considerarsi come un super-omicidio64.

Partendo da questi postulati si può dunque affermare che le specie posseggano un

“diritto alla vita” superiore ai singoli individui ad esse appartenenti e che, quindi, in

nome della salvaguardia del loro bene, il sacrificio di qualche esemplare possa essere in

alcuni casi lecito.

Di un valore ancora maggiore sono portatori gli ecosistemi, i quali, grazie ad una

costante pressione selettiva, permettono l’evoluzione naturale delle specie.

Rolston, pur ammettendo che gli ecosistemi non possano essere detentori di valore,

ritiene che essi siano in ogni caso produttori di valore e che meritino perciò una

considerazione morale da parte nostra.

In conclusione, per il filosofo americano, il valore necessita solo di qualcuno che lo

detenga e precede dunque la comparsa dell’uomo e le sue valutazioni. Il valore

intrinseco è dunque una parte in un tutto: “Il sistema è un trasformato di valore dove

forma ed essere, processo e realtà, fatto e valore sono legati indissolubilmente. I valori

intrinseco e strumentale fanno la spola avanti e indietro, parti-negli-interi e interi-nelle-

parti, dettagli locali di valore inclusi in strutture globali, gemme nella loro

incastonatura: una corporazione dove il valore non può rimanere da solo. Ogni bene è

nella comunità”65.

L’ Etica del valore prende dunque in maggior considerazione il “valore sistemico”

rispetto al “valore intrinseco”, ponendosi così come anticipato in un panorama

biocentrico olistico.

64 H. Rolston, Challenges in Enviromental Ethics, in: M.E. Zimmerman et al (edts.), Environmental Philosophy, Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey, 1998 p. 124-144. Originariamente pubblicato su: Enviromental Ethics, vol.2, n.2, 1980. 65 H. Rolston, Challenges in Enviromental Ethics, in: M.E. Zimmerman et al (edts.), Environmental Philosophy, Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey, 1998 p. 143. Originariamente pubblicato su: Enviromental Ethics, vol.2, n.2, 1980.

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3. Deep Ecology

La cosiddetta Ecologia Profonda costituisce un ramo a sé stante delle filosofie

ambientali, essa si contraddistingue per l’ampia varietà di temi trattati e per la

consolidata tendenza all’attivismo dei suoi sostenitori.

Questa corrente, nata in Norvegia a partire degli anni ’40, si sviluppa dal pensiero di

alcuni filosofi come Peter Zapffe, Sigmund Kvaloy e, principalmente, Arne Naess.

“In particolare i filosofi norvegesi sentirono la necessità di spostarsi dalle tesi

tipicamente antropocentriche verso un nuovo concetto biocentrico che avvolgesse, come

in un abbraccio, tutto il mondo, un concetto a volte definito “ecocentrico” per

sottolinearne l’integrazione armonica nella natura”66.

L’ ecosofia di Arne Naess, in particolare, sembra proporre argomenti originali ed

alternativi alla classica opposizione antropocentrismo-biocentrismo.

Se da un lato infatti Naess critica profondamente i modelli di vita della società moderna,

dall’altra non arriva mai a giustificare comportamenti per così dire “antiumani” se pur

intrapresi in difesa della natura.

“Il fatto di volere fortemente che gli esseri viventi (individui e comunità) non vengano

bistrattati, non significa essere contrari al bene della nostra specie. Anzi vuol dire

comprendere che il bene nostro passa attraverso il benessere di tutta la comunità biotica.

E se vogliamo, giustamente, realizzare le nostre potenzialità dobbiamo lasciare liberi gli

altri esseri di realizzare le loro”67

66 P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005, p. 77 67 Cfr. P. Pagano, Filosofia Ambientale, Mattioli 1885, Fidenza 2005

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Parte II: Teoria e Norme della Deep Ecology

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Cap. IV:

Dai Sette Principi del 1973 alla Piattaforma del 1976

La differenza tra Deep Ecology e Shallow Ecology – ecologia profonda e di superficie –

viene delineata per la prima volta da Arne Naess, in un articolo considerato il manifesto

del movimento dell’Ecologia Profonda: “The Shallow and the Deep, Long-range

Ecology Movement. A Summary”68. L’intervento del filosofo norvegese apparve nel

1973 su Inquiry, rivista interdisciplinare di filosofia e scienze sociali diretta dallo stesso

Naess.

1. I sette punti del 1973

L’articolo di Naess nasce dall’esigenza di distinguere e caratterizzare i diversi e

numerosissimi movimenti ecologisti che stavano nascendo a quel tempo. Egli compie

una netta distinzione tra il movimento dell’Ecologia Superficiale, piuttosto potente ed in

vista durante quegli anni, e quello dell’Ecologia Profonda, meno influente ma dalle basi

teorico-filosofiche più salde.

Gli obiettivi della prima – che sembrano essere appunto abbastanza superficiali – si

limmiterebbero alla lotta contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse al fine di

garantire il benessere fisico ed economico dei Paesi sviluppati. Illustrando i sette

principi fondamentali della Deep Ecology, Naess mostra come questo movimento

possegga invece una comprensione ben più ampia del problema ecologico.

68 A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-range Ecology Movement. A Summary, in “Inquiry”, Vol. 16 (1973), N°1, traduzione mia

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(1) Rifiuto dell’immagine dell’uomo-nell’ambiente a favore dell’immagine relazionale a

tutto campo.

Consiste nel considerare gli organismi come “nodi della rete biosferica o del campo di

relazioni intrinseche”69. Definendo come intrinseca una relazione tra A e B, tale da

appartenere alla costituzione fondamentale di A e B cosicché, se si togliesse questa

relazione, A e B non risulterebbero essere più gli stessi enti.

Si apre in questo modo la strada ad una visione diversa del rapporto uomo-natura: il

concetto di uomo collocato nell’ambiente – inteso come entità distaccata da esso - non

ha più ragione di esistere.

(2) Egualitarismo biosferico, in linea di principio.

Per chiunque si occupi di ecologia, secondo Naess, l’eguale diritto a vivere e a

realizzarsi pienamente è un postulato valoriale intuitivamente ovvio.

Il vero antropocentrismo sta proprio nel fatto di limitare tale diritto solo agli uomini,

posizione che produce effetti negativi sulla nostra stessa esistenza in quanto non ci

permette di godere dell’intima relazione con le altre forme di vita.

La clausola “in linea di principio” è inserita poiché, realisticamente, qualunque prassi

intrapresa a livello pratico implica una certa quantità di sacrifici (sfruttamenti,

oppressioni o uccisioni) – da ciò non deriva una giustificazione di essi bensì un

impegno per far sì che vengano il più possibile limitati.

(3) Principi di diversità e simbiosi

Il principio di diversità viene qui considerato – in linea con le principali teorie

scientifiche ecologiche - come accrescitore delle potenzialità di sopravvivenza. La lotta

per l’ autoconservazione e la stessa selezione naturale vengono interpretate da un punto

di vista cooperativo. “ ‘Vivi e lascia vivere’ è un principio ecologicamente più potente

che non ‘tu o io’ ”70.

Perciò è ragionevole guardare favorevolmente alla preservazione della diversità degli

stili di vita, delle culture e delle economie.

69 Ibidem, p. 95 70 A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-range Ecology Movement. A Summary, in “Inquiry”, Vol. 16 (1973), N°1, p. 96, traduzione mia

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(4) Posizione anticlassista

Riflette gli stessi principi visti nel punto (3) ed applicati, in particolare, al conflitto tra

diversi gruppi di esseri umani. L’instaurarsi di gruppi sfruttatori e di gruppi sfruttati

sfavorisce in realtà la potenzialità di autorealizzazione di entrambi. Bisogna dunque

affermare l’applicazione di codesti principi – di diversità, di simbiosi ed anticlassista –

ad ogni tipo di conflitto tra gruppi, ed in particolare a quello tra Paesi sviluppati ed in

via di sviluppo.

(5) Lotta contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse

Si tratta di un punto centrale per la Shallow Ecology che però, focalizzandosi solo su

questo, rischia di non individuare il quadro ben più generale messo a fuoco dalla Deep

Ecology. Infatti, porre la propria attenzione solo sul punto (5) tralasciando gli altri sei

può avere come risultato un inasprimento degli effetti negativi sotto i profili sopra

considerati. “Così, per esempio, se i prezzi dei beni di prima necessità aumentano a

causa dell’istallazione di sistemi anti-inquinamento, si acuiscono anche le differenze di

classe”71. Risulta dunque fondamentale – al fine di individuare rimedi utili - non

limitare la propria attenzione alle conseguenze più eclatanti dei comportamenti

antiecologici ma indagare le effettive cause di tali comportamenti.

(6) Complessità, non complicazione

Fondamentale è la distinzione tra ciò che è complicato, cioè privo di qualunque

principio unificatore – nell’ottica di Naess, di una Gestalt - e ciò che è complesso,

ovvero che presenta una serie di fattori interagenti che costituiscono un sistema.

La Deep Ecology tiene conto di questa differenza e si sforza di individuare la

complessità manifestata nella biosfera dagli organismi, i modi di vita e le interazioni

che la regolano. Diviene perciò inevitabile pensare in termini di grandi sistemi.

Allo stesso modo il principio di complessità-non-complicazione , se applicato all’uomo,

propone attività in cui si attivi la persona nella sua interezza, nonché economie

complesse ed una varietà di mezzi di sussistenza.

(7) Autonomia locale e decentramento 71 A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-range Ecology Movement. A Summary, in “Inquiry”, Vol. 16 (1973), N°1, p. 97, traduzione mia

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“La vulnerabilità di una forma di vita è approssimativamente proporzionale al peso che

su di essa hanno le influenze provenienti da lontano, dall’esterno della regione locale in

cui quella forma ha conseguito un equilibrio ecologico”72.

Questa è l’argomentazione di base a sostegno di un rafforzamento degli autogoverni

locali ed una spinta verso il decentramento. Ciò porterebbe anche ad una riduzione di

problemi come l’inquinamento e lo scarso riciclo di materiali. Per realizzare una politica

di questo tipo è necessaria una “riduzione del numero di anelli delle catene decisionali

gerarchiche”73.

Bisogna tenere conto del fatto che le norme della Deep Ecology non sono state

dedotte logicamente dall’ecologia bensì sono state semplicemente suggerite ed ispirate

da essa. Infatti, la struttura base del sistema di priorità valoriale dell’Ecologia Profonda,

dal carattere chiaramente normativo, si basa solo in parte su risultati scientifici. Queste

norme quindi, secondo Naess potranno, e dovranno, essere elaborate liberamente in

futuro.

In questo senso, l’ecologia risulta limitata, in quanto fa uso di puri metodi scientifici.

Perciò Naess propone l’Ecosofia, una filosofia dell’armonia e dell’equilibrio ecologico:

“Una filosofia intesa come forma di sapienza sul tipo della sofia greca è chiaramente

normativa; contiene sia norme, regole, postulati, asserzioni di priorità valoriale, sia

ipotesi riguardanti lo stato delle cose nel nostro universo. La sapienza è sapienza

politica, prescrizione, non soltanto descrizione e previsione scientifica”74.

Di conseguenza, considerando l’ampio campo di argomenti trattati – ecologico,

normativo, sociale, politico, etico - , ciò che contraddistingue un’ecosofia è il suo

carattere globale, non la sua precisione nei dettagli, in questo senso “i sette punti

forniscono un quadro di riferimento unitario per i sistemi ecosofici”75.

72 Ibidem, p. 98, traduzione mia 73 Ibidem 74 A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-range Ecology Movement. A Summary, in “Inquiry”, Vol. 16 (1973), N°1, p. 99, traduzione mia 75 Ibidem

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2. Crisi della società moderna e proposte della Deep Ecology

Tre anni più tardi, nel 1976, Arne Naess pubblica Okology, Samfunn og Livsstill76.

Nell’introduzione di quest’opera egli approfondisce i motivi che, dal suo punto di vista,

rendono necessario l’approccio della Deep Ecology nella società moderna,

proponendone una particolare piattaforma.

a. La situazione

Secondo Naess, nella società moderna si è giunti ad una visione del mondo che mette in

primo piano una cultura di tipo tecnico-industriale. Questa prospettiva è resa critica

dall’ “aumento esponenziale, in parte o del tutto irreversibile, del degrado e della

devastazione dell’ambiente, perpetrati attraverso metodi di produzione e di consumo

ormai consolidati a causa di una mancanza di politiche adeguate per contrastare

l’aumento della popolazione umana”77. Al contrario, quello di cui ha bisogno l’uomo è

un tipo di una società in cui si apprezzino i valori e non la sola crescita economica, una

società in cui si possa vivere in armonia con gli altri esseri viventi invece che

sfruttandoli a proprio beneficio. Questa crisi si manifesta in modo così profondo poiché

sfugge in gran parte al controllo umano: i meccanismi di crescita e sviluppo ormai si

auto-impongono senza essere controllati da alcun gruppo o classe sociale. In pratica

l’uomo è divenuto schiavo di un meccanismo di cui si pensava padrone.

Questa schiavitù ideologica, particolarmente evidente nei Paesi occidentali, ci porta ad

identificare il tenore di vita materiale con la qualità della vita. Ancor più grave è il fatto

che l’insoddisfazione e l’inquietudine imposte dai ritmi dettati dal consumismo siano

state accettate senza alcuna opposizione efficace e che un ritorno ad una scala di valori

che prediliga la qualità della vita invece del tenore di vita venga vista come una

minaccia o una semplice utopia.

Lato positivo di questa situazione è che “La crisi delle condizioni di vita sulla Terra

potrebbe aiutarci a scegliere una nuova strada con nuovi criteri di progresso, di

76 A. Naess, Okology, Samfunn og Livsstill, Universitetsforlaget, 1976. In Italiano: Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994 77 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 24

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efficienza e di azione razionale”78 portandoci così a sperimentare una nuova, e meno

limitata, visione della nostra esistenza.

Secondo Naess infatti, nonostante la popolazione umana abbia intrapreso una strada

catastrofica, non implica necessariamente che il peggio si realizzerà. Lo spettro della

catastrofe ecologica può, e deve, essere smentito da noi anche se ciò significa provocare

duri conflitti politici e cambiare profondamente gli obiettivi economici dei paesi

industrializzati.

b. Una piattaforma del movimento della Deep Ecology

Dopo aver individuato le problematiche principali della crisi ecologica moderna, Naess

non solo ripropone i sette punti esposti nel suo articolo The Shallow and the Deep,

Long-range Ecology Movement. A Summary79 , ma si spinge oltre formulando, insieme

a George Session, la “Proposta di una piattaforma dell’ecologia profonda”. Gli otto

punti della piattaforma esprimono alcune posizioni fondamentali, sebbene non assolute,

dell’ Ecologia Profonda. Infatti, gli autori invitano chiunque riconosca la differenza tra

ecologia profonda ed ecologia superficiale, concordando maggiormente con le teorie

della prima, a formulare una propria piattaforma.

Sono qui riportati gli otto punti della piattaforma con alcune precisazioni:

(1) Il fiorire della vita umana e non umana sulla Terra ha un valore intrinseco. Il valore

delle forme di vita non umane è indipendente dall’utilità che queste possono avere per i

limitati scopi umani.

Il termine “vita” è usato in un’accezione ampia, indicando anche ciò che non viene

considerato come “vivo” dai biologi – come ad esempio fiumi o montagne. Il valore

assoluto della vita è perciò esteso da un senso biosferico ad un senso ecosferico – e

soprattutto indipendente dall’aspetto utilitaristico umano.

78 Ibidem, p. 27 79 A. Naess, The Shallow and the Deep, Long-range Ecology Movement. A Summary, in “Inquiry”, Vol. 16 (1973)

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(2) La ricchezza e la diversità di forme di vita sono valori in sé e contribuiscono alla

prosperità della vita umana e non umana sulla Terra.

È qui sottolineato come l’evoluzione della vita e delle specie sia un processo che

implica la produzione di diversità e ricchezza. Le forme di vita cosiddette inferiori non

vanno peciò viste come semplici “passaggi” verso forme superiori, bensì come

contributo essenziale alla ricchezza e alla diversità. Inoltre il mantenimento della

ricchezza, o abbondanza, legata alla conservazione degli habitat e del numero degli

individui, risulta fondamentale in quanto la vita sul nostro pianeta, se ridotta, potrebbe

risultare disturbata pur conservandone la diversità.

(3) Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e questa diversità,

se non per soddisfare bisogni vitali.

Risulta necessario specificare, in base alla situazione particolare, cosa si intenda con

“bisogni vitali" e valutare il modo più consono per soddisfarli senza infrangere la

regola. Al di là di questo l’importanza di tale regola sembra essere quella di tracciare

una netta separazione dalle teorie antropocentriche.

(4) L’attuale interferenza umana nel mondo non umano è eccessiva, e la situazione sta

peggiorando rapidamente.

Partendo dal presupposto dell’impossibilità umana di agire senza modificare gli

ecosistemi, bisogna considerare e discutere la natura e le dimensioni dell’interferenza

dell’uomo in questo senso.

(5) Il fiorire della vita umana e delle diverse culture è compatibile con una sostanziale

diminuzione della popolazione umana. L’esistenza stessa delle forme di vita non umane

esige tale diminuzione.

Il contenimento e la riduzione della popolazione umana è certo un progetto a

lunghissimo termine, ciononostante bisogna applicare strategie provvisorie in vista di

esso. Mantenendo la situazione attuale infatti saranno necessarie in futuro misure molto

drastiche che comunque non saranno in grado di garantire la salvaguardia dei principi di

diversità e ricchezza.

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(6) Un miglioramento significativo delle condizioni di vita richiede un cambiamento

delle politiche attuali. Queste politiche influiscono sulle strutture economiche,

tecnologiche e ideologiche fondamentali.

Nelle società attuali il valore è inteso come valore di mercato e la crescita di un Paese

coincide con la sua crescita economica. Sono necessarie politiche che trascendano

questa visione dei valori e che siano in grado di operare a livello internazionale per uno

sviluppo comune. Una “politica della crescita economica” risulta incompatibile con tutti

i punti della piattaforma precedentemente enunciati.

(7) Il primo cambiamento ideologico dovrebbe consistere nell’apprezzare la “qualità

della vita” (e quindi le situazioni che hanno valore intrinseco) invece di promuovere un

alto tenore di vita. Ci deve essere una profonda consapevolezza della differenza tra ciò

che è grande dal punto di vista quantitativo (big) e ciò che lo è dal punto di vista

qualitativo (great).

“Alcuni economisti criticano l’espressione ‘qualità della vita’ perché la considerano

troppo vaga. Ma, ad un’analisi più approfondita, quello che essi considerano vago è la

sua natura non quantificabile”80. Ciò che è realmente importante nella nostra vita non è

quantitativamente calcolabile ed una presa di coscienza in tal senso risulta necessaria al

fine di ridefinire i nostri obiettivi morali, politici ed economici.

(8) Coloro che sottoscrivono questi punti si impegnano a partecipare, direttamente o

indirettamente, allo sforzo di realizzare le trasformazioni necessarie.

Questi principi non verranno sicuramente interpretati in modo omogeneo, dando vita a

differenti opinioni a riguardo, ma ciò non preclude la collaborazione tra chi vi aderisce.

In questo senso l’utilità fondamentale della “piattaforma comune” è quella di dare

un’identità al movimento della Deep Ecology , permettendole di distinguersi dagli altri

movimenti ecologisti.

80 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 34

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Cap. V:

Dal Pensiero Ecologico al Pensiero Ecosofico

1. Terminologia

Al fine di evitare confusione riguardo le discipline inerenti il movimento della Deep

Ecology, si ritiene necessario indicarne gli specifici ambiti di indagine e le principali

differenze che intercorrono tra esse.

a. Ecologia

Secondo Naess al termine ecologia sono stati spesso attribuiti diversi significati ma

nella sua ricerca esso “[...] verrà inteso come lo studio scientifico interdisciplinare delle

condizioni di vita di organismi interagenti l’uno con l’altro e con la realtà circostante,

nei suoi elementi sia organici che inorganici. Per indicare questa realtà verranno usati,

quasi come sinonimi, i termini ‘contesto’ (milieu) ed ‘ambiente’ (environment) ”81.

L’aspetto dell’ecologia che più interessa Naess è il fatto che questa scienza consideri

come basilare l’interazione tra le varie entità, considerando tali relazioni come una

componente essenziale rispetto ciò che queste entità sono in sé.

b. Ecofilosofia

Uno dei postulati metodologici dell’ecologia afferma dunque che “tutto dipende da

tutto”; proprio questo approccio può essere applicato in modo calzante alla filosofia: “la

collocazione dell’umanità all’interno della natura e la ricerca di nuovi metodi per

spiegare tale collocazione tramite l’utilizzo di sistemi e prospettive relazionali. Lo

studio dei problemi comuni sia all’ecologia sia alla filosofia sarà qui chiamato

81 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 40

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ecofilosofia”82. Tratto fondamentale di questo studio è quello di essere puramente

descrittivo e non prescrittivo, ovvero non operare alcuna scelta di tipo valoriale ma

limitarsi all’esame di determinati problemi.

c. Ecosofia

Ogni volta che si affrontano questioni concrete però, si rivela necessario un approccio

prescrittivo che stabilisca una priorità di valori.

Lo stesso termine “filosofia” può indicare, secondo Naess, un tipo di approccio alla

conoscenza o una personale visione del mondo che porta con sé una particolare scala

valoriale.

La filosofia, intesa in quest’ultimo significato ed applicata a problematiche e questioni

inerenti l’uomo e la Natura, prenderà il nome di Ecosofia.

È quindi utile lo studio di un’ecofilosofia, ma nel momento in cui si dovranno

affrontare determinate problematiche a livello pratico, risulterà necessario

l’elaborazione di una propria ecosofia.

Altrettanto importante è evitare di considerare l’ecologia come una scienza suprema -

errore commesso invece dalla Shallow Ecology - portando ad un’eccessiva

universalizzazione dei concetti ecologici. Non è possibile infatti sostituire totalmente la

teoria della conoscenza con alcune teorie ecologiche generalizzate.

2. Valutazioni e norme

Naess vuole dunque sottolineare come, da un lato, una strada puramente scientifica non

possa portare alla deduzione di norme morali, e dall’altro, un percorso puramente

filosofico non possa portare ad azioni concrete.

“ Nell’ecosofia, a differenza della filosofia accademica, le decisioni e le azioni concrete

contano tanto quanto le generalizzazioni astratte”83. Risulta dunque fondamentale

82 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 41 83 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 47

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cercare di creare un equilibrio ed una reale interconnessione tra proposte teoriche ed

azioni pratiche.

L’ecologia come scienza non è in grado di indicare fini di tipo valoriale: a partire da

essa si può creare esclusivamente un’etica di tipo consequenziale, che non permette cioè

di giudicare le conseguenze di determinate azioni come buone o cattive.

Al contrario, questa capacità di giudicare poggia su alcune norme fondamentali della

nostra vita, derivate grazie alla nostra tendenza alla generalizzazione. Solo in questo

modo è possibile “porre delle priorità ecosofiche di valore che conducono ad

affermazioni del tipo ‘noi dovremmo’ o ‘noi non dovremmo’ “84.

Il compito ecosofico risulta perciò risolvibile solo a livello personale, non a livello

scientifico o filosofico, è necessario perciò un impegno ed una presa di coscienza del

singolo a partire da un punto di vista gestaltico.

3. La natura tra oggettività e Gestalt

a. Le qualità della natura ed il relazionismo

Secondo Naess, l’attuale opinione comune tende a considerare la descrizione della

natura formulata dalle scienze matematiche, come quella che più si avvicina alla cosa in

sé. Questa convinzione affonda le proprie radici nel XVII secolo, quando tra gli

scienziati del tempo si affermò la distinzione tra qualità primarie, ovvero geometrico-

meccaniche, come forma e dimensione; qualità secondarie, legate cioè alla particolare

percezione della persona, come il colore ed il profumo; e qualità terziarie, fornite da

una complessità di percezioni, come il bello, il forte o l’armonico. Le qualità del primo

tipo erano considerate oggettive, cioè indipendenti dai diversi modi in cui potevano

essere percepite dal soggetto, mentre quelle del secondo e terzo, dipendendo

imprescindibilmente dalle diverse modalità di percezione, erano considerate soggettive.

84 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 50

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Una concezione di questo tipo porta alla separazione della realtà umana da quella che

viene considerata la natura vera e propria.

Come afferma Whitehead, “ L’ipotesi paradossale di una natura senza colori, toni ed

odori, può esistere solo perché abbiamo confuso le nostre astrazioni con la realtà

concreta”85.

Al contrario, da un punto di vita ecosofico, le qualità secondarie sono da considerarsi di

natura: per il solo fatto che qualcuno percepisca una cosa come caratterizzata da

determinate qualità significa che quel qualcosa possiede le qualità in questione.

Le caratteristiche degli oggetti non sono perciò da considerarsi soggettive o oggettive,

bensì sono inscindibilmente legate, tramite relazioni di interdipendenza, alla nostra

concezione del mondo. Tali connessioni sono l’unica cosa oggettiva: sono campi di

relazione a cui le cose partecipano e da cui non possono essere isolate.

Di conseguenza la struttura della realtà studiata dalle scienze – anche se condivisibile da

tutti indipendentemente dalle diverse culture – appartiene alla realtà ma non è la realtà.

È invece il campo relazionale a definire in modo globale la nostra realtà.

Come specifica Naess, non può esistere alcuna affermazione del tipo “A è B” ma solo

“A è B in relazione a C” in questo modo le sensazioni stesse acquistano uno status

ontologico vero e proprio86.

In questo senso il relazionismo ha un fondamentale valore ecosofico, in quanto elimina

il punto di vista secondo cui organismi e persone possano essere estrapolati dal proprio

ambiente. Ogni organismo infatti è un’interazione e quindi presuppone un ambiente.

b. Gestalt e pensiero gestaltico

Per sottolineare le proprie posizioni, Naess si rifà al concetto di Gestalt - sviluppatosi

all’interno della psicologia della percezione - secondo cui nessun aspetto della realtà

può essere da noi percepito isolatamente. Così, per esempio, nel momento in cui

ammiriamo un fiore, percepiamo non solo la sua Gestalt - composta da colori, profumi e

85 A.N. Withehead, Science in the Modern world, Cambridge University Press, 1972, p. 69 86 Cfr. A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994

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dimensioni - ma anche una Gestalt di livello superiore, e ad essa strettamente legata, che

comprende tutto l’ambiente circostante.

Al contrario, nel momento in cui approcciamo la realtà tramite metodologie scientifiche,

neutralizziamo le nostre capacità gestaltiche.

Il pensiero scientifico mette in ridicolo la Gestalt usando diversi modelli per ogni

aspetto della realtà, nonostante questo atteggiamento si scontri con la nostra esperienza

quotidiana, dal carattere decisamente gestaltico.

Secondo Naess è invece necessario porre alla base dell’ontologia ecosofica – ed in

particolare della propria Ecosofia T – l’identificazione gestaltica.

Ciò significa che i concetti di “natura” ed “ambiente” non possono venir definiti senza

far riferimento alle interazioni tra gli elementi che ne fanno parte. Perciò la complessità

del mondo che ci circonda, del “tutto”, non può più essere vista in un’ottica puramente

utilitaristica - finalizzata cioè alla realizzazione del singolo - come avviene invece

comunemente nella società occidentale moderna. Di conseguenza l’antropocentrismo -

almeno a livello teorico - non ha più ragione di esistere. Per di più si attua un

ricongiungimento tra il pensiero e le emozioni, per cui non risulta più necessario

considerare le qualità terziarie come puramente soggettive.

c. Emozione e valore

Spesso si tende a porre in contrapposizione l’attivismo ecologico, visto da molti come

un movimento dalle basi “emotive”, alla pura razionalità di pensiero della società

occidentale moderna.

Secondo Naess, per chiarire la questione è bene far luce sulla distinzione tra emozioni

spontanee – che scaturiscono in modo immediato – ed i giudizi di valore che, pur

poggiando su tali emozioni, non sono da considerarsi puramente emotivi. Non è infatti

possibile una totale neutralità a livello emozionale ed i giudizi di valore risultano

sempre da una complessità di sentimenti.

La pretesa, dunque, di attribuire a ciò che ci circonda solo qualità primarie porta ad una

concezione della natura che risulta in totale contraddizione con il nostro vissuto e che

spesso la riduce addirittura ad essere considerata pura e semplice risorsa.

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Per questi motivi, secondo Naess, le divergenze tra “sviluppisti” – cioè coloro che

sostengono un approccio puramente scientifico – e “conservazionisti” - coloro che

invece prediligono la visione gestaltica – rilevano, in prima istanza, un discorso

ontologico e successivamente di uno etico: è infatti dal modo in cui percepiamo il

mondo che dipende la nostra etica. In questo senso lo “sviluppista” considera “i propri

sentimenti di fiducia nel progresso come basati sulla realtà oggettiva, non

sull’emozione”87.

In conseguenza di questo ragionamento Naess si dice convinto che sia “importante che

la filosofia dell’ambientalismo impari a spostarsi dall’etica all’ontologia per poi

ritornare all’etica”88.

4. Le norme fondamentali

“Un movimento ecologico profondo deve promuovere una trasformazione dei

componenti fondamentali previsti dal paradigma dominante nelle società industriali

avanzate. A tal fine deve continuamente opporre le proprie norme e i propri valori non a

qualche filosofia esplicita che giustifichi il paradigma dominante (che sembra

inesistente), ma a ciò che esso comporta nella pratica”89.

La fede nella tecnocrazia spinge a considerare la stessa politica come una tecnologia

sociale che rende possibile un vero e proprio calcolo delle scelte più giuste per far fronte

ad una determinata situazione. Ormai i politici ed i loro consulenti, anche se sostengono

di ispirarsi a determinati valori ecologici, accettano solo argomentazioni basate su

dimostrazioni scientifiche, non ideologiche. Al contrario, la Deep Ecology proclama

una necessità di priorità valoriale che ricopra un contesto ampio ed eterogeneo.

Uno dei problemi principali della visione “quantitativa” della società occidentale è

quella di considerare lo sviluppo ed il progresso sempre in termini di crescita tecnico-

industriale nonché economica.

“Poche cose hanno avuto un effetto così distruttivo sulla possibilità di dialogare in

modo sincero, e più in generale sull’impegno personale nel movimento ecologico, della

87 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 80 88 Ibidem 89 Ibidem, p. 82

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convinzione che ‘è inutile cercare di fermare il progresso’ ”90. L’errore fondamentale,

in questo senso, è quello di intendere il progresso sempre e comunque in un’accezione

quantitativa e considerarlo come qualcosa di aprioristicamente positivo e benefico.

Bisogna però considerare che le norme scientifiche, alle quali metodologicamente si rifà

la politica moderna, sono norme universalizzate ed isolate dal proprio contesto;

partendo da esse si otterranno politiche incompatibili tra loro, invece che una politica

ecologica organica. Risulta dunque necessario attuare scelte che partano da un sistema

valoriale coerente con la nostra visione del mondo. Solo ponendosi al servizio di

un’ontologia ecosofica, l’ecologia come scienza può esserci d’aiuto.

Criticato il sistema vigente, risulta necessario chiedersi quali possano essere i

nuovi criteri da adoperare nelle nostre scelte – politiche e non - che vadano a sostituire i

vecchi fini di benessere e tenore di vita materiale. Bisogna interrogarsi su quale sia il

fine ultimo verso cui indirizzare gli sforzi individuali e sociali. L’ “ecosofo”, in

particolar modo, sentirà la necessità di individuare uno scopo che soddisfi non solo sé

stesso, ma tutta l’ecosfera.

Naess indica tre fini che vengono spesso individuati in ricerche di questo tipo: il

piacere, la felicità e la perfezione.

Il primo appartiene a filosofie di tipo edonistico, che ricercano cioè il massimo piacere

e, per quanto possibile, l’assenza del dolore; la tecnocrazia appartiene a queste correnti.

La ricerca della felicità, a differenza del puro piacere, non è finalizzata esclusivamente

al successo o a beni materiali. La felicità, nell’accezione di Naess, è una situazione

totalizzante e duratura, è un sentimento gestaltico che produce gioia.

Coloro che si ispirano a norme di perfezione invece, pur tenendo in considerazione il

piacere e la felicità, si rifiutano di considerarli come obiettivi finali. Tale rifiuto nasce

dalla consapevolezza che non sia corretto porre sé stessi costantemente al centro della

problematica finalista.

“Nella sistematizzazione dell’Ecosofia T, l’espressione ‘ realizzazione del sé ’ è usata

per indicare un certo tipo di perfezione. Essa è concepita come un processo ma anche

come un fine fondamentale [...].L’espressione si riferisce all’autorealizzazione

personale e collettiva, ma anche a una manifestazione della realtà come totalità”91.

90 Ibidem, p. 87 91 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 103

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Si avranno perciò tre gradi di autorealizzazione diversi da un punto di vista ecosofico:

T0 = autorealizzazione

T1 = realizzazione dell’ io

T2 = realizzazione del sé

T3 = realizzazione del Sé

Il pensiero politico occidentale predominante si rifà ad un’ottica individualista, che non

si discosta mai dal grado T1. La realizzazione dell’io viene intesa in modo conflittuale

poiché, per soddisfarla, è necessario opporsi alla realizzazione dell’io di qualcun’altro:

Mors tua vita mea ne è il principio.

La Deep Ecology, al contrario, cerca di superare l’individualismo e di giungere ad

un’identificazione profonda con tutte le altre forme di vita. Rifacendosi alla concezione

kantiana di “azioni belle” – azioni rette che scaturiscono da un’inclinazione spontanea,

non da una norma morale imposta – Naess descrive quello che dovrebbe essere il nostro

atteggiamento verso la natura: “L’ambiente non è allora percepito come qualcosa di

estraneo o di ostile a cui disgraziatamente dobbiamo adattarci, ma come qualcosa di

prezioso che spontaneamente tendiamo a trattare con gioia e rispetto”92.

Non sono necessarie dunque norme morali: è sufficiente porsi il fine dell’

“autorealizzazione del Sé” per garantire un’inclinazione spontanea di individui che si

sentono effettivamente parte del tutto.

“Le azioni belle sono naturali e per definizione non sono forzate dal rispetto di una

legge morale estranea ad una personalità umana matura”93.

92 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 105 93 Ibidem, 106

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Parte III: Ecosofia Applicata ed Ecosofia T

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Cap. VI:

Ecosofia, Tecnologia e Stili di Vita

1. Mutamento di mentalità

“Come sarebbe valutato il ruolo attuale dell’umanità su questo pianeta alla luce delle

filosofie del passato? Qualunque delle grandi filosofie scegliessimo come valida, il

nostro ruolo attuale riceverebbe un giudizio negativo. Infatti, esso è in contrasto con le

priorità di valore proclamate da tutti questi sistemi”94.

Non solo le posizioni dell’umanità sono incompatibili con le priorità valoriali dei

sistemi passati, ma non esisterebbe alcuna filosofia che giustifichi il ruolo occupato

attualmente dall’uomo nell’ecosfera.

Non è infatti mai esistita una visione del mondo che considerasse “i rapporti di mercato

ed i modi di produzione come fonti di norme per lo stato, la società o l’individuo”95.

Bisogna distinguere tra ciò che è grande da un punto di vista quantitativo e ciò che lo è

invece da uno qualitativo. Per questo l’ecosofia si rifà alla massima “semplice nei

mezzi, ricco nei fini”. Ciò non significa ridurre la propria vita a condizioni di povertà o

austerità bensì accettare il benessere, l’abbondanza e la ricchezza definite in termini di

qualità della vita, non di tenore di vita. Concentrarsi quindi sull’esperienza personale,

non sui semplici desideri materiali che sembrano ormai influenzare in massima parte le

nostre vite.

Il punto di partenza coincide con la presa di coscienza dell’assurdità dell’attuale

situazione. Non ha dunque senso chiedersi se un cambiamento possa essere innescato a

partire dalla trasformazione di atteggiamento da parte delle persone per giungere poi a

modificare il sistema, o viceversa; bisogna invece rendersi conto che questi due processi

devono svilupparsi in modo parallelo ed omogeneo.

94 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 107 95 Ibidem

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In questo senso, limitarsi a criticare il sistema ottiene come effetto la pacificazione:

“[...] ho sentito dire innumerevoli volte: ‘ la colpa è del sistema...’ A che giova parlare

così? È chiaro che il sistema è cattivo. È tanto cattivo che è incredibile che sia ancora in

vita nonostante tutti dicano che sia necessario un cambiamento. Ma chi ha il potere di

mantenere i nostri paesi democratici nelle condizioni in cui si trovano? È troppo

semplice proclamare che solo i capitalisti, i magnati dell’industria, i burocrati e i politici

abbiano il potere di conservare il sistema su cui si fondano la nostra società ed il nostro

tenore di vita. Nella maggioranza dei paesi ricchi, la gente ha il potere di innescare

cambiamenti, se lo desidera”96.

Un cambiamento di mentalità in ottica ecosofica porta con sé un atteggiamento più

egualitario verso tutte le forme di vita ed una riduzione delle pressioni attuate dal

consumismo sui singoli individui. “Questa transizione apre le porte ad una vita più ricca

e più soddisfacente per la specie Homo Sapiens, ma a condizione di non incentrarsi

sull’Homo Sapiens”97.

Solo con una trasformazione di questo tipo c’è speranza per un vero rinnovamento e una

maggior gratificazione per il movimento ecologista.

2. Tecnologie e stili di vita

Uno sviluppo tecnologico come quello cui stiamo assistendo nelle società industriali

moderne, esercita forti pressioni sugli individui che ne fanno parte spingendoli ad

adottare determinati stili di vita. In pratica, la tecnologia industriale isola l’uomo dalla

sua libera realtà produttiva per catapultarlo nel mondo dei grandi mercati e delle grandi

dimensioni dove però, per sopravvivere, necessita di un reddito sempre maggiore. È

quindi necessario che la critica ecosofica si concentri sulla critica dello stile e del tenore

di vita medi dei Paesi sviluppati.

Alla base di questa problematica vi è la propensione a trattare lo sviluppo tecnico come

qualcosa che avviene in totale autonomia ed a cui gli individui, e l’intera società,

debbono adattarsi incondizionatamente. In realtà, non esiste uno sviluppo naturale della

96 Cfr. E.Dammann, The Future in Our Hands, Pergamon Press, Oxford 1979, traduzione mia. 97 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 111

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tecnologia: un processo simile può essere individuato solo interpretando la società come

dominata dalle leggi di una natura creata dall’uomo alla quale tutti devono

sottomettersi. In quest’ottica, nel momento in cui avviene un’innovazione tecnologica in

un Paese industriale, si ritiene naturale che migliaia di culture e sub-culture vi si

debbano adattare. Per questo, i concetti di progresso ed avanzamento tecnico assumono

significato solo a partire da un determinato modello culturale; perciò se qualcosa, come

una diversa cultura, mette in discussione tale processo viene individuata come un

pericolo.

Al contrario, da un punto di vista ecosofico, ogni innovazione tecnica deve

essere sottoposta ad una rigida verifica di impatto sociale e culturale nonché,

ovviamente, ecologico e sanitario, prima di ammettere che costituisca una forma di

progresso98. L’accettazione dello “sviluppo” tecnologico ad ogni costo va rigettata

riconoscendo che il tentativo di imporlo proviene proprio da coloro che introducono

tecnologie sempre più costose.

Al contrario, la tecnica dovrà essere assoggettata ad una certa visione del mondo ed

essere quindi valutata da determinati sistemi normativi.

Per queste ragioni, per valutare se una determinata tecnica costituisca effettivamente un

miglioramento ed un progresso , è possibile individuare una serie di domande da porsi

al riguardo:

- È benefica o dannosa per la salute?

- Quanto è significativa, elastica e lascia al lavoratore un margine di

autodeterminazione e di creatività?

- Rafforza la collaborazione e l’armonia tra i lavoratori?

- Quali altre tecniche diventano necessarie perché questa tecnica risulti efficace

all’interno di dimensioni tecnologiche più vaste? E di che tipo sono queste altre

tecniche?

- Quali materie prime rende indispensabili? Sono esse disponibili a livello locale o

regionale? È semplice accedervi? Quali strumenti diventano indispensabili?

Com’è possibile recuperarli?

98 In questo senso sembra impossibile non effettuare una breve digressione sulla volontà di alcuni Stati europei di tornare a fonti di energia atomica: è giustificabile che, sopraffatti dal timore di non riuscire a soddisfare le innumerevoli finte necessità imposteci dalle nostre società, si mettano in discussione la nostra sopravvivenza e il normale sviluppo delle generazioni future? È giusto compromettere il punto di partenza dei nostri figli? Farli cioè nascere su un pianeta già irrimediabilmente inquinato?

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- Di quanta energia necessita questa tecnica? Quanto spreco comporta? Di che

tipo di energia si tratta?

- Comporta un inquinamento diretto o indiretto? Quanto e di che genere?

- Qual è l’ammontare di capitale richiesto? Di quali dimensioni deve essere

l’impresa che l’adotta? Fino a che punto risulta vulnerabile in periodo di crisi?

- Quale lavoro di tipo amministrativo è richiesto? E in quale misura impone una

ristrutturazione gerarchica?

- Promuove maggiore eguaglianza o maggiori differenze di classe nei luoghi di

lavoro in generale?99.

Una problematica di difficile risoluzione per l’ecosofia è in effetti riuscire a

smentire l’opinione diffusa che il superamento della crisi ambientale possa essere

risolvibile ad un livello puramente tecnico, non richiedendo cioè alcun processo di

sensibilizzazione delle coscienze e trasformazione del sistema economico. Questa

convinzione risulta anche essere uno dei pilastri dell’Ecologia Superficiale. Un

atteggiamento di questo tipo, però, si concentra esclusivamente sugli aspetti tecnici,

allontanandosi da qualsiasi discussione intorno ai valori. Ne sono esempio alcuni studi

sul modo in cui diverse specie animali si adattano ad ambienti particolari, quali aree

vulcaniche o fognature, al fine di rendere l’uomo in grado di abitare la Terra dopo

un’ipotetica devastazione100.

Un ragionamento di questo tipo lascia trasparire chiaramente una focalizzazione del

ragionamento sui mezzi invece che sugli obiettivi – sulle tecniche invece che sulle

priorità valoriali.

In un’ottica ecosofica dunque, “dovrebbero essere considerate avanzate quelle

tecnologie che aiutano a realizzare gli obiettivi fondamentali di ogni cultura, non quelle

che presentano una complessità fine a sé stessa”101.

“Camminare con leggerezza sulla terra”102 è uno dei principali fini ecosofici. È

fondamentale trovare un giusto equilibrio tra tenore di vita e qualità della vita; nei paesi

99 Cfr. B. Devall e G. Session, Deep Ecology: Living as if Nature Mattered, Peregrine Smith Books, Salt Lake City, 1985, traduzione mia 100 Cfr. W. Modell, Drugs for the Future, in Clinical Pharmacology and Therapeutics’, Vol. 2 (1973) n.14 101 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 120

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ricchi, tuttavia, questo rapporto è totalmente disequilibrato, essendo presente un elevato

tenore di vita medio ed una – relativamente - bassa qualità della vita. Purtroppo, anche i

Paesi in via di sviluppo, le cui élites amministrative sono state educate nei Paesi

industrializzati, adottano spesso le nostre stesse ideologie, e derivanti politiche,

accettando il rischio di distruggere le proprie culture locali. A guardar bene, il concetto

stesso di “Paese sottosviluppato” o “Paese in via di sviluppo” non ha senso di esistere

se non in un’ottica industriale avanzata ricca di pregiudizi ideologici. Non si è in grado

di parlare semplicemente di tecnologie diverse o di diverso sviluppo. Si dà per scontato

che la strada percorsa dalle società industriali debba fungere da regola cui tutto il

mondo, prima o poi, debba sottomettersi.

Per riassumere con i passaggi principali elaborati dallo stesso Naess:

- Gli oggetti prodotti attraverso un’attività tecnica sono in stretta relazione non

solo con i mezzi ed i modi di produzione, ma con tutti gli aspetti essenziali

dell’attività culturale.

- Perciò la tecnologia è in stretta relazione, direttamente o indirettamente, con le

altre istituzioni sociali, per esempio la scienza, il livello di accentramento del

governo ed il concetto stesso di razionalità. Una trasformazione tecnica implica

una trasformazione culturale.

- Il livello di sviluppo tecnologico è giudicato dai Paesi industriali avanzati in

base al modo in cui le tecniche possono essere assimilate dalle loro economie. Il

criterio di ‘progressività’ viene applicato non solo alla nostra tecnologia, ma

anche a quella di altre culture

- I criteri ecosofici per giudicare il potenziale innovativo di una determinata

tecnologia si riferiscono invece agli obiettivi finali del sistema normativo.

- Il parametro ecosofico per giudicare una tecnica è la sua capacità di soddisfare i

bisogni vitali delle varie comunità locali.

- Gli obiettivi del movimento dell’ecologia profonda non implicano nessuna

svalutazione della tecnologia e dell’industria103, ma richiedono che le

innovazioni siano sottoposte ad un controllo generale di tipo culturale.

102 Cfr. A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994 103 Corsivo mio

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- Le tecnocrazie possono sorgere in conseguenza di una suddivisione del lavoro

portata all’estremo e dall’intima fusione di tecnologie di ordine superiore,

associate con un tipo di istruzione tecnica estremamente specializzata, accentrata

e a senso unico.

- Quando una tecnica è sostituita da un’altra che richiede più attenzione, più

istruzione oppure è più affascinante e porta ad isolarsi dal resto, il legame con

l’ambiente in cui tale tecnica opera diminuisce. Se tale ambiente è la natura,

l’impegno verso la natura si riduce a favore dell’impegno verso la tecnologia. Il

grado di disinteresse o apatia aumenta, e così pure la nostra consapevolezza dei

cambiamenti apportati alla natura da quella tecnica.

- Il grado di autosufficienza dell’individuo e delle comunità locali diminuisce

nella proporzione in cui una certa tecnica o tecnologia trascende le capacità e le

risorse dell’individuo o delle comunità. Questo aumenta la passività, la

debolezza e la dipendenza dalla ‘megasocietà’ e dai mercati mondiali.104

104 Cfr. A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994

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Cap. VII:

Ecosofia ed Economia

1. Economia e sistema normativo

Nelle società industriali contemporanee, gli economisti svolgono spesso compiti di puro

calcolo al fine di delineare i modi migliori per raggiungere determinati obiettivi

economici. Sono considerati dei tecnici cui viene ormai chiesto di limitarsi ad elaborare

determinate strategie, trascendendo da qualunque giudizio politico ed etico. Questo

porta ad un irrimediabile inaridimento della scienza economica, posta nella condizione

di poter formulare esclusivamente considerazioni di tipo quantitativo.

L’attività economica viene quindi radicalmente scissa dalla matrice sociale: il suo

ambito riguarda infatti solo i mezzi, mai i fini. Si cercano politiche economiche che

portino a determinati risultati senza però basare i propri giudizi su alcuna scala

valoriale.

Concretamente, secondo Naess, l’espressione “da un punto di vista puramente

economico”, usata di frequente dagli economisti, non ha ragione d’essere. Un’ottica di

questo tipo non può infatti esistere, se si pensa che qualunque esperienza umana opera

in base a gerarchie di obiettivi. La creazione di modelli è dunque inutile - specialmente

in un’ottica ecosofica - se si ignorano i fini delle proprie azioni.

Le formulazioni quantitative vengono considerate essenziali per sviluppare

un’economia come scienza, ma la perdita, in campo economico, del punto di vista

normativo ed umano non può essere assolutamente accettata da parte della dottrina

ecosofica.

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2. Il Prodotto Nazionale Lordo ( PNL)

È molto importante, secondo Naess, che gli ecosofi siano in grado di discutere

argomenti intorno al PNL105, in quanto le politiche antiecologiche dei Paesi industriali

vengono spesso giustificate in nome della necessità e desiderabilità della crescita

economica.

L’errore fondamentale starebbe proprio nell’individuazione del Prodotto Nazionale

Lordo come indicatore del progresso economico in senso lato e positivo – e dunque da

accettarsi aprioristicamente.

In realtà, osserva Naess, all’interno del PNL sono inseriti anche “i costi sostenuti

dall’industria per abbattere l’inquinamento, il costo del pronto soccorso per le vittime

degli incidenti stradali, i costi del mantenimento di un sistema carcerario, insomma tutte

le spese che un paese industriale deve sostenere per porre rimedio alle conseguenze

indesiderate di questo tipo di sistema. Paradossalmente tutte queste spese sono inserite

con segno positivo nel calcolo del PNL!”106.

Pertanto Naess ci spinge a considerare questo indice come un “quantità di valore

neutrale”, in pratica una misura delle attività svolte, non del valore positivo o negativo

di tali attività. Un indicatore dalla valenza quantitativa dunque, non qualitativa.

Ciò si ripercuote sulle nostre vite nel momento in cui – come avviene nei Paesi

industrializzati – il PNL viene utilizzato, a livello politico, come se avesse uno stretto

legame con la qualità della vita, legame ormai dato per scontato dalla maggioranza della

popolazione , ma che è in realtà si rivela tutt’altro che chiaro.

La crescita del PNL e quella del benessere, inteso veramente come qualità della vita,

non vanno di pari passo.

Come scriveva il direttore della rivista norvegese Sosialökonomen già nel 1972:

105 PNL: Prodotto Nazionale Lordo è definito anche come reddito nazionale lordo. E’ uguale al PIL più

(+) il reddito percepito da soggetti residenti per investimenti all’estero meno (–) il reddito percepito in

Italia da soggetti non residenti. PIL: Prodotto Interno Lordo E’ il valore della produzione di beni e servizi

realizzati all’interno di un Paese, cui vengono sottratti i consumi intermedi e aggiunte le imposte indirette

sulle importazioni. Il periodo di tempo di riferimento è l’anno civile.

Definizioni da: http://www.finanzaonline.com/, consultato il 1-9-2008 106 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 138

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- Il prodotto nazionale comprende un numero di beni e servizi inferiore a quello di

cui dispone mediamente una persona

- Il valore attribuito alle singole voci della contabilità nazionale non rispecchia gli

effetti in termini di benessere di tali voci

- Il prodotto nazionale non indica affatto la distribuzione dei beni tra le persone

- Il prodotto nazionale si riferisce all’attività economica corrente, ma non riflette i

suoi effetti nel tempo. Non dice niente rispetto all’abuso o all’eliminazione di

risorse limiate ed ai mutamenti irreversibili

Di conseguenza, tutto quello che ci spinge verso un modo di vita ecosofico può risultare

come un tentativo di riduzione del Prodotto Nazionale Lordo. L’ecologia ed il concetto

stesso di qualità della vita vengono guardati con sospetto nelle società industriali107. Al

contrario, paradossalmente, “ogni consumo di pillole antidepressive va ad aumentare il

PNL”108.

Dunque viene spontaneo domandarsi perché si dovrebbe svolgere qualcosa in modo

semplice se può invece essere realizzata in modo complicato aumentando perciò i

profitti e di conseguenza il PNL?

Nel Prodotto Nazionale Lordo non si distingue tra necessità e spreco, tra ciò che è un

mero desiderio e ciò che invece è dettato dal bisogno. Esso inasprisce il divario tra ciò

che desideriamo e ciò che effettivamente ci possiamo permettere.

“Il solo pensiero che si possa arrivare a una quantità unica per esprimere il benessere o

la felicità di un paese dimostra una certa ingenuità e mancanza di comprensione per i

problemi economici. E anche se si potesse ottenere un numero del genere, che cosa

significherebbe? Un numero non può fornire le basi di una politica concreta. La politica

deve iniziare e terminare con l’attività dell’individuo”109.

Seppur alcune teorie economiche, come ad esempio la Teoria del Benessere, abbiano

provato ad avvicinarsi ad una visione più globale del problema, distano sempre troppo

da una vera e propria scala di priorità valoriale cui rifarsi per indirizzare le proprie

azioni.

107 Cfr. A. - M. Jansson, Integration of Economy and Ecology, atti della conferenza di Wallenberg, 1984 108 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 140 109 Editoriale Sosialökonomen, n.2 1973

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In antitesi alla ricerca di mercato, sulla base della quale vengono di solito decise

le politiche economiche da adottarsi, Naess propone di effettuare delle interviste

profonde. “Se occupiamo una posizione che in qualche modo comporta responsabilità

verso i membri della nostra comunità, dobbiamo cercare di individuare i loro sistemi

normativi per mezzo di interviste approfondite, e collegare questi risultati alle risorse,

così come le intendiamo noi ma anche come le intende la maggioranza della gente”110.

Infatti, il rapporto tra reddito e qualità della vita risulta essenziale all’interno della

comunità111; soddisfare solo uno di questi due bisogni non è sufficiente.

Un’indagine di questo tipo risulta necessaria per stabilire il modo in cui i membri della

comunità esperiscono le proprie condizioni di vita ed i dati ricavati da essa saranno

sicuramente più utili, da un punto di vita politico, che non quelli raccolti da una

semplice indagine di mercato.

Quanto maggiore sarà il rispecchiarsi degli ideali delle persone nella realtà in cui vivono

tanto più alta risulterà la qualità della loro vita.

In particolare per l’ecosofia, una ricerca in questo senso è fondamentale per garantire il

mantenimento della qualità della vita anche per gruppi molto piccoli e dai sistemi

normativi molto diversi da quelli della maggioranza della comunità. Ancora una volta

dunque si sottolinea l’importanza di prestare attenzione alle minoranza ed alla diversità.

3. L’attribuzione di un prezzo alla natura

Altra tendenza diffusa, e totalmente inaccettabile per i sostenitori dell’ecosofia, è quella

di attribuire un prezzo alla natura. Molto frequentemente infatti, in ambito di indagini di

mercato, si calcola quantitativamente l’impatto sulla natura da parte di certe politiche

economiche. “[...] alcune delle decisioni concrete in materia ambientale sono state

basate, almeno in parte, su una stima delle somme che la gente che va a pescare, a

passeggiare o ‘usa la natura’ in altro modo paga effettivamente per acquistare

equipaggiamenti, abbigliamento, eccetera. L’ammontare viene poi confrontato con

quello ottenibile se sull’area in questione si costruissero un albergo, un parcheggio o

110 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 140 111 O.D. Duncan, Does Money Buy Satisfaction?, in ‘Social indicators Research’, n.2, 1975

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una diga”112. Risulta chiaro il perché di una totale avversione degli ecosofi a tale

atteggiamento: in un calcolo di questo tipo infatti la qualità della vita non viene

minimamente presa in considerazione bensì si cercano delle incerte giustificazioni al

fine di agevolare un incremento economico dal valore puramente quantitativo.

In pratica, come sosteneva Paul Hofseth, esperto di problemi energetici e Ministro dell’

Ambiente norvegese, se si chiedesse ad una persona quanto sarebbe disposta a pagare

per evitare che le venga rotto il braccio, la cifra suggerita non potrebbe essere assunta

come indicativo del valore del braccio. Chiunque, infatti, ha tutto il diritto di mantenere

il proprio braccio sano.

Allo stesso modo, anche l’accesso alla natura intatta viene visto come un diritto

inalienabile, e nel caso di diritti di questo genere, l’analisi costi-benefici non è

applicabile.

È dunque necessario, anche in questo caso, pronunciarsi sul piano etico.

Perciò, nonostante la quantificazione svolga ormai un ruolo predominante nella

società moderna bisogna riconoscerne lo scarso contributo che – almeno a livello

teorico – essa dovrebbe rivestire all’interno dei processi decisionali, ed in particolar

modo per la realizzazione del Sé. Pensare che ogni problema possa essere risolto senza

rifarsi ad una visione globale e valoriale della vita è una prospettiva ecosoficamente

inaccettabile.

Risulta dunque necessaria uno spostamento degli obbiettivi economici da un

campo puramente quantitativo ad uno qualitativo che risulti essere in grado di tenere in

considerazione le reali aspettative umane in termini di qualità della vita.

Chiaramente, perché ciò risulti possibile, si crede essere in primo luogo necessaria una

presa di coscienza dell’attuale strumentalizzazione dei desideri umani da parte dei

sistemi economici delle società industriali.

112 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 157

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Cap. VIII:

Ecosofia e Politica

1. Non si può evitare la politica

I nostri comportamenti di ogni giorno esercitano influenze politiche in molteplici modi:

anche l’indifferenza, l’ignoranza e la passività hanno un peso da questo punto di vista.

Per questo motivo nulla risulta essere soltanto politico e nulla è del tutto apolitico.

Analizzando più da vicino il nostro ambito di ricerca, l’ecopolitica riguarderà dunque

non solo un tipo di attività specificatamente ecologica ma ogni aspetto della nostra vita.

Purtroppo però, le capacità delle istituzioni democratiche moderne di determinare scelte

politiche sembra diminuire costantemente cedendo il passo all’influenza dei grossi

gruppi di potere. Risulterà perciò necessario, al fine di una risoluzione dei conflitti

ambientali, individuare le strutture di potere che influenzano maggiormente le scelte

politiche di un Paese. Per questo si rivela fondamentale la collaborazione tra

ambientalisti, giornalisti, scienziati sociali, filosofi e tutti coloro che sono interessati

all’analisi delle strutture delle società industriali moderne.

Spesso le persone che ricercano uno stretto contatto con la natura, nonché la sua

salvaguardia, non sono direttamente interessate alla politica e sembrano quasi cercare un

distacco dai moderni stili di vita. Secondo Naess però, un atteggiamento di questo tipo

non basta: non è infatti sufficiente cercare una trasformazione a livello sociale solo

tramite i cambiamenti del proprio stile di vita escludendo a priori l’approccio politico al

problema. Sono necessarie entrambe le cose contemporaneamente, è infatti assurda

“l’idea che sia la scelta individuale a determinare la qualità ed il livello della

produzione”113. Bisogna perciò rendersi conto dell’importanza dello strumento politico

all’interno di un movimento ecosofico e contrastare la depoliticizzazione della lotta

ecologista.

113 J.K. Galbraith, Economics and the Public Purpose, Houghton Mifflin, Boston, Massachussetts, 1973

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La questione del cambiamento sociale, dunque, è l’unica via tramite la quale sviluppare

politiche ecologiche ragionevoli.

2. La posizione dei partiti Verdi e le tematiche ecopolitiche fondamentali

Secondo Naess, a livello partitico lo schieramento verde dovrà cercare una nuova

dimensione politica. Non è sufficiente dunque che i partiti Verdi occupino una

posizione intermedia tra gli schieramenti politici tradizionali - da egli indicati come

Rossi e Blu - avvicinandosi, a seconda dei casi, all’uno o all’altro. Il Verde non deve

rappresentare un’alternativa agli schieramenti tradizionali ma deve essere “[...] una

forza dinamica, una specie di onda che dovrebbe permeare tutti i punti dello spettro

politico, o una frontiera delle opinioni politiche, che trascende qualsiasi concezione

superficiale della politica”114. Paradossalmente , nel momento in cui un approccio

ecologico di questo tipo avesse successo, non sarebbe nemmeno più necessaria

l’esistenza di partiti Verdi poiché significherebbe che tutti i partiti hanno accettato i

principi dell’ecologia115.

Sono tre le tematiche ecopolitiche di maggior rilevanza che vengono

costantemente dibattute: il problema dell’inquinamento, quello delle risorse e quello

della popolazione.

a. Inquinamento

L’inquinamento è il più antico e studiato tema di interesse ecologico, nonostante ciò

non sembra si sia ancora compreso cosa veramente significhi combatterlo. La tendenza

attuale sembra quella di evitare il problema piuttosto che quella di risolverlo.

Assistiamo costantemente all’installazione di industrie altamente inquinanti in zone

poco popolate dei Paesi industrializzati, sulle loro linee di confine o, addirittura, in

Paesi in via di sviluppo, dove le norme per la sicurezza e quelle contro l’inquinamento

sono decisamente più permissive, se non del tutto assenti.

114 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 167-168 115 Cfr. J. Porritt, Seeing Green: the Politics of Ecology Explained, Blackwell, Oxford, 1984

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A livello politico risulta dunque necessaria la presenza di istituzioni internazionali che

non si limitino a semplici rimproveri, ma prendano provvedimenti concreti contro

iniziative di questo tipo.

Va aggiunto inoltre che mentre la Shallow Ecology affronta il problema

dell’inquinamento ponendo in risalto i danni subiti dagli esseri umani ed i loro diritti a

vivere in un mondo sano, la Deep Ecology si spinge oltre, condannando anche il danno

riportato da tutti gli altri esseri viventi e dagli ecosistemi.

b. Risorse

Gli esperti in ambito ecologico dei governi dei Paesi ricchi non hanno capito – o non

vogliono capire – che è necessario analizzare il problema etico posto dai consumi dei

Paesi industrializzati, i doveri verso le generazioni future, nonché verso gli altri esseri

viventi e, più in generale, la natura.

In realtà nessuna delle politiche e degli ideali del passato, dal capitalismo al socialismo,

hanno implicato una vera e propria critica allo spreco delle risorse. Solo recentemente

sembra riscontrabile una timida azione politica in questo senso.

Alla base del problema vi è la stretta relazione che intercorre tra l’ ideologia della

crescita economica (Cfr. cap. VII) ed i forti interessi dei gruppi industriali. Questa

dinamica tende a rallentare notevolmente l’avvio di politiche verdi a tutela delle risorse.

D’altra parte, si può criticare l’atteggiamento di molti ambientalisti che, al fine di

attirare l’attenzione su questo problema, hanno finito con il perdere credibilità

sottostimando notevolmente le risorse a nostra disposizione e creando allarmismi spesso

non del tutto giustificati.

Secondo Naess, si dimostra decisamente più sensato assumere una posizione normativa

chiara, che escluda a priori uno spreco di risorse ingiustificato. Imparare a vivere senza

sprechi dunque risulta il primo passo verso una buona gestione delle risorse.

c. Popolazione

Il problema della popolazione risulta essere abbastanza delicato. Sono state condotte

diverse ricerche – in particolare dalle Nazioni Unite - che si interrogano su quale sia il

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numero ottimale della popolazione mondiale, ovvero la “capacità di carico” del pianeta

Terra. Queste ricerche però, prendono in considerazione solo una specie: l’ Homo

Sapiens. Ci si chiede infatti, fino a che punto la popolazione umana possa crescere senza

creare situazioni insostenibili per se stessa, ma non ci si rende conto del fatto che essa

ha già creato situazioni intollerabili per molte altre specie e per numerosi ecosistemi.

Comprensibilmente, un problema di questo tipo, viene spesso dichiarato accademico o

utopistico poiché risulta di difficile risoluzione senza il ricorso a metodi disumani. Ciò

non toglie, però, che ci si trovi di fronte ad un’esigenza sempre maggiore di spazio

personale, a fronte di un eccessivo sviluppo demografico. In questo senso, non è

richiesto un comportamento antiumano bensì una presa di coscienza del fatto che gli

spazi naturali risultano necessari per una piena realizzazione dell’uomo.

“A poco a poco, la prospettiva di proteggere il pianeta nel suo insieme e senza fini

strumentali si sta rivelando come una delle più grandi sfide della storia umana”116.

3. Autodeterminazione, Self-reliance e comunità locali

In un’ottica ecosofica, la realizzazione del Sé risulta essere la norma fondamentale di

qualunque sistema. Implicita in tale visione è l’affermazione della libertà di ognuno all’

autodeterminazione e alla realizzazione delle proprie capacità.

In questo senso, le condizioni sociali in cui un individuo vive il proprio sviluppo

risultano determinanti.

A livello amministrativo, questa necessità di autodeterminazione viene trasposta in

politiche di decentralizzazione. Analizzando le dinamiche attuali, infatti, si riscontra

frequentemente la tendenza ad importare stili di vita altrui creando una stretta

dipendenza dai mercati internazionali a discapito delle risorse presenti sul territorio.

Queste dinamiche portano inevitabilmente a processi di uniformazione, omologazione,

consumismo e alla distruzione della creatività del singolo individuo, al quale viene

ormai chiesto di limitarsi al semplice acquisto piuttosto che allo sviluppo delle proprie

capacità. È perciò necessaria, secondo Naess, una maggior Self-reliance - ovvero una

116 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 178

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fiducia nei propri mezzi – che porti ad uno sviluppo della capacità di autodeterminarsi.

Tale meccanismo non deve essere però inteso come incentrato su puro egotismo, ma

deve essere inquadrato in un’ottica gestaltica, fondamentale per la realizzazione del Sé.

Dunque, una maggiore Self-reliance non si pone come fine un’interruzione totale delle

comunicazioni con le altre culture ma le sottopone a giudizio normativo, incentivandole

se favoriscono la realizzazione del Sé e limitandole nel momento in cui soddisfino

bisogni risolvibili anche a livello locale.

Per rafforzare la Self-reliance è quindi necessario che gli individui siano coscienti dei

propri valori e principi politici.

Le cosiddette comunità verdi o Ecovillage117, la cui proliferazione ha avuto

inizio durante la metà del secolo scorso, sembra essere un buon esempio che manifesta

caratteristiche di decentramento e Self-reliance infatti:

- Presentano fattori di stabilizzazione che mantengono la popolazione costante

- Le decisioni relative questioni che riguardano tutti i membri vengono prese

tramite forme di democrazia diretta

- I modi e i mezzi di produzione riguardano principalmente il settore primario

(alto livello di Self-reliance in campo economico)

- Le tecnologie utilizzate sono essenzialmente dolci – a basso impatto

ambientale - e utilizzano materiali in loco o provenienti da zone limitrofe

- L’educazione scolastica riguarda principalmente le tecnologie necessarie a

livello locale nonché un’educazione formale nelle materie artistiche e

letterarie

- Le differenze di reddito e ricchezza dei suoi membri sono modeste

- L’estensione territoriale è abbastanza ristretta118

Tuttavia rimangono numerosi ostacoli politici alla proliferazione di tali comunità infatti:

- La politica economica è fortemente accentrata a livello nazionale e stabilisce

quali debbano essere gli obiettivi perseguiti da tutte le unità amministrative

inferiori

117 Cfr. R. Gilman, The Eco-Village Challenge, in “In Context”, 1991, n.29 118 Cfr. A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994

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- La cultura ed il tempo libero vengono standardizzati attraverso i mass media

favorendo la crescita economica ma uccidendo la creatività di base

- Le autorità sanitarie e le politiche sociali sono centralizzate e specializzate e

si pone l’accento sui sintomi invece che sulle cause delle malattie

- La concorrenza, ed in particolar modo quella internazionale, sembra favorire

le grandi imprese e le tecnologie pesanti ad alto impatto ambientale

- Il funzionamento dei mercati internazionali rende economicamente non

redditizie le tecnologie dolci e la Self-reliance

- L’eclettismo – inteso come sviluppo di molteplici capacità – è scoraggiato

dalla schiera di professionisti che ci inducono a credere che il ricorso alle

capacità del singolo sia inutile

Risulta necessario opporsi allo sviluppo di tali processi se si vuole evitare la distruzione

delle comunità locali e favorire il mantenimento di una certa diversità sia a livello

ecologico che sociale.

Dunque, un’azione diretta nei confronti di decisioni antiecologiche, è da operarsi

quando queste sono ancora allo stadio di progetto, poiché ha più probabilità di successo

che non quando esse siano già in atto.

Naess suggerisce azioni dirette sul modello gandhiano, esprimendo cioè, in modo

chiaro, concreto e comprensibile gli obiettivi di tali azioni ed esponendole al proprio

oppositore evitando, nel limite del possibile, il ricorso ad atti illegali.

Altrettanto importante è non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti, bensì tenere sempre

presente che il successo di una campagna non coincide con il successo di ogni singola

azione e che la funzione principale delle azioni dirette è quella di attirare l’attenzione

dell’opinione pubblica.

4. Il processo di trasformazione

Secondo l’analisi di Naess, nonostante i governi dei Paesi industrializzati dichiarino

prioritari i problemi dell’inquinamento e dell’esaurimento delle risorse, non vi è un vero

impegno nel voler individuare le cause effettive di tali questioni. Spesso, come già

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accennato (Cfr. cap. VI), si propongono soluzioni puramente tecniche a tali

problematiche, senza mettere in discussione gli stili di vita che esse presuppongono, i

sistemi di produzione e di consumo, l’uso che viene fatto della tecnologia e la mancanza

di una vera solidarietà a livello locale e mondiale.

Un atteggiamento di questo tipo è dovuto in parte al fatto che le azioni politiche

sembrano ormai insufficienti per arginare il potere delle grandi società e proporre uno

sviluppo che prenda una direzione diversa da quella attuale. In particolare,

un’alternativa a favore dei popoli in via di sviluppo è resa impossibile dal perpetuarsi

dello sfruttamento delle loro risorse e della loro forza lavoro a basso prezzo da parte dei

Paesi industrializzati.

“Alla base del movimento dell’ecologia profonda c’è l’intuizione che non è

possibile raggiungere gli obiettivi di risanamento se non attraverso una trasformazione

radicale della nostra società industriale, e quindi attraverso un cambiamento politico”119.

In questo senso l’opera dei partiti verdi risulta fondamentale: siano essi fondati al fine di

consolidarsi a livello istituzionale o per esercitare un’influenza temporanea, la loro

funzione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e promozione del cambiamento

sociale sono imprescindibili. La loro posizione rispetto tematiche fondamentali, quali

l’industria e la tecnologia, deve essere salda ma aperta al dialogo: ciò significa non

operare un’opposizione a priori nei loro confronti, ma sforzarsi perchè vengano

impiegati ed orientati ad un effettivo miglioramento della qualità della vita.

In pratica, il processo messo in atto da una politica di questo genere prospetta “[...] una

trasformazione di portata rivoluzionaria realizzata attraverso tanti piccoli passi in una

direzione nuova e radicalmente diversa.[...] La direzione della trasformazione è

rivoluzionaria, le riforme ne sono i passaggi”120.

È importante sottolineare inoltre come la politica verde non possa adattarsi alle politiche

tradizionali. Se da un lato infatti si avvicina al socialismo classico, condividendone la

critica economica al capitalismo, deve comunque prenderne le distanze per quanto

riguarda temi quali la massimizzazione delle produzione, la centralizzazione, il

119 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 193 120 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 197

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materialismo e la burocrazia. In particolar modo quest’ultimo fattore deve essere

oggetto di critica se si vuole superare il peso sempre maggiore degli obblighi imposti

per legge e raggiungere una vera e propria interiorizzazione delle norme (Cfr. cap. VI).

Questo significherebbe passare a “norme più generali che considerino situazioni più

ampie in modo integrato ed olistico”121.

In pratica , la politica verde deve strutturarsi come qualcosa di profondamente diverso

dalle politiche tradizionali.

Per raggiungere un tale fine però non è necessario che tutti si rifacciano alla stessa

utopia, bensì bisogna sviluppare programmi concreti all’interno del quadro politico in

corso. Risulta fondamentale perciò chiedersi quale sia al momento attuale la politica più

verde rispetto un determinato problema, non quale sarebbe la posizione più coerente

con la Deep Ecology. Secondo Naess infatti, “Per essere davvero verdi è necessario

essere elastici e capaci di relativizzare, non puristi o idealisti”122, ciò significa conciliare

gli ideali della politica verde con le lotte politiche che si presentano ogni giorno.

121 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 201 122 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 203

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Cap. IX:

L’ Ecosofia T

Secondo Naess si può rilevare l’emergere di due tendenze di fronte al costante aumento

del degrado ambientale: la prima si fonda sull’ipotesi che sia sufficiente un approccio di

tipo frammentario a questo problema, risolvendolo all’interno dell’attuale assetto

sociale, economico e tecnologico; la seconda, invece, considera necessaria una

rivalutazione globale del rapporto uomo-natura ed una trasformazione degli stili di vita

umani. Quest’ultima, che rispecchia il pensiero dell’Ecologia Profonda, si propone di

suggerire sia indicazioni di tipo filosofico sia decisioni a livello concreto.

L’Ecosofia T - che prende il nome dal rifugio Tvergastein nel quale Naess ha scritto

molti dei suoi libri - è un’ecosofia che pone le proprie basi nella personale visione del

mondo del filosofo norvegese.

Come accennato in precedenza (Cfr. cap. V) infatti, l’obiettivo principale “è di

sottolineare che ogni persona matura deve assumersi la responsabilità di elaborare la

propria risposta ai problemi attuali dell’ambiente secondo una prospettiva globale”123.

1. Il valore universale a dispiegare le proprie potenzialità

L’identità dell’individuo, il suo Io, non può essere separata da tutto ciò che lo circonda:

essa infatti si sviluppa tramite una serie di relazioni con fattori organici ed inorganici. In

questo senso tutto è relazione. Prendere le distanze dalla natura e da ciò che è naturale

significa dunque prendere le distanze dal proprio Io.

Gli esseri umani non possono considerarsi come qualcosa di estraneo alla natura: è

necessario prendere coscienza del fatto che influenzare e modificare quest’ultima

significa modificare anche se stessi.

123 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 207

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A livello filosofico risulta dunque necessaria una presa di posizione che trovi un certo

equilibrio tra le visioni organiche e l’individualismo atomistico.

Durante il secolo scorso lo sviluppo scientifico, ed in particolare di alcune

materie come la paleontologia, ha contribuito notevolmente alla presa di coscienza

dell’evoluzione della vita come un processo unico, anche se a prendervi parte sono una

notevole diversità di forme di vita. Ciò che contraddistingue tutti gli esseri viventi è lo

sforzo di autoconservazione del proprio essere in primo luogo, e della propria specie

poi.

Naess ritiene più opportuno riferirsi a tale processo con termini che suggeriscano uno

sforzo attivo come realizzazione del Sé o piena espressione del Sé.

La comprensione di tali processi rende possibile l’emergere di una coscienza ecologica

nell’uomo e questa risulta essere un’idea filosoficamente molto importante: “sulla terra

si è sviluppata una forma di vita che è in grado di conoscere e valutare le proprie

relazioni con tutte le altre forme di vita e con la Terra nel suo insieme”124.

In che modo però è possibile affermare il “diritto” alla realizzazione del Sé?

Fino ad oggi, per risolvere tale problema, ci si è rifatti ad una sorta di classificazione

degli esseri viventi attuabile tramite l’attribuzione di un valore intrinseco relativo che

tenesse conto di qualità come il possesso di un’anima, la capacità di ragionamento, la

coscienza di sé e delle proprie scelte, una maggior o minor evoluzione.

Da un punto di vista ecosofico invece, nessuna argomentazione di questo tipo risulta

giustificabile. L’attribuzione di maggiore valore ad una forma di vita piuttosto che ad

un’altra decreta il diritto all’uccisione ed al maltrattamento. Al contrario, in un’ottica

ecosofica tutte le forme di vita hanno lo stesso valore, anche se questo non significa

voler impedire il normale svolgimento delle dinamiche naturali. In pratica viene respinta

un’affermazione come “ ‘ Io ti uccido perché valgo di più ’ ma non ‘ Io ti uccido perché

ho fame ’ “125. Si ammettono in questo modo diversi atteggiamenti nei confronti di

diversi esseri pur senza introdurre necessariamente una classificazione in base al loro –

presupposto - valore.

124 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 212 125 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 214

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Ragionando dunque nell’ottica della realizzazione del Sé si può davvero arrivare a

maturare un desiderio sincero per la piena espressione del sé degli altri esseri.

2. L’unicità della specie umana

Sia da un punto di vista biologico che da un punto di vista sociale, l’Homo Sapiens

risulta essere unico: unico per la particolarissima struttura del suo cervello, unico per le

diverse e particolari culture cui appartiene e che egli stesso ha generato.

È importante tener sempre ben presenti queste sue caratteristiche distintive seppur la

tendenza delle correnti ambientaliste ed ecologiste sia quella di mettere in risalto i

numerosi aspetti comuni tra Homo sapiens e le altre forme di vita.

Bisogna però chiedersi con che finalità si ritenga necessario sfruttare queste particolari

capacità. L’ipotesi di un loro impegno al fine di colonizzare l’intero pianeta ed assumere

una posizione di supremazia nei confronti delle altre forme di vita, è da escludersi a

priori in un’ottica ecosofica.

Piuttosto l’Homo sapiens, dall’alto della propria posizione, dovrebbe essere in grado di

percepire che la volontà di realizzazione appartiene a tutti gli esseri viventi così come il

diritto a vivere e a prosperare e, di conseguenza, assumere un comportamento

responsabile nei confronti di tutte le forme di vita. Ciò non significa, come vorrebbero

alcune correnti animaliste, che i bisogni umani non debbano mai prevalere su quelli

animali, in una sorta di egualitarismo biosferico assoluto.

Il danneggiamento degli altri esseri e la loro uccisione è in taluni casi presa in

considerazione, ma ciò non significa affatto arrogarsi il diritto di sottoporli ad inutili

sofferenze.

Per esempio, da un punto di vista ecosofico, mentre nutrirsi di altri animali è

perfettamente naturale, sottoporli ad esperimenti per testare la tossicità di alcuni prodotti

destinati al mercato alimentare umano non ha alcuna giustificazione.

Bisogna, in ogni momento, distinguere e controbilanciare i bisogni marginali umani con

i bisogni vitali delle altre specie.

“L’unicità dell’ Homo sapiens, le sue capacità uniche tra milioni di altri esseri viventi,

sono state usate come strumento di dominio e abuso di potere. L’ecosofia propone di

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usarle per sviluppare un atteggiamento di responsabilità universale che le altre specie

non possono né capire né condividere”126.

Una posizione dunque che pur riconoscendo l’unicità della specie umana nei confronti

delle altre forme di vita rispetta i principi della realizzazione del Sé di tutti gli esseri

viventi.

3. Identificazione, solidarietà, mutualismo e realizzazione del Sé

Alla base del sentimento di rispetto per la realizzazione degli altri esseri vi è il processo

di identificazione. Quest’ultimo consiste, in pratica, in una forma di empatia grazie alla

quale è possibile pervenire ad una naturale inclinazione al desiderio di realizzazione di

tutti gli esseri viventi.

Il processo di identificazione, a sua volta, è il presupposto della solidarietà: sentimento

che crea una vera e propria interdipendenza della realizzazione del Sé di diversi esseri

viventi. In pratica ciò comporta che un organismo non possa essere in grado di

raggiungere la realizzazione del Sé a meno che non possano farlo anche gli altri esseri.

La solidarietà, se affonda le proprie radici in una solida base di identificazione, non

verrà in alcun momento avvertita come una costrizione o un obbligo morale, bensì si

manifesterà spontaneamente ed in modo del tutto naturale.

La morte degli individui e l’estinzione delle specie risultano necessarie da un

punto di vista evoluzionistico. Questo processo però evidenzia anche lo sviluppo del

mutualismo, una sorta di identificazione che intercorre tra i diversi esseri viventi. Per

questo motivo Naess afferma che la massima “ ‘ Vivi e lascia vivere ’ esprime bene

l’idea di una società senza classi a livello di ecosfera, di una democrazia in cui si possa

parlare di giustizia non solo rispetto agli esseri umani ma anche agli animali, alle piante

ed ai paesaggi”127. Questo punto di vista in pratica presuppone la considerazione dei

diversi Io come unità non separabili da tutto il resto.

126 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 218 127 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 221

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Si potrebbe dire, richiamando un concetto finkiano, che ognuno di noi è simbolo della

natura: “ I due caratteri, quello di frammento e quello di complemento sono ora diventati

importanti agli effetti del simbolo. Symbolon viene da Simballeyn, da coincidere e

significa il completamento di un frammento con il suo complemento”128.

In questo senso l’evoluzione del singolo scompare all’interno dell’ Evoluzione globale.

“Perciò noi siamo qualcosa di più dei nostri singoli io, non siamo solo frammenti

minuscoli ed impotenti. Identificandoci con unità più vaste, prendiamo parte alla loro

creazione e preservazione, pertanto condividiamo la loro grandezza. La soddisfazione

può assumere nuove dimensioni. I molteplici io si sviluppano fino a diventare dei sé

sempre più grandi, proporzionali all’ampiezza e alla profondità dei nostri processi di

identificazione”129. I processi di identificazione, che si sviluppano all’interno

dell’ecosofia, sono di una tale profondità da cancellare i confini tra il Sé e l’Io

personale.

Come accennato in precedenza, un’identificazione di tale livello non esclude

però i naturali rapporti tra l’ Homo sapiens e gli altri esseri.

Un esempio storico che sembra rispecchiare a pieno tali rapporti identificativi è fornito

dagli Indiani d’America: la loro attitudine a considerarsi parte della natura li ha portati a

vivere un alto livello di identificazione con gli altri esseri viventi. Questo si traduceva in

un uso delle risorse naturali in base alle proprie necessità, nel massimo rispetto della

natura e senza alcuno spreco.

Al contrario, una mancata identificazione sviluppa l’ indifferenza, sentimento che

induce a considerare l’ambiente come semplice sfondo dell’esistenza umana.

Solo tramite l’espansione del sé a Sé ciò che risulta essere meglio per gli esseri umani

diventa meglio anche per le altre forme di vita.

Per evitare questa mancanza di empatia ed identificazione non è sufficiente – pur

risultando talvolta necessario – ricorrere a sanzioni o alla persuasione, bensì si rivela

molto più utile e propositiva una corretta educazione che attivi i processi di

identificazione tramite l’espansione del sé.

128 E. Fink, Il Gioco Come Simbolo del Mondo, Lerici, Roma, 1969, p. 145 129 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 221

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4. L’attribuzione del valore e l’utilità della ‘ friluftsliv ’

Qualunque valutazione rimane in ogni caso una valutazione umana, ciò significa che

essa possiede un determinato senso per gli uomini. Da ciò non deriva necessariamente

che i valori concepiti ed espressi con linguaggio umano esistano solo per gli uomini.

Come osserva Naess, prima che Newton elaborasse le proprie leggi i gravi cadevano in

egual modo130.

Tuttavia la tendenza dell’ Homo sapiens è quella di dare un valore a ciò che lo circonda

in base a criteri utilitaristici. Si tende a considerare buono ciò che risulta come tale per

sé, per la propria famiglia o per i propri amici invece di provare a valorizzare qualcosa

in modo indipendente.

Dare un valore agli animali, alle piante, a paesaggi o ad aree naturali indipendentemente

dal fatto che risultino utili o meno alla specie umana è un procedimento del tutto

legittimo sul piano filosofico. Al contrario non risulta legittima, in questo senso, una

posizione che riferisca tutti i giudizi di valore alla sola umanità.

I moderni stili di vita non hanno compromesso del tutto il fascino esercitato dalla

natura sull’uomo, ne hanno solo reso più difficoltoso l’accesso. “ In Norvegia esiste una

parola molto più espressiva e carica di valori che indica un modo di avvicinarsi alla

natura accettando le sue condizioni, un modo grazie al quale si calpesta la Terra con

leggerezza. Letteralmente la parola friluftsliv significa ‘ vita all’aria libera ‘ ma viene

tradotto anche con ‘ vita all’aria aperta ‘ o ‘ vita naturale ’. [...] useremo questa parola

per indicare una sorta di stato positivo della mente e del corpo a contatto con la natura

che ci avvicina ad alcuni dei molti aspetti dell’identificazione e della realizzazione del

Sé che abbiamo perduto”131. L’approccio alla natura tramite la friluftsliv ricalca quello

che è stato il modo di vivere degli uomini in era preindustriale. Infatti lo stile di vita

moderno, caratterizzato dal sovraffollamento e dallo scarso rapporto con la natura, ha

contrassegnato un periodo brevissimo della nostra storia. L’uomo moderno sembra in

parte ricercare questo rapporto perduto tramite attività sportive all’aria aperta.

130 Cfr. A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994 131 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 227

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Per far si che si affermi una friluftsliv responsabile sul piano etico ed ecologico è

però bene, secondo Naess, ricordarne alcuni principi imprescindibili:

- Rispetto per ogni forma di vita: ovvero ricordarsi di camminare con leggerezza

nella natura, senza cioè deturparla per puro fine ricreativo

- Educare alla friluftsliv promuovendo i processi di identificazione: bisogna

incoraggiare il desiderio dei bambini ad identificarsi con la natura esprimendo

un’interazione profonda con essa

- Minima pressione sull’ambiente naturale associata alla massima self-reliance:

ciò significa saper usare i materiali disponibili sul posto senza però sfruttare

l’ambiente

- Stile di vita naturale: consiste nel cercare di eliminare dal nostro stile di vita, per

quanto possibile, le tecniche e gli strumenti di origine esterna che tendono a

spostare la nostra concentrazione dai fini a ciò che risulta essere esclusivamente

un mezzo132

Questo stile di vita sembra ormai essere diventato una vera e propria necessità per un

gran numero di individui che vivono nelle società industriali. Questo fenomeno lascia

trasparire da un lato la necessità dell’uomo di riscoprire una parte del proprio sé

riconducibile alla natura e, dall’altro, il livello di insostenibilità raggiunto dall’attuale

stile di vita nelle società industriali.

Tramite il progresso delle conoscenze umane ed una maggior identificazione con gli

altri esseri, l’Homo sapiens potrebbe arrivare ad una meta ecosoficamente molto ambita:

uno stile di vita molto semplice nei mezzi ed incredibilmente ricco nei fini.

Naess osserva come però il comportamento degli esseri umani sia spesso

paragonabile a quello di una specie pioniera infestante nel suo essere individualista,

aggressiva ed invadente nonché costantemente impegnato a sterminare o soppiantare le

altre specie.

“La specie umana, continuando a comportarsi come specie pioniera infestante manifesta

un ritardo culturale catastrofico. La sua condotta impedisce sistematicamente i processi

di identificazione e i loro frutti: l’empatia e la capacità di vivere sulla terra con

132 Cfr. A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994

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leggerezza”133. Bisogna raggiungere la consapevolezza del fatto che se la specie umana

non deciderà di cambiare tale comportamento tutt’altro che funzionale, per sé e per il

resto degli esseri viventi, si rischia un danneggiamento irrimediabile del pianeta.

Storicamente, secondo Naess, la principale regressione dal Sé allargato al sé

individuale si è manifestata con l’avvento della metafisica e con la successiva

svalutazione della realtà fisica a favore di una realtà interiore, identificata come

ontologicamente superiore (Cfr. Cap. I). In questo modo un aspetto della realtà fu

separato dagli altri creando un notevole distacco dell’uomo dalla Natura.

5. Norme ed ipotesi su cui si sviluppa l’Ecosofia T

L’ Ecosofia T, a livello puramente normativo, si sviluppa a partire da due sistemi di

norme ed ipotesi fondamentali: uno a livello metafisico ed uno a livello fisico.

a. Livello metafisico

(N = norma, I = Ipotesi)

N1: Realizzazione del Sé

I1: Più alto è il livello raggiunto da qualcuno nella realizzazione del Sé, più alta e

profonda è l’identificazione con gli altri

I2: Più alto è il livello raggiunto da qualcuno nella realizzazione del Sé, più la

possibilità di potenziare tale processo ulteriormente dipende dalla realizzazione del

Sé da parte degli altri

I3: La completa realizzazione del Sé per ciascuno dipende da quella di tutti gli altri

N2: Realizzazione del Sé per tutti gli esseri viventi134

133 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 233-234 134 A. Naess, Ecosofia, Ecologia Società e Stili di Vita, traduzione di E. Recchia, Red Edizioni, 1994, p. 252

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In pratica questo sistema riassume le due norme fondamentali riguardanti la

realizzazione del Sé e la loro attuazione tramite il processo di identificazione.

Perché si arrivi ad una realizzazione del Sé per tutti gli esseri viventi è necessario

trascendere le attuali norme individualistiche ma senza perdere la propria individualità.

Infatti quando un essere si identifica in un altro non si presuppone che esso perda la

propria individualità, al contrario si giunge ad una comprensione reciproca dei diversi sé

individuali.

b. Livello fisico

Il sistema di livello fisico comprende norme ed ipotesi che traggono origine dall’ambito

scientifico:

I4: La diversità della vita aumenta la potenzialità di realizzazione del Sé

N3: Diversità della vita

I5: Le complessità della vita aumenta le potenzialità di realizzazione del Sé

N4: Complessità

I6: Le risorse per la vita della terra sono limitate

I7: La simbiosi massimizza le potenzialità per la realizzazione del Sé in condizione di

risorse limitate

N5: Simbiosi

Questo sistema è ideato al fine di voler creare un netto collegamento tra alcuni principi

biologici e il fondamentale fine metafisico dell’ecosofia. In questo senso i concetti di

diversità, complessità e simbiosi vengono sempre utilizzati in vista della realizzazione

del Sé.

Quindi anche a livello biologico sembra risultare più conveniente un atteggiamento di

simbiosi tra le diverse specie, che sappia unire la diversità e la complessità della vita in

modo armonico.

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Conclusioni

Le elaborazioni teoriche in risposta alla crisi ambientale, come visto, sono state varie ed

innumerevoli. A partire da una revisione delle posizioni cosiddette antropocentriche,

fino all’affermazione di una reale necessità di attribuire veri e propri diritti a tutti gli

esseri viventi.

Analizzare un problema di così ampia portata, e dalle conseguenze così vaste, necessita,

a mio avviso, di un metodo che sia il più possibile scientifico, che, pur non risentendo di

semplici sentimentalismi sia in grado di porre l’identificazione – intesa come processo

empatico - e la consapevolezza della propria posizione nella natura, come mezzo atto ad

un avvicinamento dell’uomo a ciò che lo circonda.

Nello spettro delle teorie “ecologiche” sono individuabili atteggiamenti molto diversi e

contrastanti tra loro che muovono talvolta da posizioni scientifiche, talvolta filosofiche

ed altre volte religiose.

Uno dei compiti più difficili in questo ambito rimane, a mio parere, quello di saper

distinguere tra teorie filosoficamente valide e teorie che, se pur dettate dalle migliori

intenzioni, non fanno altro che dare sfogo a sentimenti di compassione nei confronti

degli altri esseri viventi e della Natura in generale, senza però sapersi spingere oltre e

teorizzare sistemi in difesa di essi. Se si vuole giustificare un determinato atteggiamento

nei confronti della Natura – qualunque esso sia – bisogna essere precedentemente in

grado di dimostrare quale posizione occupi l’uomo all’interno di essa e del Mondo. Un

punto di vista generale risulta dunque necessario per la comprensione dei nostri

comportamenti particolari, la presa di coscienza della nostra posizione può aiutarci ad

individuare i nostri traguardi e degli adeguati modelli comportamentali atti al loro

raggiungimento.

Un grande merito di Arne Naess, a mio parere, è stato proprio quello di saper

delineare un diverso approccio metodologico al problema ambientale – che in tal modo

acquista una prospettiva di indagine ben più ampia di quella tradizionale. La

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suddivisione tra Shallow Ecology e Deep Ecology infatti, sembra essere in grado di

traslare il problema ambientale da un campo di indagine puramente tecnico-scientifico

ad uno allargato e sicuramente più profondo, ridisegnandone gli orizzonti, le

problematiche e le basi teoriche filosoficamente rilevanti. Egli stesso ravvisa la

necessità di sviluppare – per la prima volta – l’Ecosofia, in risposta alla necessità di

costituire una disciplina che tenga conto contemporaneamente di alcune teorie

appartenenti all’ecologia ed un sistema normativo, nonché di priorità valoriale, sul

modello della sofia greca. In pratica un’indagine sulla realtà che cerchi di mantenere

alcuni dettagli a livello particolare senza però tralasciare l’indagine prescrittiva globale.

Se da un lato dunque viene messa in risalto l’importanza delle relazioni che

intercorrono, a livello biologico, tra gli esseri viventi, al fine di dimostrare la fitta rete di

interconnessioni che ci rende fisicamente parte della Natura, dall’altro si rivela

necessaria anche un’indagine a livello prescrittivo, capace di delineare un

comportamento umano che sia in grado di inserirsi armoniosamente nel Mondo.

Le metodologie scientifiche risultano dunque necessarie ma non sufficienti per

un’indagine globale della realtà.

Questa si rivela essere, a mio avviso, una scelta metodologica quanto mai appropriata:

le problematiche ambientali infatti investono spesso diverse aree di interesse, quali

quella scientifica, etica o politica, rivelando la necessità di essere indagate da più fronti

e da diverse discipline contemporaneamente. L’Ecosofia sembra essere in grado di

costituire un approccio multidisciplinare/globale al problema in questione.

A questo fine sembra essere fondamentale un orientamento gestaltico: non solo per

comprendere, ad un primo livello, il nostro modo di percepire globalmente la realtà ma

anche per sviluppare un’indagine, a livello superiore, che sia in grado di analizzare

globalmente – nonché interdisciplinarmente – le problematiche del nostro mondo.

I fondamenti dell’Ecologia Profonda vengono individuati in alcuni principi che

sembrano poter delineare un nuovo approccio umano alla realtà circostante.

A mio parere è di fondamentale importanza sottolineare come l’’Ecosofia, pur

realizzando un’analisi d’ampio spettro che investe i principali campi dell’esperienza

umana, riesca a rispettare quelli che sono alcuni principi fondamentali della ricerca neo-

positivista: non cerca infatti di imporsi come un sistema omniesplicativo non

falsificabile, ma lascia ampio spazio alla personalizzazione da parte di coloro che, pur

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accettandone le basi fondamentali, vogliano sviluppare una propria, personale ecosofia.

Dunque una base metodologica filosoficamente ben strutturata in grado di lasciare

spazio ad un pluralismo prescrittivo.

L’aspetto pratico ricopre un ruolo di rilievo nella filosofia di Naess. Ogni sforzo

puramente teorico si risolve in una determinata azione o prescrizione. Una filosofia utile

oltre che elegante; pratica oltre che sistematica.

Una visione globale del mondo riversa le proprie caratteristiche in un modello

comportamentale che risulta armonico in esso.

Naess individua come causa della svalutazione della componente fisica della

realtà una certa “tendenza storica” ad elevare la componente interiore – spirituale –

dell’uomo rispetto alla realtà fisica.

Pur accettando l’individuazione della base del problema nella dicotomia, cui accenna

Naess, tra realtà interiore e realtà fisica, credo che una svalutazione di tale componente

sia imputabile, più che ad una semplice tendenza storica, alla nascita di un determinato

tipo di pensiero: quello metafisico.

Credo che la fenomenologia di Eugen Fink, ed in particolare la sua analisi sulla

collocazione dell’uomo nella metafisica occidentale, possa rinforzare le basi della teoria

di Naess.

Fink descrive in modo particolareggiato, nel suo “Il gioco come simbolo del mondo”,

come la nascita della filosofia occidentale abbia portato alla distinzione tra una realtà

sensibile ed una intellegibile e come, in base a questa ripartizione, sia cambiato il modo

di percepirsi nel mondo da parte degli esseri umani.

Una concezione metafisica dell’uomo porterebbe dunque ad una lacerazione della sua

natura e ad una perdita della propria comunione con il mondo. L’unico rimedio a tale

“strappo” consiste, pur ammettendo una distinzione di questo tipo, nel rendersi conto di

come in verità, essa delinei due “sfere” appartenenti alla medesima realtà, al medesimo

mondo. L’essere-nel-mondo dell’uomo risulterebbe dunque solo un caso particolare

dell’essere-nel-mondo di tutte le altre cose finite.

Il concetto fondamentale di essere-nel-mondo, alla base della fenomenologia finkiana –

ripreso in parte dal proprio maestro Heidegger – sembra dunque poter costituire una

solida base alla teoria “olistica” di Naess.

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Se l’essere-umano viene concepito ed individuato come un’entità veramente

integrata nel mondo l’intero ambito della sua esperienza può – e deve – essere rivalutato

alla luce di tale concezione.

Proprio a partire da questo concetto il rapporto Uomo-Natura viene ridefinito e assume

una rilevanza fondamentale ed imprescindibile. Il riconoscersi come parte del mondo –

e quindi della natura – è il primo passo verso una presa di coscienza ontologica nonché

ecologica; in pratica verso la nascita di un’econtologia. Riconoscere dunque la

metafisica come indagine valida che pur prescindendo la fisicità, non si discosti dal

mondo costituirebbe una vera e propria svolta nel pensiero occidentale.

Risulta fondamentale sottolineare, a mio parere, come partendo da tali

concezioni, si possano sviluppare delle teorie più che verosimili sulla reale posizione

dell’uomo all’interno della Natura. Non ha dunque più senso schierarsi con le teorie

antropocentriche o biocentriche, non sono più necessari “estremismi ideologici” a

favore di una posizione dominante dell’uomo o per una difesa della natura a tutti i costi.

I diritti degli animali a vivere una vita degna e per quanto possibile priva di sofferenze,

ad esempio, vengono pienamente riconosciuti, ma senza per questo arrivare a negare la

loro appartenenza alla catena alimentale: sprechi, maltrattamenti o iperprotettività non

sono accettati se vengono messi in risalto il naturale flusso della vita e le normali

dinamiche naturali.

L’unicità della specie umana viene riconosciuta ed inserita come tassello – uno dei tanti

– nella complessa costruzione naturale e ciò avviene senza che essa – o nessun altro -

perda la propria unicità o determinando, a causa di essa, un distacco dalla realtà.

Alla luce di un tale atteggiamento, dunque, le particolarissime caratteristiche dell’uomo

non vengono sminuite ma neppure utilizzate a sostegno di una sua posizione dominante

nel mondo.

L’Ecosofia dunque si presenta come un sistema tramite il quale analizzare

svariati ambiti della vita umana. Lo stesso Naess conduce delle analisi sulla relazione

tra questa disciplina e gli stili di vita umani, l’economia e la politica.

Sono convinto che la riflessione riguardante il nostro attuale modo di vivere sia del tutto

condivisibile. Seppur alcune delle tesi di Naess siano state sviluppate durante gli anni

Settanta del secolo scorso, molte delle posizioni da lui sostenute, sembrano essere del

tutto condivisibili a distanza di quasi quarant’anni. In primo luogo risultano per noi

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rilevanti la convinzione che sia necessario un cambiamento della mentalità attuale e la

critica al modello di valutazione quantitativo a favore di uno qualitativo.

I valori imposti dal sistema consumistico contemporaneo si scontrano nettamente con

quelli ipotizzati dalla prospettiva ecologica profonda. L’attuazione di un cambiamento

reale, dunque, dipende da una reale critica a quelle che vengono individuate attualmente

come priorità di valore – quando e se sono presenti.

La Deep Ecology indica una via tramite la quale risulta possibile riformulare una

priorità valoriale degli uomini che sia in linea con la natura ed inserita armoniosamente

nel mondo. Concetti semplici come quelli di qualità della vita o realizzazione del sé

acquisiscono un significato nuovo ed allargato una volta inseriti in una prospettiva

olistica del mondo.

A partire dalle teorie ecosofiche risulta possibile anche un’analisi del sistema

economico e politico. Seppur le osservazioni di Naess a riguardo risultino talvolta

lievemente superficiali o generalizzate, si deve ammettere che la critica di fondo mossa

al sistema di priorità valoriale basato esclusivamente su “valori” economici - attribuibile

alla società contemporanea - sembra poter essere considerata tutt’ora valida. Allo stesso

modo sembrano legittimi i suggerimenti a proposito delle strategie politiche cui

dovrebbero rifarsi i partiti verdi.

Sotto questi due aspetti credo risulti rilevante sottolineare lo sforzo atto alla messa in

pratica delle teorie ecosofiche. In un certo senso, l’analisi sociale, economica e politica

mossa da Naess alle società industriali moderne, sembra lasciar spazio – come

d’altronde fa in primo luogo a livello morale – ad un pluralismo di risposte differenti.

La diversità dunque – sia essa biologica, culturale, politica – viene salvaguardata ad

ogni livello dell’indagine di Naess.

Ovviamente alcune risposte pratiche suggerite dal filosofo norvegese risultano

anacronistiche e subiscono l’influsso dell’ ”ondata di ottimismo” tipica della fine degli

anni Sessanta, ma come si è visto le sue teorie lasciano ampio spazio ad un pluralismo

di risposte contestualizzabile con i nostri tempi.

Per concludere sento di poter dire che la validità dell’Ecosofia Naessiana stia, a

mio parere, nel suo approccio analitico e metodologico al problema ambientale e nel suo

tentativo di dare risposte a problemi concreti senza mai rinunciare a solide basi teorico-

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filosofiche. In aggiunta, l’apertura pluralistica dei propri risvolti normativi e pratici la

rende una teoria falsificabile e, di conseguenza, in costante evoluzione.

A livello pratico queste teorie sembrano davvero essere in grado di portare ad una

riconsiderazione della nostra posizione nel Mondo, e quindi dei nostri stili di vita, così

da risolversi in una ri-costituzione di un tutt’uno armonico con la Natura di cui

risultiamo incontestabilmente essere parte.

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Risorse multimediali

http://www.deepecology.org/

http://www.sum.uio.no/staff/arnena/#Publications - Università di Oslo

http://trumpeter.athabascau.ca/index.php/trumpet - Per tutti gli articoli citati dalla rivista

“Trumpeter”

http://en.wikipedia.org/wiki/Arne_N%C3%A6ss#Ecosophy_T

http://en.wikipedia.org/wiki/Deep_ecology

http://www.filosofia-ambientale.it/

http://www.aldoleopold.org/about/AldoLeopold.pdf

http://www.nancho.net/advisors/anaes.html

http://www.ecospherics.net

http://www.aldoleopold.org

http://www.finanzaonline.com

L’ultima consultazione dei siti sopra indicati è avvenuta in data 1-09-2008

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Ringrazio la sublime imponenza delle montagne, lo sfuggente silenzio dei deserti, il rigoglioso odore delle foreste dopo una giornata piovosa, l’impetuoso boato delle onde che s’infrangono sulle scogliere. Ringrazio tutto questo per la capacità che ha di emozionarmi, commuovermi e farmi sentire parte di qualcosa di speciale; per la sua grandezza, per la sua perfezione. Ringrazio le persone che, in grande o in piccolo, s’impegnano per cambiare le cose e trasmettere speranza a chi gli sta intorno. Le persone che ci sono e quelle che non ci sono più ma che sono riuscite a lasciare una traccia di loro in noi. Ringrazio le “coincidenze” che mi hanno condotto ad una ricerca su Arne Dikke Næss, personalità geniale ed eclettica che – insieme ad altri che ho incontrato nella mia vita – mi spinge a non abbandonare le mie passioni per quanto queste possano sembrare inconciliabili tra loro; per quanto questo vada contro il senso comune, per quanto questo significhi mettersi in gioco continuamente e perciò, spesso, soffrire. Ringrazio una persona davvero speciale che mi ha insegnato, con la calma e la pazienza dei saggi, a far saltare i sassi sull’acqua limpida dei fiumi di montagna. Un giorno realizzerò il suo desiderio, anche se forse, in parte, l’ho già fatto. Ringrazio colei con la quale ho ascoltato per la prima volta la voce del deserto. Ringrazio questo mondo, tanto magnifico quanto fragile.

“ I learned that courage was not the absence of fear, but the triumph over it... The brave man is not he who does not feel afraid, but he who conquers that fear. ” Nelson Mandela