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1 Tesi di Dottorato Dottorato di ricerca in Diritto Amministrativo XXIII ciclo FIGURE SINTOMATICHE DELL’ECCESSO DI POTERE E RAGIONAMENTO DEL GIUDICE Tutor Dottoranda Chiar.mo Prof. Guido Corso Maria Grazia Carcione ROMA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI TRE

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Tesi di Dottorato

Dottorato di ricerca in Diritto Amministrativo

XXIII ciclo

FIGURE SINTOMATICHE DELL’ECCESSO DI

POTERE E RAGIONAMENTO DEL GIUDICE

Tutor Dottoranda

Chiar.mo Prof. Guido Corso Maria Grazia Carcione

ROMA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

TRE

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Al mio amore per sempre

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INDICE SOMMARIO

Capitolo I

Eccesso di potere e discrezionalità

1. L’eccesso di potere nella tradizione francese della giurisprudenza

del Conseil d’Etat.

2. La legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato.

3. Natura dell’eccesso di potere.

4. La natura del vizio.

4.1. Premessa generale.

4.2. Vizio della volontà.

4.3. Vizio della causa.

4.4. Vizio dei motivi.

4.5. Vizio della funzione amministrativa.

5. I nessi con la discrezionalità amministrativa. Eccesso di potere e

natura del potere esercitato dall’amministrazione.

6. I nessi con la discrezionalità tecnica.

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Capitolo II

Ragionamento del giudice, figure sintomatiche dell’eccesso di

potere e principio di ragionevolezza

1. Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere: prova o indizio della

illegittimità dell’atto? Rapporti con il principio di ragionevolezza.

2. Le singole figure di eccesso di potere nella giurisprudenza.

2.1. Travisamento dei fatti ed errore di fatto. Ragionamento del

giudice di supporto al ragionamento dell’amministrazione.

2.2. Violazione di circolari.

2.3. Contraddittorietà.

2.4. Disparità di trattamento.

2.5. Difetto d’istruttoria.

2.6. Difetto di motivazione.

2.7. mancata fissazione di autolimiti o relativa inosservanza.

2.8. Ingiustizia grave e manifesta.

2.9. Illogicità manifesta.

2.10. Violazione del principio di proporzionalità.

3. Le figure sintomatiche nel sindacato sulla discrezionalità tecnica e

ragionevolezza tecnica

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4. La lata discrezionalità e gli atti di alta amministrazione.

5. L’“eccesso di potere cognitivo ai danni dell’Amministrazione” nella

giurisprudenza della Cassazione.

Capitolo III

Eccesso di potere in ambito europeo e conclusioni

1. Premessa.

2. L’eccesso di potere nei Trattati.

3. Figure sintomatiche e ragionamento del giudice europeo.

Capitolo IV

Conclusioni

1. Parametro di riferimento del ragionamento del giudice: il principio

di ragionevolezza.

2. Il percorso del ragionamento del giudice modulato alla luce delle

singole figure sintomatiche.

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Capitolo I

Eccesso di potere e discrezionalità

1. L’eccesso di potere nella tradizione francese della

giurisprudenza del Conseil d’Etat.

L’espressione “eccesso di potere” è la traduzione di quella francese

excès de pouvoir, nata con riferimento alla nota teoria politica della

separazione dei poteri di Montesquieu1. In particolare l’excès de pouvoir

si riferiva, inizialmente, soltanto ai casi di sconfinamento del potere

giudiziario nel campo riservato a quello legislativo o a quello esecutivo,

per poi essere estesa agli atti di un’autorità giudiziaria invasivi della sfera

riservata ad un’autorità giudiziaria diversa, oppure emessi senza il rispetto

delle regole volte a garantire la correttezza dei giudizi2.

1 Così P. GASPARRI, Eccesso di potere, in Enc. Dir., vol. XIV, Milano, 1965, 124 e ss., 124. Sull’ origine dell’istituto dell’eccesso di potere anche G. PALMA, Note intorno alle nozioni di conformità alla legge ed eccesso di potere nella evoluzione della giurisprudenza, il quale nota che l’inclusione all’interno dell’eccesso di potere anche dei casi di inosservanza delle regole essenziali alla validità del giudizio rende complessa la nozione già al termine della sua evoluzione in campo giudiziario; F. BASSI, Lo straripamento di potere (Profilo storico), in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1964, 245 e ss, 249, il quale precisa come il principio della divisione dei poteri fosse ispirato sia dall’intento di impedire l’intervento dei tribunali nel campo riservato alle amministrazioni, sia dall’esigenza di garantire l’unità e l’accentramento del potere esecutivo; G. SACCHI MORSIANI, Eccesso di potere amministrativo, in Noviss. Dig. It., App., vol. III, 1982, 219 e ss.; .R. VILLATA, Il provvedimento amministrativo, Giappichelli, 2006, 411 e ss. 2 G. SACCHI-MORSIANI, voce Eccesso di potere, cit., 221, nt. 4, che riporta poi come successivamente fosse possibile trovare numerose altre disposizioni del medesimo tenore, tutte ispirate alla preoccupazione di limitare l’influenza di molti istituti del passato e soprattutto di coloro che ancora li impersonavano, emarginandoli, per quanto possibile, dalla vita pubblica

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Il divieto per i giudici di conoscere degli atti amministrativi si fa

risalire alla legge del 7 ottobre 1790, che disponeva: “Le denuncie di

incompetenza mossa ai capi amministrativi non sono in alcun caso

proponibili davanti al Tribunale. Esse sono portate al Re, Capo

dell’amministrazione generale”.

Il Conseil d’Etat istituito nel 1800 come organo consultivo del Capo

dello Stato, giudicava su detti ricorsi in vista della successiva decisione

del Capo dello Stato e il ricorso veniva qualificato come recours pour

excès de pouvoir, quando nel 1872 la giustizia ritenuta (del Presidente

della Repubblica) viene sostituita dalla giustizia delegata, e la base

legislativa originaria del ricorso viene meno.

Secondo l’art. 9 della legge 24 maggio 1872, “Il Consiglio di Stato

decide sovranamente nella domanda di annullamento per eccesso di

potere proposta contro gli atti delle diverse autorità amministrative”.

Nell’ambito del ricorso per eccesso di potere il Consiglio di Stato

delinea la figura del dètournement de pouvoir.

Si ha sviamento di potere quando una decisione viene presa

dall’autorità amministrativa in considerazione di un fine diverso da quello

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che doveva essere perseguito: la competenza è stata “sviata” dal suo fine

legittimo e l’atto è illegale in ragione del suo scopo3.

In seguito la giurisprudenza della Suprema Corte francese integrò, in

via interpretativa, il dettato normativo4, fino a farvi rientrare anche le

ipotesi di eccesso di potere legislativo e di eccesso di potere

amministrativo5.

Ma fu poi il Consiglio di Stato francese ad ampliare ulteriormente il

significato dell’eccesso di potere6. Esso individuò al suo interno la più

specifica figura del détournement de pouvoir, inteso come uso di un

potere discrezionale per una finalità differente rispetto a quella fissata da

norma attributiva del potere stesso.

3 Y. GAUDEMET, Droit Administratif, 19 ed., 2010, pag. 142 4 R. VILLATA, Il provvedimento amministrativo, Giappichelli, 2006, 411 e ss. 5 Secondo E. LAFERRIERE, Traiti de la juridiction administrative, t. II, Paris, 1888, 521 ss., che parla di “incorrection du bui” e di deviazione da ildestination légale”, mentre (come ricorda M. D’ALBERTI, Mutamenti e destini del recours excès depouvoir, 285-286), si mescolano ancora immagini dei motivi e dei fini; Cfr. sul punto anche P. GASPARRI, Eccesso di potere, op. cit. 125, il quale precisa come all’interno dell’eccesso di potere la giurisprudenza del Consiglio Stato francese comprese, in primo luogo, tutti gli sconfinamenti da parte degli organi amministrativi, anche a danno di un altro organo amministrativo; poi tutte le violazioni di non regolanti la forma e la procedura; solo successivamente, accanto ai difetti di competenza, forma e di procedura, l’eccesso di potere venne a comprendere anche certi difetti che, “pur inerendo a scelte discrezionali, come tali insindacabili ...intaccavano tuttavia dette scelte nella loro legittimità”. Secondo E. CARDI e S. COGNETTI, voce Eccesso di potere (atto amministrativo), in Dig. disc, pubbl., voi. V, Torino, 1990, 341 ss., 343, Excès pouvoir viene sin dall’inizio del secolo scorso ricondotto al controllo sui motivi, inteso in senso lato come elementi di diritto e di fatto che conducono l’amministrazione ad agire l’indagine sui motivi diviene sempre più penetrante. Per l’influenza esercitata in Italia d l’esperienza francese si vedano anche L. MANNORI, L ‘influenza francese, in Le riforme crispine, cit., 586; A. AZZENA, Natura e limiti dell’eccesso di potere amministrativo, Milano 1976, 21 ss.; A. PUBUSA, Merito, 404; per una rassegna della giurisprudenza francese dell’epoca si veda G. PALMA, Note, 80 ss. 6 G. PALMA, Note, il quale osserva come il legislatore francese abbia seguito l’opera illuminata del Consiglio di Stato, accettando termini e concetti già sperimentati nella pratica; infatti solo dopo il 1830 le leggi in Francia hanno previsto esplicitamente un ricorso al Consiglio di Stato.

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Il controllo giurisdizionale limitato, con l’incompetenza e i vizi

formali, alla legalità esterna dell’atto, si estende con lo sviamento di

potere ad un elemento interno, dal momento che è in base all’intenzione

del suo autore, che l’atto viene giudicato.

Per questa ragione alcuni autori hanno ritenuto che il controllo del

fine, superando la mera legalità, finisce con l’investire la “moralità

amministrativa7.

2. La legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato.

L’eccesso di potere, in Italia, viene per la prima volta menzionato

nella l. 31 marzo 1877, n. 3761, la quale attribuiva alle Sezioni Unite

della Corte di Cassazione di Roma il compito di risolvere i conflitti di

attribuzioni tra l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa, nonché

quelli tra i tribunali ordinari e i tribunali speciali. Essa in base all’art. 3, n.

3 della citata legge, aveva la competenza a giudicare della “nullità delle

sentenze” dei giudici speciali “per incompetenza o eccesso di potere”8.

In tale specifico contesto l’espressione venne intesa con un significato

simile a quello fatto proprio dalla giurisdizione ordinaria francese, e cioè

7 J. RIVEDO, Droit Administratif, II ed., 1985, p. 264 8 S. CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Giuffrè, 2003, 978 e ss.

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di straripamento di potere delle giurisdizioni speciali ai danni del potere

legislativo e amministrativo9.

Successivamente l’eccesso di potere fece la sua comparsa, insieme

all’incompetenza e alla violazione di legge, come vizio di legittimità

dell’atto amministrativo con la l. 31 marzo 1889, n. 5892, che ha istituito

la IV sezione del Consiglio di Stato.

La formula usata era la stessa che fu utilizzata successivamente

nell’art. 22 t.u. 17 agosto 1907, n. 638, poi nell’art. 5 r.d. 30 dicembre

1923, n. 2840 e nell’art. 26 t.u. Cons. St., il quale recita: “spetta al

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi per

incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti

o provvedimenti di una autorità amministrativa o di un corpo

amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di

individui o di enti morali giuridici...”.

L’attuale formulazione dell’art. 29 del codice del processo

amministrativo, sui cui ci soffermeremo oltre, (d.lgs. 2 luglio 2010, n.

104) disciplina l’azione di annullamento, proponibile per “violazione di

legge, incompetenza ed eccesso di potere”.

9 Nel senso di usurpazione di potere e violazione della competenza ne parlava già G.D. ROMAGNOSI, Principi fondamentali di diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni, Milano, 1837, 140.

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Il primo problema che il Consiglio di Stato si trovò ad affrontare fu

quello del significato da dare alla dizione “eccesso di potere”, dal

momento che il legislatore del 1889 non diede alcuna indicazione in tal

senso; tuttavia, si ritiene comunemente che il legislatore del 1889

intendesse anche qui riferirsi allo straripamento di potere e quindi ad una

forma di violazione di legge particolarmente grave10.

Al di là dei dubbi relativi al significato da attribuire all’espressione

eccesso di potere impiegata dal legislatore del 1889, ciò che conta è che la

disposizione in seguito fu interpretata dilatando i confini della figura,

ancora una volta sulla falsariga della giurisprudenza, questa volta

amministrativa francese.

Il Consiglio di Stato, infatti, fin dalle sue prime pronunce, ha attribuito

costantemente all’eccesso di potere il significato che la giurisprudenza

amministrativa francese attribuiva all’espressione détournement de

pouvoir, cioè esercizio del potere per un fine diverso da quello per il

quale esso è attribuito.

In alcune decisioni “storiche” della quarta sezione da poco istituita fu

precisato il concetto stesso di “eccesso di potere”. Le due decisioni sono, 10 V. CERULLI IRELLI, Principi, vol. II, 240, secondo il quale il Legislatore del 1889 intendeva con eccesso di potere un’incompetenza grave, una nozione “grosso modo” coincidente con quella di carenza di potere come attualmente intesa. Questo perché il legislatore “non intendeva affatto estendere il sindacato” del neo istituito organo di giustizia amministrativa “ad elementi dell’atto (e del procedimento) diversi ed ulteriori a quelli concernenti la conformità alla legge”.

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in dettaglio, la sentenza 7 gennaio 1862 e la sentenza 28 gennaio 1892,

Spaventa Presidente, Canna estensore.

La sezione cominciò allora ad affermare che nella formula italiana

della legge istitutiva della IV sezione, oltre ai vizi di incompetenza e di

violazione di legge, debbono ritenersi compresi i casi di grave illogicità e

disparità di trattamento, nei quali l’uso stesso del potere discrezionale va

sanzionato dal giudice. Nella prima parte delle decisioni citate in

particolare, quella del 7 gennaio, si affermava il principio che non

costituisce eccesso di potere, “nella misura amministrativa fondata su fatti

indubitati” il provvedimento che non contenga “nulla di illogico e

irrazionale o di contrario allo spirito della legge”11, il che riconduce

all’accesso di potere l’illogicità o l’irrazionalità dell’atto amministrativo o

la sua contrarietà allo spirito della legge.

La figura dell’eccesso di potere, nell’ordinamento italiano, costituisce

pertanto il mezzo di controllo della discrezionalità, consentendo di

11 Sul complessivo impatto di queste pronunce sulla tematica dell’invalidità amministrativa cir. F.G. SCOCA, Profili sostanziali del merito amministrativo, cit., 1380; F. MODUGNO e M. MANETTI, voce Eccesso di potere, II) Eccesso di potere amministrativo, in Enc. giur., Roma, 1989, 2; A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., 143 ss.; O. ABBAMONTE, L’eccesso di potere. Origine giurisdizionale del concetto nell’ordinamento italiano, in Dir. proc. amm., 1986, 68 ss.; D. VAIANO, La riserva, 220. Alla decisione del 7 gennaio è possibile affiancare la sentenza 28 gennaio 1892, n. 32 (caso Ruffoni), in Giust. amm., 1892, 59, che, affermando la contrarietà dello spirito della legge di un provvedimento comunale in materia elettorale, introduceva il concetto di falso scopo e quindi dello sviamento di potere.

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verificare che le scelte riservate alla pubblica amministrazione siano fatte

in modo da assicurare la realizzazione dell’interesse pubblico12.

La primissima giurisprudenza è piuttosto cauta quando l’atto

impugnato è stato adottato nell’esercizio di un potere discrezionale. In

questi casi l’indagine investe solo la forma dell’esercizio della facoltà

discrezionale, poiché “l’uso che di essa fu fatto con le forme legali non

può essere rimproverato di eccesso di potere, né di violazione di legge”.

Nelle prime decisioni si afferma pertanto che l’esercizio del potere

discrezionale è sottratto al sindacato di legittimità perché non è

disciplinato dalle norme. Quando c’è un potere di scelta, il giudice

amministrativo non può svolgere alcuna indagine sulla decisione adottata

dall’Autorità amministrativa, anche quando venga indicato nell’atto un

motivo palesemente erroneo.

Il giudizio di legittimità riguarda gli aspetti estrinseci e formali.

Risulta evidente la differenza rispetto alle esperienze del Consiglio di

12L. MEUCCI, Istituzioni di diritto amministrativo, 76, che qualifica per la prima volta il generico difetto di potestà in ordine all’emanazione dell’atto, e quindi pure lo straripamento di potere, come un’ipotesi di incompetenza assoluta idonea a provocare la nullità dell’atto; cfr. altresì F. BASSI, Lo straripamento di potere, 72 ss.; ricorda, comunque, B.G. MATTARELLA, Il provvedimento, 980, che fino alla metà del secolo scorso l’espressione “straripamento di potere” (a volte considerata sinonimo di “incompetenza assoluta”) è stata usata dal Consiglio di Stato per indicare l’esercizio da parte dell’amministrazione di un potere del quale essa non è titolare; ciò non per negare l’efficacia all’atto amministrativo così emanato, come avverrà, a partire dalla metà del secolo, con l’introduzione della nozione di carenza di potere, ma per ammettere i ricorsi contro atti per i quali la legge escludeva l’impugnabilità. Osserva M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Giuffrè, 1988, 316, che oggi ne diritto positivo italiano lo straripamento di potere si può dire interamente sostituito da ciò che l’art. 134 chiama conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

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Stato formatosi prima della istituzione della Sezione IV, nell’esercizio

della funzione consultiva sui ricorsi straordinari al Re: si svuotava la

giurisdizione di legittimità (“intesa alquanto largamente” nell’esperienza

consultiva) a vantaggio del merito13.

Le pronuncie già ricordate del 1892, secondo le qali non può

ravvisarsi un eccesso di potere se un provvedimento non contiene “nulla

di illogico e d’irrazionale o di contrario allo spirito della legge”,

sembrano tuttavia recuperare, in tutta la sua ampiezza, il sindacato di

legittimità sperimentato nell’ambito dell’attività consultiva resa nei

ricorsi straordinari al Re.

Il metro del giudizio, in mancanza di disciplina positiva espressa,

viene individuato innanzitutto nello “spirito della legge”: il giudice estrae

dalla norma la ragione che la ispira ed afferma l’illegittimità dell’atto

amministrativo se quest’ultimo non è in sintonia con la ratio legis, ancor

più se l’Amministrazione persegue un fine diverso da quello

normativamente previsto (sviamento di potere).

Successivamente, vengono presi in considerazione aspetti che

appartengono alla genesi di ogni percorso decisionale. E così, l’illogicità

e l’irrazionalità, come la coerenza, la conseguenzialità tra presupposti e

13 P.G. PONTICELLI, La giurisdizione di merito del Consiglio di Stato, Milano 1958, 6 e ss..

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contenuto dell’atto amministrativo sono i canoni logici alla base di ogni

decisione e, quindi, anche di quella dell’Amministrazione ed il giudice li

pone quale premessa maggiore del sillogismo. Nella ricerca di criteri

oggettivi di giudizio, a volte viene considerata come vincolante per la

pubblica amministrazione la precedente azione della stessa autorità

amministrativa in casi analoghi, al punto che ne vengono tratte anche

regole procedimentali il cui mancato rispetto determina l’illegittimità del

provvedimento amministrativo; se l’Autorità amministrativa, in assenza

di norme, fissa un procedimento, ha in questo modo autodisciplinato

l’esercizio del potere discrezionale secondo regole che esso è tenuto ad

osservare. Ed il giudice amministrativo si preoccupava di evidenziare che

il parametro è oggettivo, quasi a sottolineare che non si sostituisce

all’autorità amministrativa e non esercita il potere discrezionale che

l’amministrazione aveva male usato.

In sostanza, il sindacato sulla discrezionalità, come ambito non

disciplinato dalla norma giuridica, viene esercitato utilizzando come

metro dei criteri che presentino un carattere oggettivo per evitare che

sembrino indebite sostituzioni (soggettive) del giudice

all’amministrazione .

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La giurisprudenza della Sezione IV sino al 1907 segue, pur in una

linea non continua ma intervallata da decisioni che escludono la

sindacabilità della discrezionalità, un percorso nel quale ha un posto

centrale la regola del rispetto dello scopo della norma. E, dove non riesca

ad individuare la ratio legis o non la ritenga utile strumento per il

sindacato sul potere discrezionale, il giudice attinge ad una scala di valori

riconoscibili che sono i canoni (logica) di ogni decisione e gli stessi

precedenti seguiti dall’Autorità amministrativa. Essi vengono prospettati

come criteri oggettivi, e non come il frutto di una decisione del giudice

ritagliata sulla fattispecie concreta; sicchè il giudice non si sostituisce

all’Amministrazione, ripetendo l’esercizio del potere discrezionale.

3. Natura dell’eccesso di potere.

Dopo avere illustrato l’evoluzione storica della nozione di eccesso di

potere è opportuno, prima di analizzare le figure sintomatiche

dell’eccesso di potere e il ragionamento che in ordine ad esse svolge il

giudice, soffermarsi sulla natura dell’eccesso di potere nelle ricostruzioni

della dottrina e della giurisprudenza.

Come già accennato, la l. 31 marzo 1889, n. 5892, che per la prima

volta ha previsto il vizio in esame, nulla aveva disposto al riguardo; tale

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lacuna legislativa non risulta ancora colmata. Sono state la dottrina e,

soprattutto, la secolare giurisprudenza, dunque, ad aver attribuito un

significato specifico al concetto di eccesso di potere.

L’eccesso di potere si differenzia dagli altri due vizi di legittimità

dell’atto amministrativo ossia l’incompetenza e la violazione di legge.

Infatti mentre questi ultimi sono vizi tipici del provvedimento

amministrativo in quanto atto di esercizio di un potere, l’eccesso di potere

è legato al cattivo svolgimento della funzione amministrativa14. Esso,

come già rilevato, non è ancorato alle norme di azione generali e astratte,

ma è legato, bensì, a quelle norme che riguardano la funzione

amministrativa che attraverso l’atto stesso viene esercitata e che non sono

ravvisabili in via preventiva e astratta in modo assolutamente puntuale15.

Questa è una conseguenza della natura funzionale dell’attività

amministrativa. Perché il potere amministrativo venga validamente

esercitato infatti, non è sufficiente che tutte le norme che lo riguardano

siano rispettate, è altresì necessario che le scelte riservate

all’amministrazione siano fatte in modo da assicurare la realizzazione

dell’interesse pubblico16.

14 F. BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubb., 1950, p. 100. 15 F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2008, 670. 16 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto, 2009, 908 e ss.

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La figura dell’eccesso di potere consente di verificare questo secondo

aspetto: non si tratta di sindacare le scelte dell’amministrazione o di

assicurare che quanto disposto dal provvedimento sia il miglior possibile

rimedio alla situazione preesistente, in quanto ciò comporterebbe la

sostituzione di una scelta con un’altra, si tratta, piuttosto, di controllare

che, nel processo di formazione e di attuazione di quelle scelte, non vi

siano circostanze che dimostrino, o inducano a ritenere, che l’interesse

pubblico non è stato correttamente perseguito17.

L’eccesso di potere pertanto, pur nell’ambito della conformità

dell’atto amministrativo alla legge, riguarda lo svolgimento anomalo della

funzione amministrativa e, più in particolare, la concreta ed effettiva

deviazione rispetto allo scopo per cui il potere poteva essere esercitato e

quindi l’atto stesso emanato18.

4. La natura del vizio.

4.1. Premessa generale.

Secondo alcuni autori, l’eccesso di potere coincide con cattivo uso del

potere da parte della Pubblica Amministrazione; secondo altri, invece,

esso consiste nell’insieme delle violazioni di quei limiti interni (interesse

17 S. CASSESE, op. cit., 978. 18 A partire da Cons. St., sez. IV, decisione “Vastarini-Cresi”, 7 gennaio 1892, n. 2.

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pubblico, causa del potere esercitato, osservanza dei precetti di logica e di

imparzialità) della discrezionalità amministrativa, che, pur non essendo

consacrati in norme positive, sono inerenti alla natura stessa del potere

esercitato; secondo altri, l’eccesso di potere comprende i vizi attinenti al

contenuto dell’atto, e riguardi i rapporti tra la direzione della volontà

espressa dall’autorità amministrativa e lo scopo che con l’atto si vuole

raggiungere.

Ogni potere viene, infatti, conferito alla pubblica amministrazione non

per generici fini d’interesse pubblico, di carattere indifferenziato, ma per

specifici, distinti e qualificati interessi pubblici: dunque l’eccesso di

potere può ricorrere anche quando l’interesse perseguito sia pur sempre

un interesse pubblico ma non un interesse diverso da quello che è affidato

alla competenza dell’organo.

Alcuni autori, invece, ritengono che l’eccesso di potere incida

negativamente sul corretto procedimento di formazione della volontà

della pubblica amministrazione; mentre altri studiosi individuano

rispettivamente nei motivi o nella causa l’elemento viziato.

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20

4.2. Vizio della volontà.

Detto ciò su un piano generale, si può adesso passare ad analizzare più

nello specifico le diverse teorie elaborate in dottrina.

La teoria del vizio della volontà riconduce all’attività della Pubblica

Amministrazione i vizi tipici del negozio giuridico, e cioè errore, violenza

e dolo, individuando il vizio di eccesso di potere nel procedimento non

corretto di formazione della volontà.

A questa ricostruzione, tuttavia, si obietta che il diritto civile prende in

considerazione la volontà in senso psicologico ai fini della violazione del

contratto; mentre nel diritto amministrativo si è in presenza di una volontà

procedimentale poiché alla decisione finale del procedimento si perviene

con il concorso di tutti gli uffici e organi che al procedimento hanno preso

parte.

Difatti, per gli atti amministrativi, a differenza di quanto avviene per

gli atti giuridici privati, il processo psichico dell’agente non ha rilevanza

ex se: rileva, invece, la circostanza che vi sia coincidenza tra la funzione

attribuita dalla legge all’atto e la finalità alla quale l’atto concretamente

posto in essere è indirizzato, ovvero che sussista il “necessario nesso di

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consequenzialità tra presupposti di fatto e di diritto e conclusioni

ricavatene dalla Amministrazione”19 .

Inoltre, secondo taluni, il vizio relativo al corretto procedimento di

formazione della volontà costituisce piuttosto una violazione di legge, in

quanto, essendo la volontà un elemento essenziale del provvedimento, la

violazione riguarderebbe lo schema tipico del provvedimento valido.

4.3. Vizio della causa.

La teoria del vizio della causa attribuisce al provvedimento

amministrativo una intrinseca razionalità, che consiste per un verso nel

rispetto della legge, e, per altro aspetto, nella finalità e nella causa che lo

sorreggono20.

Taluni hanno criticato questa impostazione a causa della difficile

individuazione di un confine con il merito amministrativo; altri rilevano

che non esiste una causa nel provvedimento amministrativo, ma piuttosto

una causa del potere amministrativo o più semplicemente la necessità che

esso sia conforme all’interesse pubblico, inteso come concezione di

legittimità sostanziale della potestà di agire della Pubblica

19 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 414. 20 A.M. SANDULLI, op. cit., 414.

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22

Amministrazione: pertanto, l’eccesso di potere non costituisce un vizio

della causa, ma della “potestà”21.

4.4. Vizio dei motivi.

Secondo la teoria del vizio dei motivi22 occorre, invece, far riferimento

alla mancanza di imparzialità nell’attività amministrativa, che emerge

nella valutazione dei motivi impliciti o esplicitati. Essi vengono

considerati, infatti, o come elementi circostanziali esterni, ma

determinanti, del provvedimento (i c.d. interessi pubblici da soddisfare),

ovvero come elementi essenziali del provvedimento, o come momenti

della volontà e della causa giuridicamente rilevanti. Difatti, anche nella

discrezionalità emerge la necessità di comparare ad un interesse primario

interessi e motivi diversi, anche secondari23.

Sicchè l’eccesso di potere sarebbe una conseguenza di una non

corretta comparazione o ponderazione di taluni interessi o della omessa

considerazione di taluni di essi.

21 F. CARINGELLA, op. cit. 22 M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, Milano, 1939, 185. 23 Cass. Civ., S.U., 26 febbraio 1976, n. 620.

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4.5. Vizio della funzione amministrativa.

La tesi più accreditata resta quella, di cui già si è accennato, che

qualifica l’eccesso di potere come vizio della funzione amministrativa,

funzione che risulta esercitata in modo anomalo o se si preferisce

“sviata”24. In base ad essa si ritiene che il vizio di legittimità del

provvedimento non deriva dalla deviazione dal fine tipico, ma dalla “linea

di continuità costituita dal complesso di atti e provvedimenti attraverso i

quali si svolge la funzione”: in altri termini, la funzione pubblica deve

svolgersi avendo come parametro di riferimento la globalità dell’azione

amministrativa e tutti gli interessi in gioco, primari e secondari, che

emergono nella sequenza procedimentale. L’azione deve svolgersi nel

rispetto di una coerenza tra una valutazione e le altre: emerge quindi la

necessità che le singole valutazioni discrezionali siano intrinsecamente

giustificate e razionali sia rispetto alla causa o allo scopo tipico, sia anche

rispetto alla funzione nel suo complesso.

Questa tesi inizialmente è stata proposta con riferimento alle sole

figure sintomatiche, sulla base dell’osservazione che, in presenza di esse,

il vizio non riguarda un elemento dell’atto, ma la funzione, intesa come

concretarsi del potere in un singolo atto amministrativo, e che le figure in

24 Cons. St., sez. IV, 27 dicembre 2006, n. 7974, in www.giustizia-amministrativa.it.

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questione riflettono principi generali sulla funzione amministrativa,

desumibili dalle norme sull’attività amministrativa, la cui violazione

determina l’invalidità dell’intero atto.

La dottrina successiva ha ulteriormente approfondito il legame tra

funzione amministrativa, discrezionalità ed eccesso di potere e ha

generalizzato la concezione dell’eccesso di potere come vizio della

funzione.

5. I nessi con la discrezionalità amministrativa. Eccesso di potere e

natura del potere esercitato dall’amministrazione.

La nozione di eccesso di potere, nel suo significato attuale, è quindi

strettamente legata a quella di discrezionalità amministrativa25, in quanto

all’eccesso di potere fanno capo diverse tecniche di controllo sul modo in

cui l’amministrazione compie le scelte che le sono riservate, e in

particolare sul corretto perseguimento dell’interesse pubblico. Essa

indica, infatti, i vizi tipici dell’attività amministrativa discrezionale, ossia

dell’attività in cui l’amministrazione è chiamata ad operare scelte che

presuppongono una pluralità di alternative, senza che esse possano

25 E. LAFERRIERE, op. cit., 521 ss.; sulla questione più generale relativa al rapporto tra discrezionalità e principio di legalità v. G. CORSO, Commento all’art. 1, della L. 241/1990, in Codice dell’Azione Amministrativa (a cura di M.A. SANDULLI), Giuffrè, 2010.

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considerarsi del tutto libere: non può contraddirsi, non può comportarsi

irragionevolmente, non può operare disparità di trattamento, deve tenere

conto di determinati interessi e non di altri, deve dare conto delle proprie

decisioni e così via.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione dell’eccesso di potere, la

dottrina sembra non essere unitaria sul punto.

Secondo un primo orientamento, tale ambito coincide con il “potere

discrezionale della pubblica amministrazione” e, dunque, sono censurabili

solo gli atti discrezionali.

Un secondo orientamento, invece, sostiene che la discrezionalità non

sia un presupposto necessario e, dunque, siano censurabili anche gli atti

vincolati.

Lo stretto legame tra discrezionalità ed eccesso di potere giustifica la

comune osservazione, secondo la quale questo vizio non è configurabile

con riferimento agli atti vincolati26. Peraltro, come si è osservato con

riferimento alla discrezionalità amministrativa, è difficile che un

provvedimento sia interamente vincolato, e ciò è dimostrato dal fatto che

la giurisprudenza riferisce spesso l’eccesso di potere anche ad atti

normalmente considerati vincolati. Appare quindi preferibile esprimere il

26 Sul tema v., per tutti, P.M. VIPIANA, Gli atti amministrativi, cit., 244.

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collegamento affermando che l’eccesso di potere è escluso solo con

riferimento ai momenti vincolati dell’attività amministrativa27.

L’atto discrezionale, invece, è quello che la pubblica amministrazione

emana, potendo scegliere la soluzione, perché la legge non ne prescrive

una specifica e sola. Alla luce dello stretto collegamento tra

discrezionalità ed eccesso di potere si comprende l’affermazione

tradizionale secondo cui l’eccesso di potere non è configurabile rispetto

agli atti vincolati.

Accanto a quest’ultima tesi si riscontra, tuttavia, qualche affermazione

di segno diverso; parte della giurisprudenza, infatti, ammette la

configurabilità dell’eccesso di potere anche in relazione agli atti vincolati

della pubblica amministrazione.

Ad esempio, in alcune pronunce si ritiene che rispetto agli atti

vincolati siano configurabili alcune figure sintomatiche dell’eccesso di

potere, come il travisamento dei fatti o l’erronea valutazione dei

presupposti.

Una posizione ancora più netta è stata espressa in dottrina, ove si è

sostenuta la configurabilità del vizio di eccesso di potere anche per gli atti

vincolati, senza di che non potrebbe darsi piena attuazione ai precetti

27 B.G. MATTARELLA, Il provvedimento, cit., 876

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27

costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica

amministrazione28.

A tal proposito sembra preferibile la tesi intermedia, secondo cui

l’eccesso di potere è ammissibile anche rispetto ad atti non assolutamente

vincolati, ma solo rispetto a quei profili in cui si riscontra una

discrezionalità amministrativa, dato che, in presenza di un vincolo

normativo totalmente preclusivo, l’eccesso di potere sembra in realtà

totalmente assorbito dalla violazione di legge.

Va inoltre precisato che il destinatario dell’atto amministrativo non

può lamentare il vizio in esame, contestando l’opportunità o meno

dell’emanazione dell’atto stesso, ossia sindacando il merito dell’azione

amministrativa. È possibile, invece, sindacare le modalità di esercizio

della discrezionalità di cui gode la pubblica amministrazione nella

determinazione del contenuto dell’atto. Va da sé, dunque, che risulti

inammissibile il motivo di ricorso con cui si contesta l’utilità o

l’opportunità dell’atto impugnato.

Parte della dottrina tende tuttavia a dare rilevanza, ai fini del sindacato

sull’eccesso di potere, anche al merito dell’azione amministrativa. Tale

orientamento si basa sul presupposto che la legge inibisca l’uso distorto

28 F.M. NICOSIA, Potere ed eccesso di potere nell’attività amministrativa non discrezionale, Napoli, 1991, 153.

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del potere; si tratta di una formula ampia che consente di sindacare anche

il merito, pur se in modo limitato. Si fa l’ipotesi in cui l’inopportunità

influenzi direttamente l’atto, che non può più considerarsi frutto di una

corretta determinazione discrezionale. Il vizio di merito dell’atto non è

dunque colto in modo autonomo (in tal caso si attuerebbe un sindacato di

puro merito) ma in via indiretta.

6. I nessi con la discrezionalità tecnica.

L’eccesso di potere viene in rilievo, sia pure in forma diversa, in

presenza di quella che viene definita discrezionalità tecnica.

L’accertamento di questa figura sintomatica ripropone, peraltro,

l’annosa questione della sindacabilità delle valutazioni tecnico-

discrezionali della P.A., che ricorre, come è noto, quanto essa, per

accertare i fatti deve utilizzare regole tecniche di varia natura che si

caratterizzano per la loro opinabilità.

In ordine ai limiti entro cui l’autorità giudiziaria può sindacare le

valutazioni tecniche della P.A. si registrano due orientamenti divergenti

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29

che pongono l’alternativa tra un controllo di tipo “estrinseco” e uno di

tipo “intrinseco”29 .

Secondo un primo risalente indirizzo, la discrezionalità tecnica attiene

al merito dell’azione amministrativa, di talché le scelte tecniche

dell’Amministrazione possono essere sindacate solo sotto il profilo

estrinseco e formale dell’iter logico seguito dall’Amministrazione e,

quindi, in definitiva, in presenza di elementi sintomatici di scorretto

esercizio di potere quali il difetto di motivazione, l’illogicità manifesta e

l’errore di fatto30.

In base a questa tesi, pertanto, la verifica giurisdizionale circa la

spettanza del bene della vita dovrebbe arrestarsi laddove vengano in

29 Sul tema cfr., da ultimo, CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in F. CARINGELLA e M. PROTTO, Il nuovo processo amministrativo: dopo due anni di giurisprudenza, Giuffrè, 2002, 913 ss.; S. BACCARINI, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in Dir. Proc. Amm., 2001, 80 ss.; M.G. SCHINAIA, Il ruolo del giudice amministrativo sull’esercizio della discrezionalità tecnica della P.A., in Dir. Proc. Amm, 1999, 1101; M. DEL SIGNORE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche: nuovi orientamenti del Consiglio di Stato, in Dir. Proc. Amm, 2000, 182; P. LAZZARA, Discrezionalità tecnica e situazioni giuridiche soggettive, ibidem, 2000, 212; R. MOREA, Il sindacato sulla discrezionalità tecnica tra annullamento e risarcimento, in Urb. e app., 2001, 201 ss.; D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995; M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto le lente del G.A., in Urb. e app., 2001, 873; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, II, Milano, 2001, 1133 ss. 30 Cfr., ex multis, C. Stato, sez. V, 4 ottobre 1993, n. 978, in Foro amm., 1993, 2072; Cons. St., sez. VI, 5 novembre 1993, n. 801, in Cons. Stato, 1993, I, 1459; C. Stato, sez. VI, 29 maggio 1995, n. 518, in Foro amm., 1995, 1026; C. Stato, sez. IV, 27 settembre 1996, n. 1058, in Giur. it., 1997, III, 1, 127; C. Stato, sez. VI, 23 marzo 1998, n. 358, in Cons. Stato,1998, I, 454; C. Stato, sez. V, 22 giugno 1998, n. 463, in Cons. Stato, 1998, I, 935; C. Stato, sez. VI, 15 maggio 2000, n. 2776, in Giur. it., 2000, 1933; C. Stato, sez. IV, 14 marzo 2000, n. 1348, in Giust. civ., 2000, I, 2169 con nota di ANTONIOLI. In dottrina, sostengono il carattere “riservato” degli apprezzamenti tecnici: C. MARZUOLI, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985; G. SALA, Potere amministrativo e princìpi dell’ordinamento, Milano, 1993, 214 ss.; V. BACHALET, L’attività tecnica della pubblica amministrazione, in Scritti giuridici, vol. I, L’amministrazione pubblica, Milano, 1981, 237 ss.; E. CAPACCIOLI, Manuale di diritto amministrativo, Padova, 1980, vol. I, 287.

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30

considerazione valutazioni tecniche della P.A., finendo altrimenti il

giudice per conoscere il merito amministrativo.

Secondo un più evoluto orientamento, ormai accolto dalla

giurisprudenza più recente, invece, la discrezionalità tecnica non riguarda

il merito dell’azione amministrativa in quanto non implica alcuna

ponderazione comparativa dell’interesse pubblico primario con gli

interessi secondari. A differenza di quello che accade in presenza di

discrezionalità amministrativa, infatti, in questo caso la ponderazione è

fatta a monte dal legislatore e l’Amministrazione si limita ad accertare,

sia pure avvalendosi di regole tecniche opinabili, i presupposti di fatto cui

è subordinato l’esercizio del potere31 .

Si afferma, allora, che la questione di fatto che attiene ad un

presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo non si

31 Cfr. F. BENVENUTI, Introduzione al tema, in V. PARISIO (a cura di) Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998, 3 ss.; F.G. SCOCA, Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, ibidem, 107; F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario, in Riv. proc. amm., 1983, 371 ss; R. VILLATA, Considerazioni in tema di istruttoria, processo e procedimento, in Dir. Proc. Amm., 1995, 232; A. CARIOLA, Il giudice amministrativo e la prova: una provocazione a tesi su processo e politica, in Dir. Proc. Amm., 1999, 30 ss.; ID., Discrezionalità tecnica ed imparzialità, in Dir. amm., 1997, 486 ss.; V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. Proc. Amm., 1984, 463 ss.; A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, vol. II, Padova, 2001, 411. In giurisprudenza cfr., C. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, in Dir. Proc. Amm., 2000, 182, con nota di M. DEL SIGNORE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche, op. cit..; P. LAZZARA, Discrezionalità tecnica, op. cit..; C. Stato, sez. IV, ord. 17 aprile 2000, n. 2292, in Foro amm., 2000, 1240; C. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3544; C. Stato, sez. IV, 26 giugno 2000, n. 3600; C. Stato, sez. V, 5 marzo 2001, n. 1247, in Urb. e app., 2001, 866, con nota di M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto le lente del G.A. Tra i giudici di primo grado cfr. T.A.R. Lazio, sez. I-ter, 5 dicembre 2000, n. 11068, in Urb. e app., 2001, 195; T.A.R. Piemonte, sez. II, 17 novembre 2000, n. 1173, ibidem, 2001, 196; T.A.R. Lombardia, sez. III, 11 dicembre 2000, n. 7702, ibidem, 2001, 199; T.R.G.A. Bolzano, 7 dicembre 2000, n. 335, ibidem, 2001,197.

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31

trasforma – soltanto perché opinabile – in una questione di opportunità

anche se è antecedente o successiva ad un scelta di merito32 .

La conseguenza di tale impostazione è che gli apprezzamenti tecnici

dell’Amministrazione sarebbero sindacabili non solo sotto il profilo

estrinseco e formale, attraverso il controllo dell’iter logico, ma anche

sotto il profilo intrinseco dell’attendibilità, attraverso, cioè, la verifica

diretta della correttezza del criterio tecnico utilizzato e del procedimento

applicativo.

Ci sembra, tuttavia, che questo dibattito debba oggi essere rivisitato

alla luce della introduzione della consulenza tecnica d’ufficio nel

panorama istruttorio di tutta la giurisdizione di legittimità ad opera

dell’art. 16 della l. n. 205 del 200033 .

Questa norma, come è stato osservato34, consegna all’interprete alcune

certezze che consistono nella erroneità della tradizionale equazione tra

discrezionalità amministrativa e merito insindacabile e nella conseguente

caratterizzazione del sindacato sulla discrezionalità tecnica in termini di

sindacato intrinseco, da condurre cioè alla luce di regole e conoscenza

32 Cfr. C. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, cit. 33 L’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 aveva già introdotto la c.t.u. tra i mezzi istruttori del processo amministrativo nelle materia di giurisdizione esclusiva. Il legislatore con l’art. 16 l. n. 205 del 2000 ha ora esteso tale strumento a tutta la giurisdizione di legittimità, superando così le censure di incostituzionalità che contro quella scelta “parziale” erano state sollevate dal Consiglio di Stato (cfr. C. Stato, sez. IV, 17 aprile 2000, n. 2292, in Cons. Stato, 2000, I, 897. 34 F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale, op. cit., 920.

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32

tecniche appartenenti alla stessa scienza specialistica applicata

dall’Amministrazione. Si è rilevato, infatti, che “la mera conoscenza del

dato tecnico non è più argomento sufficiente ad ascrivere la

determinazione amministrativa nel campo del merito insindacabile per

l’ovvia considerazione che sarebbe altrimenti del tutto superflua una

norma che consente al giudice di avvalersi dell’ausilio di un terzo

imparziale per la conoscenza di aspetti specialistici, patrimonio esclusivo

di professionisti del settore scientifico interessato”35 .

Nel tentativo di stabilire quale sia il tipo di sindacato intrinseco

consentito al giudice, la dottrina ha allora prospettato l’alternativa tra un

controllo di tipo “forte” e un controllo di tipo “debole”36 .

Il primo si traduce in un potere sostitutivo tout court che consente al

giudice di sovrapporre la valutazione tecnica sviluppata nel processo a

quella effettuata dall’Amministrazione, anche nei casi in cui la scelta e

condizionata da obiettivi margini di opinabilità. Il sindacato intrinseco

forte, in altri termini, fa valere il punto di vista tecnico formatosi nel

processo anche qualora questo non possa dirsi pacificamente meno

opinabile di quello dell’Amministrazione.

35 L’espressione è usata per primo da G. PARODI, Tecnica, ragione e logica nella giurisprudenza amministrativa, Torino, 1990, 55 e poi ripresa, fra gli altri, da F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale, op. cit, 918 e POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione op. cit.., 429. 36 F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale, op. cit., 924.

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33

Il processo, quindi, si chiuderà in uno dei seguenti modi: o la scelta

del giudice coincide con quella dell’amministrazione e la domanda viene

rigettata; oppure la scelta del giudice non coincide con quella

dell’amministrazione e ciò comporterà un diverso finale, ossia la

sostituzione della regola del giudice a quella elaborata

dall’amministrazione.

Il secondo, invece, conduce a censurare le determinazioni

amministrative che, alla luce di un controllo di ragionevolezza e coerenza

tecnica, appaiono sicuramente inattendibili (la c.d. insostenibilità evidente

all’esperto): pertanto, ove la consulenza tecnica disposta dal giudice

giunga a conclusioni diverse rispetto alla valutazione della P.A., ma non

ne evidenzi l’erroneità, la determinazione amministrativa non potrà essere

censurata.

Questa tesi, quindi, ritiene che il giudice amministrativo, al cospetto di

un’amministrazione che abbia effettuato la propria scelta tecnico-

discrezionale, abbia in primis il potere-dovere di compiere un

accertamento completo e di acquistare la piena conoscenza del fatto,

nonché di verificare l’intero percorso conoscitivo e volitivo

dell’amministrazione, impadronendosi anche degli aspetti tecnici.

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34

Tuttavia, secondo tale impostazione, all’esito di quest’indagine il

giudice deve solo appurare se la scelta finale sia attendibile e ragionevole.

Il giudice deve cioè assicurarsi che tale scelta rientri in una di quelle

scelte ragionevolmente possibili in quella situazione data e, quindi, come

tali, corrette. Quanto la decisione sia compresa in quella gamma ristretta

di soluzioni finali, compatibili con quel percorso conoscitivo e con quei

determinati elementi tecnici, allora il giudice dovrà rispettarla, senza

sforzarsi di elaborare la sua scelta per sovrapporla a quella fatta

dall’autorità amministrativa37 .

La tesi in esame, quindi, nega tout court che il giudice possa

procedere ad un controllo sostitutivo sull’operato dell’Amministrazione.

Secondo una parte della dottrina38 la scelta tra questi due modelli,

peraltro, dovrebbe avvenire tenendo conto del rapporto che lega il

momento della valutazione tecnica opinabile con quello della

determinazione amministrativa successiva. Infatti, laddove i due momenti

possono nettamente separarsi sul piano logico – in quanto la valutazione

tecnica, per un verso, non interferisce con l’attribuzione del bene della

vita ed è estranea a qualsiasi ponderazione dell’interesse pubblico e, per

un altro, non è influenzata da valutazioni di carattere politico – sarebbe

37 F. CINTIOLI, Tecnica e processo amministrativo, in Dir. Proc.. amm., 2004, 969. 38 F. CINTIOLI, op. cit., 969

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35

possibile un sindacato intrinseco “forte” con conseguente possibilità per il

giudice amministrativo di sostituirsi all’Amministrazione.

Laddove, invece, il momento della valutazione tecnica opinabile e

quello della ponderazione dell’interesse pubblico, lungi dal potersi tenere

distinti, risultano fusi in un procedimento logico unitario, allora l’unico

tipo di controllo esercitabile può essere quello riconducibile al modello

debole, relativo cioè alla sola ragionevolezza e coerenza tecnica della

decisione amministrativa.

In particolare, il “sindacato intrinseco di tipo forte” deve ritenersi

inammissibile – come sottolinea anche l’orientamento favorevole ad una

piena sindacabilità giurisdizionale delle valutazioni tecniche39 – laddove:

- sussiste una contestualità cronologica, se non addirittura una

sovrapposizione concettuale sul piano logico, tra il momento della

valutazione tecnica opinabile e quello della ponderazione dell’interesse

pubblico40 (si pensi, ad esempio, al processo valutativo che conduce ad

accertare le caratteristiche di un bene al fine dell’imposizione di un

vincolo di tutela paesistica o ad accertare l’entità e la consistenza delle

aree da espropriare ai fini della realizzazione di un’opera pubblica);

39 F. CINTIOLI, op. loc. cit., 969 40 M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto la lente del G.A., in Urb. e app., 2001, 878.

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36

- l’Amministrazione risulti titolare di una particolare competenza

legata alla tutela di valori di rango costituzionale (pianificazione

urbanistica, tutela della salute, tutela paesistico ambientale e storico

ambientale)41;

- la legge abbia assunto al rango di interesse pubblico un interesse che

ha anche valenza tecnico scientifica, attribuendone la cura all’autorità

amministrativa42;

- vengano in rilievo valutazioni caratterizzate da un elevato grado di

soggettività o irripetibilità, come nel caso dei concorsi e degli esami in

genere e delle valutazioni delle commissioni giudicatrici43.

La tesi che, ammesso in via generale un sindacato intrinseco sulla

discrezionalità tecnica, distingue poi tra controllo “forte” e controllo

“debole” a seconda del rapporto esistente tra il momento della valutazione

tecnica e quello della ponderazione dell’interesse pubblico, sembra

trovare un sostegno normativo anche nell’art. 17, l. n. 241/1990.

41 F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale op. cit., 92. In tal senso si è recentemente espresso anche il Consiglio di Stato: cfr. sez. V, 5 marzo 2001, n. 1247, in Urb. e app., 2001, 867. 42 V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di discrezionalità, cit., 463 ss. 43 V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di discrezionalità, cit., 496. V., però, T.A.R. Lombardia, sez. III, 11 dicembre 2000, in Urb. e app. 2001, n.2, che, ai fini del risarcimento per equivalente ha disposto una gara virtuale attraverso la consulenza tecnica, onde verificare quale sarebbe stato l’esito se l’impresa non fosse stata esclusa. In senso analogo v. T.A.R. Veneto, sez. I, ord. 20 giugno 2001, n. 45.

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37

Questa norma, prevedendo che le valutazioni tecniche di competenza

di organi od enti rimasti inattivi, possano essere richieste anche ad altri

organi ed enti pubblici, dotati della stessa qualificazione tecnica, ovvero

ad istituti universitari, pare confermare il carattere “diffuso” delle

competenze specialistiche, che per la loro qualificazione “obiettiva”

possono bene essere esercitate da altri organi ed istituzioni egualmente

idonee.

Come è stato rilevato44, infatti, le valutazioni tecniche, per la loro

estraneità alla ponderazione dell’interesse pubblico, necessitano

soprattutto delle “competenze” e non del “personale”, e quindi, così come

da un lato l’Amministrazione può affidarle sia ad impiegati e funzionari

alle proprie dipendenze, sia a professionisti esterni di volta in volta tratti

dal mondo delle professioni, così, dall’altro, pare possibile che alla stessa

valutazione tecnica si sovrapponga in sede processuale quella del c.t.u.

nominato dal giudice (controllo “forte”).

Lo stesso art. 17, legge n. 241/1990, tuttavia, prosegue specificando

che la stessa regola non vale per le valutazioni di competenza di

amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale

e della salute dei cittadini. Tale limitazione pare essere giustificata

44 A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, op. cit., 479 ss.

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38

proprio dalla circostanza che qui i due momenti della valutazione tecnico-

specialistica e della ponderazione dell’interesse pubblico appaiono tra di

loro inscindibili, in quanto il legislatore ha assunto al rango di interesse

pubblico un interesse che ha anche valenza tecnico scientifica

attribuendone la cura all’autorità amministrativa.

In questo caso, pertanto, la sostituzione della valutazione tecnica

dell’Amministrazione, così come non è consentita in sede

procedimentale, parimenti non potrebbe esserlo in sede processuale:

l’unico tipo di controllo che il giudice può esercitare è allora quello

circoscritto alla ragionevolezza e all’attendibilità del giudizio tecnico

(controllo “debole”).

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39

Capitolo II

Ragionamento del giudice, figure sintomatiche dell’eccesso di

potere e principio di ragionevolezza

1. Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere: prova o indizio

della illegittimità dell’atto? Rapporti con il principio di

ragionevolezza.

Come precedentemente evidenziato, lo sviamento di potere appare, a

prima vista, come la più corretta traduzione del francese détournement de

pouvoir45. Per sviamento, dunque, non può che intendersi l’esercizio del

potere da parte della pubblica amministrazione per perseguire un fine

diverso da quello in vista del quale il potere è stato attribuito. Lo scopo

che effettivamente viene perseguito può anche essere conforme ad altri

interessi pubblici è in sé lecito; se esso è diverso da quello tipico, l’atto

amministrativo risulta viziato da eccesso di potere. 45 Fu A. CODACCI PISANELLI, L’eccesso di potere nel contenzioso amministrativo, in Scritti di diritto pubblico, 1900, 1, a ribaltare la formulazione negativa espressa dal Consiglio di Stato e a trarre da essa la regola positiva per cui “vi potrà essere eccesso di potere quando una misura amministrativa sia fondata su apprezzamenti, i quali contengono qualcosa d’illogico e d’irrazionale o di contrario allo spirito della legge”; cfr. altresì V.E. ORLANDO, La giustizia amministrativa, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, 806 ss., spec. 804; ID., Contenzioso amministrativo, in Dig. It., Torino, 1898, 861 ss., spec. 920 ss.; osserva A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Cedam, 1998, 153, che un fondamentale impulso all’attività di interpretazione ampliativa del concetto di eccesso di potere fu fornito dalla confluenza di taluni orientamenti dottrinali che muovevano, talvolta, da sponde concettuali antitetiche. “I semi del più efficace strumento di garanzia del cittadino nei confronti degli arbitri della pubblica amministrazione furono sparsi, tra l’altro, da Mantellini e Spaventa, propugnatori di una visione centralista del sistema amministrativo statuale e strenui avversari delle ipotesi di ingerenza della giurisdizione ordinaria sull’esercizio del potere amministrativo”.

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40

Nei primi decenni del secolo scorso si realizza in materia di eccesso di

potere una divaricazione tra giurisprudenza e dottrina, che fino a quel

momento avevano proceduto di pari passo46.

La genericità della previsione legislativa relativa all’eccesso di potere

e l’impossibilità di ricondurre le ipotesi di eccesso di potere a norme

scritte ha indotto la giurisprudenza, a operare il sindacato per eccesso di

potere attraverso figure sintomatiche corrispondenti a regole il cui rispetto

è facilmente verificabile47.

Il passaggio dall’eccesso di potere come sviamento di potere alle

figure sintomatiche è determinato quasi spontaneamente dalle modalità

del sindacato sullo sviamento.

Se, come dice Riverò, il giudice che indaga sullo sviamento è portato

a valutare le intenzioni recondite dell’agente per accertare lo scopo reale

della sua decisione, eventualmente difforme da quello che la legge

46 Si pensi alla modernità di un’affermazione come quella per cui il giudice amministrativo “può, quando lo crede opportuno, istituire e compiere indagini sui fatti e sui motivi che han dato luogo all’atto accusato di illegittimità”, al fine di stabilire se il potere discrezionale “sia veramente diretto allo scopo per cui fu concesso” (A. CODACCI PISANELLI, L’eccesso di potere, cit., 280). Nello stesso senso la giurisprudenza dell’epoca, secondo la quale, esempio, “ove il motivo per cui sia fatto un decreto di dichiarazione (di pubblica utilità riveli in contraddizione con i criteri di legge e determinato in realtà da tutt’altro fine “quello di favorire un pubblico interesse, non potrebbe tale provvedimento che ritenersi illegittimo e convertirsi in un eccesso di potere” (Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 1892, in Amm. del Regno, 1893, 50 ss.). 47 Per questa ricostruzione dell’elaborazione giurisprudenziale cfr. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., voi. II, 316-317, che sottolinea come la giurisprudenza richiedeva che il ricorrente dimostrasse l’infondatezza dei motivi esposti in motivazione e che introducesse fatti idonei a provare l’esistenza di motivi diversi, giungendo poi all’analisi sintomatica della motivazione sotto l’aspetto della sua sufficienza e della sua rispondenza a logica; in senso analogo F. MODUGNO e M. MANETTI, op. cit, 2-3.

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41

stabilisce, ancorando la competenza amministrativa ad uno specifico

interesse pubblico, lo stesso giudice finisce con l’essere lui stesso “a

enunciare la regola secondo la quale l’amministrazione non può

discostarsi dall’interesse generale”48.

Quando annulla l’atto per difetto o insufficienza o contraddittorietà

della motivazione, o per ingiustizia manifesta, o per disparità di

trattamento o per violazione della prassi o per insufficienza istruttoria, il

Consiglio di Stato presuppone l’esistenza ed il vigore di principi che

impongono all’amministrazione di motivare le sue decisioni di assicurare

ai cittadini che vengono in contatto con essa parità di trattamento, di

essere coerente nella sua linea di condotta, di accertare mediante adeguata

istruttoria i fatti che la legge indica come presupposti dell’eccesso di

potere.

Si ha la piena consapevolezza della illegittimità dell’atto che viola uno

di questi precetti. Non potendo questi casi essere ricondotti alla

incompetenza o alla violazione di legge, si utilizza lo sviamento di potere:

che è talmente indeterminato da potere ospitare al suo interno queste

violazioni.

48 J. RIVERÒ, op- cit.

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42

Poiché la legge utilizza questa tripartizione e lo stesso eccesso di

potere non è immediatamente sovrapponibile a ciascuna di queste

illegittimità, viene escogitata la “figura sintomatica” dell’eccesso di

potere. Il vizio di motivazione o la disparità di trattamento o il difetto di

istruttoria non sono ex se eccesso di potere, ma ne sono sintomi.

Si tratta di un processo che non conosce limiti: tant’è che alle figure

originarie ne sono state aggiunte via via altre (irragionevolezza, mancanza

di proporzionalità, violazione dell’affidamento etc.) man mano che

vengono individuate in via giurisprudenziale sempre nuove regole

dell’attività amministrativa.

Prima di passare al vaglio le singole figure sintomatiche, appare

opportuno soffermarsi sull’esatta individuazione del loro ruolo nella

costruzione dell’eccesso di potere.

Un primo orientamento49 attribuisce alle stesse una funzione

sostanziale, ritenendo che il loro accertamento è sufficiente per annullare

l’atto. Secondo questa impostazione, quindi, l’Amministrazione non è

ammessa a dimostrare che, pur ricorrendo alcune di esse, l’interesse

pubblico sarebbe ugualmente e correttamente perseguito.

49 F. BENVENUTI, Eccesso di potere, 35; R.VILLATA-M.RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 430.

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43

Un altro indirizzo50, invece, attribuisce alle stesse un mero valore

probatorio, ritenendole “meri sintomi o indizi di prova” dell’eccesso di

potere: si tratterebbe di manifestazioni tipiche da cui desumere, in via di

deduzione logica, la sussistenza potenziale di un vizio. La figura

sintomatica, perciò, diviene mezzo per addivenire alla conoscenza di una

causa invalidante: anche in loro presenza, pertanto, l’Amministrazione

può dimostrare che l’interesse pubblico è stato ugualmente perseguito in

maniera corretta. Questo secondo indirizzo è accolto da un certo

orientamento della giurisprudenza amministrativa51, secondo il quale,

allorquando venga riscontrata una figura sintomatica di eccesso di potere,

il Giudice non può dichiarare immediatamente l’illegittimità del

provvedimento, ma deve verificare se ad essa si accompagni, in concreto,

quella divergenza dell’atto dalle sue finalità istituzionali.

La soluzione, a mio avviso, preferibile52, anticipando parte delle

conclusione del presente lavoro, è che le figure sintomatiche non sono

sintomi di un qualche vizio, ma le regole che si è dato il Giudice per

sindacare l’esercizio del potere discrezionale da porre come premessa

maggiore del sillogismo del giudizio. 50 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto Amministrativo, Napoli, 1968, 414. 51 Cons. St., sez. V, 11 marzo 2010, n. 1418, in Red. Amm. CdS 2010, 03, Cons. St., sez. V, 15 ottobre 2009, n. 6332, in Foro amm. CdS, 2009, 10, 2334. 52 E. FOLLIERI, Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità pura o amministrativa- le figure sintomatiche sono norme giuridiche, non sintomi, op. cit.

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44

La figura sintomatica che, secondo le diverse ricostruzioni teoriche, è

prova, indizio o presunzione del vizio, ancora da individuare, viene

riferita all’assetto degli interessi (risultato) che si viene a delineare nel

concreto, denunziando la presenza dell’eccesso di potere nell’azione

amministrativa.

I loro caratteri presentano il dato: dell’oggettività; dell’essere esterne e

logicamente e cronologicamente precedenti al procedimento

amministrativo; l’essere ripetitive; esse sostituiscono, nel sillogismo del

giudizio, la norma positiva che manca e sono vincolanti sia per il giudice

che ne esclude eventualmente l’applicazione solo se non si attagliano alla

concreta fattispecie oggetto del giudizio, ma non le pone in discussione

come principio, sia per l’amministrazione che, se le viola, adotta un atto

illegittimo che è sanzionato, in caso di impugnativa, con l’annullamento.

Dunque, il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità si

esercita attraverso le norme che egli ha posto in via pretoria e, quindi, è

fuorviarne parlare di figure sintomatiche quali effetti del provvedimento

che ne manifestano l’illegittimità perché, anche in questi casi, si è in

presenza di violazione di regole, anche se non stabilite dal diritto positivo,

ma dal giudice, pur tuttavia con le stesse caratteristiche delle norme

giuridiche. Il giudice, cioè, in assenza di una disciplina positiva specifica

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45

del potere discrezionale, dopo iniziali chiusure al sindacato sul contenuto

“libero” dell’azione amministrativa, ha cominciato a sindacare la

discrezionalità, attraverso l’elaborazione di criteri che hanno più matrici e

che, nel giudizio, hanno preso il posto della (mancante) norma giuridica

di diritto positivo.

Il metro individuato dal giudice, pur occasionato dalla fattispecie

concreta sottoposta al suo esame, non è rinvenuto in essa, ma è fuori di

essa e viene prima, non solo dal punto di vista logico, ma anche dal punto

di vista cronologico. La regola della logicità, coerenza, razionalità della

soluzione adottata dall’Amministrazione è immanente ad ogni decisione e

la (deve) guida(re), venendo prima dell’adozione dell’atto

amministrativo, così come il precedente stabilito dalla stessa Autorità

amministrativa che deve, poi, essere seguito nei casi analoghi. Proprio per

non essere legato alla specifica e concreta fattispecie esaminata dal

giudice, il metro individuato può essere utilizzato in ogni altro giudizio,

assumendo il carattere della ripetitività come la norma giuridica53.

In definitiva, il giudice amministrativo ha rubricato sotto l’eccesso di

potere54 i criteri di giudizio che è venuto formando nella sua esperienza

53 E. FOLLIERI, Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità pura o amministrativa- le figure sintomatiche sono norme giuridiche, non sintomi, in www.giustamm.it. 54 F.G. SCOCA, I vizi formali nel sistema delle invalidità dei provvedimenti amministrativi in Vizi formali, procedimento e processo amministrativo a cura di V. PARISIO, Milano 2004, 56 e ss..

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46

giurisprudenziale per sindacare il potere discrezionale, in assenza di

specifica disciplina positiva, e che la dottrina ha definito figure

sintomatiche. La mancanza di disciplina positiva è indispensabile per

l’applicazione dei criteri elaborati dal giudice amministrativo e, infatti, in

presenza di potere vincolato, non sono invocabili le figure sintomatiche

per affermare l’illegittimità dell’atto impugnato, in base alla pacifica

giurisprudenza e dottrina. La qualificazione in termini di sintomi, dei

criteri elaborati dalla giurisprudenza per sindacare il potere discrezionale

della Pubblica amministrazione ha portato la dottrina sulla strada

obbligata di individuare dove fosse il vizio del provvedimento, non

essendo appagante la riconduzione sotto l’eccesso di potere. Infatti,

quest’ultimo rende manifesta la illegittimità che va riscontrata in uno

degli elementi del provvedimento amministrativo, in una logica dei vizi

riferita alla struttura dell’atto amministrativo, ovvero nel procedimento

amministrativo, in una logica funzionale dei vizi riferita all’azione

amministrativa55, nel suo insieme e nell’attuarsi del potere.

La giurisprudenza avrebbe, dunque, elaborato i criteri: partendo dal

diritto positivo e individuando la ratio e lo scopo della norma; applicando

principi generali dell’ordinamento (imparzialità); passando attraverso i

55 M. D'ORSOGNA, Il problema della nullità in diritto amministrativo, Milano 2004 in E, FOLLIERI, op. cit.

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principi di logica e coerenza che devono assistere ogni decisione, ivi

compresa quella dell’autorità amministrativa; ispirandosi a interessi che

l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela (affidamento e buona fede);

rivolgendosi a dati oggettivi (precedente comportamento della pubblica

amministrazione in casi analoghi) o oggettivabili (manifesta ingiustizia) e

così via. Vi sarebbe stato, cioè, un completamento o l’introduzione della

norma giuridica attraverso i meccanismi propri del giusformalismo o

seguendo una etero-integrazione, secondo una visione assiologia del

diritto. Un elemento che conferma questa impostazione è dato dal fatto

che spesso questi criteri elaborati dalla giurisprudenza vengono poi

recepiti dal legislatore e fissati in norme di legge56.

La circostanza che queste regole siano state elaborate con riferimento

a casi in cui esse erano state violate, ha fatto sì che esse venissero

enunciate in forma negativa (il-logicità, dis-parità di trattamento, in-

giustizia manifesta, difetto di istruttoria e così via). Le figure sintomatiche

dell’eccesso di potere costituiscono un’originale creazione del giudice

amministrativo italiano, che si presta molto bene a un controllo avente per

oggetto non direttamente la scelta, ma il modo in cui essa viene fatta: il

giudice non può sindacare nel merito la scelta dell’amministrazione, ma

56 E. FOLLIERI, Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità pura o amministrativa- le figure sintomatiche sono norme giuridiche, non sintomi, op. cit.

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può controllare che non si sia verificata nessuna di quelle circostanze che

normalmente sono indizi di cattivo esercizio del potere.

Queste figure, come di seguito descritte, esprimono diverse tecniche di

controllo sull’esercizio del potere amministrativo: si concentrano sul fine

perseguito con il provvedimento (così lo sviamento di potere), sul

processo di formazione della scelta in esso tradotta (il travisamento dei

fatti), sulla sua esternazione (le figure relative alla motivazione), sul

rapporto con altri provvedimenti (la disparità di trattamento) e così via.

Esse, ovviamente, non sono necessarie, né tipiche: l’eccesso di potere può

ben essere affermato indipendentemente dalla sussistenza di una di esse, e

nuove figure possono sempre essere elaborate57. Si tratta di figure

eterogenee e di diversa rilevanza pratica: mentre, per esempio, il

travisamento dei fatti e la contraddizione con precedenti provvedimenti

sono relativamente frequenti, la disparità di trattamento viene spesso

enunciata dalla giurisprudenza, ma quasi sempre per escluderla nel caso

concreto (per lo più, rilevando la diversità o l’illegittimità dell’atto

assunto come termine di paragone o la natura vincolata dell’atto

impugnato); relativamente raro è anche lo sviamento di potere, che

57 Che si risolve quindi in una violazione del principio di tipicità, come dimostrato dal fatto che a volte la giurisprudenza fa riferimento a questo principio per censurare il perseguimento di un fine diverso da quello per il quale è attribuito il potere: si veda per esempio Cons. di St., sez. IV, 1 febbraio 2000, n. 530, in Foro amm., 2000, p. 369.

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richiede la difficile dimostrazione del diverso fine perseguito con il

provvedimento58.

L’eterogeneità delle figure sintomatiche spiega la varietà di

classificazioni a cui sono soggette: vi è chi contrappone lo sviamento alle

figure sintomatiche, vedendo nelle seconde indizi o prove del primo; chi

esclude dalle figure sintomatiche anche altre forme di eccesso di potere,

come il travisamento dei fatti o la disparità di trattamento; chi vede in

esse una violazione del principio di giustizia sostanziale, del principio di

ragionevolezza o dei principi dell’organizzazione amministrativa; chi

distingue tra sintomi intrinseci all’atto, sintomi intrinseci al procedimento

e sintomi desumibili dal confronto con altri atti.

Ritengo che tutte le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, che

verranno analizzate nei successivi paragrafi, sono in realtà la “prova”

della illegittimità dell’atto per violazione del principio di ragionevolezza.

E’ stata oramai definitivamente superata la ricostruzione che riteneva che

l’accertamento della presenza della figura sintomatica fosse volta a 58 Per un’elencazione delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere si veda A. PAPPALARDO, L’eccesso di potere amministrativo secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in II Consiglio di Stato - Studi in occasione del centenario, 1932, voi. II, 429 ss., con ampia rassegna giurisprudenziale a riguardo; M. CAMILLI, Considerazioni sui sintomi dell’eccesso di potere, in Rass. dir. pubbl., 1965, 1038 ss.; l’uso dell’espressione “sintomi” o “figure sintomatiche” è presente già in F. CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1914, 1341 ss.; 0. RANELLETTI, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Giuffrè, 1934, 96 ss.; sul fenomeno della dequotazione della motivazione, in ragione del fatto che il giudice amministrativo individua e valuta le ragioni alla base del provvedimento anche attraverso altre strade (uso dei mezzi istruttori, motivazioni aliunde, ossia da altri atti del procedimento implicite, o per relationem, ecc.) cfr. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 260 ss., 317; F. MODUGNO e M. MANETTI, Eccesso di potere, cit., 3.

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50

dimostrare la devianza dalla causa tipica anche perché “il sindacato sul

fine effettivamente perseguito dall’autorità amministrativa non è agevole,

comporta una indagine sulle intenzione dell’agente” non consentita59.

Detto ciò, l’analisi casistica che segue è mirata a valutare, da un lato,

se il giudice amministrativo ritiene le singole figure dell’eccesso di

potere prova della illegittimità dell’atto per violazione del principio di

ragionevolezza, dall’altro e sopratutto, quale sia il ragionamento che il

giudice fa per pervenire a tale conclusione.

2. Le singole figure di eccesso di potere nella giurisprudenza.

2.1.Travisamento dei fatti ed errore di fatto. Ragionamento del

giudice di supporto al ragionamento dell’amministrazione.

Tale figura sintomatica ricorre, allorché la pubblica amministrazione

pone come presupposto del provvedimento una rappresentazione dei fatti

difforme da quella reale, cioè quando l’atto amministrativo sia stato

emanato dall’amministrazione sul presupposto dell’esistenza di fatti o di

circostanze che invece dagli atti risultano insussistenti oppure sul

59 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, 312.

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51

presupposto dell’inesistenza di fatti o di circostanze che invece dagli atti

emergono esistenti60.61

In dottrina è controversa la collocazione del travisamento dei fatti

nell’ambito delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere. Una parte

della dottrina ritiene, infatti, che il travisamento dei fatti debba essere

ricondotto alla violazione di legge in quanto l’amministrazione, quando

emana un provvedimento in assenza di circostanze di fatto erroneamente

ritenute esistenti, non fa altro che violare la norma di legge che subordina

l’esercizio del potere all’esistenza di quei presupposti.

In senso opposto si è, tuttavia, osservato che il travisamento dei fatti

potrebbe risolversi nella violazione di legge soltanto nell’ipotesi in cui

una norma contenga espressamente la dettagliata qualificazione della

situazione di fatto che costituisce la base del provvedimento

amministrativo e quest’ultimo qualifichi diversamente tale situazione; in

tutti gli altri casi – e sono la maggior parte – il travisamento dei fatti non

appare riconducibile alla violazione di legge, e concreta una di quelle

ipotesi di violazione dello spirito della legge in cui si sostanzia l’eccesso

di potere.

60 P.M. VIPIANI, Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e di merito, cause di nullità e di irregolarità, Cedam, 2003, 181. 61 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit., 313

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Dall’analisi della casistica giurisprudenza risulta che il giudice se

ritiene sussistente un errore di fatto o un travisamento dei fatti annulla il

provvedimento62 senza svolgere indagine suppletive volte a verificare se

ugualmente l’amministrazione ha perseguito l’interesse pubblico63.

In definitiva, di per sé non è detto che tale errore abbia portato ad un

provvedimento inidoneo a soddisfare il pubblico interesse; tuttavia, il

travisamento dei fatti è sintomo dell’illogicità dell’azione della pubblica

amministrazione e della malformazione della scelta discrezionale64.

Chiarito ciò, occorre stabilire se il giudice sovrappone al

ragionamento dell’amministrazione un proprio autonomo e diverso

ragionamento per giungere alla decisione di annullare o non annullare la

determinazione impugnata.

In via preliminare appare opportuno indicare gli elementi essenziali

della vicenda controversa esaminata da una recente decisione del

Consiglio di Stato, del 23 aprile 2012, n. 2376.

62 Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8918. 63 R. VILLATA-M. RAMAJOLI, op. cit., 467 64 Sul punto Cons. St., sez. IV, 31 dicembre 1906, in Foro it., 1907, 41; Cons. St., sez. IV, 8 giugno 1928, n. 385, in Foro amm., 1928, 242; Cons. St., sez. IV, 30 luglio 1931, n. 320, in Foro amm., 1931, 177; Cons. St., sez. IV, 1 maggio 1979, n. 312, in Foro amm., 1979, 891; Cons. reg. sic., 11 ottobre 1985, n. 155, in Cons. St., 1985, 1265; Cons. St., sez. IV, 28 maggio 1986, n. 375, in Foro amm., 1986, 739; T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 20 aprile 1990, n. 333, in Foro amm., 1990, 2432; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 18 maggio 1991, n. 191, in Foro amm., 1992, 130; T.A.R. Sardegna, 30 luglio 1993, n. 974, in Foro amm., 1994, 195.

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Con delibera della Commissione della Provincia di Bolzano di

vigilanza sull’edilizia abitativa agevolata dell’8 marzo 2002, è stata

revocata la concessione del contributo per mancata occupazione

continuativa dell’appartamento da parte del beneficiario

dell’agevolazione.

A fondamento della decisione sono stati addotti i seguenti “fatti”: a) nel

corso del sopralluogo del 12 settembre 1997 da parte di un funzionario

provinciale detto soggetto non è stato trovato nell’alloggio trovandosi «in

quello dei suoi genitori»; b) durante un secondo accertamento effettuato in

data 14 dicembre 2001 l’interessato non è stato ancora una volta trovato

nell’appartamento e un «vicino» ha confermato che lo stesso «non avrebbe

mai abitato nell’alloggio sovvenzionato»; c) il consumo di energia elettrica

sarebbe pari mediamente a 29 KWh all’anno e dunque «bassissimo anzi

quasi inesistente».

Il ricorrente ha addotto la illegittimità degli atti impugnati per le

seguenti ragioni.

In relazione al primo punto egli ha dedotto che non si sarebbe tenuto

conto che vive da solo e che «mangia fuori casa, in particolare presso il

proprio posto di lavoro (dove è cuoco)» e che le attività di lavaggio e

stiratura degli abiti vengono svolte dalla madre del ricorrente presso

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l’abitazione della madre stessa. Non gli si potrebbe, inoltre, imputare il suo

«atteggiamento parsimonioso».

In relazione al secondo aspetto, il ricorrente ha affermato che la

dichiarazione del vicino non sarebbe attendibile in quanto lo stesso «non ha

mai nascosto il proprio desiderio di acquistare l’abitazione» in esame.

In relazione al terzo punto, l’interessato rileva che il fatto che non era

stato trovato, durante il sopralluogo, nell’abitazione non ha rilievo in

quanto, con lettera del 3 giugno 1996, l’amministrazione provinciale aveva

comunicato che «entro tre anni dall’accoglimento di contributi l’abitazione

doveva essere occupata stabilmente ed effettivamente». Essendo la

domanda stata accolta in data 3 novembre 1995 il sopralluogo, avvenuto in

data 12 settembre 1997, non avrebbe potuto essere eseguito prima del 3

novembre 1998.

Il Tar e il Consiglio di Stato hanno ritenuto non fondati tutti i motivi.

Assume particolare interesse valutare il ragionamento fatto soprattutto

dal Consiglio di Stato per giungere tale decisione.

Questa la prima parte rilevante della motivazione.

«Le norme attributive del potere – artt. 62 e 65 della citata legge

provinciale n. 13 del 1998 – prevedono che l’agevolazione è revocata nel

caso in cui si accerti che il beneficiario «non occupi in modo stabile ed

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effettivo l’abitazione». La dimostrazione dell’elemento negativo (mancata

occupazione stabile ed effettiva dell’abitazione) implica, normalmente, il

ricorso, nell’ambito dell’istruttoria procedimentale, a presunzioni semplici

che consentano di desumere da fatti noti il fatto che si intende provare.

Il sindacato giurisdizionale, in casi come quello all’esame del Collegio,

presuppone, per evitare indebite ingerenze in ambiti propri

dell’amministrazione attiva, che l’appellante deduca la sussistenza di una o

più figure che sono sintomo di eccesso di potere, volte a dimostrare la

violazione del principio di ragionevolezza».

Chiarito ciò, si afferma che «con riferimento ai primi due motivi

l’appellante ha contrapposto alla versione dei fatti effettuata

dall’amministrazione la propria ricostruzione degli accadimenti, ma senza

dimostrare che l’amministrazione abbia assunto una determinazione in

contrasto con il principio di ragionevolezza».

Da questa motivazione risulta, in primo luogo, l’importanza delle figure

sintomatiche e, in particolare, dell’errore di fatto nel sindacato

giurisdizionale. Non è sufficiente che il ricorrente “critichi” la ricostruzione

effettuata dall’amministrazione proponendone una alternativa ma è

necessario che vengano adotti elementi concreti per fare ritenere che quella

determinazione sia irragionevole.

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Con riferimento al terzo motivo, il Consiglio di Stato afferma quanto

segue: «l’appellante ha, invece, indicato, come sintomo di eccesso di

potere, l’errore di fatto dell’amministrazione nell’avere ritenuto valutabili

gli esiti del primo sopralluogo. A tale proposito, deve, però, rilevarsi come,

contrariamente a quanto affermato dall’appellante, l’amministrazione

provinciale, con la lettera richiamata, non abbia comunicato che il

beneficiario aveva tre anni per occupare l’immobile ma che «entro tre anni

dall’approvazione della domanda, l’alloggio dovrà essere abitabile ed

occupato». Il che significa che l’amministrazione ha reso edotto il

beneficiario che entro tale termine, per evitare la decadenza del beneficio,

si sarebbero dovuti perfezionare i presupposti indicati. Una volta abitato ed

occupato l’immobile, diventava immediatamente operativo il «vincolo

sociale». Nella specie, ciò si è verificato il 29 aprile 1997 e dunque al

momento del primo sopralluogo del 12 settembre 1997 l’amministrazione

poteva accertare se egli rispettasse o meno il predetto vincolo».

Questo caso è singolare in quanto il giudice ha sovrapposto il proprio

ragionamento a quello dell’amministrazione per ritenere non fondato il

motivo. Più correttamente si dovrebbe ritenere che il giudice abbia

“completato” il ragionamento dell’amministrazione per ritenute destituito

di fondamento il ragionamento della parte.

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2.2. Violazione di circolari.

Altra figura sintomatica di eccesso di potere è rappresentata dalla

violazione di norme interne, soprattutto di circolari.

Affinché si configuri tale vizio è necessario, infatti, in primo luogo

che tra l’autorità che ha emanato la circolare e quella autrice dell’atto

sussista un rapporto di gerarchia che consenta alla prima di vincolare la

seconda. Inoltre, occorre che la circolare sia legittima: l’organo inferiore

non può infatti ritenersi vincolato all’errata interpretazione delle legge

compiuta nella circolare65. Infine, la dottrina è unanime nel ritenere che la

violazione di una circolare non dà luogo ad eccesso di potere quando

l’autorità inferiore indica le motivazioni che la inducono a non osservare

la circolare.

Bisogna altresì precisare che la violazione di circolari integra il vizio

dell’eccesso di potere e non quello di violazione di legge, poiché le norme

interne non hanno valore normativo; la pubblica amministrazione le

utilizza per fornire indicazioni in via generale e astratta su come dovranno

comportarsi in futuro i propri dipendenti e i propri uffici e su come

devono essere esercitate le scelte discrezionali. Se nel singolo caso

concreto il provvedimento amministrativo si discosta da una circolare,

65 Cons. St., sez. V, 20 luglio 2000, n. 4217, in www.giustizia-amministrativa.it. Sul punto P.M. VIPIANA, op. cit., 170.

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senza fornire una adeguata giustificazione circa tale di scostamento, allora

possiamo concludere che il potere discrezionale è stato male esercitato66.

Sul tema, la giurisprudenza67 ha rilevato come “il richiamo a circolari

di tenore opposto al contenuto della deliberazione assunta, non è utile a

motivare l’atto e, anzi, evidenzia la contraddittorietà delle determinazioni

inficiate di eccesso di potere ove non siano esternate le ragioni del

dissenso alle direttive trasfuse nelle circolari stesse”.

Assimilabile alla figura in esame è la violazione della prassi, che

consiste nel comportamento costantemente tenuto dalla pubblica

amministrazione nell’esercizio del potere.

Dalla giurisprudenza riportata emerge come il giudice amministrativo

annulla l’atto nel momento stesso in cui valuta che l’amministrazione ha

violato la circolare.

Per giungere a tale risultato il giudice amministrativo sostituisce il

proprio ragionamento a quello dell’amministrazione in maniera per così

dire “debole” nel senso che, una volta accertata l’esistenza di un’altra

circolare non presa in considerazione dall’amministrazione e dunque il

66 Sul punto Cons. St., sez. IV, 26 settembre 1911, in Giur. It., 1912, 108, con nota di F. CAMMEO, La violazione di circolare come vizio di eccesso di potere; T.A.R. Basilicata, 10 novembre 1978, n. 257, in Riv. giur. Circ. trasp., 1979, 671; T.A.R. Lazio, sez. III, 18 febbraio 1980, n. 164, in Foro amm., 1980, 477; Cons. St., sez. I, 23 maggio 1980, n. 3094/1974, in Cons. St., 1983, 360; Cons. St., sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5037, in Foro amm., 2001, 2322. 67 Cons. St., sez. V, 6 aprile 1991, n. 436, in Cons. Stato, 1991, I, 657.

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contrasto fra le due annulla l’atto individuale per eccesso di potere. Se,

però, l’amministrazione ha motivato il dissenso non vi è spazio per

l’annullamento per violazione di circolare ma al più potrebbe ricorrere

altra figura sintomatica.

2.3. Contraddittorietà.

La contraddittorietà, quale sintomo dell’eccesso di potere, sussiste

quando sia riscontrabile un contrasto fra più manifestazioni di volontà

della stessa pubblica amministrazione nell’esercizio del medesimo potere:

si tratterebbe di un indice di perplessità non risolte, di valutazioni tra loro

incompatibili, la cui diversità non risulta giustificabile in base al principio

della coerenza logica68 69.

In particolare, si distingue tra contraddittorietà estrinseca (o esterna)

consistente nella non congruità reciproca del contenuto di diversi atti

riguardanti un medesimo soggetto, e la contraddittorietà intrinseca (o

interna) sussistente fra le diverse parti del medesimo atto e, in particolare,

fra motivazione e dispositivo oppure fra il corpo del provvedimento e il

suo allegato.

68 R. GIOVAGNOLI, M. FRATINI, Le nuove regole dell’azione amministrativa al vaglio della giurisprudenza, Giuffrè, 2007, 193. 69 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit.

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In giurisprudenza, è stata recentemente annullata per contraddittorietà

estrinseca una determinazione comunale in tema di tutela del territorio.

Sebbene in prima battuta la Regione avesse vietato espressamente ad

una società di realizzare piste di cantiere ed imposto di ridurre al minimo

indispensabile il taglio di piante, successivamente alla stessa società

veniva rilasciata l’autorizzazione regionale, tra l’altro, anche per costruire

una pista di cantiere destinata a passare interamente proprio sui terreni dei

privati.

Il proprietario impugna il provvedimento regionale per eccesso di

potere sotto il profilo dell’evidente contraddittorietà con precedenti

determinazioni della stessa Amministrazione.

In sentenza, infatti, viene rilevato che “sussiste il vizio di eccesso di

potere per contraddittorietà in presenza di un provvedimento che presenti

contraddizioni o incongruenze rispetto a precedenti valutazioni della

stessa autorità emanante o di manifestazioni di volontà che si pongono in

contrasto fra di loro”70.

Il Collegio, pertanto, verificata contraddittorietà e l’assenza di

giustificazioni accoglie il ricorso e annulla il provvedimento.

70 T.A.R. Valle d’Aosta, Aosta, sez. I, 20 ottobre 2011, n. 69, in Foro amm. TAR 2011, 3035.

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In ordine alla contraddittorietà intrinseca, la giurisprudenza ne ha

ravvisato la sussistenza in tema di ordinanza sindacale di chiusura dei

locali.

Nella specie, il Consiglio di Stato71 ha evidenziato che “è illegittima

l’ordinanza sindacale di chiusura di un opificio sottoposta alla

condizione risolutiva dell’acquisizione delle prescritte autorizzazioni e

motivata, altresì, con riferimento al possibile inquinamento atmosferico,

tenuto conto e sotto un primo profilo che l’ordinanza affermava non un

deciso nesso di causalità ma una generica possibilità di emissioni

inquinanti, per altro aspetto della contraddittorietà della motivazione

posto che il rilascio delle anzidette autorizzazioni non spiegherebbe alcun

effetto, avuto riguardo all’ipotizzato inquinamento atmosferico (nella

specie si è ritenuto illegittimo l’anzidetto provvedimento reiterato pur a

seguito della presentazione della documentazione attestante

l’abbattimento dei rumori e del certificato di prevenzione incendi)”.

La giurisprudenza72 ha precisato che “non comporta illegittimità la

contraddittorietà fra motivazione e dispositivo dell’atto impugnato, in

specie in quanto si tratti al più di un errore materiale insuscettibile di

inficiare l’atto impugnato laddove lo stesso, letto nel suo insieme, non

71 Cons. St., sez. V, 8 settembre 1992, n. 763, in Foro amm. 1992, fasc. 9. 72 T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 20 gennaio 2006, n. 40, in Foro amm. TAR, 2006, 1, 92.

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lasci adito a dubbi circa la riconducibilità del diniego all’incompatibilità

della destinazione commerciale con le prescrizioni del piano

particolareggiato ed al parere negativo espresso sul punto dall’organo

consultivo”.

La contraddittorietà esterna va distinta dalla disparità di trattamento in

quanto in quest’ultimo caso il contrasto insanabile sussiste fra atti

riguardanti persone diverse e non la stessa persona.

La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato diversi casi in cui la

figura sintomatica della contraddittorietà non è configurabile.

Anzitutto, si è sostenuto che il vizio di eccesso di potere per

contraddittorietà potrebbe configurarsi solo fra due manifestazioni di

volontà o di giudizio della P.A. e non fra un provvedimento ed un mero

comportamento omissivo.

Ugualmente, il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà non può

configurarsi fra l’atto espressione di autotutela (quale l’atto di

annullamento e l’atto di revoca) e l’atto su cui tale potere viene esercitato

(quale l’atto annullato e l’atto revocato).

Ancora, si è escluso che la contraddittorietà possa aversi tra un atto

ispettivo e un atto contenente valutazioni discrezionali oppure fra

provvedimenti emananti da autorità diverse nell’esercizio di poteri

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differenti o, infine, tra le singole manifestazioni di voto dei componenti di

un organo collegiale73.

Dalla casistica riportata risulta che il giudice amministrativo annulla il

provvedimento quando ricorre la figura sintomatica dell’eccesso di potere

in esame e, per giungere a tale conclusione, opera una sorta di

sostituzione forte del suo ragionamento a quello dell’amministrazione.

Il giudice, infatti, svolge una valutazione ampia del fatto alla ricerca

del complessivo percorso argomentativo svolta dall’amministrazione

stessa. Tale valutazione ampia, è bene aggiungere, non è svolta per

valutare se quell’atto persegue ugualmente l’interesse pubblico ma per

valutare se quell’atto è effettivamente in contrasto con il principio di

ragionevolezza.

2.4. Disparità di trattamento.

La figura sintomatica di eccesso di potere per disparità di trattamento

ricorre in caso di trattamento diverso di due o più soggetti in situazione

identica o analoga ed in caso di trattamento uguale di due o più soggetti in 73 Sul punto Cons. St., sez. IV, 17 novembre 1981, n. 881, in Foro amm., 1981, 2287; Cons. St, sez. V, 21 maggio 1981, n. 428, in Foro amm., 1982, 1023; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 marzo 1984, in Foro amm., 1984, 1229; T.A.R. Veneto, 10 maggio 1985, n. 340 in Foro amm., 1985, 2282; T.A.R. Piemonte, sez. II, 10 ottobre 1985, n. 429, in Tar, 1985, 4143; Cons. St., sez. V, 6 aprile 1991, n. 436, in Foro amm., 1991, 1069; C. Conti, sez. contr. Reg. Lazio, 28 ottobre1992, n. 1070/1, in Riv. C. Conti, 1993, 42; Cons. St., sez. V, 18 marzo 1989, n. 166, in Foro amm., 1989, 593; Cons. St., sez. V, 9 aprile 1994, n. 271, in Cons. St., 1994, 567; Cons. St., sez. V, 8 settembre 1992, n. 763, in Foro amm., 1992, 1903.

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situazione differenziata74. Ovviamente tale figura sintomatica ricorre solo

laddove la disparità riguardi scelte discrezionali e non l’osservanza o

meno di un precetto legislativo.

La giurisprudenza, peraltro, è molto rigida nell’ammettere la

configurazione in concreto della figura della disparità di trattamento

richiedendo, a tal fine, la presenza dei seguenti presupposti:

- l’identità delle situazioni in cui versano i soggetti fra i quali la

diversità si verifica;

- l’esercizio da parte della P.A., di un potere discrezionale: in caso di

potere vincolato, in disparte la dibattuta questione della ammissibilità, in

via generale del vizio di eccesso di potere, la disparità di trattamento è

comunque esclusa, poiché il diverso trattamento non dipende da una

scelta discrezionale della P.A., ma da un differente regime normativo;

- l’emanazione di un atto amministrativo di carattere discriminatorio,

cioè di un provvedimento che tratta alcuni soggetti in modo divergente

senza che tale divergenza risulti giustificata;

- l’esistenza di un “interdipendenza valutativa” nei confronti dei

soggetti fra i quali opera la disparità di trattamento da parte

dell’Amministrazione75;

74 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit.

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- la legittimità ed esattezza degli atti, riguardante altre persone, con i

quali la comparazione viene effettuata.

La disparità di trattamento, in altri termini, non è configurabile in capo

ad un atto amministrativo che legittimamente neghi ad alcuni un

trattamento favorevole che era stato erroneamente, o comunque

illegittimamente, accordato ad altri, in quanto chi legittimamente è stato

escluso da un beneficio non potrebbe invocare l’illegittimità commessa a

favore di altri per ottenere che essa venga compiuta anche in proprio

favore76.

La figura sintomatica in analisi ha trovato recentemente riscontro

proprio in tema di concorsi pubblici.

In una peculiare fattispecie, vengono impugnati la graduatoria

definitiva, i verbali della commissione ed ogni altro atto della procedura,

lamentando che l’Amministrazione aveva assegnato illegittimamente al

personale assunto ai sensi della l. n. 285 del 1977 (legge sull’occupazione

giovanile) un punteggio complessivo superiore, riconoscendo utile il

75 Ad esempio, con riferimento ad un giudizio di idoneità per professore associato, si sono ritenuti insussistenti profili di interdipendenza valutativa nei confronti dei candidati e si è quindi esclusa la figura sintomatica della disparità di trattamento. Sul punto, T.A.R. Lazio, sez. I, 16 febbraio 1994, n. 238, in Tar, 1994, 977. 76 Sul punto, Cons. St., sez. V, 4 giugno 1927, n. 314, in Foro amm., 1927, 262; Cons. St., sez. IV, 7 giugno 1961, n. 504, in Foro amm., 1961, 1296; Cons. reg. sic., 14 marzo 1964, n. 98, in Foro amm., 1964, 411; Cons. St., sez. IV, 13 aprile 1992, n. 256, in Giur. It., 1993, 262, T.A.R. Valle d’Aosta, 20 maggio 1994, n. 65, in Foro amm., 1994, 1842.

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servizio prestato antecedentemente all’inquadramento nei ruoli

dell’Amministrazione ex l. n. 138/1984.

In sentenza viene evidenziato che “il Comune ha immotivatamente

valutato per intero il servizio precedente l’immissione in ruolo prestato

dai dipendenti assunti ex l. n. 285 del 1977, creando ingiustificata

disparità di trattamento con i ricorrenti che hanno visto aumentare lo

scarto per l’attribuzione del livello differenziato”77.

Verificata in concreto l’oggettiva disparità di trattamento e la mancata

giustificazione di una scelta in tal senso da parte della P.A., il Consiglio

di Stato annulla gli atti impugnati per eccesso di potere.

Anche in questi casi la sostituzione del ragionamento del giudice a

quello dell’amministrazione è forte in quanto il giudice prende in esame

la complessiva attività dell’amministrazione ovvero altri elementi per

giungere alla conclusione che vi è stata una violazione del principio di

uguaglianza.

2.5. Difetto d’istruttoria.

Tale figura sintomatica ricorre quando la pubblica amministrazione

perviene alla decisione senza aver posto in essere un’istruttoria completa,

77 Cons. St., sez. V, 2 febbraio 2012, n. 562.

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cioè quando non ha verificato puntualmente tutti gli elementi della

fattispecie concreta alla quale deve provvedere o quando non ha acquisito

al procedimento tutti gli interessi rilevanti.

Il difetto di istruttoria costituisce quindi diretta conseguenza

dell’obbligo dell’Amministrazione di accertare in modo completo la

situazione fattuale in relazione alla quale la scelta discrezionale è

richiesta78, di acquisire al procedimento tutti gli interessi rilevanti e di

valutare, altresì, tutte le soluzioni praticabili79.

Anche in tal caso non è detto che la carenza istruttoria abbia portato ad

un provvedimento inidoneo a soddisfare il pubblico interesse; tuttavia, la

discrezionalità è stata male esercitata, giacché mancano gli elementi

necessari per una decisione consapevole.

Tale figura sintomatica di eccesso di potere ricorre sia quando

l’istruttoria sia mancata del tutto (come accade, ad esempio, quanto

l’amministrazione si limita a richiamare le circostanze addotte nell’atto di

iniziativa del privato oppure nell’atto di altre autorità), sia quando

l’istruttoria si sia verificata ma presenti gravi vizi (ad esempio, perché

poco approfondita o incompleta).

78 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit. 79 F. CARINGELLA, op. cit., 1426.

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Ad esempio, l’amministrazione potrebbe adottare il provvedimento

senza valutare talune conseguenze (si pensi alla delibera con cui un

comune approvi una convenzione con l’azienda municipalizzata della

nettezza urbana che preveda un sensibile aumento dello stoccaggio di

rifiuti in una discarica comunale senza preventivamente valutare se tale

aumento comporti o meno rischi dal punto di vista statico)80.

Parte della dottrina sostiene che il difetto di istruttoria, dopo l’entrata

in vigore della l. 7 agosto 1990 n. 241, comporta la configurabilità del

vizio di violazione di legge, dal momento che la detta normativa ha

espressamente previsto l’onere per la pubblica amministrazione di porre

in essere un’adeguata istruttoria procedimentale. La mancanza o

l’inadeguatezza dell’istruttoria comporta, allora, l’insorgenza del vizio di

violazione di legge e non di eccesso di potere.

La giurisprudenza ha rinvenuto la figura sintomatica in esame, tra

l’altro, in tema di giudizi di idoneità all’impiego espressi da commissioni

mediche.

Nella specie, il Consiglio di Stato81 ha evidenziato che “la valutazione

tecnico-discrezionale - quando si tratta conduce all’esclusione di un

80 L’esempio è tratto da P.M. VIPIANA, op. cit., 192. In giurisprudenza cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 14 agosto 1991, in Foro amm., 1992, 1147. 81 Cons. St., sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 702, in Foro amm. CDS, 2011, 269.

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candidato da un concorso - è di per sé insindacabile quando si sia basata

su una adeguata istruttoria e su una motivazione che abbia esplicitato le

ragioni per le quali non siano ravvisabili i presupposti per la relativa

partecipazione: se vi è una inadeguata valutazione delle circostanze,

sono ravvisabili profili di eccesso di potere”.

In particolare, la Commissione non aveva verificato se, in concreto, il

lieve scostamento dei valori riscontrati dalle analisi rispetto ai parametri

di riferimento, sulla base delle previsioni del bando, comportava

un’apprezzabile ripercussione tale da incidere sulla qualità della vita

quotidiana ovvero sulle attività che sarebbero state svolte nel caso di

superamento del concorso per la nomina ad allievo della polizia di Stato.

In conclusione, il Collegio, ravvisato nel complesso degli atti di causa

il difetto d’istruttoria, ha annullato il provvedimento impugnato e, non

potendosi sostituire alla P.A. nella valutazione tecnica discrezionale

adottata, ha statuito che sia l’Amministrazione, ora per allora, a verificare

motivatamente se il ricorrente risulti in possesso dei requisiti prescritti.

Anche in tema di controllo statale sull’autorizzazione paesaggistica si

riscontrano ipotesi di annullamento per difetto di istruttoria.

In particolare, in una fattispecie la Soprintendenza ha annullato il

provvedimento comunale poiché adottato senza previa attività istruttoria

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che consentisse di verificare la rispondenza tra quanto preesistente e

quanto proposto in progetto82.

L’impossibilità di rinvenire la giustificazione dell’autorizzazione

rilasciata e l’assenza di alcun riferimento all’attività istruttoria compiuta

rendono legittimo l’annullamento per eccesso di potere sotto il profilo

dell’assenza d’istruttoria.

Da quanto esposto risulta che il giudice per ritenere che sussista questa

figura sintomatica deve necessariamente sovrapporre la propria

ricostruzione dei fatti a quelli dell’amministrazione. Per stabilire, infatti,

che l’istruttoria sia, ad esempio, inadeguata deve necessariamente mettere

in rilievo alcuni aspetti rilevanti della vicenda amministrativa che

l’amministrazione non ha considerato.

2.6. Difetto di motivazione.

Una delle figure sintomatiche storiche elaborate dalla giurisprudenza è

senz’altro il difetto di motivazione83.

Nel caso in cui la motivazione manchi del tutto, si pone un problema

di coordinamento tra il vizio di eccesso di potere e quello di violazione di

legge. Il problema si poneva già prima della L. n. 241 del 1990 in quelle

82 Cons. St., sez. VI, 10 gennaio 2011, n. 50. 83 T. ALIBRANDI, Lineamenti attuali dell’eccesso si potere, in Impr. Amb. Pubb. Amm., 1975, 164.

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fattispecie in cui una puntuale disposizione normativa richiedeva, per un

determinato atto, l’obbligo di motivazione. Con l’avvento della l. 7 agosto

1990 n. 241, all’art. 3 della si è previsto, per la prima volta nella

legislazione italiana, l’obbligo generalizzato di motivazione degli atti

amministrativi nonché l’obbligo per la pubblica amministrazione di

fornire al destinatario anche gli atti, da cui risulti l’eventuale motivazione

per relationem (ossia desumibile da un atto diverso da quello

considerato). Inoltre, l’art. 3 della suddetta legge prevede anche che la

motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto

generale84.

L’obbligo di motivazione è stato introdotto, in linea di principio, per

ogni provvedimento amministrativo e, dunque, anche per gli atti

vincolati; per questi ultimi non vi è spazio per la rappresentazione

dell’iter logico seguito dalla pubblica amministrazione, essendo

sufficiente l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche

(cioè le norme applicate). Appare perciò naturale, in caso di mancanza di

motivazione, ricondurre il vizio riscontrato all’ambito della violazione di

legge.

84 P.M. VIPIANA, op. cit., 181.

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Anche per quanto riguarda i provvedimenti discrezionali, risulta di

immediata evidenza il fatto che la mancanza della motivazione comporta

oggi l’insorgenza del vizio di violazione di legge e non di quello

dell’eccesso di potere, come avveniva in passato; si è osservato che,

sussistendo un obbligo specifico e generalizzato di motivazione degli atti

della pubblica amministrazione, la mancanza della motivazione

costituisse vizio consistente nell’inosservanza di una norma giuridica e,

quindi, vizio di violazione di legge.

Quella appena prospettata appare, però, ipotesi alquanto astratta e

remota, essendo difficile che la pubblica amministrazione ponga in essere

un provvedimento discrezionale, senza esprimere, neppure in minima

misura, le considerazioni che l’hanno indotta ad assumerlo e dovrebbero

giustificarlo; più che di assenza della motivazione si deve parlare di

inadeguatezza della motivazione da valutarsi in termini di eccesso di

potere. Di contro, c’è chi afferma che una motivazione inadeguata

equivale ad una motivazione inesistente, con conseguente configurabilità

del vizio di violazione di legge.

Va peraltro rilevato che la stessa l. 7 agosto 1990 n. 241 non ha posto

un preciso parametro della motivazione sufficiente, alla stregua del quale

il giudice possa verificare il rispetto dell’obbligo di motivazione. Ed è

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proprio tale constatazione a condurre la giurisprudenza ad affermare che

la sufficienza della motivazione non va valutata in astratto, ma con

riferimento alla natura dell’atto ed alla corrispondenza tra la

determinazione assunta dalla pubblica amministrazione e le acquisizioni

istruttorie avvenute85.

Se si tiene conto di tutto ciò, si arriva alla conclusione che

l’apprezzamento di sufficienza della motivazione è largamente

condizionato dal convincimento che il giudice si forma riguardo la

rispondenza dell’atto alle sue finalità istituzionali e la ragionevolezza

dell’azione amministrativa. In tale prospettiva, dunque, il controllo

giurisdizionale sulla sufficienza della motivazione appare ancora svolto,

pur dopo l’entrata in vigore della l. 7 agosto 1990 n. 241, come sindacato

su un sintomo di eccesso di potere non diversamente da quanto avveniva

prima dell’entrata in vigore della suddetta legge.

Gli esempi giurisprudenziali ricorrenti in tema sono molteplici.

Prendiamo in esame il controllo statale di legittimità sui nulla-osta

paesaggistici.

85 Sul punto, Cons. St., sez. IV, 30 aprile 1994, n. 652, in Cons. St., 1994, 633; Cons. St., sez. IV, 30 novembre 1995, n. 1356, 1995, 1592; Cons. St., sez. V, 20 luglio 2000, n. 4217, in Cons. St., 2000, 1813; Cons. St., sez. VI, 29 ottobre 1999, n. 1639, in Cons. St., 1999, 1742.

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Si evidenzia, tra gli altri casi, l’ipotesi di annullamento

soprintendentizio per difetto di motivazione dell’autorizzazione comunale

alla realizzazione di un piano di lottizzazione convenzionata.

Nella fattispecie, il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa86

ha ritenuto che l’atto comunale fosse privo di qualsiasi motivazione e,

dunque, meritevole di annullamento, poiché “l’autorizzazione

paesaggistica deve consentire una compiuta valutazione circa

l’insussistenza di qualsiasi vizio di eccesso di potere, sotto il profilo della

completezza dell’istruttoria e del ponderato bilanciamento degli interessi

tutelati, sicché va annullata l’autorizzazione priva di qualsiasi

motivazione”.

Nella specie, dunque, verificata l’impossibilità di rinvenire la

giustificazione della scelta sia nel provvedimento comunale che in tutti gli

altri atti istruttori, il Collegio ha ritenuto legittimo l’annullamento da

parte della Soprintendenza per eccesso di potere sotto la figura del difetto

di motivazione.

Sempre in tema di nulla-osta paesaggistico, la giurisprudenza87 ha

affermato che è legittimo l’annullamento “qualora l’autorità che ha

emesso il nulla osta o il parere non abbia esternato una motivazione

86 Cons. St., sez. VI, 30 agosto 2011, n. 4854, in Foro amm. CdS 2011, 2587. 87 Cons. St., sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4103, in Foro amm. CdS 2011, 2498.

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congrua dalla quale evincere le ragioni che la inducevano a concludere

per la compatibilità dei manufatti realizzati con il vincolo paesaggistico”.

L’accertamento di questa figura sintomatica ripropone, peraltro,

l’annosa questione della sindacabilità delle valutazioni tecnico-

discrezionali della P.A., che ricorre, come è noto, nei casi in cui la P.A.

per accertare i fatti deve utilizzare regole tecniche di varia natura (medica,

scientifica ecc.) che si caratterizzano per la loro opinabilità, su cui ci

soffermeremo oltre.

Da quanto esposto risulta anche in questo caso come, per stabilire che

la motivazione sia inadeguata, è necessario che il giudice valorizzi alcuni

aspetti della vicenda amministrativa che l’amministrazione non ha preso

in esame.

2.7. Mancata fissazione di autolimiti o relativa inosservanza.

Gli “autolimiti” sono quei vincoli che l’Amministrazione impone a se

stessa, circoscrivendo, in tal modo, il proprio potere discrezionale.

In un numero sempre crescente di casi, la giurisprudenza

amministrativa riconosce in capo alla P.A. un obbligo di prefissarsi

autolimiti al fine di assicurare la parità di trattamento, nonché la

trasparenza dell’azione amministrativa e l’effettività della tutela

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giurisdizionale (si pensi ai criteri di valutazione nei concorsi e nelle gare

di appalto).

In altri casi, è lo stesso legislatore a prescrivere l’obbligo della P.A. di

auto-vincolare il proprio potere discrezionale.

Orbene, è stato merito della migliore dottrina evidenziare che la

mancata fissazione degli autolimiti, laddove questa è necessaria,

determina l’illegittimità dell’azione amministrativa: precisamente tale

omissione determina il vizio di violazione di legge in capo all’attività

amministrativa qualora è una norma a prescrivere il relativo obbligo;

mentre, in assenza di una norma ad hoc, il vizio configurabile è quello di

eccesso di potere88.

Si tratta di una figura sintomatica che si colloca a metà strada tra la

disparità di trattamento e la contraddittorietà. Va, peraltro, evidenziato

che la predeterminazione dei criteri è molto rilevante, come evidenziato

dalla giurisprudenza amministrativa, anche ai fini dell’ammissibilità del

punteggio numerico in luogo della motivazione nell’ambito delle

procedure concorsuali.

Recentemente, infatti, il Consiglio di Stato, intervenendo sulla

dibattuta questione relativa ai rapporti tra obbligo di motivazione e voto

88 P.M. VIPIANA, L’autolimite della pubblica amministrazione. L’attività amministrativa fra coerenza e flessibilità, Milano, 1990, 220.

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numerico, ha sposato una tesi intermedia la quale, pur considerando

sufficiente l’espressione numerica del voto, ritiene altresì necessario che

vi sia una rigorosa predisposizione dei criteri di massima per

l’attribuzione dei punteggi e per la valutazione dei titoli e che la

valutazione espressa abbia fondamento in un giudizio numerico basato su

regole tecniche riflettenti tali giudizi89.

La figura in esame ha trovato ampio spazio in tema di correzione degli

elaborati concorsuali senza previa fissazione dei criteri da parte della

commissione esaminatrice.

In uno specifico caso, sono stati impugnati gli atti della procedura

concorsuale lamentando che la Commissione si sarebbe limitata

esclusivamente a individuare quattro differenti capacità oggetto di

valutazione (capacità di orientamento sull’argomento trattato, capacità

espositiva, capacità di sintesi, livello di approfondimento) prevedendo,

per ciascuna di esse, cinque diversi giudizi (ottimo, elevato, buono,

discreto, sufficiente) cui far corrispondere cinque diversi punteggi

numerici, senza peraltro circoscrivere gli ambiti di ciascuna capacità da

valutare né i criteri in base ai quali assegnare i relativi giudizi.

89 Cons. St., sez. IV, 30 aprile 2003, n. 2331, in www.giurisprudenza-amministrativa.it.

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78

La sentenza, dunque, evidenzia l’illegittimità dell’operato della

Commissione, la quale procedeva alla valutazione degli elaborati dei

candidati senza previa precisa determinazione delle singole capacità da

valutare e delle modalità della assegnazione dei giudizi, enunciati ma non

esplicitati nel loro contenuto e significato, con conseguente illegittimità

dell’intera procedura concorsuale e della graduatoria finale della

medesima.

Di conseguenza, “le valutazioni compiute dalla Commissione in

ordine ai vari profili oggetto di esame nelle prove dei candidati, espresse

dal semplice voto numerico, non consente di risalire al percorso logico-

argomentativo seguito dagli esaminatori per formulare il giudizio

espresso dal voto, come pure non è possibile individuare compiutamente

l’area delle singole competenze oggetto di valutazione, per mancanza di

individuazione della medesima da parte della stessa Commissione”90.

Una volta stabiliti gli autolimiti, un’altra figura sintomatica di eccesso

di potere consiste nella violazione degli stessi.

Sul punto la giurisprudenza è giunta a posizioni consolidate

affermando, in più occasioni che, una volta che l’amministrazione ha

autodisciplinato l’esercizio dei propri poteri discrezionali, essa è tenuta ad

90 T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 19 gennaio 2010, n. 452.

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osservare le regole che si è data, le quali assumono carattere vincolante.

Quanto alla qualificazione del vizio discendente dalla violazione in

esame, deve ritenersi che l’inosservanza dell’auto-limite rileva quale

figura sintomatica di eccesso di potere, tranne l’ipotesi in cui il parametro

sia fissato dall’Amministrazione in un atto avente natura regolamentare,

nel qual caso sarebbe più appropriato, secondo alcuni, parlare di

violazione di legge91.

La figura in questione è stata rinvenuta sempre in tema di procedure

concorsuali.

In una particolare ipotesi venivano impugnati gli atti della procedura

di progressione verticale riservata ai dipendenti appartenenti all’area B

per l’accesso alla posizione economica iniziale dell’area C in quanto

l’Amministrazione, senza previamente agire in autotutela, disapplicava

una clausola del bando di gara.

Nella specie, il Consiglio di Stato92 ha evidenziato che “neppure

l’eventuale difficoltà nella formazione di una graduatoria (come

conseguenza dei vincoli autoimposti in sede di fissazione della lex

specialis) potrebbe legittimare l’amministrazione a disattenderne le

prescrizioni, in quanto l’intangibilità delle previsioni del bando di

91 Cons. St., sez. V, 12 giugno 1997, n. 626, in Foro amm., 1997, 1661. 92 Cons. St., sez. VI, 27 aprile 2011, n. 2489, in Foro amm. CdS, 2011, 4, 1342.

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80

selezione è posta a garanzia della trasparenza dell’azione amministrativa

e della par condicio tra i concorrenti”.

Infatti, era già stato affermato93 che “allorquando l’Amministrazione

nello scegliere il contraente mediante trattativa privata si autolimiti,

prevedendo modalità di presentazione delle offerte tali da far ritenere che

il contraente sarebbe stato individuato attraverso la loro valutazione, i

vari partecipanti sono legittimati ad adire il giudice amministrativo in

caso di violazione di tali modalità o, più in generale, dei principi

d’imparzialità, correttezza e logica”.

Anche per tale figura sintomatica il Giudice annulla il provvedimento

quando verifica la violazione dell’autolimite posto dalla stessa

amministrazione.

In questo caso, però, la sostituzione del giudice all’amministrazione

nell’effettuazione del ragionamento è debole e non forte: il giudice infatti

si limita a prendere atto dell’autovincolo imposto dalla stessa

amministrazione e annulla, per queste ragioni, il provvedimento

amministrativo.

2.8. Ingiustizia grave e manifesta.

93 T.A.R. Lazio, sez. I, 11 maggio 1999, n. 1025.

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81

La figura sintomatica dell’ingiustizia manifesta discende dalla

“violazione di criteri di equilibrata e ragionevole proporzione nella scelta

degli interessi secondo la correlazione tra questi espressi dalle norme

primarie”94.

Essa si differenzia dalla disparità di trattamento in quanto, mentre

quest’ultima si fonda sull’uguaglianza e sull’imparzialità e comporta che

più soggetti siano trattati in modo discriminatorio da una pubblica

amministrazione, l’ingiustizia manifesta costituisce violazione soprattutto

del principio di equità ed è configurabile nei confronti di un solo

soggetto, senza che venga in gioco il confronto con la posizione di altri

soggetti.

Tuttavia, la giurisprudenza95 sembra sovrapporre le due figure,

ritenendo che “la figura sintomatica dell’eccesso di potere consistente

nell’ingiustizia manifesta (similarmente alla disparità di trattamento)

richiede che situazioni identiche siano disciplinate in modo

ingiustificatamente diverso”.

La figura in esame è stata rinvenuta, tra l’altro, in ipotesi di

avanzamento di carriera degli appartenenti ai ruoli della Guardia di

Finanza.

94 F. CARINGELLA, op. cit., 1428. 95 T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 21 giugno 2007, n. 5645, in Foro amm. TAR, 2007, 2084.

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82

In particolare, in una fattispecie, il ricorrente è stato preso in esame

per l’avanzamento a scelta al grado di Generale di Brigata della G.d.F. e,

pur essendo giudicato idoneo alla promozione, non è stato iscritto in

quadro in quanto collocato in posizione non utile nella graduatoria di

merito.

In tale giudizio il privato è stato superato da alcuni concorrenti che

ricoprivano la carica di colonnello e che, fino ai precedenti giudizi, si

erano collocati sempre in posizione successiva alla sua. Ritenendo di

essere stato leso da una valutazione non equa ed illegittima, l’interessato

ha impugnato gli atti con i quali non ha conseguito la promozione,

lamentando l’assoluta inadeguatezza del punteggio assegnatogli tenuto

conto degli ottimi precedenti di carriera.

Il Collegio investito della questione96 ha evidenziato che sono viziati

gli atti dai quali “emergano evidenti ed univoci sintomi di eccesso di

potere per ingiustizia manifesta, come nel caso in cui la documentazione

caratteristica del ricorrente mostri immediatamente un livello così

macroscopicamente ottimale di precedenti di carriera dell’ufficiale

scrutinato, da palesare l’assoluta inadeguatezza del punteggio

assegnatogli”.

96 T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 8 aprile 2009, n. 3717, in Foro amm. TAR 2009, 4, 1121.

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83

Rilevata la presenza del vizio e l’impossibilità di giustificare una tale

scelta compiuta dalla P.A., il Tribunale Amministrativo Regionale ha

annullato gli atti impugnati per ingiustizia manifesta.

Tale figura sintomatica va ad inficiare, quindi, la validità di quegli atti

che, sebbene non discriminatori – perché non contrastanti con atti opposti

emessi nei confronti di soggetti che si trovavano nella stessa situazione –

sono, tuttavia, espressione di grave iniquità.

Questa figura sintomatica è quella, unitamente alla figura di cui al

successivo paragrafo, in cui è maggiormente evidente l’autonomia del

percorso che segue il giudice per sostituirsi all’amministrazione. Quelli

che il giudice valuta sono, infatti, elementi che l’amministrazione non

aveva in nessun modo preso in esame.

2.9. Illogicità manifesta.

Tale figura consiste nel contrasto logico insanabile sussistente in un

atto amministrativo. Si è ritenuto, in particolare, che una scelta

amministrativa può definirsi illogica quando, con riferimento alla

concreta situazione di fatto, non sarebbe ragionevole presupporla in

nessun caso, mentre sarebbe legittima la scelta che, sebbene opinabile nel

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84

merito, costituisca un risultato altrettanto ragionevole della scelta del

contenuto opposto.

È stato, peraltro, precisato che costituisce eccesso di potere non

qualsiasi vizio logico, ma soltanto il vizio logico che comporti un

risultato non corrispondente alla funzione per il conseguimento della

quale il potere è stato attribuito all’autorità amministrativa.

Esempio emblematico di illogicità si rinviene nella scelta dei criteri

selettivi adottati in sede di concorsi pubblici.

Nello specifico, la giurisprudenza97 ha rappresentato che “la residenza

non è mezzo rappresentativo di particolari doti professionali o attitudini

acquisite valutabili in un pubblico concorso, che è preordinato alla scelta

del candidato più qualificato; è perciò illegittimo il criterio di massima

che attribuisca un punteggio collegato alla residenza del candidato in un

determinato comune”.

Anche in presenza della figura sintomatica in questione, dunque, la

giurisprudenza giunge alla conclusione della illegittimità dell’atto. Per

giungere ancora una volta a questa conclusione il giudice valuta il

contesto complessivo dell’azione amministrativa con un livello di

97 Cons. St. sez. V, 23 giugno 1984, n. 491, in Cons. Stato 1984, I, 814.

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85

sostituzione del suo ragionamento a quello dell’amministrazione analogo

a quello considerato al precedente paragrafo.

2.10. Violazione del principio di proporzionalità.

Coerentemente con la giurisprudenza, la dottrina ha sottolineato, in

questo modo, l’influsso della giurisprudenza e della legislazione

comunitaria, secondo le quali la pubblica amministrazione deve

conseguire lo scopo prefissato con il minor sacrificio degli altri interessi

confliggenti e rispettando i canoni di idoneità, di necessarietà e di

adeguatezza dell’azione amministrativa.

Non rappresenta, in realtà, una figura nuova, ma si sovrappone in

parte al criterio della ragionevolezza, nonché ad altri casi sintomatici

dell’eccesso di potere.

La giurisprudenza si è cimentata con la figura in esame, in particolare,

in tema di sanzioni disciplinari.

Un provvedimento di destituzione dal servizio viene annullato perchè

ritenuto sproporzionato rispetto all’isolato e lieve illecito compiuto dal

ricorrente98.

98 Cons. St., sez. IV, 16 ottobre 2009, n. 6353.

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86

Infatti, per qualsiasi dipendente, un isolato comportamento illecito può

giustificare la misura disciplinare estintiva del rapporto di lavoro quando

si possa ragionevolmente riconoscere che i fatti commessi siano talmente

gravi da manifestare l’assenza delle doti morali, necessarie per la

prosecuzione dell’attività lavorativa. Inoltre, per il principio della

graduazione delle sanzioni e tenuto conto delle regole riguardanti la

recidiva, l’Amministrazione non può considerare automaticamente

giustificata l’estinzione del rapporto di lavoro per il solo fatto che il

dipendente abbia commesso per la prima volta un reato doloso.

Dunque, l’estrema sanzione irrogata viene ritenuta illegittima in

quanto sproporzionata rispetto all’illecito compiuto.

Analogamente, “è stato annullato, perché manifestamente anomalo e

sproporzionato in relazione ai fatti accertati, il provvedimento

disciplinare della destituzione adottato nei confronti di un dipendente,

che non aveva mai subito procedenti disciplinari e dalla carriera priva di

episodi censurabili”99. Anche per tale figura sintomatica, il Giudice

Amministrativo, rilevata la mancanza di proporzionalità, ricerca dal

complesso degli atti di causa una giustificazione alla decisione adottata

dalla P.A. e, solo in sua assenza, provvede all’annullamento.

99 T.A.R. Abruzzo, Pescara, 22 giugno 2002, n. 560, in Foro amm. TAR, 2002, 2126.

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87

Questa figura, rispetto alle altre, si colloca in una posizione peculiare

in quanto ha una valenza generale che è il risultato della stessa evoluzione

subita dall’interesse legittimo. Una volta che a tale interesse è stata

riconosciuta valenza sostanziale la violazione della norma che lo

contempla unitamente all’interesse pubblico determina illegittimità

dell’atto adottato. Se la violazione si è concretizzata in una non corretta

valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati, con un

sacrificio “sproporzionato” dell’interesse privato, l’atto è illegittimo per

eccesso di potere. In questa fattispecie dunque il ragionamento del

giudice assume connotati di ancora maggiore pregnanza in quanto il

giudice, per ritenere violato il principio di proporzionalità, sovrappone il

proprio ragionamento a quello dell’amministrazione. Quest’ultima,

infatti, conferisce un certo “peso” e tutela all’interesse privato, il giudice,

invece, può ritenere che, alla luce della complessiva vicenda, sarebbe

irragionevole non offrire al privato una tutela che sia proporzionale agli

obiettivi di interesse pubblico perseguiti.

3. Le figure sintomatiche nel sindacato sulla discrezionalità

tecnica e ragionevolezza tecnica.

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Occorre adesso valutare quale sia il ragionamento del giudice in

presenza di una attività amministrativa connotata da discrezionalità

tecnica.

Da premettere che in presenza di attività amministrative che

richiedono anche valutazioni soggettive, il sindacato giurisdizionale è

meno penetrante, limitandosi alla ricerca di specifiche figure sintomatiche

ovvero censurando solo i vizi evidenti e macroscopici.

Così è stato affermato100 in tema di giudizi medico-legali “espressi

dagli organi tecnico consultivi quali i Comitati di Verifica per le Cause di

Servizio ai fini dell’accertamento della dipendenza di una infermità da

causa di servizio, sono correttamente basati su una valutazione che, per

sua natura, è sottratta al sindacato di legittimità del giudice

amministrativo, in quanto costituisce valutazione di ordine

eminentemente tecnico, fatte salve le sole ipotesi di violazione di legge e

di eccesso di potere per illogicità”.

Analogamente la giurisprudenza101 affronta il vaglio sul giudizio di

anomalia dell’offerta nelle gare pubbliche, in quanto “l’esame delle

giustificazioni, presentate dal soggetto che è tenuto a dimostrare la non

anomalia dell’offerta, costituisce espressione della discrezionalità

100 Cons. St. sez. II, 15 settembre 2011, n. 4789, in Foro amm. CdS, 2011, 9, 2906. 101 Cons. St., sez. V, 25 luglio 2011, n. 4450, in Foro amm. CdS, 2011, 2437.

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tecnica dell’Amministrazione che si sottrae al sindacato di legittimità

allorquando non sia inficiata da macroscopici vizi di illogicità,

arbitrarietà, irragionevolezza e/o travisamento di fatti”.

La tesi del sindacato di tipo debole sulle valutazioni tecniche

dell’Amministrazione, affievolito anche alla luce delle valutazioni

soggettive che connotano i giudizi di specie, è stata recentemente seguita

dal Consiglio di Stato anche a proposito degli atti delle Autorità

indipendenti .

I Giudici di Palazzo Spada102, in relazione ai provvedimenti

dell’A.G.C.M., chiariscono che in sede giurisdizionale viene esercito “un

sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto

attiene al profilo sanzionatorio; pertanto, deve valutare i fatti, onde

acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’A.G.C.M. sia immune

da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche

siano state correttamente individuate, interpretate e applicate. Laddove

residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il

giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’A.G.C.M. nella

definizione del mercato rilevante, se questa sia attendibile, secondo la

102 Cons. St., sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5171, in Foro amm. CdS 2011, 9, 2854.

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scienza economica, immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi

logici, da vizi di violazione di legge”.

Inoltre, è stato evidenziato103 che “i provvedimenti delle Autorità

indipendenti (nella specie, Autorità Garante della concorrenza e del

mercato) sono sindacabili dal g.a. per vizi di legittimità e, relativamente

al vizio di eccesso di potere, il giudice deve limitarsi a verificare se il

provvedimento impugnato appaia logico, congruo, ragionevole,

correttamente motivato ed istruito, ma non può anche sostituire proprie

valutazioni di merito a quelle effettuate dall’ Autorità ed a questa

riservate”.

La giurisprudenza104, inoltre, si è premurata di precisare che con

l’espressione “sindacato di tipo debole” non viene compiuta una

limitazione dell’effettività della tutela giurisdizione. Con tale espressione,

infatti, si è voluto solo confermare che il Giudice, dopo aver accertato in

modo pieno i fatti ed aver verificato il processo valutativo svolto

dall’Autorità in base a regole tecniche, anch’esse sindacate, se ritiene le

valutazioni dell’autorità corrette, ragionevoli ed attendibili, non deve

spingersi oltre ed esprimere autonome scelte, perché altrimenti

assumerebbe egli la titolarità del potere.

103 T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 23 marzo 2004, n. 2715. 104 Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926, in Diritto & Formazione, 2004, 997.

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In una recentissima sentenza del Consiglio di Stato, 2 maggio 2012, n.

2521, appare più evidente quale sia il ragionamento del giudizio in ordine

al sindacato sulla discrezionalità

Oggetto della sentenza è un atto dell’Autorità dell’energia elettrica e il

gas in materia di determinazione delle tariffe.

Nella parte preliminare che precede l’analisi delle singole figure i

giudici di Palazzo Spada svolgono affermazioni di carattere generale che

costituiscono il punto di approdo finale dell’evoluzione giurisprudenziale

in materiale e dalla cui lettura emerge chiaramente la volontà di

valorizzare il principio di ragionevolezza.

Il Consiglio di Stato afferma: «Gli atti dell’Autorità, sin qui riportati,

sono normalmente espressione di valutazioni tecniche e

conseguentemente suscettibili di sindacato giurisdizionale, in

applicazione di criteri intrinseci al settore che viene in rilievo,

esclusivamente nel caso in cui l’Autorità abbia effettuato scelte che si

pongono in contrasto con il principio di ragionevolezza. Non è sufficiente

che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del

procedimento seguito, meramente opinabile. Non è consentito, infatti, al

giudice amministrativo – in attuazione del principio costituzionale di

separazione dei poteri che assume maggiore valenza in presenza di un

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soggetto pubblico dotato di particolare competenza e che svolge funzioni

neutrali – sostituire proprie valutazioni a quelle effettuate dall’Autorità. In

definitiva, è pertanto, necessario che le parti interessate deducano

l’esistenza di specifiche figure sintomatiche dell’eccesso di potere

mediante le quali dimostrare che la determinazione assunta dall’Autorità

si pone in contrasto con quello che può essere definito principio di

ragionevolezza tecnica».

Per la prima volta il Consiglio di Stato impiega l’espressione

ragionevolezza tecnica.

Se poi si passa, però, a valutare in concreto quale sia il ragionamento

del giudice nel sindacare gli atti delle Autorità si constata che, pure a

fronte delle indicate proclamazioni di principio, egli tende a sovrapporre

il proprio ragionamento a quello dell’Autorità soprattutto nel caso in cui il

provvedimento impugnato contenga una motivazione non ampia. Il caso

riguardava le modalità di determinazione delle tariffe nel settore del gas.

Come è noto, in tale settore, attesa la non completa liberalizzazione del

settore, il legislatore e l’Autorità intervengono per imporre degli obblighi

in capo agli operatori del settore al fine di assicurare la tutela dei

consumatori. Tra tali obblighi vi sono quelli volte a determinare di

imperio le modalità di remunerazione del capitale investito ponendo

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vincoli ai ricavi delle imprese. In particolare, la normativa di settore e le

delibere dell’Autorità prevedono dei limiti al riconoscimento dei costi

stabilendo un «tasso di riduzione annuale dei costi unitari riconosciuti».

Come è noto, il sistema del price cup costituisce un utile strumento

per stimolare il recupero di efficienza degli operatori economici del

settore: la riduzione, infatti, dei costi unitari che vengono riconosciuti alle

imprese rappresenta per esse uno stimolo ad innescare meccanismi

virtuosi di aumento dell’efficienza.

Nella sentenza, richiamando il precedente 29 maggio 2006, n. 3274, si

afferma che «costituisce fatto notorio la circostanza che i risparmi

derivanti dal miglioramento di efficienza vanno diminuendo con gli anni

fino addirittura ad esaurirsi», con la conseguenza che il recupero di

produttività deve essere decrescente.

Si conclude affermando che «nella fattispecie in esame non risulta che

l’Autorità abbia svolto una istruttoria volta ad accertare quale sia il

corretto livello di progressiva diminuzione della produttività in relazione

ai decrescenti margini di recupero di efficienza. In questo caso il difetto

di istruttoria rappresenta, alla luce di quanto affermato, un indice

sintomatico della violazione del principio di ragionevolezza tecnica della

scelta effettuata».

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I giudici, pertanto, hanno ritenuto “non condivisibile” il ragionamento

dell’amministrazione ricorrendo, questa volta, a nozioni tratte dalla

“comune esperienza”. Ancora una volta, dunque, viene esercitato un

sindacato giurisprudenziale che si sostanzia in una sostituzione del

giudice al ragionamento dell’amministrazione. Nella specie ciò è stato

possibile in quanto venivano in rilievo profili che non necessitava del

ricorso ad un consulente tecnico e che pertanto ben potevano essere

esaminati dal giudice mediante un sindacato che impiega le conoscenze

estrinseche del giudice stesso.

4. La lata discrezionalità e gli atti di alta amministrazione.

Una consistente limitazione al sindacato giurisdizionale sull’eccesso

di potere si riscontra, soprattutto, rispetto agli atti amministrativi

contrassegnati da un elevatissimo tasso di discrezionalità .

In tali casi, secondo la giurisprudenza, la configurabilità dell’eccesso

di potere, pur non esclusa in modo assoluto, è circoscritta a talune ipotesi

marginali.

In particolare, si può rilevare che maggiore è l’ampiezza del potere

discrezionale, più il sindacato giurisdizionale sul provvedimento si

avvicina al modello estrinseco.

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95

Così, per esempio, in tema di atti che istituiscono strutture di vertice

dell’Amministrazione, si è affermato105 che “la circostanza che in

occasione dell’adozione di un atto che istituisce strutture regionali di

vertice l’amministrazione eserciti un elevatissimo potere discrezionale,

che importa articolate e delicate valutazioni sulla organizzazione dei

servizi, sulla loro economicità e razionalità, limita e attenua, ma non

esclude, il sindacato giurisdizionale sull’esercizio di detto potere

discrezionale, circoscrivendolo all’accertamento estrinseco della sua

legittimità, cioè al riscontro dei presupposti e alla congruità della

motivazione, nonché alla esistenza del nesso logico di consequenzialità

fra presupposti e conclusioni”.

Allo stesso modo106, “le determinazioni in materia di conseguimento

dello status di cittadino italiano sono assistite da latissima

discrezionalità; l’atto concessorio (o denegatorio) in questione

costituisce, dunque, un atto c.d. di “ alta amministrazione “. Detto

genere di atti ha una valenza di alta amministrazione ed implica, in

quanto tale, un elevato tasso di discrezionalità, sia nell’accertamento, sia

soprattutto nella valutazione dei fatti acquisiti al procedimento. Di

conseguenza, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del

105 Cons. St., sez. IV, 2 ottobre 2008, n. 4789, in Foro amm. CdS, 2008, 10, 2692. 106 Cons. St., sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3006, in Foro amm. CdS, 2011, 5, 1635

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potere, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là

della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto

istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e

dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica,

coerente e ragionevole”.

Alle medesime conclusioni la giurisprudenza107 è giunta in ordine al

sindacato sulle ordinanze extra ordinem, affermando che “le scelte

dell’Amministrazione straordinaria devono essere concretamente

valutate in rapporto ad una situazione di emergenza del tutto eccezionale

e straordinaria, nella quale la ponderazione e la comparazione dei

diversi interessi in gioco non segue pedissequamente le regole ed i criteri

che governano l’azione pubblica in situazioni ordinarie, così che non

ogni carenza, insufficienza o contraddittorietà a livello istruttorio o di

motivazione ridonda automaticamente e necessariamente in vizio del

relativo procedimento, sotto forma di una delle figure sintomatiche dell’

eccesso di potere; di conseguenza il giudice amministrativo,

nell’esercizio del proprio sindacato, deve tenere conto sia della natura di

atto di alta amministrazione delle ordinanze extra ordinem adottate, e

conseguentemente dell’ampia discrezionalità della quale gode

107 Cons. St., sez. IV, 8 novembre 2011, n. 5903, in Red. amm. CdS, 2011, 11.

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l’Amministrazione, sia delle particolari circostanze (situazioni di

calamità che richiedono urgenza nell’agire) che fungono da presupposto

dell’atto adottato; peraltro lo stesso sindacato giurisdizionale deve

essere invece rigoroso ed attento nel verificare la sussistenza dei

presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza, e quindi la

sussistenza delle ragioni di urgenza e l’evidenza della connessione tra

disposizioni adottate e dichiarazione dello stato di emergenza, oltre a

verificare il rispetto dei limiti temporali e territoriali indicati dalla già

citata dichiarazione dello stato di emergenza, atteso che in caso

contrario, il potere in deroga (ed il prodotto del suo esercizio,

rappresentato dalle ordinanze extra ordinem) rimarrebbero senza alcuna

possibilità di controllo in ordine alla sussistenza dei presupposti per

l’esercizio legittimo, e si verterebbe in una situazione che, oltre a violare

l’art. 113 Cost., risulterebbe intollerabile per l’ordinamento giuridico nel

suo complesso”.

Parimenti limitato è il sindacato sugli atti di revoca degli assessori, in

quanto “la motivazione del provvedimento sindacale di revoca

dell’incarico di assessore può legittimamente basarsi su ampie

valutazioni di opportunità politico amministrative, rimesse in via

esclusiva al sindaco, tenendo conto sia di esigenze di carattere generale,

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quali i rapporti con l’opposizione o interni alla maggioranza consiliare,

sia di particolari esigenze di maggiore operosità e di efficienza di

specifici settori dell’Amministrazione locale o per l’affievolirsi del

rapporto fiduciario tra il capo dell’Amministrazione ed il singolo

assessore, considerato che trattasi non di un tipico procedimento

sanzionatorio ma di una revoca di un incarico fiduciario difficilmente

sindacabile in sede di legittimità se non sotto i profili formali e l’aspetto

dell’evidente arbitrarietà, in relazione all’ampia discrezionalità spettante

al capo dell’Amministrazione locale”108.

Quello esaminato è un settore invece in cui il giudice difficilmente

procede nel senso ordinario mediante la sovrapposizione del suo

ragionamento a quello dell’amministrazione. Soltanto nel caso in cui si

evidente la irragionevolezza della scelta adottata il provvedimento

amministrativo viene annullato.

5. L’“eccesso di potere cognitivo ai danni dell’Amministrazione”

nella giurisprudenza della Cassazione.

108 Cons. St., sez. V, 27 aprile 2010, n. 2357, in Red. amm. CdS, 2010, 04.

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99

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione109 hanno recentemente

censurato una pronuncia del Consiglio di Stato affermando che

quest’ultimo eccede i limiti della propria giurisdizione, sconfinando nella

sfera della discrezionalità amministrativa, qualora, in relazione

all’impugnazione di provvedimenti di esclusione da una gara d’appalto

per inaffidabilità dell’appaltatore, li annulli sulla base della non

condivisione degli elementi soggettivi posti dalla P.A., senza ravvisare la

pretestuosità di tale valutazione.

Nella fattispecie posta al vaglio delle Sezioni Unite, una ditta veniva

esclusa da una gara indetta da Trenitalia Spa per l’affidamento di alcuni

lotti di pulizia del materiale rotabile a causa di gravi negligenze

riscontrate dalla stazione appaltante nell’ambito di rapporti pregressi con

la medesima ditta.

Nel primo grado di giudizio, il Tribunale Amministrativo locale

rigettava il ricorso sul rilievo che per l’esclusione ex art. 38 del d.lgs. n.

163 del 2006 s.m.i. fosse sufficiente l’esistenza di una valutazione

negativa della stazione appaltante della inaffidabilità dell’operatore

economico.

109 SS. UU., 17 febbraio 2012, n. 2312.

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100

Nel secondo grado di giudizio, invece, all’esito di un’articolata

consulenza tecnica, il Consiglio di Stato riteneva presenti gli indici

sintomatici di un eccesso di potere della P.A., comportanti l’illegittimità

dell’esclusione della ditta dalla gara.

In particolare, attraverso la consulenza tecnica d’ufficio, sono emerse

una serie di contraddizioni nella valutazione discrezionale delle presunte

inadempienze della ditta appaltatrice, tali da far presumere che

l’esclusione in parola fosse stata determinata da ragioni diverse dalla

inaffidabilità della stazione appaltante.

Secondo Trenitalia, che ha ricorso per Cassazione per motivi di

giurisdizione, il Consiglio di Stato, con tale sentenza, avrebbe invaso

l’area tradizionalmente riservata alla stazione appaltante in ordine

all’apprezzamento dell’affidabilità di una ditta aggiudicatrice di una gara

pubblica.

Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso statuendo che il sindacato di

legittimità del Giudice Amministrativo, deve prendere atto della chiara

scelta del legislatore di rimettere unicamente alla stazione appaltante

l’individuazione del punto di rottura dell’affidamento del pregresso e/o

futuro contraente.

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Il sindacato del Giudice Amministrativo sulla motivazione di tale

rifiuto deve essere mantenuto rigorosamente sul piano della verifica della

non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dalla

stazione appaltante e non limitarsi alla mera non condivisibilità della

valutazione discrezionale espressa.

Nel caso in specie, invece, i Giudici di Palazzo Spada, recependo in

toto le considerazioni esposte dal consulente tecnico d’ufficio, ha attuato

un sindacato giurisdizionale sconfinante nell’area ex lege riservata alla

stazione appaltante, prendendo le mosse da segnali di contraddittorietà

delle valutazioni della P.A. e da specifiche ragioni di mera non

condivisione della valutazione finale in ordine al rifiuto di aggiudicare la

gara alla ricorrente.

La Cassazione, perciò, ha stabilito che rimane facoltà della stazione

appaltante rifiutarsi di aggiudicare una gara pubblica, poiché solo essa

può determinare il punto di rottura della fiducia nell’affidamento del

contraente. La mera non condivisione della valutazione operata

dall’Amministrazione per il tramite della consulenza tecnica porta allo

sconfinamento del giudizio in una indebita sovrapposizione alla

valutazione fatta dalla P.A.

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102

Il parametro dell’inattendibilità, infatti, è ritenuto inappropriato ove

utilizzato nello scrutinio di legittimità di scelte ad alto tasso di

soggettività quale quella di specie.

Le Sezioni Unite, pertanto, hanno giudicato viziata la sentenza

impugnata per “eccesso di potere cognitivo ai danni

dell’Amministrazione”, tra l’altro secondo un orientamento già

recentemente espresso più di recente dal Consiglio di Stato110, secondo il

quale “la giurisprudenza è approdata a una più chiara consapevolezza

della demarcazione esistente tra le valutazioni di opportunità afferenti

alla discrezionalità “pura”, ovvero addirittura al merito amministrativo,

e quelle che la p.a. è chiamata a condurre alla stregua di regole tecniche

richiamate dalla stessa legge: si è così pervenuti ad ammettere da parte

del giudice un sindacato non soltanto limitato alla verifica di coerenza

logica tra le regole tecnico-scientifiche cui si è fatto ricorso nella scelta

discrezionale e la determinazione conclusiva (c.d. sindacato estrinseco),

ma bensì esteso anche alla stessa attendibilità delle operazioni tecniche e

dei loro risultati (c.d. sindacato intrinseco). Il predetto sindacato

“intrinseco” deve pur sempre arrestarsi al momento della verifica di

congruenza del procedimento tecnico adottato dalla p.a., senza

110 Cons. St., 3 maggio 2011, n. 2628.

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103

pretendere di sostituire al giudizio di quest’ultima quello del giudice (c.d.

sindacato “debole”): ciò in quanto, allorché vi siano interessi la cui cura

sia dalla legge espressamente delegata ad un certo organo

amminstrativo, l’ammettere che il giudice possa “autoattribuirseli”

rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non

addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato”.

In vista del primario obiettivo di assicurare il giusto processo, la

Cassazione, facendo riferimento all’istituto della translatio judicii, ha

interpretato l’art. 382 c.p.c. nel senso che la cassazione senza rinvio va

operata solo ove qualsiasi altro Giudice sia privo di giurisdizione, mentre

negli altri casi, come già avvenuto in ipotesi di rifiuto di esercizio della

propria giurisdizione da parte del Consiglio di Stato111, il processo

continui davanti al Giudice munito di giurisdizione a seguito di

riproposizione di parte.

Pertanto, siamo al cospetto dell’ulteriore conferma che il sindacato

giurisdizionale sull’eccesso di potere si manifesta come intrinseco ma di

tipo debole, insuscettibile di qualsiasi sostituzione giurisdizionale alla

P.A.

111 SS. UU., 16 dicembre 2010, n. 25395.

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Occorre attendere i successivi sviluppi dell’evoluzione della

giurisprudenza amministrativa per potere valutare se le prese di posizione

della Cassazione potranno incidere sulle modalità del sindacato

giurisdizionale del giudice amministrativo.

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105

Capitolo III

L’eccesso di potere in ambito europeo

1. Premessa.

Il primo significato che la giurisprudenza italiana diede all’eccesso di

potere, fu, come detto, quello di “sviamento”, dietro influenza della

nozione francese di détournement de pouvoir, che non ha mancato di

assumere notevole rilevanza anche nell’ordinamento comunitario. Nasce

allora spontaneo il dubbio se la visione comunitaria del détournement de

pouvoir non sia ricalcata sulla concezione francese. A tale quesito va data

risposta parzialmente negativa; la figura di détournement de pouvoir dei

trattati comunitari è frutto di un’elaborazione che, seppure inizialmente si

rifà palesemente all’elaborazione francese, ha poi raggiunto una sua

esistenza autonoma. In merito possiamo constatare una certa evoluzione

che ha portato ad un allargamento, seppure assai cauto, della nozione di

détournement de pouvoir, che comprende oggi anche il détournement de

procédure; tale figura sussiste quando il fine perseguito dall’autore

dell’atto è realizzato usando mezzi procedurali predisposti per

raggiungere risultati differenti o per dar vita ad atti diversi rispetto a

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quelli che vengono formati. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano,

alcune delle cosiddette figure sintomatiche, in cui si manifesta l’eccesso

di potere, presentano un certo interesse in ambito comunitario, in quanto

vengono attratte dalla Corte di giustizia comunitaria tra quei principi

generali comuni ai paesi membri, adottati a parametro della legittimità

degli atti comunitari. Tuttavia, l’eccesso di potere, così come rielaborato

dalla giurisprudenza italiana, presenta una molteplicità di significati in

gran parte sconosciuti al détournement de pouvoir comunitario. Risulta,

quindi, una coincidenza solo parziale tra l’eccesso di potere e il

détournement de pouvoir comunitario.

Deve essere, però, sottolineato che, nonostante la mancanza di una

totale coincidenza tra eccesso di potere e détournement de pouvoir

comunitario, il tipo di controllo effettuato dal giudice amministrativo

italiano non diverge molto da quello previsto ex art. 230 del Trattato CE;

sia il giudice italiano sia il giudice comunitario, infatti, non possono

sindacare il merito delle scelte compiute dall’amministrazione, dovendosi

limitare ad una valutazione di legittimità112.

Considerato tutto ciò, possiamo affermare che il détournement de

pouvoir comunitario è espressione di una comune esigenza avvertita negli

112 M.P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano 2008, 542.

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ordinamenti dei principali paesi europei: la necessità di porre dei limiti

alla discrezionalità amministrativa.

2. L’eccesso di potere nei Trattati.

Il détournement de pouvoir appare per la prima volta in ambito

comunitario con l’art. 33 del Trattato CECA che prevede la possibilità,

per il Consiglio europeo e gli Stati membri, di presentare ricorso innanzi

alla Corte di giustizia della CECA per l’annullamento di atti dell’Alta

Autorità viziati da incompetenza, da violazione delle forme sostanziali, da

violazione del Trattato o di tutte le regole del diritto relative alla sua

applicazione, da sviamento di potere; nel secondo comma veniva poi

eccezionalmente concesso alle imprese o alle associazioni di imprese di

ricorrere contro le decisioni o raccomandazioni generali che esse

stimavano viziate da sviamento nei loro confronti.

Di lì a pochi anni il trattato di Roma ripropone lo stesso schema

dell’art. 33 del Trattato CECA, apportando tuttavia qualche differenza;

nell’art. 173, primo comma, del Trattato CEE gli atti impugnabili non

sono più quelli dell’Alta Autorità ma quelli del Consiglio e della

Commissione. Inoltre cambiano anche i soggetti legittimati

all’impugnazione; nel secondo comma dell’art. 173 del Trattato CEE si

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allarga la facoltà di impugnazione a qualsiasi persona fisica o giuridica

avverso le decisioni che sono adottate nei loro confronti ovvero nei

confronti di altre persone, e che tuttavia le riguardano direttamente e

individualmente.

Con il Trattato di Maastricht l’art. 173 CEE viene ulteriormente

trasformato, estendendosi al Parlamento europeo e alla Banca Centrale

Europea la legittimazione all’impugnazione.

Il Trattato comunitario non definisce lo sviamento di potere.

Di esso, dunque, occorre ricercarne una “perimetrazione” utilizzando

tutti i dati ermeneutici disponibili. In primis quello letterale, poi quello

sistematico; infine, quello storico che, come si vedrà, sarà particolarmente

utile.

Nello specifico, la definizione di sviamento di potere comunitario

potrà trarsi anche a contrario, analizzando gli altri vizi sindacabili dal

giudice europeo.

In poche parole, lo sviamento di potere è un vizio che afferisce ad

un’area dell’attività amministrativa invalida, che non si caratterizza né per

l’incompetenza dell’Organo agente, né per la violazione delle forme

sostanziali, né per la violazione del Trattato nonché delle regole di diritto

relative alla sua applicazione. Del resto, già dalla lettura della norma può

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109

desumersi la portata del tutto residuale di questo vizio. Ed in effetti, come

si vedrà, del tutto residuale è stata l’applicazione concreta che di questa

figura ne ha fatto la giurisprudenza comunitaria che, tuttavia, si è

adoperata meritoriamente per una sua perimetrazione113.

In questa complessa attività la Corte non ha potuto non muovere le

mosse dal dato terminologico che evoca chiaramente il détournement de

pouvoir di origine francese.

Si è rilevato che il détournement de pouvoir comunitario ha attinenza

principalmente “à les buts”, ossia agli scopi non legittimi dell’atto.

Questa dottrina ha osservato che la Corte di Giustizia, in un primo

momento (nella vigenza del Trattato CECA), aveva sviluppato una

concezione oggettiva dell’istituto che, però, finiva con il confondersi con

l’errore di diritto.

Secondo questa analisi, occorre osservare che i campi elettivi in cui lo

sviamento di potere è stato fatto valere nella vigenza degli originari

Trattati Comunitari atteneva a tre grandi aree tematiche nelle quali ha

ricevuto, peraltro, un trattamento ben diverso: 1. l’area attratta nel

Trattato CECA; 2. l’area della funzione pubblica comunitaria; 3. l’area

attratta nel Trattato CEE/CE.

113 R. CARANTA, Giustizia amministrativa e diritto comunitario, Napoli, 1992, 341.

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110

Orbene, mentre nelle prime due aree tematiche la figura ha conosciuto

una certa applicazione, nelle aree disciplinate dal Trattato CEE/CE, ove la

discrezionalità dell’Amministrazione si è esplicata principalmente

nell’interpretare le numerose nozioni indeterminate presenti nell’ambito

del diritto della concorrenza, la casistica giurisprudenziale è molto meno

ricca.

Parte della dottrina114 ha ritenuto che questa diversità applicativa sia

derivata anche dal diverso concetto di sviamento di potere posto quale

parametro di riferimento.

In particolare, nelle aree attratte nel Trattato CEE/CE sarebbe prevalsa

un’interpretazione “soggettiva” del détournement de pouvoir (sotto

l’influsso francese) con tutte le difficoltà probatorie ivi ricollegate; nelle

aree attratte nel Trattato CECA avrebbe prevalso un’interpretazione

“oggettiva” più vicina all’Ermessensmissbrauch tedesco.

In un secondo momento, con l’evoluzione dell’interpretazione del

Trattato CE, sarebbe prevalsa una concezione soggettiva dell’istituto,

ossia una concezione che prende in considerazione principalmente

l’intenzione dell’autore dell’atto. In quest’ottica l’autore dell’atto non

114 L. MUSSELLI, La giustizia amministrativa dell’ordinamento comunitario, Giappichelli, 2006, 148 e ss.

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111

deve perseguire un fine personale, né un interesse pubblico diverso

rispetto a quello che la norma attributiva del potere gli indica.

Volendo riordinare le opposte tesi può dirsi che per i fautori del

carattere “soggettivo”, per una corretta verifica giurisdizionale dello

sviamento di potere è necessario indagare la sfera volitiva dell’agente115;

sarebbe necessario, pertanto, accertare se questi intenzionalmente abbia

agito per realizzare un fine diverso da quello in vista del quale il potere

gli è stato attribuito116.

Per altri, lo sviamento di potere deve emergere direttamente

dall’atto117.

In questo senso, una posizione intermedia è quella espressa

dall’Avvocato Generale Lagrange118, nelle conclusioni della causa n.

8/1955119 dove rimarcò che la cd. concezione classica dello sviamento di

potere non si può ridurre ad una forma di controllo psicologico

sull’intenzione dell’autore dell’atto ma deve abbracciare le risultanze

115 C.A. TROJANI, Lineamenti di giustizia amministrativa nel sistema comunitario, Pubblicazione dell’Istituto di Studi europei A. De Gasperi, Roma, 1990, 45. 116 E’ inevitabile rimarcare le analogie, in termini di elemento soggettivo, tra una siffatta ricostruzione e quella attualmente accolta dal legislatore in relazione alla disciplina dell’abuso d’ufficio nazionale con rilevanza penale (art. 323 c.p.). 117 A spingere per un carattere “oggettivo” dello sviamento di potere è prevalentemente la dottrina tedesca: B. VAN DER ESCH, Pouvoir discrétionnaires de exécutif europée net controle jouridictionnel, Deventer, 1968, 42. 118 L. MUSSELLI, Evoluzione del détournement de pouvoir in ambito comunitario ed ipotesi di raffronto con l’ordinamento amministrativo interno, in Riv. it. Dir. pubb. Com., 1996, 119-162. 119 In Raccolta, 1956, 251-252. Ripercorrendo a ritroso gli studi della dottrina italiana, non può non ricordarsi il contributo di F. ROVELLI, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di dir. pubb. in onore di Gionanni Vacchelli, Milano, 1938, 447 e ss.

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112

obiettive dell’atto impugnato, dovendo emergere da quest’ultimo una

divergenza tra lo scopo che il soggetto doveva perseguire e quanto

realmente raggiunto120.

3. Figure sintomatiche e ragionamento del giudice europeo.

La giurisprudenza comunitaria, nella prima sentenza121 che provvide

ad annullare un atto perché viziato da sviamento di potere, non prese

posizione sulla diatriba dottrinaria di cui si è dato conto pur facendo

sicuramente riferimento alla necessità di indagare le finalità che hanno

mosso l’autore dell’atto.

In particolare, la Corte di Giustizia si trovò a dover sindacare la

legittimità del trasferimento di Max Gutmann, funzionario dell’Euratom,

disposto dalla Commissione da un ufficio all’altro della stessa.

Detto trasferimento, secondo il ricorrente, “mascherava” un

provvedimento disciplinare che l’Istituzione Comunitaria voleva evitare

di emanare per non riconoscere i diritti di difesa connaturati alle sanzioni

disciplinari.

120 A quest’ultima concezione, che tiene in debito conto altresì l’aspetto oggettivo, sembra aver aderito la Corte di Giustizia nelle cause 3 e 4/1964, Chambre syndacale de la sidérurgie francaise e altri c. Alta Autorità in Grands arrets de la Cour de Justice des Communautés Européennes, a cura di J. BOLUIS E R.M. CHEVALLIER, Parigi, 1993, 357 e ss. 121 CGCE, 5 maggio 1966, cause riunite 18 e 35/1965, in L. MUSSELLI, op. cit., 137.

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113

Il ricorrente, in poche parole, si lamentava dell’uso “non funzionale”

dell’atto di trasferimento, disposto non per reali esigenze di servizio ma

per eludere le garanzie connesse all’applicazione di un provvedimento

disciplinare.

In questo caso la Corte di Giustizia sostenne che “le variazioni e le

contraddizioni sopra rilevate, unitamente ai fatti quali la simultaneità tra

la pubblicazione dell’avviso di posto vacante e il trasferimento del

ricorrente allo stesso posto...costituiscono una serie di indizi obbiettivi da

cui si può dedurre che l’Amministrazione, nel procedere al trasferimento

del Gutmann, non si è avvalsa dei suoi poteri per uno degli scopi previsti

dallo Statuto per detto provvedimento. La decisione di reiezione (della

domanda di riesame del trasferimento al fine di una sua revoca) del 5

febbraio del 1965 va dunque annullata per sviamento di potere nella

parte in cui conferma la decisione di trasferimento del 9 dicembre 1964”.

Simile impianto motivazionale la Corte di Giustizia ricalcherà nelle

successive sentenze122 di annullamento per sviamento di potere, a dire il

vero poco frequenti.

Secondo una parte della dottrina123, peraltro, la giurisprudenza

comunitaria avrebbe adottato una definizione di sviamento di potere

122 Si fa riferimento alla sentenza del 29 settembre 1976, resa nella causa n. 105/75 e alla più recente nelle cause riunite n. 33, 40, 110, 226 e 285/1986, Peine Salzgitter c. Commissione.

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114

“mista” e le applicazioni pratiche indurrebbero a distinguere tre forme di

sviamento di potere a secondo che lo stesso coinvolga gli obiettivi, i

motivi o le procedure.

Si è sostenuto che nel primo caso124 sarebbe di facile individuazione

se, in materia di obiettivi, i trattati non operassero, a monte, una

distinzione tra obiettivi generali e obiettivi specifici e se, in secondo

luogo, non mettessero sullo stesso piano gli obiettivi generali

insuscettibili di un raggiungimento simultaneo.

Quanto al primo aspetto, si è osservato che la giurisprudenza

comunitaria125 pare aver ammesso che le Istituzioni comunitarie possano

oltrepassare i fini specifici purché rispettino i fini generali; quanto al

secondo aspetto, si è sottolineato che le Corti comunitarie126 hanno

ritenuto che non costituisca uno sviamento di potere il non aver

particolarmente conciliato gli obiettivi generali che, del resto, non

potevano essere simultaneamente raggiunti: in sostanza, in caso di

impossibilità di sintesi, le Istituzioni comunitarie conserverebbero il

potere di accordare ad alcuni obiettivi generali quella preferenza indotta

123 J. BOULOIS, M. DARMON, J.G. HUGLUO, Contentieux communautaire, II ed., Paris, 2001, 213. 124 Ad avviso della dottrina citata, riscontrabile nella sentenza 29 settembre 1987, Fabrique de fer de Charleroi causa C-351/85. 125 Si indica quale esempio emblematico la sentenza 21 dicembre 1954, France c. Haute Autoritè C.E.C.A., C-1/54. 126 Sentenza 8 febbraio 1968, Pays-Bas c. Csion, causa C-28/66.

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115

dai fatti e dalle circostanze economiche in vista delle quali doveva essere

emesso.

Il secondo caso sembrerebbe contrastare con il carattere oggettivo del

détournement de pouvoir ma tuttavia, non di rado, è stato preso in

considerazione dalla giurisprudenza comunitaria127 la quale, peraltro, ha

escluso che i motivi possano essere indici sintomatici di uno sviamento di

potere quando questi sono del tutto secondari e accessori nella

valutazione complessiva dell’atto che, sotto altro aspetto, è rispondente al

fine assegnatogli dalla legge.

Nel terzo caso, la Corte di Giustizia128 sarebbe apparsa più rigorosa

nel suo sindacato avendo ritenuto integrato il vizio qualora i poteri

accordati alle Istituzioni comunitarie siano stati utilizzati per un fine

esclusivo, o anche solo determinante, elusivo della procedura imposta dal

Trattato.

Si è in particolare affermato che sussiste sviamento di potere quando

un’Istituzione esercita i suoi poteri allo scopo esclusivo, o quanto meno

determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere

una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle

circostanze del caso di specie.

127 Sentenza 21 dicembre 1954, causa C-1/54, cit. 128 Sentenza 20 giugno 1991, Cargill, causa C-248/89.

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116

La Corte di Giustizia trattò approfonditamente la questione in un caso

che traeva origine da una grave crisi siderurgica alla quale la

Commissione tentò di porre freno attraverso la fissazione di quote per

determinati metalli. Venuta meno la situazione di crisi, la stessa

Commissione, con il regolamento n. 3746/86/CECA, liberalizzò una sola

categoria di metalli, ossia gli zincati.

La particolarità di quest’intervento di liberalizzazione consistette nella

procedura seguita che ricalcò quella di cui all’art. 58 n. 1 del Trattato

CECA prevista, tuttavia, per l’introduzione delle quote e non per la loro

eliminazione. Infatti, detta procedura si caratterizzava per la sua

complessità dettata dall’esigenza di garantire al massimo, anche in

termini procedurali, le istanze della libera concorrenza inevitabilmente

compresse dall’introduzione di quote.

Per porre fine al sistema della limitazione era, invece, prevista una

procedura ben più agile prevista dal n. 3 dello stesso art. 58 del Trattato

CECA, ma nell’occasione detta più snella procedura, come anticipato,

non venne seguita.

Sennonché l’Associazione delle Imprese Siderurgiche (ISA) impugnò

il provvedimento della Commissione che liberalizzava solo la categoria

degli zincati, deducendo che la particolare procedura seguita era

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117

funzionale alla volontà di non eliminare le quote per le altre categorie di

metalli, con ciò provocando un danno per i produttori di altri tipi di

materiali metallici.

In quella circostanza, la Corte riconobbe che la Commissione aveva

erroneamente utilizzato una procedura anziché un’altra e riconobbe

expressis verbis, per tale motivo, che si era verificato uno sviamento di

potere da sanzionare con l’annullamento della decisione.

Del resto, anche in seguito, sono state emanate diverse sentenze che

hanno accolto censure volte a denunciare sviamenti di procedura129.

Significativa è la sentenza 22 settembre 1988 emessa nel caso Th.

Frydendahl A/S c. Commissione, causa n. 148/87.

Nell’occasione, la Commissione, essendosi accorta di non aver

rispettato il termine di quattro mesi dalla ricezione di una domanda delle

Autorità danesi di applicazione dell’art. 13 del regolamento n. 1430/79,

relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all’importazione o

all’esportazione, per offrire una risposta, aveva chiesto alle Autorità

stesse di ritirare la domanda per poi ripresentarla consentendo, così, alla

Commissione di svolgere un supplemento di istruttoria.

129 Corte di Giustizia, 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl A/S c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 4993. Si vedano, altresì, le sentenze emanate nelle cause riunite 140, 146, 221 e 226/1982 Walrstahl Vereinigung e Thyssen c. Commissione e nelle cause riunite 33, 44, 110, 226 e 258/1986 Stahlwerke-Peine Salzgitter ed altri c. Commissione.

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118

La ricorrente, pertanto, impugnava la decisione della Commissione

deducendo che essa fosse stata determinata solo dalla volontà di evitare

gli effetti, derivanti dall’intempestiva risposta, di cui al regolamento n.

1575/80.

Accertato che tale fosse l’intendimento della Commissione, la Corte di

Giustizia annullò la decisione osservando che essa fosse stata il frutto di

uno sviamento di procedura.

Emerge chiaramente da quanto esposto che, in un caso siffatto, i

confini tra lo sviamento di procedura e lo sviamento di potere in senso

stretto diventino particolarmente labili.

In questo caso, in fondo, i timori della Corte di Giustizia di invadere la

cd. “riserva di amministrazione” hanno avuto minor ragion di esistere

dinanzi all’evidenza della prova dell’illegittimità.

D’altro canto, l’esame di dette sentenze fa emergere che lo sviamento

di potere per sviamento di procedura, laddove riconosciuto, non sia inteso

alla stregua di un vizio meramente formale. Ovvero, affinché la Corte di

giustizia annulli il provvedimento emanato in seguito a procedura diversa

da quella prevista normativamente, non è sufficiente la mera allegazione

di uno sviamento di procedura: sembra, infatti, che la Corte Comunitaria

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119

richieda che tale sviamento abbia determinato l’emanazione di un

provvedimento che persegua fini diversi da quelli legalmente previsti.

Sul punto, tuttavia, lo sviamento di procedura costituisce un dato

presuntivo di questo sviamento che conduce più facilmente

all’accoglimento del ricorso presentato. Anzi, a volte, lo sviamento di

procedura è talmente evidente e ingiustificato da costituire ex se uno

sviamento di potere.

Tali argomentazioni danno credito a quella tesi dottrinaria130 secondo

la quale anche nella giurisprudenza comunitaria si sta formando una

casistica di figure sintomatiche di sviamento di potere, come negli

ordinamenti nazionali. Si ricordano in particolare l’inosservanza di codici

di condotta e il richiamo di elementi limitati e superati nella motivazione

dell’atto. L’autore osserva come il settore in cui si è più di frequente fatto

applicazione del predetto vizio, è quello del pubblico impiego.

Senz’altro, comunque, deve dirsi che la Corte di Giustizia è parsa

particolarmente (e, forse, eccessivamente) attenta a salvaguardare la sfera

di discrezionalità dell’Autorità Amministrativa comunitaria, che è quella

sulla quale, di regola, interferisce il sindacato sullo sviamento di potere.

130 M.P. CHITI, op. cit., 542.

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120

Non di rado, così, si legge - nella motivazione delle sentenze - che la

Corte, nell’effettuare il controllo di legittimità sull’esercizio dell’ampia

libertà di valutazione di cui gode l’Istituzione comunitaria, non può

sostituire la propria valutazione in materia a quella dell’Autorità

competente ma deve limitarsi a stabilire se quest’ultima non sia viziata da

errore manifesto o da sviamento di potere.

La giurisprudenza comunitaria ha, anche in seguito, nelle occasioni in

si è espressa sullo sviamento di potere, precisato che “la nozione di

sviamento di potere ha una portata ben definita che si riferisce al fatto che

un’Autorità amministrativa abbia utilizzato i propri poteri per uno scopo

diverso da quello per il quale le sono stati conferiti. Un atto è viziato da

sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e

concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno

determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere

una procedura appositamente prevista per far fronte alle circostanze del

caso di specie”.

Sul punto, è opportuno rimarcare che per la giurisprudenza

comunitaria lo sviamento di potere è integrato anche qualora l’atto

impugnato persegua un interesse pubblico diverso da quello legalmente

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121

fissato131; a meno che, con il fine ulteriore e diverso, non sia perseguito

anche il fine previsto dalla legge: in questo caso il perseguimento del fine

indicato dalla norma attributiva del potere, per quanto non oggetto

esclusivo della volontà amministrativa esplicitata nell’atto impugnato,

determina la “sanatoria” dell’altro fine non previsto dalla legge.

Sul punto la giurisprudenza si è espressa più volte ed in termini

univoci: nel senso che non comporta invalidità il perseguimento

dell’interesse alla “non complicazione amministrativa”, o quello volto ad

assecondare la politica economica di un Governo Nazionale132.

In sostanza, l’esistenza del fine legittimo (inteso quale quello fissato

dalla norma attributiva del potere) è sufficiente per far respingere la

censura di illegittimità del provvedimento che eventualmente persegua

altresì altri e diversi fini.

Anche recentemente, nella sentenza della Corte di Giustizia n. 400 del

10 maggio 2005, nella causa C-400/99 - Repubblica Italiana c.

Commissione delle Comunità Europee -, la Suprema Corte Comunitaria

ha avuto modo di confermare che “la nozione di sviamento di potere

implica che l’autorità amministrativa abbia esercitato i suoi poteri per uno

131 Così in dottrina, J. RIVERO, Le probléme de l’influence des droits internes sur la Cour de Justice de la CECA, in Annuaire francais de droit International, 1958, 304. 132 Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia CE 12 giugno 1958, in causa C-2/1957, Compagnie des Hautes Forneaux de Chasse c. Alta Autorità della CECA, in Racc., 1958, 135 e ss.

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122

scopo diverso da quello per cui le sono stati conferiti. Una decisione è

viziata da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi,

pertinenti e concordanti, risulta adottata per scopi diversi da quelli

dichiarati

Ne discende che uno sviamento di potere avrebbe potuto essere

accertato solamente se fosse stato dimostrato che la Commissione aveva

deliberatamente qualificato nuovi aiuti misure di cui non poteva dubitare

che fossero aiuti esistenti, soggetti al regime di controllo previsto dall’art.

88, n. 1, CE, o misure non rientranti neppure nell’ambito di applicazione

degli artt. 87 CE e 88 CE. Altrimenti detto: solamente se fosse stato

dimostrato che la Commissione aveva voluto perseguire a breve termine

la sospensione di misure di cui non poteva dubitare che fossero ancora

legittimamente attuabili, almeno fino alla conclusione del procedimento.”

Da ultimo, nella sentenza del 23 ottobre 2008 emessa dal Tribunale di

I grado nella causa T-256/07, tra People’s Mojahedin Organization of

Iran e Consiglio dell’Unione europea, al punto 151, si è aggiunto che “la

Corte e il Tribunale hanno ripetutamente stabilito che un atto è viziato da

sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e

concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno

determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere

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123

una procedura appositamente prevista dal Trattato CE per far fronte alle

circostanze del caso di specie .

Si afferma, in sostanza, una nozione piuttosto stabile di sviamento di

potere che ingloba in sé lo stesso regime di accertamento derivante dalla

presenza di indizi obbiettivi, pertinenti e concordanti tali da dimostrare

l’estraneità all’interesse del servizio della scelta compiuta

dall’Amministrazione comunitaria133.

Si evidenzia, quindi, l’aspetto della “prova” dello sviamento che, alla

luce dell’indirizzo particolarmente rigoroso sul punto assunto dalla Corte

di Giustizia, risulta spesso uno scoglio insormontabile per i ricorrenti.

Del resto, si è evidenziato134 come l’ostacolo probatorio sia

particolarmente ingombrante se solo si consideri che la giurisprudenza

comunitaria ha ritenuto che non siano in alcun modo sufficienti le

presunzioni quali prove dello sviamento di potere.

Infatti, tale difficile prova, unitamente all’insindacabilità “intrinseca”

della scelta discrezionale dell’Amministrazione comunitaria, hanno

condannato lo sviamento di potere ad un’applicazione pratica del tutto

residuale.

133 In termini identici la Corte si era già espressa in causa C-23/76, Luigi Pellegrini e C. s.a.s. c. Commissione, in Racc., 1976, 1807 e ss. 134 M. CONDINAZI, R. MASTROIANNI, Il contenzioso dell’Unione Europea, Torino, 2009, 126.

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124

Come detto, lo sviamento di potere è una classica censura all’operato

delle Istituzioni Comunitarie che esercitano poteri discrezionali.

Recentemente, peraltro, tale censura è stata sollevata con riferimento a

quella particolare sfera dell’attività amministrativa delle Istituzioni

Comunitarie che, con linguaggio nazionale, definiremmo esercizio di

discrezionalità tecnica.

Al proposito, la Corte di Giustizia ha più volte precisato che

un’autorità comunitaria, allorché è chiamata, nell’esercizio delle sue

attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di

un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un

controllo giurisdizionale limitato, il quale implica che il giudice

comunitario non può sostituire la sua valutazione degli elementi di fatto a

quella della detta autorità.

Pertanto, il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad

esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche

che l’Autorità ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di quest’ultima

non sia inficiato da errore manifesto (di diritto o di fatto: così, ad

esempio, in causa T-375/02 Cavallaro c. Commissione) o sviamento di

potere, o se tale Autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti

del proprio potere discrezionale .

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125

Nelle sentenze della Corte di Giustizia si legge, così, che “laddove la

Commissione fruisca di tale ampia discrezionalità, la Corte,

nell’effettuare il controllo di legittimità sull’esercizio di questa libertà,

non può sostituire la propria valutazione in materia a quella dell’autorità

competente, ma deve limitarsi a stabilire se quest’ultima non sia viziata

da errore manifesto o da sviamento di potere ovvero se l’autorità di cui

trattasi non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo potere

discrezionale”.

Nei procedimenti riuniti C-211/03, C-299/03, C-316/03, C-318/03 la

Corte ha affermato che un’Autorità comunitaria, allorché è chiamata,

nell’esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse,

dispone per tale motivo di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è

assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato, il quale non implica

che il giudice comunitario sostituisca la sua valutazione degli elementi di

fatto a quella della detta autorità.

Talché il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad

esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche

che questa autorità ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di

quest’ultima non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere, o

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126

se tale autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio

potere discrezionale135.

Nella sentenza n. 145 del 24 febbraio 2000, ancora, il Tribunale di I

grado ha ricordato che la Commissione dispone di un ampio potere

discrezionale in merito agli elementi da prendere in considerazione per

adottare una decisione di aggiudicazione di un appalto a seguito di gara .

In questo caso, si è detto che il controllo del giudice comunitario deve

limitarsi a verificare il rispetto delle regole di procedura e di motivazione,

l’esattezza materiale dei fatti, l’assenza di un manifesto errore di

valutazione e di sviamento di potere.

135 Si legga l’ordinanza del Presidente della Corte, 11 aprile 2001, causa c-471/00, Commissione c. Cambrige Healthcare Supplies, in Racc., 2865.

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127

Capitolo IV

Conclusioni.

1. Parametro di riferimento del ragionamento del giudice: il

principio di ragionevolezza.

Dall’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza amministrativa

condotta in questo lavoro emergono alcuni elementi importanti per

comprendere come si sviluppa il ragionamento del giudice nell’esercizio

del sindacato sulla discrezionalità amministrativa e tecnica.

Ritengo che si possa affermare che sono due i concetti fondamentali

che stanno alla base del ragionamento del giudice: 1) principio di

ragionevolezza e figure sintomatiche dell’eccesso di potere; 2) elementi

esterni di supporto al ragionamento ovvero elementi esterni di

completamento del ragionamento dell’amministrazione.

Con riguardo al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa

sembra ormai costante nel fare applicazione, ancorché a volte non venga

espressamente richiamato, del principio di ragionevolezza.

Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere vengono utilizzate non

per accertare se l’amministrazione abbia perseguito l’interesse pubblico

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128

predefinito dalle norme attribuite del potere ma se la scelta sia stata o

meno conforme al principio di ragionevolezza stesso.

La figura sintomatica che meglio di ogni altra fornisce il senso di

questo mutamento di prospettiva è rappresentata dal difetto di istruttoria:

se il giudice ritiene che l’amministrazione non abbia effettuato la

necessaria istruttoria ciò costituisce da solo motivo di invalidità dell’atto

senza che occorre verificare se tale mancanza si sia risolta in concreto

nella mancanza di tutela dell’interesse pubblico.

La ragionevolezza è pertanto divenuta una sorta di “regola di

condotta” cui l’amministrazione deve uniformare il proprio

comportamento.

Le figure sintomatiche dell’eccesso di potere costituiscono forme di

esemplificazione concreta della stessa regola di condotta nell’ambito di

un meccanismo che sta alla base della formazione di tutte le regole di

condotta generali.

Nell’esperienza amministrativa prima e in quella giurisprudenziale

poi, l’osservazione delle vicende concrete ha condotto alla enucleazione

di alcuni comportamenti dell’amministrazione che si risolvevano in una

violazione degli interessi giuridici protetti. Questa esemplificazione

amministrativa e giurisprudenziale ha consentito di fare ritenere che

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129

quella condotta dovesse essere in qualche modo sanzionata con il rimedio

della invalidità dell’atto amministrativo. In altri termini, si è ritenuto che

quel determinato comportamento fosse contrario alla regola della

ragionevolezza. In questa prospettiva le figure sintomatiche non solo altro

che comportamenti dell’amministrazione, tipizzati soprattutto in sede

giurisprudenziale, che si pongono in contrasto con il principio di

ragionevolezza.

Da quanto esposto ne consegue che se l’amministrazione pone in

essere una determinata attività rispondente ad una figura sintomatica ciò è

sufficiente per ritenere violata la regola di condotta generale della

ragionevolezza. Non esiste dunque diversità tra ragionevolezza e figure

sintomatiche in quanto quest’ultime non solo altro che il nome “concreto”

delle singole condotte poste in essere dall’amministrazione in contrasto

con la ragionevolezza che è il nome “generale” del comportamento

standard che l’amministrazione deve porre in essere.

Questa modalità di operare dell’amministrazione e i conseguenti

poteri del giudice riprendono, pur nella diversità dei contesti, i concetti

privatistici di buona fede e dei poteri del giudice. La buona fede

costituisce una regola generale di condotta, prevista dal codice civile che

non ne fornisce una definizione, cui devono uniformare il proprio

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130

comportamenti i singoli. La Cassazione, anche in questo ambito, è ricorsa

ad una sorta di tipizzazione dei comportamenti contrari alla regola

generale della buona fede all’esito dell’osservazione dei comportanti che

nella prassi vengono posti in essere. Si parla di tipizzazione

giurisprudenziale dei comportamenti contrari alla buona fede. Ad

esempio la Cassazione ritiene che sia in contrasto con la buona fede il

comportamento di chi non comunica all’altra parte determinati dati o

elementi in suo possesso relativi alla natura del bene oggetto di

contrattazione. Una volta che il giudice accerta la presenza di questa

condanna sanziona il comportamento per violazione della regola della

buona fede.

Ritengo che possa essere svolto un utile parallelismo tra il

meccanismo che presiede all’accertamento della violazione del principio

di ragionevolezza e il meccanismo che presiede all’accertamento della

violazione del principio di buona fede con riferimento in particolare ai

poteri privati. E cioè valutare il ragionamento che fa il giudice civile per

sindacare i poteri privati alla luce dei principi generali di buona fede e

correttezza. Da questa analisi comparativa sono emersi spunti di interesse

per valutare il sindacato sull’eccesso di potere.

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131

La Cassazione si è occupata soprattutto del sindacato giurisdizionale

relativo alle delibere societarie e in particolare ha affrontato la questione

relativa al cosiddetto abuso del potere di maggioranza in ambito

societario.

E’interessante dunque stabilire qual è il ragionamento che fa il giudice

civile quando sindaca il potere privato alla luce del principio di buona

fede e qual è il ragionamento del giudice rispetto al principio di

ragionevolezza.

Ho riscontrato una certa analogia almeno con riguardo alle modalità

del sindacato.

Come noto, le delibere societarie sono adottate da persone giuridiche

private nell’esercizio di un potere privato. La Cassazione ha affermato

che la società non deve abusare del proprio potere e lo strumento che si

utilizza per stabilire se nel nostro caso la società ha abusato del potere è

costituito dal principio generale di buona fede e correttezza. Se il potere

privato è esercitato con modalità che si pongono in contrasto con il

principio di buona fede ci troviamo in un caso di abuso del potere. La

dottrina civilistica ha chiarito che per aversi abuso di potere nel diritto

privato è necessario che la norma assegni un potere discrezionale al

soggetto privato. Se dunque vi è un potere privato discrezionale e l’ente

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132

lo esercita violando il principio della buona fede il comportamento integra

gli estremi di un abuso del potere che viene sanzionato, in presenza di una

società, con il rimedio dell’annullamento della delibera. Evidente dunque

che compaiono tutte le componenti proprie del sindacato sui poteri

pubblici e cioè: potere, discrezionalità, figura sintomatica, regola di

condotta, rimedio dell’annullamento. La differenza è data dal fatto che nel

diritto pubblico per sindacare il potere pubblico si utilizza il principio

generale di ragionevolezza, nel diritto privato il principio di buona fede.

2. Il percorso del ragionamento del giudice modulato alla luce

delle singole figure sintomatiche.

Se il rapporto tra figure sintomatiche e ragionevolezza deve essere

inteso, alla luce dell’analisi della giurisprudenza svolta in questo lavoro,

come rapporto tra comportamenti singoli tipizzati dalla giurisprudenza e

regola generale di condotta, l’altra questione centrale analizzata ha

riguardato la rilevanza di altri elementi esterni che consentono di

pervenire a quella valutazione.

In altri termini si tratta di stabilire come il giudice arrivi a ritenere che

quel difetto di istruttoria o quell’errore di fatto siano rilevanti e dunque

costituiscano una vera e propria figura sintomatica.

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133

E’ questo il piano della individuazione e ricostruzione del

ragionamento dell’amministrazione e del giudice.

Quando il giudice amministrativo è chiamato dal ricorrente ad

accertare l’esistenza di un vizio di incompetenza o di violazione di legge,

egli deve istituire un confronto fra l’atto impugnato e la norma regolativa

della competenza o di altro aspetto che si assume violato.

Ovviamente le cose si complicano quando il ricorrente denuncia

l’inosservanza da parte dell’amministrazione della ratio legis, ossia della

finalità perseguita, del suo significato in relazione ad altre norme che con

essa formano un sistema (arg. ex art. 1363 c.c.), della “intenzione del

legislatore” (art. 12 preleggi).

In questo caso, infatti, l’indagine richiesta finisce quasi con il

coincidere con quella che il giudice compie in relazione ad una denuncia

di sviamento di potere (che segue anch’essa l’identificazione del fine

della legge).

Quando il vizio prospettato nel ricorso corrisponde ad una figura

sintomatica l’operazione richiesta al giudice è più complessa e varia

anche in rapporto alle singole figure sintomatiche.

Si pensi, ad esempio, al motivo con cui il ricorrente segnala un difetto

di istruttoria. Se l’atto omesso è prescritto dalla legge (per es. un parere

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134

obbligatorio) allora la censura si risolve in una denuncia di violazione di

legge. Se, come accade nella maggior parte dei casi, l’omissione non

riguarda un atto o un operazione prevista dalla legge, ma un atto o un

operazione che, a giudizio del ricorrente, doveva essere compiuto, il

giudice è chiamato a stabilire se “i presupposti di fatto”che devono

sussistere per la legittimazione del provvedimento sono stati debitamente

accertati ossia se le “risultanze dell’istruttoria” (art. 3, l. 241/1990) siano

adeguate rispetto all’accertamento richiesto.

Il giudice, vagliando la ricostruzione del fatto, operato

dall’amministrazione, procede in sostanza ad una sua ricostruzione,

istituisce un suo collegamento tra i “presupposti di fatto” e le “ragioni

giuridiche che hanno determinato la decisione”: compie cioè un

operazione logico-giuridica dal cui esito (se conforme o difforme da

quello compiuto dall’amministrazione) dipende l’esito del ricorso.

Da tenere presente che pure la Corte di Cassazione, che non è giudice

del fatto, conosce di esso “quante volte i giudici del merito vi siano

pervenuti attraverso criteri illogici o antigiuridici”136.

136 Così la sentenza presa in esame da G. CALOGERO, La logica del giudice e il suo controllo in

Cassazione, 2^ ed., Padova, 1964.

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135

A maggior ragione tale sindacato viene esercitato dal giudice

amministrativo che, pur investito, con l’azione di annullamento, di una

funzione sostanzialmente cassatoria, può conoscere del fatto, com’è

attestato dalla presenza che risale alle origini della giustizia

amministrativa di alcuni, sia pur limitati, mezzi istruttori.

Aggiungerei che la cognizione e la ricostruzione del fatto spetta al

giudice amministrativo anche in certi casi in cui viene denunciata una

violazione di leggi: quando ad es. il ricorrente nega che la concreta

fattispecie sia riconducibile alla previsione normativa di cui

l’amministrazione ha fatto applicazione.

Facciamo, adesso, l’esempio del motivo con cui viene denunciata la

violazione della prassi: la prassi, poniamo, di tollerare piccole violazioni

edilizie, contraddette dal provvedimento impugnato (un ordine di

demolizione).

Poiché la prassi, in questo caso, consiste in un comportamento

negativo, protratto nel tempo, il giudice è chiamato ad accertare in primo

luogo se tale prassi sia effettivamente esistente (a fronte di una difesa

processuale dell’amministrazione volta a negarla) e se, in secondo luogo,

una volta accertata l’esistenza di un comportamento tollerante ma contra

legem protratto nel tempo, voglia dare fondatezza al motivo di censura.

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136

Quel che è certo, in casi del genere, è che il fatto che viene in rilievo

nel processo non è soltanto quello “presupposto” alla decisione - come

esprime l’art. 3, della l. 241/1990 – ma un contegno protratto nel tempo

che viene assunto come termine di controllo rispetto all’atto impugnato.

Qualcosa di analogo si verifica quando viene denunciata una disparità

di trattamento. Qui il confronto viene sollecitato in relazione ad un

singolo precedente (o anche rispetto ad un atto contemporaneo: per es.

una stessa infrazione disciplinare commessa da una persona alla quale

sono applicate sanzioni diverse).

Il giudice, in questo caso, mette a confronto due situazioni intese non

come pure e semplici situazioni fattuali, ma anche come situazioni

giuridicamente qualificate. Se un dirigente ed un suo autista si sono

appropriati indebitamente di una somma dell’amministrazione, ben può la

sanzione disciplinare essere differenziata: perché alla identità del

comportamento, trattandosi di correi, corrisponde una diversità di

situazioni soggettive, perchè dal dirigente si pretende un senso del dovere

ben maggiore di quello che si può pretendere da un autista. Sicchè ben si

giustificano due sanzioni disciplinari diverse per le due persone. Il

ragionamento del giudice amministrativo in questo caso, non è diverso da

quello che svolge la Corte Costituzionale quando è chiamata a decidere

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137

una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.

Per valutare se le situazioni che, secondo il rimettente siano

effettivamente uguali, sicchè non giustificherebbe un trattamento

normativo diverso, la Corte deve mettere a confronto le due situazioni

esaminando non soltanto gli assetti fattuali ma anche quelli che rientrano

nella qualifica semigiuridica.

L’argomentazione del giudice amministrativo, è ancora difforme di

fronte ad una censura di violazione del principio di proporzionalità

(anch’essa ricondotta al paradigma dell’eccesso di potere). Qui il

confronto che il giudice è chiamato ad effettuare non è tra due atti o tra

due situazioni, ma riguarda il rapporto tra la misura presa e l’obiettivo

perseguito. Se fra queste due entità vi è sproporzione il giudice lo

stabilisce, per un verso, passando in rassegna le misure giuridiche

possibili, alternative a quelle prese, ossia mediante una ricognizione del

complessivo quadro normativo (per stabilire, ad es., se lo stesso obiettivo

poteva essere perseguito con una servitù di passaggio anziché con una

espropriazione); e per altro verso, facendo riferimento a massime di

esperienza (per es. per realizzare un edificio scolastico bastano 5000 mq

anziché i due ettari previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità).

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138

Analoga ma non identica, è l’operazione mentale richiesta da una

censura di manifesta ingiustizia. Anche in questo caso, a differenza che

nella disparità di trattamento, non viene in rilievo un confronto tra due

situazioni. Il giudizio che il ricorrente sollecita è fondamentalmente un

giudizio di valore: giusta o ingiusta è la misura presa? Un giudizio che

non è quello soggettivo del giudice. Se l’ingiustizia deve essere

manifesta, per giustificare l’accoglimento del motivo, deve essere tale che

tutti la possono cogliere, appunto perché manifesta.

Ancora.

Il motivo che è proposto avverso il provvedimento (per es. la

valutazione di una prova di esame) impugnato perché la Commissione

non ha stabilito criteri di massima o li ha stabiliti in modo troppo generico

(il difetto o l’insufficienza dell’ ”autolimite”). Qui il giudice deve

stabilire se i criteri stabiliti nel bando o nella legge sono sufficienti a

guidare la condotta dei commissari o debbono essere integrati: un

operazione logica con la quale il giudice finisce per vestire i panni del

commissario scrupoloso e quindi, ancora una volta, confermando la

valutazione della commissione (quando respinge il ricorso) o sostituendo

a quella la propria valutazione.

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139

Infinite sono poi le variazioni possibili in presenza di una censura di

insufficienza della motivazione.

Qui il giudice può ritenere adeguata la motivazione così come è

formulata nel provvedimento impugnato; può ritenerla sostanzialmente

sufficiente, sebbene non articolata adeguatamente (e in questo caso il

giudice sostanzialmente la integra); può ritenere che, alla luce della difesa

dell’amministrazione nel giudizio, la motivazione sia sufficiente (il

divieto di integrazione giudiziale non sempre viene assicurato); può

cogliere una contraddizione tra due motivi posti alla base

dell’annullamento; può risalire ad altro atto dell’amministrazione, anche

non richiamato dal provvedimento impugnato (art. 3, co. 3, l. 241/1990)

per ricavarne una motivazione sufficiente; può pervenire alla conclusione

che se anche la motivazione non è corretta e che, quindi, avrebbe dovuto

essere diversa, l’esito del procedimento sarebbe stato lo stesso.

In definitiva, la sentenza del giudice amministrativo in un processo in

cui il ricorrente prospetta figure sintomatiche di eccesso di potere,

difficilmente si esaurisce in un sillogismo o in una sussunsione.

Fatti, voleri, qualificazioni giuridiche, massime di esperienza, principi

economici (si pensi ai criteri di economicità ed efficacia enunciati

dall’art. 1, l. 241/1990) idiosincrasie personali, confluiscono tutti in una

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pronuncia che riguarda una situazione concreta ma che è intessuta di

proporzioni generiche o universali137.

Naturalmente, queste conclusioni valgono per qualunque giudizio in

qualunque processo, quando la domanda di annullamento dell’atto poggia

su figure sintomatiche dell’eccesso di potere, la sentenza ha delle

peculiarità, sul piano logico-giuridico, che si è cercato di evidenziare.

137 J. DEWEY, Logica. Teoria dell’indagine, Torino, 1974, I, cap. VII-XIV della parte seconda, pag. 154 ss)

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