Ferriano Giardini - Opere 1959-2005

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opere 1959-2005 Ferriano Giardini Ferriano Giardini opere 1959-2005 Edizioni Capit Ravenna Edizioni Capit Ravenna

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Mostra antologica Ferriano Giardini Galleria FaroArte - Marina di Ravenna 15 dicembre 2012 - 6 gennaio 2013 Capit Ravenna

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Associazione Capit RavennaPro Loco Marina di Ravenna

Galleria FaroArte, Marina di Ravenna

15 dicembre 2012 - 6 gennaio 2013

PatrociniRegione Emilia Romagna

Provincia di RavennaComune di Ravenna

Ferriano Giardiniopere

1959-2005

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Ferriano Giardiniopere 1959-2005

A cura di Sabina Ghinassi

Presentazione Pericle Stoppa

TestiSabina GhinassiMaria Savina Loik

Apparati biobibliograficiSerena Tondini

CollaborazioniGino BabiniGiorgio GiardiniRossella Giardini

Fotografie Giulio BondiGiorgio DiniGiulia Giardini

Progettazione grafica Mauro Bendandi

StampaTipografia Moderna, Ravenna

Edizioni Capit Ravenna, 2012Collana FaroArte n. 2 a cura di Serena TondiniVia Gradenigo, 6 - 48122 Ravenna - [email protected] www.capitra.it

In copertina: Antinido, 1984, olio su tela, cm 60x80.

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Ferriano Giardini nel suo studio

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Presentazione

Con l’apertura della Galleria FaroArte l’Associazione Capit Ravenna, che ne cura la programmazione, ha avviato, fra l’altro, un progetto per riportare all’atten-zione della città l’opera di quegli artisti ravennati che hanno lasciato un’importante testimonianza sia per la loro personalità che per la qualità della loro pro-duzione.

Dopo l’esperienza dello scorso anno, con la mostra dedicata a Renzo Morandi, la scelta dell’artista da ricordare in occasione delle festività 2012/2013 si è indirizzata nei confronti di Ferriano Giardini, pittore colto, raffinato, sensibile e di grande coerenza.

Certamente sulla decisione assunta ha pesato an-che il rapporto di stima e di amicizia reciproca sca-turito dalla frequentazione con Giardini fin dagli ultimi anni ’60, quando egli figurava tra i protagonisti indi-scussi del concorso estemporaneo di Marina, che lo vide vincitore del primo premio nell’edizione del 1971.

Da allora siamo stati testimoni attenti e anche curiosi del suo lavoro di pittore a tempo pieno che egli inter-pretava come risposta alle inquietudini e ai tormenti che gli derivavano dall’osservare il progressivo venir meno di valori fondamentali, primo tra tutti la tutela dell’ambiente, e la conseguente alienazione di una società sempre più consumistica.

Era sempre interessante dialogare con Giardini e se anche gli argomenti in discussione potevano appa-rire distanti dalle tematiche artistiche, era inevitabile che approdassero alla sua produzione del momen-to, perfino al singolo dipinto, in gestazione da set-timane se non da mesi, in quanto egli diceva: “(…) un quadro io non lo considero mai finito”.

Per questo Giardini è stato un pittore che, a diffe-

renza di altri autori ravennati suoi contemporanei, ha prodotto relativamente poco, proprio per quel-la costante ricerca di trasferire sulla tela sensibili-tà, emozioni e sentimenti che lui stesso doveva, un poco alla volta, interiorizzare.

La sua committenza, composta da pochi ma raffina-ti cultori, era in gran parte esterna alla città per cui, complice una sua innata riservatezza, ad occhi non attenti, Giardini può essere apparso nel contesto ra-vennate come un artista marginale.

E’ questa una ragione in più che, a distanza di cin-que anni dalla sua scomparsa, ci ha spinti a pro-porre un’antologica delle sue opere, scelte con la sapiente capacità di Sabina Ghinassi che ha curato anche l’allestimento dell’esposizione.

Un particolare ringraziamento rivolgiamo alla fami-glia di Ferriano: a Loredana, fedele custode della memoria del marito, ai figli Giorgio e Rossella che hanno attivamente collaborato per la riuscita della mostra e degli eventi collaterali, e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna per il sostegno of-ferto.

Pericle StoppaPresidente Capit Ravenna

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Il silenzio di Ferriano Giardini

Se si dovesse attribuire un suono alle opere di Fer-riano Giardini sarebbe quello del silenzio.Un silenzio nel quale affondare dolcemente, nel qua-le perdersi, confondersi, perdendo la nozione di limi-te, di confine, di spazio-tempo, di ordine prestabili-to, di dualità in apparenza inconciliabili, di bellezza e bruttezza, di presunti rigori ai quali appellarsi, scuole, maestri, linguaggi. Giardini ha scelto, nelle sue pitture, di ritrarre queste assenze e di dare forma ad un teatro di luoghi altri, di finestre aperte sull’altrove, in the middle of nowhere direbbero gli inglesi che, nel dar corpo e voce all’a-nima attraverso la lingua, sono sempre più sincretici di noi mediterranei. Riescono a tradurre le velature, anche quelle più impercettibili, difficili da fermare. Anche Giardini si comporta allo stesso modo nei suoi dipinti: lascia che nascano in maniera quasi endoge-na attraverso la mano cocciuta e insieme docile, mai appagata alla ricerca di quell’altrove, di quei luoghi da costruire, da accogliere pennellata dopo pennel-lata sulle superfici, con calma e senso dell’attesa. Attesa della resa perfetta del colore a olio, di quella speciale increspatura di luce livida e agglutinata che non può che essere raccolta dal tempo, dallo sguar-do che ritorna più volte su un lavoro prima di definirlo concluso, finito. La sua è una pittura pura e concentrata, che sembra essere il risultato di un’azione ponderata e radicata, di una riflessione profonda che tocca il vissuto, lo trascende e riesce a trovare l’armonia dell’assenza degli opposti. Non è casuale d’altra parte che all’in-terno della sua produzione non esista la figura uma-na, ma solo lo spazio, uno spazio animato da simbo-li, da topoi ricorrenti, ma uno spazio che è sempre e comunque un luogo vuoto. Il suo vuoto è l’origine di ogni forma e il luogo di ritorno di ogni forma. Dal vuoto e al vuoto tutto nasce e ha fine. Si tratta quindi di un vuoto pieno, denso, una sorta di buco nero nel quale morire e rinascere. È questo forse il

segreto di un artista che, per quanto appartato e isolato, è riuscito nel corso della sua lunga attività a raccogliere tanto favore da parte di un collezionismo fedele, mosso da una sorta di debito affettivo, di le-gamento interiore nei confronti dei dipinti. Persone che la sera si siedono ancora davanti ai suoi dipinti e li guardano, semplicemente, per ore, da anni. Ogni pittore sogna questo per i suoi quadri. Giardini inizia a dipingere nella seconda metà degli anni ’50. Sta lavorando ancora come impiegato e, timidamente, si avvicina alla pittura, seguendo il per-corso abituale di un autodidatta in un piccolo centro di provincia come Ravenna: la partecipazione a Pre-mi ed estemporanee, la discussione e il confronto con gli altri pittori del territorio. Tutto si svolge come da copione, tranne una cosa, importantissima. Giardini è già interessato a temi dif-ferenti dagli altri artisti che frequenta: ama la natura morta senza dubbio, ma la cerca attraverso strade diverse da quelle legate alla consueta iconografia lo-cale. La cerca, provando, altrove. Cerca anche la tecnica e la trova nel virtuosismo cromo luministico, nella sapienza tonale di grande rigore, densamente evocativa. Le tavolozze di que-sto primo periodo sono ancora luminose, calde, pia-cevoli. Avrebbe potuto continuare a dipingere così, avrebbe venduto e trovato un buon ritorno di merca-to. I due vasi con fiori esposti in mostra sono molto belli: da un fondo di azzurro aggraziato e prezioso si accendono i cori di rossi e gialli delicati che scivola-no nel verde vibrante della massa fogliare. Eppure nello stesso periodo dipinge anche dei te-schi, delle ossa: soggetti meno accattivanti a livello mercantile per il gusto dell’epoca. Anche qui la ta-volozza è calda, ma ha il sapore di ocre e di terre; anche la pennellata diventa una tache fremente e veloce, corposa, quasi brut. È una visione inquieta e profonda, la prima persona-le incursione in quel memento mori che accompa-

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gnerà come una nota di fondo, declinata in decine di modi diversi, tutta la sua opera. Incontra anche il paesaggio in quegli anni. Sarebbe meglio dire che il paesaggio incontra lui; lo possiede, gli racconta sto-rie e gli permette di entrare, di lasciarlo libero oltre la linea dell’orizzonte, là dove si annulla l’impercettibile confine tra terra, campagna e mare. Sono nature dolcemente tonali nelle quali si avverte un respiro simile a quello di Friedrich, un senso di solitudine bellissima e infinita, di bellezza commovente. Un piccolo albero inclinato dal vento diventa il segno incandescente della vita, l’ultima, fragile traccia da fermare con lo sguardo prima della fine. Ferriano non ci dice se quella luce è il preludio dell’alba o il riflesso di tramonti dolenti. Lascia l’enigma, e insieme la fascinazione. Eppure, e questa sarà un’altra delle caratteristiche dell’artista, non sono mai quadri tragici, ma quasi consolatori: rimarrà sempre tanta bellezza là fuori comunque, anche se noi con tutti i nostri limiti e le nostre assenze non ci saremo più. Se noi saremo parte dell’impercettibile pulviscolo perso nel cielo. Quel cielo aperto verso l’infinito ci sarà sempre, forse sarà diverso, distante dalla nostra idea di bellezza ma sarà per sempre, attraverso strade che non pos-sono che sfuggirci. Gradualmente si fanno avanti in seguito le spiagge, le conchiglie, gli abissi marini, le corazze abbandonate, le uova, le sfere; la pennellata diventa più raffinata e ri-gorosa, le cromie, pur restando attentamente tonali, si raffreddano modulandosi su una gamma di sfumature sideree e livide, nelle quali un blu cinereo si anima di accensioni algide. Alle volte sono le uova, promessa di una vita che, probabilmente, si rinnoverà; altre volte sono le conchiglie, simbolo del mito dell’eterno ritorno. Quelle spiagge sono come il teatro di una guerra or-mai finita, della quale l’uomo è stato artefice e vittima. Di lui non resta nulla, se non qualche povero fram-mento di corazza.

Da metà degli anni Settanta Giardini smette di par-tecipare a premi e concorsi, smette anche di visitare mostre, ignora gli inviti alle Biennali; continua a vede-re gli altri pittori, ma si isola in quel wunderkammer di tesori e collezioni, di sacro e profano che è la sua casa; lavora incessantemente nel piccolo studio che assomiglia sempre di più ad un athanor alchemico: la tela, i colori, le sperimentazioni cromatiche e mate-riche, le abitudini da uomo gentile che riserva ai suoi collezionisti, agli amici, e la pittura, che si fa sempre più lenta e meditata, che ricostruisce il mondo. Solve et coagula, dicevano gli alchimisti: dissolvi e ri-componi. Lui riesce a far questo davanti al cavalletto. Sulla superficie pittorica ora avanzano altri elementi oltre a quelli di sempre: citazioni di tagli alla Fontana, cicatrici, buchi, segni di una violenza che però non si traduce in ferita e sangue, ma si trova attutita, quasi si trattasse di un gesto lontano, distante, un’eco di qualcosa che ha lasciato soltanto una traccia, che non può far male. Nello stesso tempo il colore vira alla monocromia grazie a velature dal sapore fiam-mingo, ardite e sapienti. Sul guscio delle uova alle volte appare una lieve increspatura, preludio di una vita che comunque rinascerà. Come potrà rinascere dalla spirale della conchiglia, dal luogo più remoto e protetto, quello dove nessuno può farti soffrire. Nell’ultima produzione si riaffaccia teneramente la luce delle prime opere, la pennellata, sempre ragionata, si muove su tinte gessose, meno vitree; appaiono piccole presenze. Possono essere api, coccinelle, rondini che ripopolano timidamente quel mondo ormai vuoto. Se si chiudono gli occhi, quello di adesso è un silenzio fatto di rumore d’ali che fendono il cielo, di ronzii morbidi che salgono piano: la scrittura pittorica è ora risolta, pacificata nel-la trascrizione del primo, fragile fremito di vita.

Sabina Ghinassi

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Senza titolo, 1959, cm 28x22, olio su tavola

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Natura morta, 1964, cm 39x33, olio su tavola

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Zoccoli sulla spiaggia, 1964, cm 50x70, olio su tela

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Solitudine, 1966, cm 35x45, olio su tavola

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Vaso con fiori, 1968, cm 70x50, olio su tela

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Rose, 1969, cm 50x40, olio su tela

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Silenzio, 1970, cm 60x50, olio su tavola

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La conchiglia, 1971, cm 40x50, olio su tela

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Sintesi di mare blu, 1971, cm 60x50, olio su tela

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Naufragio sull’asteroide, 1971, cm 70x100, olio su tela

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Squallido splendore, 1972, cm 60x80, olio su tela

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Una condizione al dominio, 1973, cm 80x100, olio su tela

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Pascoli liquidi, 1974, cm 100x150, olio su tela

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Orizzonte grigio, 1975, cm 60x80, olio su tela

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Orizzonte astrale, 1977, cm 30x40, olio su tela

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Ultimo nido, 1977, cm 60x80, olio su tela

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Incrinature, 1978, cm 60x80, olio su tela

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Luci d’autunno, 1980, ovale cm 40x50, olio su tavola

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Ultimo atto, 1981, cm 100x150, olio su tela

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Il capanno, 1981, cm 30x40, olio su tela

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L’uovo, 1982, cm 60x80, olio su tela

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Il tetto del mondo, 1982, cm 60x80, olio su tela

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Antinido, 1984, cm 60x80, olio su tela

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Bassa marea, 1984, cm 15x10, olio su tavola

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Enigma, 1984, cm 80x60, olio su tela

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Silenzio blu, 1985, cm 60x80, olio su tela

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Nel vento, 1986, cm 60x80, olio su tela

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La fuga, 1988, cm 60x80, olio su tela

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Sismo blu, 1989, cm 60x80 , olio su tela

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Fuga dalla civiltà, 1992, cm 30x40, olio su tela

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Sintesi d’opinione, 1994, cm 30x40, olio su tela

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Un silenzio per il tempo, 1995, cm 30x40, olio su tela

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Senza Titolo, 1997, cm 40x30, olio su tela

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La battigia della speranza, 2000, cm 30x40, olio su tela

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Flora d’acciaio, 2000, cm 60x80, olio su tela

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Nel tempo, 2002, cm 60x80, olio su tela

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Api sul muro, 2002, cm 18x24, olio su tavola

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Spiaggia, 2003, cm 18x24, olio su tavola

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Echi dal passato, 2003, cm 60x80, olio su tela

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Spazi silenti, 2003, ovale, cm 48,5x38,5, olio su tavola

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Api a riposo, 2005, cm 18x24, olio su tavola

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Una testimonianza

Ferriano Giardini nasce a Ravenna il 1 marzo 1926 in una modesta casa di contadini immersa in quella campagna ormai scomparsa che divideva, o meglio congiungeva come una sorta di ponte ideale, il cen-tro urbano al mare.

Città e campagna, terra e mare, con il loro diverso carico di cultura e prospettive si intrecceranno in-dissolubilmente con la vita e l’espressione artistica di Giardini.

La terra fu per lui come un secondo grembo mater-no quando vi si nascose per molti giorni sfuggendo ai tedeschi che, sul finire della guerra, cercavano ancora giovani vite da sacrificare. Il mare fu invece la “sala giochi” ideale per il giovane Ferriano.

In riva al mare, infatti, si consumavano le giornate più spensierate, quelle dedicate agli amici, ai giochi, all’avventura, alla scoperta del mondo e di se stes-so, boccate d’ossigeno per sopravvivere agli orrori del tempo, alle difficoltà quotidiane, alla crudezza della realtà con il suo carico di morte e di paure.

Per non piegarsi agli eventi ha imparato, come tutta la sua generazione, a far tesoro delle piccole cose cercando il valore e la pienezza della vita tra le pie-ghe dei “non sensi”, delle negazioni, delle assenze, della fatica.

È diventato, come i suoi coetanei, adulto per “ne-cessità” lasciando troppo presto i turbamenti, i so-gni, i progetti, le aspettative dell’adolescenza. Ha cominciato a lavorare a soli 15 anni, subito dopo aver frequentato una scuola professionale di scien-ze commerciali.

Giovanissimo conosce quindi il peso delle respon-sabilità e degli impegni.

La sua partita con la vita “vera” è entrata nel vivo precocemente, proiettandolo in un attimo nel mon-do dei grandi in cui, anche se è poco più di un ra-gazzo, si immerge completamente rispettandone i ritmi e le regole con correttezza, dedizione e senso del dovere.

Ben presto però sente che la sua esistenza non può realizzarsi seguendo il tracciato definito dagli schemi della quotidianità e dalle necessità primarie della vita. Ha bisogno di esprimersi, di raccontare qualcosa di se.

I riferimenti geografici, sociali, culturali che hanno rappresentato lo spazio ideale entro cui si è mosso fino a quel momento non bastano più.

Attento e sensibile osservatore della realtà, racco-glie sensazioni e intuizioni che a poco a poco forma-no un suo pensiero preciso, un suo personalissimo intendere la vita e il suo divenire.

Non può trattenere tutto questo e avverte sempre più forte l’esigenza di raccontare anche agli altri quello che lui ha dentro.

Lo sente quasi come un “dovere” sociale perché i messaggi che affiderà alle sue tele (soprattutto nel momento della maturità pittorica) sono forti e punta-no dritto alla coscienza di ognuno.

Si avvicina alla pittura timidamente e con umiltà ma anche con la ferma consapevolezza che sarà que-sta la sua voce, la sua forma espressiva e soprattut-to che attraverso la pittura potrà raccontarsi come uomo libero in grado di vivere contemporaneamen-te dentro e fuori gli schemi.

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È autodidatta. Le sue fonti di conoscenza sono i libri d’arte, le mostre, i musei, le pinacoteche che frequenta assiduamente, ogni volta che può, in giro per l’Italia e anche all’estero.

Sono momenti intensi e gratificanti, vere e proprie incursioni nei diversi registri e linguaggi artistici, dai classici ai contemporanei.

Trae da quello che legge e che vede tutto quello che gli serve e qualche anno dopo “forte di tutte le esperienze visive accumulate” (per citare una sua frase) comincia a dipingere costruendo, a poco a poco, la sua originalissima e unica poetica artistica. Smette di dipingere solo quando la malattia lo co-stringe ad una inerzia obbligata che dura fino al gior-no della sua morte, avvenuta il 15 luglio 2007.

Mi piace pensare che se ne sia andato respirando l’affetto profondo dei suoi cari mentre si vede nel suo piccolo studio, con le mani sporche di colore e in testa immagini a cui dare forma.

Maria Savina Loik

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Biografia

Ferriano Giardini è attratto dall’arte fin da quando, adolescente, frequenta una scuola professionale ad indirizzo commerciale. Questa precoce passio-ne lo porta a incontrare i protagonisti più significativi dell’ambiente artistico locale spingendolo a visitare, con sempre maggior frequenza, le più importanti rassegne nazionali di arti figurative.

La presa di coscienza di questo mondo fa maturare in lui il bisogno di operare personalmente per dar spazio a quella che ritiene ormai la sua più autentica vocazione.

Egli stesso scriverà poi, riferendosi a quel periodo della sua vita, “(…) forte di tutte le esperienze vis-sute accumulate, sono ancora alla continua ricerca di nuove espressioni figurative. Il rendersi conto di come la tecnologia dei tempi moderni stia scon-volgendo il nostro pianeta e lo stesso universo, straordinariamente perfetto, suscita indubbiamente riflessioni amare: questo però non mi ha impedito di proseguire nel mio impegno per il recupero di valori perduti…”.

La sua passione è sorretta dall’impellente necessi-tà interiore di denunciare lo scempio del pianeta e delle coscienze prodotto dal progresso della tecno-logia e dai suoi riflessi sulla vita degli individui. Tra-pela sempre però la speranza del recupero di valori fondamentali. Egli stesso dice: “ Il mio travaglio in-teriore mi porta spesso a dipingere immagini che non hanno una precisa collocazione nel tempo e, pur essendo frutto di ragionate analisi, possono er-roneamente essere interpretate come espressione di gratuito e profondo pessimismo”.

Iniziano così anni di intenso lavoro alla ricerca di una propria autonomia espressiva: tentativi contraddit-tori ma fertili di pregnanze sperimentali, di generosi

naufragi, di angosce dialettiche volte alla ricerca del-la genuinità interiore.

Viaggia in Europa, alla ricerca di nuovi motivi per dare alla propria opera contenuti non meramente visivi: si fa sempre più pressante l’esigenza di mettere a fuoco le costanti interiori, di svelare le nervature più riposte dell’uomo, alla ricerca di archetipi che pos-sano illuminare il tentativo di esprimere il rapporto fra il contingente e l’immutabile compiuto dall’artista.Alla fine degli anni ‘60 la sua pittura, attraverso que-sta lunga serie di esperienze e di studi, subisce la trasformazione che delinea inequivocabilmente la sua complessa personalità. Il suo stile è intanto di-ventato personalissimo e inconfondibile nel conte-sto artistico contemporaneo.

Invitato ufficialmente a varie manifestazioni d’arte, partecipa a collettive che devono rappresentare l’ar-te italiana in diversi paesi europei ed extra-europei.

Pur seguendo con grande interesse l’universo ar-tistico contemporaneo, anche con frequenti viaggi conoscitivi, negli ultimi 25 anni della sua vita è sta-to raramente presente in rassegne e manifestazioni a premio, avendo perso interesse ad inseguire un certo tipo di “notorietà” e soprattutto a cimentarsi in contesti finalizzati a una classificazione.

La Rai-Tv si è interessata varie volte alla sua attività artistica, in occasione di rassegne, premi nazionali e mostre.Sue opere sono esposte in permanenza in qualifi-cate gallerie d’arte moderna in Italia e all’estero. Altre notizie bibliografiche e relative all’attività artisti-ca di Ferriano Giardini sono contenute nel catalogo Inquietudini figurative, Ravenna, 1999.

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Antologia critica

Caro Giardini, (…) da anni vedo e seguo questo tuo cammino d’artista: …. c’è l’individuazione di un mondo strano e rarefatto nelle tue opere, che è tuo, autentico…. Non si parla, dunque, di colori, di toni, di plastici-tà, di stesure felici o meno, si penetra subito in un mondo dove alita qualcosa che appartiene alla sfera della poesia.(…) ti può cogliere lo smarrimento in questi tuoi mondi inventati. L’incanto delle cose fisse, ferme fino all’ossessione, allucinanti.Orizzonti dilatati, spiagge solitarie dove la presen-za dell’uomo è un sospetto sospeso nell’aria; fossili abbandonati, corrosi dal tempo, conchiglie con età immemorabili. Ovunque, quel tuo personale liquore dell’anima: una traccia sottile di poesia, insistente come un tarlo.La viva partecipazione di questo tuo essere d’uomo, che si difende ogni giorno dal frastuono del mondo, è palpitante.Silenzio e tempo - tempo e silenzio, come nel cartiglio nelle mani della vecchia di Giorgione dell’Accademia di Venezia: ricordi? Magico messaggio, “Col tempo”.tuo Breddo Firenze, 22 agosto ‘73Gastone Breddo

Quasi sempre, nei dipinti del ravennate Ferriano Giardini ci sono due mondi antagonistici, anzi in posizione dualistica. C’è la vita e la morte; ma una vita e una morte perpetuate nel tempo, che durano, che si rinnovano da millenni. Conchiglie, concrezioni calcaree madreperlacee, con le loro marezzature di vario colore abbandonate vuote (e cioè allo stato di semplici corpi minerali perché mancanti dell’interna polpa vitale) là sulla spiaggia dove si e no può arriva-re l’estremo orlo dell’onda marina.La spiaggia di fine sabbia battuta dal mare sin dai tempi immemorabili è un elemento vivo; il guscio dal-la nuance iridescente è una cosa spenta, immota,

alla quale nessuno porrebbe attenzione, se non ci fosse l’occhio del poeta-visivo a presentarcela nel-le sue obiettive seduzioni, nelle sue finezze tonali a cui tutta la pittura di Giardini si attiene… la tavolozza così singolare dell’artista… si anima di valori cromati-ci purgatissimi, filtrati, che conferiscono al dipinto "un fatto" figurativo inconsueto, un clima, un senso.Ed è proprio nel senso delle opere giardiniane, ri-spondenti a realtà immersa in un fluido surreale, che si evidenzia la facoltà personale dell’artista. Quella, intendo dire, del sottile lirico… Ferriano Giardini è artista a cui va riconosciuto più di un merito.Pittore di talento, dotato di forza espressiva facilita-ta dalla tecnica strumentalmente abile, dalla agilità combinatoria coloristico-tonale, che si commenta da se non appena si veda una tela dipinta da lui.La pittura giardiniana non ha identità o similitudini; è pittura dunque decisamente personale, perciò di carattere, pittura capace d’una sua malìa sottile che attira dentro le spire del suo egregio magnetismo.Mario Portalupi

Quando l’artista prova il bisogno di ritrovare la fede poetica e di ascoltare il suo animo, può avere imme-diatamente delle visioni plastiche di tale vastità che nessuna parola può esprimere. È un po’ il caso di Ferriano Giardini. La sua arte è la poesia dei colori, dei toni, della composizione che si fa viva e piena di forza in uno splendore che gli permette di sviluppare in profondità il "mistero"del suo colore, che è veicolo di magia reale. Usando una tavolozza poetica in cui l’insieme tutto si accoppia armoniosamente alla dol-cezza del violetto, alla tenerezza del blu, alla vitalità di un verde, egli crea in ogni sua opera un universo poetico surrealista… Questo pittore di indiscusso talento quando dipinge sogna, ed ha la virtù quasi magica di far sognare... Giancarlo Romiti

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… Tra i più seri ed impegnati artisti della sua terra, Giardini si è valso delle conoscenze culturali in do-sata e sempre ragionevole misura: il che spiega e giustifica il riaffiorare sporadico, marginale, rilevato nell’opera sua di ricordi metafisici. Ma la visione poetica della sua opera, espressa in composizioni ampie e silenti, trova piena risponden-za pittorica nella particolare sensitività della materia da lui posseduta e nella ricerca costante e dosata dei volumi e del trasparente chiaroscuro. Le sue ormai celebrate conchiglie, impreziosite, a volte, da elementi rocciosi, costituiscono la peculia-rità dei temi trattati, oltre ad altri, formati da lievissime spiagge e da preziosi minerali, sono la prova della sua inesauribile personale vena creativa e della sua deliziosa, sensibile pittura. Oli e tempere di grazia compositiva e di delicata ste-sura, pur nella tranquilla loro discorsività narrativa, non nascondono il tormento della ricerca e la feb-brile ansia del pensiero: di un artista, che disdegna mezze voci e superficiali pose, che sa affondare nella materia pittorica - per sviscerarne la essenza - che crede nel gaudio del colore modulato (deliziosi i lievi toni evanescenti della sua tavolozza e i delicati grigi azzurri) che rende in fremiti di poesia la emo-zione naturale, privilegio ed appannaggio del pittore figurativo. Walter Magnavacchi

… È da escludere che le opere di Giardini possano essere… semplicemente "surrealismo"… perché l’indirizzo del loro messaggio evade completamente da tutti gli schemi. Giardini, attraverso la sua opera, invia segnali che sono immagini figurative di un universo che potrebbe cambiare in un lontano (spero il più possibile) futuro. Le sue opere, eseguite con fredde colorazioni (che vanno dal grigio all’azzurro intenso), rappresentano lande deserte, orizzonti lontani, meteoriti ed astri

ravvicinati… in questo scenario inserisce comun-que, talvolta, un barlume di speranza e di vita, rap-presentate da un uovo (simbolo di fecondità) o da sciami di rose. Ecco perché la sua opera… trasmette situazioni che valicano i confini della nostra realtà conoscitiva, ma che comunque ci fanno seriamente meditare.Michele Toscano

… I suoi colori astrali, la chiave surreale, che non scade però mai in un facile astrattismo, ci mostrano la ribellione del pittore di fronte ad una società sgre-tolata e distrutta da un progresso insulso... Silvio Gordini

… Pur prescindendo da valutazioni d’ordine artistico e tecnico, è evidente che nella personalità del Giar-dini scaturisce una luce, calda e iridescente, che sollecita nell’animo dell’osservatore quei sentimenti e quegli slanci vitali che nobilitano l’uomo e fanno dell’umanità l’espressione più alta e più preziosa del creato. La visualizzazione di un dettaglio della natura non è nel Giardini fine a se stessa: è una lirica composta per l’esaltazione dell’amore, per la fede nella vita, per la speranza riposta nelle capacità di recupero dell’intera umanità. Al Giardini… interessa soprattutto rendere chiaro, comprensibile e gradito il messaggio etico che ha dentro di sè. Umberto Russo

Gli stupori malinconici della natura, le scorie di un progresso insulso, le spore ed i parassiti che si for-mano sui vecchi tronchi, fiori secchi e senz’anima, questi i soggetti ispiratori, il mondo in cui Giardini tende a soffermarsi per svolgere il tema del suo inti-mo ragionamento. La sua anatomia è, ad ogni modo, di valore essen-

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zialmente morale, gravata dalla cupa staticità di una vita senza sbocchi né varianti nel tempo, ben lonta-na da ogni retorico eroismo. Ferriano Giardini è un poeta attuale che porta in sé i germi di una ribellione contro le follie connesse al progresso moderno... Walter Visioli

È risaputa la ribellione di Ferriano Giardini alle follie del mondo moderno, che traspare evidente, con puntuale regolarità, nelle immagini dei suoi dipinti. Non si può certo dire, che Giardini, non abbia chia-rezza di idee al riguardo… gli elaborati di Giardini non sconfinano mai in banali "prodotti" consumisti-ci, ma sono sempre, più o meno, densi di conte-nuti etici e morali, che penetrano nella nostra vita quotidiana. Si "sente", nei suoi dipinti, la rinuncia al contingente, che considera privo di qualsiasi valido progetto per il futuro e privo di tutti i valori che sor-reggono l’umanità... Karl Luigi Wise

Un universo fossile, un’atmosfera siderale, un agglo-merarsi di conchiglie e di altri reperti indistinti, con-crezioni organiche morte da secoli: ecco quanto, in una resa tecnica ineccepibile, caratterizza il mondo poetico del Giardini. Questi fossili, questi reperti, sono al posto giusto, ai margini di orizzonti o spiagge "possibili" in un tempo irreale. Ed è il collocarsi, appunto, in un paesaggio disseccato e astrale - ora illividito, ora esaltato da una più accentuata cromia che suggerisce astratte aurore o accensioni cosmiche - a far lievitare una particolare inquietudine. Non è dato indovinare se in questa "era" l’uomo debba ancora fare la sua ap-parizione o se sia definitivamente scomparso, ma

la quasi totale mancanza di vita organica parrebbe propendere per la seconda ipotesi. Dino Pasquali

Il mondo misterioso di Ferriano Giardini affiora in im-magini che tendono sempre più a farsi monocrome.Il colore alimenta l’ambiguità espressiva delle figure sempre in conflitto fra la loro esatta descrizione e i "rimandi" di natura tutt’altro che oggettiva a cui esse fanno riferimento… La visione appare talora allucinata, come lo è la presa di coscienza di una realtà ignota e sconvolgente. Questa complessità di visione alimenta la carica drammatica delle immagini… Silenzi supremi in uno spazio dilatato e senza confini. Rosanna Ricci

(…) pittura degli spazi infiniti, pittura cromaticamen-te singolarissima, pittura carica di una sua poesia, pittura che parla un linguaggio desueto ma non in-comprensibile e, anzi, efficace messaggio per l’os-servatore attento ed acuto: messaggio non di chi "vede" (giacché tutti "vedono") ma di chi "sa vedere" e "far vedere". Talché poi l’osservatore si meraviglia quando nota che ciò che Giardini gli propone è ciò che già conosceva ma che non aveva mai saputo osservare. Domenico Ravaglia

... Quello di Giardini è un mondo sospeso, un mon-do senza tempo e i suoi quadri sembrano voler re-cuperare un silenzio da contrapporre al rumore ar-rogante del progresso che inevitabilmente reca con sé degrado e inquinamento. Franco Gabici

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Finito di stamparenel mese di dicembre 2012

presso la Tipografia Moderna - Ravennaper conto di Edizioni Capit Ravenna