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Capitolo primo IL LEVANTE Come ampiamente dimostrato da Sabatino Moscati, con il nome di Phoinikes i Greci erano soliti indicare non solo gli abitanti della Fenicia, che geograficamente quasi corrispondeva all’attuale Libano, ma tutti indistintamente gli abitanti della costa del Levante nel corso del primo millennio a.C. (fig. 1) .Questa area geografica si estendeva, a nord, dal Golfo di Alessandretta, incuneato tra l’Anatolia e la Siria, fino alla cosiddetta Striscia di Gaza, territorio litoraneo della penisola del Sinai, che precede il delta del Nilo. In questo periodo, lungo questo tratto costiero si affacciava- no numerose città i cui abitanti, tuttavia, non erano unicamente di stirpe fenicia. Infatti, nel tratto settentrionale corrispondente alla parte costiera siriana, compreso tra il Golfo di Alessandretta e l’antica città di Arado, l’attuale Rawad, erano collocate città in gran parte fondate tra l’Antico e il Medio Bronzo, quali per esempio Al-Mina sull’Oronte, Ras el Basit, Minet el-Beida, Ras Ibn Hani presso Ugarit e Tell Sukas, tutte città portuali abitate da popolazioni di stirpe siriana, con una forte componente aramaica. Nel tratto centrale, corrispondente all’antica Fenicia (fig. 2), sorgevano le città popolate appunto dai veri e propri Fenici, politicamente indipendenti l’una dall’altra, ma unite dalla comune lingua e dalla uguale cultura. Come accennato, i limiti geogra- fici della Fenicia erano compresi, a nord, dalle città di Arado e di Antarado, la Tortosa dei Crociati, a est dalle catene montuose del Libano e dell’Antilibano, a sud dalla città di Akko, la Ptolemais dei Greci, la San Giovanni d’Acri dei Crociati e l’attuale Akkâ, e a ovest dal Mar di Levante, bacino orientale del Mare Mediterraneo. La pre- senza delle due catene montuose, che raggiungono e superano i 3000 metri e corrono parallele alla costa, rende la fascia costiera assai ristretta. Addirittura in un tratto, a nord di Berytus, la Biruta menzionata negli annali assiri, e in prossimità della foce del fiume Lycus, attuale Nahr el-Kelb, i monti si affacciano direttamente sul mare. L’unico varco tra le montagne del Libano e dell’Antilibano è costituito dalla valle della Beqâa, percorsa da nord a sud dal fiume Leontes, attuale Litani, che sbocca tra Sidone e Tiro, e percorsa da sud a nord, dal fiume Oronte, che sfocia a nord della Fenicia, lungo la costa siriana. Il passaggio meridionale delle due catene montuose corrisponde al retroterra di Tiro e in realtà è una delle poche pianure coltivabili del Libano. Un’ulteriore territo- rio pianeggiante è ubicato sempre nel sud e più precisamente alle spalle di Akko, mentre, nella parte settentrionale, l’unica zona pianeggiante è la valle dell’Akkar, lungo il basso corso dell’Eleutheros, l’odierno Nahr el Kebir, che attualmente costi- tuisce il confine settentrionale che divide il Libano dalla Siria. L’attuale confine meri- dionale è presso il Ras en-Naqura e quindi a nord della piana afferente alla città di Akko, che oggi è ubicata entro i confini israeliani. Infine, nel tratto meridionale, com- preso tra Akko e Gaza, noto nell’antichità come Terra di Canaan e oggi come 11

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Questo libro ci porta il sapore ed il profumo di un tempo lontano, attraverso una visione dall´alto che è del tutto inusuale nel mondo scientifico, ma che rende bene con vivacità ed immediatezza alcune caratteristiche dell´insediamento umano nel tempo, che valorizza aspetti topografici fin qui trascurati, se consente di percepire sullo sfondo il genius loci originario di un territorio.

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Capitolo primo

IL LEVANTE

Come ampiamente dimostrato da Sabatino Moscati, con il nome di Phoinikes iGreci erano soliti indicare non solo gli abitanti della Fenicia, che geograficamentequasi corrispondeva all’attuale Libano, ma tutti indistintamente gli abitanti dellacosta del Levante nel corso del primo millennio a.C. (fig. 1) .Questa area geograficasi estendeva, a nord, dal Golfo di Alessandretta, incuneato tra l’Anatolia e la Siria,fino alla cosiddetta Striscia di Gaza, territorio litoraneo della penisola del Sinai, cheprecede il delta del Nilo. In questo periodo, lungo questo tratto costiero si affacciava-no numerose città i cui abitanti, tuttavia, non erano unicamente di stirpe fenicia.Infatti, nel tratto settentrionale corrispondente alla parte costiera siriana, compreso trail Golfo di Alessandretta e l’antica città di Arado, l’attuale Rawad, erano collocatecittà in gran parte fondate tra l’Antico e il Medio Bronzo, quali per esempio Al-Minasull’Oronte, Ras el Basit, Minet el-Beida, Ras Ibn Hani presso Ugarit e Tell Sukas,tutte città portuali abitate da popolazioni di stirpe siriana, con una forte componentearamaica.

Nel tratto centrale, corrispondente all’antica Fenicia (fig. 2), sorgevano le cittàpopolate appunto dai veri e propri Fenici, politicamente indipendenti l’una dall’altra,ma unite dalla comune lingua e dalla uguale cultura. Come accennato, i limiti geogra-fici della Fenicia erano compresi, a nord, dalle città di Arado e di Antarado, la Tortosadei Crociati, a est dalle catene montuose del Libano e dell’Antilibano, a sud dallacittà di Akko, la Ptolemais dei Greci, la San Giovanni d’Acri dei Crociati e l’attualeAkkâ, e a ovest dal Mar di Levante, bacino orientale del Mare Mediterraneo. La pre-senza delle due catene montuose, che raggiungono e superano i 3000 metri e corronoparallele alla costa, rende la fascia costiera assai ristretta. Addirittura in un tratto, anord di Berytus, la Biruta menzionata negli annali assiri, e in prossimità della focedel fiume Lycus, attuale Nahr el-Kelb, i monti si affacciano direttamente sul mare.L’unico varco tra le montagne del Libano e dell’Antilibano è costituito dalla valledella Beqâa, percorsa da nord a sud dal fiume Leontes, attuale Litani, che sbocca traSidone e Tiro, e percorsa da sud a nord, dal fiume Oronte, che sfocia a nord dellaFenicia, lungo la costa siriana.

Il passaggio meridionale delle due catene montuose corrisponde al retroterra diTiro e in realtà è una delle poche pianure coltivabili del Libano. Un’ulteriore territo-rio pianeggiante è ubicato sempre nel sud e più precisamente alle spalle di Akko,mentre, nella parte settentrionale, l’unica zona pianeggiante è la valle dell’Akkar,lungo il basso corso dell’Eleutheros, l’odierno Nahr el Kebir, che attualmente costi-tuisce il confine settentrionale che divide il Libano dalla Siria. L’attuale confine meri-dionale è presso il Ras en-Naqura e quindi a nord della piana afferente alla città diAkko, che oggi è ubicata entro i confini israeliani. Infine, nel tratto meridionale, com-preso tra Akko e Gaza, noto nell’antichità come Terra di Canaan e oggi come

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Fig. 1. I centri della costa del Levante agli inizi dei primo millennio a.C.

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Fig. 2. I centri della Fenicia agli inizi del primo millennio a.C.

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Palestina, si affacciavano le città filistee di Dor, Ashdod, Ashkelon e Giaffa, solo percitarne alcune, sorte tra la fine del XIII secolo a.C. e i primi decenni del secolo suc-cessivo.

Ancora oggi si è soliti attribuire alle attività dei Fenici tutto ciò che proveniva dalLevante, mentre, come si è accennato, proprio su quel tratto costiero si affacciavanopopoli di stirpi e origini tra le più diverse. Infatti, occorre ricordare che tutta l’areadel Vicino Oriente, dalla penisola anatolica al delta del Nilo tra la fine del XIII secoloa.C. e i primi decenni del secolo successivo fu investita e sconvolta da massicceondate migratorie di genti provenienti soprattutto dall’Occidente, che vanno comune-mente sotto il nome di Popoli del Mare. Tra questi popoli sono da annoverare iFilistei, mentre la diretta conseguenza di queste ondate migratorie fu l’indebolimentoo la scomparsa dei grandi regni dell’area vicino-orientale e il conseguente sviluppo intotale autonomia di nuovi popoli quali appunto i Fenici, totalmente liberi e non piùsottoposti a vessazioni o a tributi da parte delle grandi potenze.

Gli studi più recenti hanno già ampiamente dimostrato come la colonizzazionenell’Occidente mediterraneo, fors’anche estremo, sia opera del progressivo e determi-nante apporto delle popolazioni vicino-orientali, soprattutto nord-siriane, filistee,cipriote e, infine, fenicie, le quali appunto tra il XII e l’VIII secolo a.C. riaprirono lerotte verso Occidente, un tempo percorse principalmente dai naviganti micenei.Questi arditi navigatori provenienti dal Peloponneso e dalle isole dell’Egeo, che,com’era consuetudine, mescolavano il commercio con la pirateria, avevano alcunebasi in Sardegna, tra le quali, oltre al complesso nuragico di Antigori, nel Golfo diCagliari, si possono forse ricordare al centro dello stesso golfo, il ridosso di CapoSant’Elia, il fondaco sull’isola di Tuerredda, a est di Capo Malfatano, e il riparodell’Isola Rossa, nel cuore del Golfo di Teulada. Con la crisi del mondo egeo, verifi-catasi verso la fine del XIII secolo a.C., si resero totalmente disponibili al commercioorientale tutte le rotte verso Occidente.

Dopo la scomparsa o il drastico ridimensionamento delle città egee, dovuto tral’altro alla cosiddetta “Invasione dei Popoli del Mare”, le rotte verso Occidente ven-nero occupate dalle città costiere della Siria settentrionale e dalle città filistee dellacosta palestinese. Tra questi centri abitati si possono ricordare, a nord, Dor, e, versosud, Ashdod, Ashkelon, Eqron, Gat e Gaza (fig. 1), che, memori dell’eredità micenea,furono tra i primi a intraprendere l’avventura verso l’Occidente e verso i mercati deimetalli preziosi, tra i quali, soprattutto, l’argento, il rame e lo stagno. La loro abilitàmarinara si evince tra l’altro poiché, abitanti di centri affacciati lungo una costa sab-biosa e priva di estuari fluviali di una certa importanza, furono gli inventori delleopere portuali artificiali. Una consistente testimonianza della presenza filistea inSardegna è fornita dalla constatazione che gran parte delle ceramiche vascolari“micenee” rinvenute nel complesso nuragico dell’Antigori sono in realtà “sub-mice-nee” e, secondo le analisi chimiche effettuate, sono prodotte in Sardegna tra il 1190 eil 1050 a.C., cioè quando ormai il mondo miceneo era quasi definitivamente scom-parso.

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Capitolo secondo

Le rotte commerciali dei Fenici

Fin dalla metà del Secondo Millennio a.C. i Micenei, abitanti del Peloponneso edella Grecia insulare, solcarono con le loro navi l’antico Mediterraneo (fig. 3), siaverso Oriente che verso Occidente, alla ricerca di materie prime rare e preziose e dimercati. Il tragitto si svolgeva prevalentemente lungo rotte costiere e con l’appoggiodi ripari temporanei ben protetti, quali talvolta modesti e apparentemente inospitaliisolotti, come quello di Vivara presso Ischia.

Con il crollo dei regni micenei e la scomparsa della loro marineria, altri popoli delVicino Oriente si sovrapposero agli itinerari già tracciati. Tra questi emersero iFenici, che per lungo tempo detennero il monopolio della navigazione dal Canale diSicilia verso Occidente. Solo verso l’800 a.C. furono almeno in parte affiancati daelementi di stirpe greca, provenienti dall’isola Eubea, a est dell’Attica, i quali, assie-me ai Fenici, colonizzarono l’isola d’Ischia.

Gli antichi scrittori, per evidenziare sia gli apparentemente misteriosi tragitti, siale lontane terre raggiunte, narravano di un comandante fenicio che, vistosi seguito danavi straniere durante la navigazione verso lontani e segreti mercati, non esitò a get-tare la sua nave sugli scogli pur di non rivelare la sua destinazione ai concorrenti.

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Fig. 3. Le regioni del Mediterraneo antico e la principale rotta dei Fenici.

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La leggenda, poiché di leggenda probabilmente si tratta, nasconde nella realtàl’ampiezza delle relazioni commerciali dei Fenici. Già attorno al 1000 le loro navifrequentarono costantemente il mar Egeo alla ricerca dell’oro e del rame, mentrepoco dopo, anche con il concorso finanziario dei Faraoni di Egitto e dei re d’Israele,intrapresero viaggi verso l’Arabia e portarono a termine in tre anni il periplodell’Africa. Se queste spedizioni verso Oriente tendevano ad acquisire spezie, oro,avorio e animali esotici, quelle verso l’Adriatico erano volte al commercio dell’am-bra, preziosa nella gioielleria dell’epoca. La ricerca di beni preziosi o indispensabili,quali l’argento e lo stagno, spinse i naviganti fenici ad affrontare le onde dell’oceanoAtlantico fino a raggiungere l’arcipelago britannico.

Nei loro lunghi itinerari verso Occidente, i Fenici si servirono di navi di stazze tal-volta considerevoli, che potevano toccare le 500 tonnellate, e di lunghezze che pote-vano superare anche i 40 metri. La navigabilità e la capacità di carico di queste navimercantili erano garantite dalla larghezza dello scafo, che raggiungeva un terzo dellalarghezza. La propulsione a vela permetteva una velocità di circa 3 nodi.

I naviganti greci non furono certamente da meno e, sia pure con minore raggio diazione, compirono grandi imprese. Il viaggio di Ulisse verso Itaca pone in evidenza ipopoli, le terre e, non ultimi, i pericoli che incontravano i naviganti agli inizi delPrimo Millennio a.C. Mentre la spinta verso Occidente dei Fenici all’inizio fu soprat-tutto commerciale, quella greca fin dall’origine fu sostanzialmente coloniale. Restaemblematica quella dei Greci d’Oriente, che, provenienti dalle colonie dell’AsiaMinore, cacciati dai Persiani e diretti verso ovest a fondare Marsiglia, secondo quan-to narra Erodoto (I, 170, 2), navigavano su vascelli da guerra privi di ponte, le pente-contere, che usavano per commerciare.

Questo episodio nasconde, ma neanche tanto, le caratteristiche salienti dell’anticamarineria che si basava sulla pirateria e sul commercio. Non a caso i porti franchidell’epoca erano posti sotto la protezione di una divinità universalmente riconosciuta- Astarte, Afrodite, Venere - il cui santuario offriva luoghi sicuri di commercio e ripo-so, quest’ultimo favorito dalle sacerdotesse della dea. Il più famoso di questi santua-ri-mercati era a Paphos, nell’isola di Cipro, ma altri più vicini erano probabilmente aSanta Severa, sul litorale romano, e a Cuccureddus di Villasimius, nella Sardegnasud-orientale.

Dei Romani non si ricordano grandi imprese navali oltre a quelle delle famosebattaglie contro la nemica Cartagine. Con la praticità che fu loro propria copiarono leloro navi da quelle cartaginesi, ma si avventurarono nel mare, che consideraronosempre ostile, solo quando ne furono obbligati. Furono fortemente ostili alla pirateria,che metteva a repentaglio i loro commerci, ma in qualche occasione non disdegnaro-no il contrabbando, nel quale si distinse Catone il censore, il grande nemico diCartagine, che in tal modo impiegava i proventi dei suoi prestiti a usura.

È stato ampio argomento di studio e anche in tempi recenti si è discusso a lungoattorno a quel periodo particolarmente importante della cosiddetta diaspora feniciaverso l’Occidente mediterraneo, che si pone tra lo scorcio del Secondo e i primi seco-li del Primo millennio a.C. L’arco temporale sotto osservazione in questa sede rivestegrande interesse poiché costituisce il cardine per la storia dei Fenici in Occidente erappresenta una svolta nei costumi e nelle attività non solo di questo popolo e, quindi,anche nei suoi modi di commercio, ma anche nelle popolazioni occidentali entrate inloro contatto e quindi da questo aperte alla storia.

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La grande e qualificata messe di scoperte archeologiche effettuata nell’ultimodecennio soprattutto nel Mediterraneo centro-occidentale ha consentito un notevolebalzo in avanti degli studi e, per quanto riguarda la scuola italiana, in modo particola-re di quelli afferenti alla civiltà fenicia e punica nella Sardegna. L’esegesi dei mate-riali, in comparazione con le fonti storiche e con quanto emerso nelle regioni anchepiù distanti del Mediterraneo, ha permesso di avanzare nuove proposte, offerte negliultimi anni al consesso internazionale degli studiosi del campo.

Tuttavia, a un’analisi attenta delle pur limitatissime testimonianze si possono rico-noscere quattro grandi correnti commerciali e culturali protese verso l’Occidente piùo meno lontano. Come è ovvio, a iniziare dalla prima Età del ferro, queste correntiprovengono tutte dall’area siro-palestinese. La prima e più settentrionale, che chia-meremo convenzionalmente “siriana”, sembra avere origine prevalente anche se nonesclusiva dai centri della costa nord-siriana. Tra questi si possono ricordare i già citatiAl-Mina, Ras Ibn Hani, Ras el Basit o il più meridionale Tell Sukas, tradizionali portidi Oriente. Questa flusso commerciale risulta composto da elementi siriani, aramei efenici e, tra l’altro, riceve probabile impulso anche dai sovrani damasceni. La secon-da corrente, invece, pur partecipando contemporaneamente alla prima nel tragittoverso Occidente, si potrebbe definire “filistea”, poiché sembra aver fatto pernosoprattutto sui centri della Palestina, cioè su quelli a sud del Carmelo.

Dalla Fenicia vera e propria hanno invece origine le ultime due correnti, l’una peraltro fortemente impinguata da una componente cipriota e l’altra probabilmente con ilconcorso di tutti i centri costieri probabilmente riuniti sotto la supremazia tiria. Comegiustamente ha affermato Sabatino Moscati, è proprio il mondo greco che accorpò inuna sincronia fittizia i partecipanti a questi quattro gruppi vicino-orientali definendolitutti indistintamente Phoinikes.

Sostanziale è anche la differenza di approccio verso Occidente, poiché, nel casodelle prime due correnti, quella “siriana” e quella “filistea”, si tratta soprattutto diattività connesse esclusivamente con imprese commerciali, mentre nel caso delle cor-renti più propriamente fenicie, già alla fine del IX secolo a.C. siamo ormai di fronte avere e proprie spedizioni a sfondo coloniale, che, a questo punto, sembrano differireben poco dalle immediatamente successive colonie di popolamento greche.

Si noterà che, mentre le prime due correnti più settentrionale e più meridionalerisultano maggiormente attive tra il XII e il IX secolo a.C. e sembrano etnicamentepiù differenziate e composite, quelle più propriamente fenicie non sembrano consoli-date fino alla fine del IX secolo a.C. Anzi, questa cronologia sembra valida solo perquella corrente che vede anche la partecipazione cipriota e che in effetti si concre-tizzò almeno apparentemente solo con la fondazione di Cartagine, nello scorcio delIX secolo a.C. Invece, per quanto riguarda il flusso che sembra esclusivamente feni-cia e si può ritenere etnicamente se non politicamente più omogenea, che si stanzieràin Sardegna, in Sicilia e nella Penisola Iberica, la sua azione si concretizzò apparente-mente non prima degli inizi dell’VIII secolo a.C.

Se si analizzano anche rapidamente le vestigia lasciate dalla prima e più anticacorrente fenicia, cioè quella con la componente cipriota, si noterà la presenza di unaforte partecipazione rodia che si trasferisce ed è visibile in modo eclatante fino aPithekoussai, nell’insediamento presso Monte Vico, nell’Isola d’Ischia. I materialidella necropoli di San Montano, afferente a questo centro, trovano un riscontro che èimpressionante se non speculare con quelli della necropoli di Exochi, nell’isola di

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Rodi. Sempre nell’isola campana, si è potuto notare che, tra quelli di origine orienta-le, i materiali veramente fenici sono decisamente in numero assai scarso. Per di piùquesti oggetti appartengono soprattutto all’orizzonte LGII (Tardo Geometrico II 725-700 a.C.) e in buona parte alla classe della red slip, che oltre al resto può essere con-siderata cosmopolita. A questo punto occorre solo osservare come non sia un casoche anche nei centri costieri orientali, tra i quali per esempio quello di Al-Mina,accanto a un vasto repertorio di recipienti ciprioti, la ceramica certamente di produ-zione fenicia invece sia decisamente poco rappresentata.

La tappa rodia permette di identificare come prioritaria o forse addirittura unicaper quel periodo la cosiddetta “rotta settentrionale”, che, nell’onda di ritorno, spiega egiustifica anche l’approccio greco ai porti circostanti il golfo di Iskenderun e da quiverso i centri della costa a sud di Tell Sukas. Ma proseguendo verso ovest, dall’isoladi Rodi evidentemente la rotta si biforcava e, da un lato, proseguiva verso nordseguendo il percorso delle Cicladi fino all’Eubea e oltre, fino a Taso, che Erodoto (II,3-4) e Pausania (V, 25, 12) ritengono di fondazione fenicia. Inoltre, sempre Erodoto(VI, 46-47) vi segnala la presenza di miniere d’oro sfruttate dai Fenici. Ancora daRodi proseguiva il ramo più meridionale, che si appoggiava a Scarpanto e ai porti diCreta, ove sussistono non poche tracce di collegamenti con l’Occidente mediterraneo.Da Creta l’itinerario si biforcava ulteriormente e una parte del tracciato risaliva versoil Peloponneso attraverso l’isola di Kithera. Dalle coste della Grecia il percorso risali-va lungo le isole greche occidentali fino a Kerkira, da dove traversava il Mar Ionio e,percorrendo le costa apule e calabre, transitava attraverso lo Stretto di Messina.Superato lo stretto, si appoggiava alle Lipari per proseguire poi verso la Sardegna,verso le Baleari e verso l’estremo Occidente.

Che le rotte percorse fino ai primi decenni dell’VIII secolo a.C. fossero in partediverse da quelle tracciate nella seconda metà del secolo e poi in quelli successivi èstrato già adombrato più volte, ma le prove archeologiche ci derivano ormai danumerosi indizi che riguardano soprattutto la Sardegna, in qualità di meta finale o ditratta di transito verso Occidente. Che il motore fosse la ricerca di metalli preziosi ed’uso è anche posto in evidenza dai rinvenimenti di ox-hide ingots, i ben noti lingotticiprioti di rame a forma di pelle di bue rinvenuti soprattutto nella Sardegna settentrio-

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Fig. 4. Cagliari,Museo Nazionale,lingotto cipriota dirame (Ox-hideingot).

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nale, orientale e meridionale (fig. 4). Si osserverà innanzi tutto che la rotta micenea epoi «levantina» tracciata lungo la costa orientale della Sardegna ha ben poco seguitodopo la metà dell’VIII secolo a.C. Tra l’altro questo tracciato è stato posto in eviden-za dai ben noti rinvenimenti micenei del Golfo di Orosei.

Queste correnti commerciali orientali sono desumibili tra l’altro attraverso l’esa-me dell’insediamento di Pithekoussai, attuale isola d’Ischia (fig. 5). Come è noto, ilfondaco ebbe la sua stagione felice per circa un cinquantennio per poi declinare rapi-damente in concomitanza con la fondazione di Cuma. Come già accennato, la storiadel sito e i suoi materiali risultano un eccellente esempio della corrente commercialeproveniente dall’area nord-siriana, che chiameremo «mercantile», per distinguerla daquella fenicia, che indicheremo come «coloniale». A un esame anche non approfondi-to dei materiali, come si è visto, nel fondaco pithekousano risulta più che evidentel’eterogeneità delle componenti. Oltre a quella siriana, sono di particolare risaltoquella rodia e quella cipriota, né mancano testimonianze di una componente aramai-ca. È di particolare interesse che l’elemento fenicio sia senza dubbio presente ma nonsovrasti in alcun modo le altre componenti orientali e anzi appaia in una posizioneparitetica se non addirittura minoritaria.

A rendere evidente questa situazione è la ceramica vascolare, la cui origine non èda ricercare nelle botteghe del Mediterraneo centro-occidentale, quanto invece neicentri produttori siro-palestinesi o nelle botteghe rodie e cipriote, che presto imitaro-no e ben volentieri fecero proprie alcune forme vascolari dell’area fenicia. Tra questela brocca con orlo espanso e corpo globulare di produzione rodia (fig. 6, b), recipien-te imitato dalle brocche con orlo cosiddetto “a fungo” (fig. 6, a) e dalla quale inseguito trarranno ispirazione gli alabastra e gli aryballoi greci (fig. 6, c).

L’insediamento di Pithekoussai rappresenta uno degli ultimi esempi ai quali parte-cipa la corrente nord-siriana, che sembra esaurirsi nel momento in cui l’elementoeuboico passò dalla fase mercantile a quella coloniale. Quindi il centro pithekousanocostituì probabilmente l’ultimo insediamento a noi noto con vocazione commercialea carattere «misto» piuttosto che la prima colonia greca di popolamento in Italia,caratteristica questa che può essere rivendicata con maggior diritto dalla non distanteCuma.

Sostanzialmente diversa appare la situazione degli insediamenti occidentali fruttodella corrente fenicia. In questo caso le componenti estranee al milieu fenicio sonorare e appena tangibili. Fin dall’origine l’omogeneità dei prodotti ceramici è sostan-ziale e si diffonde solo tra la zona centrale e quella occidentale del Mediterraneomentre apparentemente poco o nulla dell’instrumentum domesticum deriva diretta-mente dai mercati orientali o vi è destinato. Fa eccezione, a contraltare della produ-zione greca, frammentata in numerosi rivoli, la produzione fittile in red slip, che nelmondo fenicio di Oriente e Occidente almeno per quasi tutto l’VIII secolo a.C., ha icaratteri spiccatamente ecumenici che avrà in seguito, per esempio, la ceramica atticaa vernice nera. Fino alla metà del VII secolo a.C. la ceramica fenicia delle colonie diOccidente appare sostanzialmente omogenea e la tipologia è senza frontiere, poiché ilmare la unisce.

Infine, la diversa composizioni dei due gruppi etnici che si affacciarono a occiden-te solo durante l’VIII secolo a.C., cioè a dire i Fenicio-Ciprioti di Cartagine e i Fenicidi Sardegna e Sicilia, ci consente forse di aggiungere una motivazione all’aggressio-ne cartaginese delle due isole nello scorcio del VI secolo a.C. Come si avrà modo di

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Fig. 5. Il Mediterraneo centrale.

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osservare in seguito, l’incendio e la distruzione del tempio di Cuccureddus diVillasimius (fig. 7), nonché la stessa sorte subita dal luogo di culto di Monte Sirai, ivicomprese le radicali modifiche inferte alla statua fenicia, accrescono la sensazione eaggiungono forse una ulteriore motivazione, basata in questo caso su diverse creden-ze religiose o sulla supposta supremazia di una divinità (Melqart) rispetto ad un’altra

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Fig. 6. a) Brocca con orlo espanso fenicia, b) aryballos rodio, c) aryballos corinzio.

Fig. 7. Panorama ideale dell’insediamento di Cuccureddus nel VII secolo a.C.

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(Ashtart). E queste considerazioni forse aiutano a comprendere e giustificano i guer-rieri fenici di Bitia e di Tharros. Dunque, le armi di questi ultimi non erano rivoltecontro le popolazioni nuragiche, quindi verso l’interno, ma forse verso la spondaopposta del Canale di Sardegna e contro l’invadente metropoli africana. Ma, delresto, come la storia ci ha dimostrato e come oggi risulta più che evidente, questearmi non furono sufficienti a proteggerli.

Non tutti sanno che, nell’antichità, ha avuto grande parte il cosiddetto commercionascosto. Con questa definizione si intende il commercio e lo scambio di tutti queimateriali, composti soprattutto di materia organica e quindi deperibile, dei quali nonè rimasta traccia nell’epoca attuale. Molto spesso si ricorre a intuizioni, ma il piùdelle volte sono i fatti storici o le situazioni geografiche, che ci aiutano a superare lamancanza di notizie dirette.

È noto che, nel mondo antico, la forza motrice era garantita dal lavoro dell’uomoe degli animali da soma. In particolare, era lo stuolo della mano d’opera servile - glischiavi - che garantiva un’ampia fetta della produzione e dell’economia dell’anti-chità. Eco indelebile di questo traffico è, tra l’altro, nell’antica letteratura.

Spesso, per l’interpretazione dei dati, anche la situazione politica di una regionerisulta illuminante. Tale è l’esempio dell’antica Sardegna di età nuragica, che politi-camente non era coesa, bensì divisa in “cantoni”, tutti autonomi. È assai probabileche, in una società guerriera e fortemente gerarchica come quella nuragica, la catturadi membri di altre tribù, ai fini della loro vendita come schiavi, fosse una pratica cor-rente. È anche evidente che ai fini dell’approvvigionamento della “materia prima”fossero effettuate delle scorrerie, equivalenti alle bardane ottocentesche. Certamentegli acquirenti non dovevano mancare, sia sul mercato interno, sia su quello estero,costituito dai navigatori prima Micenei e poi Vicino-Orientali.

Un’eco di questa pratica e dell’impiego di mano d’opera servile ci viene forsedata dagli stessi nuraghi. Infatti, la messa in atto di corvées non basta di per sé a spie-gare il fervore costruttivo, l’enorme mole e la complessità di questi straordinarimonumenti.

Un ulteriore tipo di commercio, fondamentale nell’economia del mondo antico, fuquello del sale, componente alimentare indispensabile. Ad esempio, per venire atempi più vicini ai nostri, la fortuna della stessa Roma si deve alle saline della focedel Tevere, il cui prodotto veniva poi smerciato nel cuore dell’Italia centrale attraver-so la Via Salaria, il cui stesso nome suggerisce la sua funzione distributrice. Anche inSardegna il sale costituì una fonte primaria di commercio, gestita in modo capillaredai Fenici. Infatti, a ben vedere, la maggior parte degli insediamenti costieri è collo-cata in prossimità di lagune. In alcuni casi le saline sono ancora oggi attive: si vedanoper esempio quelle di Cagliari e di Sant’Antioco.

Anche i pellami ebbero la loro fondamentale importanza, poiché, nell’antichità,oltre al papiro, le pergamene costituirono il supporto fondamentale per la scrittura.Mentre la pelle dei bovini era destinata a calzature, corazze e finimenti, la più adattaper la confezione delle pergamene fu senza dubbio quella di agnello, in virtù della suamorbidezza, dunque, della possibilità di arrotolarla. Anche in questo caso è probabileche la Sardegna costituisse uno dei grandi produttori dell’antichità, anche se analisiarcheozoologiche effettuate in modo diacronico in alcuni siti fenici, per esempio aMonte Sirai, mostrano che, nell’VIII e VII secolo a.C., il consumo di carne di pecoraera abbastanza limitato rispetto ai bovini, ai suini (maiali e cinghiali) e ai cervi.

Piero Bartoloni

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Sorvolando sui cereali prodotti in Sardegna, del cui commercio sono piene le anti-che fonti, osserviamo un altro aspetto, sempre legato all’industria alimentare. A titolodi primizia per esempio nel campo dell’archeologia fenicia e punica si potrà meglioevidenziare il già individuato rapporto tra i fondaci fenici della prima età coloniale egli impianti delle tonnare, nate apparentemente assai più tardi. È stato notato che letonnare attualmente in uso o ormai abbandonate, sono sempre in stretta connessionecon gli insediamenti costieri fenici. Infatti appare ormai chiaro che tra le motivazioniche spinsero i Fenici verso Occidente non vi furono solo i metalli preziosi, ma anchel’industria alimentare della conservazione del pescato, la cui fama e tradizione delresto giunsero, grazie al famoso garum, fino all’età romana imperiale e oltre. A buondiritto, si può dunque parlare, oltre che di una Via dei metalli, anche di una Via deltonno.

I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna

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SOMMARIO

Introduzione 9

1. IL LEVANTE 11

2. LE ROTTE COMMERCIALI DEI FENICI 17

3. NAVIGATORI E MERCANTI IN OCCIDENTE 27

4. NAVIGATORI E MERCANTI IN SARDEGNA 33

5. I FENICI IN SARDEGNA 57

6. CARTAGINE IN SARDEGNA 101

7. LE NAVI E LA NAVIGAZIONE 137

8. I RITI FUNEBRI 149

9. IL RITO DEL TOFET 159

10. LA CERAMICA FENICIA E PUNICA 167

11. MINIERE E METALLI 183

12. LA PESCA 189

13. LA PORPORA 197

14. IL VETRO 205

15. L’ALFABETO 211

16. IL VINO E IL MARZEAH 217

17. LA MONETAZIONE 225

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18. ARTE E ARTIGIANATO 231

§ 1. La statuaria e il rilievo in pietra 231

§ 2. Le stele 236

§ 3. Le terrecotte figurate, le protomi e le maschere 242

§ 4. I gioielli 253

§ 5. Gli scarabei e gli amuleti 259

§ 6. Le “arti minori” 264

INDICE ANALITICO, a cura di Antonella Unali 273

Indice delle persone e delle divinità 273

Indice dei luoghi 277

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