FILM DOC · 2017. 12. 11. · ci sarà l’omaggio a Natalino Otto (1912-69), il re dello swing...

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Anno XVIII • novembre | dicembre 2010 Le ceneri del melodramma Intervista a Chomet Martone: Noi credevamo TARIFFA REGIME LIBERO: “POSTE ITALIANE S.P.A.• SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB GENOVA” Anime giapponesi: una mostra a Genova e “Porco Rosso” nelle sale DISTRIBUZIONE REGIONALE GRATUITA FILM DOC NUMERO 90 PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA Ricordando Chabrol 04 06 19 14

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  • Anno XVIII • novembre | dicembre 2010

    Le ceneri del melodramma

    Intervista aChomet

    Martone:Noi credevamo

    TARIFFA REGIME LIBERO: “POSTE ITALIANE S.P.A.• SPEDIZIONE IN

    ABBONAMENTO

    POSTALE

    - 70%

    - DCB GENOVA”

    Anime giapponesi:una mostra a Genova

    e “Porco Rosso” nelle sale

    DISTRIBUZIONE REGIONALE

    GRATUITA

    FILMDOCNUMERO90PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA

    RicordandoChabrol

    04 06 1914

  • Questa pubblicazione, ideata nel quadro dellacollaborazione tra Regione Liguria - SettoreSpettacolo e la Delegazione Regionale Liguredell’AGIS, contiene i programmi delle sale delCircuito Ligure Cinema d’Essai e viene distri-buita gratuitamente, oltre che in dette sale,anche nei circoli culturali e in altri luoghi d’in-contro e di spettacolo

    REDAZIONEc/o A.G.I.S. LIGURIAvia S.Zita 1/116129 Genovatel. 010 565073 - 542266fax 010 5452658www.agisliguria.ite-mail: [email protected]

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    F.I.C. F.E.D.I.C.C.G.S. A.N.C.C.I.

    I cinema del Circuito Ligure Cinema d’Essai aderiscono a:

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    FILMDOCNuova serie • Anno XVIII • N° 90Novembre Dicembre 2010

    In copertina immagine di Porco Rosso il film diHayao Miyazaki che finalmente esceanche nelle sale italiane

    La rivista è anche visibile on-line sul nuovo sito www.filmdoc.it .Ogni numero è anche scaricabile in formato pdf.

    PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA

    C ONTINUANO LE TRASFORMAZIONIDI FILMDOC, e da qualche settimanaqualcuno si è già accorto dell’ultima no-vità. Andando su www.filmdoc.it troverete in-fatti un sito completamente rinnovato, che oltrea riportare integralmente gli articoli della rivistacartacea propone una serie di servizi supple-mentari: a cominciare dai link con le sale regio-nali del circuito d’essai che a poco a poco stiamoinserendo e che permettono ai lettori di FilmDocdi essere continuamente aggiornati sulle pro-grammazioni, le loro variazioni e le loro integra-zioni che non sempre è possibile inseriretempestivamente nella versione a stampa dellarivista.

    Il dialogo coi lettori permesso dal nuovo sitointernet non si ferma ovviamente qua, e dalprossimo anno contiamo di partire con una seriedi iniziative: versioni più lunghe di articoli e in-

    terviste, sezioni specifiche che si troveranno solonella versione on line, un maggior numero di re-censioni e commenti ai film, l’apertura a nuovecollaborazioni, in modo da sviluppare ulterior-mente quell’accesso all’attività critica per i gio-vani che è stato in questi anni uno dei punti diforza di FilmDoc. Il sito non sarà insomma soloun luogo dove poter consultare on line la ver-sione cartacea, ma una sua vera e propria inte-grazione: per fare sempre più di FilmDoc unluogo cruciale di discussione di tutto il sistemacinema regionale.

    Con una piccola novità anche nella rivista chestate tenendo tra le mani: una nuova rubrica,“Fight Club”, in cui a turno i collaboratori inter-veranno per difendere film che sono stati ingiu-stamente trascurati e bistrattati, o che non sonoancora stati immessi in distribuzione ma meri-tano di essere visti.

    [ di Renato Venturelli ]

    Missing Film Festival

    Noi credevamo

    Il curioso caso di David Fincher

    Monsieur Tati, l’Illusionista

    Occhio al film doc

    Animeide - Porco Rosso di Miyazaki

    Mario Amendola

    Intervista a Gabriele Ferzetti -Festival di Deauville

    Festival: Mantova-Torino-Cimameriche

    Recensioni di Aldo Viganò -Fight Club

    Claude CHABROL

    Percorsi sonori - Cinema e cucina

    La Posta Doc - L’angolo dei Quiz

    Libri & Riviste

    Le ceneri del melodramma

    Bob Hoskins - Voci nell’ombra

    AgiScuola - Intervista a Celestini

    Cinema Dianese - Omaggio a Suso Cecchi D’Amico

    Programmi sale d’essai

    Film usciti in Liguria

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    ≥www.filmdoc.itLeggi la rivista, guarda i programmi e commenta gli articoli sul nuovo sito on line

    IN QUESTO NUMERO

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    Un nuovo sito, sempre più doc

    EDITORIALE

  • 3FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    FESTIVAL DOC

    XIX EDIZIONE DEL MISSING FILM FESTIVAL AL CLUB AMICI DEL CINEMA, 16-25 NOVEMBRE

    Dieci giorni dedicati ai film poco visti sugli schermi, con recuperi, do-cumentari d’autore, prime visioni, retrospettive. Tra gli eventi, unapersonale di Kieslowski e il film di Alain Tanner sui portuali genovesi.

    Alla ricerca del cinema perduto

    Ad aprire la 19° edizione del Missingci sarà l’omaggio a Natalino Otto(1912-69), il re dello swing italianonato a Cogoleto, vissuto a Sampier-darena, bandito dalla radio sotto ilfascismo per la sua “antimusica”. Losi vedrà in Tutta la città canta(6x8=48), film di Riccardo Freda del1943-45: abbinato al film il trailer delvideo Swing Otto di Paolo Borio e Ugo Nuzzo.

    NATALINO OTTO

    KRYSZTOF KIESLOWSKIInizia col Missing eproseguirà nei mesisuccessivi una retro-spettiva dedicata aKrzysztof Kieslowski:si vedranno Il cinea-matore (1979) e Latranquillità (1976) conJerzy Stuhr, Breve filmsull’amore (1988), Ilcaso (1981), Senzafine (1984) e quelBreve film sull’ucci-

    dere (1988) che lo rivelò a un pubblico più ampio,introducendo al mondo del Decalogo.

    CINEAMATORI GENOVESIUna sezione sarà dedicata al re-cupero dell'Archivio FotovideoGenova curato da Ugo Nuzzo eVideo Voyagers. Gran parte delprezioso materiale su pellicola(8mm, super8 e 16mm) prodottoin decenni di lavoro dai cineama-tori è stato "riversato" in digitale:brani di questo materiale visivosono stati scelti e utilizzati da Pietro Marcello per Labocca del lupo.

    LES HOMMES DU PORTI portuali genovesiraccontati in primapersona da Alain Tan-ner, che vede nellaloro organizzazione ilriscatto dal lavoro as-servito. Un bellissimofilm tra memoria indi-viduale ed analisi poli-tica, realizzato dal

    regista svizzero nel 1995: proiettato in ricordo di GiorgioGarré, storico animatore dell’Arci-Ucca, inventore delCinema nel Roseto e del premio Germi.

    Quanti film ogni anno susci-tano grande attenzione,vengono elogiati e pre-

    miati ai festival, ma non riesconopoi a trovare una normale distri-buzione nelle sale, oppure si ri-trovano smontati dopo pochigiorni? Da diciannove anni, ilMissing Film Festival si prodigaper recuperare questi titoli scivo-lati ai margini della programma-zione, sostenendoli e ottenendoa volte successi insperati.

    L’edizione di quest’anno sisvolgerà dal 16 al 25 novembre,promossa dai C.G.S., ruotandocome al solito attorno alla saladel Club Amici del Cinema diSampierdarena. Con recuperi,prime visioni, documentari evideo, rassegne retrospettive,presentazioni di libri che coin-volgeranno altre sale liguri. Que-sti alcuni dei titoli e delleiniziative in programma:

    NON E’ ANCORA DOMANI(LA PIVELLINA) • di Tizza Covie Rainer Frimmel • Due circensi cin-quantenni accolgono l’arrivo di una“pivellina” di due anni abbandonatadalla madre. Un piccolo e ispiratofilm dedicato a un’umanità invisibileche senza pregiudizi assapora le sor-prese del quotidiano tra improvvisa-zione, ironia e dolcezza.

    LE QUATTRO VOLTE • di Mi-chelangelo Frammartino • Le quattroforme in cui la vita si manifesta o sitrasforma: dall’umano al vegetale,dall’animale al minerale. Uno dei filmpiù sorprendenti della stagione ita-liana, accolto benissimo al festival diCannes ma poco visto nelle sale.

    LA COSA GIUSTA • di Marco

    Campogiani • Un poliziotto giovane eidealista, il suo collega esperto e ci-nico, un tunisino sospettato di terro-rismo: la missione di sorveglianza incui i due vengono affiancati evolveimpercettibilmente in un triangolosolidale.

    18 ANNI DOPO • di EdoardoLeo • Due fratelli trentenni si rincon-trano diciotto anni dopo la mortedella madre. Da allora non si sonomai più parlati, ma quando il padremuore li incarica di portare le sue ce-neri in Calabria, sulla tomba dellamoglie…

    20 SIGARETTE • di AurelianoAmadei • L’esperienza di un soldatoche passa poche ore in Iraq, appenail tempo di fumare un pacchetto di si-garette, e si trova coinvolto nell’at-

    tacco di Nassirya del 2003.

    PIAZZATI • di Giorgio Diritti • Ilfenomeno dei bambini dati “in affitto”a famiglie che li facevano lavorare incambio di un pasto al giorno: maschie femmine cresciuti lontano dai ge-nitori, dagli affetti, dai giochi, co-stretti a responsabilità superiori ailoro anni… Dal regista di Il vento fail suo giro e L’uomo che verrà.

    SOTTO IL CELIO AZZURRO •di Edoardo Winspeare • Celio Az-zurro è una piccola scuola maternanel cuore di Roma che ospita 45bambini appartenenti a 32 nazionalità

    diverse. Un grande modello di edu-cazione e dialogo tra le culture chenell’Italia di oggi è come un fortinoassediato, difeso da un gruppo dieducatori appassionati.CIMAP! CENTO ITALIANIMATTI A PECHINO • di Gio-vanni Piperno • Un viaggio in trenoda Venezia a Pechino: 12.000 chilo-metri in venti giorni con 77 malatimentali e 130 tra familiari, operatorisanitari, volontari e psichiatri.Un’esperienza unica, che mette in lucel’emarginazione spesso subita dai ma-lati mentali, ma anche il metodo usatoper arricchire umanamente tutti, psi-chiatri ed operatori compresi.

    GIALLO A MILANO • di SergioBasso • Volti e storie della chinatownmilanese, la più popolosa d’Italia euna delle più antiche d’Europa. Pren-dendo spunto dalla rivolta di viaPaolo Sarpi nell’aprile 2007, il docu-mentario dà la parola a una comunitàmisconosciuta e complessa, mesco-lando immagini di repertorio, albumfotografici e video di famiglia.

    + o – IL SESSO CONFUSO •di Andrea Adriatico, Giulio MariaCorbelli • Un documentario per rac-contare come l’Aids possa cambiarele prospettive e il corso dell’esistenzadi chi ne è vittima, e diffondere unclima di sospetto e panico tra chinon ha avuto nessun contatto colvirus.

    PERSONALE DI CATERINACARONE • I film realizzati da Ca-terina Carone, la giovane regista cheha vinto a Torino 2009 il premio Mi-glior documentario italiano: oltre aValentina Postika in attesa di partire,sul rapporto tra una badante mol-dava e un vecchio partigiano, si ve-dranno anche Le chiavi del Paradisoe Polvere. MY SON MY SON WHATHAVE YE DONE • di WernerHerzog • Un giovane attore si iden-tifica con il protagonista della trage-dia che sta interpretando, l’Orestea,e uccide la madre: ma cosa si na-sconde dietro la sua lucida follia? Inprima visione, il film di Herzog pro-dotto da David Lynch, presentato aVenezia 2009, ma ancora inedito aGenova.

    14 KM • di Gerardo Olivares • Ildestino di Violeta, che abbandona ilsuo villaggio nel Mali per fuggire a unmatrimonio combinato, si incrociacon quello di Buba, giovane calcia-tore del Niger. In prima visione.

    Una scena del film My son my son what have ye done

  • 4 FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    I FILM DOC

    NON SIAMO FORTI IN STORIA, noi ita-liani. Meglio ripassare. Noi credevamo diMario Martone racconta il Risorgimento

    come a scuola non ce lo raccontavano, concentrain tre ore e mezzo di film quattro decenni del no-stro Ottocento, dai primi moti meridionali del1820 fino alla repressione del brigantaggio e aGaribaldi fermato e ferito in Aspromonte dai sol-dati sabaudi, nel 1862. La scelta che Martone e ilsuo cosceneggiatore Giancarlo De Cataldo privi-legiano, nel trasporre il libro omonimo di AnnaBanti (il cui nonno fu cospiratore e patriota), è disfrondare e togliere, di non mostrare battaglie,gesti eroici, epici assalti: scelgono di rappresen-tare una lunga guerra di liberazione come unsordo procedere di tentativo fallito in sforzo inu-tile, di obiettivo non raggiunto in traguardo cherimane utopistico.

    Molti dei protagonisti più in vista del nostroRisorgimento non compaiono nel film. C'è il Cri-spi repubblicano e rivoltoso, poi monarchico ecolonialista: è lui a pronunciare nel simbolica-mente vuoto Parlamento torinese il discorso chemette fine alle illusioni. C'è un Giuseppe Maz-zini votato all'azione, anche violenta. Vengononominati ma non li vediamo Cavour e Garibaldi,intravisto solo di notte e da lontano. In primopiano sono invece tre ragazzi del Sud, del Ci-lento, che decidono, insieme, di affiliarsi allaGiovine Italia mazziniana. Salvatore è figlio delpopolo. Domenico, l'idealista, e Salvatore, il co-spiratore, sono di origine nobiliare. Vanno a Pa-rigi a cercare fondi, tentano di uccidere Carlo

    Alberto, falliscono, si dividonoe ognuno incontrerà il propriodestino.

    Le intenzioni di Martone, losi capisce subito, sono ben lon-tane da una visione apologe-tica e retoricamente gonfia,

    così come da una puntigliosa ecompleta ricostruzione storica. Martone non at-traversa quarant'anni di storia patria in tutti ipassaggi e risvolti: procede piuttosto per lampi,momenti, situazioni e personaggi, l'utopia ugua-litaria della contessa di Belgiojoso, le prigioniborboniche, l'attentato a Napoleone III, la repres-sione delle rivolte contadine che i piemontesi oc-cultano dietro il falso nome di “brigantaggio”.Martone vuole soprattutto porsi e porre delle do-mande: su cosa sia stato il Risorgimento, qualifossero gli intendimenti e le speranze di chi loiniziò, di chi lo volle fermamente e ferocemente,di chi poi fu travolto dall'entrata in campo dialtri che avevanodavvero il potere ela forza per deviareil corso della lotta indiversa direzione.Martone si chiede inche cosa quella rivo-luzione fallita abbiapoi condizionato e ancora condizioni la storiasuccessiva del nostro paese. È guardando a quelpassato, dice chiaramente il film, che si può ca-pire l'Italia di oggi, capire perché la nostra Unitànon sia mai stata portata a compimento, perchénon siamo ancora un paese che sa di essere talee vuole esserlo, uno e unito, anche nelle diffe-renze, un paese che vuole portare a termine lasua costruzione.

    La forza ruvida e la bellezza silenziosa del filmstanno nel modo con cui tutto questo vienedetto. Certo, anche con i discorsi, le discussioniaccese e gli scontri: ma soprattutto con le imma-gini. Con un modo di far cinema complesso e

    chiaro al tempo stesso. Complesso perché nonsuperficiale. Chiaro perché quel che ha da dire,sul rapporto tra quel passato e il nostro presente,lo dice esplicitamente con effetti in alcuni casidavvero stranianti, che lasciano sorpresi e so-spesi. I condannati alla ghigliottina vengono por-tati al patibolo su delle scale di griglia metallicache sono le nostre scale, di oggi. E in certi pano-rami del Sud (la questione meridionale, mai ri-solta!) si vedono, come una incongrua e perfettaapparizione, quelle case con i pilastri di cementoarmato che si drizzano verso l'alto e non arri-vano a nessun soffitto, a nessun tetto. Sta qui lasostanza del film: il percorso risorgimentale e idecenni che si sono poi succeduti non hannoportato a termine la costruzione del paese. Il no-stro è un paese cui mancano dei pezzi. È unacasa cominciata male e mai finita. Un paese chenon sa come raggiungere i suoi obiettivi.

    Non è un film didattico, questo di Martone.Non è il Rossellini delle ricostruzioni storiche.

    Non è neppure, sulversante opposto, ilVisconti melodram-matico del risorgi-mentale Senso. Noicredevamo è un filmaccorato e lucido,senza concessioni o

    sbavature. Sta dalla parte di chi voleva fare l'Ita-lia e farla in una certa maniera, unita, libera, re-pubblicana. Farla per tutti i cittadini. Loro cosìcredevano. E invece si è visto togliere la storia dimano, portar via un sogno. Anche per colpe pro-prie: per la italianissima, geneticamente italiana,incapacità di restare uniti, per la spinta inarre-stabile a dividersi, a diventare, da amici che siera, avversari e nemici. Il Risorgimento, per Mar-tone, è la nostra storia come poi si ripeterà an-cora e ancora. Storia di slanci e cadute. Nel suoessere una ricostruzione del passato e una vi-sione dell'oggi, Noi credevamo risulta essere unalezione (inutile?) per il futuro.

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    Noi credevamo

    Toni Servillo interpreta Giuseppe Mazzini

    Il regista Mario Martonesul set del suo ultimo film

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    [ di Bruno Fornara ]

    Martone si chiede in che cosa quella rivoluzione fallita abbia poi condizio-nato e ancora condizioni la storia suc-cessiva del nostro paese.

  • 5FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    PER CERTIVERSI lacarriera di

    David Fincherassomiglia a quella di rock

    band degli anni Settanta. Prima dell'avventodella rete una band si rodava normalmente nel-l'arco dei primi tre album, fatti uscire magari asei mesi di distanza gli uni dagli altri. Poi l'al-bum doppio live di rito decreteva, più o menodefinitivamente, se la band era fatta per durareo meno. Ai Kiss è andata così. Ai Thin Lizzy sonostati necessari cinque album prima di decollaree gli stessi Aerosmith sono diventati enormi solonell'arco dei canonici primi tre dischi prima disfondare definitivamente con Toys In the Attic. Edè proprio con un videoclip per gli Aerosmith (Ja-nie's Got A Gun) che David Fincher si fa notareper la prima volta anche se ne aveva già all'attivoalmeno una quarantina realizzati per gente delcalibro di Madonna e Sting. Come dire che a Fin-cher iniziando a fare cinema non mancava certoil senso dell'immagine efficace e del montaggioveloce. Forse gli mancava il resto. Infatti Alien 3,il suo esordio, è funestato da incomprensioni sulset. Il neoregista non ha ancora imparato l'arte dicome si impone la propria visione e volontà neiconfronti di un set popolato da un centinaio dipersone. “Credo che il set di un film sia una dit-tatura fascista. Devi andare sul set sapendo ciòche vuoi fare perché lo devi comunicare a 90 per-sone e deve essere convincente. Altrimenti,quando iniziano a farti delle domande, il cavalloti può scappare via tra le gambe e il cavallo èmolto più grande di te”.Nonostante tutto, dal disastro produttivo di

    Alien 3 si salva solo Fincher, il cui sguardo eccen-trico buca comunque lo schermo. E infatti, tor-nando alla similitudine rock, David Fincher conil successivo Se7en dimostra che la macchina dapresa lui la suona benissimo. Accolto con un en-tusiasmo unanimistico dalla critica, Se7en è poco

    più di un thrillerac-cio, ma la fotografia

    di Darius Khondij confonde le idee a tutti. I filtri,le gelatine, gli obiettivi e le ombre dell’ immagi-nifico direttore della fotografia utilizzato ancheda Bernardo Bertolucci vengono elevati al rangodi opera epocale. Il talento c'è, come pure un'evi-dente acredine d'affermazione. Il successivo TheGame – Nessuna regola è così sbagliato che faquasi tenerezza (e su un Film Comment di qual-che tempo fa un critico ammetteva che oggi ilfilm gli piaceva “quasi”...). A questo punto la si-tuazione è polarizzata quanto basta. Gli estima-tori di Fincher difendono a spada tratta, gli altriminimizzano. A riattivare l'interesse sul registaci pensa Fight Club, opera visivamente sontuosae a tratti genuinamente inquietante che ancorauna volta evidenzia come il regista sia il primo ainnamorarsi del proprio tronitruante virtuosi-smo calligrafico. A insinuare il dubbio che pro-babilmente s'era stati troppo severi con DavidFincher, ci pensa John Carpenter il quale dichiaradi amare molto Fight Club. Ma mentre ci si arro-vella su Fincher, Panic Room sembra sgomberaredefinitivamente il campo dagli equivoci: solitamaestria formale ma poco altro a quanto pare.

    Poi Fincher si ferma. Rispetto al ritmo biennalecon il quale inanellava i suoi film, ci voglionoben cinque anni prima di vedere Zodiac. E, sor-presa!, David Fincher è un altro cineasta. O me-glio: sembra finalmente avere messo a fuoco lesue potenzialità, rinunciando al fuoco di filadegli effetti gratuiti mettendo addirittura in ri-lievo una neoclassicità potente che la fotografiadell'eccellente Harris Savides esalta. Nel rievo-care le gesta del Killer dello Zodiaco, Fincher

    crea un thriller ambient retto da interpretazionidi precisione chirurgica e lavorando al megliocon la dimensione degli effetti digitali. Lavo-rando in sottrazione e aspirando via ogni possi-bile tentazione effettistica, Fincher realizzaun'opera notevole che di fatto riapre la sua pra-tica. “La gente dice che si sono milioni di modiper girare una scena, ma non penso sia così.Penso che ce ne siano due. E l'altra è sbagliata”.Con Zodiac Fincher firma il film che dimostra,tornando alla similitudine rock, che il turnistaprodigioso, è anche un musicista raffinato e cheal momento opportuno dimostra di compren-dere il valore che una nota in meno può appor-tare a una canzone.

    Curiosamente per realizzare il suo film succes-sivo, Il curioso caso di Benjamin Button, Fincherimpiega poco più di un anno. Struggente e biz-zarro e folle intreccio di horror, melodramma eriflessione filosofica, Benjamin Button è la dimo-strazione che Fincher è diventato un registaadulto. “Non sai cosa significa dirigere un filmsino a che il sole non tramonta e tu devi girareancora cinque scene, sapendo che ne girerai solodue”. Benjamin Button è l'album doppio che con-sacra Fincher e che ti fa ammettere di buongrado che sotto il fuoco di fila degli effetti covavaun ottimo e appassionante regista. D'altrondedai numerosi trailer che circolano in rete, ancheil prossimo The Social Network sembra potenzial-mente proseguire la striscia di risulti positiviconseguita da David Fincher. “Come regista di-pende tutto da come gestisci l'informazione inmodo tale che il pubblico resti con te quandodeve restare con te, stia dietro di te quando devestare dietro di te e stia davanti a te quando devestare davanti a te”.

    Sta per uscire The Social Network,

    dove il regista diSe7en racconta lastoria di Facebooke del suo fondatore Mark Zuckerberg

    Jesse Eisenberg interpreta Mark Zuckerberg

    Robert Downey Jr., Jake Gyllenhaal in i Zodiac

    Il curioso

    caso di David

    Fincher[ di Giona A. Nazzaro ]

    I REGISTI DOC

  • 6 FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    LE INTERVISTE DOC 

    Intervista a Sylvain Chomet

    TU T T Onasce dauna sce-neggiatura mairealizzata diJacques Tati. Ilgrande comicof r a n c e s eaveva comin-

    ciato a pensare a L’illusio-nista già nel 1953. Dopo aver realizzato Levacanze di Monsieur Hulot, colpito dalla visionedi Luci della ribalta di Charlie Chaplin, gli eravenuta voglia di rendere omaggio ai suoi anni diformazione nel music-hall. Poi Tati aveva direttoMio zio (1958), preparato uno spettacolo al-l’Olympia e finalmente concluso la sceneggia-tura. Ma le enormi difficoltà incontrate negliultimi anni di carriera avevano confinato L’illu-sionista allo stato embrionale diprogetto. Almeno fino all’arrivo diSylvain Chomet, disegnatore difumetti, autore di un cortome-traggio d’animazione nominatoagli Oscar, con la passione per leillustrazioni di Albert Dubout eper la Francia del realismo poe-tico. Chomet aveva dichiaratoapertamente la propria ammirazione per Tati inuna gustosa scena di Appuntamento a Belleville(2003), il suo primo lungometraggio animato di-ventato un successo internazionale, quando le“Triplettes”, guardando la televisione, venivanorapite dalle gag di Giorno di festa. Il tocco no-stalgico di Chomet e l’omaggio affettuoso hannoconvinto Sophie Tatischeff, figlia di Jacques, cheun film d’animazione poteva essere la sola pos-sibilità di ridare vita a quella vecchia storia pa-terna. L’Illusionista racconta il crepuscolo di un ar-

    tista di music-hall, la cui carriera è minacciatadalla stanchezza, dall’età e dall’esplosione delrock, i cui concerti sempre più spettacolari e af-follati relegano acrobati, prestigiatori e altri fu-namboli al rango di anticaglie. Il protagonistavive un improvviso sussulto di vitalità grazie al-l’incontro con una bambina, Alice, che da ultimadelle sua spettatrici entusiaste, diventa unaspecie di figlia adottiva. C’è, come detto, unaforte componente autobiografica nella sceneg-giatura che Chomet ha reso ancor più esplicitatratteggiando il protagonista con i tratti incon-fondibili di Monsieur Hulot, anzi di Jacques Ta-tischeff in persona. Se da un punto di vistapuramente tecnico L’Illusionista è nettamentesuperiore ad Appuntamento a Belleville - il

    tratto è meno manierato e passatista, più aereo,elegante e fluido - il successo del film sta al-trove: Chomet è riuscito a riprodurre, con graziae naturalezza, il concentrato unico di poesia edi humour, di goffaggine e malinconia che eraproprio dell’universo Tati. Quando Sophie Tatischeff l’ha scelta per rea-

    lizzare la sceneggiatura di L’illusionista, nonera spaventato dal confronto con Tati?No, proprio per questa ragione. Quando ho

    saputo che Sophie aveva apprezzato il gusto elo stile grafico di Appuntamento a Belleville eaveva suggerito al mio produttore la sceneggia-tura perché pensava che io potessi trarne unbuon film d’animazione, mi sono sentito accet-tato, quasi investito dalla famiglia a intrapren-dere il lavoro. E non ho mai avvertito l’ombra diTati come culturalmente ingombrante, perchéconoscevo molto bene il suo cinema, i suoi film

    fanno parte della mia vita e la sua visione dellecose mi è vicina. Il vero rammarico è che Sophienon abbia potuto vedere nemmeno un frame delfilm, è morta subito dopo la sua proposta. Sonosicuro che avrebbe riconosciuto lo spirito di am-mirazione per suo padre con cui tutti hanno la-vorato a L’Illusionista.Immagino abbia rivisto i suoi film, cosa le in-

    teressava restituire del suo cinema e del suomondo?Ovviamente li ho rivisti e sono rimasto molto

    colpito dal suo stile molto essenziale. Tati nonè nato con la macchina da presa in mano, nonaveva il cinema nel sangue, era essenzialmenteun artista “musicale”, una specie di ballerino.Così aveva scelto uno stile semplicissimo, gi-rava per scene. Trovava una posizione ideale enon muoveva mai la macchina, utilizzava dei to-tali e solo in rarissime circostanze il primopiano. La macchina da presa nei suoi film nonracconta mai una storia, ma documenta unastoria che le accade davanti. Dirò di più, sic-come Tati era un omone, spesso il punto di vistascelto è quello del suo sguardo, più o meno adun metro e ottanta di altezza, inclinato verso ilbasso. Ma nonostante questa fissità, tutto nelframe ha un’incredibile qualità musicale, danza.Se dovessi scegliere una sola qualità del suo ci-

    nema, vorrei poter re-stituire questa legge-rezza divina.Stupisce nel film

    la capacità di nar-rare una storiapiena di snodi e diemozioni con un ri-corso ridottissimoai dialoghi. Comein Tati, però, la colonna“dei suoni” è fondamentale.Mi piace quando dei personaggi animati vi-

    vono ed esprimono delle cose semplicementeattraverso i loro movimenti. Trovo che la vocesia piuttosto inessenziale in un film d’anima-zione. Non il suono ovviamente, che invece èfondamentale, ma la voce. La controindicazioneè che bisogna centrare sempre l’essenza dellascena, soprattutto in un film in cui non ci sonoprimi piani e le parole scarseggiano. Questocomplica il lavoro, ma è divertente fare dellecose complicate. Rispetto ad Appuntamento a Belleville, trovo

    L’illusionista più maturo sia in termini di tec-nica che di regia. In cosa pensa di esser miglio-rato rispetto al suo primo film?Mi sono lasciato alle spalle l’universo ba-

    rocco, caotico e pazzoide di Appuntamento aBelleville, per andare con maggiore sobrietà epurezza verso il mondo di Tati. Ho girato inqua-drature molto lunghe e quindi più difficili, ho cu-rato i dettagli degli ambienti, soprattutto gliesterni di Edimburgo, con maggiore esperienzae consapevolezza, ho ridotto le citazioni. Di-ciamo che ora sono meno preoccupato di stu-pire lo spettatore e più attento allo spazio e altempo delle emozioni.L’animazione americana ha ormai eletto il

    3D come l’unica tecnica in grado di conquistareil mercato. Quale spazio di sopravvivenza ri-mane all’animazione tradizionale? Molti animatori, soprattutto disegnatori, sono

    terrorizzati perché gli executive dellaDisney/Pixar sostengono che il 2D è destinato amorire e da qui in avanti tutto sarà girato in 3D.Sono le tipiche cazzate sparate da chi non capi-sce niente. Mi pare assurdo, è come dire che ilfuturo del Tour de France sono le gare di For-mula 1. L’illusionista non assomiglia ai filmamericani cui il pubblico è abituato. Non è unamontagna russa ma avrà lo stesso il suo spazioe la sua distribuzione. A differenza dei film piùcommerciali è un viaggio personale. Lo spetta-tore è importante quanto il regista del film. Noncredo sia un genere destinato all’estinzione.

    … gli executive della Disney/Pixar so-stengono che il 2D è destinato a moriree da qui in avanti tutto sarà girato in3D… è come dire che il futuro del Tourde France sono le gare di Formula 1”

    Il regista di “Appuntamento a Belleville” ci parla del suo ultimo film “L’illusionista”, da una sceneggiatura di Tati.

    Il regista freancese Sylvain Chomet

    [ di Roberto Pisoni ]

    Monsieur Tati, l’illusionista

  • INCONTRERAI UNOSCONOSCIUTO ALTO EBRUNO di Woody Allen, con AnthonyHopkins, Naomi Watts, Josh Bro-lin, Antonio BanderasUn signore stagionato cerca di tornarea vivere sposando una giovane prosti-tuta, la moglie abbandonata si affidaagli imbrogli di una veggente, il genero perde la testa per unavicina di casa… Il balletto dei sentimenti, degli inganni e delleillusioni quotidiane secondo Woody Allen: in una commediabrillante ma terribilmente amara, con Anthony Hopkins nellaparte del vecchio padre, ricco ed elegante, che prende unasbandata.

    KABOOM di Gregg Araki, con Haley Bennett,Thomas DekkerUn ragazzo arriva in un campus universi-tario, se la spassa per un po’, ha qualcheproblema d’identità sessuale e finisce persprofondare in un incubo. Tutto raccontatoa gran ritmo da Gregg Araki di Doom Ge-neration e Mysterious Skin, il regista indipendente Usa specia-lizzatosi nell’esplorare avventure e sbandamenti adolescenziali:brillante ed ironico, passato a Cannes fuori concorso.

    MAMMUTHdi Benoit Delépine & GustaveDe Kevern, con Gérard Depar-dieu, Yolande Moreau, IsabelleAdjani, Benoit PoelvoordeProletario sessantenne smette di lavo-rare e scopre di non avere i documentinecessari a riscuotere la pensione: sal-tato in sella alla sua vecchia moto, simette in viaggio per andare a cercarli.Dai registi dell’anarchico, estroso e un po’ sgangherato LouiseMichel, un altro film dai toni caustici e surreali su ingiustizie emostruosità della società di oggi: con un Depardieu in granforma.

    POST MORTEMdi Pablo Larrain, con AlfredoCastro, Antonia ZegersCile, 1973. Un uomo di mezz’età,triste e solitario, lavora presso lamorgue di Santiago. Vivrà il colpodi stato di Pinochet da quel terri-bile punto d’osservazione, tra vio-lenze militari, montagne dicadaveri, e una corruzione moraleche arriva a penetrare nell’intimodelle persone qualunque. Dal re-gista di Tony Manero, molto elo-giato all’ultima Mostra di Venezia.

    PRECIOUSPRECIOUSdi Lee Daniels, con GaboureySidibe, Mo’Nique, Ragazzinaafroamericana obesa e solitaria su-bisce passivamente ogni sorta diviolenza familiare: finché la presidescopre che è incinta, la caccia dascuola e la manda in un istitutospeciale di recupero, dove impa-rerà ad avere più fiducia in sestessa. Una storia tragica raccon-tata con modi brillanti. Oscar per mi-glior attrice e sceneggiatura, premio del pubblico al Sundance.

    PASSIONE di John Turturro, con Peppe Barra, Avion Travel,Spakka-Neapolis, Misia, Raiz, Fiorello, Massimo Ra-nieri, Max CasellaIl viaggio di John Turturro nella canzone napoletana e nelle sueradici italiane: Napoli viene vista come il più grande juke-boxdel mondo, le canzoni vengono eseguite in mezzo alle strade,i classici del passato vengono reinventati dagli artisti di oggi.Con Pietra Montecorvino che rifà “Zazà” in un mercato, Mas-simo Ranieri in una sceneggiata di “Malafammena”, una me-morabile interpretazione multiculturale di “Tamurriata nera”.

    IL RESPONSABILE DELLE RISORSEUMANEdi Eran Riklis, con Mark Ivanir, Guri AlfiIl responsabile delle risorse umane di un grande panificio diGerusalemme è in crisi e non sa più che fare della sua vita.Quando una dipendente straniera resta uccisa in un attentato,decide perciò di recarsi nel paese d’origine della defunta, af-frontando un lungo viaggio… Dal regista israeliano di Il giar-dino di limoni e La sposa siriana.

    SÉRAPHINEdi Martin Provost, con Yolande MoreauLa storia di Séraphine Louis, emarginata di campagna chevive nella Francia d’inizio ‘900 compiendo lavoretti nelle case,ma coltiva una sua personalissima passione: la pittura. Sco-perta casualmente da un collezionista d’arte, diventerà unadelle più famose pittrici naif. Con la corpulenta protagonistadi Louise Michel.

    THE TOURIST di Florian Henckel von Donnersmarck, con JohnnyDepp, Angelina Jolie, Paul Bettany, Timothy DaltonEsordio hollywoodiano per il regista-rivelazione di Levite degli altri: con Johnny Depp nella parte di un turistaamericano, che si reca in Italia, viene agganciato da unabella ragazza e si ritrova coinvolto in una vicenda thril-ling. Ambientato a Venezia, con scene anche a Parigi eTreviso.

    UNA VITA TRANQUILLA di Claudio Cupellini, con Toni Servillo, MarcoD’Amore, Francesco Di Leva Un italiano vive tranquillamente in Germania, dove si èperfettamente integrato e gestisce un albergo-ristorante.Finché riappare qualcuno dal suo passato, e comincianoi problemi: chi è in realtà quell’uomo inappuntabile? Equali segreti nasconde? Con un grande Toni Servillo.

    C HE SAM MENDES SIA UN REGISTA ECLET-TICO e difficilmente inquadrabile, è un fattoormai ben noto. Che la sua produzione rac-colga consensi è invece confermato da una sfilza distatuette dorate e dalla fama di elegante professioni-sta, di gran domatore di interpreti votato al motto “seuna storia funziona, la si metta in scena”. Ennesimatestimonianza ne è il curioso American Life (Away WeGo il titolo originale), film che lascerà i molti ammira-tori di American Beauty indifferentemente sorpresi operplessi. Sorpresi di non trovarsi di fronte ad unacaustica radiografia di disfunzionalità famigliari o dinon assistere alla decadenza del ceto medio yankee;perplessi, invece, per i toni insolitamente leggeri di unapellicola che molti critici hanno già indicato comeprimo prodotto cinematografico dell’Era Obama. Per-ché American Life è una commedia, e di quelle senti-mentali per giunta, con annesso un messaggio disperanza nella forza degli affetti che mai ci si sarebbeaspettati da chi, in passato, aveva dipinto la vita ma-trimoniale nella provincia americana come un corri-spettivo borghese dei gulag siberiani.La vicenda – scritta a quattro mani dai romanzieri

    Dave Eggers e Vendela Vida - ruota attorno al viaggioattraverso gli Stati Uniti di Burt e Verona, giovani incerca di legami sinceri in un mondo che non capi-scono e, soprattutto, di un luogo in cui crescere la fi-glia che sta per venire al mondo. Una trama piuttostolineare, quindi, per un film che ha diviso la critica e, inparte, deluso al box-office. Banale commedia indie? Guida ai nuovi trentenni

    americani? Riflessione sulla forza dei sentimenti in unmondo privo di ideali? Il verdetto spetta ora al pubblicoitaliano, che potrà incamminarsi con i due protagonistiverso una Frontiera ben diversa da quella testardamenteinseguita dalle carovane della vecchia Hollywood. E’ in-fatti una semplice coppia l’asse intorno a cui ruota l’uni-verso mondo, mentre scopo della ricerca è diventato ilraggiungimento dell’equilibrio affettivo. Un percorsopiuttosto singolare, quello delineato dal regista inglese:un raro caso di viaggio “anti-iniziatico”, in cui la risposta

    ai grandi quesiti della vita risiede già nel proprio oriz-zonte affettivo e si rivela necessariamente in seguito al-l’accettazione di sé.Soli, sorridenti, sempre più increduli, Burt e Verona

    resteranno insieme per tutti il film, relazionandosi conaltre coppie di volta in volta male assortite, rassegnate,folli, esaltate: in una parola, infelici. Il loro tentativo ditrovare un posto al sole, di fondersi con il contesto, sitrasformerà in maniera inconsapevole in una fuga a ri-troso verso una felicità insita proprio nella loro unione,secondo una traiettoria diametralmente opposta ri-spetto a Revolutionary Road. Insomma, un inno alproverbiale “due cuori e una capanna” adattato peròall’America post Undici Settembre, paese in cui tuttiruminano sull’amore e la fuga è la miglior cura all’in-soddisfazione, mentre all’orrore della banalità quoti-diana si sovrappone in dissolvenza la sagoma di unacasa in riva al lago. “Ti amerò per sempre, anche se non dovessi più

    trovare la tua vagina” dice lui, abbracciandole il pan-cione. Il turpe Lester Burnham e i petali di rosa sonoormai solo un ricordo, e lo spettatore, per la primavolta nel cinema di Mendes, potrà permettersi il lussodi un sospiro di sollievo.

    Massimo Lechi

    ≤Amore on the road in American Life, il nuovo film di Sam Mendes annunciato in uscita a Natale.La frontiera degli affetti

    OCCHIO AI FILM DOC

    ≥≤

    PICCOLA GUIDA

    AI FILM DOCIN USCITA NELLE SALE

  • U NO SPLENDIDO IDROVOLANTE sorvola le acquedell’Adriatico. A bordo c’è Porco Rosso, pilota dalpassato misterioso. Il suo corpo è umano, ma ilvolto è quello di un maiale. Salva alcune bambine rapitedai pirati e poi lo ritroviamo all’hotel Adriano, gestito dal-l’affascinante Gina. La donna viene chiesta in sposa dal-l’aviatore americano Curtis ma lei lo rifiuta, ed insieme aPorco ricorda i vecchi tempi, quando lui aveva ancora ilsuo bel viso. Dopo uno scontro aereo con il bellicoso Cur-tis, Porco Rosso è dato per morto mentre invece è a Mi-lano, dove fa riparare l’aereo dall’amico Piccolo. Fio,nipote di Piccolo, progetta alcune modifiche all’aerodina-mica dell’apparecchio e si propone poi come sua motori-sta. Accortosi che la polizia fascista lo tiene sottocontrollo, Porco riguadagna l’Adriatico dove lo attende unaltro scontro aereo all’ultimo sangue con Curtis, che staper diventare protagonista di un film a Hollywood. Prima

    della battaglia scopriamo qualcosa del suo passato: Porcosi chiamava Marco Pagotto e il suo migliore amico era ilprimo marito di Gina, morto tragicamente in guerra …Tra i film più personali di Miyazaki, Porco Rosso è una

    sorta di summa estetica, tematica e biografica del grandeartista giapponese. L’uomo-maiale è una metafora:Porco Rosso ha un fortissimo senso di colpa per esserel’unico sopravvissuto a una battaglia aerea in cui sonomorti tutti i suoi compagni, compreso il marito di Gina.Un fatto assai disonorevole secondo la mentalità giap-ponese. Lo stesso senso di colpa appartenente a Miya-zaki che durante la seconda Guerra Mondiale, adifferenza della maggioranza degli altri bambini giappo-nesi, trascorre un’infanzia privilegiata grazie all’agiatezzadella sua famiglia. L’ambientazione nel mondo dell’aviazione è un omag-

    gio all’era degli idrovolanti, assai amata da Miyazaki. Labattaglia finale tra Porco e Curtis evoca la mitica CoppaSchneider, una gara di velocità che, a partire dal 1912,ebbe come partecipanti i migliori piloti del mondo. Nel

    duello tra l’America di Curtis e l’Italia rappresentata daPorco Rosso, è chiara la predilezione di Miyazaki perl’estetica geniale degli aerei italiani (nel film riproducenumerosi modelli immessi sul mercato dalle mitiche of-ficine Macchi). Ma gli omaggi all’Italia non finiscono qui:il vero nome del protagonista è stato ispirato dall’anima-tore Marco Pagot, caro amico di Miyazaki; i titoli dei gior-nali sono in italiano; il battello su cui sale Porco sichiama Alcyone, come uno dei libri delle Laudi di D’An-nunzio; l’ambientazione è praticamente tutta italiana(anche se nella ricostruzione dei luoghi Miyazaki usa,come sempre, molta immaginazione). Il film è anche unomaggio al cinema: Gina canta nel suo locale come laMonroe in La magnifica preda, Curtis sta per recitare inun film di Hollywood. Tuttavia il riferimento culturale piùimportante è senza dubbio Antoine de Saint-Exupéry: pi-lota sopraffino, intellettuale impegnato nella Resistenza,impareggiabile cantore per l’infanzia. Misteriosamentescomparso nel nulla, come accadrà al malinconicoPorco Rosso.

    8 FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    OLTRE SEICENTO DISEGNI, 180 tra serietelevisive e film, centinaia di autori testi-moniati dai loro lavori più famosi… Iniziaa dicembre all’Accademia Ligustica di GenovaAnimeide – Il viaggio per la creazione del-l’anime, una mostra tutta dedicata all’animazionegiapponese e composta da una sterminata rac-colta di rodovetri originali, in grado di raccontarepasso passo la lavorazione di quegli anime chehanno formato intere generazioni di ragazzi dallafine degli anni Settanta a oggi.Sono ormai lontani i tempi in cui maestri, geni-

    tori, psicologi ed esperti del cinema d’animazioneparlavano con paura dei “cartoni giapponesi” tra-smessi dalle tv, strani oggetti di cui gli adulti nonriuscivano ad acchiappare l’estetica ma che entu-siasmavano gli spettatori più giovani di tutto ilmondo. Ormai i loro autori sono riconosciuti comemaestri, i ragazzi di un tempo sono diventati i cri-tici di oggi, Miyazaki è stato scoperto anche daglispettatori d’essai più tradizionalisti. E la mostra

    che apre a Genova potrà fornire una testimo-nianza amplissima su questo fenomeno che hapermesso con impensabile rapidità anche un in-contro tra culture prima distanti: con gli spettatorioccidentali che hanno cominciato a comprenderequell’universo, e i produttori giapponesi chehanno cominciato a sfornare opere ispirate a per-sonaggi e testi dell’occidente. Non è un misteroche i ragazzi di oggi conoscano la mitologia grecamolto più attraverso Pollon e Arion che attraversol’Iliade e l’Odissea…Nell’allestimento della mostra, curato dalla

    scenografa Laura Benzi, ci sarà una parte intro-duttiva volta a mostrare come si arriva alla rea-lizzazione di un anime, seguita dai diversi filoni eautori. Si vedranno esempi dei vari generi, dallafantascienza al fantasy, dall’avventura al polizie-sco, con rodovetri (cioè i disegni con figure e fon-dali da sovrapporre nelle diverse inquadrature) diserie come Lupin, Lady Oscar, City Hunter, Dra-gonball, Atlas Ufo Robot e via via quasi tutti i titolipiù famosi. Compreso Marco, il film ispirato al-l’episodio deamicisiano Dagli Appennini alleAnde, con tutta una parte ambientata a Genova ele leggende sulla minuziosità di Miyazaki e IsaoTakahata nel documentarsi su sfondi e scorci ge-novesi da disegnare. A parte, ci saranno poi due sezioni d’autore.

    Una dedicata allo Studio Ghibli, l’altra a OsamuTetsuka, il “dio dei manga”, all’origine dimolti cartoni animati: da AstroBoy a Me-tropolis, il film diretto da Rin Taro nel2001, con tecniche d’animazione tradizio-nali contrapposte alla computer graphic.Il tutto a partire dalla collezione di Anto-nella Barabino, alla cui passione si deve

    la realizzazione di questa mostra: ricordandosempre che quanto viene documentato in Ani-meide appartiene a un sistema artigianale che staormai irrimediabilmente scomparendo, travolto esoppiantato dall’animazione digitale.

    [ di Maria Francesca Genovese ]

    ANIMAZIONE DOC

    Anime giapponesiDa dicembre a Genova una mostra tuttadedicata al cinema d’animazione giappo-nese. Con centinaia di rodovetri originali.

    Un’immagine di Marco, il film “genovese” di Miyazaki, ispirato a “DagliAppennini alle Ande” di De Amicis.

    Esce finalmente in Italia Porco Rosso, il capolavoro di Miyazaki del 1992

    Quel pilota misterioso

  • 9FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    NASCEVA CENT’ANNI FA NELLA LOCALITÀ LIGURE IL REGISTA DI TANTI FILM “ROMANESCHI”

    E’stato uno dei protagonisti della comicità ro-manesca, lo zio di Ferruccio e ClaudioAmendola, l’inventore (insieme a Bruno

    Corbucci) del Nico Giraldi di Tomas Milian, l’au-tore di tanti lavori con Aldo Fabrizi, MaurizioArena o Lando Fiorini. Pochi ricordano però cheMario Amendola è nato in Liguria, a Recco, esat-tamente cent’anni fa: l’8 dicembre 1910. E che aRecco ha trascorso tutta l’infanzia e l’adole-scenza, vedendo i suoi primi film al cinema Ros-sini o in trasferta a Genova, per restare poisempre un po’ legato alle sue radici liguri. Alpunto da vantarsi di saper ancora parlare geno-vese: al contrario – diceva – di Paolo Villaggio,che ebbe modo di dirigere in Il terribile ispettore.Come e perché Amendola fosse nato proprio aRecco, me lo aveva raccontato lui stesso tantianni fa. “I miei erano attori di giro, e io nacquiquando la compagnia si trovava in Liguria, percui venni lasciato a Recco dalla zia, che mi ha al-levato. Era l’epoca in cui Recco non era stata an-cora distrutta. Studiavonella scuola privatadelle sorelle De Marchie giocavo a pallanuotonei boys della ProRecco. Ricordo nel 1917che c’erano i prigionieritedeschi a costruire l’ospedale. Ricordo la festadell’8 settembre, coi fuochi d’artificio e le pro-cessioni. E ricordo tanti amici: Attilio Carbone,Carlo Rodino, Mario Cervetto, i fratelli Zannone,Vittorio Bacigalupo… Ogni tanto, i miei passavanoa prendermi e mi portavano con loro a recitare.Ho fatto per anni Simonetto nella Fiaccola sottoil moggio, o La cena delle beffe. Poi tornavo aRecco. Me ne sono andato a quattordici anni, perdiventare attore fisso”.Raggiunti i suoi a Torino, Mario Amendola co-

    minciò a fare “teatro, diciamo, serio”, mettendosipoi a scrivere per l’avanspettacolo e per la rivi-

    sta. Ha lavorato unpo’ con tutti: conWanda Osiris, conDapporto e Campa-nini (“che facevanoStanlio e Ollio congrande successo”),ma soprattutto conMacario, spessoscrivendo in cop-pia con RuggeroMaccari. “Ho lavo-rato con Rascel,Fanfulla, i Mag-gio… La suaprima vera rivistaTognazzi l’hafatta con me, inCastellinaria. Ho

    scoperto Walter Chiari, che nel ’44era a Milano come studente e allasera andava a raccontare barzel-lette in un cinema, davanti alloschermo: con lui feci Gildo, unarivista di grande successo. Enegli anni ’50 ha debuttato conme anche Johnny Dorelli, in LaVenere coi baffi”.Comincia ad avvicinarsi al ci-

    nema negli anni Quaranta,quando la sua notorietà nel-l’ambito del teatro leggero ègià consolidata. E il suoprimo film lo dirige nel 1949:I peggiori anni della nostravita, con Carlo Campanini ePaolo Stoppa. Da allorascrive centocinquanta sceneggiature, primalegato a Ruggero Maccari, poi facendo coppiafissa con Bruno Corbucci: insieme a lui inventail personaggio del maresciallo Nico Giraldi inSquadra antiscippo (1976) e via via in tutti gli altrifilm della serie, con Tomas Milian naturalmente

    doppiato dal fondamentale nipote FerruccioAmendola. Come regista, realizza quasi quaranta di film,

    spaziando un po’ in tutti i generi, compresi il mu-sicarello, il western spaghetti e la spy-story al-l’italiana, a volte con lo pseudonimo di IrvingJacobs. Ma il suo terreno prediletto rimane sem-pre la commedia, dove alla fine degli anni Cin-quanta ottiene i suoi maggiori successi: I dritticon Corrado Pani, I prepotenti con Fabrizi e Ta-ranto, Le dritte con Monica Vitti, Bice Valori eSandra Mondaini… Tutti film che sulla scia deivari Poveri ma belli fanno ottimi incassi e gli per-mettono di realizzare quello che resta forse il suofilm più personale e sentito: Simpatico mascal-zone (1959), dove può finalmente mettere inscena il suo mondo, quello – come diceva lui –degli scavalcamontagne che vivono smontando erimontando continuamente il tendone del loroteatro ambulante.Perché Mario Amendola, nella sua lunghis-

    sima attività, testimonia proprio questo: l’ereditàdi un sapere artigianale dello spettacolo che ar-riva dritto dalle compagnie di teatranti girovaghidi fine Ottocento in cui era nato e cresciuto, pas-sando poi attraverso tutte le forme di spettacolopopolare del Novecento, dall’avanspettacolo allarivista, dalla commedia musicale al cinema, finoalla televisione. I suoi film appartengono al co-siddetto cinema di consumo, quello che si defi-nisce “medio basso”, ma che riciclando levecchie formule consolidate si porta dentro

    anche un sapere antico,un mestiere concreto,un senso del ritmo, delrapporto con gli attori econ il pubblico che derivadal contatto diretto con glispettatori maturato in annie anni di esperienza sulcampo. C’è un aneddoto di Piero

    Regnoli che la dice lunga.“Mario Amendola – ricorda –aveva un archivio che, ai mieisistemi di sceneggiatore, ri-sultò assolutamente inusitato.Aveva un casellario alfabeticoper gag. Mettiamo che a uncerto momento venisse fuori la

    parola “barbiere”, lui diceva: “Fermi tutti, un mo-mento!”, si alzava, andava all’archivio, tiravafuori il cassettino della lettera B, cercava il vo-cabolo “barbiere” e cavava una decina di gagsulla figura del barbiere, venticinque battute suibarbieri. Amendola aveva fatto un sacco di avan-spettacolo e di rivista…”. Ed è a questa lungamemoria teatrale che faceva riferimento ancheMario Mattoli, quando diceva“Ho fatto per anni il varietà, coni più grandi numeri del mondo.Era tutta gente con una tradi-zione enorme che presentavaminuti condensati di spettacoloin cui c’è tutto, straordinari!Non è lo scrittore che scriveuna scena di cui non si sa per-ché l’ha cominciata e perché lafinisce, questi attori avevano itempi a secondo, un grandemestiere, una grande tradi-zione famigliare”.La tradizione di Marione Amendola, insomma,

    quella che affonda le sue radici tra i girovaghidell’Ottocento per arrivare fin quasi alle sogliedel Duemila (Amendola è morto nel 1993, attivofino all’ultimo). Una tradizione che non a caso ot-tiene i suoi migliori successi cinematografici sulfinire degli anni ’50, quando in Italia giunge alculmine la fusione tra il vecchio artigianato dellarivista e quello nuovo del cinema, intesa desti-nata poi a squagliarsi tra gli anni ’60 e ’70. Unatradizione che nel caso di Amendola fa piacerericordare soprattutto per Simpatico mascalzone.Con la sua malinconia per un mondo di teatrantidestinati ad essere spazzati via dall’Italia delboom e dalla televisione. Con la dignità irriduci-bile del capocomico Carlo Campanini. E con lafaccia lunare di Alberto Sorrentino: che prima fail cassiere, poi la maschera e quindi corre sulpalcoscenico a interpretare Cassio in una dellepiù popolaresche versioni dell’Otello viste suglischermi italiani.

    Figlio di teatranti girovaghi, ha attraversato oltre unsecolo di spettacolo popolare, lavorando in teatro,nella rivista, al cinema e in televisione.

    Mario Amendola, il romano di Recco

    [ di Renato Venturelli ]

    Tra i suoi film, I prepotenti con Aldo Fabrizi,

    Simpatico mascalzone con Maurizio Arena,

    Il terribile ispettore con Paolo Villaggio

    GLI ANNIVERSARI  DOC

  • 10 FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    I FESTIVAL DOC

    GABRIELE FERZETTI, classe 1925, èstato l’ ospite d’onore della settimaedizione del Laurafilmfestival, che gli

    ha reso omaggio con un premio alla car-riera. Lo abbiamo incontrato nel giardino dicasa Morandini durante l’appuntamentoquotidiano dedicato all’aperitivo e alla pre-sentazione degli ospiti e dei film. Pensa-vamo di rivolgergli alcune domande circa lasua lunga carriera di attore - da Via dellecinque lune di Luigi Chiarini del ’42 a 18 annidopo di Edoardo Leo del 2010 - ma abbiamo sco-perto che Ferzetti non ama parlare di cinema.Cosa vuole che le racconti?! Si inventi lei qualcosa. Sacosa c’è nel sottosuolo di Levanto?“Non lo so, ma posso informarmi. Lei ha un in-teresse per la geologia?”No, ma oggi in spiaggia quei sassi mi hanno spaccatoi piedi. Non so niente di stratificazioni geologiche a al-lora parlo d’altro: il traffico, il mio arrivare daun luogo lontano: la Luinigiana…e, improvvisa-mente, ho tutta l’attenzione di Ferzetti. Io durante la guerra ero con i partigiani da quelle parti,in una località che si chiamava Apella. Ero partito daGenova per raggiungere l’ospedale della Marina Mili-tare a Pontremoli, ma non ci arrivai, mi fermai a Ba-gnone. Cercai di aggregarmi ad un gruppo di giovaniche volevano unirsi ai partigiani dislocati ad Apella. Nonmi conoscevano e quindi non mi accettarono. Pensa-vano fossi una spia. Seppi poi che alcuni giorni dopocaddero in un’imboscata e furono uccisi dai tedeschi.La morte mi è passata accanto alcune volte nel corsodella vita e questa fu una di quelle. Mi piacerebbe avereuna cartina della Lunigiana. Lei può procurarmela?“Sì, potrei portargliela domani. Parleremoanche un po’ di cinema?”Il cinema!? Gli anni della Resistenza sono stati impor-tanti! Ci vediamo domani.Ho la cartina richiesta e l’indomani ci incon-triamo. Ferzetti apre la mappa e cerca Apella, poi

    muove ledita su e

    giù per montagne e sentieri, alla ricercadi luoghi, battaglie, volti. Ricorda alcuni nomi, unoin particolare, il comandante Federico, che glifece attraversare il fronte. Percepisco un po’ dicommozione e con imbarazzo mi metto a parlaredi cinema. Lui, rassegnato e senza smettere diguardare la carta geografica, risponde breve-mente e docilmente alle mie domande.L’avventura di Antonioni. Mentre stavate gi-rando, avevate la percezione dell’importanza diquel film?No. Sapevamo che la storia era interessante e cheanche il regista era interessante. Speravamo che po-tesse funzionare.Lei interpreta bene il ruolo dell’uomo inquieto etormentato. Un uomo nuovo, moderno. Il perso-naggio era un po’ nelle sue corde?Erano le corde di Antonioni. Io rispettavo il suo volere.Ero soltanto un attore.Ricorda qualcosa di Racconti d’estate? E’ statogirato nella Riviera Ligure, con un cast straordi-nario: lei, Mastroianni, Sordi, Michèle Morgan…Il regista era Franciolini. Non frequentavo molto gli altri attori, stavo per contomio. Ricordo che avevo un Ferrari con cui mi trasferivoda Santa Margherita a Paraggi. I vigili mi fermaronoper eccesso di velocità ma mi riconobbero e disseroche potevo andare. Io mi arrabbiai e pretesi che mimultassero. E Pietrangeli? Nata di marzo, Il sole negli occhi,Souvenir d’Italie.

    È l’unico regista con cui hofatto tre film. Mi voleva benee aveva molta stima di me.Io me ne approfittai. Sul set lo facevo aspettare. Lui al-lora mi passava a prendere a casa ma quando arrivavanon ero mai pronto. Un giorno si arrabbiò e mise finealla nostra collaborazione.Cos’è la vita vera di un attore? Esiste, oppure viportate dentro le molte vite che avete recitato?Dipende da quello che uno fa. Ci può essere una parteche si sente di più e una che sente di meno. Se sente una parte in modo particolare questacontinua a vivere? E quindi alla fine la vita è l’in-sieme di tante parti che l’attore ha recitato?Sì, possiamo dire così. Cosa pensa oggi del cinema italiano? Lei che loha attraversato, da Blasetti a Battiato.E’ un cinema un po’ leggero, un po’ fiacco, fatto infretta.Ha vinto due Nastri d’argento.Sì, ma me li hanno rubati. Mi hanno rubato tutto.Poi riprende a parlare della Lunigiana. Vorrebbeavere notizie di Federico e gli prometto di faredelle ricerche. Con una certa apprensione michiede di non dimenticarmene. Federico era il nome di battaglia di Piero Galan-tini, uno dei comandanti della Brigata Muccini, edè morto sette anni fa. La moglie Nella vive a Sar-zana e racconta che anche Federico avrebbe vo-luto rivedere quel giovane che veniva da Roma eche era con lui sulle montagne. “Un giovane dallabella figura che di mestiere faceva l’attore”.

    L’attore che non ama parlare di cinemaIncontro con Gabriele Ferzetti,ospite d’onore del settimoLaura Film Festival di Levanto.

    [ di Antonella Pina ]

    Mother andChild direttodal regista Ro-drigo Garcia,figlio di Ga-briel Garcia

    Marquez, ha vinto la 36ª edizionedel Festival del cinema americano diDeauville. Un film drammatico che rac-conta la storia di tre donne e del loroproblematico e intenso rapporto con la

    maternità. Tre grandi interpreti, AnnetteBening, Naomi Watts e Kerry Washin-gton, per un film un po’ artificioso in al-cune parti, ma con una carica emotivaintensa e ricca di sfumature, capace dimettere a dura prova anche il nostrocuore di pietra. Il Premio della giuria,presieduta da Emmanuelle Beart, è statoassegnato ex-aequo a The Myth of theAmerican Sleepover l’opera prima diDavid Robert Mitchell e a Winter’s Bone

    di Debra Granik. Si tratta di film con dueanime molto diverse, anche se entrambihanno per protagonisti giovani adole-scenti. Il primo racconta con leggerezzal’ultima notte d’estate di un gruppo di ra-gazzi alla ricerca di un flirt, di un amore,di un ricordo da portare, anche se incon-sapevolmente, nella vita adulta prossimaad arrivare. Il secondo mostra il voltocrudele e primitivo dell’America attra-verso la storia di Ree Dolly, una dicias-settenne che vive in una foresta delMissouri, popolata da persone solitarie,ombrose e talvolta feroci. Dolly deve oc-cuparsi dei suoi fratelli, uccidere scoiat-toli per avere cibo e tagliare le braccia alcadavere del proprio padre ucciso e an-

    negato in un acquitrino da una banda dicriminali, per poterne testimoniare lamorte alla polizia. Da non perdere, nelcaso, improbabile, che venga distribuito.Il premio della critica internazionale èandato a Buried di Rodrigo Cortés: per94 minuti la macchina da presa riprendeun soldato americano chiuso in una barasepolta nella sabbia in territorio ira-cheno, a cui sono stati lasciati un cellu-lare e un accendino perché possacomunicare con l’esterno e portareavanti le trattative per il suo rilascio. Unfilm decisamente claustrofobico e unesercizio di notevole bravura, con un fi-nale che non sarebbe piaciuto ad Hit-chcock. (A.P.)

    Americani a Deauville:vince Gabriel Garcia Marquez

    36° Festival del cinema statunitense

  • 11FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    I FESTIVAL DOC

    A MANTOVA LA DECIMA EDIZIONE DEGLI INCONTRI DELLA FICE (12-14 OTTOBRE)

    Moretti, Bellocchio, Gassman, Diritti, anteprime e convegni per fare il punto sul circuito d’essai: gli spettatori aumentano del 10%, ma preoccupano i tagli

    Cresce il pubblico d’essai

    ANTEPRIME, TRAILER, OSPITI, incontri etavole rotonde per tastare il polso al cinemad’essai. E’ quanto si è visto a Mantova tra

    il 12 e il 14 ottobre, nel corso della decima edi-zione degli Incontri del cinema d’essai organiz-zati dalla Fice, appuntamento annuale cheriunisce circa cinquecento esercenti e operatoridel circuito di qualità.

    In sintesi, si può dire che il bilancio è positivo,il futuro preoccupante. I dati dicono che nelcorso del 2010 gli spettatori del circuito d’essaisono aumentati di quasi il dieci per cento, con 9milioni e mezzo di biglietti venduti: e il circuitoè riconosciuto fondamentale per quanto ri-guarda in particolare i film italiani, visto che traproduzioni italiane e coproduzioni si sfiora il 50per cento degli interi incassi d’essai, mentre laquota del prodotto nazionale sugli incassi gene-rali incide per appena il 25%.

    Molto meno allegre, invece, le prospettive fu-ture, con il presidente dell’Agis Paolo Protti cheha dichiarato: “Lo spettacolo italiano è viva-mente preoccupato per l’atteggiamento assuntodal governo che ha approvato la legge di stabilitàsenza rinnovare gli incentivi fiscali per il cinemae senza provvedere a reintegrare il Fus (Fondounico dello Spettacolo). Se fossero confermati,questi indirizzi di politica culturale porterebberoallo smantellamento di ogni attività di spettacoloin Italia”.

    Tra gli ospiti, spiccano i nomi di Marco Bel-locchio, che è venuto a parlare del suo ultimofilm “familiare” (Sorelle mai), o di Gianni Di Gre-gorio che ha presentato il suo film appena termi-nato e ancora senza titolo, ma sempre ironico ecrepuscolare, direttamente in linea col suo suc-cesso a sorpresa di due anni fa, Pranzo di ferrago-sto. Alla serata di premiazione hanno poi presoparte Nanni Moretti, Giorgio Diritti e gli altripremiati: Alessandro Gassman e Isabella Rago-nese come migliori attori, Piera Degli Esposti

    per l’insieme dellesue interpretazioni,Rocco Papaleo

    come miglior regi-sta esordiente (Basi-licata coast to coast),Antonio Capuano

    come autore indi-pendente dell’anno(L’amore buio), Gian-luca Arcopintocome produttore,Mirco Garrone peril montaggio (La no-stra vita) e Louis Si-ciliano per lemusiche (20 siga-rette, Happy Family,Due vite per caso).Film migliori dellastagione, L’uomo cheverrà tra gli italiani,Bastardi senza gloriaper i titoli stranieri. Assente, invece Paolo Virzì,autore dell’anno per La prima cosa bella.

    Numerose anche le anteprime d’essai della sta-gione in corso. Oltre ai titoli di cui parliamo giàin altre pagine di FilmDoc (come L’illusionista,Séraphine, Post mortem, Precious, Incontrerai

    uno sconosciuto alto e bruno di Woody Allenecc.), si sono visti molti altri titoli di prossimauscita nelle sale. Come Another Year di MikeLeigh, magistrale esempio di conversation pieceche attraverso una serie di incontri, colazioni ecene delinea un panorama angoscioso dell’In-ghilterra profonda. Oppure Incendies – Ladonna che canta, film canadese di Denis Ville-neuve dai toni violentemente melò: protagonisti,due ragazzi che alla morte della madre vengonoindirizzati dal notaio alla ricerca del loro padree del loro fratello, rimasti sepolti da qualche

    parte nel drammatico passato mediorientaledella donna. Il padre e lo straniero di Ricky To-gnazzi è invece una variazione sul tema del thril-ler internazionale, con un padre distratto(Alessandro Gassman) che viene agganciato daun misterioso straniero e coinvolto in una vi-cenda misteriosa. Tra gli altri film in anteprima,spiccano poi l’inglese This is England di ShaneMeadows, Animal Kingdom di David Michod, ilperfido Tamara Drewe di Stephen Frears, Into Pa-radiso di Paola Randi. Più Potiche – La bella sta-tuina di François Ozon, la commedia in cuiCatherine Demeuve si ritrova improvvisamentesbalzata dal ruolo di moglie-soprammobile aquello di leader dell’azienda familiare: un filmbrillante che ha già ottenuto grande successo allaMostra di Venezia e che dovrebbe conquistare acolpo sicuro anche il pubblico delle sale. (R.V.)

    Si svolgerà dal 26 novembre al 4 di-cembre la 28° edizione del TorinoFilm Festival diretto da Gianni Ame-

    lio. Oltre al concorso e alle consuete se-zioni (Festa Mobile, Italiana, Figli e amanti,Rapporto confidenziale ecc.) ci sarannodue importanti retrospettive: una dedicataa Vitalij Kanievskij, il regista russo di Sta’fermo, muori e resuscita, che sarà pre-sente a Torino; l’altra riguarderà invece ilgrande John Huston, con la presentazionedi tutti i film che ha diretto (da Il misterodel falco a Il tesoro della Sierra Madre, daGli spostati a L’onore dei prizzi e TheDead – Gente di Dublino), più una sceltadelle sue sceneggiature e delle sue inter-pretazione. La giuria sarà presieduta daMarco Bellocchio e avrà tra i suoi membrilo scrittore texano Joe R. Lansdale (nellafoto).

    Torna Cimameriche, film festival dellamigrazione e del gusto che si terrànella Riviera di Levante dal 30 novem-

    bre all’8 dicembre. Un festival dedicato alterritorio ligure come crocevia sul mare, cheha lo scopo di fare interagire tre aspetti es-senziali della sua storia: le migrazioni di an-data e ritorno, la cucina esportata/importatae contaminata, il cinema che si fa al di là eal di qua dell’oceano. Cinema, gusto e ter-ritorio a confronto. Accanto alla competizione e alle varie se-

    zioni, una delle motivazioni più sentite èquella di “riportare a casa” artisti noti oltreo-ceano, la cui storia e le cui tradizioni appar-tengano al territorio ligure. La presenza piùincisiva, in questo senso, è quella del registaargentino Juan Bautista Stagnaro, presente

    nel Tigullio dal 2005 ad oggi con i suoi filme i suoi lavori: dal 2010 sarà anche al centrodi una proficua collaborazione produttiva li-gure/argentina. Per il programma aggior-nato, consultare il sito www.cimameriche.it

    Tutto Huston al Torino Film Festival

    In programma dal 26 novembre al 4 dicembre

    Nella giuria anche lo scrittore texano Joe R.Lansdale

    Il cinema tra la Liguria e le Americhe

    Cimameriche, dal 30 novembre nella Riviera di Levante

    Il regista argentino Juan Bautista Stagnaro simbolodel settimo Festival della migrazione e del gusto

    ≤Woody Allen sul set di Incontrerai uno sconosciuto alto e bruno

  • LE RECENSIONI DOC [ di Aldo Viganò ]

    SOTTOLINEAVA il trentottenneBen Affleck in una recente in-tervista: «Faccio film per

    adulti e quindi cerco di raccontareverità che spesso sono complessee ambigue». Una dichiarazione chepuò fare solo piacere a tutti gli spet-tatori cinematografici, tanto piùperché si concretizza in un film che,lungi dall’accontentarsi di rivol-gersi alla cerchia ristretta dei pro-

    pri amici, sa raccontare una storiadall’ampio respiro spettacolare,abitata da personaggi che, proprioattraverso il loro agire sulloschermo, definiscono la propria re-altà esistenziale: siano essi uominie donne, giovani e adulti, tutoridella legge o delinquenti. E’ questa la grande eredità del ci-

    nema classico americano nella cuitradizione il regista Ben Affleck evi-dentemente s’iscrive - con TheTown come con il precedente GoneBaby Gone (ottimo suo esordionella regia) - non per banale o ma-linconica volontà d’imitazione, manella consapevolezza che soprat-tutto lavorando sulle strutture nar-rative di quello che si suole definirecinema di genere si è in grado didare forma concreta alla verità e diraccontare in modo coinvolgente atutto il pubblico (adulto o giovaneche sia, purché disposto a vedere eascoltare veramente ciò che ac-cade sullo schermo) la complessitàe l’ambiguità degli esseri umani aqualsiasi tempo essi appartengano.E’ questa classicità che ha indottoun po’ frettolosamente qualcuno aparlare di Affleck come di un nuovoClint Eastwood: la direzione èquella, ma un regista come Affleckha bisogno di essere lasciato cre-scere senza fretta, e così sicura-mente migliorerà anche comeattore.

    The Town è un film che parla dirapinatori e di poliziotti, di amiciziae d’amore, di padri e figli, della pre-senza implacabile del passato e delsogno di un futuro diverso. E lo faattraverso un cinema che intorno atre rapine messe in scena conmolta adrenalina (una in banca,l’altra a un furgone portavalori, laterza allo stadio) sa usare in modomolto efficace lo spazio scenogra-fico offerto dal quartiere popolaredi Charlestown a Boston, dove Af-fleck ambienta anche sparatorie eforsennati inseguimenti in mac-china. Un cinema, comunque, chenon dimentica mai i personaggi,tutti molto concreti, ben definitidalla recitazione di attori e ricchi disfumature comportamentali: i dueamici (Affleck e Jeremy Renner)cresciuti insieme nel quartierecome gli eroi dei film gangster deglianni Trenta, la giovane direttrice dibanca (Rebecca Hall) di cui Afflecks’innamora, l’agente dell’Fbi te-nace e un po’ ottuso (Jon Hamm),la ragazza appartenente a un pas-sato che si vuole dimenticare(Blake Lively). Anche il terribile sor-ridente boss (Pete Postlethwaite)che organizza le rapine dal suo ne-gozio di fiori e che appare solo indue scene, le quali sono però tra lepiù belle del film. Sospese in unclima di paura e di violenza psico-logica, queste due scene testimo-

    niano un talento registico d’alto li-vello, sotteso da una personalecompetenza stilistica che fa bensperare nel nostro futuro di spetta-tori cinematografici.

    THE TOWN (idem, USA 2010)Regia: Ben Affleck – soggetto: dal ro-manzo “Il Principe dei ladri” di ChuckHogan – sceneggiatura: Ben Affleck,Aaron Stockard, Peter Craig – Fotogra-fia: Robert Elswit – Musica: David Buc-kley e Harry Gregson-Williams –scenografia: Sharon Seymour – mon-taggio: Dylan Tichenor.Interpreti: Bel Affleck (Doug MacRay),Rebecca Hall (Claire Keesey), Jon Hamm(Adam Frawley), Jeremy Renner (James"Jem" Coughlin), Blake Lively (KristaCoughlin), Titus Welliver (Dino Ciampa),Chris Cooper (Stephen MacRay), PetePostlethwaite (Fergus "Fergie" Colm)distribuzione: Warner Bros. - durata:due ore e 3 minuti

    THE TOWN

    Tutta la vitain tre rapine

    12 FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    AL RITMO DI QUASI UN FILM al-l'anno, il padovano Carlo Maz-zacurati coniuga sul grande

    schermo l'immagine di un cinemamedio "alla neo-italiana", mettendoin scena film sottesi da una gentile vi-sione della vita e abitati da perso-naggi che sollecitano l'identificazionedel pubblico. Film scritti con una nonesibita eleganza formale, probabil-mente maturata sin dai tempi di gio-ventù, quando era un assiduospettatore dei classici e un attivo or-ganizzatore di cineclub (soprattutto"Cinema uno", da lui diretto insiemecon il non dimenticato Piero Torto-lina). Come testimonia anche La pas-sione, quello di Mazzacurati è uncinema che ha ben poco a che farecon l'irruenza vitalistica e l’invenzioneprovocatoria cara ai maestri dellacommedia “all’italiana” degli anniSessanta. Il suo è un cinema tenden-zialmente discreto, che parla sotto-voce, evoca sorrisi più che risate,suggerisce la domestica mediocritàdei personaggi più che provocare in-quietudine con forti conflitti dramma-tici, predilige il già noto piuttosto cheandare alla scoperta del nuovo. Un ci-

    nema "per bene" e venato da una sot-terranea malinconia, come si addicenon solo alla recitazione di Silvio Or-lando e Giuseppe Battiston, che di Lapassione sono i protagonisti, maanche all'idea che una certa sinistraitaliana ha di sé, con tutte le conse-guenti convenzioni narrative. Gianni Dubois (Silvio Orlando) ha

    dietro le spalle un passato di registaimpegnato di successo, ma ora deveaccontentarsi di sopravvivere. Non sicapisce se ha mai fatto veramente deifilm importanti, ma ora ci appare so-prattutto come uno sfigato, tormen-tato da un agente che vorrebbe fargliscrivere e dirigere il film d'esordio diun'attricetta (Cristina Capotondi)giunta al successo per via televisiva.Così ha inizio la “passione” personaledi Dubois. Dopo questa prima sta-zione, viene quella dell'allagamentodella sua seconda casa in Toscana,con conseguente danneggiamento diun affresco storico; poi, la sua perso-nale “via crucis” continua con il tele-fonino che non trova campo o con lefotocopiatrici che non funzionano, conil ricatto della sindachessa StefaniaSandrelli e dell'assessore MarcoMesseri, che gli impongono di diri-gere la sacra rappresentazione delpaese, o con gli incontri di un ex-ga-leotto (Giuseppe Battiston) che avevafrequentato in carcere un suo semi-nario teatrale e di un divo della tele-visione locale (lo stralunato Corrado

    Guzzanti), alquale gli “indi-geni” hannoscelto di affi-dare il ruolodel Cristo. Ecosì via, in untragitto narra-tivo che cul-m i n apasoliniana-mente con laPassione conla maiuscola,m e s c o l a t aperò di conti-nuo con quellaprivata di unindividuo chenon sa piùprogrammare il proprio futuro. E se,in questo parallelismo, il tono del rac-conto non si alza mai, resta il fatto cheil film a suo modo funziona. Ben venga, quindi anche questo La

    passione: soprattutto in tempi in cui ilcinema italiano sembra sovente vi-vere in stato confusionale, basculantetra cialtronaggine, velleitarismo e in-certezze linguistico-grammaticali.Tanto che, infine, non suona né pro-vocatoria, né difficile da condividerel'affermazione che La passione siacomunque il film migliore tra quelliche la produzione nazionale ha saputoquest’anno proporre sugli schermi in-grati della Mostra di Venezia.

    LA PASSIONE (Italia, 2010)Regia: Carlo Mazzacurati - Sceneggia-tura: Umberto Contarello, Doriana Leon-deff, Marco Pettenello, Carlo Mazzacurati- Fotografia: Luca Bigazzi - Musica: CarloCrivelli - Scenografia: Giancarlo Basili -Costumi: Francesca Sartori - Montaggio:Paolo Cottignola e Clelio Benevento.Interpreti: Silvio Orlando (Gianni Dubois),Giuseppe Battiston (Ramiro), CorradoGuzzanti (Abbruscati), Cristina Capotondi(Flaminia Sbarbato), Stefania Sandrelli (ilsindaco), Marco Messeri (l'assessore),Kasia Smutniak (Caterina)- Distribuzione:01 Distribution - Durata: un'ora e 45 mi-nuti

    LA PASSIONE

    Via Crucis in commedia

  • Una sconfinata giovinezza s’in-scrive nella vena intimistica emelanconica del cinema di

    Pupi Avati. Quella lasciata intravve-dere già in Le strelle nel fosso o inAiutami a sognare, ma che attra-versa sovente anche i suoi film piùgioiosi e autobiografici, per tornarein superficie in molte sequenze deirecenti La seconda notte di nozze oIl papà di Giovanna. Difficile dire chequesta sia la sua vena migliore,anche perché la serietà del tonosembra sovente indurre il regista atradurre in eleganza calligraficaquella sua indubbia competenzanello scrivere cinema che altrove hapositivamente concorso a vitalizzarele storie e i personaggi da lui portatisul grande schermo. In Una sconfinata giovinezza, è

    probabilmente lo stesso tema scelto– la devastante avanzata dell’alzhei-mer nella vita quotidiana di una cop-pia borghese di mezza età – aspingere Avati verso un lirismo com-mosso e partecipe; con il rischiosorisultato, però, di trasformare que-sto tema in una prigione: sia per lo

    sviluppo narrativo, sia per la defini-zione dei personaggi. Lino e France-sca sono una coppia affiatata chevive però come una menomazione ilfatto di non aver avuto figli. Chi siammala di alzheimer è lui, redattoresportivo di un quotidiano romano eospite fisso di trasmissioni televi-sive: una parola che non si ricorda,un discorso che improvvisamenteperde il filo, l’inesorabile fuga versouna blanda demenza senile, che sialimenta di fantasmi del propriopassato di gioventù. Il film racconta questo tragico

    percorso senza ritorno, alternando ilpresente con le memorie rivissutedal protagonista, ma preferenziandosoprattutto lo sguardo della moglie,docente universitario, che passa condolore dalla volontà di lottare a mo-menti di disperazione, dalla maternacomplicità con un marito ritornato

    bambino al desiderio di fuggire dauna condizione cui è negata ogni viadi uscita. Due protagonisti assoluti,ai quali Fabrizio Bentivoglio e Fran-cesca Neri aderiscono con partecipecommozione e che la cinepresa diAvati accarezza con gentilezza. Il ri-schio della retorica sentimentale è,però, sempre presente nel film,anche perché, mentre da una partegli attori sono guidati a stare sintroppo vicino al dolore dei loro per-sonaggi, con la conseguenza di ren-derne il dramma esistenziale quasiastratto; dall’altra, Avati ha scelto discontornare sin troppo i contorni diquesto dramma privato, facendodegli altri personaggi (il caporedat-tore del giornale, i parenti di lei, ifantasmi della memoria di lui, maanche il medico, le infermiere e iltassista interpretato da Gianni Ca-vina) essenzialmente delle funzioni

    schematiche del racconto, con laconseguenza che il film finisce colcancellare proprio la realtà sociale ela concretezza della vita quotidiana,entro cui quel dramma solo si puòdefinire e alle quali inesorabilmenteappartiene.

    UNA SCONFINATA GIOVINEZZA(Italia 2010)Regia e sceneggiatura: Pupi Avati – fo-tografia: Pasquale Rachini – musica: RizOrtolani – scenografia: Giuliano Pannuti– Costumi: Stefania Consaga e MariaFassari - montaggio: Amedeo Salfa.Interpreti: Fabrizio Bentivoglio (Lino),Francesca Neri (Francesca), SerenaGrandi (zia Amabile), Gianni Cavina(Preda), Lino Capolicchio (Emilio), Ma-nuela Morabito (Teta), Erika Blanc (ve-dova), Osvaldo Ruggieri (neurologo),Vincenzo Crocitti (don Nico).Distribuzione: 01 Distribution - durata:un’ora e 38 minuti

    13FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    UNA SCONFINATAGIOVINEZZA

    La dolcezzadel nulla

    L'ultimo dominatore dell'aria, filmche M. N. Shyamalan ha trattodal cartone Avatar - La leggenda

    di Aang, ha subito un trattamento cri-tico tremendo. Un linciaggio che, par-tito dai fan del cartone si è esteso amacchia d'olio, tanto da compromet-terne addirittura, in un primo mo-mento, l'ipotesi di una distribuzioneitaliana. A leggere commenti e opi-nioni su siti e forum, era lecito imma-ginarsi una catastrofe. Un tentativoabortito di sintonizzarsi sui gusti delpubblico dopo i deludenti risultati eco-

    nomici ottenuti da Lady in the Watere The Happening. C'è da sorprendersiquindi che la prova della visionesmentisca totalmente le prefiche cheannunciavano sadiche il tramonto pre-coce del talento di Shyamalan? No.L'ultimo dominatore dell'aria non soloè un film calato completamente nellapoetica del regista, ma ne mette inluce la straordinaria capacità compo-sitiva. Teso liricamente fra la reinven-zione dei quattro elementi – aria,acqua, terra e fuoco – Shyamalancompone un potente e raffinato affre-

    sco visivo che richiamaalla memoria sia leOmbre bianche di NickRay che le battaglie sulghiaccio di Eisenstein.Con una sapienza visivadegna di un AlexanderKorda e Michael Powell,Shyamalan cala i suoipersonaggi in ambientiesaltati dai campi lunghicreando un universo

    coerente e originale. Evidente che alregista non è stato perdonato l'ap-proccio "serio" a una materia ludica,ma L'ultimo dominatore dell'aria ap-partiene senza ombra di dubbio alleopere maggiori del regista di Philadel-phia. Un film sul quale si faranno iconti anche in futuro. Attendiamo i ri-valutatori d'ordinanza. Destino critico inverso quello di Syl-

    vester Stallone. Sbeffeggiato da sem-pre, si ritrova da qualche tempovezzeggiato non solo dai cinephile piùestremisti ma anche onorato con unprestigioso premio alla carriera dallaMostra d'Arte Cinematografica di Ve-nezia. Laddove Shyamalan è stato ra-pidamente esaltato e altrettantovelocemente ridicolizzato, Stallone, fe-dele alla sua natura operaista, agli in-sulti c'ha fatto il callo. Ma, propriocome i suoi coriacei alter ego Rocky eRambo, Stallone non si abbatte facil-mente. Ultimo baluardo di un cinemaanalogico in ambiente digitale, Stal-lone, con la caparbietà di un autenticoauteur resta fedele a un'idea di cinemamuscolare e intimista al tempo stessodi cui I mercenari si offre come l'insu-perabile summa poetica e politica. Re-cupera i corpi da macello deglistraight to video degli anni Novanta e

    mette in scena un apologo della vec-chiaia che tritura con sublime ele-ganza la cialtroneria dei film Cannonpiù charmant, l'ironia del body cinemaanni Ottanta e la divertita metatestua-lità di Joel Silver. Senza contare lachiarezza di un montaggio veloce mamai eccessivo e la furia anti establi-shment. Al momento ce ne sono pochiin circolazione di cineasti così genui-namente intellettuali come Stallone.

    FIGHT CLUB

    SHYAMALAN E STALLONE:DESTINI INVERSI DEL CINEMA

    [ di Giona A. Nazzaro ]

  • PROPRIO NEI GIORNI IN CUI giungeva im-provvisa la notizia della sua morte (avvenuta aParigi il 12 settembre scorso) nelle videoteche

    italiane e sui canali satellitari faceva la sua comparsaBellamy, l’ultimo lungometraggio girato da ClaudeChabrol per il cinema: nonostante la presenza comeprotagonista di Gérard Depardieu, infatti, il film nonera riuscito a trovare in Italia la via del grandeschermo. Come hanno potuto constatare coloro chehanno scelto di andare a cercarla, Bellamy non è certouna delle opere migliori del regista francese, ma ciònonostante la sua qualità resta molto superiore allamaggior parte delle pellicole che si possono vederenelle sale cinematografiche nazionali, sottesa com’èda uno sguardo della cinepresa sempre consapevolee da un tono capace di coniugare malinconia e ironianei confronti dei fatti di una vita che inesorabilmentesta sfuggendo di mano anche al commissario PaulBellamy. L’azione si svolge d’estate a Nîmes e ancorauna volta, pertanto, Chabrol ambienta una sua storiain provincia. Qui Bellamy sta trascorrendo come alsolito le vacanze estive nella casa di famiglia dellamoglie, ma è ben contento che l’arrivo imprevisto delfratellastro avventuriero e alcolizzato e, soprattutto,la richiesta di aiuto di un uomo in fuga tornino a

    stuzzicare la sua curiosità in-vestigativa, permettendoglicosì, tra l’altro, di rinviareancora una volta la richiestadella sua amata consorte difare insieme una crocieraverso lidi lontani. Bellamy èun “polar” crepuscolare checonclude inaspettatamentela filmografia di un registaprolifico, proprio nello stessoanno che si era aperto con lamorte di Eric Rohmer,l’amico del quale Chabroldisse una volta: «Solo se a

    causa di un mio film, bruttoo bello che sia, Gran Momo(così gli amici chiamavanoRohmer) dovesse cambiaremarciapiede incontran-domi, come fece un giornoGodard dopo l’uscita diStéphane, una moglie infe-dele, perderei davvero ilrispetto per me stesso».

    Chabrol è morto a ot-tant’anni e negli ultimisessantadue non aveva mai cessato distare dietro la cinepresa (qualche volta anche da-vanti): subito prima e appena dopo Bellamy avevarealizzato per la televisione, da altrettanti racconti diGuy de Maupassant, quattro film di mezz’ora cia-scuno, almeno uno dei quali (La parure: si può vederequasi interamente su internet) testimonia tutto quelpiacere di fare del cinema che caratterizza l’intera fil-mografia di Chabrol. Et pourtant je tourne…intitolavanel 1976 la sua quasi-biografia. Chabrol aveva allora46 anni e aveva già girato 27 lungometraggi, 3 corto-metraggi e 6 telefilm. Alla fine della sua esistenza, ilungometraggi sono diventati 54 e i film per la tele-visione 25, oltre a numerosi spot pubblicitari. Una fil-mografia più ricca di titoli di quelle degli amatiAlfred Hitchcock e Fritz Lang. Un lungo viaggio nelfiume della storia del cinemadegli ultimi cinquant’annicon davanti a sé, sempre benaperta, la bussola del primatodel linguaggio sui contenutinella consapevolezza che alcinema – come in tutte le arti– è la forma che determina ilsenso delle cose rappresen-tate. E, siccome è girare filmche fa il regista: “pourtant jetourne”, sempre e comunque.

    14 FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    GLI SPECIALI DOC

    Cinema1958: Le beau Serge (••)

    I cugini (•••)1959: A doppia mandata (•••)1960: Donne facili (••••)

    Les godelureaux (••)1961: L'avarizia (episodio di I sette peccati

    capitali ) (••) L'oeil du malin (•••)

    1962: Ophélia (•••) Landru (•••)

    1963: L'uomo che vendette la Tour Eiffel (epis.di Le più belle truffe del mondo) (••)

    1964: La Tigre ama la carne fresca (••) - La Muette (epis. di Paris vu par…) (•••)

    1965: Marie-Chantal contro il dottor Kha (•••)La Tigre profumata alla dinamite (••)

    1966: La ligne de demarcation (••) Delitti e...champagne (•••)

    1967: Criminal Story (••) Les biches (••••)

    1968: Stephane, una moglie infedele (•••••) Ucciderò un uomo (••••)

    1969: Il tagliagole (•••••)1970: All'ombra del delitto (••••)1971: Juste avant la nuit (•••••)

    Dieci incredibili giorni (••)1972: Trappola per un lupo (••)

    L'amico di famiglia (•••••)1973: Sterminate “Gruppo Zero” (••)1974: Una partita di piacere (•••)

    Gli innocenti dalle mani sporche (•••)1975: Profezia di un delitto (•••)

    Pazzi borghesi (•)1976: Alice ou la dernière fugue (•••)1977: Rosso nel buio (•••••)1978: Violette Nozière (•••••)1980: Le cheval d'orgueil (••)1982: I fantasmi del cappellaio (••••)1983: Il sangue degli altri (•••)1984: Una morte di troppo (•••)1985: L'ispettore Lavardin (•••)1986: Volto segreto (••)1987: Il grido del gufo (••)1988: Un affare di donne (••••)1989: Giorni felici a Clichy (•)

    Doctor M. (••)1990: Madame Bovary (•••)1991: Betty (••••)1992: L'occhio di Vichy (•••)1993: L'inferno (•••)1995: Il buio nella mente (•••••)1996: Rien ne va plus (••••)1999: Il colore della menzogna (•••)2000: Grazie per la cioccolata (••••)2002: Il fiore del male (•••)2004: La damigella d’onore (•••)2005: La commedia del potere (•••)2006: L’innocenza del peccato (••••)2009: Bellamy (•••)

    Televisione1973: Il mistero della famiglia De Grey (••) -La panchina della solitudine (••••) - MonsieurBébé (•••) - 1974: Nul n'est parfait (•••) - Uninvito alla caccia (••) - Les gens de l'étè (•••) - 1978: 2 + 2 = 4 (••) - Le boucle d'oreille (••••)Saint-Saèns e la giovane rivoluzionaria (•••) -Sergej Prokofiev e il sogno premonitore (•••)- Liszt e l'avventura romana (•••) - 1979: Fan-tomas: l'échafaud magique (•••) - Fantomas:le tramway fantome (•) - 1981: Il sistema deldr. Goudron e del prof. Plume (••) - Les affini-tés électives (•••) - 1982: M. Le Maudit (•) - La danse de mort (•••) - 1987: L'escargot noir(••) - 1988: Parole crociate (••) - 1996: CyprienKatsaris - 2001: Coup de vice - 2006: La pa-rure (•••) - 2008: Le petit fût - 2009: Le petitvieux des Batignolles - 2010: Le fauteuil hanté

    Filmografia

    Dalla Nouvelle Vague al “polar”: il piacere di faredel cinema. Storie sempliciper personaggi complessi.

    [ di Aldo Viganò ]

    CHABROLClaude

  • 15FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

    Anche quando la realtà produt-tiva del momento non offre lecondizioni migliori. Perché solocosì “je suis” (un metteur enscéne). Chabrol partecipa con iregisti della Hollywood classicagli stessi principi guida. La qua-lità nasce dalla quantità. L’artecome risultato del lavoro. Il capo-

    lavoro come “casuale e magica” coagulazione diesperienze acquisite. Girare senza alcuna paura disporcarsi le mani (e la reputazione secondo i ben-pensanti).

    È questo atteggiamento “ludico e gioioso” che haconcorso a dare alla filmografia di Claude Chabrolun andamento carsico per quanto riguarda sia laqualità delle opere, sia il loro buon rapporto con ilpubblico (e non necessariamente i due percorsi traluce e ombra hanno coinciso). Per Chabrol il cinemaè sempre un fatto collettivo e, per questo, chi vuolfare il regista deve lavorare non solo per acquisireindividuali competenze, ma anche affinché sul settutto fili in armonia: circondandosi di collaboratori

    fidati e di attori con i quali stare in allegria, tro-vando se è possibile un produttore con cui condi-videre le scelte di fondo. Non è certo un caso,infatti, se lo sviluppo altalenante della filmografiadi Chabrol ha avuto i suoi momenti di massimaluce nei periodi in cui il suo rapporto con l’indu-stria cinematografica ha trovato un regime di ar-monia.

    Dapprima c’è stato il tempo del controllo direttodella produzione tramite la AJYM, fondata con isoldi dell’eredità della prima moglie: quello che hacoinciso con la nascita della Nouvelle Vague, di cuiChabrol è stato il pioniere, da Le beau Serge a Donnefacili. Poi, è venuto l’incontro con André Génovès,con il quale ha realizzato una lunga serie di film cheindagano, soprattutto sullo sfondo della provinciafrancese e sul filo narrativo del “polar”, le varia-zioni della coppia borghese. È questo il periodo deiprimi capolavori (da Stéphane, una moglie infedele aIl tagliagole, da Juste avant la nuit a L’amico di famiglia)a testimonianza che anche la parentesi oscura delleTigri o di Marie-Chantal o di Criminal Story non èstata inutile: a scrivere s’impara scrivendo, a farefilm girando, a raccontare il mondo impadronen-

    dosi del linguaggio