FIDAart N.02-2013 Ivo Fruet

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FIDAart PERIODICO della FIDA-Trento N. 02 - Febbraio ANNO 2013

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Rivista d'arte

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In copertina: Ivo Fruet, Venditore d’acqua, 2011. acrilico su tela, cm 80x88

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FIDAartsommario02Febbraio 2013, Anno 2° - N.02

Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservatiL’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

Intervista ad un artista Ivo Fruet

Rassegna mostre in regione

Silvio Cattani

Francesco Dalbosco

Collettiva

Paola Grott

ADAC

Viviana Puecher

Memorandum FIDA-Trento

pag. 4-5

pag. 6-20

pag. 24

pag. 23

pag. 24

pag. 21-22

pag. 25

pag. 30

pag. 31

pag. 32

pag. 33

pag. 28-29

pag. 35

Storia e arte

Mercato dell’arte? Mark Rothko

Per decifrare gli astri

Cantos

Tracce di luoghi

Contemporary season

Il lavoro dell’artista : Aldo Schmid

La Donna, la Natura e la modernità - 3

Anna Maria Ercilli

ADAC

Libri & libri La porta di Tariso

Voci poetiche

Artista member ship

Il Giorno della Memoria

pag. 34Artista member ship

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IL GIORNO DELLA MEMORIA

Anche se potrebbe sembrare non avere un’attinenza esplicita con il mondo dell’arte, l’annuale commemorazione del Giorno della Memoria ci spinge a proporre un tema importante: quello del ruolo civile degli artisti e della loro possibilità di svolgere - ancora - una funzione critica, propositiva e, perché no, etica, nella nostra società.I grandi avvenimenti, in particolare le guerre, hanno sempre contribuito a incidere sulla visione del mondo degli artisti spingendoli a produrre opere motivate o influenzate da questi eventi tragici. Dopo la seconda Guerra Mondiale, gran parte dell’arte moderna ha abdicato a questo suo ruolo “storico”rinunciando alla possibilità o, ad-dirittura, perdendo la capacità di esprimere l’orrore che il “Male” pro-voca poiché, operando sul piano dei linguaggi astratto-informali oppure simbolico-concettuali, risulta idonea a toccare le corde della ragione ma non quelle dell’emozione.Oggi, oramai, il ruolo di critica e denuncia sociale di eventi come le guerre, il terrorismo, i campi di concentramento e tutte le tragedie che continuano ad esistere, sembra essere stato assunto da altri media come la fotografia, i film, i video o anche alcune installazioni. Alla mostra “Zachor - Ebrei nel Tirolo meridionale” inaugurata recente-mente a castel Tirolo, questa “afasia” è stata superata grazie a una intel-ligente e poetica installazione riguardante il difficile tema della Shoah. In uno stretto percorso ad anello posto lungo il perimetro di un locale rettangolare delimitato da due alte pareti cieche e quasi completamen-te buio, il pavimento era stato ricoperto da uno spesso strato di ghiaia che scricchiolava sotto i passi del visitatore che procedeva a tentoni contribuendo a creare una sensazione di angoscia crescente. Solo alla fine del lento cammino, in una nicchia scura era appesa, malamente illuminata, la casacca a righe gialle e nere di un prigioniero del lager. In questo brevissimo ma intenso tragitto tutti gli elementi contribuiva-no alla rappresentazione (e al messaggio): il senso di oppressione per lo spazio stretto, buio e chiuso, il movimento costretto tra due pareti sca-bre e su un terreno precario, l’assenza di orientamento, il silenzio rotto solo dal rumore dei passi sul pietrisco, gli oggetti personali di un uomo torturato, il processo di identificazione con la vita (e probabilmente la morte) di un singolo individuo lì rappresentato solo dalla sua misera camicia che assurgeva a metafora della tragedia di tutta l’umanità. Qualsiasi testimonianza, simbolica ma anche, probabilmente vissuta, sarà in grado di restituire solo parzialmente un’esperienza talmente inimmaginabile che lo stesso Primo Levi, al ritorno dai campi di ster-minio, era convinto che non sarebbe stato creduto da chi era rimasto.Ripeté in seguito il medesimo concetto tentando di dare un senso a qualcosa di totalmente privo di senso: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.

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Giorno della Memoria

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli

di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo

ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno

subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schiera-

menti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno

salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Articolo 1 Legge n. 211 del 20 luglio 2000

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Intervista ad un artista: IVO FRUET

A sinistra: Con fusione, 2000, acrilico e carboncino su tela, cm 185x127

Sotto: Cristalizzazione, 1988, tempera su carta, cm 52x74

Cresciuto artisticamente negli anni Sessanta a Roma a stretto contatto con i fermenti dell’Informale

italiano, Ivo Fruet è sempre rimasto fedele alla filosofia che costituiva questa importante corrente

del ‘900: la negazione della forma e la fondamentale importanza attribuita al gesto e alla materia.

Il gesto diventa atto artistico, unico in grado di trasmettere l’incomunicabile perché capace di supe-

rare il filtro della ragione e portare alla luce le emozioni profonde della psiche.

Conoscendo Fruet si capisce che questo tipo di espressione artistica che esige passione, determina-

zione ma, soprattutto, impeto psichico e azione fisica, gli appartiene ancor oggi. Egli, infatti, ha un

rapporto fisico strettissimo con la materia che è protagonista delle sue opere in quanto la realizza-

zione delle sue tele, spesso gigantesche, impegna tutto il corpo che deve percorrere e appropriarsi

dello spazio. Il tempo della meditazione e del pensiero è separato dal momento pittorico vero e

proprio che deve potersi esprimere senza vincoli e condizionamenti di sorta, preciso, deciso, quasi

violento, senza ripensamenti che bloccherebbero il libero flusso dell’energia creativa.

La sua capacità di padroneggiare gli strumenti e i materiali più vari gli hanno permesso di affrancar-

si dai vincoli della “manualità” dotandolo di una totale libertà slegata da schemi compositivi e che

si esprime in segni immediati, veloci, dinamici, immersi in grandi campiture di colori che sgorgano

direttamente su ogni tipo di supporto.

Le forme non sono mai morbide, accattivanti, delicate; se ogni dipinto racconta l’artista, allora den-

tro i suoi quadri, come nelle sue sculture, si sente sempre ribollire quella inquietudine esistenziale

che spinge alla continua ricerca di qualcosa d’altro.

Paolo Tomio

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OVEST, 2006, acrilici e serigrafia su juta, 170x250 cm

Quando e perché hai cominciato a inte-ressarti all’arte?

Per seguire un mio costante filo conduttore dato, prima dal piacere innato e poi anche dalla necessità di scelta professionale che mi ha portato a riempire con bellissime immagini tutti i fogli bianchi che mi trovavo davanti. Preciso il concetto basilare che rappresentando ogni opera un mio pezzo di vita ed es-sendo perciò come tali realtà vive, sono loro che ti guardano e non viceversa. Tale concetto è fonda-mentale per chiunque ama l’arte e di fronte a certe opere chiunque dotato di sensibilità si sente inva-

riabilmente osservato, la qual cosa riguarda molte collezionisti che co-nosco che mi hanno confermato tale circostanza fondamentale.

Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno condizionato?

Ho avuto l’immensa fortuna di vive-re da ragazzo l’avventura romana degli irripetibili anni Sessanta con l’innovazione portata allora da ma-estri come Franco Gentilini e Ca-pogrossi fino all’arrivo delle nuovo poetiche di Afro, Emilio Vedova, Aldo Caron e poi di tutti gli artisti americani come Franz Kline, Rau-

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schemberg ecc. Tale bagaglio di rapporti mi ha per-messo, ancora giovane, di vivere di pittura in Danimarca in un mondo artistico allora aperto ed entusia-smante, dove ho incontrato pittori fondamentali del gruppo Cobra.

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea?

Non c’è nulla che non mi piaccia e non mi interessi perché in ogni ope-ra riesco sempre a vedere l’anima di ogni artista grande o piccolo che sia come - esempio di scuola ul-timo - le opere di un barbiere che dipinga solo al lunedì nella sua uni-ca giornata libera, con certamente tutte le inevitabili ed ovvie limitazioni tecniche, ma con la propria stella polare artistica che lo guida.

Hai conosciuto o frequentato molti artisti locali o nazionali?

Conseguentemente al punto pre-cedente ho avuto la fortuna di tan-tissimi incontri ad ogni livello e gra-do ed ognuno di loro mi ha regalato la profondità del proprio linguaggio artistico e perciò un pezzo della propria vita.

Come ti sembra il panorama attuale dei pittori trentini d’oggi? Chi apprezzi a livello provinciale?

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In Trentino operano molte persone di livello alto che vanno ben al di là con tale loro attività di quello che è storicamente sotto il profilo artistico il nostro territorio, portandogli den-tro tutto il mondo esterno, in quan-to sono tutte persone che vivono l’esperienza rara ed esclusiva di inventare e creare qualcosa di im-portante ed innovativo.

Borragine, 2010, tecnica acrilico su carta, cm 90x69

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Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?

Manca basilarmente “en sac de soldi” e pur non essendo parago-nabile ad economie tradizional-mente più facili nello spendere e,

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soprattutto, nell’esibire la sostanza delle proprie disponibilità finanziarie con una riservatezza trentina al limi-te del discutibile, rimane la compo-nente dominante legata più all’inte-resse locale che a quello esterno. L’autonomia in un certo senso ha

La Macchina 2, 1976, acrilico su tela, cm 153x153

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Secante, 1995/95, acrilico, carboncino, gesso su tela, cm 120 diam.

legato anche il mondo artistico, con la insuperabile difficoltà storica ad esempio di gallerie che hanno ten-tato invano di far conoscere local-mente artisti di livello nazionale ed internazionale.

Nel corso della tua attività hai sperimentato

molte tecniche artistiche?

La tecnica in quanto tale è retaggio del passato ed è fatalmente la storia del prima per cui oggi non sono nemmeno più catalogabili le differenze tra di loro.

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Grande grigio, 1996, acrilico e serigrafia su tela, cm 150x231

Probabile condivisione, 2000, acrilico su tela, cm 140x115

I tuoi quadri sono molto riconoscibili per uno stile “gestuale” e informale, apparentemente veloce e istintivo.

Il concetto tradizionale e corrente di arte gestuale è sminuente della sua effettiva realtà, in quanto - in qualunque campo artistico dalla pittura alla musica - rappresenta l’inizio fondamentale dell’esplosione di ogni forma di energia artistica che uniforma prima, e chiarisce poi, tutto quello che verrà dopo. Il primo segno di ogni artista collegherà così la partenza e l’arrivo del percorso di tutta l’opera.

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi

che si possa fare di più e meglio per il settore artistico?

La domanda è particolarmente vasta e non definibile in poche parole perché è proprio il vasto mondo delle tantissime relazioni che compongono la cultura locale a non poter essere ingabbiato in una semplice definizione o in una semplicistico assieme di fattori. Se partiamo, ad esempio, dalle implicazioni operative - con relative ricadute - di MART e gallerie civiche, è evidente che entriamo in un mondo senza confini nel suo rapporto con il territorio e si procederà perciò inevitabilmente per successive approssimazioni ed

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Radar, 1979, gres policromo, cm 60x88x36

aggiustamenti più o meno felici e colti.

Da cosa nasce la tua scelta dell’uso di numerosissime tecniche: olio, acrilici, acquerelli, incisioni, sculture raku, serigrafie, ceramica ecc.?

La scelta di ogni forma di tecnica deriva sostanzialmente dalla facilità e predisposizione del singolo artista

nell’esprimere al meglio le proprie emozioni in quel determinato istante e momento della propria vita artistica.

Ritieni che sia cambiata la figura dell’artista e il suo ruolo sociale?

L’artista ha rilevanza diversa rispetto al passato in quanto ha più e meno contemporaneamente: ha

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Mediterraneo, 2006, acrilico su tela, cm 140x200

certamente più libertà creativa e sicuramente ha meno potere, visto che una volta serviva a tradurre i messaggi del potere che gli venivano commissionati, mentre oggi tale ruolo non lo riguarda più, essendo sostituito dai mass media in compagnia di Internet e TV. Una volta era indispensabile al potere, mentre oggi le forme di condizionamento della società sono molto più articolate e complesse. Se si vuole poi guardare con un certo disincanto la nostra storia artistica locale basta guardare certi artisti che - solo a causa della loro data di nascita – sono tranquillamente

passati dalla data delle loro opere espressa in anni dell’era fascista, direttamente alle influenze dell’arte americana, allora localmente agli albori. Guardo questi passaggi arditi con sguardo tranquillamente benevolo!

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Domanda con profonde implica-zioni filosofiche e religiose visto che la bellezza - da non con-fondere con ciò che è bello - è contemporaneamente espressione

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A sinistra: I due volti della medicina, 1980, maiolica, cm 280x200x50

La Gallura, 2011, acrilico su tela, cm 70x50

sia dell’ animo umano come della umanissima pulsione artistica a creare qualcosa di superiore, forme comuni di tutta l’umanità, che rappresenta così gli aspetti più vari per arrivare - su percorsi diversi - ai valori assoluti che le sono propri nella ricerca costante di emozioni e verità.

E, per finire, cos’è per te l’arte? E chi è l’artista?

L’artista è l’uomo che ha trovato il modo di raccontare il proprio vivere essendo l’autentico ed unico inventore del linguaggio dell’arte arrivando così ai livelli più alti della propria espressione.

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Ivo Fruet nasce a Pergine Valsugana il 4 giugno del 1942. Negli anni sessanta, diplomatosi all’Isti-tuto d’Arte di Trento si trasferisce a Roma dove prosegue gli studi presso l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Gentilini. Significativa la frequenta-zione, in questi anni, dello studio dello scultore e pittore Aldo Caron.Partecipa a una serie di mostre collettive e concorsi nazionali raccogliendo posi-tive ed importanti conferme e riconosci-menti. Tra questi ricordiamo nel 1962 il Premio speciale per la pittura d’avan-guardia all’estemporanea di Marina di Ravenna e nel 1966 il Diploma d’onore al Premio Internazionale Europa Arte a Bologna. A metà degli anni sessanta si trasferi-sce in Danimarca a Randers e Copen-

hagen. Rientrato in Italia insegna, per pochi anni, all’Istituto d’Arte di Trento deci-dendo, nel periodo burrascoso della contestazione studentesca, di dedicar-si all’insegnamento nelle scuole medie, esperienza formativa ritenuta essenzia-le per coinvolgere anche gli studenti più giovani a sviluppare una cultura artisti-ca. Protagonista attento e partecipe del di-battito artistico trentino, diviene attivo artefice di numerose esposizioni per-sonali e collettive in Italia e in varie lo-calità europee. Il confronto con le realtà artistiche degli anni sessanta e settanta lo sollecitano ad intraprendere nuove strade espressive come la ceramica e successivamente il raku, l’incisione, la serigrafia e la grafica pubblicitaria. Tra i fondatori di “Pergine Spettacolo Aperto”, nel 1976 realizza scenografie e manifesti; nel 1984 disegna i costumi dello spettacolo “Lanzadoro” di Andrea Castelli, premiati con il “Sipario d’oro” a Rovereto. Negli anni novanta realizza opere di grande formato e commesse pubbli-che in ceramica, che gli valgono presti-giosi riconoscimenti. Le sue opere sono esposte in nume-rose rassegne che documentano i per-corsi dell’arte in Trentino, ma anche a Cannes al Gran Palais du Cinemà, al Palais Liechtenstein a Felldkirk e a Arte Padova. Nel 2000 si tengono tre importanti mo-stre personali: allo spazio Foyer del Cen-tro Santa Chiara di Trento, a Bologna alla galleria Castiglione Arte, sull’isola di Ischia presso galleria Del Monte.Nel 2003 partecipa al MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto alla mostra Situazioni Trentino Arte 2003. Vive e lavora a Pergine Valsugana.

A sinistra: Orma, 1992, calcogramma su carta,

cm 60x50

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MERCATO DELL’ARTE ?

Evidentemente, la crisi economica che ha colpito interi continenti non ha in-ciso ai livelli “alti”, anzi, sembra che la capacità di spesa per l’arte sia aumen-tata in modo proporzionale alla crescita della povertà. Chissà come mai?Infatti, rispetto al 2011, i primi 10 prezzi più alti battuti all’asta per le opere d’arte Moderna e Contemporanea hanno registrato un aumento del 44%. Il primo posto è occupato dall’opera moderna più costosa mai venduta al mondo: L’Urlo di Edvard Munch (119.9 milioni di dollari), ma il comparto del contemporaneo l’ha fatta da padrone nel 2012. In particolare gli artisti newyorkesi appartenenenti all’Espressionismo Astratto, in particolare Mark Rothko che, nell’elenco delle 24 opere più costose del 2012, occupa rispetti-vamente il secondo, il terzo e il ventiquattresimo posto.Orange, Red, Yellow, un olio su tela del 1961, di 236x206 cm e stimato dai 35 ai 45 milioni dollari, è stato aggiudicato a maggio da Christie’s New York alla cifra record di $ 86.882.500 (compresa commissione) pari a € 65.513.910.Il secondo posto è occupato da No. 1 (Royal Red and Blue) olio su tela del 1954, 290x 170 cm, stimato 35 - 50 milioni e venduto da Sotheby’s New York a novembre a $ 75.122.500 vale a dire € 56.634.852.Infine il 24esimo, battuto a novembre a Christie’s New York, più piccolo (173 x 97 cm) e, quindi, molto più “economico”, Black Stripe (Orange, Gold and Black), un olio del 57 venduto a 21.362.500 dollari.Gli incredibili, inauditi, insensati prezzi raggiunti da queste opere d’arte contemporanee possono legittimamente porre alcuni dubbi.Fatto salvo che il compratore può pagare un’opera la cifra che più ritiene congrua e, posto che Christie’s è una struttura commerciale interessata al profitto, come si spiegano le abnormi differenze tra stime e prezzi finali? Che, ad esempio, Orange, Red, Yellow sia stato venduto a $ 86,9 milioni, cioè a 52 milioni di dollari in più rispetto alla stima (minima) di 35 milioni? Anche considerando la stima massima di 45 milioni, il differenziale con l’im-porto finale battuto è di 42 milioni di dollari (31,7 milioni di euro).Poichè è difficile credere che Christie’s (come Sotheby’s) sottostimino il va-lore di un dipinto che debbono vendere e, soprattutto, non sappiano gestire bene i loro affari, come si spiegano razionalmente i motivi di queste discre-panze abnormi tra i “valori” stimati dalle case e i costi finali esborsati? Sono collegabili a oggettive ragioni di mercato, ove si intenda per mercato anche il gioco della speculazione borsistica, oppure a ragioni di prestigio sociale ed economico? O ad entrambe le ragioni? I “Rothko”, sono dipinti immediatamente riconoscibili, una vera e propria icona e, quindi, la loro esposizione è più motivata dall’autocelebrazione di uno “status symbol” che dall’amore per l’arte in sè. Il possesso di un oggetto “unico” che tutti vogliono, è motivo sufficiente per volerlo possedere. A tutti i costi, nel vero senso della parola.

Orange, Red, Yellow - 1961

No. 1 (Royal Red and Blue) - 1954

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MARK ROTHKO

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Black Stripe (Orange, Gold and Black)

Marcus Rothkowitz, figlio di ebrei russi emigrati in America nel 1913 (lui aveva 10 anni), dopo gli studi artistici aveva intrapreso l’attività di pittore operando in un ambito figurativo prima e surrealista, poi, nei primi anni 40. Solo dal 46 in poi comincia a sviluppare un linguaggio astratto personale (i Multiforms) che diventerà la premessa per le tele a campiture di colore oriz-zontali su fondo monocromo, che lo hanno reso celebre. Pittore colto, dotato di un forte atteggiamento religioso che trasferiva anche alla sua pittura, fu definito (con Newman, Gottlieb, Reihardt) dal critico Ro-semberg, rappresentante della sfera teologica dell’Espressionismo Astratto. Quell’indirizzo “contemplativo” (molto diverso da quello “gestuale” della Action painting) si caratterizzava per il rilievo dato alla componente spiritua-le-meditativa del dipingere e si manifestava attraverso tele di grandi dimen-sioni e ampi campi monocromatici (Color field painting). Nella lettera-manifesto del 1943 gli artisti dichiaravano “Noi sosteniamo l’espressione semplice del pensiero complesso. Siamo per la forma ampia, perché essa possiede l’impatto dell’inequivocabile. Desideriamo riaffermare la superficie del dipinto. Siamo per le forme piatte, perché distruggono l’illu-sione e rivelano la verità”.Questa ricerca di una dimensione diversa, contemplativa, nella pittura di Rothko diventa mistico-trascendente fino a trasformarsi in enormi mono-cromi dai colori sempre più scuri. Nel 1970 Rothko, malato di depressione, si suicida tagliandosi le vene nel suo studio a New York.La vicenda degli espressionisti astratti è stata oggetto, pochi anni fa, di un libro in cui, dall’esame di documenti desecretati, si dimostrava che dietro il loro successo nazionale e, soprattutto, internazionale c’era la mano della CIA. Il fatto è stato poi confermato da un ex agen-te che ha ammesso l’esistenza di un’operazione segreta (guinzaglio lungo) finalizzata a valorizzare l’arte astratta americana per contrastare la propaganza comunista e promuovere l’idea degli USA, usciti vincitori dalla guerra, quale paese democratico e aperto alla massima libertà di espressione. Per questa ragione la CIA, sotto la copertura di fondazioni, gallerie, critici, riviste e musei, ma all’in-saputa degli artisti, individualisti trasgressivi ma apolitici (e forse un po’ troppo “ingenui”), organizzò una lunga serie di mostre in tutto il mondo per lanciare l’Espressionismo Astratto (e non solo), ot-tenendo diversi risultati: dimostrare la superiorità culturale della Democrazia e del Libero Mercato degli Stati Uniti e sponsorizzare la nascita di un’arte moderna tutta americana, finalmente non più subordinata a quella europea, ponendo, di fatto, le premesse per la creazione del Mercato di oggi.L’ironia di quelle vicende, senza nulla togliere al valore acclarato degli artisti, sta nel fatto che l’ope-razione che propagandava la Democrazia americana avvenne all’insaputa del Congresso democrati-camente eletto e che il mercato tanto libero non fu se, dietro le mostre, i critici, le gallerie e i musei coinvolti, c’era l’immenso potere politico ed economico della CIA. E, comunque, vale la pena di ricordare che la maggior parte degli Espressionisti “americani”, in re-altà, erano europei o di origine europea: tedeschi (Gottlieb, Kline, Reinhardt, Hofmann), russi (Ro-thko, Krasner), greci (Stamos, Baziotes), olandesi (de Kooning), armeni (Gorky) e canadesi (Guston).

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FIDAart copertina del N.02 2013

Periodico di arte e cultura della FIDAart

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La rivista può essere richiesta

gratuitamente inviando una

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i cinque numeri del 2012, può ri-

chiederli gratuitamente.

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STORIA E ARTE

La Donna, la Natura e la modernità - 3Paolo Zammatteo

È, peraltro legittimamente, la proiezione dell’intelligenza umana nell’altro da sé. Il gesto assume carattere rituale, di sacralità, e si riflette dentro la natura. Le donne possiedono spesso la freschezza della natura: una capacità che non risponde a categorie accademiche. La loro visione è forte ma mai aggressiva: chi riceve un dono, la vita, e lo elabora sapendo di poterla concepire a sua volta, è consapevole di non appartenere solo a se stesso.In ogni percorso artistico femminile gli incontri sono vitali; incontri con persone, situazioni, drammi, flash di felicità o di dolore: dietro si celano sensazioni, che ne sono frutto e danno il senso stesso all’identità, all’appartenenza alla metà del genere umano.La forza sta nel saper essere vere anche nelle piccole cose. Tale dimestichezza si vede sia nella scrittura che nella narrazione di saggiste, scrittrici, poetesse e attrici.Allo stesso modo le arti figurative interpretate dalle donne recano impresso un timbro preciso. Uno dei motivi fondamentali è l’interiorizzazione dell’esterno, che è sempre in divenire. Il simbolico è sostituito dal caleidoscopico: ciò che viene rappresentato diventa il verosimile, fatto di spazi, colori e suggestioni intense (spesso affidate al frammento o calligrafiche), sospeso nel tempo. Si può parlare di una essenza fantastica femminile: come fantasia essa conduce le forme della metamorfosi.

Non ne distrugge i caratteri, ma ne dissolve i contorni.Questo l’arte lo può ottenere alleggerendo ogni forma della sua gravità. Anche questa immagine del mondo è soltanto una immagine; dissolverne la fissità equivale a percepirne infinite altre sullo sfondo.

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LIBRI & LIBRI

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VOCI POETICHE

Anna Maria Ercilli

Dipinti e vocali

Dubbi e scontri di pensieroforme alate di sparvieroupupaala spezzatafra le tele di Magrittee gli squarciappesi alle pareti

Azzurro dentro il vetroIl vento prigioniero del colore

Fatica la prima vocalea scrivere il verbodiluito nella memoriaresiduo di com’era.

rondò allegro scherzando.

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Febbraio 2013, Anno 2 - N.2

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Mostre in regione

Silvio Cattani

Francesco Dalbosco

Collettiva

Paola Grott

ADAC

Viviana Puecher

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Per decifrare gli astri

Cantos

Tracce di luoghi

Contemporary season

Il lavoro dell’artista : Aldo Schmid

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Il lavoro dell’artista

E’ stato recentemente presentato alla sala conferenze del Mart il documentario realizzato nel 2011 dal regista Francesco Dalbosco, “Il lavoro dell’artista”, in cui si ripercorre la vita privata e artistica del pittore trentino Aldo Schmid. L’opera, nata da un’adesione e un coivolgimento intellettuale del regista nei confronti del lavoro compiuto da Schmid a partire dagli anni 60 fino alla morte prematura nel 1978, analizza e approfondisce dettagliatamente il personaggio e il clima dell’epoca attraverso le voci e le testimonianze , innanzitutto della moglie e, poi, di artisti e critici che lo avevano frequentato e conosciuto. Grazia Schmid, ripercorre la sua storia privata che però, come sempre, si intreccia profondamente e idissolubilmente con quella artistica, raccontando episodi e aneddoti che restituiscono la figura di una persona particolamente interessante. Questa ultima fatica di Dalbosco che è profondo conoscitore d’arte oltre che grande appassionato della cultura americana moderna e contemporanea, segue numerosi altri documentari sulla vita di grandi pittori internazionali come Bacon, Kandinskij e Jackson Pollock. Dalbosco, lo dichiara nel documentario, è convinto che Aldo Schmid sia un artista che, grazie alle sue ricerche quasi scientifiche sulle proprietà espressive del colore, possa essere avvicinato ai pittori dell’Espressionismo Astratto americano come Barnett Newman, Ad Reihardt e lo stesso Rothko , quasi ipotizzando che, se fosse vissuto a New York, il pittore trentino sarebbe stato apprezzato al suo giusto valore. Pur soffrendo a causa dell’ambiente poco stimolante della provincia, Schmid riuscì a dare vita assieme ad altri cinque pittori trentini (tra i quali, appunto, Luigi Senesi) al Gruppo Astrazione Oggettiva, il cui programma è sintetizzato nel manifesto del novembre 1976.Il 15 aprile 78, mentre si recava a Roma per parlare con un editore con cui avrebbe dovuto pubblicare il suo libro improntato agli studi sul colore, Schmid perse la vita a causa di un incidente ferroviario. Nello stesso incidente morì anche l’amico Luigi Senesi, altra importante figura dell’astrazione trentina (e firmatario del manifesto Astrazione Oggettiva) che casualmente viaggiava sullo stesso treno.Alla conclusione del filmato accompagnato da una colonna sonora di grande suggestione creata per il film dal pianista-artista Jacopo Mazzonelli, si è svolto un breve ma coltissimo dibattito (che meriterebbe di essere trascritto) sui contenuti filosofici dell’arte di Schmid a cui, assieme al regista, hanno partecipato il filosofo Massimo Donà e lo storico e critico d’arte Toni Toniato. Donà, pur non avendo conosciuto il pittore, ha avuto parole assolutamente positive per la qualità e profondità dei testi teorici di Schmid nei quali ha riconosciuto riferimenti a molti pensatori. Toniato, invece, amico di lunga data di Aldo Schmid e profondo conoscitore della sua storia artistica, ha analizzato e approfondito con competenza e conoscenza tecnica il senso e la concezione del rapporto luce-colore-spazio così come era andato sviluppandosi nelle sue opere. Arrivando fino alla summa del “Non Nero”, un ciclo di permutazioni ottenute attraverso complicati calcoli matematici in cui una serie di 720 gradazioni di nero erano create dall’unione dei colori primari, secondari e terziari. Monocromi-non monocromi, si potrebbe dire. Un punto di arrivo estremo oltre il quale non c’è più che il nulla e che, ovviamente, non furono particolarmente apprezzati dal pubblico del tempo. Oggi l’approccio “oggettivo” di Schmid, dopo l’affermazione di correnti artistiche quali la Conceptual Art o la Minimal Art, dovrebbe essere compreso e rivalutato permettendo di attribuire il giusto riconoscimento a questo artista.

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Segnaliamo un’interessante iniziativa del Mart dedicata agli amici e ai sostenitori dell’arte moderna e contemporanea che, sicuramente, riscuoterà il favore di quanti hanno seguito e apprezzato l’attività del museo nel corso di questi anni.

ARTISTA ADAC

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