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A quarant’anni dal Concilio Vaticano II La preparazione al Concilio attraverso i movimenti dell’800 Movimento biblico; movimento liturgico; questione sociale e impegno dei cristiani nel sociale e nella politica Schema della riflessione tenuta da Assunta Ferro S. Tommaso D’Aquino, 12 maggio 2003 La preparazione al Concilio Vaticano Il attraverso il movimento di rinnovamento biblico (dalla seconda metà dell’800 alla prima metà del ‘900) Analizziamo il movimento di rinnovamento biblico dell’Ottocento relativamente alla problematica dell’interpretazione. La Dei Verbum assegna agli esegeti quale loro ministero l’intera Scrittura per ricavarne il significato e per raggiungere una maggiore comprensione, infatti l’interprete «deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole» (DV n.12) Quali interventi dei Pontefici e degli studiosi hanno contribuito a preparare il Concilio nell’ambito dell’interpretazione della Bibbia, e quindi del rinnovamento biblico presente nella DV. I momenti più significativi di questo rinnovamento provengono dalla Santa Sede e dagli studiosi di teologia. Gli interventi della Santa Sede sono anzitutto: - La promulgazione dell’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII, (18-11-1893), la magna charta degli studi biblici; - La formazione della Commissione biblica da parte di Leone XIII, (1902); - L’istituzione del Pontificio Istituto biblico (1909)per opera di Pio X; - La promulgazione dell’enciclica Spiritus Paraclitus, sull’interpretazione della Bibbia da parte di Benedetto XV (1920) con la quale celebrava il 1500 anniversario della morte di s. Girolamo (+ 420 ?); - La promulgazione dell’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII (1943); - La lettera della Pontificia Commissione Biblica al Card. Suhard; - La promulgazione dell’enciclica Humani generis di Pio XII. Dal 1800 in poi gli autori cattolici fecero progredire notevolmente l’interpretazione biblica. Per opera di tre gesuiti ebbe inizio la pubblicazione del monumentale Cursus Scripturae Sacrae e il domenicano J.-M. Lagrange fondò l’Ecole biblique di Gerusalemme, la Revue Biblique e gli Etudes bibliques. Analizziamo gli interventi della Santa Sede.

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A quarant’anni dal Concilio Vaticano II

La preparazione al Concilio attraverso i movimenti dell’800

Movimento biblico;

movimento liturgico;

questione sociale e impegno dei

cristiani nel sociale e nella politica Schema della riflessione tenuta da

Assunta Ferro S. Tommaso D’Aquino, 12 maggio 2003

La preparazione al Concilio Vaticano Il attraverso

il movimento di rinnovamento biblico

(dalla seconda metà dell’800 alla prima metà del ‘900)

Analizziamo il movimento di rinnovamento biblico dell’Ottocento relativamente alla problematica dell’interpretazione.

La Dei Verbum assegna agli esegeti quale loro ministero l’intera Scrittura per ricavarne il significato e per raggiungere una maggiore comprensione, infatti l’interprete «deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole» (DV n.12)

Quali interventi dei Pontefici e degli studiosi hanno contribuito a preparare il Concilio nell’ambito dell’interpretazione della Bibbia, e quindi del rinnovamento biblico presente nella DV.

I momenti più significativi di questo rinnovamento provengono dalla Santa Sede e dagli studiosi di teologia.

Gli interventi della Santa Sede sono anzitutto:

- La promulgazione dell’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII, (18-11-1893), la magna charta degli studi biblici;

- La formazione della Commissione biblica da parte di Leone XIII, (1902);

- L’istituzione del Pontificio Istituto biblico (1909)per opera di Pio X;

- La promulgazione dell’enciclica Spiritus Paraclitus, sull’interpretazione della Bibbia da parte di Benedetto XV (1920) con la quale celebrava il 1500 anniversario della morte di s. Girolamo (+ 420 ?);

- La promulgazione dell’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII (1943);

- La lettera della Pontificia Commissione Biblica al Card. Suhard;

- La promulgazione dell’enciclica Humani generis di Pio XII.

Dal 1800 in poi gli autori cattolici fecero progredire notevolmente l’interpretazione biblica. Per opera di tre gesuiti ebbe inizio la pubblicazione del monumentale Cursus Scripturae Sacrae e il domenicano J.-M. Lagrange fondò l’Ecole biblique di Gerusalemme, la Revue Biblique e gli Etudes bibliques.

Analizziamo gli interventi della Santa Sede.

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La Providentissimus Deus e la Divino afflante Spiritu si occupano della interpretazione della Bibbia.

La Providentissimus Deus, difende l’interpretazione cattolica dalle critiche di razionalisti. L’esegesi liberale utilizzava gli aiuti delle scienze e quelle che vengono dalle varie discipline ausiliarie e afferenti: critica testuale, filologia, geografia, archeologia, geologia, critica letteraria, storia delle religioni. Leone XIII risponde non condannando ciò ma invitando insistentemente gli esegeti cattolici ad acquisire un’ autentica competenza scientifica in modo da superare i propri avversari e soprattutto raccomanda lo studio delle lingue orientali. Egli mostra che la Chiesa non teme la critica scientifica.

La Divino affilante Spiritu risponde alle accuse contro lo studio scientifico della Bibbia. Pio XII constava gli effetti positivi prodotti dalla Providentissimus Deus e risponde alle accuse dei sostenitori dell’esegesi «mistica» che speravano in una condanna dell’esegesi scientifica. Il Papa mostra l’importanza del senso spirituale e dell’interpretazione letterale, ma sottolinea che non c’è dicotomia con l’esegesi scientifica perché entrambe collaborano a conoscere il significato «voluto da Dio stesso».

Le due encicliche rifiutano la frattura fra umano e divino, fra ricerca scientifica e fede perché esiste un’armonia tra esegesi cattolica e il mistero dell’Incarnazione, nel senso che: «Così come la Parola sostanziale di Dio si e fatta simile agli uomini in tutti i punti, eccetto il peccato, così le parole di Dio, espresse in lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio umano in tutti i punti eccetto l’errore» (DAS; cfr. DV 13)

Sulla base del realismo dell’incarnazione, la chiesa attribuisce importanza all’uso del metodo storico-critico che, non solo viene permesso nella Divino afflante Spiritu, ma viene raccomandato con l’esortazione a studiare per risolvere le difficoltà contro la verità della Scrittura. Lo stesso invito veniva anche da molti autori tra cui J.-M Lagrange il quale pubblicava La methode historique, (1904), da altri studiosi come A. Bea, W.G. Kümmel, G. Ebeling, R. Schnackenburg, A. Feuillet, J. Schmid, dalla lettera al Cardinale Suhard e dall’enciclica Humani generis di Pio XII.

La Pontificia Commissione Biblica, il 21-4-1964, durante il Concilio Vaticano Il, ha ribadito espressamente questa raccomandazione nell’ Instructio de historica evangeliorum veritate, sulla verità storica dei Vangeli, che ha contribuito ad affermare l’importanza dello studio delle forme del dire. L’ Instructio fu approvata da Paolo VI nella Sancta Mater Ecclesia.

Per risolvere il contrasto, vero o apparente, fra due verità, quella biblica e quella scientifica (cfr. nei secoli precedenti il caso di Galilei) si tentò la via del concordismo che non risolveva il problema si disse che l’inerranza della Bibbia riguardava contenuti di fede e di morale (cfr. Mons. M. D’Hulst, 1893). Ma quest’ultima ipotesi fu condannata dalla Providentissimus Deus. È vero che la Bibbia tratta di contenuti religiosi, ma la verità va rintracciata attraverso l’ausilio dei generi letterari.

La Divini afflante Spiritu permette e, addirittura raccomanda, all’esegeta cattolico di adoperare il metodo storico-critico.

Storico perché si applica a testi antichi e ne studia il valore storico e perché cerca di chiarire i processi storici di produzione dei vari testi, e anche i processi diacronici di lunga durata. Questi testi si rivolgevano a diverse categorie di ascoltatori e di lettori, In situazioni spazio-temporali diversi.

Critico perché opera con gli aiuti scientifici, il più possibile, obiettivi.

Il metodo storico critico presenta diversi momenti, o tappe;

- La critica testuale

- L’analisi letteraria

- La storia delle forme (la Formegeschicthe)

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- La storia delle redazioni (Redactiongeshichte)

La critica testuale. Spetta ad essa il compito di stabilire il più esattamente possibile l’espressione originaria degli scritti biblici.

Presupposto indispensabile del lavoro esegetico è che un testo sia il più possibile sicuro. Di nessun libro del NT è stato conservato il testo originale. Abbiamo soltanto manoscritti della seconda metà del IV sec., quando si cominciò a scrivere su pergamena, in cui è tramandato per intero il NT.

I (testi) testimoni diretti sono i Codici che si dividono in:

- Onciali o maiuscoli (da IV al VII, VIlI sec): Vaticano (B, il più antico), il Sinaitico (S, del IV sec.), l’Alessandrino (A, del V sec., si trova a Londra), il Codice di Beza o di Cambridge (D, del V sec., si trova presso l’Università di Cambridge), Codice riscritto di Efrem, (C, del V sec., si trova a Parigi).

- Codici minuscoli, Codice 461 (Vangeli) (a. 835), la serie dei codici minuscoli di l. (dal XI-XIV sec.) e i codici minuscoli di Ferrar (del XII sec.). (Lagrange nel 1935 nella sua Critique Textuelle indica queste recensioni testuali).

- Papiri, testi scritti su papiro,

- Lezionari, se il testo è diviso in sezioni per la liturgia,

- Ostraka, cocci di terracotta

Testimoni indiretti: le citazioni degli scrittori ecclesiastici e le versioni

Metodo. Agli inizi del ‘900 E. Nestle affermava che le edizioni del NT facevano

scelte quasi senza principi e H.J. Vogels confermava che ciò era dovuto al fatto che non esistevano principi e metodo.

Ma negli anni che intercorrono tra il ‘900 e il C. V. II si erano stabilite le regole per decidere quale lezione dovesse essere ritenuta quella ufficiale.

Queste regole si fondano sulla prova esterna e su criteri interni.

Per la prova esterna:

1. Regola: la lezione, meglio testimoniata è la più originaria,

2. “ si deve tenere conto della parentela dei manoscritti,

3. “ singoli gruppi di testimoni sono da valutare attraverso un confronto.

4. “ si deve tenere in considerazione l’influsso del testo dei LXX,

5. “ si deve tenere conto delle lezioni concatenate.

Criteri interni:

6. Regola: la lezione più difficile è la più originaria,

7. “ la lezione più breve è la più originaria,

8. “ la lezione preferita deve essere in armonia con il contesto,

9. “ dalla lezione preferita si devono spiegare le altre varianti,

10 “ solo in casi estremi si può ricorrere all’uso della congettura.

Si distingue tra le varianti e si decide quale lezione debba essere ritenuta come originale, considerato il valore, l’autorità e la provenienza.

La critica letteraria. Ha come oggetto la critica delle fonti che sono state accolte in uno scritto neotestamentario.

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1) Regole: verificare se esiste un rapporto di dipendenza fra due testi diversi; lo si può vedere dalle

concordanze. Es. Matteo e Luca hanno indipendentemente usato, sia il Vangelo di

Marco, sia la raccolta dei Loghia (Q) come fonte letteraria.

Questo si può stabilire per:

- la scelta degli stessi vocaboli,

- la stessa costruzione del periodo,

- la concordanza alla lettera che spesso si estende per interi periodi,

- l’ordine della materia e la successione delle singole pericopi.

2) Regola: evidenziare la dipendenza da un altro testo, usato come modello, attraverso:

- differenze:

- miglioramenti stilistici,

- abbreviazioni,

- ampliamenti,

- collegamenti,

- chiarimenti,

- mutamenti di senso.

La Storia delle forme. Si procede con la “storia delle forme” chiamata così dall’opera di M. Dibelius: Die Formgeschicthe des Evangelium (1919), che ha dato il nome al nuovo indirizzo di ricerca e che consiste nell’analisi linguistica e letteraria tendente ad individuare 1) il “genere letterario”, 2) la “forma”, 3) la “formula”, 4) il Sitz im Leben.

1) 11 “genere letterario” indica la forma di esprimere qualcosa per iscritto usata, comunemente, tra gli uomini di una stessa epoca o regione e posta in relazione costante a determinati tipi di comunicazione. Ogni genere letterario ha il proprio modo di esprimere il rapporto tra verità conosciuta e verità espressa. Sono generi letterari: i Vangeli, gli Atti, le Lettere, l’Apocalisse.

2) La “forma letteraria” indica il materiale della tradizione che si presenta sotto determinate forme all’interno dei generi letterari. La forma è l’unità più piccola, fissata oralmente o per iscritto.

Le forme letterarie contenute all’interno dei Vangeli sinottici sono suddivise in due gruppi: la Wort-tradition (La tradizione di parole), e la Geschictstradition (la Tradizione della storia).

La Wort-tradition (La tradizione di parole) comprende:

- detti profetici,

- detti sapienziali,

- parole escatologiche e apocalittiche.

- precetti, parabole, allegorie,

- metafore, detti-io.

La Geschictstradition (La Tradizione della storia comprende):

- racconti brevi, paradigmi

- dispute,

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- racconti di miracoli,

- narrazioni storiche,

- storia della passione.

Forme letterarie nelle lettere provengono da:

- Patrimonio liturgico: Inni. Confessioni, testi eucaristici

- Patrimonio parenetico: Cataloghi di virtù e vizi, precetti per le famiglie, cataloghi dei doveri

3) Le “formule” sono le unità brevi saldamente fissate; comprendono: l’omelia, la confessione, le formule di fede, la dossologia.

4) Il “Sitz im Leben”, il cui concetto fu introdotto da H. Gunkel, indica l’ambiente vitale della Chiesa primitiva, la situazione storico-sociale in cui tali forme letterarie si costituiscono; ciò si rileva notando:

- chi parla,

- a chi sono dirette le parole,

- in quale situazioni sono dette,

- quali situazioni presuppongono,

- a quale scopo tendono.

La critica letteraria si sforza d’individuare anche l’inizio e la fine delle unità testuali, grandi e piccole, l’inizio e fine delle pericopi per mezzo dei processi d’inclusione, per pervenire alle suddivisioni del brano, al rilievo di unità letterarie e all’uso di termini ricorrenti che permettono di cogliere i motivi dominanti.

Queste ricerche sono opera dei seguenti studiosi, dei quali segniamo la data delle loro opere specifiche: F. Overbeck (1882), J. Weiss (1908), P. Wendland (1912), E. Norden (1913), H. Greesmann (1914), M. Dibelius (1919), K.L. Schmidt (1919) Bultmann (1921), E. Schick (1940), W.G. Kümmel (1958), R. Schnackenburg (1960), e altri.

La Redaktionsgeschicthe (La storia delle Redazioni). La storia delle forme sembrava considerare gli evangelisti quasi esclusivamente come «raccoglitori» e «tramandatori». Negli ultimi decenni, dopo la II guerra mondiale, si assiste ad un movimento di ritorno che mette in luce l’intenzione particolare e la concezione teologica di ogni singolo redattore.

Anche prima erano state evidenziate le caratteristiche dei redattori da parte, ad esempio di Papia di Gerapoli, di Taziano, di S. Agostino, di S. Girolamo, di L.A. Muratori. Le ricerche sulla Storia delle redazioni iniziò, in particolare, con H. Conzelmann (1954) e con W. Marxsen (1956); da Marxsen nacque il termine “Redaktionsgeschicthe”, usato nel titolo di un’opera su Marco. Si sviluppò per opera di W. Trilling (1959) e J. Gnilka (1961).

Ricordiamo che all’interno della problematica sull’ispirazione, che qui non trattiamo, G.F. Franzelin nel Tractatus de divina Traditione et Scriptura (1870) elaborò il concetto di “autore letterario” applicato a Dio rispetto ai libri sacri. Franzelin partecipò al Concilio Vaticano I. Egli sosteneva che al tempo di Gesù esistevano libri sacri che avevano autorità divina perché, diceva, sono libri di Dio e Dio ne è l’autore in grazia della sua azione soprannaturale sugli scrittori umani, la quale azione è detta ispirazione. Ma, si chiedeva, come Dio può scrivere un libro per mezzo di un uomo, così da essere egli stesso l’autore principale del libro? Franzelin proponeva l’analisi della formula: «Dio è l’autore dei libri della sacra Scrittura»; l’autore del libro è colui che con la sua

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mente concepisce qualcosa e con la sua volontà ne manda ad effetto la “scrizione”. Ora Dio compie queste azioni per mezzo della mente e della volontà dell’uomo. Egli fa in modo che egli concepisca nella sua mente e determini nella sua volontà la “scrizione” di quelle cose che Dio intende e vuole comunicare; l’ispirazione è un meccanismo di illustrazione e di mozione per il quale la mente dell’uomo concepisce la verità che Dio vuole dare alla Chiesa per mezzo della Scrittura, e la volontà è spinta a consegnare queste verità, ed esse sole, in scritto. Così l’uomo, come causa strumentale, sotto l’azione di Dio causa principale, esegue il piano di Dio infallibilmente. L’azione di Dio riguarda la parte “formale” (contenuto) di ciò che deve essere comunicato. La parte materiale, le parole e la dizione, potrebbe variare «restando intatto il messaggio che Dio vuole comunicare». Questa parte materiale è lasciata all’autore che si esprime in essa secondo la propria indole, il proprio vocabolario e la propria cultura. Egli è assistito da Dio perché non vi sia errore. Franzelin ha contribuito al crescere dell’interesse per la psicologia dell’autore ispirato secondo lo schema: «intelletto, volontà e facoltà esecutive».

J.-M Lagrange dal 1895, in diverse opere, valuterà, in modo più adeguato la totalità dell’opera ispirata come frutto dell’azione divina e umana e partendo dalla considerazione che l’uomo è causa strumentale quanto a intelletto e volontà, concludeva che la Bibbia è senza errore; ma occorre vedere bene ciò che lo scrittore vuole insegnare (1896). Il richiamo alla psicologia dell’autore è presente nella DV 12, quando afferma che si «deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».

Il metodo della storia delle tradizioni comprende:

- concezione degli evangelisti e ordinamento dello scritto,

- scelta del materiale e struttura,

- modificazione del materiale e correzioni stilistiche,

- uso e scelte di parole, termini, ricorrenze,

- costruzione della frase

- aggiunta di un loghion errante,

- parole-chiavi,

- sommari

- indicazioni geografiche e topografiche

- drammatizzazioni di una scena

- interpretazione teologica.

Una funzione rilevante nell’interpretazione del testo hanno:

- l’analisi sincronica (ricerca del contesto, dei personaggi, delle correlazioni),

- l’analisi diacronica di alcune tematiche emergenti,

- l’analisi semantica per l’interpretazione del significato dei singoli versetti,

- il commento esegetico per la precisazione del significato del testo,

- la visione teologica che possa offrire sbocchi di teologia biblica.

Queste analisi possono fornire ai teologi elementi per la trattazione sistematica.

Per lungo tempo le ricerche per un rinnovamento biblico hanno preparato il Concilio Vaticano II, infatti la DV, del 1965, riprende gli insegnamenti pontifici sulla importanza di studiare i generi letterari della Bibbia, dando alle esortazioni precedenti conferma solenne e definitiva. In essa si afferma: «Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tenere conto tra l’altro anche dei

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generi letterari. La verità viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. È necessario che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso... É compito degli esegeti contribuire, secondo queste regole, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura» (DV 12).

Esistono altri metodi di analisi letteraria:

- l’analisi retorica, l’arte di comporre testi persuasivi,

- l’analisi narrativa,

- l’analisi semiotica

per cui si parla di tre livelli di analisi:

- livello narrativo,

- livello discorsivo,

- livello semantico.

Alcuni fra questi metodi di analisi, specialmente l’analisi semiotica, si sono sviluppati per opera di F. De Saussure con il suo Corso di linguistica generale del 1916.

Varie teorie dell’interpretazione, che offrono sussidi e strumenti di metodologia di ricerca, provengono dall’ermeneutica, dalla filosofia del linguaggio, dallo strutturalismo e dalla semiotica.

Alcune teorie rientrano nell’ambito più specificatamente teologico (Alonzo Schökel R. Barthes, R.E. Brown, H. Colzelmann, P. Grech, P. Ricoeur, F. Riva, R. Meynet, I. De Sandre...). Altre rientrano nell’ambito di altre scienze, ad esempio, della filosofia del linguaggio e della semiotica (J.L. Austin, N. Chomski, A. Gremias, F. De Saussure, L. Hiemslev; i formalisti russi: V. Propp, T. Todorov, B. Tomaševskij) e altre dalla filosofia.

L’interpretazione del testo si è arricchita dei contributi dell’Ermeneutica per opera di F. Scheleiermacher, W. Diltey, M. Heiddeger, R. Bultmann, H.G. Gadamer (1956, Verità e metodo), P. Ricoeur, E. Fucks, G. Ebeling, R. Marlé, J.M. Robinson, J.B. Coob, E. Betti.

Con il contribuito dell’ermeneutica filosofica degli anni che hanno preceduto il Concilio, «il cammino dell’esegesi è chiamato a essere ripensato»alla luce degli sviluppi della teoria dell’interpretazione di cui diamo solo alcuni cenni.

Schleiermacher diede all’ermeneutica un posto di rilievo, Diltey pose l’ermeneutica alla base delle scienze dello spirito e l’ha considerata non solo come un insieme di questioni tecniche e metodologiche, ma come prospettiva filosofica da porre a base della coscienza storica e della storicità dell’uomo. Heiddeger ha visto l’ermeneutica, non tanto come strumento, ma come struttura costitutiva del Dasein, una dimensione intrinseca dell’uomo.

Gadamer ripropone il tema del circolo ermeneutico di Heiddeger: «il circolo ermeneutico nasconde una possibilità positiva del conoscere più originario, possibilità che è afferrata in modo genuino solo se l’interpretazione ha compreso che suo compito primo, permanente ed ultimo è quello di non lasciarsi mai imporre pre-disponibilità. pre-veggenza, pre-cognizione dal caso o dalle opinioni comuni, ma di farle emergere dalle cose stesse, garantendosi così la scientificità del proprio tema».

Ma pre-comprensioni e pre-giudizi sono costitutivi della realtà dell’uomo più dei suoi giudizi. Ogni interpretazione corretta deve difendersi dall’arbitrarietà e dalle limitazioni che provengono da inconsapevoli abitudini mentali. Bisogna sottomettersi all’oggetto, mantenere lo

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sguardo fermo all’oggetto e abbozzare un progetto di senso, un primo abbozzo d’interpretazione del testo. Ma questo primo abbozzo può essere più o meno adeguato, giusto o sbagliato. Per accertare l’inadeguatezza o meno dell’abbozzo si procede alla successiva analisi del testo e del contesto che ci dirà se il primo abbozzo interpretativo è o non è corretto, se urta contro il testo... e così all’infinito, perché il compito dell’ermeneutica è un compito infinito.

Nel tempo:

- mutano le prospettive da cui guardare il testo,

- cresce il sapere sul contesto,

- aumenta la conoscenza sull’uomo, sulla natura e sul linguaggio,

- nascono nuove occasioni di rilettura del testo,

- si formulano nuove ipotesi interpretative da sottoporre a prove.

L’interpretazione è un compito infinito:

- perché la precedente poteva essere scorretta,

- perché sempre migliori e nuove interpretazioni sono possibili,

- perché se la verità è emersa, non può che essere confermata e approfondita.

L’esigenza di interpretazioni sempre più fedeli non implica che la verità sia figlia del tempo e che le ultime interpretazioni siano le più fedeli e le più sicure, dato che compito dell’interprete rimane la sottomissione all’oggetto da interpretare che, in questo caso, è il testo sacro.

Altro elemento fondamentale è la storia degli effetti.

Quando un autore produce un testo, il testo vive una vita autonoma. La distanza nel tempo che separa l’interprete dall’apparizione del testo non è un ostacolo alla interpretazione del testo: noi più ci allontaniamo cronologicamente dal testo più dovremmo avvicinarci ad esso con una migliore comprensione. L’uomo non è una tabula rasa. Il tempo non è un abisso che deve essere scavalcato perché ci separa e ci allontana; infatti è più difficile interpretare opere contemporanee. Es: uno storico della scienza, posto a relativa distanza dal tempo della scoperta della teoria, vede più e meglio del creatore della teoria.

I sussidi offerti da questi metodi interpretativi dovranno essere utilizzati con le seguenti intenzioni:

1) prescindere dagli a-priori ideologici che sono alla base di essi;

2) assumere le indicazioni delle teorie dell’interpretazione, non come ‘metodo’, ma come ‘sussidi’ e strumenti da usare in funzione della ricerca di un metodo di teologia biblica, nella consapevolezza che metodo, contenuto e finalità di una scelta sono strettamente connessi;

3) tenere presente il vero significato dell’ ‘ermeneutica’ la quale, pur nascondendo una certa «soggettività nella conoscenza», non rinuncia alla verità per accedere al senso. L’ermeneutica prevede che pre-comprensioni e pre-giudizi concorrono all’abbozzo di un progetto di senso’; nel nostro caso le pre-comprensioni sono costituite dalla Tradizione, dal Magistero, dal Canone, che sono il presupposto del quale l’interprete-teologo non può e non deve liberarsi proprio per fare un progetto di senso che sarà valido, però, se confermato dalla parola divina e confrontato con gli altri testi, con l’insegnamento dei Padri della Chiesa, del Magistero, dei teologi; quest’ultimo atto elimina possibili pericoli;

4) includere l’«opzione discriminante» della fede, la contemplazione del mistero, la costituzione ‘teandrica della Scrittura’, la lettura canonica, l’unità del N.T. e dell’A.T., la duplice

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realtà redazionale e canonica del testo biblico, che, come parti integranti della ricerca, costituiscono un unum inseparabile ed inscindibile;

5) utilizzare gli strumenti interpretativi nella convinzione che, se il principio dell’interpretazione infinita vale per tutti i testi umani, a maggior ragione vale per i testi scritturistici in cui la parola divina ha valenza semantica infinita e contiene un plus che rimarrà tale ma che, scoperto gradualmente, non potrà intaccare le verità emerse; l’interpretazione aperta non costituisce pericolo per questa verità della quale possediamo già la data di nascita, che fa capo alla rivelazione di Gesù Cristo, ma che ancora non conosciamo del tutto e della quale, nello stesso tempo, non chiediamo la data di nascita nel senso che non sempre, storicamente, l’ultima interpretazione è più perfetta della più antica e viceversa;

6) utilizzare diacronia e sincronia, storicità e trascendenza tenendo presente la forza generativa del linguaggio scritturistico ed il principio-base di ogni interpretazione del testo sacro che ricorda di non sacrificare alla chiarezza del senso alcunché della pienezza del senso (Zerwick) e cioè del sensus plenior e di quel «surplus di significazione che irrompe dai testi».

Tutto questo e molto di più era già presente prima del Concilio Vaticano II .

Si potrebbe dire: e il contributo dei laici?

Tutte le associazioni sorte tra l’ ‘800 e il ‘900: ACI, Scoutismo, Congregazioni mariane, Movimenti di spiritualità familiare, Focolarini, Pro Santitate, Cursillos, OASI... hanno rivelato esigenze di lettura e di conoscenza della Parola di Dio. Molti elementi scientifici di rinnovamento provengono da studiosi laici, cattolici e non cattolici. Tale tematica è propria di un discorso all’interno del contributo al rinnovamento biblico che i movimenti ecclesiali hanno dato.

La preparazione al Concilio attraverso il movimento liturgico

(dalla seconda metà dell’ ‘800 alla prima metà del ‘900) L’esigenza di una riforma liturgica si era manifestata, alla fine del 1 700 per opera

d’illuministi cattolici. A.L. Mayer, nel 1930, in un’opera sulla liturgia evidenzia «la tendenza alla semplificazione, . . . il carattere comunitario,.. .la comprensione ed edificazione», la ricerca dell’essenziale e la lotta contro le esagerazioni in fatto di processioni, pellegrinaggi, confraternite, contro abusi di benedizioni, ed esorcismi e contro il frazionamento nella pietà. Era presente l’esigenza di realizzare la comunità liturgica evitando, ad esempio, di dire il rosario durante la Messa. Gradualmente la questione liturgica divenne un movimento liturgico popolare.

Mayer ricorda quale era la situazione del tempo: una massa di fedeli stava di fronte alla celebrazione liturgica in una specie di solenne assenteismo, fatto di rispetto e di un certo interessamento, ma come di fronte ad una «azione ufficiale e burocratica», che si crede dotata di un potere e di un significato, ma che può essere vista e sentita solo da lontano. Il popolo era respinto al ruolo di semplice spettatore, era lasciato a se stesso in una pietà individualistica; il prete era anch’egli solo: leggeva la sua messa e faceva la solenne funzione spettacolo.

Due tendenze del tempo s’intrecciavano:

- reazione contro ogni desiderio di riforma se proveniva dall’illuminismo,

- entusiasmo e ammirazione per le tradizioni che venivano dal M.E.

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Nel sec. XIX si ebbero i veri precursori del movimento liturgico moderno e vi furono varie correnti di rinnovamento: La Tubinga cattolica con J.A. Möhler e il Movimento di Oxford con Pusey e i. Newman

In Francia i primi tentativi di realizzazioni di un rinnovamento si hanno presso i monasteri. Fra questi il monastero di Solesmes con l’abate-fondatore P. Guéranger (1805-1875). Egli vide gli elementi fondamentali del monachesimo con chiarezza carismatica. Ritenne che uno degli elementi della spiritualità monastica e della vita contemplativa era la Liturgia, e soprattutto quella romana. Infatti, legato a Lamennais, fu nemico dichiarato del gallicanesimo e considerava indispensabile l’unione con Roma. Nel 1830 pubblicò le sue Consideratios sur la liturgie catholique, apparsa nel Memorial catholique Lamennais e, dal 1840, le Istitutions catholiques. Lo scopo era quello di iniziare i più giovani ai misteri del culto divino e della preghiera. Il primo volume dell’Année liturgique (1941) e gli altri che seguirono, intendevano porre i fedeli nelle condizioni di avvantaggiarsi degli aiuti che offriva per la comprensione della liturgia nei vari tempi dell’anno. Soprattutto scopriva l’aspetto ecclesiologico della liturgia che definiva «preghiera della Chiesa ispirata dallo Spirito santo, che ispira il canto nuovo». La sua preoccupazione è più spirituale che teologica. Nel 1943 nasceranno: il Centro di pastorale liturgica, la rivista Maison Dieu e le Settimane nazionali di Versailles.

In Germania la comunità monastica di Beuron, fondata da due fratelli, Mauro e Placido Wolter subì l’influsso di Solesmes. Entrambi fin dalla fondazione, 1863, diedero alla Liturgia un posto centrale «nell’ascesi del monaco e nella vita stessa del monastero». M. Wolter pubblicò Elementa monastica e Psallite sapienter. Ammirarono anch’essi la liturgia romana, ma la mantennero chiusa nel monastero, anche se M. Wolter non voleva che «la vita liturgica si restringesse al coro, ma penetrasse di santità tutta la vita nel suo complesso».

L’esperienza di Beuron costituì una forte spinta verso la formazione di una mentalità liturgica per:

- la riscoperta di un’autentica celebrazione fatta per lodare Dio,

- la cura per il canto gregoriano,

- l’esigenza di un’arte sacra di forte spiritualità.

Tutto questo rimaneva un fatto rilevante ma sporadico. Importanti furono i centri liturgici; nel 1882 già si parlava di «movimento liturgico». Il movimento liturgico iniziò più tardi. Mayer sottolineava che fu caratterizzato da due coordinate: una ecclesiale e l’altra culturale. Fu favorito da una determinata situazione storica:

- i cattolici, e più precisamente i laici, poterono differenziare le istanze religiose essenziali, assolute e assolutamente vincolanti, dalle istanze culturali legate al tempo passato,

- la concezione del XIX sec. di una chiesa sociale, giuridica, organizzatrice e pedagogica aveva esaurito il suo compito, mentre si sviluppava una nuova visione di Chiesa.

Durante il ‘900 si nota la necessità di avvicinare i fedeli all’idea di una chiesa che, per sua natura, è sacramentale, ed è il «Corpo mistico di Cristo». Di questa nuova comunità ecclesiale il punto centrale è l’altare. Qui s’inserirono le riforme di Pio X e di Pio XII.

In Belgio si svilupparono nuove caratteristiche del movimento liturgico soprattutto nell’ambiente monastico di Mont-César (Lovanio), per opera di P. Beauduin, e nel mondo laico per opera di G. Kurth. Nel 1909, con il Congrès national des oeuvres catholiques, il rinnovamento

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divenne un fatto evidente. Seguirono le Semaines et conférences liturgiques dei Monaci di Mont-César e le grandi riviste liturgiche.

Beauduin, autore di La piété dell’Eglise del 1914, diede impulso al movimento liturgico nonostante stesse iniziando la guerra. Anche Festugière aveva scritto La Liturgie catholique nel 1913. Beauduin impostò il discorso sul piano teologico: la liturgia è il culto della Chiesa, corpo mistico di Cristo. Il corpo di Cristo è il vero soggetto, unico e universale, di questo culto. Cristo è presente e vi esercita il suo sacerdozio:

- sia personale, attraversi i suoi ministri;

- sia collettivo, attraverso, in nome e a vantaggio di tutta la comunità redenta e dell’umanità;

- sia gerarchico, cioè attuato da ministri strutturati in modo gerarchico.

Questo pensiero sarà presente nelle Mediator Dei e nella Sacrosantum Concilium.

In Germania l’Abbazia di Maria Laach fu un altro centro di rinnovamento liturgico per opera dell’abate Herwegen, di Odo Casel, di un sacerdote, R. Guardini e di alcuni professori universitari. Nel 1918 ebbero inizio tre collane fra cui Ecclesia orans.

Odo Casel (era esperto di lingue classiche) ha colto la dimensione misterica della liturgia attraverso l’analisi del mysterium = sacramentum; ha trovato analogie con le “religioni dei misteri”. Il termine indica i riti che erano riproduzioni del processo agrario-vegetativo personificati in eroi primordiali (ad esempio. il mito di Dioniso Zagreus dell’Orfismo). Questi riti hanno perduto il riferimento cosmico e agrario e sono stati applicati all’uomo. Si sviluppa il tema del mistero soteriologico che comunica, attraverso i suoi segni (mistero), la salvezza operata da un antico eroe mitico. Odo Casel nella parola mistero ha colto le componenti essenziali del culto cristiano:

- l’esistenza di un evento primordiale di salvezza,

- la presenza di questo avvenimento attraverso un rito,

- l’attuazione, attraverso il rito, del mistero di salvezza dell’uomo di ogni tempo.

- la consapevolezza (e questa è la differenza fondamentale) che non è l’uomo che opera il contatto con Dio. E’ Dio che salva l’uomo, pertanto la liturgia è l’azione rituale dell’opera salvifica di Cristo, la presenza e la continuazione, per via dei segni, dell’opera salvifica.

Due concetti-chiave si evidenziarono:

- la presenza stessa dell’evento salvifico in ogni azione liturgica,

- il carattere attualizzante della salvezza operata da Dio in Cristo,

- ogni azione liturgica diventa un momento della storia della salvezza. (Cristo è evento primordiale storico, e non mitico-leggendario).

Dopo la promulgazione della Mediator Dei in Germania fu fondato l’Istituto liturgico di Treviri che organizzò il primo Congresso liturgico tedesco tenuto a Francoforte nel 1950.

In Austria Pio Parsch, dei canonici regolari di S. Agostino, collaborò al rinnovamento liturgico.

In Italia nel 1914, fu fondata la Rivista Liturgica del monastero benedettino di Finalpia (Savona) per opera dell’abate M. Bolognini. Don Moglia di Genova fondò l’opera dell’Apostolato liturgico soprattutto per la formazione liturgica dei ragazzi e degli adolescenti.

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Un mese prima della promulgazione della Mediator Dei si era costituito a Parma il Centro di azione liturgica; il presidente Bernareggi, vescovo di Bergamo, a partire dal 1949 organizzò le Settimane liturgiche nazionali con lo scopo di approfondire i problemi liturgici.

In Spagna il movimento liturgico si sviluppò nel Monastero catalano di Monserrat

Questo movimento liturgico non fu sempre pacifico soprattutto quando si parlò di:

- Messe dialogate e comunitarie,

- di altari rivolti al popolo.

Nel 1953 si avrà il I Congresso liturgico-pastorale di Assisi in collaborazione con tutti i centri europei.

Questi movimenti monastici e l’opera di studiosi contribuirono a preparare parallelamente i rinnovamenti liturgici voluti dai Pontefici.

Tentativi di rinnovamento furono fatti, nel 1568, da parte di Pio V e poi di Urbano VIII. Il Breviario presentava lacune e difficoltà: lunghezza anormale dei salmi della domenica e di molte feste con conseguente sviluppo del santoriale.

Benedetto XIV, nel 1741, formò una commissione per la riforma del Breviario.

Nei primi dell’ ‘800 alcuni Vescovi avevano revisionato Breviario, Messale, Pontificale e non vi furono proteste.

Nell’ ‘800 fu ripristinata la liturgia romana, ma il modo radicale con cui fu fatto e l’apatia che l’aveva preceduta, è una prova che lo studio della liturgia era stato abbandonato e che la questione aveva per il clero e per i fedeli un interesse mediocre.

Però, dopo il 1830, la reazione alla restaurazione della liturgia romana, ha dato vita ad un movimento parallelo che ha favorito lo studio di questa liturgia e di tutte le liturgie.

NeI 1856 Pio IX (1846-1878) formò una commissione per la riforma del breviario, ma non ebbe alcun risultato.

Nel Concilio Vaticano I (1870) emersero, da parte di francesi e di altri, proposte di uniformità liturgica. Ma il Concilio non affrontò il problema della Liturgia.

Nel 1874 Pio IX, su richiesta da parte di molti di arricchire il Breviario di Santi missionari, aggiunse soltanto S. Bonifacio, missionario presso le popolazioni slave.

Nel 1880 Leone XIII (1878-1903) aggiunse Cirillo e Metodio. Nel 1882 aggiunse, 5. Giustino, S. Cirillo d’Alessandria e S. Agostino.

All’inizio del Pontificato di Leone XIII i giorni che escludevano il salterio feriale erano 252. In ogni diocesi vi erano numerosi santi particolari. Quando le feste dei santi erano impedite nel loro giorno normale, venivano rinviate ad un altro giorno libero e il rinvio era di settimane e di mesi. Leone XIII trovò il rimedio: si oppose parzialmente alla traslazione delle feste, ma ciò non fu efficace. L’intenzione era buona: imprimere nei fedeli, il più profondamente possibile il ricordo dei santi, la loro dottrina, le loro azioni, le loro virtù. Questo scopo è stato raggiunto con la concessione delle feste dei santi alla Chiesa universale e alle Chiese particolari. perché ogni fedele li glorificasse. Difficoltà: l’ufficio feriale con i suoi salmi notevolmente più lunghi comportò nella recita, come conseguenza, un carico maggiore per il clero ridotto di numero e molto impegnato in molteplici e varie occupazioni. Si rimediò con il ricorso agli uffici votivi:

lunedì: i santi Angeli,

martedì: gli Apostoli,

mercoledì, S. Giuseppe,

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giovedì: Santo Sacramento,

venerdì: la Passione,

sabato: Vergine Santa.

Non era una vera riforma del Breviario; sarebbe stato necessario ridurre le feste dei Santi, ma questo avrebbe comportato il ripristino dei lunghissimi salmi della feria.

La riforma di Pio X (1903-1914) iniziò con il documento Tra le sollecitudini che prevedeva:

- la riforma del canto sacro

- la Comunione frequente per gli adulti,

- la Comunione ai bambini.

Queste due ultime però riguardavano la pietà personale soggettiva non liturgica, ma aprirono la via al rinnovamento liturgico.

Pio X attuò una riforma radicale del Breviario:

- permise la recita settimanale del salterio integrale,

- accorciò l’ufficio, mettendo in rilievo l’ossatura essenziale dell’anno liturgico.

Lunghi studi preparatori portarono alla promulgazione della Costituzione Apostolica Divinu afflatu (1-11-1911). Lo scopo fu:

- ridare ai salmi il posto tradizionale nella preghiera pubblica, includendo nella settimana la recita integrale del salterio, ma in modo che la recita del salterio non diminuisse il culto dei santi, ma diminuisse l’onere ai chierici che erano obbligati alla recita dell’ufficio divino.

- sopprimere gli uffici votivi,

- dividere i salmi più lunghi in diverse parti, di cui ognuna avrebbe avuto la funzione di un salmo intero, diminuire il numero dei salmi da recitare ogni giorno: 9 a mattutino invece di 12 (e di 18 la domenica), 5 a lodi (invece di 7-8),

- dare una migliore ripartizione delle letture della S. Scrittura,

- rivalutare l’Ufficiatura del tempo (specialmente le domeniche e la Quaresima),

L’edizione tipica fu pubblicata nel 1914. La guerra e la morte del Papa impedirono la riforma del Messale.

Con Benedetto XV (1914-1922) e con Pio XI (1922-1939) non vi furono interventi di rilievo.

Pio XII (1939-1958), in seguito alle richieste di riforma profonda e generale da parte della Germania, pubblicò l’enciclica Mediator Dei (1947) in cui faceva il punto sugli aspetti positivi del movimento liturgico. Sviluppa nella prima parte il concetto di liturgia come culto pubblico della Chiesa, nella seconda parte il concetto e l’essenza della Chiesa, nella terza parte l’essenza della “laus perennis” quale prolungamento del culto eucaristico, nella quarta parte l’esortazione alla pietà individuale e all’apostolato liturgico. Parlava anche della natura della Messa e della partecipazione dei fedeli al sacrificio eucaristico.

Questo Papa inizia con l’effettuare alcune riforme.

Nel 1945: con un motu proprio In cotidianis precibus introduceva nella recita dell’ufficio una traduzione latina fatta direttamente dall’ebraico; la nuova versione, per un uso facoltativo, era più chiara e più esatta, ma incontrò critiche perché il ritmo non era all’altezza poetica dei salmi: Però ne guadagnò la comprensione e il profitto spirituale.

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Nel 1947: diede l’ordine alla Congregazione dei riti di predisporre studi preparatori per una generale riforma della Liturgia.

Nel 1949 dispose delle commissioni per la traduzione dei rituali nella lingue volgari.

Nel 1950: con la proclamazione del dogma dell’Assunta volle un nuovo ufficio nel breviario e ed una nuova Messa nel Messale. Volle anche che fosse inserita la festa di S. Pio X nel breviario.

Nel 1951: ripristinò la veglia pasquale “ad experimentum” (fino al 1955).

Nel 1953: approvò l’uso della Messa vespertina con la Costituzione Cristus Dominus perché molti lavoravano il giorno festivo e, perché stanchi del lavoro settimanale, non partecipavano alla celebrazione eucaristica La celebrazione pomeridiana fu estesa agli altri giorni.

Modificò il digiuno eucaristico; non più dalla mezzanotte, ma tre ore dal pasto e dalle bevande alcoliche, un’ora dalle bevande liquide non alcoliche; l’acqua non avrebbe rotto il digiuno. La comunione eucaristica si sarebbe potuto fare, anche al di fuori della celebrazione eucaristica, purché fosse inserita in una funzione sacra qualsiasi... Anche questa era un ritorno alla disciplina dei primi secoli.

Nel 1955: riforma limitata delle Rubriche (le norme che regolano la recita dell’ufficio divino) del Breviario Romano e ne progettò la riforma. Le Rubriche del Breviario e del messale, nel 1961, furono pubblicate da Giovanni XXIII con il motu proprio Rubricarum instructum.

Nel 1955 si ebbe la riforma di tutta la Settimana Santa con il decreto Maxima redemptionis nostrae mysteria che prevedeva:

- il Giovedì santo: la memoria attualizzante dell’Istituzione dell’Eucaristia, lavanda dei

piedi,

i sepolcri (intesi come esposizione dell’Eucaristia);

- il Venerdì: memoria della passione;

- il Sabato: lutto e pianto;

- all’alba della domenica: memoria della resurrezione.

Le celebrazioni furono trasferite al pomeriggio.

Nei primi secoli le funzioni dei tre giorni avvenivano di pomeriggio. Nel Medio Evo furono trasportate di mattina, ma le celebrazioni erano riservate al clero e a pochissime persone. Per la pietà dei fedeli erano state introdotte nuove forme di devozioni: visite ai sepolcri, le tre ore di agonia, processioni del Cristo morto il venerdì santo, benedizione delle case il Sabato santo. Alimentavano il sentimentalismo, ma non erano azioni liturgiche. L’intenzione di Pio XII fu quello di riportare i fedeli alla partecipazione liturgica, mentre al mattino erano tutti occupati nel lavoro. Era un ritorno all’antico da molti desiderato.

Nel 1955. Musicae sacrae disciplina affermava che la musica sacra, sublime arte, giova allo splendore del culto divino e alla vita spirituale dei fedeli.

Per disposizione del Papa, nel 1958 fu pubblicata un’Istruzione sulla Messa dialogata e sull’uso della lingua volgare in alcuni canti, e sull’uso di strumenti musicali in Chiesa.

Nel 1957 la Sacram communionem rinnovò le norme per il digiuno eucaristico. Quando il I maggio divenne la festa dei lavoratori, Pio XII volle che fosse santificato con la festa di S. Giuseppe artigiano.

Con il passare degli anni si comprende sempre più il ruolo importante che Pio XII ha avuto nella Chiesa e nella società.

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La “questione sociale e l’impegno dei cristiani nel sociale e nella politica

Già prima dell’ ‘800 molti pensatori, ecclesiastici e laici, posero a fondamento delle relazioni sociali, economiche e politiche quei valori che sono al centro dei grandi temi trattati nei successivi documenti del Magistero della Chiesa. Fra questi emergono:

- la persona con la sua dignità e libertà,

- la famiglia,

- la solidarietà e il bene comune,

- l’interesse per i poveri,

- la destinazione universale dei beni e la proprietà privata,

- la giustizia, l’uguaglianza e la responsabilità,

- l’importanza del lavoro, la responsabilità morale della classe dirigente,

- l’esigenza di fraternità universale e la necessità della pace nel mondo.

Anche il XIX secolo fu caratterizzato da opere di carattere sociale che hanno avuto origine nell’ambito cattolico, per il diffondersi dell’industrializzazione e del liberalismo, e che hanno preceduto e preparato i documenti del Magistero sociale.

La Chiesa cercò di interpretare gli eventi con scritti di carattere etico-sociale e con l’azione rivolta all’assistenza dei poveri, all’organizzazione di ospedali e di scuole, contribuendo alla promozione degli operai.

In Italia, si elaborarono teorie sul problema sociale: Luigi Taparelli D’Azeglio scrisse opere di economia politica. Opere a carattere sociale, vennero realizzate da Giovanni Bosco (1815-1888) che s’impegnò nell’assistenza e nella promozione dei giovani poveri, creando laboratori artigiani con finalità educative; fondò, anche nell’America Latina, scuole educative popolari, non solo di arti e mestieri, ma anche urnanistiche. L’opera di don Bosco contribuì ad evitare alla gioventù il rischio dell’emarginazione, in una società industriale e in via di sviluppo, e diede ai giovani gli strumenti professionali e culturali per inserirsi in essa. Ciò venne realizzato attraverso La Società di s. Francesco di Sales approvata dalla S. Sede nel 1869.

Giovanni Antonio Farina (1803-1888) fondò l’Istituto delle suore maestre di S. Dorotea con il compito di formare le maestre per la gioventù, che furono scelte fra le ragazze povere, in un momento storico in cui, promulgata la legge Coppino sull’obbligatorietà dell’istruzione elementare (1877), mancavano le aule scolastiche, le strade e le maestre.

Sul modello salesiano, Giacomo Cusmano (1834-1888) realizzò piccole industrie, negozi, e lavori artigiani per aiutare i poveri, dato che per lui «la vera carità è il lavoro». Fondò l’Associazione Boccone del povero per soccorrere gli indigenti nel periodo del colera e della fame

Giuseppe Cottolengo fondò la Piccola casa di Torino; Leonardo Murialdo organizzò unioni operaie cattoliche fin dal 1871.

In Francia, Frédéric Ozanam fondò la Società di S. Vincenzo dei Paoli (1833) per soccorrere i poveri; egli ritenne indispensabile occuparsi del popoio che aveva troppi bisogni e pochi diritti, che reclamava partecipazione agli affari pubblici e garanzia di lavoro.

Albert de Mun (1841-1914) e René La Tour du Pin istiturono l’Opera dei circoli operai cattolici in cui si riunivano industriali e lavoratori. Si verificarono anche iniziative da parte degli industriali che

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si proposero di assistere i loro operai, come nel caso di Lèon Harmel che sperimentò le prime forme di partecipazione alla gestione delle aziende.

In Francia queste attività furono accompagnate dalla riflessione sui nuovi problemi, che erano conseguenze della rivoluzione industriale, per offrire soluzioni conformi al Vangelo. Nel 1829 Filippo Buchez criticò l’ordine sociale del suo tempo, le ingiustizie, gli scandali e lo sfruttamento dell’uomo. Il visconte Alban de Villeneuve-Bargemont nel 1834 pubblicò il Grande trattato di economia politica cristiana in cui lamentò la miseria degli operai. L’interesse per i temi sociali ispirò lo scritto il Drappo bianco di Lamannais e le Memorie d’Oltre Tomba di Chateaubriand. Sul giornale l’Avenir Lamennais, Lacordaire e Montalembert criticarono l’imposizione del salario da parte dei datori di lavoro, la mancanza di contrattazione e d’intervento dello Stato.

In Germania, il barone e, poi, vescovo di Magonza Wilhelm E. von Ketteler diede origine al movimento sociale che si sviluppò in tutta Europa e scrisse La questione sociale e il cristianesimo (1864). Nel 1847 Peter Franz Reichenperger, indicò la necessità di stabilire un giusto rapporto tra capitale e lavoro.

In tutta Europa, molti cattolici posero al centro dei loro impegni, la questione sociale.

Intervennero anche molti Cardinali: in Svizzera, Mermillod, negli stati Uniti, Gibbons e Ireland, in Belgio, Perin, in Inghiltera, Manning e molti altri. I vescovi, soprattutto in Francia, anni prima della pubblicazione del Manifesto del comunismo di Marx ed Engels, denunciarono le ingiustizie, difesero i poveri e operarono per un ordine sociale più giusto ed umano attraverso lettere, messaggi e sermoni. Furono create associazioni di giovani operai, sindacati cattolici, partiti democratico-cristiani, cooperative, congressi cattolici, ecc.

Questi brevi riferimenti storici, insieme a tanti altri scritti e a tante altre attività non citate, danno una chiara idea del graduale sviluppo del pensiero morale sociale; questi nomi e queste opere fanno parte, non solo della storia religiosa, ma della storia sociale e politica.

NeI 1868, per opera di Giovani Acquaderni e Mario Fani, nacque la Società della Gioventù Cattolica (SCGI che nel 1931 si cambierà in GIAC) che aveva fini formativi e religiosi e coordinò le attività di Circoli Cattolici giovanili. Per iniziativa di Giambattista Paganuzzi, nel 1874, venne preparato il I Congresso cattolico italiano con il fine di organizzare in maniera unitaria tutto il mondo cattolico italiano e di discutere i temi che definivano i compiti del laicato cattolico militante. I compiti privilegiati furono:

- opere religiose e sociali

- carità, istruzione ed educazione,

- stampa,

- arte cristiana.

Esponenti furono Vito D’Ondes Reggio, Giovanni Acquaderni, Achille Sassoli Tomba. Dal 1875 i Congressi divennero stabili e autonomi dalla Società della Gioventù Cattolica. Nasceva l’Opera dei Congressi, che durò 30 anni, dal 1875 al 1904 e che, nata all’interno dell’ACI, può considerasi un movimento ecclesiale, ma nello stesso tempo un movimento di carattere sociale in quanto il suo pensiero rimase, in seguito, fortemente legato al contenuto della Rerurm Novarum.

L’Opera dei Congressi cominciò ad avere una seconda Sezione di economia sociale cristiana, che si sarebbe occupata dei problemi economico-sociali, non più in funzione protettiva e caritativa delle classi lavoratrici, ma in nome della giustizia e attraverso la formazioni di unioni professionali. Tuttavia si temeva che il problema sociale potesse evolversi in senso rivoluzionario. Presidente era il conte Medolago Albano. Componenti erano Murri, Toniolo, Monterisi e Sturzo.

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Nel 1884 era nata a Friburgo l’Unione internazionale per gli studi sociali per rendere possibili i dibattiti tra i cattolici sui problemi sociali.

Al fine di promuovere una più attiva partecipazione dei cattolici nel campo sociale, Giuseppe Toniolo costituì a Padova, nel 1889, l’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia, e fondò, nel 1893, la Rivista Internazionale di Scienze Sociali.

I cattolici intanto seguirono il non-expedit, ma gradualmente si resero conto che bisognava mettere in secondo piano la questione romana e che era necessario sollecitare interesse per la soluzione della questione sociale. Avevano preso atto:

- della crescita dell’industrialismo,

- della crisi della campagne,

- della trasformazione economica,

- della pubblicazione della Rerum Novarum di Leone XIII (15-05-1891), dell’avanzata del socialismo

Nel 1893 Toniolo fondò, la Rivista Internazionale di Scienze Sociali, ed elaborò, nel 1894, il Programma dei cattolici di fronte al socialismo che conteneva l’elenco dei presupposti del programma, le linee del programma, il fine e i mezzi.

I presupposti si riferivano alla necessità:

- di risolvere la questione sociale,

- di mostrare che le dottrine sociali della Chiesa hanno la capacità di risolvere i problemi concreti,

- di spiegare che non solo il socialismo prende a cuore la causa del popolo,

- di sottolineare che i cattolici, in Cristo, hanno i migliori motivi per rivendicare i diritti dei lavoratori.

Nel programma si parlava di:

- di legge del dovere come legge del lavoro,

- di proprietà individuale e privata,

- di funzione sociale e collettiva della proprietà,

- di patrimoni collettivi, di beni e di proprietà collettive dei comuni, delle province e dello Stato,

- di terre che possono essere sfruttate a beneficio pubblico,

- di diffusione della piccola proprietà privata,

- di esonero dal pagamento delle imposte nei casi di reddito basso,

- di giusto salario,

- di partecipazione agli utili, al capitale e alla gestione dell’impresa.

Il fine del programma era costituito dal progetto morale di:

- non dare più per carità, accondiscendenza e liberalità ciò che è dovuto per rigorosa giustizia;

- riconoscere agli operai la possibilità di rivendicare i propri diritti procedendo per le vie di una resistenza legale.

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I mezzi consistevano nell’attingere nella visione cristiana della società la soluzione dei problemi e nel non domandare nulla al socialismo dottrinale perché:

- il socialismo (che si era costituto in Partito nel 1892) è ateo e i cattolici sono credenti;

- il socialismo nega la proprietà privata individuale e i cattolici vogliono diffonderla, pur condannandone gli abusi;

- il socialismo vuole attuare il suo programma attraverso la lotta di classe e la violenza, i cattolici vogliono seguire la via del rispetto della libertà, della solidarietà, dell’uguaglianza proporzionale e della pace.

L’interesse per gli studi sociali rimase al centro del programma dell’Opera, del pensiero e dell’impegno di Toniolo; precedette e preparò la pubblicazione della Rerum Novarum, ne costituì i successivi sviluppi, le conseguenti precisazioni, divulgazioni e applicazioni sul piano socio-politico. il programma dei cattolici conteneva gli elementi che prepararono alcuni contenuti fondamentali della seconda parte della Gaudium et Spes.

Dall’opera dei Congressi nacque, nel 1903, la Democrazia cristiana di Romolo Murri che era un movimento che proponeva il medesimo programma di Toniolo, ma mentre questi rimaneva, come gli intransigenti, fedele al non-expedit del Papa Pio IX, Romolo Murri pensava che l’astensionismo sarebbe dovuto essere transitorio e che i cattolici avrebbero dovuto gettare le basi di un Partito cattolico. Il papa Pio X, temendo che fra i giovani sociologi prevalessero le tendenze di sinistra e dimenticassero la questione romana, nel luglio del 1904 sciolse l’opera dei Congressi Cattolici. Quando a novembre si attenuò il non-expedit, molti cattolici parteciparono alle competizioni elettorali alleandosi con i liberali.

Nel 1905 Murri fondò a Bologna La lega democratica nazionale e Pio X, con l’enciclica Il fermo proposito, diede maggiore autonomia alla partecipazione elettorale dei cattolici.

Nel 1906 il movimento cattolico si riorganizzò costituendo l’Unione popolare, l‘Unione economica sociale e l‘Unione elettorale.

Nel 1907 Pio X, con l’enciclica Pascendi condannò Murri e il Modernismo.

Nel 1909 i cattolici parteciparono alla competizione elettorale.

NeI 1913 i cattolici si unirono con i liberali nel Patto Gentiloni.

Nel 1914 iniziò la guerra. Benedetto XV invocò la pace.

Nel 1918 i sindacalisti cattolici prepararono il programma della Confederazione Italiana dei Lavoratori (CIL).

Nel 1919 il segretario del direttivo dell’Azione Cattolica, don Luigi Sturzo, fondò il Partito Popolare Italiano (PPI)

Luigi Sturzo (1871-1959) ritenne allora che i democratici cristiani avrebbero potuto costruire un Partito cattolico laico moderno. Aveva partecipato attivamente alle giuste richieste di riforme sociali che venivano dal mondo rurale, rilevando le forme di sfruttamento presenti nei contratti di lavoro e organizzando i giovani intellettuali e una parte del clero per porre fine alle ingiustizie nell’ambito produttivo e lavorativo; aveva istituito le casse rurali, cioè un sistema cooperativistico di piccolo credito, e incoraggiato la costituzione di aziende agricole, con opere di bonifica e di rimboschimento. Per realizzare le riforme sociali, aveva ritenuto necessaria l’analisi dell’ambiente naturale e il passaggio dall’interesse per i problemi sociali al fattivo impegno politico.

Il Discorso di Caltagirone del 29-12-1905 si può considerare una premessa alla costituzione del Partito Popolare. In tale Discorso Sturzo sosteneva che la “questione romana” riguardava il Sommo Pontefice il quale non avrebbe potuto rinunciare alla libertà e alla indipendenza; il partito

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dei cattolici avrebbe dovuto prescindere dalla questione romana nel senso che non la poneva come un primo politico nella sua azione, anche perché il Papa era il solo giudice competente in ciò e l’unica forza attiva di una soluzione che mille fattori avrebbero dovuto maturare. Il partito cattolico non doveva essere un’emanazione chiesastica nel senso clericale del termine, come non poteva essere un’emanazione monarchica nel senso dato dai liberali.

Il Discorso conteneva i presupposti del programma del PPI perché in esso Sturzo affermava: «Stimo giunto il momento che i cattolici, staccandosi dalle forme di una concezione pura clericale, si mettano, al pari degli altri partiti, nella vita nazionale non come unici depositari della religione, non come armata permanente delle autorità religiose che scendono in guerra guerreggiata, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del vivere civile che vuolsi impregnato, animato da principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana come informatrice perenne e dinamica della coscienza privata e pubblica».

Il Programma del PPI comprendeva quei principi morali e sociali d’ispirazione cristiana che furono poi presenti nelle successive dichiarazioni dei Diritti dell’uomo, nei documenti dei Pontefici sulla dottrina morale sociale cristiana, negli scritti di filosofi e teologi e nel Concilio Vaticano TI. Trascrivo integralmente i dodici articoli del Programma per verificare il valido contributo che Sturzo ha dato al pensiero politico-sociale:

I. Integrità della famiglia. Difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento. Tutela della moralità pubblica, assistenza e protezione dell’infanzia, ricerca della paternità-

II. Libertà d’insegnamento in ogni grado. Riforma e cultura popolare, diffusione dell’istruzione professionale.

III. Riconoscimento giuridico e libertà dell’organizzazione di classe nell’unità sindacale, rappresentanza di classe senza esclusione di parte negli organi pubblici del lavoro presso il comune, la provincia e lo stato.

IV. - Legislazione nazionale e internazionale che garantisca il pieno diritto al lavoro e ne regoli la durata, la mercede e l’igiene. Sviluppo del probivirato e dell’arbitrato per i conflitti anche collettivi del lavoro collettivo industriale ed agricolo. Sviluppo della cooperazione. Assicurazione per la malattia, per la vecchiaia e l’invalidità e per la disoccupazione. Incremento e difesa della piccola proprietà rurale e costituzione del bene di famiglia.

V. - Organizzazione di tutte le capacità produttive della nazione con l’utilizzazione delle forze idroelettriche e minerarie, con l’industrializzazione dei servizi generali e locali. Sviluppo dell’agricoltura, colonizzazione interna del latifondo e coltura estensiva. Regolamento dei corsi d’acqua. I3oniliche e sistemazione dei bacini montani. Viabilità agraria. Incremento della marina mercantile. Risoluzione nazionale del problema del Mezzogiorno e di quello delle terre conquistate e delle province redente.

VI. - Libertà ed autonomia degli enti pubblici e locali. Riconoscimento delle funzioni proprie del comune, della provincia e della regione in relazione alle tradizioni della regione e alle necessità di sviluppo della vita locale. Riforma della burocrazia. Ampio decentramento amministrativo ottenuto anche a mezzo della collaborazione degli organismi industriali, agricoli e commerciali del capitale e del lavoro.

VII. - Riorganizzazione della beneficenza ed assistenza pubblica verso forme di previdenza sociale. Rispetto della libertà delle iniziative e delle istituzioni private e di beneficenza e assistenza. Provvedimenti generali per intensificare la lotta contro la tubercolosi e la malaria. Sviluppo e miglioramento dell’assistenza alle famiglie colpite dalla guerra, orfani, vedove e mutilati.

VIII. Libertà e indipendenza della chiesa nella piena esplicazione del suo magistero spirituale. Liber6tà e rispetto della coscienza cristiana, considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà del mondo.

IX. - Riforma tributaria generale e locale, sulla base dell’imposta progressiva globale con l’esenzione delle quote minime.

X. - Riforma elettorale politica con il collegio plurinorninale a larga base con rappresentanza proporzionale. Voto femminile. Senato elettivo con prevalente rappresentanza dei corpi della nazione (corpi accademici, comuni, province, classi organizzate).

XI. - Difesa nazionale. Tutela e messa in valore della emigrazione italiana. Sfere d’ininfluenza dello sviluppo commerciale del paese. Politica coloniale in rapporto agl’interessi della nazione e inspirata ad un programma di progressivo incivilimento.

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XII. - Società delle nazioni con i corollari derivanti da una organizzazione giuridica della vita internazionale: arbitrato, abolizione dei trattati segreti e della coscrizione obbligatoria. disarmo universale.

Nel 1919 si riunì il primo Congresso del PPI. Benedetto XV abolì il «non expedit». Alle elezioni di novembre il PPI ottenne i 20,5% dei voti con 100 deputati.

Nel 1920 iniziarono le lotte dei contadini e delle leghe bianche contro i padroni; vennero organizzati il congresso della CIL e il secondo Congresso del PPI. I popolari parteciparono al governo Giolitti.

Nel 1922 due popolari dissidenti parteciparono al governo di Mussolini e Sturzo chiese una «collaborazione condizionata». Ma Mussolini non accetta costringendo i ministri a dimettersi.

Nel 1923 il PPI ottenne il numero maggiori dei voti dei partiti non fascisti; partecipò alla secessione dell’Aventino in seguito al caso Matteotti. Sturzo andò in esilio

Nel 1927 il governo fascista sciolse tutte le associazioni che non facevano capo all’Opera Nazionale Balilla, eccetto l’ACI.

Nel 1929 vennero firmati i Patti Lateranensi. Pio XI ottenne nel Concordato il riconoscimento dell’ACI.

Nel 1931 iniziò l’offensiva fascista contro l’ACI. I fascisti assalirono le sedi dell’ACI devastando, compiendo azioni sacrileghe, spezzando i Crocefissi, stracciando e calpestando ritratti del Papa; il fascismo ordinò lo scioglimento delle Associazioni giovanili cattoliche. Vi furono atti di solidarietà e di protesta e di fedeltà verso il Papa da ogni parte del mondo cattolico. Il Papa pubblicò l’enciclica Non abbiamo bisogno, in cui deplorava le tendenze totalitarie del regime e ottenne il riconoscimento e l’autonomia dell’ACI, contro il tentativo di accentrare l’educazione dei giovani, proprio del fascismo. Pio XI fu considerato il Papa dell’ACI.

Nel 1938 l’applicazione delle leggi razziali violò l’art 34 del Concordato e suscitò le proteste del Papa.

Nel 1940 l’Italia entrava in guerra.

Nel 1943 si ricostituì a Roma, con l’appoggio del Vaticano, il partito cattolico sotto la guida di A. De Gasperi: nasceva la Democrazia Cristiana.

Vi fecero parte Piccioni, Gronchi, Spataro, Scelba, che avevano fatto la loro esperienza politica nel PPI, e tra i nuovi vi erano Dossetti, La Pira, Fanfani.

I principi sociologici, che furono attinti dalla tradizione democratica cristiana di G. Toniolo, apparvero nelle Idee ricostruttive:

- difesa del decentramento amministrativo attraverso l’ente Regione

- partecipazione agli utili degli operai,

- potenziamento della media e piccola industria,

- non si faceva cenno alla questione meridionale.

Il Programma di Milano della Democrazia Cristiana, che si fondava sul metodo politico della libertà, fu più sintetico. Prevedeva:

- l’intervento dello Stato nella vita economica limitato alla tutela del consumatore, al controllo delle grandi imprese di utilità sociale,

- la difesa contro le azioni di egemonie capitalistiche,

- la valorizzazione della piccola proprietà,

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- la proposta di socializzare le aziende «a carattere prevalentemente e fatalmente monopolistiche», come l’industria elettrica, la grande industria chimica, l’industria siderurgica e metallurgica, ecc.,

- la precisazione dei rapporti tra un partito politico e la Chiesa affermando quell’autonomia che respinge forme di integralismo e ribadisce la fedeltà alla democrazia politica.

Nel 1944, sciolta la CIL durante il fascismo, nacquero le Associazioni Cattoliche Lavoratori Italiani (ACLI) con un compito di apostolato specializzato, sostenuto dall’ACI.

Nel 1945 Primo ministero De Gasperi.

Nel 1946 il Referendum istituzionale portò all’istituzione della Repubblica e alla formazione dell’Assemblea Costituente. Sturzo tornò dall’esilio negli Stati Uniti. Nel 1948, 18 aprile, le elezioni diedero la maggioranza assoluta alla DC che avrebbe potuto tentare la formazione di un governo monocolore, ma scelse di formare una coalizione governativa con liberali, repubblicani e socialdemocratici. Nasceva il centrismo che, però nel 1953 entrò in crisi.

L’ACI in questi anni aveva assunto il compito di occuparsi del problema politico preparando i soci che, poi, costituirono la classe dirigente del Paese all’interno della Democrazia Cristiana e che collaborarono alla stesura della Costituzione Italiana la quale andò in vigore nel Gennaio del 1948. La collaborazione politica al partito, che era formato da cattolici, si attuò tramite i Comitati Civici e l’appoggio del Vaticano, ma pose l’interrogativo sul ruolo socio-politico dell’ACI. Negli anni Cinquanta la gerarchia parlò di unità dei cattolici nelle scelte politiche e nacque il cosiddetto «collateralismo», superato negli anni postconciliari.

Nel 1948 il Congresso straordinario delle ACLI ratificò l’avvenuta scissione sindacale e si costituì la libera Confederazione Sindacale Italiana dei lavoratori: la CISL.

Dal 1952 al 1962 l’Italia sperimentò il miracolo economico per il decollo dell’economia industriale.

Un ruolo di grande efficacia all’interno del Concilio ha avuto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del dicembre del 1948. La tutela dei diritti dell’uomo era già entrata nella nostra Costituzione nel gennaio del 1948; di diritti e doveri parlò poi ampiamente la Pacem in terris di Giovanni XXIII (1961).

Ricordiamo anche l’affermarsi del moderno europeismo a cominciare dalla fine della Prima guerra mondiale, che si concretizzò dopo la lI guerra e che ebbe inizio, in particolare, con il Trattato di Parigi del 1951.

Queste vicende storico-politiche italiane danno soltanto un’idea del movimento cattolico socio politico; bisognerebbe analizzare il fenomeno in Europa e in tutto il mondo perché la Chiesa è universale e perché tutti i cattolici di tutto il mondo hanno contribuito a preparare il Concilio Vaticano Il: ciò è impossibile in questa sede.

Nei secoli XIX e XX il pensiero sociale e politico cattolico precedette e accompagnò (e poi seguì) il Concilio. Il movimento socio politico si è attuato con il contributo di molti cattolici, con i vari documenti del Magistero della Chiesa e con l’opera di teologi, moralisti e filosofi che hanno riflettuto sul rapporto Chiesa-mondo, inteso come presenza della Chiesa nel mondo a favore dell’uomo e della sua storia e nel senso che ogni cristiano è chiamato ad un inserimento pieno nella società e negli Stati: Cristo è il fine della storia e della società. La Chiesa è impegnata nella storia per promuoverla, per indicare la meta verso cui la società deve andare.

Questa nuova precisazione del ruolo della Chiesa precedette, accompagnò e seguì il Concilio Vaticano Il, ha il suo punto di riferimento nella riflessione collegiale della Gaudium et Spes (La

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Chiesa nel mondo contemporaneo), testimone di un lungo cammino che la riflessione teologica e filosofica ha compiuto.

La dimensione sociale dell’uomo, la sua vita di relazione, oggetto della filosofia cristiana e della teologia, sono considerate elementi costitutivi dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, nella sua realtà di comunione-relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Si prende, come immagine della società, la vita trinitaria di Dio. La Trinità è considerata il fondamento costitutivo teologico per mettere in evidenza il valore della relazione interpersonale degli uomini. Anche l’Eucaristia, alla luce della tradizione patristica e medievale, è ripresentata come segno-sacramento, non solo della comunione con Cristo nella sua presenza reale, ma come comunione, in Lui, con i fratelli. Anche la Chiesa è segno-sacramento di comunione, di solidarietà totale; essa vive nella storia ma va oltre la storia per la sua natura escatologica; per questo tutta la storia umana è finalizzata al compimento della Gerusalemme celeste.

La promozione dell’uomo, come liberazione integrale e non solo economica, sociale e politica, presente nella Gaudium et spes era stata delineata nei documenti pontifici che trattano della Dottrina sociale della Chiesa. La GS, alla luce delle esperienze e della ricerca, ha elaborato i contenuti presenti, in particolare, nei capitoli III - IV - V, dal n. 63 al n 93, relativi alla Vita economico-sociale, alla Vita della Comunità politica, alla Promozione della pace e della comunità dei popoli.

Durante il Seminario sono stati sono state date soltanto alcune indicazioni di questa parte che segue

Alcuni cenni sugli interventi di teologi che hanno offerto utili indizi per ulteriori e più approfondite ricerche.

Henri de Lubac (1913), che collaborò come esperto al Concilio Vaticano Il, nella sua opera Cattolicesimo. Gli aspetti sociali del dogma (1938), ha riproposto l’attualità della teologia storico-salvifica dei Padri della Chiesa e dell’alta Scolastica e, sulla base di questa tradizione, afferma, che, se i cristiani fossero stati fedeli alla costitutiva dimensione sociale e storica del cattolicesimo, non si sarebbe verificato l’ateismo occidentale o almeno non si sarebbe ampiamente diffuso. Egli si chiede «come mai... una religione che si disinteressasse apparentemente e dell’avvenire terreno e della solidarietà umana, potrebbe offrire un ideale capace di riavvicinare ancora gli uomini di oggi?». 11 disinteresse è da ricondursi all’individualismo che si è infiltrato nell’insegnamento cristiano «mentre in realtà esso è essenzialmente sociale. Sociale nel senso più profondo della parola... Sociale a tal punto che avrebbe dovuto sempre apparire un pleonasmo l’espressione cattolicesimo sociale» Anche all’interno della teologia dell’Eucaristia, sempre seguendo la tradizione patristica e medievale, De Lubac evidenzia gli aspetti sociali di essa, combattendo l’involuzione dell’individualismo e dell’intimismo e la conseguente separazione tra Dio e il mondo. I temi dell’avvenire terreno e quello della solidarietà sono diventati la base dell’interesse che la Chiesa va sempre più sviluppand, per dare una risposta ai problemi sociali.

Marie Dominque Chenu (1895), chiamato a partecipare al Concilio come esperto, nel suo volume Il Vangelo nel tempo (1964), ha affermato che il rinnovamento dello spirito evangelico si sarebbe potuto attuare attraverso una riflessione sull’incarnazione di Cristo, prototipo della povertà. «1 poveri, proprio perché vivono nell’insicurezza economica, culturale, spirituale» chiamano in causa la cristianità. L’apostolo di oggi offre le primizie del Vangelo nel combattimento per la giustizia (34-35). 1 poveri erano, in quel tempo, gli operai. Egli mise in luce il valore di servizio del lavoro e criticò gli abusi del capitale, che usava il profitto esclusivamente a proprio vantaggio, e la

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non esistenza di una vera teologia del lavoro. Egli ritenne che in quegli anni la civiltà del lavoro esigeva un’etica del lavoro, ma nessuno aveva ancora elaborato una teologia del lavoro, mentre era indispensabile capire il significato del lavoro nel XX secolo, per dare l’avvio ad una scienza del lavoro attraverso l’osservazione delle sue leggi, dei suoi scopi e del suo ruolo storico.

Queste opere hanno avuto incidenza nel Concilio Vaticano Il, ma la dimensione sociale dell’uomo veniva riaffermata soprattutto nell’ambito delle filosofie personalistico-sociali che si svilupparono nella prima metà del XX secolo. La Chiesa, senza identificarsi con l’ideologia socialista, ha accolto la visione sociale dell’uomo che si collega ai vari orientamenti dello Spiritualismo e del Neotomismo.

Gli sviluppi della consapevolezza del ruolo che la Chiesa e il cristiano hanno nel mondo favorirono il sorgere della Teologia della speranza, della Teologia politica e della Teologia della liberazione.

La Teologia della speranza (1964) è l’opera di Jürgen Moltmann (nato nel 1926), il teologo più rappresentativo di questa corrente teologica, secondo la quale «il motore occulto della storia è il Dio della speranza, ossia un fondamento personale e trascendente». Non si tratta di porre al centro della teologia la virtù della speranza, ma di proporre una nuova prospettiva, quella del futuro, dalla quale leggere il mistero cristiano. La storia è tale, non solo perché guarda al passato, ma perché è rivolta verso il futuro. «L’escatologia è la dottrina della speranza cristiana. Il cristianesimo è speranza, è orientamento e movimento in avanti e perciò è anche rivoluzionamento e trasformazione del presente». L’elemento escatologico non è una delle componenti del cristianesimo, ma tutta la predicazione, l’esistenza cristiana, la Chiesa stessa sono caratterizzate dal loro orientamento escatologico: «La teologia cristiana ha dunque un nuovo vero problema. . . il problema del futuro». L’escatologia dovrebbe costituire il principio della teologia e non la fine.

A partire dall’immagine di Chiesa pellegrinante si può comprendere la teologia politica perché la politica è connessa all’esistenza cristiana; il credente deve trovare nella fede la possibilità di dare un giudizio critico sulla realtà in cui vive e, quindi, sui problemi politici. Non si tratta di ridurre la teologia a politica, ma di aiutare i cristiani ad assumere comportamenti giusti, dopo avere ascoltato la Parola di Dio. Uscire fuori dall’individualismo per impegnarsi nella vita sociale insieme agli altri è possibile nel passaggio dalla fede all’azione, dalla religione alla vita. La teologia della croce mostra come il Crocifisso pone ciascuno e la società dalla parte degli affamati e dei poveri.

La Teologia politica, si è sviluppata per opera di Johann Baptist Metz (1928), il cui interesse per la storia, per la vita concreta dell’uomo lo orientava verso una teologia politica come correttivo critico all’interno della teologia contemporanea. Nella sua opera Sulla teologia del mondo (1968) criticava la tendenza a “privatizzare” ogni aspetto teologico, a dare alla teologia «un orientamento trascendentale, personalistico ed esistenziale» e a considerare secondaria la dimensione sociale del messaggio cristiano. Egli critica il modo di presentare il messaggio cristiano con le categorie dell’intimo, del privato, dell’a-politico, propri della vita del “singolo”, e d’intendere il rapporto io-tu come un rapporto interpersonale e di vicinanza.

Deprivatizzare la predicazione e la spiritualità è il primo compito teologico critico della teologia politica; il secondo compito è riformare il messaggio escatologico del cristianesimo, inteso come attesa di una società migliore. Ciò non esclude che nel NT si parli del singolo davanti a Dio e ciò non potrà essere messo in discussione; ma è necessario determinare il rapporto tra religione e società, tra Chiesa e società politica. La teologia dovrà essere soprattutto teologia pratica e dovrà spingere all’azione e alla prassi sociale. Le promesse relative al Regno di Dio devono avere un carattere pubblico e devono riguardare l’assetto sociale e i rapporti socio- politici. Non si tratta di politicizzare la fede e la Chiesa, né di clericalizzare la politica, ma si tratta di sperimentare la speranza di libertà non ancora raggiunta.

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La Teologia della liberazione, nata prima e durante il Concilio Vaticano II e sviluppatasi dopo, alla luce della Gaudium et Spes, sorse dall’esigenza di tenere presente i fondamenti della Rivelazione e di collegarli alla realtà storica concreta e, quindi, ai segni dei tempi, secondo il metodo di vedere, giudicare e agire. S’ispirava alla Teologia della speranza di Moltmann e alla Teologia politica di Metz, ma ne evidenziava le differenze: la speranza di Moltmann sembrava legata alla promessa divina e priva di riferimenti storici concreti; la Teologia politica di Metz parlava di possibilità, ma non offriva contenuti per un impegno politico.

La teologia della liberazione si presentava come pastorale, ma fu un nuovo modo di far teologia perché assumeva come punti di partenza la fede in Cristo, profeta e liberatore, e la situazione storico-sociale. Sul piano pratico i punti di partenza erano l’incumazione del messaggio evangelico, costituito dalla parola di Cristo, che parla all’uomo di oggi, e la prassi liberatrice. Istituiva un rapporto tra ortodossia e ortoprassi. Spesso la novità teologica fu costituita da un vero capovolgimento metodologico perché assumeva, come punto di partenza della riflessione e dell’interpretazione teologica, la situazione storica di emarginazione dell’America Latina. Il teologo Assmann scriveva La teologia “dalla” prassi di liberazione: la prassi diventa origine della riflessione teologica. La situazione concreta, la storia diventano “luogo teologico” e il termine “liberazione” viene usato al posto di “libertà” e sostituisce il termine “rivoluzione” perché per raggiungere la libertà bisogna attuare la liberazione.

Essa formulò i suoi elementi fondamenti nella CELAM di Medellin deI 1968 e in quella di Puebla del 1979; infatti le analisi della situazione storica riguardavano l’America Latina e le condizioni di povertà e d’ingiustizia del popolo. A Medellin fu sviluppato il tema del rapporto Chiesa-società e furono evidenziati i problemi storico-sociali presenti nella Populorum progressio e negli altri documenti della Chiesa, nei quali era presente il concetto di liberazione. Questa teologia assunse il povero come tema principale, la cultura locale e il linguaggio di queste culture come punto di riferimento, la salvezza come salvezza nel senso religioso e come liberazione dalla povertà, dall’emarginazione, dalla ingiustizia e dall’oppressione. Si trattava di fondare una teologia delle Chiese locali.

Degli esponenti più noti di questa teologia ricordiamo Gustavo Gutierrez e Leonardo Bof

Gustavo Gutierrez, che rappresenta una delle voci più autorevoli di questa corrente teologica, nella Teologia della liberazione (1971) parla dei tre livelli del significato del termine “liberazione” che costituiscono un processo unico e complesso e che s’integrano a vicenda:

1) la «liberazione esprime le aspirazioni dei popoli, delle classi e dei settori sociali oppressi, e sottolinea l’aspetto conflittuale del processo economico, sociale e politico che li oppone ai popoli opulenti e ai gruppi di potere»;

2) 2) la liberazione dell’uomo è un processo storico nel quale egli diviene coscientemente padrone del suo destino;

3) 3) la «liberazione ci porta più facilmente alle fonti bibliche... Cristo salvatore libera l’uomo dal peccato, ragione ultima di ogni rottura d’amicizia, di ogni ingiustizia ed oppressione, e lo rende autenticamene libero, lo fa vivere, cioè, in comunione con lui, fondamento di ogni fraternità umana

Il processo di liberazione trova il significato più pieno «nel dono liberatore di Cristo che supera ogni aspettativa» perché egli è il fondamento della spiritualità della liberazione: «Una spiritualità della liberazione sarà imperniata sulla conversione del prossimo, all’uomo oppresso, alla classe sociale sfruttata, alla razza disprezzata, al paese dominato. . . Conversione significa radicale trasformazione di noi stessi, pensare, vivere, sentire come Cristo presente nell’uomo spogliato e alienato. Convertirsi è impegnarsi nel processo di liberazione dei poveri e degli sfruttati, in modo lucido, realistico e concreto».

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Nella sua opera più originale, dal titolo Bere al proprio pozzo, considera strettamente connesse dossologia e prassi; egli dice: «la nostra metodologia è, in realtà, la nostra spiritualità», la riflessione autentica affonda le sue radici nella contemplazione e nell’azione; questa «esperienza spirituale è il pozzo al quale dobbiamo attingere» perché essa è già riferimento alla dossologia e alla prassi. Ciò non significa volere privilegiare la prassi, intesa come problematica sociale e politica, ma valorizzare l’esperienza vissuta interiormente che diventa quel pozzo a cui attingere per una spiritualità cristiana nella dimensione dossologica. L’esperienza della sofferenza del popoio latino-americano è costituita dalla «interminabile sfilata delle miserie dei poveri. Mille piccole cose: privazioni di ogni genere, abusi e disprezzo, vite angosciate sempre in cerca di lavoro, forme incredibili per guadagnarsi da vivere o solo un pezzo di pane, rendite meschine, famiglie separate, malattie non più esistenti ad altri livelli sociali, denutrizione e mortalità infantile, prodotti e merci mal pagati, disorientamento totale su ciò che può essere necessario per sé e per la propria famiglia, delinquenza dovuto all’abbandono e alla disperazione e alla perdita dei propri valori culturali... Se a tutto questo si aggiunge la repressione... abbiamo allora un quadro segnato dal dolore e dalla morte». In questo tempo del martirio i popoli dell’America Latina vivono nella gioia tipica della speranza di chi attende che possa cambiare questa situazione di povertà antievangelica. Questa esperienza riguarda, non solo il rapporto fede e politica, ma la ricerca di una risposta alla domanda di senso totale dell’uomo nel mondo.

A questo tipo di metodologia si ricollegano i temi fondamentali della teologia di Gutierrez tra i quali l’irruzione del povero nella società e nella Chiesa, la realtà di sofferenza e di morte nell’America Latina, la possibilità di trovare un fondamento biblico alla lotta per la conquista della vita e della libertà.

Leonardo Bof, nel suo libro Gesù Cristo Liberatore, dichiara che intende rileggere i testi del NT e i recenti commenti alla luce delle preoccupazioni e del contesto sud-americano perché, dice : «Il nostro cielo ha altre stelle, che formano altre figure dello zodiaco...».

Le caratteristiche di questa cristologia sono:

1) primato dell’elemento antropologico su quello ecclesiologico...

2) primato dell’elemento utopico su quello fattuale..

3) primato dell’elemento critico su quello dogmatico...

4) primato del sociale sul personale...

5) primato dell’ortoprassi sull’ortodossia...

La Teologia della liberazione conteneva alcuni rischi, quali l’assunzione di determinate ideologie (fra cui quella marxista), la trasformazione in ideologia politica e in sociologia, la riduzione a “teologia del genitivo” non inquadrata in un contesto più vasto, la tendenza a ridurre l’uomo alla prevalente dimensione economica, politica e sociale e, quindi, alla dimensione temporale, la possibilità di privilegiare l’ortoprassi in rapporto all’ortodossia, il privilegiare la liberazione antropologica rispetto a quella ontologica ed etica, il considerare secondario l’elemento ecclesiologico e, in alcuni casi, l’introdurre il metodo della rivoluzione violenta.

Questi rischi indussero la Congregazione della Dottrina della fede ad intervenire con il documento Libertatis nuntius in cui evidenziava gli errori della teologia della liberazione perché troppo dipendente dalla prassi rivoluzionaria marxista, inconciliabile con la passi cristiana. I vescovi dell’America Latina hanno precisato la distinzione tra la teologia della liberazione non-ortodossa e la teologia della liberazione ortodossa che non poteva essere condannata. La Congregazione rispose con la Libertatis Coscientiae che riconosce la liberazione, sul piano ontologico, dal peccato e dall’errore per mezzo della grazia, sul piano antropologico ed etico e anche sul piano economico, sociale e politico, ed esorta a sviluppare la teologia della liberazione su un piano ortodosso, valido per la Chiesa universale.