Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati nell'antichità. 152 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII Oltre alle aree in cui il pigmento è chiaramente distinguibile, questa tecnica ne mostra la presenza anche in zone dove le tracce di pigmento non sono più visibili ad un'osservazione ad occhio nudo, come ad esempio nel'area indicata dalle frecce in figura 163. Fig. 163 - particolare con la tecnica VIL dell'ala del cherubino. Altre tracce sono presenti nel fiocco retto dal cherubino, sia sulla superficie esterna sia nella parte della decorazione più interna (Fig. 164). Fig. 164 - particolare del fiocco in VIL. Anche nel frammento 917C sono state rilevate tracce di blu egizio. Nell’immagine in figura 165 si osservano tracce di blu egizio, oltre che in corrispondenza del braccio anche sulla veste del ragazzo, in questo caso non più visibili ad occhio nudo.

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Oltre alle aree in cui il pigmento è chiaramente distinguibile, questa tecnica ne mostra la presenza anche

in zone dove le tracce di pigmento non sono più visibili ad un'osservazione ad occhio nudo, come ad esempio

nel'area indicata dalle frecce in figura 163.

Fig. 163 - particolare con la tecnica VIL dell'ala del cherubino.

Altre tracce sono presenti nel fiocco retto dal cherubino, sia sulla superficie esterna sia nella parte della

decorazione più interna (Fig. 164).

Fig. 164 - particolare del fiocco in VIL.

Anche nel frammento 917C sono state rilevate tracce di blu egizio. Nell’immagine in figura 165 si

osservano tracce di blu egizio, oltre che in corrispondenza del braccio anche sulla veste del ragazzo, in

questo caso non più visibili ad occhio nudo.

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Dal punto di vista delle analisi puntuali non è stato possibile analizzare gli stessi punti con entrambe le

tecniche. I due strumenti (FORS e XRF) hanno la testa di misura con dimensioni diverse e nel caso dell’XRF

occorre tener presente anche l’ingombro dello strumento stesso che non ha permesso di misurare punti del

decoro molto rientranti.

Per questo motivo alcuni dei punti scelti per l’analisi XRF sono diversi rispetto a quelli scelti per le

analisi in riflettanza.

Dato che le tecniche di fotografia multispettrale non hanno evidenziato la presenza di pigmenti sul lato

sinistro del sarcofago, le indagini puntuali sono state focalizzate solo sul lato destro.

Fig. 165 - particolare della veste del ragazzino nel frammento 917C.

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Fig. 166 - particolare con i punti di misura. In rosso i punti analizzati solo con la tecnica FORS, in blu quelli analizzati

sia con la FORS che con l'XRF e in verde i punti misurati solo con l'XRF.

Per quanto riguarda la spettroscopia FORS, le tracce di colore rosso sono risultate essere tutte

riconducibili ad una lacca rossa.

Nello spettro FORS sono visibili gli assorbimenti tipici della lacca con una banda caratteristica a 500-

560 nm e una spalla a 480-500 nm, con un picco di riflettanza a 420 nm (Fig. 167). (Bisulca, Picollo, Bacci,

& Kunzelman, 2008)

Fig. 167 - spettro FORS del punto di misura 917A_4 confrontato con standard di una lacca rossa vegetale.

Nonstante i risultati della tecnica VIL siano inequivocabili, le tracce di pigmento blu sono state

analizzate, con entrambe le tecniche.

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Lo spettro FORS coincide con gli spettri del blu egizio presenti nel database dei provini creati in

laboratorio (Fig. 168).

Fig. 168-spettro del punto917A_10 corrispondente al blu egizio confrontato con lo spettro del riferimento.

Anche lo spettro XRF (Fig. 169), acquisito nello stesso punto, mostra un debole picco del rame, che ne

conferma la presenza.

Fig. 169 - Spettro XRF del punto 917A_10 (@40kV, 12 µA).

In entrambi gli spettri XRF inseriti in questo caso studio è visibile il picco del ferro che è da attribuirsi al

terreno circostante e ai residui depositati sulla superficie dell'oggetto.

Solo in un punto è stata rilevata la presenza di tracce di mercurio, in corrispondenza di un’area di colore

rosso. Nell’immagine in fluorescenza ultravioletta questa zona mostra la tipica fluorescenza della lacca ma

ad un’osservazione ravvicinata al microscopio mostra la presenza di un rosso molto acceso, di tono

differente da quello che ad esempio si vede nel punto n. 2 (Fig. 170).

2 4 6 8 10 12 14

- keV -

0

20

40

60

x 1E3 Pulses

Ca

Fe

Mn

Cu

Rh

Pd

K Si P S Pb

Pb

Sr

Sr

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Fig. 170 - particolare acquisito con microscopio ottico portatile del punto 917A_8 (sinistra)e del punto

917A_2 (destra).

La presenza di mercurio è stata confermata solo in questo punto di misura, mentre nelle altre zone di

colore rosso non risultano conteggi per questo elemento o perlomeno non rilevabili dallo strumento XRF. La

mancanza di ulteriori dati non permette di fare delle ipotesi concrete. Confrontando questo risultato con i

risultati ottenuti da altri oggetti sempre di epoca romana, anche se più antichi come la Donna sul trono e

giovane (Monocromi su marmo), potrebbe trattarsi di una di stesura di cinabro con una velatura a base di

lacca rossa, oppure una miscela dei due pigmenti; quest’ultima ipotesi è però la meno probabile.

Fig. 171 - spettro XRF del punto di misura 917A_8 (@ 40 kV, 12 µA).

Conclusioni

Le tecniche di fotografia multispettrale, in questo caso hanno permesso di individuare in maniera

immediata la presenza di specifici pigmenti, quali la lacca rossa e il blu egizio. Grazie all’immediatezza della

restituzione delle immagini è stato possibile ottenere informazioni sulla distribuzione di questi pigmenti sulla

superficie ed indirizzare le analisi puntuali.

Infatti, seguendo questo protocollo è possibile selezionare i punti, focalizzando le analisi nelle aree che

possono fornire più informazioni utili e riducendo al contempo la mole di dati da analizzare in seguito.

5 10 15 20 25

- keV -

0

50

100

150

x 1E3 Pulses

Ca

Rh

Rh

Pd

Pd

K Si P

Pb

Pb

Sr

Sr Fe

Hg

Hg

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Inoltre l’utilizzo congiunto di tecniche spettroscopiche complementari permette di avere, senza

necessariamente prelevare un campione, le informazioni necessarie per la caratterizzazione della maggior

parte dei pigmenti.

In questo caso con la tecnica XRF, come nel caso presentato precedentemente nella discussione sui

Monocromi su marmo da Ercolano e Pompei, in un punto del sarcofago sono emersi i conteggi del mercurio.

Nella stessa area tuttavia, attraverso la fluorescenza ultravioletta, si distingue chiaramente la presenza di

lacca. In entrambi i casi l’ipotesi più probabile è che si tratti di una stesura di cinabro con una velatura di

lacca.

Lo spettro ottenuto tramite la tecnica FORS nello stesso punto non mostra sostanziali differenze con lo

spettro della lacca, però bisogna tener conto che nello spettro XRF i conteggi del mercurio anche se presenti

sono molto bassi, il che indica una concentrazione altrettanto bassa di pigmento.

Dal punto di vista della strumentazione le lampade ultraviolette filtrate permettono una migliore

acquisizione senza dover intervenire molto in fase di post-produzione sull’immagine RAW. In questo caso,

dato il tipo di ambiente senza fonti di luci esterne, l’utilizzo di lunghi tempi di sesposizione non ha creato

nessun problema di artefatti dovuti alla radiazione parassita.

Di contro i tempi di acquisizione si allungano e la macchina fotografica va necessariamente posizionata

su un cavalletto, quindi le inquadrature sono condizionate dai possibili movimenti della testa del cavalletto e

dall’ingombro dei piedi.

Un altro problema, menzionato in precedenza, riguarda la poca maneggevolezza delle luci, che essendo

sistemate su un supporto sono legate anch’esse all’ingombro di quest'ultimo. Questo comporta che non si

possano raggiungere tutti i punti desiderati in maniera corretta così come non possono essere posizionate a

diversi angoli per seguire l’andamento della superficie.

Dal punto di vista delle immagini ottenute però si nota come l’ottimo filtraggio a monte delle lampade

con il filtro DUG 11 riduce quasi del tutto la radiazione parassita che raggiunge il sensore.

In questo caso lo Spectralon® appare totalmente nero così come dovrebbe essere in teoria; infatti il

materiale utilizzato per creare lo standard è certificato per riflettere al 99% la radiazione dall’ultravioletto

all’infrarosso ma senza fenomeni di luminescenza.

Le analisi svolte durante la campagna di indagini andranno inoltre ad integrare il rilievo fotogrammetrico

del sarcofago, eseguito dalla Dott.ssa Manganelli Del Fa’, creando una mappa interattiva che sarà possibile

consultare attraverso il sito dell’ICVBC-CNR e che fornirà le informazioni ottenute dalle analisi.

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Intonaci dipinti della collezione Gorga - Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps

Introduzione

Gli intonaci analizzati in questo caso studio, appartengono all’articolata ed eclettica raccolta di

archeologia del tenore Evangelista Gorga (1865-1957), acquisita dallo Stato nel 1950, e da allora conservata

presso il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps a Roma (Capodiferro, 2013).

Gorga raccolse una miriade di oggetti moderni e antichi che avrebbero dovuto formare, secondo le sue

intenzioni“il museo di tutti i tempi”. È stato attivo nel mercato antiquario romano tra la fine dell’Ottocento e

i primi del Novecento collezionando una quantità impressionante di oggetti, o parte di essi.

Le indagini svolte si sono concentrate su alcuni frammenti di intonaco dipinto, una piccolissima parte

delle centinaia di frammenti presenti nella collezione, la cui provenienza e collocazione temporale è ignota.

Attraverso le indagini svolte è stato possibile fornire agli archeologi utili informazioni per poter cercare di

collocare, completando le informazioni ottenute dallo studio delle fonti e dei documenti storici, la

provenienza di questa serie di frammenti di intonaco.

L’organizzazione del sistema decorativo sembra seguire il modello canonico della pittura romana e molti

elementi evidenziano un gusto retrospettivo, con una ripresa dei motivi del quarto stile pompeiano. Le

decorazioni sono formate da motivi vegetali e geometrici.

Per quanto riguarda la prima serie di frammenti, le indagini stilistiche riportano all’età tardo-adrianea e

più precisamente, agli anni intorno al 130 d.C.

Gli intonaci in molti casi conservano tutti gli strati di malta originari del rivestimento della parete.

In questo caso, dovendo ottenere anche informazioni sulla tecnica e sui materiali utilizzati per creare il

supporto per questi dipinti murari, sono stati prelevati alcuni frammenti che sono stati analizzati attraverso

tecniche quali la diffrattometria a raggi X (XRD), l’osservazione al microscopio delle sezioni sottili e lucide

e al microscopio elettronico a scansione (SEM-EDS).

Una seconda serie di intonaci sono stati analizzati con la sola tecnica VIL per poter confermare la

presenza del blu egizio come pigmento e per dare delle prime informazioni sulla distribuzione spaziale dello

stesso.

Per entrambe le serie si riportano in questo lavoro di ricerca, le sole informazioni ottenute dalle indagini

attraverso le tecniche di fotografia multispettrale eseguite in situ presso il Museo.

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Tecniche di fotografia multispettrale

Fotografia in fluorescenza ultravioletta (UV)

Condizioni di ripresa: l’acquisizione delle immagini è stata ottenuta con una fotocamera Canon EOS

450D, con sensore e CMOS da 22.2 x 14.8 mm con una risoluzione effettiva di 12 Mpixel e una risoluzione

di 4272 x 2848 pixel, con filtro colore RGB. Le immagini sono state registrate in formato RAW con

sensibilità nominale di 100 ISO. È stato usato un obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della

Schneider Optics B+W digital 486 UV/IR blocking. Il bilanciamento del bianco e il controllo

dell’esposizione sono stati effettuati con lo standard Spectralon® riflettente al 99%. Come sorgenti di

radiazione ultravioletta sono stati usati due flash della Quantum Instruments modello Qflash T5dR con filtri

della Schneider Optics B+W 403 UV passband per filtrare solo la radiazione ultravioletta.

Fotografia in luce visibile (VIS)

Condizioni di ripresa: l'acquisizione delle immagini in luce visibile è stata effettuata con una fotocamera

Canon EOS 450D, la stessa utilizzata per le acquisizioni delle immagini in fluorescenza ultravioletta. L'unica

modifica nell'assetto della strumentazione consiste nella sostituzione dei filtri apposti davanti ai flash. In

questo caso sono stati montati due filtri della Schneider Optics B+W digital 486 UV/IR blocking.

Fotografia nel vicino infrarosso (IR)

Condizioni di ripresa: l’acquisizione delle immagini è stata ottenuta con una fotocamera Canon EOS

400D, modificata attraverso la rimozione del filtro infrarosso interno. La fotocamera è dotata di un sensore

CMOS da 22.2 x 14.8 mm con una risoluzione effettiva di 10,10 Mpixel e una risoluzione di 3888x2592

pixel, con filtro colore RGB. Le immagini sono state registrate in formato RAW con sensibilità nominale di

100 ISO. È stato usato un obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della Schneider Optics

B+W Infrared Filter 093. Il bilanciamento del bianco e il controllo dell’esposizione sono stati effettuati con

una tavola di calibrazione della X-rite e lo standard Spectralon® riflettente al 99%.

Come sorgenti di radiazione infrarossa sono stati usati due flash della Quantum Instruments modello

Qflash T5dR con filtri della Schneider Oprtics B+W Infrared Filter 093 per filtrare solo la radiazione

infrarossa.

Luminescenza indotta da luce visibile (VIL)

Condizioni di ripresa: la strumentazione è la stessa utilizzata nella fotografia nel vicino infrarosso,

cambiano solo i filtri posizionati sui flash. In questo caso sono stati montati i filtri della Schneider Optics

B+W digital 486 UV/IR blocking in modo da avere sul campione la sola radiazione visibile.

Prima serie di intonaci

Le analisi sono state effettuate su quattro campioni di intonaco dipinto.

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La scelta dei frammenti da analizzare è stata effettuata dal personale del museo. I risultati delle analisi

sono presentate suddivise per pezzo con relativa numerazione crescente da 1 a 4.

Campione n.1

Fig. 172 - immagine in luce visibile del frammento di intonaco denominato campione n. 1.

Il campione n. 1 presenta una superficie quasi interamente coperta da incrostazioni che pregiudicano la

lettura delle decorazioni pittoriche sottostanti (Fig. 172).

Le immagini in infrarosso mostrano in maniera più dettagliata il disegno sottostante grazie anche alla

maggiore riflettanza del pigmento bianco (Fig. 173). Inoltre sempre nella stessa immagine è possibile

osservare le ombre sullo stelo eseguite con un pigmento che assorbe la radiazione infrarossa. Si nota inoltre

come la base dell’intonaco e il fiore rosso siano totalmente trasparenti in infrarosso; le zone grigio scuro che

si vedono sulla superficie sono dovute alle incrostazioni.

Fig. 173 - immagine in infrarosso del frammento n.1.

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Le immagini in luminescenza indotta da luce visibile (VIL) mostrano la presenza di blu egizio,

soprattutto nelle zone dello stelo che appaiono chiare in luce visibile. La presenza del blu egizio è

evidenziata nelle immagini dalla presenza di spot luminosi, che documentano il fenomeno della

luminescenza (Fig. 174).

Fig. 174 - particolare in VIL e in luce visibile della parte finale dello stelo

Dalle immagini si nota come la quantità di blu egizio presente nella parte verde scuro sia quasi nulla, a

differenza di quanto si tenderebbe a pensare, ipotizzando un verde a base di blu egizio e di un pigmento

giallo. In generale però si osserva come il blu egizio sia presente solo in piccolissime aree.

Alcune tracce di blu egizio si osservano anche nella parte inferiore dell’immagine vicino alla frattura.

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Fig. 175 -particolare in VIL e in luce visibile della parte iniziale dello stelo.

Alcune tracce più consistenti di blu egizio, sono visibili nella parte iniziale dello stelo. Confrontando le

immagini al visibile con quelle ottenute con la tecnica VIL, sembrerebbe che il blu egizio sia stato mescolato

con il bianco per ottenere un verde chiaro da sovrapporre al verde scuro (Fig. 175). L'ipotesi è che il blu

egizio sia stato usato per le lumeggiature dello stelo.

Le immagini in fluorescenza ultravioletta, infine, mostrano la presenza di una fluorescenza diffusa su

tutta la superficie, legata alle incrostazioni presenti su di essa.

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Fig. 176 -immagine in fluorescenza ultravioletta.

Una particolarità che si osserva dalle immagini in fluorescenza ultravioletta, è la forte fluorescenza delle

pennellate chiare (Fig. 176).

Inoltre sempre nelle immagini in fluorescenza si osserva come le aree in cui lo sfondo non è coperto

dalle incrostazioni ci sia una mancanza di riemissione della fluorescenza che indicherebbe la presenza di un

pigmento che assorbe la radiazione ultravioletta, come ad esempio, le ocre.

Campione n. 2

Fig. 177 - immagine in luce visibile del frammento di intonaco denominato campione n. 2.

Questo frammento, contrariamente al precedente è stato sottoposto a restauro e sono state rimosse le

incrostazioni sulla superficie, come si osserva anche da una prima ricognizione visiva (Fig. 177).

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L’immagine in infrarosso risulta più nitida e si nota intorno ai bordi del fiore un colore che assorbe la

radiazione infrarossa che potrebbe essere del nero a base di carbone (Fig. 178).

Fig. 178 - immagine in infrarosso del frammento n. 2

Osservando da vicino l'immagine in infrarosso, non sembra essere presente un disegno preparatorio o

comunque un contorno in tutte le aree del disegno.

Le immagini ottenute con la tecnica VIL mostrano la presenza di piccole quantità di blu egizio

soprattutto nel viticcio, come si osserva nell’immagine in figura 179.

Dalle immagini appare chiaro che il blu egizio è stato usato in miscela con un pigmento giallo per

ottenere questa campitura più chiara, mentre la campitura verde scuro del resto dello stelo è stata ottenuta

con un diverso tipo di pigmento.

Fig. 179 - immagini in luminescenza indotta da luce visibile (VIL).

Una piccola quantità di blu egizio si ritrova anche nel peduncolo del fiore; la quantità è però molto

inferiore a quella presente nel viticcio (Fig. 180).

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165 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 180 - particolare del peduncolo e del viticcio in VIL e in luce visibile.

Dalle immagini IRFC il rosso del fiore sembra ottenuto attraverso una stesura di cinabro che solitamente

presenta una colorazione arancio nelle immagini in infrarosso falso colore (Fig. 181).

Mentre lo stelo nelle aree più scure sembra ottenuto

con un pigmento a base di rame.

Naturalmente non è possibile dalla sola analisi delle

immagini in infrarosso falso colore avere la certezza

della composizione del pigmento; per questo motivo si

rimanda ad un’analisi più completa con tecniche non

invasive quali la fluorescenza X (XRF).

Le immagini in fluorescenza ultravioletta

confermano la presenza di un materiale di restauro che

emette una fluorescenza diffusa su tutta la superficie del

campione. Inoltre si osserva anche una goccia di un

materiale molto fluorescente che evidentemente è caduto

in un momento successivo al restauro della superficie

(Fig. 182).

Fig. 181 - particolare del fiore in infrarosso falso colore.

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166 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 182 -immagine in fluorescenza ultravioletta.

Campione n.3

Il frammento n. 3 come il frammento n. 1 presenta delle incrostazioni sulla superficie dipinta, soprattutto

in corrispondenza dei decori (Fig. 183).

Fig. 183 - immagine in luce visibile del frammento di intonaco denominato campione n. 3

Nelle immagini in infrarosso si osservano meglio le decorazioni dell’intonaco, grazie anche alla

trasparenza delle incrostazioni più sottili che non appaiono nelle foto in infrarosso (Fig. 184).

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167 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Nella parte destra del decoro, invece, non è visibile il cerchio interno, in parte a causa del maggiore

spessore delle incrostazioni e in parte dovuta alla perdita di materiale sulla superficie del dipinto.

Fig. 184 - particolare in infrarosso e in luce visibile del decoro.

Nelle immagini VIL appare una forte luminescenza all’interno della fibbietta che collega i due cerchi e

nel contorno del centro centrale di colore bianco; la luminescenza indica la presenza di blu egizio. Il

pigmento, nelle immagini VIL, è visibile anche in zone in cui non è più riconoscibile ad occhio nudo come si

osserva dal particolare in figura 185.

Fig. 185 -particolare in VIL del decoro.

Dall'osservazione in luce visibile, sia all'interno della fibbia sia all'interno del cerchio, non è possibile

differenziare le incrostazioni dalla stesura pittorica.

Grazie alle caratteristiche di luminescenza del blu egizio è possibile ottenere la distribuzione spaziale del

pigmento, permettendo di risalire all'originale colorazione dei due elementi. Inoltre, confrontando l'immagine

visibile con l'immagine in luminescenza indotta, si osserva come il pigmento sia stato steso sopra un fondo

giallo.

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168 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

L'ipotesi è che sia stato steso prima uno strato uniforme di pigmento giallo, con la funzione di

uniformare lo sfondo, e in seguito siano stati aggiunti i decori.

Nelle immagini in fluorescenza ultravioletta si osserva sulla superficie un materiale che ha un'emissione

di colore giallo e che forma delle ramificazioni. Data la forma di queste ramificazioni è stata avanzata

l’ipotesi che si tratti di residui organici depositati dagli apparati radicali delle piante (Fig. 186).

Fig. 186 -intero e particolare in fluorescenza ultravioletta della superficie del frammento.

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Campione n. 4

Fig. 187 -immagine in luce visibile del frammento di intonaco denominato campione n. 4.

Il frammento n. 4 presenta una serie di colori diversi:dal verde, al bianco, al marrone (Fig. 187).

Nelle immagini in infrarosso la parte del decoro centrale di colore verde è quasi del tutto trasparente,

come risulta anche trasparente il colore bianco in corrispondenza della curva inferiore. Confrontando

quest’ultimo con il pigmento bianco presente lateralmente rispetto al decoro centrale si osserva subito come

entrambi i colori pur apparendo uguali in luce visibile, abbiano un comportamento diverso nell’infrarosso

(Fig. 188).

Fig. 188 - immagine in infrarosso.

Nelle immagini VIL appare chiaro che il verde è stato ottenuto miscelando un pigmento giallo e blu

egizio, quest'ultimo è presente anche in campiture che in luce visibile appaiono scure, tendenti al bruno (Fig.

189).

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170 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 189 -particolare in VIL.

In minore quantità è presente anche nelle due fasce esterne centrali di colore rosso scuro. Confrontando

questa risposta con i provini effettuati in laboratorio, possiamo ipotizzare che il pigmento sia stato miscelato

insieme al rosso per ottenere un colore più scuro e che avesse una tinta più violacea.

Inoltre si osserva come in alcune zone del decoro centrale, dove è presente il pigmento bianco, non ci sia

la presenza di blu egizio.

In questo frammento di intonaco, molto più che negli altri analizzati, il pittore ha usato il blu egizio quasi

esclusivamente in miscela con altri pigmenti per ottenere diversi colori e sfumature.

Fig. 190 - immagine in fluorescenza ultravioletta.

La fluorescenza sulla superficie è molto bassa, eccetto per alcuni punti in corrispondenza delle aree

chiare, in cui troviamo una fluorescenza tipica dei pigmenti bianchi. Inoltre in alcune aree della superficie,

come per il campione precedente, si osservano delle tracce di fluorescenza non legate alla decorazione

pittorica. (Fig. 190)

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171 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Seconda serie

Sono stati studiati anche altri frammenti di intonaco dipinto e stucchi colorati, sempre appartenenti alla

collezione Gorga per determinare la presenza e la distribuzione spaziale del blu egizio. Per questa serie di

intona è stata usata solo la tecnica della luminescenza indotta.

Decoro con colonna

Fig. 191 - immagine in luce visibile e in luminescenza indotta da luce visibile.

Nel confronto tra l’immagine in luce visibile e l’immagine ottenuta con la tecnica della luminescenza

indotta si osserva come il blu egizio sia presente anche nella parte destra del frammento. La zona nelle

immagini in luce visibile appare di colore rosa/violetto ed è ipotizzabile che in questo caso sia stata utilizzata

una piccola quantità di blu per ottenere questa tonalità. Inoltre si osserva anche come le due fasce che

delimitano la colonna in alto e in basso di colore verde, non emettano luminescenza.

Questa risposta fa pensare che il verde sia stato ottenuto non da una miscela, come osservato su altri

frammenti (Fig. 189) ma da un pigmento verde, molto probabilmente a base di rame.

Se osserviamo i contorni della colonna si nota come il blu nella parte destra appaia in maniera netta sotto

il bordo della colonna, fino quasi a raggiungere il disegno centrale.

Nella parte sinistra invece il blu appare solo nelle zone dove il pigmento sovrastante è caduto o la

pellicola pittorica è deteriorata.

L'assenza di luminescenza al di sotto della colonna nella parte sinistra dell'immagine, può essere

ricondotta a due ipotesi: come discusso nel capitolo sulle proprietà del blu egizio, la presenza di pigmenti a

base di ematite limita molto il fenomeno della luminescenza, in questo caso la mancanza di emissione

potrebbe essere dovuta ad uno strato di ematite di elevato spessore, steso al di sopra della base di blu che

osserviamo sul lato sinistro dell'immagine. Meno probabile risulta invece l'ipotesi che il blu sia stato steso al

Page 21: Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

172 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

di sotto del pigmento bianco, in questo caso come nella parte destra della colonna, la luminescenza dovrebbe

essere visibile.

Come si osserva dall'immagine (Fig. 191), la parte a sinistra è leggermente fuori fuoco, questo problema

è riconducibile alle limitazioni delle fotocamere che non sono dotate di Live View. In questo caso, infatti, la

base irregolare del frammento di intonaco ha impedito il posizionamento di tutta la superficie del frammento

perpendicolarmente alla macchina fotografica.

Il frammento infatti, posizionato su un tavolo non poteva essere nè mosso nè la macchina fotografica

poteva essere avvicinata ulteriormente ed è stato necessario quindi intervenire sulla focale.

L'impiego di una focale alta ha ridotto la profondità di campo anche se l'immagine è stata acquisita con

valore di diaframma f/10.

Il problema della riduzione della profondità di campo a focali alte è un parametro di cui tenere conto nel

momento in cui si lavora con fotocamere che sono "cieche" con i filtri scuri e che quindi non permettono un

controllo immediato su ciò che viene acquisito.

Decori floreali

Fig. 192 - immagine in luce visibile e in luminescenza indotta da luce visibile.

Nell’immagine in luminescenza indotta si osserva come il fiore emetta una forte luminescenza. Anche

parte delle foglie sono state ottenute attraverso una miscela di blu egizio e un pigmento giallo. Il decoro in

alto presenta anch’esso luminescenza ma in maniera molto più attenuata.

Nella parte in basso, nell'immagine VIL, si osserva come la pennellata verde scuro non presenti

luminescenza permettendo così di ipotizzare l'uso di un diverso pigmento e non in miscela con il blu egizio.

Inoltre sempre nella stessa immagine si possono distinguere i contorni delle foglie tracciati, molto

probabilmente, con del pigmento nero. In questo caso sembrerebbe che il pittore si sia servito di un disegno

preparatorio per delimitare le aree in cui stendere i diversi colori.

Page 22: Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

173 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 193 - frammento in luce visibile e in luminescenza indotta da luce visibile.

Nel secondo decoro floreale sono state trovate tracce di blu egizio anche in zone dove la presenza del

pigmento non era ipotizzabile, come ad esempio sulla superficie del frutto. Le altre aree in cui il blu egizio è

presente sono le foglie, in particolare nelle zone di colore verde più chiaro. Fa eccezione in basso l’area

vicino alla frattura, in cui appaiono pochissime tracce luminescenti.

In questo caso diversamente dal precedente non sembra esserci un disegno a contornare i vari elementi,

eccetto per alcune zone in corrispondenza delle foglie, dove però le linee scure sembrano collegate più al

pigmento che appare verde scuro ad occhio nudo, che ad un vero e proprio disegno.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

174 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Decoro rosso e blu

Fig. 194 - frammento in luce visibile e in luminescenza indotta da luce visibile.

Nel caso del frammento con il decoro rosso al centro si osserva come il blu egizio sia stato dato come

base sulla quale è stata dipinta la decorazione. I punti in cui il pigmento rosso è ancora presente in uno strato

compatto non si osserva luminescenza del pigmento blu. Inoltre, si nota come al di sotto dei decori bianchi ci

sia un pigmento che nelle immagini in luce VIL appare scuro. Nei campioni preparati in laboratorio i bianchi

testati (biacca e carbonato di calcio) non emettono luminescenza, ma appaiono comunque chiari. La presenza

di questo comportamento al di sotto della stesura di bianco indica quindi la presenza di un diverso pigmento.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

175 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Decoro su fascia nera

Fig. 195 - immagine in luce visibile e in luminescenza indotta da luce visibile.

In questo decoro si osserva bene in luminescenza indotta dal blu usato per i petali dei fiori e per la fascia

superiore, mentre la fascia verde in basso appare meno luminescente. In questo caso la diversa

concentrazione di blu egizio crea una sovraesposizione o sottoesposizione di una delle due parti.

Nei petali del fiore sulla sinistra il blu egizio è steso puro, come si osserva dalla forte luminescenza che

appare nell'immagine (Fig. 195).

La forte luminescenza di questi punti può portare a sottostimare altre aree in cui la quantità di blu egizio

è minore, come in questo caso.

Per questo motivo, in presenza di grosse quantità di pigmento, è sempre utile acquisire una seconda

immagine dove da una parte risulteranno sovraesposte queste zone ma dall'altra renderà visibili anche aree in

cui il pigmento è presente in minore concentrazione.

Infatti, acquisendo un particolare dell’area verde si nota meglio la luminescenza di questa zone potendo

così evidenziare anche la luminescenza debole ma presente, sui riccioli che circondano il fiore sulla sinistra

(Fig. 196). In questo caso a differenza di quelli descritti precedentemente, il verde è stato ottenuto con blu

egizio e un pigmento giallo.

Fig. 196 - particolare in VIL

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

176 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Frammento circolare

Fig. 197 - immagine in luce visibile e in VIL.

Nell’immagine in luminescenza indotta si osserva bene come la figura centrale sia stata contornata dal

pigmento, almeno per quanto riguarda le ali, mentre il corpo sembra essere dipinto sopra lo sfondo. In questo

caso è interessante notare come nelle zone in cui il pigmento manca o comunque si osserva questo colore

celeste/verde molto tenue la luminescenza sia del tutto assente. Per quanto riguarda il corpo del cherubino,

solo una parte sembra mostrare la presenza del blu egizio. Osservando la spalla questa risulta luminescente,

viceversa, il viso non presenta luminescenza eccetto che per alcuni spot (Fig. 197).

Mensola decorata

Fig. 198 - immagine in luce visibile e in VIL.

Nel caso della mensola decorata, siamo in presenza di una miscela con una bassa concentrazione di blu

egizio, in quanto la luminescenza indotta è molto debole. Anche acquisendo l’immagine della sola area

azzurra si nota come la luminescenza sia comunque molto bassa, il che fa ipotizzare la presenza di esigue

quantità del pigmento stesso.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

177 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 199 - particolare dell'area celeste in VIL

Stucco con decorazioni a fiori di loto

Fig. 200 - particolare in luce visibile e in VIL.

Nel caso di questo frammento il blu egizio è nella parte dei decori in alto, ma anche sul decoro a forma

di V in basso dove risulta del tutto invisibile all'osservazione diretta. Inoltre sempre grazie alle riprese VIL

viene evidenziata una fascia non più visibile ad occhio nudo e che si trova appena sotto la fascia rossa. In

questa immagine quindi possiamo osservare come la VIL sia uno strumento molto utile nella

caratterizzazione e nel posizionamento delle campiture in cui è stato usato il blu egizio.

Page 27: Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

178 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Stucco con decori a riquadri

Fig. 201 - immagine in luce visibile

Fig. 202 - immagine in VIL.

Confrontando le immagini in luce visibile con quelle in luminescenza indotta si osserva come il riquadro

sulla sinistra sia composto tutto da blu egizio, come anche il frammento di blu che si osserva all'estrema

destra. Su tutta la superficie sono presenti degli spot luminosi che rappresentano quantità infinitesimali di blu

egizio, e data la loro distribuzione sembra trattarsi di una deposizione accidentale del pigmento piuttosto che

uno strato intenzionale. È inoltre interessante osservare come il riquadro centrale di colore violaceo, non

presenti luminescenza.

Conclusioni

L'analisi con le tecniche di fotografia multispettrale e la quantità di informazioni ottenibili da queste

indagini si è dimostrata un valido aiuto per gli archeologi.

Nel primo nucleo di intonaci analizzati le informazioni ottenute vanno dall'identificazione di alcuni

pigmenti e della distribuzione spaziale del blu egizio, fino alle possibili ipotesi sulla storia conservativa dei

pezzi antecedente al momento della loro acquisizione da parte del collezionista Gorga.

Grazie alla fluorescenza ultravioletta è stato possibile osservare una serie di ramificazioni sulla

superficie che potrebbero essere ricondotte ad una infestazione, nel passato, da parte di piante o di funghi che

hanno lasciato traccia all'interno delle concrezioni presenti sulla superficie.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

179 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Le immagini acquisite con la fotografia nel vicino infrarosso, in alcuni frammenti, hanno permesso di

identificare dei tratti della figura con un contorno molto marcato e che assorbono la radiazione, che potrebbe

essere riconducibile ad un disegno preparatorio.

La tecnica della luminescenza indotta da luce visibile, inoltre, ha permesso di identificare e delimitare

spazialmente il blu egizio.

Grazie a questa innovativa tecnica è stato possibile mappare la presenza del pigmento nel secondo

gruppo di frammenti appartenenti al nucleo di intonaci romani della collezione Gorga, evitando di prelevare

campioni. I frammenti sono stati analizzati direttamente nei locali in cui erano conservati senza la necessità

di trasportarli in altri ambienti, riducendo in questo modo anche i rischi legati allo spostamento di oggetti

così fragili.

La tecnica dimostra ampie possibilità di utilizzo, soprattutto per poter effettuare una prima ricognizione

dell'oggetto e indicare la presenza del pigmento anche in aree dove non sia più visibile ad occhio nudo, come

abbiamo visto in alcuni dei frammenti esaminati. In questo modo è possibile anche orientare le successive

analisi.

Inoltre la versatilità di questa tecnica permette di analizzare velocemente una grande quantità di

campioni.

L’unica limitazione è l’assenza dell’opzione Live View nella fotocamera utilizzata (Canon EOS 400D)

che non permette di scattare le foto a mano libera ma obbliga la macchina su un cavalletto. Inoltre l’opacità

del filtro permette di mettere a fuoco solo prima del posizionamento dello stesso sulla lente.

La serie di operazioni legate a questo problema obbliga a tempi più lunghi per l’acquisizione di ogni

singola immagine.

Oggetti di provenienza chiusina del Museo Archeologico e d'Arte della Maremma

Introduzione

Il nucleo principale è costituito da un gruppo di urne, identificabili con quelle scavate da Alessandro

François nel 1856 e in seguito vendute dal capitano Sozzi al canonico Chelli in due mandate, rispettivamente

nell'estate del 1864 e nell'ottobre del 1865. Le urne furono rinvenute in tre ipogei, due in località Il Colle e

uno in località La Pellegrina.

La ricostruzione dei contesti è ancora oggi possibile grazie alla pubblicazione di François, corredata di

accurate descrizioni, sul "Bullettino di Corrispondenza Archeologica" (François, 1856).

Le urne esposte presentano tutte delle tracce di colore ancora visibili ad occhio nudo. Infatti, i reperti

etruschi, soprattutto le tombe ipogee, nella maggior parte dei casi conservano ancora ampie campiture di

colore che sono state studiate recentemente da un punto di vista della caratterizzazione dei materiali. (Sodo,

et al., 2008; Verri, Gleba, Swaddling, Long, Ambers, & Munden, 2014)

Le analisi anche in questo caso si sono limitate all'identificazione della presenza del blu egizio sui decori

delle urne. Infatti, non potendo spostare le urne dalla loro collocazione museale, è stato scelto di effettuare

Page 29: Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

180 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

una prima ricognizione sulle opere ed in seguito decidere con la direzione del Museo un'eventuale

spostamento temporaneo per permettere ulteriori indagini.

Le urne sono un interessante caso studio perché le riprese sono state eseguite in ambiente museale, di

conseguenza con le luci accese e con gli oggetti ripresi ad una distanza rilevante senza spostarli dalla loro

sede espositiva (Fig. 203).

Fig. 203 - riprese effettuate presso il Museo Archeologico e d'Arte della Maremma.

Alcune urne presentano composizioni semplici o figure isolate, ma la maggior parte è decorata con scene

riferibili a miti greci.

Tecniche di fotografia multispettrale

Fotografia in luce visibile (VIS)

Condizioni di ripresa: l'acquisizione delle immagini in luce visibile è stata effettuata con una fotocamera

Canon EOS 7D. La fotocamera è dotata di un sensore CMOS da 22.3x14.9 mm, con una risoluzione effettiva

di 18 Mpixel (5184x3456 pixel) e un filtro low pass integrato con rivestimento al fluoro.

È stato usato un obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della Schneider Optics B+W

digital 486 UV/IR blocking, il bilanciamento del bianco e il controllo dell’esposizione sono stati effettuati

con una tavola di calibrazione della X-rite e lo standard Spectralon® riflettente al 99%.

Come sorgenti di radiazione visibile sono stati usati due flash della Quantum Instruments modello Qflash

T5dR con filtri della Schneider Optics B+W digital 486 UV/IR blocking per filtrare solo la radiazione nello

spettro del visibile, fino a 700 nm.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

181 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Luminescenza indotta da luce visibile (VIL)

Condizioni di ripresa: l’acquisizione delle immagini è stata ottenuta con una fotocamera Canon EOS

400D, modificata attraverso la rimozione del filtro infrarosso interno. La fotocamera è dotata di un sensore

CMOS da 22.2x14.8 mm con una risoluzione effettiva di 10,10 Mpixel (3888 x 2592 pixel), con filtro colore

RGB. Le immagini sono state registrate in formato RAW con sensibilità nominale di 100 ISO. È stato usato

un obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della Schneider Optics B+W Infrared Filter 093. Il

bilanciamento del bianco e il controllo dell’esposizione sono stati effettuati con una tavola di calibrazione

della X-rite e lo standard Spectralon® riflettente al 99%. Come sorgenti di radiazione visibile sono stati usati

due flash della Quantum Instruments modello Qflash T5dR con filtri della Schneider Optics B+W digital 486

UV/IR blocking per filtrare solo la radiazione nello spettro del visibile, fino a 700 nm.

Urna con coperchio

Fig. 204 - urna con coperchio.

Questa urna proviene dalla zona di Chiusi, precisamente dalla località Il Colle, ed appartiene al gruppo di

urne in gesso alabastrino con coperchio. Oltre al coperchio su cui è rappresentato il defunto, la cassa è

decorata sul fronte. Il decoro rappresenta la scena con la gara fra Pelope ed Enomao e risale al III secolo a.C.

Nelle immagini in luminescenza indotta da luce visibile, si osservano alcune delle stesure di blu egizio

ancora presenti sui decori, come ad esempio la parte inferiore dell'armatura del personaggio in primo piano

(Fig. 205).

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

182 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 205 - immagine in luminescenza indotta da luce visibile.

Grazie alla sensibilità della tecnica è possibile osservare la presenza del pigmento blu anche in zone in

cui quest'ultimo non si percepisce ad occhio nudo, come ad esempio il personaggio seduto all'estrema destra

della decorazione (Fig. 206).

Fig. 206- particolare in VIL e luce visibile.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

183 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 207 - particolare del personaggio in primo piano in luce visibile e in VIL.

Un altro esempio della sensibilità della tecnica di ripresa è riportato nell'immagine in figura 207.

Per visualizzare in maniera più diretta la distribuzione del blu egizio è possibile sovrapporre l'immagine

acquisita con la tecnica VIL con la foto in luce visibile (Fig. 208).

Questo permette di visualizzare meglio i particolari dell'immagine che inevitabilmente si perdono

durante l'acquisizione dell'immagine in luminescenza indotta da luce visibile.

Fig. 208 - immagine ottenuta sovrapponendo la foto in luce visibile alla foto in VIL

Page 33: Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

184 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Urnetta

La seconda urna analizzata, a differenza dell'altra, è in terracotta e mostra una maggiore presenza di

diversi pigmenti sulla superficie.

L'urna, rinvenuta nella zona di Chiusi e risalente al II secolo a.C., è priva di coperchio e nella faccia

anteriore presenta un rilievo che riproduce il duello tra Eteocle e Polinice.

Fig. 209 - urna in terracotta.

In questo caso la terracotta, grazie alle sue caratteristiche, ha preservato sulla superficie molti più colori

dell'urna discussa in precedenza. Si osservano, infatti, residui di colore: marrone, giallo, rosso scuro e molti

punti in cui è presente il blu e sul fondo una stesura uniforme di bianco (Fig. 209).

Fig. 210 - immagine in VIL

L'immagine in luminescenza indotta da luce visibile mostra la presenza di blu egizio in tutte le zone in

cui appaiono le campiture blu. Inoltre osservando più attentamente l'immagine si notano anche zone in cui il

pigmento non è più visibile, ma che in luminescenza indotta mostrano emissione.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

185 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Ad esempio il personaggio alato sulla sinistra del decoro, presenta una serie di fasce sul braccio dipinte

con il pigmento blu egizio che non più visibili ad occhio nudo (Fig. 211).

Fig. 211 - particolare in VIL e luce visibile del personaggio alato sulla sinistra.

La stessa osservazione può essere fatta per il braccio destro. Anche in questo caso si osservano, in VIL,

due fasce sul braccio non più visibili ad occhio nudo.

Sempre in questa immagine si osserva anche che la luminescenza del blu egizio aiuta a definire in

maniera più dettagliata i particolari dell'armatura della figura in primo piano.

Fig. 212 - particolare dell'armatura di uno dei personaggi in primo piano.

L'immagine in luminescenza indotta della figura inginocchiata, sempre in primo piano, mostra la

distribuzione del blu egizio sull'armatura e sul bordo dello scudo vicino. Da queste immagini si può dedurre

che la campitura di blu egizio si estendeva su tutta la superficie dell'armatura (Fig. 212).

Anche in questo caso la luminescenza appare in aree dove il blu egizio non è più visibile a occhio nudo.

Per posizionare meglio le aree luminescenti, è stata sovrapposta all'immagine in luce visibile quella in

luminescenza indotta (Fig. 213).

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nell'antichità.

186 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 213 - sovrapposizione dell'immagine VIL con l'immagine in luce visibile.

Conclusioni

In questo caso studio è importante notare la versatilità della tecnica di luminescenza indotta da luce

visibile.

I due oggetti presentati, infatti, non sono stati spostati dalla loro sede di esposizione e sebbene non sia

stato possibile un accesso diretto all'oggetto, la tecnica ha comunque permesso una prima ricognizione della

superficie e un'identificazione spaziale delle stesure a base di blu egizio.

Inoltre bisogna tener conto che le riprese sono state effettuate in un ambiente in cui era presente sia

l'illuminazione museale, sia la luce esterna proveniente dall'entrata.

Infatti, questi due oggetti si trovano nella prima sala del museo, adiacente all'entrata e dove è collocato

anche il banco della biglietteria, quindi oltre ad avere un apporto di luce proveniente dalle porte a vetri,

presentano anche un' illuminazione ambientale di maggiore intensità rispetto alle altre sale del museo.

Come però si può osservare dalle immagini VIL tali fonti esterne non influiscono in maniera

compromettente sul risultato finale. Questo grazie all'utilizzo dei flash che permettono tempi di ripresa molto

rapidi. In questo modo la radiazione parassita, anche se presente nell'ambiente di acquisizione dell'immagine,

sarà, a parità di tempo, nettamente inferiore all'apporto in termini di potenza radiante dei flash.

In conclusione possiamo dire che la tecnica della luminescenza indotta da luce visibile è un utile metodo

per identificare la presenza di blu egizio senza dover necessariamente essere molto vicini all'oggetto.

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nell'antichità.

187 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Statue dell'Augusteum di Roselle

Introduzione

L'insediamento di Roselle, risalente all’età del ferro, occupa un'altura formata da due sommità divise da

un avvallamento e posta in posizione dominante sul lago Prile nella bassa valle del fiume Ombrone.

Il sito è caratterizzato da una stratificazione complessa, risultato di una lunga storia di insediamenti tra

cui anche una città di epoca etrusca.

L'arrivo dei Romani (294 a.C.) determinò importanti trasformazioni urbanistiche, sociali ed economiche.

Nel corso dell'età imperiale si ebbe la monumentalizzazione della città, attraverso la costruzione di edifici

pubblici e privati e di nuove infrastrutture.

Infatti i decenni compresi fra l'inizio del regno di Augusto (27 a.C. -14 d.C.) e la fine di quello di

Claudio (41-54 d.C.) furono per la città e per il territorio un periodo di prosperità. Il I secolo d.C. fu

caratterizzato da un'imponente attività edilizia che cambiò radicalmente l'urbanistica del centro cittadino.

Il monumento che documenta in modo più evidente il rapporto fra la città e la dinastia giulio-claudia è

certamente l'Augusteo, sede di culto imperiale in cui era in origine il ciclo statuario esposto al Museo

Archeologico e d'Arte della Maremma.

Il sito è stato scavato in maniera intensiva nella seconda metà del secolo scorso e parte della necropoli

Etrusca e della città Romana sono state scoperte. Tra i monumenti ritrovati dell'epoca romana il più

importante è il foro.

Durante l'epoca Augustea la piazza fu allargata e diversi monumenti furono aggiunti, tra cui l'Augusteo

nell'angolo sud ovest della piazza.

Gli scavi nell'Augusteo, iniziati nel 1966, hanno portato alla scoperta di diverse statue, tra cui le sculture

della famiglia imperiale, risalenti al I secolo d.C. (Citter, 1996)

Nonostante lo stato frammentario dei pezzi, questo nucleo è una delle più ricche serie di questo tipo in

Italia.

Fig. 214 - rilievo dei ritrovamenti delle statue nell'Augusteo.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

188 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Le analisi eseguite durante la campagna di diagnostica per l'edizione dell'Augusteo, in collaborazione

con il Prof. Paolo Liverani docente del Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo

dell'Università di Firenze e la Dott.ssa Sara Lenzi, dottoranda di ricerca in Storia, indirizzo Storia e

Archeologia, del medesimo dipartimento, sono state rivolte alla caratterizzazione dei materiali e delle tracce

di colore ancora presenti sulla superficie delle statue. Le analisi eseguite sono state principalmente di

carattere non invasivo e solo in due punti è stato necessario prelevare due micro-campioni per approfondire

alcuni dubbi sollevati dagli archeologi.

Sono state analizzate sette statue appartenenti al ciclo dell'Augusteo: le due sculture divinizzate di Cesare

e Livia, Giulia Livilla, una statua di un generale romano, una statua di una giovane ragazza, un frammento di

gamba appartenente ad una statua di un generale e la testa-ritratto di Claudio. (AA.VV., 1978)

Tecniche di fotografia multispettrale

Fotografia in fluorescenza ultravioletta (UV)

Condizioni di ripresa: l'acquisizione delle immagini in luce visibile è stata effettuata con una fotocamera

Canon EOS 7D. La fotocamera è dotata di un sensore CMOS da 22.3x14.9 mm, con una risoluzione effettiva

di 18 Mpixel (5184x3456 pixel) e un filtro low pass integrato con rivestimento al fluoro.

Le immagini sono state registrate in formato RAW con sensibilità nominale di 100 ISO. È stato usato un

obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della Schneider Optics B+W digital 486 UV/IR

blocking. Il bilanciamento del bianco e il controllo dell’esposizione sono stati effettuati con lo standard

Spectralon® riflettente al 99% e un colorchecker della X-rite. Come sorgenti di radiazione ultravioletta sono

stati usati due flash della Quantum Instruments modello Qflash T5dR con filtri della Schneider Optics B+W

403 UV passband per trasmettere solo la radiazione ultravioletta.

Fotografia in luce visibile (VIS)

Condizioni di ripresa: l'acquisizione delle immagini in luce visibile è stata effettuata con una fotocamera

Canon EOS 7D.

È stato usato un obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della Schneider Optics B+W

digital 486 UV/IR blocking, il bilanciamento del bianco e il controllo dell’esposizione sono stati effettuati

con una tavola di calibrazione della X-rite e lo standard Spectralon® riflettente al 99%.

Come sorgenti di radiazione visibile sono stati usati due flash della Quantum Instruments modello Qflash

T5dR con filtri della Schneider Oprtics B+W digital 486 UV/IR blocking per filtrare solo la radiazione nello

spettro del visibile, fino a 700 nm.

Luminescenza indotta da luce visibile (VIL)

Condizioni di ripresa: l’acquisizione delle immagini è stata ottenuta con una fotocamera Canon EOS

400D, modificata attraverso la rimozione del filtro infrarosso interno. La fotocamera è dotata di un sensore

CMOS da 22.2x14.8 mm con una risoluzione effettiva di 10,10 Mpixel e una risoluzione di 3888 x 2592

Page 38: Fig. 163 - IRIS Università degli Studi di Firenze

Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

189 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

pixel, con filtro colore RGB. Le immagini sono state registrate in formato RAW con sensibilità nominale di

100 ISO. È stato usato un obiettivo Canon EF S 18-135 f/3.5-5.6 IS con un filtro della Schneider Optics

B+W Infrared Filter 093. Il bilanciamento del bianco e il controllo dell’esposizione sono stati effettuati con

lo standard Spectralon® riflettente al 99% e una piastrina di marmo con un residuo di blu egizio.

Come sorgenti di radiazione sono stati usati due flash della Quantum Instruments modello Qflash T5dR

con filtri della Schneider Optics B+W digital 486 UV/IR blocking per filtrare solo la radiazione visibile.

Microscopia digitale portatile (MD)

Metodo: acquisizione di immagini digitali tramite microscopio portatile Dino-Lite AM413T, dotato di

zoom ottico 10-50x. Le immagini sono state acquisite con una risoluzione di 1,3 Mpixel, con una fotocamera

incorporata con sensore CMOS da 1280x1024 pixel. L’illuminazione è fornita da 8 LED a luce bianca

disposti a corona intorno all’obiettivo.

Analisi elementare tramite fluorescenza a raggi X (XRF)

Metodo: per le misure della fluorescenza a raggi X è stato utilizzato uno strumento portatile, modello

Tracer III-SD della Bruker. L’apparecchio è costituito da un tubo a raggi X al rodio (Rh) e da un rivelatore a

dispersione di energia di 10 mm2 con tecnologia SSD (Silicon Drift Detector). Le impostazioni di

acquisizione sono: voltaggio di 40 kV e corrente di 12 µA, tempo di acquisizione 60 secondi. Sono state

effettuate su alcuni punti due misure: una prima misura senza filtro e la seconda con il filtro giallo per

aumentare la resa dei conteggi dell'oro e di altri metalli pesanti.

Il filtro giallo è costituito da 12 mm di Al accoppiato con 1 mm di Ti e seleziona tutte le righe tra il

titanio e l'argento e dal vanadio al bismuto.

I dati sono stati registrati tramite palmare integrato ed elaborati con il software dedicato Artax.

Spettroscopia in riflettanza nel visibile mediante l’uso di fibre ottiche (VIS - FORS)

Metodo: gli spettri sono stati acquisiti utilizzando come sorgente una lampada al tungsteno e come

detector uno spettrometro Ocean Optics (mod. HR2000) equipaggiato con fibre ottiche. La testa di misura

con illuminazione a due bracci orientati a 45° rispetto alla normale alla superficie e raccolta del segnale a 0°,

permette l’acquisizione dello spettro di riflettanza di un’area di circa 2 mm2. Ogni spettro acquisito è la

media di 30 scansioni. Come riferimento è stata impiegata una piastrina di Spectralon®, riflettente al 99%.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

190 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Risultati delle indagini

Augusto(prima metà del I secolo d.C.)

La prima statua presentata è la raffigurazione a dimensioni monumentali di Augusto, rappresentato in

accordo con l'iconografia del tempo, come una divinità seduta: Giove Capitolino. Questa statua è una

probabile copia della statua di culto posta nel tempio del divo Augusto a Roma.

Di questa statua si conservano poche parti tra cui il tronco e la parte inferiore. All'interno della toga che

copre le gambe si osserva una zona di colore rosso chiaro.

Fig. 215 - statua di Augusto con indicazione, in rosso, dell'area con presenza di colorazione.

Le analisi in fluorescenza ultravioletta mostrano la presenza di una zona con assenza di emissione, che

corrisponde all'area di colore rosso (Fig. 216).

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

191 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 216 - immagine in fluorescenza ultravioletta e in luce visibile dell'area con colore rosso.

Inoltre sempre nell'immagine in fluorescenza ultravioletta si osserva come le stuccature per collegare il

ginocchio al resto del corpo appaiano scure in fluorescenza (Fig. 216).

Le tracce di colore rosso all'interno del ginocchio sono le uniche ritrovate sulla superficie della statua.

Come discusso in precedenza nel capitolo sui provini di laboratorio, le ocre, soprattutto rosse a base di

ematite, sono maggiormente persistenti sulla superficie del marmo anche dopo dilavamento della superficie.

Sia le analisi FORS sia le analisi XRF mostrano la presenza di ossidi e idrossidi di ferro, attribuibili ad

un pigmento a base di terre come le ocre.

Le stesse considerazioni fatte negli altri casi studio sono valide anche in questo caso; a meno di una

chiara evidenza di volontà del pittore di usare un'ocra, è difficile poter distinguere una stesura di pigmento

intenzionale da un residuo di terra dello scavo.

In realtà in questo caso, trattandosi della toga di Augusto è probabile che fosse dipinta di rosso come

riportano gli studi condotti dagli archeologi (Liverani, Per una "Storia del colore". La scultura policroma

romana, un bilancio e qualche prospettiva, 2014), ma le tracce di pigmento si estendono solo ad una zona

molto circoscritta che non ci permette di fare un’ipotesi certa.

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nell'antichità.

192 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Livia (prima metà del I secolo d.C.)

La seconda scultura analizzata raffigura Livia, che come Augusto di cui è la moglie, è rappresentata

come una divinità seduta, Cerere, e con misure maggiori del normale.

In questo caso le indagini si sono concentrate soprattutto nella parte alta della testa, dove la presenza di

una corona decorata poteva far sperare in qualche traccia di colore residuo o doratura. Purtroppo non ci sono

trovate evidenze di tracce di colore.

Fig. 217 - statua di Livia.

Nell'immagine in fluorescenza ultravioletta, in alto nella capigliatura sul lato destro appare una

fluorescenza molto intensa e di colore giallo, che può essere collegata ad un intervento di manutenzione delle

statue avvenuto in passato (Fig. 218).

Fig. 218 - particolare in fluorescenza ultravioletta del residuo organico.

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nell'antichità.

193 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Sempre in fluorescenza ultravioletta è possibile notare sulla parte anteriore della statua, all'altezza del

ventre e sulla parte sinistra della testa, questa fluorescenza con un disegno molto particolare.

In questo caso è stato visto che le aree più fluorescenti corrispondono alle zone in cui ad occhio nudo si

osservano dei residui di incrostazioni (Fig. 219).

Le incrostazioni, solitamente, non presentano emissione se irraggiate con l'ultravioletto; però se durante i

passati interventi di restauro o manutenzione è stata stesa sulla superficie della sostanza organica, allora è

probabilità che la maggiore porosità delle incrostazioni abbia assorbito queste sostanze.

Fig. 219 - A lato particolari in

fluorescenza ultravioletta delle due aree

segnate in rosso.

Bisogna tenere conto che fino agli anni '80 è difficile trovare delle testimonianze scritte dei restauri che

ciascuna statua ha subito, come anche dei trattamenti o delle sostanze stese sulla superficie.

Non è infatti da molto tempo che musei e collezioni pubbliche adottano rigorose schede descrittive di

tutti gli interventi e le relative sostanze usate.

Dato che le immagini in fluorescenza ultravioletta non hanno mostrato particolari evidenze, è stato

deciso di non eseguire le analisi puntuali.

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nell'antichità.

194 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Giulia Livilla (prima metà del I secolo d.C.)

Una delle statue dei rappresentanti della famiglia giulio-claudio, presenti nell'augusteo insieme ai due

divi Augusto e Livia, è la figlia di Germanico e Agrippina Maggiore, Giulia Livilla.(Fig. 220).

Fig. 220 - statua di Giulia Livilla

La statua, trattandosi di un personaggio minore, è rappresentata con dimensioni naturali. Presenta alcune

tracce di colore soprattutto nell'incavo tra una ciocca e l'altra nella parte alta della testa.

Fig. 221 - immagine in luce visibile e particolare in fluorescenza ultravioletta.

Le tracce, come si nota in figura 221, non emettono fluorescenza e appaiono scure.

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nell'antichità.

195 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

In questo punto non è stato possibile effettuare le analisi con le tecniche spettroscopiche, in quanto i

residui si trovano all'interno di scanalature e quindi difficilmente raggiungibili anche con la sonda a fibre

ottiche della FORS. Per quanto riguarda l'XRF, invece, non è stato possibile posizionare la testa dello

strumento a contatto con la superficie, a causa delle onde che lo scultore ha ideato per rendere il movimento

dei capelli. La mancanza di contatto e quindi la presenza di uno strato di aria tra la superficie e la camera in

cui è posto il sensore, provoca una lettura errata dei conteggi dovuta un'attenuazione dei raggi X da parte

dell'aria. Un'altra zona con alcune tracce di colore rosso è presente nella parte posteriore della toga (Fig.

222).

Fig. 222 - particolare in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta della parte posteriore della toga.

Anche in questo caso le aree di colore rosso appaiono in fluorescenza ultravioletta come aree nere.

Inoltre si nota, come nella statua di Livia, ci sia corrispondenza tra le zone fluorescenti e le aree con

incrostazioni.

Le analisi effettuate su queste aree con la tecnica FORS mostrano l'andamento tipico degli ossidi

idrossidi di ferro, confermati dalla presenza dei conteggi per le righe del ferro negli spettri XRF (Fig. 223).

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nell'antichità.

196 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 223 - spettro FORS del punto LIV_01

In questa statua come nelle altre analizzate fino ad ora, le uniche tracce di colore sulla superficie sono da

imputare alla presenza di ocre.

Statua di giovane ragazza (50 d.C. circa)

Questa statua non ha un'attribuzione certa, secondo alcuni studiosi si tratterebbe del ritratto della giovane

Ottavia.

Fig. 224 - statua di giovane ragazza.

La statua presenta tracce di rosso soprattutto nella parte anteriore della tunica, mentre su tutto il resto

della superficie non appare nessuna particolare evidenza di tracce di colore.

L'immagine in ultravioletto mostra la presenza di residui di organico dovuti all'adesivo usato per

l'incollaggio di alcuni frammenti (Fig. 225).

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nell'antichità.

197 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 225 - particolare in fluorescenza ultravioletta della tunica.

Anche in questo caso le tracce trovate possono essere collegate a ossidi idrossidi di ferro.

In questa statua, come nella statua rappresentante Livia e Giulia Livilla, sono presenti nuovamente le

aree con alta fluorescenza corrispondenti alle incrostazioni sulla superficie. In particolare la fluorescenza si

nota nella zona della mano destra e in alcuni punti del viso (Fig. 226).

Fig. 226 - particolare in fluorescenza ultravioletta della mano destra e del viso.

Grazie alla fluorescenza ultravioletta è stato possibile osservare l'estensione dell'integrazione fatta in

corrispondenza della base del collo che, qui come nelle integrazioni presenti su Augusto, non emettono

fluorescenza.

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198 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Particolare è la zona dell'occhio sinistro che presenta delle aree dove la sostanza fluorescente si è

condensata maggiormente.

Ritratto di Claudio

Questa scultura di cui è stato ritrovato solo il volto, rappresenta il ritratto di Claudio con la testa cinta da

una corona di quercia (corona civica). Si tratta forse di una rilavorazione del ritratto di Caligola.

Fig. 227 - ritratto di Claudio.

Nelle immagini in fluorescenza ultravioletta si osservano delle emissioni più intense soprattutto in

corrispondenza della corona di foglie di quercia.

Una particolarità che si nota immediatamente è la diversa fluorescenza dell'integrazione rispetto a quelle

viste fino ad ora.

In questo caso l'integrazione appare chiara e presenta una fluorescenza bianca a differenza delle altre

viste sulle statue di Augusto e della giovane ragazza (Fig. 228).

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nell'antichità.

199 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 228 - immagine in fluorescenza ultravioletta.

Questo ritratto di Claudio presenta una colorazione rossa molto intensa nella parte sinistra del collo e

all'inizio della mascella.

Fig. 229 - immagine in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta del lato sinistro del ritratto di

Claudio.

Come si osserva dalla figura 229 le tracce di colore rosso appaiono scure in fluorescenza ultravioletta e

questo ci può orientare sulla possibile composizione del pigmento.

Le analisi con le tecniche puntuali FORS e XRF hanno mostrato la presenza di ferro come si osserva

negli spettri del punto n. 1, che corrisponde all'area alla base del collo dove il colore è più visibile.

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nell'antichità.

200 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 230 - spettro FORS del punto n.1 confrontato con lo spettro di riferimento dell'ematite.

In questo caso lo spettro del punto n. 1 è stato confrontato con lo spettro delle stesure di riferimento

create in laboratorio e caratterizzate con le tecniche usate in questo lavoro di ricerca. L'andamento della

curva tra 450 nm e 520 nm fa pensare che non si tratti solo di ossidi di ferro puri ma che ci sia la presenza di

idrossidi di ferro, anche se in misura minore.

Fig. 231 - spettro XRF del punto n.1

È interessante osservare come sul mento e sulla guancia sinistra appaia una striscia con fluorescenza

gialla, che, vista anche la forma, corrisponde a residui di nastro adesivo (Fig. 232).

5 10 15 20

- keV -

0

50

100

150

200

250

x 1E3 Pulses

Ca

Fe

Mn Sr Sr Rh Rh

Pd

S K

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nell'antichità.

201 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 232 - particolare della guancia sinistra in fluorescenza ultravioletta.

Questa statua, come le altre non presenta ulteriori tracce di pigmento sulla superficie. In ogni caso è stato

eseguito tutto il protocollo per la fotografia multispettrale ma non è stata rilevata nessuna evidenza della

presenza di tracce di altri pigmenti.

Frammento di statua di generale (prima metà del I secolo d.C.)

Questo frammento presenta una colorazione su quello che risulta essere lo sfondo su cui emergeva la

figura e il basamento. Di questa statua rimane solo il basamento con un frammento di piede e della gamba e

gli attributi che lo collegano alla vita militare come l'elmo e i calzari (mulleus).

Fig. 233 - frammento di statua di generale.

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nell'antichità.

202 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Non sono state riscontrate evidenze di altri colori eccezion fatta per alcuni residui di colore rosso sullo

sfondo.

Fig. 234 - particolare in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta dello sfondo con tracce di colore rosso.

Anche in questo caso le tracce sono miscele di ossidi e idrossidi di ferro.

Tali tracce risultano importanti per gli studi condotti dagli archeologi sui colori degli sfondi e di come

questi cambino a seconda del periodo storico.

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203 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Statua di generale con armatura (lorica) da parata (prima metà del I secolo d.C.)

L'ultima statua presentata in questo caso studio è la statua di un generale con l'armatura da parata, alla

quale mancano la testa, le mani ed entrambi i piedi.

Fig. 235 - generale con lorica.

La statua è stata ritrovata in tre pezzi, due all'interno dell'Augusteo e uno nella cisterna sottostante.

Dalla raffigurazione sulla corazza dei barbari vinti che offrono in ostaggio un bambino, sarebbe stata

identificata come la statua dell'imperatore Domiziano, in accordo con le rappresentazioni nella 30ma scena

della Colonna di Traiano (Settis, 1988) e nei frammenti di statue con corazze come quella presente alla NY

Carlsberg Glytptotek (Muthmann, 1936), (Poulsen, 1962).

La comparazione con un piccolo gruppo di statue simili permette di datare la statua tra l’epoca dei Flavi

e la prima età Traianea (Cadario , 2004).

Dal punto di vista delle analisi questa statua presenta tracce di diversi tipi di pigmenti, soprattutto sulla

corazza e sulla veste.

Come menzionato in precedenza i pezzi della statua sono stati trovati in tre differenti luoghi, e ciò ha

comportato un diverso stato di conservazione, tenendo conto anche che la cisterna in cui è stato trovato uno

dei tre pezzi era in disuso da tempo e quindi non c'era più presenza di acqua al suo interno.

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204 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Questa diversità è visibile soprattutto nelle immagini in fluorescenza ultravioletta, dove si nota una

marcata differenza, principalmente, tra la parte inferiore della corazza e la parte superiore.

La differenza tra la superficie delle due parti è leggermente visibile ad una osservazione ad occhio nudo,

ma diventa chiara nelle immagini in fluorescenza ultravioletta (Fig. 236).

Fig. 236 - particolare in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta delle due parti della statua.

Non è possibile al momento attribuire questo diverso comportamento della superficie ad un restauro o

alla giacitura del pezzo, in quanto risultano dei documenti in cui si parla di un restauro, ma non sono indicati

né i mezzi né i materiali usati.

Le indagini con le tecniche di fotografia multispettrale sono state effettuate su tutta la superficie della

statua, concentrandosi in particolare sui decori dell'armatura che presentavano maggiori tracce di colore e su

un punto particolare del manto che presenta una colorazione violacea.

In realtà la zona colorata non ha nessuna particolare risposta all'ultravioletto, viceversa leggermente più

in alto appare una zona con forte fluorescenza gialla (Fig. 237).

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nell'antichità.

205 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 237 - particolare del manto in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta. Nel riquadro la zona rosa, mentre indicato

dalla freccia l'area con fluorescenza gialla.

Le immagini al microscopio ottico mostrano la presenza di residui d'oro nella parte di colore violaceo,

l'esistenza di questa colorazione in corrispondenza di aree dorate o che erano dorate è stata studiata da

Bourgeois e Jockey nelle statue di Delos (Bourgeois & Jockey, 2000), ma non è ancora del tutto chiarita la

sua funzione. In alcuni casi sono state avanzate ipotesi sulla presenza di questo residuo come oro colloidale

risultato dell'alterazione della foglia d'oro, in altri come strato di preparazione per accogliere la foglia d'oro o

come base per rendere l'oro più caldo, con la stessa funzione del bolo nelle preparazioni dell'oro delle tavole

medioevali (Artal Isbrand, Becker, & Wypyski, 2002).

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nell'antichità.

206 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 238 - particolare dell'area con colorazione violacea e particolare al microscopio digitale portatile.

In questo caso sono state effettuate anche delle misure tramite fluorescenza X per studiare la

composizione della doratura.

Fig. 239 - particolare dello spettro LOR_01 corrispondente all'area violacea.

Dallo spettro si notano i segnali dell'oro, anche se i conteggi sono bassi a causa della quantità esigua

presente sulla superficie.

Ulteriori tracce di oro sono state trovate anche in alto sulla toga, sempre in una zona sul bordo. La

posizione di questi residui di oro permette di ipotizzare la presenza di un decoro dorato per il bordo della

toga.

5 10 15 20 25

- keV -

0

2

4

6

x 1E3 Pulses

Au

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nell'antichità.

207 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 240 - particolare del bordo della toga con oro e immagine al microscopio ottico.

In questo caso, a differenza dell'area descritta in precedenza, le analisi in fluorescenza X mostrano la

presenza di alti conteggi per il piombo insieme ai conteggi relativi all'oro (Fig. 241).

Fig. 241 - particolare dello spettro del punto LOR_05 corrispondente all'area con oro.

Le immagini acquisite con la tecnica della luminescenza indotta da luce visibile sulla corazza, mostrano

la presenza di due zone in cui è stato impiegato il pigmento blu egizio. In particolare le zone individuate

sono in corrispondenza della tunica del trofeo e sulla veste della donna barbara sul lato della corazza (Fig.

242).

10 15 20

- keV -

0

10

20

30

40

x 1E3 Pulses

Au Pb

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nell'antichità.

208 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 242 - particolari in VIL delle figure sulla corazza.

Altri spot luminosi appaiono disseminati su tutta la corazza, ma l'esigua quantità di materiale presente

non può essere ricollegato ad una stesura intenzionale.

Le immagini acquisite in altre zone della statua non mostrano nessuna traccia di luminescenza.

Nei punti in cui è stato trovato il blu egizio sono stati acquisiti anche gli spettri FORS e XRF per

ulteriore conferma della presenza di tale pigmento.

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nell'antichità.

209 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 243 - spettro XRF del punto LOR_07.

Fig. 244 - spettro FORS del punto LOR_07 comparato con il riferimento della miscela carbonato di calcio+ blu egizio.

Gli spettri in figura 243 e figura 244 si riferiscono al punto LOR_07, un'area tra pieghe della veste del

trofeo, come indicato in figura 245.

Fig. 245 - punto di misura LOR_07 e particolare al microscopio ottico.

5 10 15

- keV -

0

20

40

60

80

x 1E3 Pulses

Cu Pb Pb Fe Ca

LOR_07

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nell'antichità.

210 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Dalle immagini al microscopio ottico si osserva che il blu non è steso puro ma mescolato con un

pigmento bianco.

Comparando, infatti, lo spettro FORS del punto LOR_07 con lo spettro acquisito in laboratorio su una

miscela di carbonato di calcio al 70% e blu egizio al 30%, si vede come gli andamenti siano molto simili

(Fig. 244).

Misure puntuali sono state acquisite anche sulla parte superiore del trofeo, dove si osservava una

colorazione rosata (Fig. 246).

Fig. 246 - particolare della parte superiore del trofeo.

Lo spettro FORS mostra la presenza di ossidi idrossidi di ferro, ma lo spettro XRF, oltre ai conteggi del

ferro, mostra anche apprezzabili conteggi per lo zinco (Fig. 247).

Fig. 247 - spettro XRF del punto LOR_08.

Ad una osservazione ravvicinata le acquisizioni in fluorescenza ultravioletta mostrano la presenza di

piccole aree dalla forte fluorescenza gialla, soprattutto nelle zone incavate del decoro della corazza.

5 10 15

- keV -

0

5

10

15

20

25

x 1E3 Pulses

Ca Fe Zn Pb Pb Sr

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nell'antichità.

211 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Fig. 248 - particolare dell'aquila in visibile e in fluorescenza ultravioletta.

Queste zone corrispondono principalmente a dei punti in cui son maggiormente concentrate le

incrostazioni sulla superficie, anche se in alcune aree la fluorescenza è più intensa (Fig. 249).

Fig. 249 - particolare della donna barbara in visibile e in fluorescenza ultravioletta.

L’emissione di fluorescenza molto forte sembra provenire da questa sostanza di colore giallo chiaro

presente in alcuni punti della superficie, soprattutto nella zona della corazza.

Per caratterizzare le sostanze che provocano questa emissione molto intensa e capirne la tipologia, è stato

necessario il prelievo di un microcampione la cui analisi è ancora in corso.

Grazie all’utilizzo delle tecniche di indagine multispettrale anche in questo caso è stato possibile limitare

il numero dei prelievi eseguiti solo in due aree per l'identificazione certa di materiale non altrimenti

identificabili.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

212 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Conclusioni

Le informazioni raccolte nella prima fase di questo studio sono risultate utili per comprendere in maniera

più approfondita i possibili materiali e pigmenti utilizzati in questo ciclo di statue che possono essere

considerate un unico corpo dal punto di vista stilistico, come nel caso del ciclo di Veleia. (Marini Calvani,

2005).

Il ciclo di Veleia è un ciclo di statue di marmo lunense, datate intorno al I sec. d.C. e raffiguranti la

famiglia giulio-claudia, ritrovate negli scavi dell'antica città romana di Veleia, vicino Pavia. Questo gruppo

di statue, attualmente conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Parma, come il gruppo di Roselle,

presenta delle tracce di pigmenti.

Il ciclo di Roselle è uno dei rari casi in cui è possibile studiare non una sola statua ma un intero gruppo,

appartenente allo stesso ciclo.

Le analisi in fluorescenza ultravioletta sono state di grande interesse per la descrizione, dal punto di vista

dell'estensione sulla superficie, dei depositi presenti sulle statue. La fluorescenza, dovuta a delle sostanze

organiche, probabilmente passati restauri o manutenzioni, ha permesso di individuare tutte le zone in cui

erano presenti queste incrostazioni, fornendo una mappa dettagliata delle aree interessate.

Di particolare interesse, è la differente risposta nelle immagini in fluorescenza UV dei due frammenti

principali di cui è costituita la statua del generale con armatura. Questo aspetto dovrebbe essere studiato sia

con altre analisi sia con un’approfondita ricerca d’archivio per conoscere la storia conservativa dei pezzi.

Le immagini acquisite su tutte le statue con la tecnica VIL non hanno mostrato la presenza di blu egizio

sulle superfici ad eccezione di alcuni decori sulla lorica del generale.

In questo caso le immagini VIL mostrano aree di intensa luminescenza collegata alla presenza di blu

egizio nelle vesti dei barbari, soprattutto della donna sulla destra, e sul trofeo, scolpiti sulla corazza.

Le analisi con tecniche puntuali hanno convalidato i risultati ottenuti con le tecniche di fotografia

multispettrale. Inoltre grazie al confronto degli spettri FORS acquisiti sulla veste del trofeo con gli spettri

acquisiti sui provini preparati in laboratorio, è stato possibile ipotizzare la presenza di una miscela tra il blu e

un pigmento bianco.

In questo caso la possibilità di collocare precisamente le tracce di blu sulla superficie, anche in zone

dove non è più visibile ad occhio nudo, ha permesso agli archeologi di avanzare nuove ipotesi sulla

colorazione di questa tipologia di ritratti nel periodo che va da I secolo a.C. al I secolo d.C. (Liverani, 2004),

(Santamaria & Morresi, 2004)

Per quanto riguarda le altre tracce di colore, queste sono riconducibili tutte alla classe delle ocre. In

particolare sulle statue sono state trovate tracce di colore rosso che mostrano negli spettri FORS l'andamento

tipico degli ossidi di ferro e negli spettri XRF la presenza dei picchi del ferro.

Dal punto di vista tecnico l'utilizzo dei flash come sorgenti di radiazione ultravioletta ha permesso di

acquisire le immagini e documentare tutti i lati delle statue.

Alcune di queste statue, infatti, sono posizionate a poche decine di centimetri dal muro e con le

tradizionali luci dotate di un appoggio su stativo non sarebbe stato possibile il corretto posizionamento per

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

213 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

mancanza di spazio. Al contrario l'utilizzo dei flash ha permesso di raggiungere la maggior parte di questi

punti. L'unica limitazione è data dalla distanza minima di messa a fuoco dell'obiettivo. Infatti, ogni obiettivo

dispone di una distanza minima tra il piano focale del sensore e il piano focale dell'oggetto. Al di sotto di

questo valore, solitamente espresso in metri, non è possibile mettere a fuoco l'oggetto per una limitazione

dovuta alle leggi di fisica ottica alla base del sistema di lenti.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

214 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Conclusioni sul protocollo e sul suo utilizzo

Il lavoro di ricerca svolto in questi tre anni di dottorato si è concentrato sulla messa a punto di un

protocollo che potesse essere applicato per la caratterizzazione delle tracce di colore su manufatti antichi

senza la necessità, o comunque limitando al minimo, il prelievo di campioni per le analisi invasive.

Inoltre un aspetto molto importante della ricerca è stata la creazione di un sistema che potesse essere

facilmente trasportabile in situ senza dover muovere l'oggetto da analizzare.

Gli studi sono stati focalizzati principalmente sulle tecniche di fotografia multispettrale, poiché queste

tecniche, che comprendono l’acquisizione e l'analisi di immagini ottenute dall'interazione della materia con

le diverse lunghezze d'onda, non prevedono il contatto diretto con le opere analizzate.

Le tecniche di fotografia multispettrale sono ampiamente diffuse e sono tra le prime tecniche utilizzate

per le analisi scientifiche su opere d'arte, in particolar modo per la caratterizzazione di vernici e leganti,

attraverso la fluorescenza ultravioletta, o per l'identificazione di ritocchi pittorici e disegni preparatori, con

l'infrarosso.

Tra le tecniche di diagnostica tuttavia sono quelle che presentano meno di tutte le altre, dei protocolli per

la standardizzazione delle procedure di analisi.

Dalla necessità di avere un risultato confrontabile tra i diversi operatori è stata sviluppata una proposta di

protocollo che tenesse in considerazione tutti i fattori che concorrono alla formazione dell'immagine finale,

dalla macchina fotografica, alla scelta delle sorgenti, dei filtri e del protocollo di post-processing.

Anche se la matrice di base di ogni fotocamera digitale è costituita da un buffer di silicio, le lenti, i

materiali usati per i fotodiodi e l'elettronica per trasformare il segnale da analogico a digitale, concorrono alla

formazione dell'immagine, ciascuno con un proprio contributo nella restituzione finale.

Per questo motivo sono state testate, in primo luogo, una serie di fotocamere di diverse marche e modelli

(Canon, Nikon e Sony).

Gli esperimenti condotti in laboratorio, hanno messo in luce le differenze, seppur minime, tra le varie

case costruttrici. Ad esempio, i coloranti usati per i filtri posti sopra i fotodiodi di un sensore possono essere

più o meno sensibili alla radiazione infrarossa. Tali differenze non si percepiscono quando la fotocamera

acquisisce le immagini in luce visibile, perché al suo interno ciascuna casa costruttrice predispone un filtro

termico che bilanci questo effetto. Le differenze diventano significative nel momento in cui viene rimosso il

filtro interno per aumentare la sensibilità della fotocamera.

L'esempio più evidente di questa differenza è la diversa risposta in fluorescenza ultravioletta dello

Spectralon®, ottenuta fotografandolo con gli stessi parametri di ripresa, stesse sorgenti di radiazione

ultravioletta, ma con due differenti fotocamere entrambe Canon, ma di diverso modello.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

215 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

In generale, i risultati ottenuti dalle prove effettuate con le fotocamere semiprofessionali, sia Canon che

Nikon, risultano i migliori sia per la qualità dei sensori montati e dell'elettronica collegata alla trasmissione e

conversione del segnale, sia per la possibilità di intervenire in maniera indipendente sui parametri di

acquisizione dell'immagine. La fotocamera Sony, seppur provvista di un'opzione per rimuovere

temporaneamente il filtro termico interno, non fornisce la stessa libertà di intervento delle semiprofessionali.

Un altro fattore che può influenzare l'immagine finale è il tipo di sorgente utilizzato per le analisi.

Oggigiorno in commercio sono presenti molti modelli di sorgenti, le comuni lampade con tubi a

fluorescenza, i LED e i flash.

In particolare i LED e i flash sono strumenti molto versatili rispetto alle comuni lampade a fluorescenza,

sia per dimensione sia per il maggior controllo della radiazione emessa.

La fluorescenza ultravioletta e la VIL sono le due tecniche di fotografia multispettrale che risultano più

suscettibili delle altre alle differenza nello spettro di emissione delle sorgenti. Per questo motivo i test si sono

concentrati soprattutto sulla scelta delle migliori sorgenti per queste due tecniche di imaging.

Per la tecnica della fluorescenza ultravioletta sono state testate le comuni lampade di Wood, delle

lampade messe a punto dall'IFAC-CNR e i flash della Quantum Instruments modello Qflash T5dR.

Le lampade di Wood presentano molti problemi dal punto di vista dello spettro emesso. Infatti, oltre ad

avere un picco centrato a 365 nm circa con una distribuzione molto larga, tali lampade emettono una piccola

quantità di radiazione infrarossa che appare come dominante magenta nell''immagine finale.

Le lampade messe a punto dall'IFAC - CNR permettono un maggior controllo della radiazione in uscita,

grazie alla presenza di un filtro DUG 11 che taglia efficacemente tutta la radiazione parassita, sia nel primo

visibile che nella prima parte dello spettro infrarosso. Dal punto di vista dello spettro di emissione queste

lampade sono le migliori per ottenere una restituzione fedele della fluorescenza emessa dall'oggetto.

I flash risultano essere un ottimo compromesso tra le due sorgenti tradizionali. Questi hanno il vantaggio

di avere tempi di acquisizione molto brevi, versatilità della strumentazione e poca dipendenza dalle fonti di

illuminazioni presenti negli ambienti.

Il potente e rapido impulso dei flash permette, infatti, di limitare al minimo la radiazione parassita che

raggiunge il sensore e ne rende possibile l'utilizzo anche con condizioni di illuminazione non ideali. Un

tipico esempio sono le riprese in fluorescenza ultravioletta, nelle quali è di fondamentale importanza avere il

buio completo nell'ambiente in cui si acquisisce, condizione non sempre possibile, soprattutto quando le

riprese vengono effettuate in situ.

Inoltre, l'utilizzo dei flash rende la strumentazione ancora più compatta e trasportabile. L'emissione dei

flash copre tutto lo spettro elettromagnetico, dalla radiazione ultravioletta alla radiazione infrarossa e

abbinata alla possibilità di filtrare selettivamente la radiazione in uscita, ci permette di adoperare una sola

sorgente di radiazione elettromagnetica per tutte le tecniche di fotografia multispettrale.

Di contro però, i flash, presentano una minore intensità della radiazione ultravioletta rispetto alle

tradizionali lampade con tubi fluorescenti, dovuta alla presenza di alcuni componenti dei bulbi in vetro che

tendono ad assorbire la radiazione ultravioletta.

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nell'antichità.

216 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Oltre alle sorgenti, sono stati testati anche diversi filtri sia in gelatina sia in vetro. Questi ultimi sono

risultati i più maneggevoli, facili da conservare e pulire, ma anche i più accurati dal punto di vista della

capacità di filtraggio.

L'uso delle fotocamere digitali, in più, ha introdotto il problema della correzione di alcuni parametri

quali il bilanciamento del bianco e la tinta, che possono influire sulla restituzione finale dell'immagine. Il

bilanciamento del bianco e la tinta possono variare a seconda del tipo di fotocamera, del filtro e del tipo di

sorgente. Per questo motivo sono state studiate diverse soluzioni per risolvere il problema a seconda del tipo

di set-up strumentale usato per acquisire le immagini.

Messe a punto tutte le correzioni, il protocollo è stato testato, inizialmente, in laboratorio con provini

appositamente preparati per lo scopo, e in seguito con la sua applicazione in situ.

I casi studio presentati in questo lavoro di ricerca mettono in luce l’importanza di un protocollo che

possa essere valido sempre e in qualsiasi condizione. Infatti, nella maggior parte dei casi le condizioni che si

creano in laboratorio, non sono facilmente riproducibili in situ.

I motivi possono essere di varia natura, quali ad esempio: la posizione dell'oggetto, la grandezza e il

luogo in cui è conservato.

Casi estremi sono lo studio effettuato sul sarcofago tardo romano nelle catacombe del complesso di San

Callisto, oppure le statue dell'Augusteo di Roselle del Museo di Grosseto, dove non era possibile spostare gli

oggetti indagati.

In questi due casi, come negli altri il protocollo messo a punto durante i tre anni di dottorato si è

dimostrato efficace per una prima caratterizzazione non invasiva dei materiali presenti sulla superficie.

La possibilità di integrare le indagini fotografiche con metodi puntuali come la spettroscopia in

riflettanza a fibre ottiche e la fluorescenza a raggi X permette di ottenere una serie di informazioni valide per

avere una buona caratterizzazione dei pigmenti utilizzati, senza la necessità di prelevare campioni da

analizzare con tecniche invasive.

La tipologia di manufatti scelti per questo lavoro di ricerca, permette raramente il prelievo di un

campione anche se di dimensioni microscopiche.

Un caso esemplare sono le analisi svolte sui Monocromi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli,

che per le loro caratteristiche di unicità, ma anche per la delicatezza della pittura, non permettevano in alcun

modo dei prelievi. In questo caso l'applicazione del protocollo con la comparazione dei risultati tra le varie

tecniche ha permesso una diagnostica in grado di fornire risposte ai quesiti sollevati dagli archeologi.

Naturalmente questo tipo di indagini non invasive non può essere esaustivo delle domande riguardo lo

studio dei leganti o delle tecniche usate nell'antichità per decorare le statue, ma può essere fortemente di

supporto nello studio e nella eventuale scelta, nei casi in cui non è possibile altrimenti, dei punti di prelievo

con una valutazione più accurata e mirata, limitandone in questo modo il numero.

Grazie alla caratterizzazione e allo studio dei vari componenti è stato possibile effettuare una scelta

accurata della strumentazione per ottenere i massimi risultati.

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nell'antichità.

217 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Questa ricerca ha permesso la creazione di un set di strumenti estremamente trasportabile e affidabile,

totalmente non invasivi e di facile applicazione, capaci di lavorare in ambienti estremi dove altri sistemi, più

raffinati non potrebbero accedere. Infine, soprattutto per le tecniche di fotografia multispettrale, sono state

usate strumentazioni disponibili in commercio e relativamente economiche.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

218 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

Ringraziamenti

Vorrei ringraziare prima di tutto i miei genitori e mio fratello Stefano, che hanno sempre creduto in me e

nelle mie capacità, anche quando io stessa nutrivo dei dubbi e che mi hanno sempre sostenuto e consigliato.

Più di un ringraziamento va alla Dott.ssa Susanna Bracci, il mio tutor, per tutto il sostegno, per il tempo

dedicatomi, per avermi aiutato a crescere professionalmente e come persona, per aver creduto in me e

dandomi la possibilità di portare avanti questo lavoro di ricerca.

Un ringraziamento al mio cotutor il Prof. Franco Lucarelli, al Dott. Giovanni Bartolozzi per l'aiuto e i

preziosi suggerimenti non solo in fase di scrittura ma anche di correzione della tesi.

Un grazie alle mie amiche più care, Natalia e Ilenia che mi sono state vicine anche nei momenti bui, alla

mia famiglia "fiorentina", Anna e Italo, che mi hanno sopportato anche quando ero insopportabile!

Senza voi quattro non ce l'avrei mai fatta ad arrivare fin qui..grazie.

Un grazie alle mie colleghe e amiche, la mia collega di stanza Silvia, Donata, Rachele e Oana e a tutte le

colleghe e i colleghi dell'ICVBC - CNR. Un grazie speciale alla Dott.ssa Emma Cantisani per le analisi XRF,

ma soprattutto perché in ogni nostra collaborazione ho avuto sempre la fortuna di trovare qualche reperto con

il blu egizio.

Vorrei ringraziare il Prof. Paolo Liverani, del dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e

Spettacolo dell'Università degli Studi di Firenze, per la splendida collaborazione e per avermi dato la

possibilità di lavorare su bellissimi oggetti, scoprendo il mondo della policromia antica. Un grazie alla

Dott.ssa Sara Lenzi con cui spero di poter collaborare anche in futuro e con cui ho condiviso tanti viaggi,

stanze di albergo e ansie pre-presentazioni.

Vorrei ringraziare la direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la Dott.ssa Valeria

Sampaolo, la Dott.ssa Barbara Mazzei della Pontifica Commissione di Archeologia Sacra (Roma), la

direttrice del Museo Nazionale Romano - Palazzo Altemps (Roma), la Dott.ssa Alessandra Capodiferro, la

Dott.ssa Sabrina Violante, la Dott.ssa Letizia Rustico, la direttrice del Museo di Archeologia e d'Arte della

Maremma (Grosseto), la Dott.ssa Mariagrazia Celuzza e la Dott.ssa Cristina Barsotti.

Ringrazio il gruppo di tecniche imaging dell'IFAC-CNR, Andrea Casini e Lorenzo Stefani, per avermi

prestato le lampade UV e la fotocamera Nikon, la restauratrice Gabriella Tonini della Nike Restauro Opere

d'Arte per la consulenza sul metodo di stesura dei pigmenti.

Infine ringrazio le mie amiche e colleghe di dottorato Dott.ssa Floriana Salvemini e la Dott.ssa Veronica

Marchiafava per gli utili consigli durante questi anni.

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Tecniche di imaging innovative per la messa a punto di un protocollo integrato per la caratterizzazione dei pigmenti utilizzati

nell'antichità.

219 Dottorato in Scienza per la Conservazione dei Beni Culturali - Ciclo XXVII

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