Femminicidio Nomi e Storie Vittime Ad Oggi 9 Giugno 2012

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Anno 2012 Storie da una strage domestica diffusa

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Ieri a Genova un’installazione per ricordare le vittime della violenza di genere: “Storie da una strage domestica diffusa”.Qui il documento preparato dal comitato SNOQ genovese che raccoglie i nomi e le storie delle donne uccise nel 2012.

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Storie da una strage domestica diffusa

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Cronache dei femminicidi avvenuti in italia dal 1 gennaio al 9 giugno del 2012

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1. LENUTA LAZAR, 2 GENNAIO, 31 ANNI, OSTELLATO (FE) Ha ucciso la ragazza, Lenuta Lazar, 31enne rumena, con 23 coltellate, inferte sul corpo con una violenza inaudita, in preda ad un raptus omicida senza controllo. Sergio Rubini, 53 anni di Voghiera, è in carcere a Ferrara, accusato di omicidio, su disposizione della procura (pm Ciro Savino) che ha coordinato le indagini lampo dei Carabinieri che in meno di 12 ore hanno trovato i riscontri e le prove alle ammissioni che Rubini aveva fatto. L'uomo, 53 anni di Voghiera, aveva confessato, farneticando, ai parenti - al padre, al cognato e ad un nipote - di aver ucciso una prostituta e averla buttata in un canale dove andava a pescare. I parenti hanno segnalato il fatto ai Carabinieri che hanno trovato i riscontri per chiudere le indagini su un omicidio brutale. Rubini, secondo la ricostruzione fatta dalle indagini, aveva avvicinato la ragazza in città, in via Bologna, dove la giovane rumena si prostituiva. L'incontro è del 2 gennaio, e poco dopo, alle 22.30, Rubini l'ha uccisa dentro il furgone in cui si trovavano, nei pressi dell'Ufficio postale di Chiesuol del Fosso, alle porte della città. Ha scatenato la furia omicida sul corpo della ragazza con 23 colpi di coltello. Dopo averla ucciso, l'ha spogliata, ne ha nascosto i vestiti e ha fatto sparire l'arma del delitto. Poi, con il suo furgone, da Ferrara ha percorso oltre 40 chilometri in piena notte, verso Ostellato, dove si è disfatto del corpo gettandolo nel canale 'Bando Valle Leprè. Le indagini hanno preso il via nella notte del 4 gennaio in conseguenza ai rimorsi che Rubini aveva. Il giorno prima, infatti, tra la lucidità e la farneticazione, aveva pulito e verniciato l'interno del furgone per cancellare ogni traccia dell'omicidio. Poi si è imbottito di psicofarmaci per tentare il suicidio, e lo ha poi ritentato prendendo il furgone e andando a schiantarsi sulla provinciale per Portomaggiore. Dopo l'incidente Rubini è stato ricoverato in ospedale, dove ha confessato ai parenti il delitto, senza dare indicazioni precise. Così i familiari di Rubini si sono presentati dai Carabinieri di Ferrara per raccontare le confidenze ricevute. Sono partite le ricerche sulla base delle deliranti confessioni: il corpo della ragazza è stato trovato dove lo aveva gettato, nel punto che Rubini conosceva bene perchè ci andava spesso a pescare. Adesso l'uomo è in carcere per il fermo deciso dal pm Ciro Savino, mentre sabato mattina alle 10, è fissata l'udienza di convalida davanti al gip, in cui si dovrà decidere il luogo più idoneo per la detenzione di Rubini: carcere o struttura psichiatrica protetta, viste le sue condizioni. Non è escluso che il difensore Andrea Marzola o lo stesso pm Ciro Savino chiedano già una perizia psichiatrica in incidente probatorio per stabilire le sue condizioni mentali

2. ANTONELLA RIOTINO, 4 GENNAIO, 20 ANNI, PUTIGNANO, (BA). CORSERA, REPUBBLICA

Antonella è stata uccisa a circa 300 metri da casa. Picchiata, soffocata e sgozzata. È stato arrestato con l'accusa di omicidio il fidanzato di Antonella Riotino, la ventenne uccisa a Putignano, nel barese, la cui scomparsa era stata denunciata ieri mattina dai familiari, allarmatisi per il mancato rientro a casa della studentessa. Dopo una giornata di ricerche, ieri sera la svolta, su indicazioni dello stesso fidanzato Antonio Giannandrea, 19 anni, che è stato interrogato in nottata dai carabinieri della Compagnia di Gioia del Colle, e poi sottoposto a fermo di polizia con l'ipotesi di omicidio volontario. Il ritrovamento del cadavere - Il corpo della vittima presentava una profonda ferita alla gola, probabilmente inferta con un coltello. Dai primi accertamenti dei carabinieri, pare che la coppia negli ultimi tempi litigasse spesso, e che l'ennesima discussione sia avvenuta per strada, proprio nella giornata della scomparsa della studentessa. Il cadavere della giovane di Putignano è stato trovato dai carabinieri la scorsa notte in una scarpata alla periferia della cittadina, su segnalazione dello stesso ragazzo, suo compagno di scuola, da subito fortemente sospettato dell'omicidio. Il delitto sarebbe avvenuto in strada, poi il giovane avrebbe fatto rotolare il cadavere. Sul corpo della vittima sono stati trovati segni di strangolamento, di percosse e di arma da taglio. Sarà l'autopsia e in particolare l'anatomopatologo a stabilire la causa del decesso. Tradito dalle ferite alle mani - Antonio Giannandrea è stato 'tradito' da vistose lesioni che ha riportato sulle mani. "Sì, sono stato io", ha detto ai carabinieri, prima di condurli sul luogo del delitto, in via Fratelli Bandiera. In nottata è stato condotto al carcere di Bari. Convocato insieme con altri amici della ragazza in caserma per ricostruire la vita di Antonella, i carabinieri hanno immediatamente notato le vistose lesioni che il 18enne aveva sulle mani. Gli hanno quindi chiesto come se le fosse procurate e la sua sicurezza, ostentata in un primo momento, ha cominciato a vacillare fino a quando, alle due di notte, ha finito per ammettere l'omicidio, indicando ai militari il luogo dove aveva nascosto il corpo, un terreno alla periferia di Putignano, cove aveva anche cercato di coprirlo. Qui gli investigatori hanno trovato un coltello da cucina che potrebbe essere stato quello utilizzato per provocare le lesioni al collo della ragazza. Nell'abitazione del giovane i carabinieri hanno trovato e sequestrato alcuni indumenti al vaglio della Squadra investigazioni speciali dell'Arma. Il movente passionale - Una storia d'amore molto travagliata, quella tra i due ragazzi, fatta di incomprensioni, feroci litigate, minacce e abbandoni e ritorni d fiamma. Il motivo dell'assassinio starebbe proprio in questa difficile relazione. Gli inquirenti stanno cercando di definire i motivi precisi della lite ma, al momento, sembra che il delitto sia scaturito mercoledì sera durante l'ennesima

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discussione, nel corso della quale la ragazza forse avrebbe ribadito al ragazzo di volerlo lasciare. A quel punto il raptus: lui le avrebbe afferrato la testa e sbattuta contro un muretto, poi le avrebbe messo le mani al collo e infine la coltellata mortale sul lato destro del collo. Il depistaggio su Facebook - Le incomprensioni tra la ragazza e Antonio, studente dell'Istituto alberghiero, lo stesso frequentato da Antonella, andavano avanti da diverso tempo. Un periodo durante il quale il giovane - è stato confermato da fonti investigative - avrebbe anche inviato minacce ad Antonella attraverso messaggi su Facebook da un profilo a lei sconosciuto e con il nick name "Rasta light", come il nome di un videogioco che la vittima aveva regalato al suo fidanzato. Attraverso questo profilo di fantasia, ieri, ha anche inviato un messaggio alla sorella di Antonella (con la quale aveva 'stretto amicizia' assieme ad altre 59 persone per crearsi un alibi) tentando un depistaggio. Un messaggio consegnato in copia dalla sorella della vittima ai carabinieri. Da qui le indagini tecniche, autorizzate dalla Procura e portate a termine in pochissimo tempo dagli uomini della Compagnia di Gioia del Colle e della stazione di Putignano, che hanno chiuso il cerchio inducendo il giovane a confessare. I militari sospettano che la soluzione del caso possa essere proprio su Internet. Gli inquirenti sospettano infatti anche che il ragazzo sia entrato nel profilo Fb di lei, di cui conosceva la password di accesso, e abbia aggiornato lo status per sviare le indagini e allontanare i sospetti.

3. ANTONIA AZZOLINI, 7 GENNAIO, 66 ANNI, BARI. CORSERA Chiarita la dinamica circa il ritrovamento di un secondo cadavere avvenuto a Bari, dopo quello di Roberto Straccia. L'uomo, ritrovato in acqua da un pescatore a Palese, aveva 60 anni e trascorreva una vacanza con la moglie, una donna di Molfetta, presso un albergo vicino. Antonia Azzolini è stata trovata morta nella camera dell'hotel, e gli inquirenti avevano collegato le due morti. L'uomo era un rappresentante di tessuti rimasto senza lavoro e, secondo le prime ricostruzioni, dopo aver ucciso la moglie, si sarebbe suicidato lasciandosi andare in acqua dopo aver assunto barbiturici. Gli inquirenti pensano ad un omicidio-suicidio: l'uomo, rappresentante di tessuti bitontino rimasto senza lavoro, avrebbe ucciso la moglie nella stanza d'albergo, e, dopo poche ore, si sarebbe suicidato gettandosi in acqua nei pressi del lido San Francesco. Si pensa che l'uomo abbia anche ingerito barbiturici, ritrovati nella camera d'albergo. Due le ipotesi maggiormente accreditate, il movente della gelosia e quello della disperazione: i due potrebbero aver premeditato le loro morti perché affranti dalla mancanza di speranza per il futuro, soprattutto in seguito alla perdita del lavoro dell'uomo.

4. FABIOLA SPERANZA, 9 GENNAIO, 44 ANNI, ATRIPALDA (AV). CORSERA Si può già considerare risolto il caso dell’omicidio di Fabiola Speranza, la donna di 45 anni uccisa con sette colpi di pistola nella sua abitazione in contrada Pettirosso ad Atripalda, in provincia di Avellino. Il marito - e padre dei suoi tre figli - Michele Naccarelli, 47 anni, si è costituito ed ha confessato tutto. L’ha fatto al termine di una lite, l’ennesima da qualche tempo a questa parte. Naccarelli, come da lui ammesso una volta arrivato in caserma, ha preso la pistola da lui regolarmente detenuta ed ha aperto il fuoco contro la moglie che, forse dopo aver intuito le sue intenzioni, ha provato a fuggire. Dopo averle sparato fino a scaricare la pistola, l’uomo ha allertato le autorità e si è lasciato arrestare. Il movente è ancora da accertare, anche se si ipotizza che alla base del gesto potessero esserci motivi economici.

5. NUNZIA RINTINELLA, 12 GENNAIO, 77 ANNI, TRAPANI. CORSERA Sarebbero morte per asfissia almeno due delle vittime di Pietro Fiorentino, l'uomo che l'altra notte a Trapani ha sterminato la sua famiglia e ha dato fuoco all'appartamento in cui viveva la sua ex moglie con i suoi cari. L'uomo ha ucciso tutti e quattro gli abitanti della casa, compresa la figlia di 8 anni, ha dato fuoco alla casa, poi si è suicidato lanciandosi dal balcone dell'appartamento. In queste ore gli inquirenti stanno cercando di capire se possa avere appiccato l'incendio quando i suoi parenti erano ancora vivi. La tragedia, i cui contorni sono dunque ancora da chiarire, è avvenuta in un appartamento al quinto piano di una palazzina in via Omero, nel rione periferico Palma.A dare l'allarme ieri mattina molto presto, vero le 5, è stata una vicina di casa, che si è affacciata al balcone e ha visto il corpo senza vita dell'uomo che giaceva sull'asfalto. Quando è arrivata la polizia, avvisata dalla donna, è stato notato del fumo che usciva dalle finestre della casa. Così i vigili del fuoco sono arrivati in via Omero, e hanno cercato di domare le fiamme per poi potere estrarre dall'edificio i corpi delle vittime, ormai carbonizzati. Il pessimo stato dei corpi non ha consentito nemmeno di capire quale sia la causa della morte, anche se, stando ai primi rilievi, due delle vittime sarebbero decedute per asfissia.Le persone uccise, come poi è stato accertato, sono tutte componenti di una stessa famiglia: Fiorentino è stato visto buttarsi dall'edificio dopo che si erano sviluppate le fiamme. L'uomo, 40 anni ha ucciso la figlia di 8 anni, Daniela, poi l'ex moglie Stefania Mighali di 39 anni (nella foto a destra, tratta dai profili di facebook), la suocera di 77 anni, Nunzia Rindinella, e infine il cognato portatore di handicap, Hans Rindinella, di 55, che abitava con le donne. Dopo avere appiccato il fuoco si è infine gettato nel vuoto. Fiorentino non aveva un'occupazione stabile, ma si guadagnava da vivere

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facendo lavori saltuari. Da un po' era separato dalla moglie, che aveva sposato nel luglio del 2000, ma sembra che non si desse pace per la fine del matrimonio. Di frequente si presentava a casa dell'ex coniuge, e i vicini raccontano di liti furibonde. Anche ieri sera l'uomo avrebbe fatto irruzione nell'appartamento e avrebbe iniziato a litigare con la donna fino alla tragedia. I vicini di casa e gli amici di Stefania hanno raccontato che più volte la giovane donna avrebbe chiesto aiuto ai carabinieri per allontanare l'ex marito, anche se, dalle prime verifiche, la donna non ha mai sporto denuncia formale per stalking. Sembra anche che Fiorentino spesso chiedeva denaro all'ex coniuge, che si guadagnava da vivere ospitando anziani nella casa dove abitava con la famiglia. Questo era anche spesso pretesto per liti. Nonostante la separazione, nella sua pagina Facebook Fiorentino scrive di essere sposato, e compaiono frasi come: "Stefania e Daniela vi amooo". L'ultimo post che l'uomo avrebbe messo sulla sua pagina , a fine novembre, è una poesia d'amore intitolata "Tristezza", che recita: "Ogni volta che chiudo gli occhi penso a te, e il mio cuore pieno di tristezza vola con la mente a quei giorni dove un tuo abbraccio mi proteggeva da tutto e sentivo il tuo grande amore...". Dello stesso tenore anche i post precedenti, in cui l'uomo faceva spesso riferimento alla sofferenza per un amore non corrisposto.

6. DANIELA FIORENTINO, 12 GENNAIO, 8 ANNI, TRAPANI (vedi Rintinella)

7. STEFANIA MIGHALI, 12 GENNAIO, 39 ANNI, TRAPANI (vedi Rintinella)

8. SHARNA ABDUL GAFUR, 13 GENNAIO, 18 ANNI, MONZA. E-IL MENSILE Sharna, bengalese di 18 anni, è stata strangolata nell’appartamento dello zio dove viveva dopo essere stata costretta a lasciare il suo Paese perché promessa a un uomo che non voleva. L’unico sospettato è un venticinquenne, suo connazionale, con il quale aveva una relazione. In base ai tabulati telefonici gli inquirenti pensano che il ragazzo sia stata l’ultima persona ad aver avuto contatti con la vittima. Dal giorno dell’omicidio il giovane è sparito.

9. GRAZYNA TARKOWSKA, 14 GENNAIO, 46 ANNI, CIVITANOVA MARCHE (MC). REPUBBLICA

Otto colpi di pistola partiti da una Smith e Wesson calibro 357 che hanno raggiunto la vittima all’addome e l’hanno uccisa sul colpo. A tenere in mano l’arma, suo marito, Maurizio Foresi, 55enne autotrasportatore. È morta tragicamente Grazyna Tarkowska, 46enne compiuti lo scorso 9 dicembre, polacca, da anni residente a Civitanova Alta dove viveva insieme con la figlia e il marito in una palazzina di via Repubblica 79, poco lontano da Porta Marina. Un dramma che proprio tra quelle mura domestiche si è consumato nel giro di qualche minuto in un tranquillo sabato mattina assolato. Sono circa le 12.30 quando i vicini iniziano a sentire delle grida, urla più drammatiche di quelle riconducibili a un litigio fra coniugi e poi diversi testimoni riferiscono di aver udito tre colpi di arma da fuoco. Il tutto si consuma davanti agli occhi della figlia della coppia, Milena Foresi, 19 anni, studentessa all’istituto Bonifazi di Recanati. Da una prima ricostruzione sembra che la ragazza abbia assistito alla scena e abbia visto il padre scendere le scale con in mano la pistola che era intestata a lui e regolarmente detenuta. L’uomo infatti aveva la passione del tiro al poligono e la Smith e Wesson che ha freddato Grazyna non era l’unica arma che l’uomo teneva in casa. E sarebbe stata proprio la ragazza a chiamare i soccorsi giunti però invano sul luogo del delitto. I vicini invece allarmati avrebbero avvertito i carabinieri. I primi a giungere sul posto sono gli uomini della stazione di Civitanova Alta con il maresciallo Roberto Frittelli: una volta arrivati trovano la porta chiusa e l’uomo barricato in casa: il maresciallo tenta il dialogo attraverso il citofono e alla fine, dopo un serrato colloquio, Foresi si arrende e apre la porta ai carabinieri. La ragazza viene soccorsa e portata in stato di choc al pronto soccorso di Civitanova. Grazyna da quanto emerge è stata ritrovata morta in camera da letto, ma le dinamiche con le quali si è consumato l’omicidio sono ora al vaglio degli inquirenti e del magistrato Claudio Rastrelli. Il movente si ricerca nel dramma familiare, un litigio acceso o un dissidio non risolto. E da quanto raccontano i vicini ci sarebbe anche un precedente grave che getta un’ombra di premeditazione sull’uxoricidio. Maurizio Foresi infatti la settimana prima di Natale era stato sottoposto a un accertamento sanitario obbligatorio a seguito di un episodio di violenza. I vicini raccontano che il Foresi avrebbe colpito più volte la moglie con un bastone o addirittura un’accetta lesionandole il cranio, tanto che la donna è dovuta ricorrere a diversi punti di sutura per medicare le ferite. Era poi tornato a casa dopo una settimana, ma il porto d’armi non gli era stato revocato. Maurizio era conosciuto in città, autotrasportatore d’ossigeno era il fratello di Peppe Foresi, indimenticato usciere comunale scomparso qualche mese fa. Grazyna invece era operatrice socio sanitaria nel reparto di psichiatria dell’ospedale. Il corpo della donna è stato portato ieri all’obitorio per effettuare l’autopsia disposta dal medico Tombolini, mentre Maurizio è stato trattenuto e interrogato in caserma a Civitanova, da dove, in serata, è stato trasferito in carcere

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10. ROSETTA TROVATO, 14 GENNAIO, 38 ANNI, SCICLI (RG). CORSERA E´ stato convalidato dal gip del tribunale di Modica l´arresto dell’uxoricida Massimo La Terra, 41 anni di Scicli, fermato per il presunto omicidio della moglie Rosetta Trovato, 38 anni, al quartiere Stradanuova a Scicli. Nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia dinanzi al magistrato, La Terra si è dichiarato estraneo ai fatti e avrebbe riferito d’aver trovato la moglie già priva di vita quando ha fatto rientro a casa. Una versione dei fatti che cozza con la ricostruzione degli inquirenti, secondo cui La Terra avrebbe strangolato la vittima dopo un furioso litigio. La Terra, dopo l’interrogatorio di garanzia nel corso del quale si è proclamato innocente e la conseguente convalida dell´arresto da parte del magistrato, è tornato nella cella del carcere di Modica Alta dove si trova rinchiuso da domenica scorsa. Intanto è stata effettuata l’autopsia sulla salma della donna per determinare l’esatta causa del decesso, quasi certamente dovuta ad asfissia da strangolamento. Ieri sono stati celebrati a Scicli i funerali della donna. Massimo La Terra, 41 anni di Scicli, l´uxoricida già finito nel 1999 fa in carcere per aver tentato di ammazzare a colpi di spranga l´anziano padre, ha fatto scena muta ieri dinanzi ai Carabinieri, che lo hanno fermato per l´omicidio della moglie Rosetta Trovato, 38 anni. Il fattaccio è avvenuto poco dopo le 14.30 nell´abitazione di via Simeto, al popolare quartiere Stradanuova. Nelle prossime ore l´uomo, che si trova in una cella del carcere di Modica Alta, sarà sentito dal magistrato, nell´ambito dell´interrogatorio di garanzia. Non è escluso che l´uomo, disoccupato, avesse da poco instaurato una relazione extraconiugale, come si evince dai post scritti in un italiano stentato dallo stesso La Terra nel suo profilo Facebook. «Spero che duri per tutta la vita perché sono stanco di avere delusione: ti amo Nina». E aggiungeva: «Ci vediamo alle 24,20. A dopo, buon anno, gioia». Sicuramente la nuova relazione, neanche tanto segreta, avrebbe originato nuovi dissapori tra marito e moglie, che si lamentava anche per lo stato di disoccupazione del marito. La donna era infatti l´unica a provvedere al sostentamento della famiglia, lavorando come domestica. La coppia litigava spesso. Lui, come accennato, senza lavoro, e lei che sgobbava tutto il giorno per mantenere la famiglia. L’ultima lite è stata fatale. Rosa Trovato e Massimo La Terra, 41 anni, avevano cominciato ad alzare la voce e le mani di primo mattino: nel pomeriggio, intorno alle 14,30 il silenzio all’improvviso fino al suono delle sirene dell’autoambulanza e dei Carabinieri. Uno spintone dal primo piano e il ruzzolone dalla scala sarebbero stati fatali alla donna, 39 anni, che è stramazzata al suolo e non s’è più rialzata. Alla scena del litigio e del delitto avrebbe assistito la figlia di 15 anni. Secondo indiscrezioni, sarebbe stato il marito a chiamare il «118», ancora scosso per l’accaduto. Quando i sanitari sono arrivati in via Simeto, quartiere Stradanuova a Scicli, il misfatto era già compiuto. Rosa Trovato era priva di vita e presentava segni di violenza al collo. Il sospetto dell’uxoricidio è diventato certezza col passare delle ore, subito dopo l’arrivo del medico legale che ha proceduto all’ispezione cadaverica e poi del sostituto procuratore di Modica Gaetano Scollo. I Carabinieri, coordinati dal comandante colonnello Salvatore Gagliano, resisi conto della morte violenta, hanno condotto il congiunto della vittima, Massimo La Terra, in caserma in stato di fermo. Molti vicini di casa della famiglia La Terra-Trovato sono stati ascoltati dai militari per avere la certezza e la conferma delle violente liti fra i due coniugi. Stando alle prime indiscrezioni, pare che sul collo della vittima siano evidenti gli ematomi lasciati dallo strangolamento, oltre a delle contusioni alla testa e alle braccia a seguito della caduta dalle scale. Forse la donna ha perso l’equilibrio nel tentativo di divincolarsi dalla stretta mortale del marito, o forse è stato lo stesso aggressore, come accennato, a spingere la moglie giù per le scale, sotto gli occhi della figlia 15enne. Pare che la minorenne sia in stato di shock. Determinante si rivelerà la sua testimonianza per capire se si sia trattato di omicidio volontario e ricostruire quanto accaduto nell’abitazione in quei minuti frenetici. Sembra che la situazione sia precipitata mentre la famiglia era tavola per il pranzo. Sarebbero volate parole grosse tra i due coniugi per motivi ancora da accertare.

11. ENZINA CAPPUCCIO, 15 GENNAIO, 34 ANNI, MARANO (NA). CORSERA In tre sono seduti a tavola. Mangiano gnocchi al sugo. Nella stanza accanto c’è il corpo, o quello che ne resta, di Enzina Cappuccio, 34 anni, semicieca dalla nascita, quattordicesima di quindici figli di una famiglia poverissima, l’aspetto fisico di una reclusa in un campo di concentramento, madre di quattro bambine avute dall’uomo che ora sta mangiando gli gnocchi e che l’ha appena ammazzata a pugni, calci, morsi perché, dice, “Enzina era tosta-tosta”. Questa è una storia terribile, accaduta adesso e qui, nel 2012, a pochi passi da Napoli, la capitale del sentimento. I tre sono Salvatore Giuliano, 34 anni, il marito, parcheggiatore abusivo, Domenico Manco, 38, parcheggiatore abusivo subordinato a Giuliano, e sua moglie Anna Luisa Cappuccio, 30, nipote di Enzina. Finito di mangiare, escono di casa portando via il cadavere avvolto in un tappeto. Sono passate da poco le 19 di domenica 15 gennaio. Nell’anonimo condominio di via San Tommaso nella parte alta di “Città Giardino” a Marano, il destino dei tre si incrocia con quello di una vicina, che sta rientrando a casa e vede spuntare i piedi e un volto tumefatto dall’improvvisato fagotto arrotolato. Anna Luisa abbozza un sorriso, mentre con una mano accenna una carezza sui capelli del volto sfigurato che il tappeto non riesce a celare. Il corpo è rigido e i tre faticano a sistemarlo nella parte anteriore dell’auto, di fianco al guidatore. In quella casa le quattro figlie non ci sono più. Il marito-padre,

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tornando ubriaco, non picchiava solo la moglie, ma aveva allungato le mani anche su almeno tre delle quattro bambine, tutte sottratte alla coppia dai servizi sociali su disposizione del Tribunale. E per questo aveva conosciuto il carcere. Le bambine erano spesso lasciate senza cibo e vestiti. Poi sono state tirati fuori da quell’inferno in cui, invece, non è mai uscita Enzina. Era nata poverissima, il padre vendeva le castagne per strada a Marano. Fin da piccola aveva avuto problemi alla vista e nessuna cura adeguata. Con il passare degli anni era diventata quasi completamente cieca. Nell’abitazione della “famiglia” Giuliano rimasta senza figli, erano entrati altri inquilini, Domenico Manco e Anna Luisa, la nipote di Enzina. La sera del 15 gennaio, l’auto con il corpo di Enzina si dirige al pronto soccorso del Cardarelli dove Giuliano racconta una storia che non sta in piedi, un’aggressione subita da parte di sconosciuti. Ladri che si sarebbero introdotti in una casa dove manca tutto tranne la disperazione. A quell’ora, tra l’altro, allertati dalla vicina, i carabinieri di Marano e della compagnia di Giugliano, coordinati dal capitano Francesco Piroddi, sono già nell’appartamento di via San Tommaso dove trovano Anna Luisa Cappuccio seduta su una sedia in cucina. E trovano molte macchie di sangue in camera da letto. La storia dell’aggressione esterna dura poco. Il tempo per Salvatore Giuliano di confessare la sua versione, che appare persino più assurda di quella sul raid esterno. Ecco per sommi capi quanto dice Giuliano: sono le tre di notte del 14 gennaio quando tra Salvatore e Enzina scoppia una feroce lite. Ma per feroce, si può intendere solo la ferocia dell’uomo, perché la donna non è assolutamente in grado di fare nulla. I medici che vedono quel corpo consumato restano agghiacciati. Così come chi deve guardare le foto scattate durante l’autopsia. Enzina è un insieme di ossa e pelle così malridotto che anche da viva difficilmente sarebbe stata in grado di restare in piedi. “Sembrava uno dei prigionieri fotografati nei campi di sterminio nazisti”, commenta chi ha visto le foto e non riesce a cancellarle dalla mente. Una donna cieca, che non si nutriva regolarmente e che da mesi non usciva all’aperto. Un omicidio senza motivo. Non si capisce perché l’uomo si sia scatenato con tanta rabbia fino a ucciderla. Lui dice solo che era ubriaco. Secondo una versione fornita da Anna Luisa, la donna aveva protestato perché il marito guardava le foto di altre donne sul telefonino, ma non ci sono riscontri e sicuramente questo non basterebbe a spiegare la ferocia. Giuliano ai carabinieri aggiunge di non aver capito di aver ucciso la moglie, tanto di essersi messo a dormire tranquillamente al suo fianco nel letto. La mattina l’uomo esce da casa come al solito e torna soltanto la sera proprio perché, dice lui, “preoccupato per la moglie”. Nel bilocale di via San Tommaso ci sono anche Manco e la coniuge che sicuramente aiutano Giuliano a sollevare Enzina dal letto, chiuderla nel tappeto e portarla in ospedale, dove arriva anche un’altra parente del parcheggiatore. Anche Domenico e Anna Luisa raccontano altre storie. Prima tentano di addossare responsabilità su un uomo risultato del tutto estraneo a quanto accaduto, poi la donna afferma di essere rimasta chiusa nel bagno e di essersi accorta della morte della zia, “a cui voleva bene”, soltanto pulendo le macchie di sangue dal pavimento della camera da letto. Anche Manco racconta di essere stato chiuso nel bagno con la moglie e solo in un secondo momento di essere stato costretto a reggere i piedi della donna, “ma solo leggermente”, su ordine di Giuliano, che così poteva strangolarla meglio. Avrebbe ubbidito perché aveva paura dell’amico, ma, a suo dire, Enzina era già morta. La verità di Anna Luisa è fatta di mezze parole, ricostruzioni fantasiose e atteggiamenti infantili. I referti raccolti dagli investigatori coordinati dal pm Stella Castaldo, che ha chiesto l’arresto dei tre, richiesta accolta dal gip Tullio Morello, raccontano un’altra realtà che rende inverosimile la ricostruzione del principale sospettato. Su Enzina c’è stato un accanimento mostruoso e non un semplice litigio. Le sono stati staccati a morsi i lembi delle orecchie. Le hanno morso la schiena in più punti. Spento cicche di sigarette sulla pelle e bruciato parte del volto. È stata colpita ripetutamente con calci e pugni su tutto il corpo. Non si sa quante ore è durata la notte di sevizie di ogni natura. Già, perché Enzina era “tosta-tosta”. E, infatti, per ucciderla le hanno sbattuto la testa con violenza contro la ringhiera del letto e sul pavimento. Ma non è bastato. E così le hanno messo anche una pezza in bocca mentre la strangolavano. Giuliano è stato arrestato per omicidio, mentre gli altri due sono finiti in cella per concorso in omicidio e calunnia, ma la verità giudiziaria su tutta la vicenda è ancora da scrivere. Soprattutto è da capire il ruolo avuto dalla coppia di inquilini: la donna dal carattere immaturo, l’uomo sottomesso all’amico-padrone, che lo scherniva in pubblico. Per loro l’avvocato Carlo Carandente Giarrusso ha presentato ricorso al Riesame per chiederne la scarcerazione.

12. MAURA CARTA, 24 GENNAIO, 58 ANNI, MANDAS (CA) Un omicidio annunciato quello compiuto questa mattina a Mandas, un piccolo centro agricolo del Cagliaritano, dove un uomo di 33 anni, Ivan Putzu, ha aggredito e malmenato la madre, Maura Carta di 58, sino ad ucciderla, tentando poi il suicidio con i farmaci. Sino allo scorso anno la donna ha lavorato come operatrice sanitaria in una casa di riposo a Castelfranco Veneto (Treviso) ed è tornata a Mandas proprio per restare vicino all'unico figlio rimasto: cinque anni fa, infatti, una prima tragedia aveva colpito la famiglia con il suicidio a Bologna dell'altro figlio di Maura Carta. È stata l'ennesima lite, ma questa volta è finita in tragedia. Putzu è stato soccorso e arrestato dai carabinieri, chiamati dai vicini che hanno sentito le urla disperate della vittima, mentre per la madre, trovata sul pavimento del soggiorno, è stato inutile l'intervento del personale del 118. L'uomo è ora ricoverato in rianimazione

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in ospedale a Cagliari: è sedato ma non in pericolo di vita. Per lui è scattato l'arresto mentre il magistrato di turno ha disposto l'autopsia sul corpo della donna, nel centro di medicina legale del Policlinico di Monserrato, per accertare le esatte cause del decesso. Si tratta di una vicenda tragica che ha colpito una famiglia dove i rapporti madre-figlio si erano deteriorati nel tempo, ma dove la speranza per il recupero di un persona problematica e malata non ha mai abbandonato la donna. Eppure le avvisaglie del dramma c'erano già tutte: ripetute le discussioni e gli alterchi del figlio con la madre, che ogni volta lo ha sempre perdonato. Il 29 maggio dello scorso anno Putzu era stato arrestato per averla selvaggiamente picchiata. In quella occasione la donna era riuscita a salvarsi e a chiamare i carabinieri: soccorsa, era stata poi ricoverata all'ospedale di Isili per traumi al volto. Dopo l'arresto, l'uomo era stato condannato al divieto di dimora e a vivere lontano dalla madre. Così ha trascorso alcuni mesi in vari alloggi fino a trovare ospitalità in una casa protetta di Gergei, che però recentemente ha dovuto lasciare. Per questo, alcuni giorni fa, Putzu è tornato a bussare alla porta di casa e la madre lo ha accolto senza indugio.

13. ANDREEA CHRISTINA MARIN, 27 GENNAIO, 22 ANNI, PORTO POTENZA PICENA (MC). CORSERA

Andreea Christina Marin aveva un volto e un corpo minuti, pesava 35-40 chilogrammi circa, aveva 22 anni e avrebbe festeggiato il compleanno il 7 febbraio prossimo. Il suo corpo di bambina cresciuta in fretta è stato trovato semisepolto dalla sabbia sulla spiaggia di Lido Bello, a Porto Potenza Picena. L’ha trovata un anziano suo vicino di casa che venerdì mattina era uscito presto con il cane. La testa fracassata e chiusa in un sacchetto di plastica, indosso aveva una giacca di lana pesante con il cappuccio, la minigonna e le scarpe da ginnastica. Gli stessi indumenti che indossava quando è uscita, nella notte fra giovedì e venerdì, dal night “Play” di Porto Recanati, in cui lavorava come ballerina. Un mestiere – dicono gli inquirenti – che spesso confina con la prostituzione. Ma non è stato un cliente a uccidere questa ragazzina romena arrivata da Macerata a Lido Bello da appena un mese, che i rapporti degli investigatori definiscono “giovane donna”. Gli inquirenti le hanno trovato i documenti in tasca e sono andati nel piccolo appartamento, in un condominio, dove la ragazza abitava da sola. La casa era in ordine, i carabinieri non hanno trovato droga né altri tipi di cose che segnalano un’esistenza disordinata e border line. È stata uccisa con una ferocia difficile da immaginare, specialmente esercitata nei confronti di un essere così minuto. Per l’omicidio, grazie alle testimonianze di persone che erano al “Play” la notte del delitto, sono stati arrestati quattro uomini, o meglio un uomo, Sandro Carelli, pensionato, 57 anni, e tre ragazzi: il figlio di Carelli, Valentino, 23 anni, e due loro amici, Sebastian Capparucci, 25 anni, Silvio Giordana di 23. La dinamica è atroce: i quattro, che stanno ammettendo negli interrogatori la loro responsabilità, hanno aspettato Andrea Christina vicino all’ascensore, nell’attesa hanno messo fuori uso le luci al neon dell’atrio. Quando la ragazza è comparsa l’hanno aggredita a colpi di bastone fracassandole la testa, deturpandole il volto fino a renderla irriconoscibile. Non è ancora chiaro quando sia stata incappucciata con il sacchetto di plastica, se prima delle bastonate per confonderla, o dopo le bastonate per trascinarla via sanguinante, per impedire che una scia di sangue tracciasse il percorso fino alla spiaggia. Non è chiaro se Andrea Christina sia morta di botte o soffocata dal sacchetto. Non c’erano segni di violenza sessuale. Se possibile ancora più agghiacciante della dinamica è il movente che viene abbozzato dai primi interrogatori. Sandro Carelli, il pensionato cinquantasettenne, sarebbe stati il “fidanzato”. “Ero geloso, no volevo che mi lasciasse”. Delitto passionale, ipotizzano gli investigatori. Ma di che passione stiamo parlando? Come si può chiamare gelosia quello di un vecchio che ammazza a bastonate una ragazzina? Solo un’aberrante idea proprietaria, schiavistica può far affiorare un lessico così sulle labbra di un assassino. E quale logica, sia pure aberrante, connette un delitto di passione con quelle modalità da spedizione punitiva? Viene fuori, sempre dai primi interrogatori e dalle prime testimonianze, che la ragazza forse voleva soldi per restare. Oppure cercava di ribellarsi alla riduzione in schiavitù? Magari, appunto, facendosi dare soldi che l’avrebbero resa autonoma. Sono andati in quattro a massacrarla. Delitto passionale. Non regge. Femminicidio sì. Nella stessa notte in cui veniva ammazzata Andrea Christina, a Catania “Se non ora quando” faceva una fiaccolata in ricordo di Stefania Noce, una ragazza italiana, partecipe del movimento delle donne, uccisa dal suo ex fidanzato che non voleva “perderla”. Nel 2011 sono state 97 le donne uccise in Italia dai loro fidanzati, uomini, mariti. Nel 2012 Andrea Christina è la 13 vittima. E siamo solo a gennaio.

14. ELDA TIBERIO, 3 FEBBRAIO, 93 ANNI, LANCIANO (CH). Una donna di Lanciano, Elda Tiberio, di 93 anni, è stata uccisa la notte scorsa nella sua abitazione in un condominio di via Galilei: per l’accaduto è stato arrestato il figlio C.S.di 69 anni, che conviveva con l’anziana, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla familiarità con la vittima e dall’età. L’ordinanza cautelare è stata emessa nel pomeriggio dal gip di Lanciano. Le operazioni investigative della polizia, dirette dal dirigente Katia Basilico, erano scattate attorno alle ore 3, dopo che sul posto si era recata un’ambulanza del 118 allertata da

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un’altra figlia della vittima che vive nei pressi. Su disposizione del pm Rosaria Vecchi è stata immediatamente effettuata una prima ispezione cadaverica in base alla quale si tratterebbe di morte violenta: l’anziana donna presentava infatti ecchimosi al viso e in più parti del corpo. Lo stesso sostituto procuratore ha disposto l’autopsia per martedì al fine di accertare l’esatta natura del decesso della donna. L’arresto del figlio dell’anziana è stato chiesto dal pm a conclusione dell’ interrogatorio svoltosi in commissariato. L’uomo, che soffre di problemi psichici, era più volte entrato in conflitto con la madre.

15. LEDA CORBELLI, 4 FEBBRAIO, 64 ANNI, NOVATE (MI). CORSERA All’ospedale Niguarda di Milano è terminata l’agonia di Leda Corbelli, la donna 65enne ricoverata dal 17 dicembre scorso con ustioni gravissime procuratele dal compagno. Dopo una lite tra i due, il convivente, disoccupato e con problemi mentali, l’aveva cosparsa di liquido infiammabile e le aveva dato fuoco. L’uomo, Raffaele Fratantonio, 58enne, originario delle provincia di Ragusa, è stato arrestato per tentato omicidio lo scorso dicembre, dai carabinieri della compagnia di Rho, ma ora l’imputazione nei suoi confronti potrebbe presto aggravarsi. Ora, in seguito alla morte della sua convivente, dovrà rispondere di omicidio. Una storia terribile quella di Leda Corbelli che viveva con il compagno a Novate Milanese e che in tutti i modi aveva tentato di curare Raffaele Fratantonio. L’uomo era disoccupato e viveva a carico della donna. Spesso si rifiutava di assumere farmaci prescritti accusando la convivente di non curarlo ma di voler limitare la sua capacità psichica per poterlo controllare meglio. E il 17 dicembre scorso, proprio durante una lite furibonda, Fratantonio prende una tanica di benzina che si era portato in casa, la versa addosso a Leda e le dà fuoco. La donna, ormai una torcia umana, cerca inutilmente aiuto nel cortile dello stabile in cui risiede, ma nessuno potrà fare nulla, se non avvisare i carabinieri che arrestano l’uomo. La donna viene ricoverata in fin di vita. Oggi la sua agonia è finita.

16. DOMENICA MENNA, 4 FEBBRAIO, 24 ANNI, PARMA. CORSERA, REPUBBLICA È un vigilante dell’Ivri (Istituti di vigilanza riuniti d’Italia) di 42 anni l’autore dell’omicidio-suicidio avvenuto questa mattina alle 6.30 in via Cremonese, alla prima periferia industriale di Parma. Secondo la ricostruzione della Polizia, l’uomo, dopo un diverbio ieri sera a casa della fidanzata di 24 anni, questa mattina l’ha inseguito mentre in auto lei andava al lavoro, le ha tagliato la strada, e poi ha esploso quattro colpi su di lei, tre al corpo, uno alla testa. Poi si è sparato alla testa a sua volta. Cadendo, è partito un secondo colpo, finito contro una casa.

17. LOVETH EWARD, 5 FEBBRAIO, 22 ANNI, PALERMO. Avevano poco più di vent’anni e a Palermo c’erano arrivate con la speranza di trovare una vita migliore. Purtroppo hanno trovato la morte. È questo il triste epilogo della storia di due ragazze nigeriane: Favour Nike Adekunle e Loveth Eward. Vittime della tratta, arrivate Palermo dovevano pagarsi il viaggio e per questo facevano le prostitute, purtroppo nell’arco di un mese sono morte ammazzate. La prima si «vendeva» al parco della Favorita (luogo notoriamente frequentato da prostitute) ed è stata trovata strangolata, il corpo bruciato, nei pressi di Misilmeri. Voleva sposarsi con un ragazzo palermitano, aveva richiesto i documenti e l’aiuto della Caritas, ma forse questo non è andato a genio a chi doveva sfruttare le sue prestazioni. La seconda ragazza è stata trovata morta e seminuda due giorni fa in via Juvara, a 500 metri in linea d’aria dal Tribunale di Palermo. In risposta a quanto accaduto, e soprattutto per cercare in qualche modo di contrastare quest’ondata di violenza omicida, si è costituito un coordinamento tra la comunità nigeriana, varie associazioni che si occupano di antirazzismo in città, come il Forum Antirazzista, il Ciss, i Laici Comboniani, la Cgil, ma anche l’azione cattolica e molti preti e comunità parrocchiali. La prima azione che hanno in programma è un presidio giovedì prossimo alle 16 davanti alla Questura di Palermo: vogliono incontrare il questore e chiedere che non si lasci nulla di intentato nelle indagini e, seconda cosa, vogliono che venga garantita la sicurezza delle ragazze per strada, indipendentemente dall’attività che svolgono. «L’azione più sensata – spiega Pietro Milazzo, del Forum Antirazzista – sarebbe quella di eliminare la tratta delle ragazze che dalla Nigeria vengono portate sulle strade di Palermo per battere, ma purtroppo è un percorso difficile e pericoloso, e a rimetterci sono sempre le ragazze». Inoltre il coordinamento sta organizzando una manifestazione cittadina il 15 febbraio per sollevare l’attenzione su quanto accaduto e per chiedere giustizia per le due ragazze uccise.

18. AVE FERRAGUTI, 5 FEBBRAIO, 72 ANNI, PARMA. Non ce l’ha fatta, Ave Ferraguti, la 72enne strangolata stamattina a Parma dal marito: la donna è morta nel pomeriggio all’Ospedale Maggiore. Il marito, Luciano Ugolotti, 77 anni, è stato arrestato dalla Squadra Mobile per omicidio volontario e trasferito all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. L’uomo si era consegnato agli agenti stamattina, avvertendo i vicini che aveva ucciso la moglie e chiedendo loro di chiamare subito la polizia. Una storia tragica e tristissima quella accaduta a Parma, appena 24 ore dopo un altro omicidio, quello della

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24enne Domenica Menna: a quanto pare, l’anziano, che da quando la donna era entrata in ospedale aveva cominciato a soffrire di depressione, avrebbe confessato di avere strangolato la moglie nel sonno per “troppo amore”, perché non voleva continuare a vederla soffrire, sapendo che la malattia di lei era degenerativa e l’avrebbe portata a passare il resto della vita su una sedia a rotelle. Tanto da disperarsi quando i poliziotti gli hanno detto che la moglie era sopravvissuta: ma l’agonia di Ave è durata poco. Nel pomeriggio, infatti, la donna è morta all’ospedale, da dove era appena rientrata a casa dopo oltre un mese di cure.

19. ROSANNA SICILIANO, 8 FEBBRAIO, 37 ANNI, PALERMO. CORSERA, REPUBBLICA

Un carabiniere di 39 anni, Rinaldo D’Alba, originario di Bari, ha sparato alla moglie Rosanna Siciliano, palermitana, 38 anni, e poi si è ucciso. La tragedia è accaduta negli alloggi dell’Arma in cui la coppia viveva, all’interno di una caserma a Palermo. La coppia aveva due bambine di 12 e di 6 anni. La figlia più grande, insieme alla sorellina, ha visto il padre sparare al petto della mamma e poi uccidersi: uno choc che non le ha impedito di chiamare il 118. Lei e la sorella sono state portate via dall’abitazione, un appartamento nella caserma di via Giordano Calcedonio in cui le bambine vivevano con la madre e sono assistite da una psicologa. Secondo le prime ricostruzioni D’Alba, di origini baresi, ma in servizio a Palermo dal 1995, e la moglie, Rosanna Siciliano, avevano avviato una causa di separazione da qualche mese: la moglie e le bambine erano rimaste a vivere in caserma, mentre l’uomo si era trasferito nella camerata dello stesso immobile. Sei anni fa c’era stata una prima separazione, poi i coniugi erano tornati insieme e hanno avuto la seconda figlia; ma la storia era comunque finita, e i due, pare senza particolari tensioni, si erano rivolti per la causa a un ex carabiniere che ora esercita la professione di avvocato. Questa sera D’Alba e la moglie, che nei mesi scorsi avevano continuato a frequentarsi e a uscire insieme, avrebbero avuto un acceso diverbio, poi l’uomo avrebbe puntato la pistola al petto della moglie e fatto fuoco e si sarebbe poi sparato alla tempia. Il militare è morto sul colpo, mentre la moglie sarebbe spirata dopo pochi istanti. Alla scena hanno assistito le due bambine: è stata la maggiore a chiamare l’ambulanza arrivata quando entrambi erano già deceduti. La tragedia si sarebbe consumata intorno alle 19, in camera da letto. La famiglia abitava nell’alloggio di servizio, al secondo piano della caserma di via Giordano Calcedonio. Il carabiniere era originario di Bari ed era in servizio a Palermo dal 1995. Sul posto le forze dell’ordine che stanno svolgendo le prime indagini e il medico legale che ha accertato la morte dei coniugi. Disposta l’autopsia.

20. ANTONIA BIANCO, 13 FEBBRAIO, 43 ANNI, SAN GIULIANO MILANESE (MI). CORSERA, REPUBBLICA.

All’inizio la sua morte è stata catalogata come un malore, ma poi è stata notata quella piccola ferita, quasi invisibile, sotto il braccio, una stilettata che ha aperto improvvisamente un nuovo scenario su quel decesso. È giallo sulla morte di Antonia Bianco, 43 anni milanese, morta al Policlinico San Donato in seguito a una lite con l’ex convivente, un 55enne di San Giuliano Milanese. La Procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo per lesioni, al momento a carico d’ignoti. I fatti risalgono al 13 febbraio scorso quando la donna si trovava a casa del suo ex, in via Turati a San Giuliano. Tra i due è scoppiato un litigio, probabilmente per ragioni di gelosia. Antonia Bianco avrebbe rinfacciato all’uomo di averla abbandonata, lasciandola sola con la figlia nata dalla loro relazione, e di essersi messo con un’altra donna. La discussione ha assunto toni accesi, tanto che tra i vicini di casa qualcuno ha deciso di chiamare i carabinieri. All’arrivo dei militari la donna è stata trovata semicosciente e sono quindi scattati i soccorsi. Antonia Bianco è stata portata al Policlinico di San Donato dove però è morta poco dopo il ricovero. Nell’immediato sul corpo non sono stati riscontrati segni evidenti di violenza. Un particolare, questo, che ha fatto pensare a un decesso naturale. Qualcosa però non ha convinto i carabinieri e nemmeno i familiari della donna che non si sono accontentati della prima ricostruzione dei fatti e hanno sollecitato ulteriori indagini. È stata quindi disposta l’autopsia che avrebbe rivelato la presenza, sotto l’ascella, di una lesione compatibile con la lama sottile di un punteruolo. Lo stiletto sarebbe penetrato in profondità senza tuttavia lasciare tracce ematiche sulla cute. Per questo i medici che hanno avuto in carico la paziente durante il ricovero non si sarebbero accorti della ferita. Una ferita che forse ora potrà spiegare qualcosa in più sull’improvvisa morte della 43enne. Al momento non ci sarebbero indagati e i carabinieri procedono in tutte le direzioni.Sembra però che la donna avesse da qualche tempo un rapporto difficile con l’ex compagno contro il quale aveva depositato una denuncia per atti persecutori.

21. MARIA (NOME DI FANTASIA), 15 FEBBRAIO, 82 ANNI, FIRENZE, E-IL MENSILE Non è morta per cause naturali, ma è stata uccisa per soffocamento dal marito la donna di 82 anni trovata senza vita nella sua abitazione di Firenze lo scorso 15 febbraio. È emerso dall’autopsia. Il marito, coetaneo della vittima,

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è stato quindi arrestato per omicidio volontario e posto agli arresti domiciliari. L’avrebbe uccisa perché era gravemente malata.

22. TOMMASINA UGOLOTTI, 15 FEBBRAIO, 77 ANNI, LATIANO (BR) Tragedia familiare a Latiano, nel Brindisino: un uomo di 38 anni, Marcello Recchia ha accoltellato a morte alla gola la madre, Tommasina Ugonotti, di 77 anni. Il fatto è avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri nell’abitazione in cui vivevano i due. L’uomo soffriva di turbe psichiche e pare avesse rifiutato il ricovero in una struttura specializzata. Lo accudiva l’anziana madre, che con lui divideva anche il letto. Negli ultimi tempi, però, la situazione era precipitata. Il giorno prima della tragedia, mercoledì, Tommasina Ugonotti avrebbe chiesto aiuto ad una vicina di casa: «Mi picchia, ho paura di lui. Avvertite i miei figli». L’uomo è stato arrestato. Gli altri figli dell’anziana donna vivono con le rispettive famiglie e della tragedia sono stati avvisati dai carabinieri. La donna è stata sgozzata in cucina. Quando gli operatori del 118 sono giunti sul posto non hanno potuto fare altro che constatare la morte della donna. Sembra che il 38enne dopo l’omicidio abbia aspettato almeno un’ora prima di chiamare aiuto. Marcello Recchia è stato arrestato dai carabinieri.

23. EDYTA KOZAKIEWCZ, 15 FEBBRAIO, 39 ANNI, MODENA. CORSERA È stato arrestato Umberto Musto, convivente 58enne di Edyta Kozakiewcz, la polacca di 39 anni trovata morta ieri sera nell’abitazione che i due occupavano in via Giardini alla periferia sud di Modena. Secondo i carabinieri il decesso è da attribuire alle numerose percosse ricevute; l’uomo teneva la donna segregata in casa in completa soggezione. Era stato lui a dare l’allarme, rientrato dal lavoro. La vittima di quello che era parso fin da subito un omicidio era nuda, quasi completamente sotto il letto e con diverse ecchimosi.

24. FERNANDA FRATI, 23 FEBBRAIO, 70 ANNI, MANIAGO (PN) L’ha uccisa nell’abitazione di famiglia, a Maniago in via Ponte Giulio, ed è rimasto lì, impassibile, ad aspettare l’arrivo della sorella, attesa per cena, e poco più tardi quello dei carabinieri, che l’hanno sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per omicidio volontario. Maurizio Lenarduzzi, 40 anni, operaio alle Grafiche Zanardi, ex Lema, di Maniago, ha posto fine così, ieri poco dopo le 19, alla vita della madre, Fernanda Frati, settantenne, ex infermiera professionale all’ospedale di Maniago. Un uomo sereno e tranquillo. Così era giudicato, da chi lo conosceva, l’operaio divenuto improvvisamente un assassino. Cosa abbia armato la sua mano del coltello, il simbolo dell’imprenditoria maniaghese, cosa gli abbia fatto sferrare quei fendenti fatali, cosa lo abbia indotto a spegnersi così, come un interruttore, dopo aver acceso quegli attimi di rabbia irrefrenabile e al momento privi di una spiegazione, è ancora al vaglio dei carabinieri. Di certo, per ora, ci sono solo i fatti, crudi nella loro semplicità. Maurizio Lenarduzzi, secondo quanto accertato dagli uomini della Benemerita, ha accoltellato a morte la madre e ha atteso in casa di andare incontro al proprio destino, senza chiamare i soccorsi, senza fuggire, senza fare niente. Ad accorgersi del delitto, poco dopo le 19, è stata la sorella del femminicida, Serena Frati, educatrice ed ex assistente sociale a Montereale Valcellina, residente nella vicina frazione di Malnisio. La donna era attesa per cena da Fernanda e da suo figlio. È arrivata per trascorrere la serata con loro e ha visto improvvisamente sconvolti i suoi piani e la sua stessa vita. Il cadavere della madre era ancora lì, per terra, vicino alla cucina. Il fratello Maurizio, lì accanto, era in stato confusionale, immobile. Serena ha preso in mano la situazione, ha chiamato i soccorsi, ha reagito per quanto poteva all’ineluttabilità di ciò che aveva appena visto. Ha fatto arrivare i carabinieri, ha anche urlato all’arrivo dei cronisti, tentando di celare al dominio pubblico quanto era appena accaduto in quel quartiere semideserto della zona industriale di Maniago, in quella casa ora sotto sequestro che fino a ieri sera aveva solo ospitato una donna che aveva perso il marito, Luigino Lenarduzzi, per una brutta malattia e un figlio che si era sempre spaccato la schiena per lavorare e guadagnarsi da vivere. Lenarduzzi è stato condotto fuori dall’abitazione teatro dell’omicidio alle 22.30. Giubbino azzurro indosso, ha tentato di ripararsi dai flash. È apparso intontito, forse ancora incapace di credere davvero a ciò che il tempo stava scandendo. Perchè Lenarduzzi ha ucciso la madre? Cosa lo ha armato? Vittima di una depressione circa un anno fa, l’uomo si era ripreso, continuando a lavorare fino a quando i dolori alla schiena glielo avevano consentito. Si dice che abbia smesso da qualche giorno di prendere i farmaci, si dice di un annunciato trasferimento, di un non perfetto stato di salute mentale.

25. ELISABETTA SACCHIANO, 24 FEBBRAIO, 63 ANNI, SIRACUSA Un pensionato di 69 anni, Salvatore Infanti, ha ucciso a Siracusa la moglie, Elisabetta Sacchiano, di 63, probabilmente soffocandola con un cuscino. L’uxoricidio è avvenuto nell’abitazione della coppia, in via Luigi Monti, nel quartiere Pizzuta, alla periferia della città. In questo momento sono in corso i rilievi da parte degli agenti della scientifica e del medico legale Francesco Coco. Le indagini sono coordinate dal sostituto procuratore Giancarlo

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Longo. Infanti si trova negli uffici della Questura per rispondere alle domande del dirigente Tito Cicero. Dai primi accertamenti sembra che la donna fosse gravemente malata; gli investigatori non escludono che il marito l’abbia uccisa per questo motivo.

26. QUIAOLI HU, 25 FEBBRAIO, 39 ANNI, CAVRIANA (MN), REPUBBLICA, GAZZETTA DI MANTOVA

Un giovane cinese è stato arrestato, nelle prime ore di questa mattina, con l’accusa di aver ucciso ieri sera a coltellate una connazionale, titolare di un laboratorio tessile a Cavriana, nel mantovano. Un amico è finito in manette per favoreggiamento. La donna è stata accoltellata nell’abitazione in uso a una famiglia di cinesi con annesso laboratorio, di cui è dipendente anche il cinese arrestato. Tra i due ci sarebbe stato un violento litigio e il giovane avrebbe colpito la donna con un coltello più volte all’addome, poi è fuggito. Attirati dalla grida sono arrivati dei connazionali che hanno portato la donna agonizzante al pronto soccorso dell’ospedale di Castiglione delle Stiviere. La cinese è morta poco dopo mentre stava subendo un delicato intervento chirurgico. Nel frattempo erano scattate in tutta la zona le ricerche del fuggitivo, intercettato, nella notte, assieme ad un altro connazionale a Manerbio. Le manette sono scattate poco dopo le due di questa mattina. Entrambi sono stati rinchiusi nel carcere di Mantova. L’assassino di Hu Qiaoli, il 22enne Hu Lifei, è in carcere a Mantova con l’accusa di omicidio volontario aggravato dall’ aver accoltellato la donna davanti agli occhi della figlia di sei anni. «Ha cominciato lei a litigare, mi ha accusato ingiustamente e io ho reagito». Così si era difeso davanti al giudice il giovane cinese, motivando l’aggressione come una reazione ad un pesante attacco della donna. Il giovane avrebbe ucciso Hu, come ha ammesso, per una questione «delicata e molto grave».

27. ANONIMA, 26 FEBBRAIO, 20/30 ANNI, SAN MAURO TORINESE (TO) È stata uccisa con 15 coltellate la donna, ancora senza identità, ripescata nel fiume Po la mattina di domenica 26 febbraio a San Mauro Torinese (Torino). Lo ha rivelato l’autopsia disposta dal pm Vito Destito ed effettuata dal medico legale Roberto Testi. L’esame ha rivelato che due fendenti alla schiena sono risultati mortali per la donna che dovrebbe avere fra 20 e 30 anni, indossava un maglione verde scuro, una maglia di colore viola, jeans neri e scarpe da ginnastica della Nike di colore viola e nero.

28. MARIA ROSARIA RICCI, 26 FEBBRAIO, 50 ANNI, EBOLI (SA), E-IL MENSILE Uccisa con dodici coltellate nell’androne del suo palazzo, mentre il marito, Giovanni Caiafa, 54 anni, è rimasto gravemente ferito. I responsabili dell’aggressione sono Mario De Pasquale, 27 anni, e Tiziano Alacqua, 37 anni, decisi a punire la donna perché si sarebbe intromessa nella relazione sentimentale di uno degli arrestati, esprimendo giudizi non graditi.

29. PATRIZIA CLAIRE MARTIN, 29 FEBBRAIO, 31 ANNI, GROTTAMINARDA (AV) Patrizia Claire Martin era arrivata solo da un anno a Grottaminarda, poco meno di 8700 abitanti, gente tranquilla, lontana dai clamori della cronaca nera fino a ieri mattina. Intorno alle ore 11, infatti, la donna, 31 anni, nata in Germania è arrivata a casa dei suoceri per affidare loro il suo bambino di un anno e poi recarsi al lavoro. Ma, uscita dalla villetta, situata nella frazione di Carpignano per andare a prendere servizio nel ristorante dove lavorava come cameriera ha percorso solo poche decine di metri a piedi. La ragazza appena varcato il cancello d’ingresso è stata aggredita (presumibilmente) da un uomo che l’ha colpita con un coltello, due fendenti alla gola. Il criminale è fuggito, abbandonando sull’asfalto il coltello lungo venti centimetri utilizzato per uccidere. Patrizia ha resistito ancora qualche minuto. Ormai morente è riuscita a raggiungere la villetta per chiedere aiuto alla suocera, Maria Pia Del Gaudio ma, si è accasciata davanti all’uscio. La ragazza è morta pochi secondi dopo. Sul pavimento tanto sangue, la borsetta, il telefonino. Inutile l’arrivo dell’ambulanza e di un medico. Il suo corpo è stato trasferito all’obitorio dell’ospedale di Avellino.I carabinieri hanno avviato le indagini per fare chiarezza su questa spietata esecuzione. Un mistero, almeno per ora, il movente. Il convivente, Diego Mascolo, chef in un ristorante a Francoforte è stato avvertito dal padre della tragedia. Due settimane fa era stato a Grottaminarda per festeggiare con la sua donna e i familiari il primo compleanno del loro figlioletto. Poi, il ritorno da emigrante in Germania, dopo avere lavorato per anni nei ristoranti dell’area vesuviana. I suoceri di Patrizia sono stati i primi ad essere interrogati dai carabinieri nella caserma di Ariano Irpino. I militari stanno scandagliando nella vita della giovane per cercare qualcosa a cui appigliarsi. Stretto riserbo sulle indagini. Ma una mano agli investigatori potrebbe darla il coltellaccio utilizzato per compiere l’omicidio. Se l’assassino ha lasciato delle impronte digitali sull’arma. Adesso Grottaminarda è in lutto. «L’uccisione della nostra nuova concittadina rappresenta una bestemmia per la nostra

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comunità. A poca distanza dal luogo dove Patrizia è stata uccisa, infatti, risiede la sede millenaria del Santuario Mariano dei Frati della Mercede» racconta commosso un uomo di 42 anni. Dolore nei compagni di lavoro del ristorante dove Patrizia lavorava in part time per dedicare l’altra mezza giornata al suo piccolo Alex. Per loro era la «straniera», amata e benvoluta da tutti. «Aveva portato in tutti noi una ventata di buonumore e di andare avanti anche quando le giornate sono tristi e la vita si fa dura per la crisi che mezzo mondo sta vivendo» racconta un collega di Patrizia. I suoceri della vittima si erano trasferiti 6 anni fa da Napoli a Grottaminarda.

30. GABRIELLA LANZA, 2 MARZO, 49 ANNI, NAPOLI. CORSERA. REPUBBLICA Sono considerate molto gravi le condizioni di Nicola Manfrecola, il 54enne assistente capo della polizia municipale di Napoli che nella serata di venerdì 2 marzo ha ucciso a colpi di pistola la moglie, Gabriella Lanza, di 49 anni prima di rivolgere l’arma verso se stesso, tentando il suicidio. Manfrecola attualmente è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale Cardarelli, dove è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico; ora è in coma farmacologico. Il fatto è accaduto sulla bretella di raccordo tra il Vomero e Pianura, a Napoli. La coppia, residente in via Epomeo, nella parte nord-occidentale del capoluogo campano, probabilmente, stava rincasando quando qualcosa ha fatto scattare la follia nel vigile che ha esploso un colpo di pistola al ventre della moglie, uccidendola, e poi si è sparato in testa. Il cadavere della donna è stato trovato all’interno di una Seat. Sulla vicenda indaga la magistratura.

31. ANNA CAPPILLI, 4 MARZO, 81 ANNI, TORINO Un uomo di 45 anni è stato fermato dai Carabinieri per l’omicidio di Anna Cappilli, 81 anni, trovata morta ieri nella sua abitazione a Torino, soffocata con un fazzoletto in bocca. Si tratta – si è saputo – di un vicino di casa della vittima, con il quale la pensionata aveva avuto un litigio. In un primo momento, era stato ipotizzato un omicidio a scopo di rapina, in quanto la donna ieri aveva raccolto le quote condominiali del palazzo in cui viveva, come faceva di solito da vari anni.

32. GABRIELLA FALZONI, 4 MARZO, 51 ANNI, VILLAFRANCA MOZZECANE (VR). CORSERA. REPUBBLICA

Lui impiegato in concessionaria, lei in una ditta di abbigliamento, erano appena stati in Kenya. Giovanni Lucchese ha ucciso con un foulard Gabriella Falzoni, poi s’è costituito ai carabinieri. Aveva scoperto degli sms che per lui erano la conferma del tradimento .La salma di Gabriella Falzoni, uccisa dal marito Giovanni Lucchese, viene portata a medicina legale. L’uomo si è costituito dai carabinieri di Villafranca Mozzecane. L’ha uccisa perchè non voleva perderla. L’ha uccisa perchè era geloso e perchè lui non voleva che il loro matrimonio finisse o che ci fosse qualcuno tra loro. L’ha strangolata con un foulard, al culmine dell’ennesimo litigio, in camera da letto. Nella loro camera, sopra quel letto in cui per anni si sono accoccolati, raccontati le loro paure, i loro segreti. Giovanni Lucchese, cinquantaseienne impiegato in una concessionaria Fiat di Verona ha ammazzato la moglie Gabriella Falzoni, 51 anni, impiegata nella ditta di abbigliamento Spiller di Pizzoletta, nella loro casa di via Leopardi 6/b, a Mozzecane, ieri pomeriggio. Erano le 17.10 quando l’uomo ha suonato il campanello della caserma dei carabinieri di Villafranca con alcuni graffi sul volto, quelli che la moglie gli ha fatto nel disperato tentativo di fermarlo: «Sono Giovanni Lucchese, ho strangolato mia moglie», ha detto l’uomo. I carabinieri del radiomobile sono andati subito in quel quartiere elegante, che circonda un giardinetto con le panchine. In quella villetta quadrifamiliare colorata di giallo e arancione abitava Gabriella, ma anche le sue sorelle e altri parenti. Erano una famiglia perfetta a sentire i vicini. Non c’era niente che non quadrasse. La bella casetta ordinata, perchè Giovanni era una persona «ordinata, pulita, disponibile», e perchè Gabriella teneva tanto alla sua casa. La teneva a posto e anche per due volte alla settimana aveva un’amica che andava a riassettare, «a pulire sul pulito», diceva ieri sera la signora sconsolata. La famiglia era appena tornata da una vacanza in Kenya. facevano tante vacanze, amavano viaggiare, dicono i vicini, e stavano «economicamente benissimo». Non si facevano mancare nulla, lavorando entrambi. Una posizione consolidata che permetteva loro di fare una vita gradevole, senza privazioni. Eppure il tarlo della gelosia s’era insinuato nella testa di Giovanni. Aveva trovato degli sms che per lui erano la conferma che nella vita della moglie potesse esserci qualcun altro. Ieri pomeriggio una delle sorelle ha ammesso con i carabinieri di averli sentiti litigare. E tra quelle pareti è impossibile non sentire, passa tutto. E passano anche le urla. Ma non c’è stata colluttazione, non ci sono state botte. Secondo una prima ricostruzione Gabriella a un certo punto, durante il litigio, avrebbe detto che si sentiva poco bene e si sarebbe ritirata in camera da letto. Ma Giovanni l’ha seguita. Ha preso un foulard, o forse ha semplicemente stretto uno di quelli che Gabriella era solita portare al collo e ha stretto. Ha stretto con tutta la forza che aveva in corpo. Ha stretto con tutta la rabbia e il rancore che gli avevano dilaniato l’anima. Ha stretto con tutta la potenza che ha un amore trasformato in odio, in delusione. Ha tirato fino a quando Gabriella non ha sbarrato gli occhi e ha smesso di dimenarsi. Poi Giovanni ha ricomposto il corpo sul letto, per

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l’ultima volta, loro. Ed è andato dai carabinieri. «Era un uomo d’oro», dice una vicina, «da quando un tumore s’è portato via mio marito mi dava una mano quando c’era da fare qualcosa in casa. Gli avevo acquistato apposta la Sambuca per correggergli il caffè. L’altro giorno li ho visti ai carri di Carnevale. A me sembravano felici. Vede quella panchina lì?», continua la signora, «l’abbiamo consumata a forza di starci seduti tutti insieme a raccontarci cose. Qui ci conosciamo tutti, siamo come una grande famiglia. Si pensa sempre che queste cose accadano ad altri. Le vedi in televisione e non pensi che potresti viverle anche tu. E poi ecco accade anche a te, ai tuoi amici e diventa tutto irreale», ha concluso la donna. E mentre il capannello di amici e residenti stava attonito a chiedersi il perchè, sul posto è arrivato il sostituto procuratore Giulia Labia. Ha fatto un sopralluogo nell’abitazione e ha autorizzato la rimozione della salma, quindi la casa è stata sigillata con il nastro. Posta sotto sequestro. Il magistrato ha poi raggiunto la caserma dei carabinieri per ascoltare il reo confesso. E sentita la sua versione, la sua folle gelosia, ne ha disposto la custodia cautelare in carcere.

33. CHIARA MATALONE, 4 MARZO, 19 ANNI, BRESCIA. CORSERA Strage a Brescia, uccide l’ex moglie e altre tre persone La mattanza in una zona periferica della città. Un 34enne ha freddato l’ex convivente ed il suo nuovo compagno. Poi è entrato in casa e ha sparato alla figlia delle donna e un altro ragazzo. È stato arrestato da un appuntato scelto dei carabinieri residente a pochi metri di distanza dal luogo dei delitti. Un uomo di 34 anni, Mario Albanese, ha ucciso stanotte l’ex moglie ed altre tre persone. È successo intorno alle 3:30 in via Raffaello, nel quartiere San Polo, a Brescia. L’uomo dopo un litigio avuto in strada con l’ex compagna ha estratto una pistola,una calibro 92 detenuta illegalmente, ed ha sparato, uccidendo la donna e il suo nuovo compagno. Poi si è recato nell’abitazione dell’ex moglie, dove ha trovato la figlia ventenne della donna, che la vittima aveva avuto da una precedente relazione, ed un amico della giovane, pure lui ventenne. La ragazza, che viveva in Calabria, era ospite da una decina di giorni in casa della madre ed Albanese non ha risparmiato nemmeno lei: ha impugnato di nuovo l’arma ed ha sparato ancora freddando anche il ragazzo. Unici superstiti della strage le tre figlie di dieci, sette e cinque anni avuti dall’uomo con l’ex coniuge. L’uomo dopo gli omicidi è stato fermato da un carabiniere del Nucleo radiomobile di Brescia, residente a pochi metri di distanza dal luogo dei delitti. L’appuntato scelto è entrato in azione da solo, mentre l’omicida stava tentando la fuga. Sceso in strada, dopo aver sentito urla e colpi di pistola, il militare ha inseguito Albanese. Questi, prima di essere bloccato dal carabiniere, ha tentato di togliersi la vita senza riuscirci a causa dell’inceppamento dell’arma. Ad intervenire per competenza territoriale, insieme ai Carabinieri, anche la Squadra mobile della Questura di Brescia. Ancora ignote le ragioni del gesto, anche se la gelosia sembra l’ipotesi più probabile. La coppia si era separata da meno di due anni e, da quanto raccontano i vicini di casa, l’uomo, originario di Modugno, in provincia di Bari, che di lavoro faceva il camionista, non aveva mai accettato la fine della relazione. Il pm Antonio Chiappani ha disposto che vengano anche effettuati i test tossicologici sull’omicida accusato di omicidio plurimo aggravato.

34. FRANCESCA ALLERUZZO, 4 MARZO, 44 ANNI, BRESCIA (vedi Matalone)

35. ESMERALDA HILSA ROMERO ENCALADA, 5 MARZO, 49 ANNI, PIACENZA. CORSERA.

Quello che è quasi con ogni certezza l’assassino di Esmeralda Hilsa Romero Encalada, la donna di origini ecuadoriane, 49 anni, uccisa in strada a Piacenza, si è suicidato. L’uomo, di cui si stanno accertando le generalità, si è sparato alla testa con quella che sembra essere la stessa pistola del delitto in una cantina di Via delle Teresiane. L’uomo ha ucciso a colpi di pistola. Una vera e propria esecuzione, secondo le forze dell’ordine, che indagano nella sfera privata della donna. L’omicida ha colpito la donna con un colpo di pistola alle spalle. Una volta a terra, la vittima – che lavorava come donna delle pulizie – è stata poi raggiunta da altri sei o sette proiettili sparati da una pistola calibro nove.

36. MARIA STRAFILE, 14 MARZO, 65 ANNI, BARLETTA Sono state uccise durante un violento litigio. Soffocate, probabilmente con un cuscino. I cadaveri di due donne, Maria Diviccaro, di 62 anni e Maria Strafile, di 65, sono stati trovati in un appartamento del centro di Barletta, al primo dei due piani di una palazzina in via Brescia, al civico 2. A dare l’allarme ai carabinieri sono stati, alcuni vicini di casa, allarmati per le grida sentite poco prima provenire dall’abitazione. Sul corpo di una delle due vittime, quello di Maria Strafile che era la badante di Maria Diviccaro, ci sono alcune ferite che potrebbero essere state provocate nel corso dell’estremo tentativo di difesa della 65enne, durante una colluttazione. La donna andava in casa di Maria Diviccaro ogni giorno, dalle 8 alle 12: quando i cadaveri sono stati ritrovati la badante indossava il cappotto. Il duplice omicidio, quindi, sarebbe avvenuto nella tarda mattinata. Intorno alle 9, tra l’altro, il figlio di Maria Strafile avrebbe sentito la madre per telefono, poi l’avrebbe chiamata nuovamente intorno alle 13, ma il

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telefono della donna ha squillato invano. Intorno alle 15.30 è stato dato l’allarme, e i corpi sono stati ritrovati mezz’ora dopo. Sul posto sono intervenuti gli operatori del 118 che non hanno potuto far altro che constatare il decesso e i carabinieri.Gli investigatori in serata hanno ascoltato il fratello di Maria Diviccaro, Michele, con il quale pare che la donna litigasse ogni giorno per questioni di soldi. Interessi, sembra, legati ad appartamenti e terreni di cui i due fratelli erano proprietari. A quanto si è saputo, la camera da letto dell’appartamento (l’area circostante alla palazzina è stata transennata ed è stato vietato l’accesso) è stata messa completamente sottosopra: forse l’assassino – che avrebbe agito d’impeto – ha voluto depistare gli investigatori simulando una rapina. Sicuramente le due vittime conoscevano chi le ha uccise. Non ci sono infatti sulla porta dell’abitazione segni di forzature. Sul posto, oltre agli investigatori e agli esperti della scientifica, sono giunti il sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Trani, Luigì Scimè, e il pm di turno della procura di Trani, Mirella Conticelli.

37. MARIA DIVICCARO, 14 MARZO, 62 ANNI, BARLETTA (vedi Strafile).

38. CONCETTA MILONE, 19 MARZO, 77 ANNI, MESAGNE, (BR). CORSERA Era convinto che la moglie fosse posseduta dal diavolo, e per questo l’ha uccisa. Antonio Fina, un pensionato di 75 anni, ex dipendente dell’Asl, ha imbracciato il suo fucile da caccia ed ha sparato contro sua moglie, Concetta Milone, di 77 anni, uccidendola. È accaduto a Mesagne, in una villetta bianca di campagna, circondata dal verde. La notizia è pubblicata da alcuni quotidiani locali. L’omicidio è avvenuto ieri mattina, attorno alle 8, ma solo nella tarda serata di ieri è stato scoperto da una parente della coppia, una cugina. La donna è entrata in casa e ha trovato l’uomo in camera da letto, ancora in evidente stato confusionale, che vegliava il corpo della moglie. È stata lei a telefonare ai carabinieri che sono intervenuti sul posto assieme agli agenti del commissariato di Mesagne ed al sostituto procuratore Antonio Costantini. Nella villetta gli inquirenti hanno trovato anche un foglio su cui l’uomo, che ha poi ammesso le sue responsabilità, aveva scritto che la moglie era posseduta dal demonio e che spesso era anche violenta. Oltre all’ arma usata per l’omicidio, l’uomo aveva in casa un altro fucile detenuto legalmente.

39. RITA PULLARA, 19 MARZO, 64 ANNI, CASELLE (TO). CORSERA È stata strangolata con un cavo elettrico prima di essere soffocata Rita Pullara, la donna di 64 anni uccisa oggi a Caselle Torinese dal marito Giuseppe Baudo, 68 anni, che poi si è costituito ai carabinieri. L’interrogatorio dell’uomo è finito poco fa. Ora si dovrà accertare se la donna era già morta quando il marito l’ha soffocata. L’omicidio è maturato dopo l’ennesimo litigio sulla vendita di una casa e su come dividerne il ricavato. Baudo, secondo quanto ha raccontato agli inquirenti, era contrario a dare i soldi al figlio, perché secondo lui non li meritava, mentre la moglie non la pensava così.

40. ANNA MARIA PINTO, 23 MARZO, 52 ANNI, LADISPOLI (RM). CORSERA Ha sparato un colpo di pistola alla testa della moglie. L’episodio avvenuto a Ladispoli. Alla base della violenza ci sarebbero continue liti e discussioni Le ha sparato alla testa, mentre lei dormiva nel loro letto. Un uomo di 72 anni ha ucciso così la moglie, con un colpo di pistola. L’episodio è avvenuto questa mattina a Ladispoli, vicino Roma. La motivazione del gesto sarebbe legata alle continue liti che il pensionato aveva con la consorte, con la quale conviveva. Dopo qualche ora dall’omicidio l’uomo, che aveva un regolare porto d’armi, si è costituito ai carabinieri di Cerveteri, è stato arrestato e si trova ora nel carcere di Civitavecchia.

41. HANE GJELAJ, 25 MARZO, 47 ANNI, NOALE (VE). CORSERA L’ha rincorsa in bici fino a che è riuscito a raggiungerla. Lei stava scappando sulla sua bicicletta nera da donna. Poi, così almeno pare dalla ricostruzione della scena del delitto, lei è caduta, ma ha cercato di correre via da quel marito impazzito. Lui le ha fatto fare solo una quindicina di metri, poi quando l’ha raggiunta ha tirato fuori il coltello e l’ha uccisa, così, in strada, davanti ad alcune persone inorridite dalla scena. Lei è rimasta lì a terra, in un lago di sangue, mentre arrivavano i carabinieri, l’ambulanza e mentre quel piazzale deserto si riempiva di gente uscita dai vicini locali, dalle case. Qualcuno nell’attesa che arrivassero le forze dell’ordine ha portato un lenzuolo bianco per coprirla. Il movente è ancora un mistero. Forse un raptus di gelosia, forse dissidi precedenti, su cui ora dovranno indagare i carabinieri del Nucleo investigativo di Venezia. L’unica cosa certa è che lunedì sera, poco prima delle 21.30, Hane Gjelaj una donna di origini albanesi di 47 anni è stata ammazzata dal marito, Pashko Gjelaj di 54, in via Moniego Centro a Noale, nel piazzale davanti a un’agenzia immobiliare. L’uomo ha tentato di scappare a bordo della sua bicicletta, ma è stato fermato dai militari in via Ongari, la strada che da via Moniego porta verso i campi sportivi, mentre stava scappando in bici. È accusato di omicidio volontario dal pm lagunare di turno Giovanni Zorzi, che si è subito portato sul posto. Nella notte i carabinieri hanno sentito a lungo alcuni testimoni oculari per essere sicuri della ricostruzione dei fatti. Non solo un colpo. Le ferite, profonde, sarebbero più di una,

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ma i soccorritori del Suem 118 hanno trovato il corpo ricoperto di sangue, tanto da rendere difficile contare quante fossero. Il coltello è stato trovato dai carabinieri vicino al corpo della vittima, che è stato lasciato per terra dal marito dietro una Smart bianca. Una zona buia, tanto che è stato necessario anche chiamare i vigili del fuoco perché arrivassero con un mezzo in grado di illuminare l’area. La donna, Alexandra, che ha tre figli, lavorava alla casa di riposo Santa Maria dei Battuti e viveva all’incrocio con via Spagnolo. Un’amica arrivata sul posto ha raccontato che l’uomo era gelosissimo e che la moglie raccontava che lui la picchiava spesso. L’allarme era stato dato da alcune persone che hanno telefonato al 112 dopo aver sentito delle urla provenire dalla strada e dopo aver visto successivamente la donna riversa a terra. Lì vicino, a pochi metri di distanza, ci sono un bar e un ristorante, da cui sono uscite decine di persone, oltre che dalle case vicine. La tranquillità di quella zona di villette e piccole palazzine è stata dunque squarciata dalle grida della morte. La frazione di Moniego è attraversata dall’omonima via, che si collega poi alla più trafficata Noalese. A un centinaio di metri dal luogo del delitto c’è la chiesa del paese. Una piccola frazione come ce ne sono tante in tutto il Veneto, che ieri si è trasformata nel teatro di un uxoricidio terribile.

42. CARMELA IMUNDI, 26 MARZO, 52 ANNI, PRATA SANNITA, (CE). CORSERA Tragedia familiare a Prata Sannita, tranquillo paesino del Casertano alle pendici del Matese. Un’ex guardia giurata di 58 anni, Franco Ferruccio, in preda a un raptus di follia dopo un litigio ha ucciso la moglie Carmela Imundi, 52 anni, impiegata all’Istituto d’Arte di Isernia, sparandole un colpo all’addome con un Beretta calibro 7.65. La donna, gravemente ferita, è stata condotta all’ospedale di Piedimonte Matese dove i medici ne hanno constatato il decesso. L’episodio è avvenuta in una villetta in aperta campagna, in una località denominata ‘”Fragneto”. L’uomo, come hanno ricostruito le autorità inquirenti, dopo aver fatto fuoco due volte, ha nascosto la pistola sotto il materasso nella camera da letto; quindi, ha chiamato l’ambulanza e le due figlie – entrambe vivono in comuni limitrofi – una delle quali è giunta sul posto con il marito. I carabinieri della stazione di Prata Sannita, informati dal 118, sono arrivati poco dopo e hanno proceduto al fermo dell’uomo in evidente stato confusionale conducendolo al comando della compagnia di Piedimonte, dove intanto era giunto anche il magistrato di turno della procura di Santa Maria Capua Vetere Giuliana Giuliano. Nel corso di un sopralluogo i militari hanno rinvenuto l’arma utilizzata; a quel punto, l’uomo, messo alle strette dal pm e dal capitano dei carabinieri Salvatore Vitiello, ha ammesso di aver sparato, aggiungendo che la sua prima intenzione era quella di suicidarsi. «Non ce l’ho fatta a puntare l’arma verso di me – avrebbe detto – così l’ho diretta versa mia moglie». L’uomo, licenziato alcuni anni fa dall’azienda di Venafro in cui svolgeva il servizio di vigilante, di proprietà della famiglia Ragosta – coinvolta di recente in un’inchiesta della Dda di Napoli relativa al clan vesuviano dei Fabbrocino – ha raccontato delle frequenti liti determinate da reciproche accuse di infedeltà che lo avevano portato a separarsi dalla moglie per tornare poi a vivere insieme da qualche mese, dopo il matrimonio di una delle figlie. Il weekend appena trascorso aveva accentuato lo stress e la tensione tra i due: entrambi erano infatti molto amici della famiglia del poliziotto della Questura di Isernia Giuseppe Iacovone, originario di Capriati al Volturno e deceduto venerdì scorso a bordo della sua auto di servizio durante un inseguimento sulla statale 85 (tra Venafro e Isernia) di un suv che non si era fermato a un posto di blocco. In particolare, la donna era collega della madre dell’agente. Una delle figlie ha raccontato ai carabinieri dello stress accumulato dai genitori in questi due giorni, della veglia presso la casa dei familiari dell’agente. Nessuno ha voglia di parlare al Liceo Artistico di Isernia dove Carmela Imundi, per tutti Carmelina, lavorava da anni con la mansione di applicata di segreteria: la sua postazione nell’ufficio al pianoterra dell’edificio scolastico è rimasta vuota, solo un raggio di sole ha illuminato per ore un pacchetto di cracker che lei aveva lasciato sabato scorso vicino alla tastiera del computer per mangiarlo dopo il caffè, come faceva di solito. La tragica notizia a scuola è arrivata pochi minuti prima delle otto. «Carmelina non verrà, Carmelina è stata uccisa. È stata ammazzata dal marito nella loro casa a Prata Sannita (Caserta)» ha riferito al centralino del Liceo un’amica di famiglia della donna. Incredulità, poi rabbia e infine lacrime. Un dolore che si aggiunge a quello provato già venerdì scorso per la morte del poliziotto Giuseppe Iacovone di Capriati a Volturno (Caserta) che era il figlio di una collaboratrice scolastica della scuola, la signora Gilda alla quale Carmelina aveva dato tutto il suo sostegno: viaggiavano insieme ogni giorno per raggiungere il posto di lavoro e tra le due si era instaurata una forte amicizia. L’ultima volta che i colleghi della scuola hanno visto Carmelina è stato lunedì, durante i funerali del giovane poliziotto; la donna era con il marito

43. ANONIMA, 27 MARZO, CIRCA 20 ANNI, MAGRETA DI FORMIGINE (MO) ANSA È cinese la giovane donna uccisa e sfigurata con l’acido trovata martedi’ mattina sul ciglio di una strada a Magreta di Formigine, nel Modenese. Lo si apprende da fonti investigative. La vittima, di circa 20 anni, abitava a Modena; la sua identita’ è stata stabilita a partire dai rilievi del Ris dei carabinieri di Parma, nonostante anche sui polpastrelli della donna fosse stata versata la sostanza corrosiva. Le indagini condotte dal pm di Modena Maria

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Angela Sighicelli si concentrano ora sull’ambiente della prostituzione. L’inchiesta ipotizza l’omicidio volontario della donna.

44. ALFINA GRANDE, 28 MARZO, 44 ANNI, TORINO. CORSERA Getta la moglie dal balcone e si mette a guardare la tv. Un uomo è stato arrestato dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Torino per aver ucciso la moglie. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo, Gilberto Morelli, 50 anni, con problemi di alcolismo, avrebbe spinto la notte scorsa la moglie dal balcone dopo un litigio. La donna, Alfina Grande di 44 anni, è caduta dal secondo piano ed è morta. Quando gli agenti sono arrivati, l’uomo stava guardando la televisione e ha detto di non essersi accorto di nulla, ma fin da subito il suo racconto non ha convinto la polizia per alcuni motivi: in casa c’erano evidenti segni di colluttazione, come le tende strappate, proprio in corrispondenza della finestra da cui l’ex moglie è precipitata. La polizia è stata chiamata dai vicini che hanno visto la donna cadere e da altri che l’hanno vista a terra dopo essere precipitata dalla finestra, nell’appartamento in zona Mirafiori. Sempre i vicini di casa hanno parlato di un litigio fortissimo, che l’uomo ha negato. L’ex moglie lo aveva già denunciato per violenze e Morelli era stato allontanato da casa per 8 mesi col divieto di avvicinarsi, ma pare che da un anno la donna lo avesse riaccettato e vivessero insieme, nonostante continui litigi. Entrambi disoccupati, la donna percepiva un sussidio. Aveva due figli, avuti da un altro matrimonio.

45. CAMILLA AUCIELLO, 2 APRILE, 35 ANNI, BARICELLA (BO). CORSERA «Lo sai che ho due papà?»: frase innocente, detta da una bimba di due anni, ma l’effetto è stato devastante per chi l’ha ascoltata, ovvero il padre a pieno titolo, Claudio Bertazzoli, 45 anni, appuntato dei carabinieri originario di Riolo Terme e residente a Baricella in provincia di Bologna. Era venerdì sera. La piccola era da poco rientrata assieme alla madre, Camilla Auciello, di 35 anni, lui aveva da poco terminato di sistemare il lettuccio della figlioletta e per questo aveva lasciato lì a portata di mano un martello. Quella frase è rimbombata dentro al cervello di Bertazzoli per tutta la notte e al mattino è scattata la folle azione omicida. Il carabiniere ha afferrato un paio di forbici e le ha affondate ripetutamente sul petto della donna, poi ha preso il martello e le ha sfigurato il volto e la testa. «Nooo, non è possibile. Sono stato proprio un animale a ridurla così» ha urlato quando il pm Cristina D’Aniello gli ha mostrato una foto in bianco e nero del volto sfigurato della moglie. «Non voglio vederne altre, non voglio vederle a colori». La mente di Bertazzoli ha rimosso il momento del passaggio all’azione. «Non ricordo più nulla» ha ripetutamente risposto alle domande del pubblico ministero che a palazzo di giustizia di Ravenna insisteva nel tentativo di ricostruire la condotta omicida. «No, è inutile, non ricordo neppure se Camilla si sia difesa». Dalla posizione del cadavere, nella camera da letto, e da lesioni alle braccia è infatti altamente probabile che la compagna abbia accennato un minimo di reazione alle prime sforbiciate. Quando sabato pomeriggio è comparso davanti al pm D’Aniello assistito dal difensore d’ufficio Sandra Vannucci, l’appuntato dei carabinieri è apparso estremamente calmo. Ha parlato a ruota libera, ha raccontato della storia con Camilla iniziata quattro anni prima (i due non erano sposati), della nascita della bimba, poi ha parlato dei problemi sorti, della volontà di lei di interrompere la relazione. Al pm, Bertazzoli ha detto che non sapeva che la compagna avesse una relazione con un altro uomo. Quell’uomo cioè cui si riferiva la bimba quando venerdì sera parlò di «due papà»: al pomeriggio sembra che la donna avesse infatti incontrato l’amico in compagnia della figlioletta. Ha parlato a lungo, Bertazzoli, ma nulla ha detto sulle modalità dell’omicidio: «So solo che l’ho uccisa, non volevo che se ne andasse». Ciò che il pm sapeva e in base a cui ha formulato domande all’indagato, emergeva dalle annotazioni fatte dal personale del Commissariato di Faenza cui Bertazzoli sabato mattina si è presentato per costituirsi e al quale ha raccontato molti particolari e anche dalle testimonianze della sorella Marina e del cognato cui, prima di costuituirsi, aveva affidato la figlioletta, a Riolo Terme, e ai quali pure aveva raccontato nei particolari quanto aveva da poco combinato, nella sua casa a Baricella. Poi, una volta consegnatosi alla polizia, la luce nella sua mente si è spenta, ha cancellato i colpi assassini, il sangue. «Ricordo che ho fatto la doccia e ho preparato i vestititini per la bimba». Concluso l’interrogatorio Claudio Bertazzoli è stato trasferito, su sua richiesta, al carcere militare di Santa Maria Capua a Vetere. Oggi nella tarda mattinata l’appuntato dei carabinieri tornerà a palazzo di giustizia di Ravenna per l’interrogatorio di convalida dell’arresto davanti al gip Monica Galassi. Poi tutti gli atti saranno trasmessi dalla Procura ravennate a quella di Bologna competente per territorio. Ed è molto probabile che per l’uomo venga chiesta una perizia psichiatrica.

46. SILVANA RUSTIA, 7 APRILE, 72 ANNI, CIRÒ MARINA (KR), E-IL MENSILE Ha sparato un colpo di pistola alla moglie nella loro camera da letto e poi si è tolto la vita sparandosi in un’altra stanza. Franco Fioretti, 71 anni, e Silvana Rustia, 72, erano insieme da decenni. Originari di Roma, erano emigrati, giovanissimi, in Australia dove vivono ancora i loro familiari. Poi cinque anni fa la decisione di ritornare in Italia. Amici e conoscenti non sanno spiegare le ragioni del gesto.

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47. GIANNA TONI, 12 APRILE, 50 ANNI, CALENZANO (FI). CORSERA Firenze, 13 aprile 2012 – Un litigio devastante. Definitivo stavolta. E poi gli spari, tre, in piena notte, tra l’1 e l’1,30; due alla donna, sua convivente da molti anni, raggiunta all’addome e alla testa, il terzo rivolgendo la pistola contro se stesso, col proiettile che rimbalza sul cranio e schizzando via ferisce di striscio la figlia 16enne della coppia, la secondogenita dopo una ragazza di 20 e la più piccola, appena 7. Scenario di un dramma sfociato in tragedia con la morte della donna nonostante il disperato prodigarsi dei medici, una bella villa di Calenzano, frazione Carraia, zona residenziale. Conviventi, Mario Bartoli, 54 anni, e Gianna Toni, 50, sono stati ricoverati lui a neurochirurgia, lei al Dea, entrambi in prognosi riservata. Ma già nella tarda mattinata le esili speranze di sopravvivenza per Gianna sono tramontate fino all’avvio del procedimento per l’accertamento di morte cerebrale. Resta appesa ad un filo la vita di Bartoli, geometra, titolare sempre a Calenzano di un avviato studio professionale, e iscritto all’elenco dei periti del Tribunale di Prato. Ha un grosso ematoma cerebrale causato dall’impatto della pallottola e dallo sparo, una volta riassorbito bisognerà stabilire l’entità delle lesioni. Fuori pericolo la figlia sedicenne, trattenuta in osservazione anche per lo choc. Illese le altre due figlie della coppia. La più grande sembra fosse col fidanzato a portar fuori il cane. La più piccola dormiva. Sono state le figlie più grandi, la ventenne appena rientrata a casa e la sedicenne ferita e choccata a chiedere aiuto. Quando arrivano i soccorritori del 118 si trovano di fronte ad una scena raccapricciante. Cercano di stabilizzare le condizioni dei due feriti, offrono un primo supporto psicologico alla figlia ferita e alla sorellina. Sangue, una pistola a terra, la telefonata al 113. La dinamica dei fatti — un tentato omicidio-suicidio su cui indagano i carabinieri di Signa coordinati dal sostituto procuratore a Prato, Rita Pieri — risulta evidente. E a confermare l’incubo, c’è lo sguardo atterrito della figlia 16enne, testimone diretta di un amore finito, di una separazione forse imminente. Preannunciata dalla nuova ‘residenza’ di lui: una dependance vicina alla villa. Quanto alla pistola, una calibro 9 «Beretta»: Bartoli è in regola, la tiene per difesa. Come alcuni fucili per andare a caccia. «Ennesima discussione di un rapporto di coppia deteriorato», scrivono i carabinieri. Meno evidente semmai il fattore scatenante dei disaccordi. Potrà in parte spiegarlo, forse, la figlia accorsa a tentare di dividerli. Non problemi economici o di lavoro, ma sentimentali. Gianna Toni aveva ricominciato a lavorare: contabile anche per lo studio aperto da Bartoli, anche se lei in ufficio la vedevano di rado. Increduli e sconvolti i colleghi e amici dell’uomo: il geometra Davide Guerrera, 30 anni, braccio destro di Bartoli e l’avvocato civilista Luca Magherini, 39, che a sua volta divide con Bartoli la sede. Nessuno li aveva avvertiti. Bartoli non è arrivato e loro hanno saputo da una telefonata.

48. CONCETTA PARACOLLI, 15 APRILE, 88 ANNI, NAPOLI. E-IL MENSILE Antonio Russo, 73 anni, ha preso a pugni l’anziana donna che accudiva, Concetta Paracolli, 88 anni, e poi l’ha accompagnata in ospedale dicendo ai medici che le lesioni erano state provocate da una caduta accidentale. Concetta, che presentava anche segni di un tentato strangolamento, è morta due giorni dopo per le gravi ferite riportate. A scatenare la furia di Antonio motivi economici. I Carabinieri lo hanno arrestato il 12 Aprile.

49. GIACOMINA ZANCHETTA, 19 APRILE, 67 ANNI, VITTORIO VENETO (VE). CORSERA

La tavola apparecchiata come sempre, le pentole sul fuoco con la cena pronta e a terra, in un lago di sangue, i corpi straziati di Giacomina Zanchetta, casalinga di 67 anni, e del marito Raffaello Salvador, 72enne sottufficiale dell’Aeronautica in pensione. Ad uccidere la donna giovedì sera, con un colpo di fucile all’addome, è stato proprio il marito, che poi ha preso una doppietta, se l’è puntata sotto il mento e ha fatto fuoco. A scoprire i cadaveri il fratello 70enne della donna, che venerdì mattina, preoccupato perché non sentiva la sorella e il cognato, si è presentato a casa loro. All’origine dell’omicidio-suicidio forse la gelosia ossessiva di Salvador per la moglie con la quale, pare, i litigi fossero ormai molto frequenti. Sembra che l’uomo non sopportasse nemmeno di vederla salutare i vicini o gli amici della parrocchia, che lei frequentava perchè cantava nel coro. Interesse a lui inviso, perchè motivo delle uscite della donna. Il dramma nella bifamiliare si è consumato in pochi minuti, alla fine di una giornata normale, mentre nessuno dei vicini si accorgeva di nulla. Giacomina e Raffaello sono stati visti per l’ultima volta intorno alle 19.30. Poi la coppia è entrata in casa e ha chiuso le imposte, come faceva ogni sera all’ora di cena. La tavola era già apparecchiata e la 67enne stava armeggiando in cucina con le pietanze, quando è scattata la furia omicida del marito. Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, l’uomo ha preso i due fucili da caccia che aveva ereditato dal padre, un monocanna e una doppietta, li ha caricati ed è tornato in cucina. Con il primo ha sparato a bruciapelo contro la moglie, colpendola all’addome. La donna è stramazzata a terra, a pancia in giù in un lago di sangue. Poi l’uomo ha preso la doppietta, se l’è puntata sotto il mento e ha fatto fuoco, accasciandosi accanto al muro. Tutto intorno il sangue e i resti del suo volto, dilaniato al punto da far inizialmente pensare che i colpi esplosi fossero stati tre e da rendere difficile il riconoscimento del corpo. Poi nella villetta è sceso il silenzio, interrotto solo dal fringuello di casa, che continuava a cinguettare. A stabilire l’ora esatta della

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morte e quanti colpi sono stati sparati sarà il medico legale Massimo Manglaviti, durante l’autopsia che verrà disposta dal pm Barbara Sabattini. A fare la tragica scoperta il fratello della donna, Claudio, che ogni giorno andava a trovare la coppia. «Quando ieri, a mezzogiorno, ho visto che era ancora tutto chiuso e nessuno rispondeva ho pensato che fosse successo qualcosa di grave — racconta —. Temevo si fossero sentiti male e sono entrato rompendo una finestra ». Così si è trovato davanti i corpi straziati della sorella e del cognato: «Una scena che non dimenticherò mai». Pochi i dubbi sul fatto che si sia trattato di un omicidio-suicidio. «Al momento non ci sono elementi che indichino la presenza sul luogo di terze persone — spiega il comandante provinciale dell’Arma, Gianfranco Lusito —. L’autopsia e l’accertamento balistico sui fucili chiariranno la dinamica dell’accaduto ». Quel che è certo per ora è che Salvador è stato colto da raptus, probabilmente al culmine di un litigio. Pare infatti che la coppia, descritta da tutti come unita e affiatata, nell’ultimo periodo si lasciasse spesso andare a violente litigate a causa della gelosia del marito. Una gelosia quasi patologica e forse immotivata, quella che l’ex maresciallo provava per la moglie. Erano sposati da 45 anni e avevano due figli, Sabrina che vive a Faenza e Giovanni. Ad aggravare il suo disagio le condizioni di salute dell’uomo, che aveva subìto un intervento alla cataratta e doveva farne un altro. «A me sembrava una coppia normale, che andava d’accordo — dice Claudio Zanchetta — ultimamente però, lui era cambiato, era preoccupato, aveva paura di stare male».

50. TIZIANA OLIVIERI, 20 APRILE, 40 ANNI, RUBIENA (RE). CORSERA. REPUBBLICA Ivan Forte, 26 anni, compagno di Tiziana Olivieri, è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di omicidio volontario aggravato e distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere in relazione alla morte della convivente 40enne avvenuta durante un incendio sprigionatosi nella loro casa di Fontana di Rubiera, ieri mattina, intorno alle 3,30. L’uomo è stato arrestato questa notte e portato in carcere dopo un lungo interrogatorio e in seguito all’attività di indagine dei carabinieri di Reggio Emilia e Rubiera. Ora si trova a disposizione del sostituto procuratore Valentina Salvi che sta conducendo le indagini e ha disposto il fermo dell’uomo. Il magistrato ha detto oggi che Forte ha reso una piena confessione ieri in tarda serata e ha esposto una versione di quanto accaduto che trova conferma dal punto di vista investigativo, sia per quel che riguarda il sopralluogo dei vigili del fuoco, che per gli accertamenti svolti nell’immediatezza dagli inquirenti e, infine, per quel che riguarda le caratteristiche del corpo della donna. Forte avrebbe strangolato la compagna, ma non con le mani secondo quanto hanno appurato gli inquirenti. Il corpo della donna è stato trovato ai piedi del letto. Poi le fiamme (e da qui l’accusa di distruzione di cadavere mossa all’uomo, ndr). La Salvi ha anche confermato che i due avevano litigato il giorno prima anche se non ha voluto specificare il motivo del diverbio. L’autopsia sulla salma si terrà lunedì prossimo alle 14,30 a Modena e sempre lunedì dovrebbe tenersi l’udienza di convalida dell’arresto. Troverebbero quindi conferma i sospetti della madre della vittima, Rosella Carlini, 66 anni, che ieri ha detto ai cronisti: “È impossibile che lei sia morta e lui non si sia fatto niente. Ha avuto il tempo di portare in salvo il bambino, di mettersi in salvo lui, di fare tutto, ma non di soccorrere lei. Lui l’ha lasciata dentro a morire. Vedeva che c’era l’incendio, poteva prenderla per un braccio…”. La donna avrebbe anche detto ai carabinieri che il giorno prima tra i due conviventi c’era stata una discussione piuttosto accesa. Pare che i due non dormissero nemmeno insieme, lei in camera, lui in sala. Il compagno di Tiziana Olivieri ieri era stato sentito per ore dai carabinieri e alle 20 di ieri sera era ancora in caserma. Durante la notte la decisione di arrestarlo e portarlo in carcere. Parziali ammissioni dell’uomo e riscontri investigativi importanti, hanno portato il sostituto procuratore a prendere questa decisione. Decisiva, per le indagini, sarà anche l’autopsia sulla salma di Tiziana Olivieri che sarà eseguita lunedì all’istituto di medicina legale di Modena. Da questo esame sarà possibile capire in modo preciso quali sono state le cause della morte della donna. A una prima ispezione cadaverica, si è potuto constatare che la morte sarebbe avvenuta per soffocamento. Tiziana Olivieri, 40 anni, era operaia turnista all’azienda Arag di Rubiera. Da due anni aveva cominciato a convivere con Ivan Forte, 26 anni, autotrasportatore originario di Castrovillari, in provincia di Cosenza, che prima di trasferirsi a Rubiera viveva nel Bolognese. Da undici mesi, con la nascita del piccolo Nicolò, la famiglia si era allargata. La vittima era molto conosciuta perché, prima di lavorare all’Arag, in passato per guadagnare qualche soldo aveva lavorato come cameriera al ristorante La Corte di Rubiera.

51. VANESSA SCIALFA, 24 APRILE, 20 ANNI, ENNA. CORSERA. REPUBBLICA È stata uccisa al termine di una lite scoppiata per motivi passionali Vanessa Scialfa, la ragazza di 20 anni di Enna, trovata morta ieri sotto un cavalcavia. La giovane nel primo pomeriggio del 24 aprile al termine di una lite col fidanzato Francesco Lo Presti, 34 anni con cui conviveva, stava raccogliendo le sue cose per andarsene da casa quando l’uomo è stato colto da un raptus e l’ha uccisa. Lo Presti, che ieri sera dopo ore di interrogatorio è crollato e ha confessato il delitto, è stato sottoposto a fermo di polizia. Secondo quanto raccontato agli investigatori dall’uomo, mentre la giovane stava raccogliendo gli indumenti per lasciare la casa al termine della lite, Lo Presti, che aveva poco prima assunto cocaina, colto da un raptus, ha preso i cavi di connessione del lettore dvd e

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sorprendendola alle spalle le ha annodato i cavi intorno al collo. Poi sollevandola di peso l’ha scaraventata sul letto. A quel punto l’uomo ha continuato a serrare il nodo, fino a ucciderla. Poi ha riposto il cadavere all’interno di un lenzuolo grigio chiaro, chiuso con dei nodi. Infine ha caricato il corpo nel bagagliaio della sua auto, si è diretto verso la statale 122, e lo ha gettato da un cavalcavia, nel luogo in cui è stato poi trovato. Disperato il padre di Vanessa, Giovanni Scialfa. ”Abbiamo litigato e lei ha voluto andare via di casa – ha raccontato a ‘Tgcom24′ – Io non ero molto favorevole ma ho a malincuore accettato la situazione, l’ho accettata per amore di mia figlia. Ho cercato di capire e speravo che andassero d’accordo, anche perché io ho alle spalle un’esperienza di divorzio. Era una ragazzina allegra, sempre sorridente, litigavamo sempre, mi faceva arrabbiare, ma poi passava tutto. È colpa mia, non ho saputo proteggerla”. La scomparsa di Vanessa era stata denunciata dai genitori il 24 aprile scorso ai carabinieri di Enna. Secondo quanto aveva raccontato lo stesso Lo Presti la ragazza si era allontanata volontariamente dall’abitazione dove i due convivevano, al termine della lite per futili motivi. Ieri mattina il padre di Lo Presti, preoccupato perché il figlio aveva manifestato l’intenzione di suicidarsi, ha chiamato invece la polizia. Ricevuta la segnalazione, gli investigatori lo hanno rintracciato nei pressi del Palazzo di Giustizia di Enna, in stato confusionale. Indotto a parlare, dopo un’estenuante opera di convincimento, il sospettato ha iniziato a fare le prime dichiarazioni. ‘Ho fatto una fesseria’, ha detto agli investigatori. Poi ha chiesto di essere condotto a Catania, in via dei Gesuiti all’altezza del civico 23, luogo in cui a suo dire si era in precedenza incontrato con Vanessa. Gli uomini della Squadra Mobile hanno tentato di calmarlo dicendo che la giovane era riuscita a fare rientro a casa e che le sue condizioni non erano preoccupanti come lui credeva. A quel punto Lo Presti è scoppiato in lacrime dicendo agli agenti che Vanessa non sarebbe più potuta tornare a casa. Avuta la certezza che la ragazza fosse stata oggetto di violenze, il personale della Mobile ha proseguito una complessa discussione con l’indagato, al fine di rassicurarlo il più possibile, per potere acquisire notizie su dove si potesse trovare la giovane. Dopo un’estenuante trattativa, Lo Presti ha ammesso di avere ucciso la convivente a seguito di un violento litigio scoppiato per motivi passionali e di avere abbandonato il cadavere lungo una scarpata adiacente la strada statale che da Enna conduce a Caltanissetta, nei pressi della miniera di Pasquasia dove effettivamente gli agenti hanno trovato il corpo della ragazza.

52. PIERINA BAUDINO, 30 APRILE, 83 ANNI, CUNEO. CORSERA Uccide la moglie che lo stava accusando di tradimento. È successo a Cuneo lunedì sera: l’uxoricida, Vittorio Ninotto, ha 76 anni e la vittima, Pierina Baudino, 83. L’omicidio si è consumato intorno alle 21, al secondo piano di un alloggio nella borgata San Paolo di Cuneo. Secondo le prime ricostruzioni i due avrebbero litigato violentemente e il marito, in uno scatto d’ ira, avrebbe stretto le mani attorno al collo della moglie, con cui viveva da oltre 25 anni, uccidendola. La discussione sarebbe nata sull’opportunità che una signora aiutasse la donna nelle pulizie di casa. L’anziana era contraria, perché temeva che la donna avesse una relazione con il marito. I toni si sono alzati finché lui non l’ha afferrata per il collo e l’ha strangolata. In un primo momento il 76enne non si è neanche reso conto di averla uccisa e ha tentato di rianimarla. Quando sono arrivati i carabinieri, allertati da una chiamata dei vicini che avevano sentito le urla, ha confessato tutto in lacrime. I due convivevano da oltre vent’anni e non avevano figli in comune. Lei aveva un figlio da una precedente relazione.

53. MATILDE BALESTRA, 2 MAGGIO, 63 ANNI, CRESCENZAGO (MI). CORSERA La malattia, le operazioni al cuore e un forte stato depressivo. Umberto Passa, sarto in pensione di 65 anni, era entrato in un tunnel da cui non è più stato in grado di uscire, se non uccidendo la moglie Matilde con più coltellate e poi togliendosi la vita con la stessa arma. L’omicidio-suicidio si è consumato nella periferia di Milano, in via Angelo Rizzoli 85. Poco dopo le tre del pomeriggio il figlio Francesco, 40 anni, telefona a casa dei genitori ma nessuno gli risponde. Si insospettisce, si preoccupa. Sa – come poi riferirà ai carabinieri – che il padre sta attraversando un “brutto periodo”. Allora prende la bicicletta e raggiunge via Rizzoli. Sale all’ottavo piano del casermone a due colori – tortora e bluette – in cui vivono i suoi genitori e tante famiglie di origine meridionale. Sale all’ottavo piano, ma nessuno gli risponde. Secondo quanto riferirà agli inquirenti, infila la chiave nella toppa della porta, le chiavi inserite dall’altra parte cadono e riesce a entrare. La scena che si trova di fronte è agghiacciante: la madre è a terra in un lago di sangue, il padre sul letto con un coltello ancora conficcato nel torace. Francesco Passa avverte subito 118 e carabinieri, consapevole però che non c’è più nulla da fare per salvare i genitori. Sul posto arrivano gli operatori del 118, che possono constatare solo il decesso dei coniugi, il capitano dei carabinieri Fabio Guglielmone, della compagnia Porta Monforte, il medico legale, gli uomini della scientifica e il magistrato di turno Marcello Tatangelo.Il figlio viene ascoltato a lungo e non sembrano esserci dubbi sulla sua ricostruzione. Anche i vicini di casa confermano che Umberto Passa era depresso, c’è chi lo aveva visto più volte parlare da solo. Litigava spesso con la moglie Matilde, ex infermiera 63enne presso Villa Turro, struttura sanitaria che fa capo al San Raffaele. La donna voleva tornare al paese di origine, Francavilla Fontana, in

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provincia di Brindisi. I due avevano già acquistato la casa nel paese in cui vive la loro figlia, già madre e ora al terzo mese di gravidanza. Umberto Passa non era convinto, però, aveva paura di allontanarsi dai medici che lo avevano operato al cuore, temeva di non trovare al Sud strutture sanitarie all’altezza dei suoi problemi. Alla fine è stato questo dissidio insanabile a condurli all’ultimo, fatale litigio. I vicini si affollano ai piedi del casermone bicolore. E ricordano Matilde, una donna bionda e bella che non dimostrava la sua età. Umberto, invece, non era più lo stesso uomo da quando aveva cominciato a soffrire di cuore, ma nessuno pensava potesse arrivare a tanto. C’è anche chi, come un settantenne lucano, confessa che in questi enormi condomini di periferia non ci si parla, non ci si conosce. E ricorda che proprio oggi l’Aler, che gestisce questi appartamenti di proprietà del Comune, ha cominciato a inviare delle lettere in cui segnala un aumento di fitto: da 312 a 1.007 euro al mese. Uno stabile sfortunato, quello del civico 85: nell’aprile dello scorso anno un uomo si è tolto la vita, impiccandosi nei locali sotterranei. Il figlio ora è lì che gioca nell’area verde antistante lo stabile, mentre a poche centinaia di metri splende la cupola dell’ospedale San Raffaele.

54. ROSA AMOROSO, 4 MAGGIO, 80 ANNI, ACI SANT'ANTONIO (CT) Ad ammazzare padre e madre sarebbe stato il figlio Luigi, 38 anni, usando un corpo contundente. Poi si è tolto la vita. I tre vivevano insieme in un appartamento al secondo piano di una palazzina alla periferia del paese abitata in gran parte da ex esponenti delle forze dell'ordine. In un edificio vicino abita l'altro figlio della coppia che ha scoperto i cadaveri. La casa dove abitava la famiglia Gagliardo è attigua ad una casa alloggio per disabili mentali. Il padre era un ex operaio di una cava di carbone in pensione, Luigi un operaio, la madre una casalinga. Il figlio che ha scoperto i tre corpi è un carabiniere in pensione. I genitori uccisi si chiamavano Antonio Gagliardo e Rosa Amoroso entrambi di 80 anni.

55. CARMELA RUSSI, 4 MAGGIO, 36 ANNI, SANTERAMO (BA) Uccisa per un appartamento ricevuto in eredità dal nonno. È stato risolto nella notte il mistero dietro l'omicidio di Carmela Russi, la 36enne di Santeramo uccisa ieri a colpi di pistola nella sua abitazione. A ritrovare il corpo era stata la madre della donna, allarmata perchè non riusciva a mettersi in contatto con lei. Secondo quanto riportato oggi da alcuni quotidiani locali, nella notte lo zio materno della vittima, Bruno Baldassarre, sul quale si era concentrati i sospetti sin dal primo momento, avrebbe confessato. Dietro l'uccisione, la contesa di dell'appartamento in cui la vittima viveva accudendo il nonno malato, e che l'anziano aveva deciso di lasciare in eredità proprio alla donna. Una scelta non condivisa dallo zio, che invece avrebbe voluto vedersi assegnare la proprietà dell'immobile. Nell'ultimo periodo, come raccontato ai carabinieri da parenti e vicini di casa, le liti tra i due si erano fatte più frequenti, e in un'occasione lo zio era anche arrivato a picchiare la nipote. Secondo le prime analisi compiute sul corpo di Carmela Russi, la donna potrebbe essere stata uccisa nel bagno dell'abitazione. Successivamente l'uomo avrebbe cercato di nascondere il corpo, avvolgendolo in un lenzuolo e spingendolo sotto il letto del nonno, dove poi è stato ritrovato. Ad uccidere la 36enne sarebbero stati almeno 6 colpi, di piccolo calibro indirizzati alle spalle, al torace e alla testa. L'assenza di bossoli fa pensare all'utilizzo di una pistola a tamburo o a un recupero degli stessi da parte dell'assassino.

56. JULISSA REYES, 5 MAGGIO, 26 ANNI, VICENZA. CORSERA Dallo stalking all’omicidio. Un’altra tragedia annunciata si aggiunge alla lugubre lista di donne uccise da uomini possessivi e violenti. Julissa Dilia Reyes Feliciano, una giovane ballerina di lap-dance di origine domenicana, è stata uccisa da Jesus Maria Paredes, un suo connazionale pregiudicato e senza fissa dimora. L’uomo, che in passato era stato suo compagno, non si rassegnava alla fine della loro storia e per questo, da diversi mesi, perseguitava la sua ex. La donna aveva denunciato il suo aguzzino ben sei volte per stalking, ma ciò non è bastato a frenare la sua furia omicida. Dinamica del delitto. Julissa viveva a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, con la madre e la figlia di appena due anni. I carabinieri stanno cercando di ricostruire la dinamica del delitto. Sembrerebbe che Jesus, intorno alle 5 di mattina, stesse aspettando Julissa all’uscita di uno dei night club in cui lavorava. Da qui i due si sarebbero diretti in un hotel a due stelle, sito in via via Borgo Casale, una zona già nota per altri gravi fatti di cronaca nera. Il delitto è avvenuto tra le 9 e le 10 di mattina, molto probabilmente in seguito a un ennesimo, furioso litigio degenerato nell’uccisione della donna, alla quale sono stati inferte circa dieci coltellate. L'assassino ha lasciato a terra Julissa, in una pozza di sangue e, subito dopo, ha telefonato alla madre della giovane vittima dicendole di aver ucciso la figlia. La donna, disperata, ha immediatamente dato l’allarme nell’estremo tentativo di poter ancora salvare la figlia ma, ormai, era troppo tardi. Non troppo tardi però, per scovare l’omicida che è stato rintracciato risalendo al numero di cellulare dal quale aveva telefonato per annunciare il suo folle gesto.

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57. GIOVANNA SFOGLIETTA, 6 MAGGIO, 82 ANNI, PEGLI (GE). CORSERA Alfredo Trucco, classe 1928, ha riaperto dopo tanti anni il cassetto nel quale teneva la sua vecchia pistola. Si è avvicinato alla compagna di una vita, sua moglie Giovanna — 82 anni e da tempo costretta a vivere a letto per una grave malattia — ha premuto il grilletto e l’ha vista morire. Chissà per quanto tempo l’ha guardata prima di usare la stessa arma contro se stesso. Li ha trovati vicini, lunedì mattina nella loro camera, la badante che li aiutava da mesi. Erano l’uno accanto all’altra. Sul tavolo un biglietto per il figlio. Solo poche parole: «Scusa per quello che ho fatto».

58. ALESSANDRA CUBEDDU, 7 MAGGIO, 36 ANNI, VILLARICCA (NA). CORSERA Le ha preso la testa e l’ha sbattuta ripetutamente sul pavimento. Così è stata uccisa una donna di 36 anni, Alessandra Cubeddo, nella sua abitazione di Villaricca, in provincia di Napoli. Ad ucciderla sarebbe stato il compagno, Michele Perrotta, un ex poliziotto in pensione di 59 anni originario di Marano di Napoli. L’uomo, che avrebbe perso il controllo dopo un litigio, è stato fermato dalle forze dell’ordine ed è stato interrogato dagli agenti del Commissariato di Giugliano in Campania. Quando sul posto sono arrivati i soccorritori, Perrotta era visibilmente scosso. Il litigio sarebbe avvenuto nella camera da letto e secondo una prima ricostruzione egli stesso, resosi conto dell’assurdità del gesto, avrebbe tentato di rianimare la compagna. L’uomo, così come faceva ogni mattina, aveva accompagnato la loro bimba di 6 anni alla vicina scuola elementare. Al rientro la compagna era in casa e tra i due sarebbe sorto un diverbio per motivi banali. Dalle parole ai fatti il passo è stato breve. Quando Perrotta si è reso conto di avere commesso un gesto inconsulto ha cercato di rianimare la compagna e poi ha chiamato i soccorsi, ma per la donna non c’era più nulla da fare. Quando si sono recati in via Leonardo da Vinci gli agenti hanno trovato la donna a terra senza vita, riversa in una pozza di sangue con vistose ferite al capo. Ad avvertire la polizia è stato il fratello di Michele Perrotta. Davanti alla palazzina di due piani, dove abitavano i due, si è immediatamente formato un gruppo di curiosi. I vicini descrivono la coppia come due persone tranquille. La strada dove si è consumata la tragedia collega la Circumvallazione esterna con il centro di Villaricca. Un quartiere dove negli ultimi tempi hanno trovato casa tantissime persone provenienti da Napoli e da altri Comuni della provincia e che hanno deciso di comprare una casa in provincia. Secondo alcuni racconti Perrotta soffriva da tempo di depressione e i vicini hanno riferito che tra qualche giorno avrebbe dovuto ricevere il responso di alcune esami diagnostici. Perrotta si era arruolato in polizia nel 1978 e aveva svolto gran parte della sua carriera a Roma, una separazione alle spalle, temeva di essere affetto da una grave malattia e per questo era in uno stato di profonda angoscia. L’uomo, assistito dall’avvocato Carlo Carandente Giarrusso, viene sentito già da alcune ore sia dagli investigatori del commissariato di Giugliano che dal sostituto procuratore di turno. Intanto, alcuni familiari si sono presi cura della figlia della coppia.

59. MARIA ENZA ANICITO, 17 MAGGIO, 42 ANNI, PATERNÒ (CT), REPUBBLICA CATANIA - "Ti devo restituire l’anello e le nostre foto, dimmi dove ci vediamo”. La telefonata arriva di mattina, Maria Enza Anicito, 42 anni, e sua figlia Sonia, di 23 sono in auto, a Paternò, stanno andando al lavoro nel paese vicino, Motta Sant’Anastasia, dove madre e figlia lavorano per un call center. È Salvatore Paternò a chiamare l’ex convivente che gli dà appuntamento per strada, in via Gela dove la donna blocca la sua Fiat Multipla. Salvatore Paternò arriva di lì a poco con la sua Nissan Micra. Ma non è un appuntamento qualunque, mentre è certamente l’ultimo per entrambi. I due scendono dalle auto, lui impugna già una pistola, la sua calibro 9 corto per uso sportivo. Le consegna l’anello che lei gli aveva regalato quando ancora stavano insieme e alcune foto. Poi per sei volte, preme il grilletto. Un colpo manca il bersaglio, due scarrellano ma tre proiettili centrano in pieno Maria Anicito, all’addome e al cuore. Lei muore sul colpo, lui scappa via mentre la figlia della donna scende a sua volta dall’auto, urla, cerca aiuto. Non fa molta strada Salvatore Paternò, a poche centinaia di metri di distanza c’è la chiesa di San Biagio, il portone è accostato, lui spinge le ante, chiama il parroco. "Ho bisogno d’aiuto – dice Paternò al parroco che era in sacrestia – ho bisogno di pregare", ripete stravolto. "Entra e resta pure quanto vuoi – gli risponde il prete – questa è la casa di Dio e dunque anche tua". Così Paternò si inginocchia su una panca e comincia davvero a pregare. Il parroco si allontana, lasciandolo lì. Qualche minuto dopo sente, dall’esterno, netti e chiari, rimbombare alcuni colpi di pistola. Si precipita fuori dalla chiesa in tempo per vedere Paternò rantolare. L’uomo è a terra, la pistola ancora in pugno, il petto squarciato da due colpi che non gli hanno lasciato scampo.

il prete – wuesta è la casa di Dio e dunque anche tua". Così Paternò si inginocchia su una panca e comincia davvero a pregare. Il parroco si allontana, lasciandolo lì. Qualche minuto dopo sente, dall’esterno, netti e chiari, rimbombare alcuni colpi di pistola. Si precipita fuori dalla chiesa in tempo per vedere Paternò rantolare. L’uomo è a terra, la pistola ancora in pugno, il petto squarciato da due colpi che non gli hanno lasciato scampo.

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60. KAUR BALWINDE, 28 MAGGIO, 27 ANNI, PIACENZA, REPUBBLICA Uccisa perchè vestiva all'occidentale. Un'altra donna ammazzata perchè aveva deciso di ribellarsi alle tradizioni, di vivere una vita normale a Piacenza. Era incinta, aspettava il terzo figlio: è stata uccisa dalla furia cieca del marito, geloso e intollerante per quei vestiti alla moda. Sarebbero questi, secondo i primi riscontri dei carabinieri e della Procura di Piacenza, i moventi dell'omicidio di Kaur Balwinde, indiana di 27 anni strangolata dal marito, Singhj Kulbir. Il cadavere della donna era stato trovato ieri nel Po del Piacentino. Kaur era scomparsa da 15 giorni dalla casa di Fiorenzuola dove viveva con il marito e un figlioletto di 5 anni, ed era incinta di tre mesi. Da giorni vigili del fuoco e protezione civile la stavano cercando. Di lei nessuna traccia sino a quando, domenica, un pescatore romeno ha avvistato il corpo su un argine a San Nazzaro, frazione di Monticelli d'Ongina. Il marito, 36 anni, operaio in un'azienda agricola di Fiorenzuola d'Arda, incensurato, avrebbe strangolato la moglie per poi gettarla nel Grande Fiume nel tentativo di occultarlo. Adesso l'uomo è interrogato in procura dal pm Antonio Colonna. Agli inquirenti ha comunque già confessato i motivi del gesto.

61. VINCENZA ZULLO, 29 MAGGIO, 33 ANNI, BRUSCIANO (NA), CORRIERE DEL MEZZOGIORNO

Tragedia in provincia di Napoli. Un colpo d’arma da fuoco, al viso: è morta così, nel Napoletano, la scorsa notte a Brusciano, una donna di 33 anni, Vincenza Zullo. La vittima è stata trovata all’interno della sua abitazione, in via Biagio Caccia 21: accanto al corpo una pistola calibro 9 regolarmente detenuta dal marito, Salvatore Velotto, 35enne, guardia particolare giurata in servizio presso un istituto di vigilanza di Avellino

L’UOMO ARRESTATO – Dopo diverse ore di interrogatorio, l’uomo è stato arrestato: ha ammesso di aver ucciso la donna dalla quale, anche se non formalmente, era separato in casa da tempo. L’omicidio sarebbe scattato al termine di una delle tante discussioni che i due ormai avevano sempre più spesso.

«MIA MOGLIE SI È UCCISA» – È stato lui a chiamare il 112. Ed è stato lui a raccontare in maniera molto agitata ai carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna, diretti dal capitano Michele Dagosto, che la moglie si era uccisa. La ricostruzione di Velotto è però apparsa sin da subito contraddittoria e, soprattutto, discordante con gli elementi riscontrati sulla scena del crimine. Il corpo di Vincenza, casalinga di 33 anni, era in cucina: sul volto una evidente ferita d’arma da fuoco; accanto a lei una pistola calibro 9 regolarmente detenuta proprio dal marito 35enne, guardia giurata in servizio presso un istituto di vigilanza di Avellino. A seguito del sopralluogo effettuato dai militari della sezione rilievi dei carabinieri e del pubblico ministero e dalla loro comparazione con le dichiarazioni dei presenti, sono emersi elementi indiziari a carico di Velotto. Messo alle «strette», Velotto ha ammesso di averla uccisa.

62. ANNA (NOME DI FANTASIA) 30 MAGGIO, 91 ANNI, BIELLA, IL MESSAGGERO Un uomo di 91 anni ha ucciso la moglie coetanea a martellate, mentre la donna si trovava a letto. È successo a Biella, in un appartamento al primo piano in via Galilei. Dopo il delitto, il pensionato, R.S., ex piastrellista, ha tentato di togliersi la vita con un coltello elettrico. È stata una vicina di casa che era andata a casa dei coniugi per aiutarli, a trovare la vittima ormai priva di vita. Il pensionato è in prognosi riservata all’ospedale di Biella.

63. SABRINA BLOTTI, 31 MAGGIO, 44 ANNI, CESENA, LA REPUBBLICA. Si è ucciso sparandosi un colpo al cuore all'interno del Duomo di Cervia, nel quale si era asserragliato per sfuggire alle forze dell'ordine, l'uomo di 60 anni che questa mattina ha ucciso a Cesena la sua ex amante. Secondo quanto riferito finora, all'improvviso, mentre stava parlando con i negoziatori, si è sparato un colpo di pistola al petto. È morto poco dopo, nonostante i tentativi di rianimarlo.

La drammatica sequenza è iniziata questa mattina a Cesena, dove una donna di 44 anni, Sabrina Blotti, era stata uccisa in via Mameli da due colpi di pistola. Lo sparatore era poi fuggito in auto. La donna era appena uscita di casa insieme alla figlioletta di 5 anni e la stava portando all'asilo, quando l'ex fidanzato 60enne, con cui aveva avuto una breve relazione, l'ha fermata. Durante la lite l'uomo avrebbe estratto la pistola e sparato, ferendo mortalmente la donna. Dopo essersi dato alla fuga, l'uomo si era poi asserragliato all'interno del Duomo di Cervia, in trattativa con ufficiali e mediatori. Due mesi fa la vittima aveva denunciato il presunto assassino per stalking e atti persecutori. La donna lascia la piccola di 5 anni, che ha assistito alla violenta scena, e un altro figlio che al momento della sparatoria era già a scuola. A chiamare il 118 e i Carabinieri, alcuni operai che erano a lavoro in un edificio di via Mameli. Inutile la corsa disperata dell'ambulanza verso l'ospedale Bufalini di Cesena, dove la donna è morta per le gravissimi ferite riportate.

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Cronache dei femminicidi avvenuti in italia dal 1 gennaio al 9 giugno del 2012

Anno 2012 23

Asserragliatosi all'interno del Duomo di Cervia, l'uomo si era appoggiato all'altare con in mano la pistola, puntata ora verso il volto, ora verso il petto. Nel Duomo, per tentare una mediazione, erano arrivati il parroco, don Umberto Paganelli, il procuratore capo di Ravenna, Roberto Mescolini e i sostituti, Roberto Ceroni - Pm di turno - e Angela Scorza. Con loro anche i vertici di Polizia e Carabinieri di Cesena e Ravenna, cui, in seguito, si sono aggiunti il procuratore capo di Forlì-Cesena e il vescovo di Ravenna, monsignor Giuseppe Verucchi. Fuori dal Duomo, che si trova nel cuore della cittadina romagnola, l'area era stata transennata e isolata dalla forze dell'ordine. Nel primo pomeriggio l'uomo ha chiesto acqua da bere e un secchio, e avrebbe spiegato che la sua intenzione era di spaventare l'ex fidanzata, non di ucciderla

64. LUDMILA ROGOVA, 31 MAGGIO, 43 ANNI, COPPARO (FE), IL RESTO DEL CARLINO

Due biglietti, lasciati sul tavolo della cucina, con scritto a penna la sua terribile volontà. E un sms inviato alla figlia. Fatto questo, ha stretto le mani al collo di Ludmila Rogova, 43 anni, finendo il suo respiro per poi puntarsi una pistola alla testa lasciando partire un colpo secco. Mentre la donna è morta soffocata, Giuliano Frezzati, 66 anni pensionato, fino a ieri notte era ancora vivo, ricoverato in un letto dell’ospedale Sant’Anna, in condizioni disperate. Copparo, in un attimo, diventa teatro di una tragedia orribile con ancora alcuni punti da chiarire, in particolare il movente che ha spinto un uomo, descritto come buono e mite, ad agire in quel modo. Lo scenario è quello di via Fermi, piano secondo di una vecchia palazzina al civico 1. Lì, da poco più di un anno, vive da solo Giuliano Frezzati, copparese, separato con due figli. Qualche tempo fa aveva conosciuto Ludmila Rogova, ucraina e regolare in Italia, due figli di 6 e 16 anni. Lui l’aveva assunta come badante per accudire l’anziana madre. «Piano piano — dicono i vicini — si era molto attaccato a quella donna, le voleva molto bene». In via Fermi 1, Ludmila veniva tutti i giorni a trovarlo: «Era gentile, — ricorda una signora — sorrideva e salutava sempre». Ma negli ultimi tempi, nel loro rapporto qualcosa si era rotto. C’è chi afferma che Ludmila voleva tornarsene in Ucraina dai figli («il più grande sta crescendo da solo il fratellino di sei anni») e quella sua decisione aveva sconvolto Giuliano tanto da portarlo a continui litigi. «Da qualche giorno — ricorda Francesco, suo amico da oltre 40 anni e vicino di condominio — lo vedevo strano, non era lui. Sempre silenzioso, rideva poco». L’ultima volta è stato visto ieri verso mezzogiorno rincasare. «Ha lasciato la bicicletta sotto il palazzo ed è salito nell’appartamento». Lì, tra quelle quattro mura, ha messo in atto il suo piano. Secondo gli inquirenti, il decesso dell’ucraina sarebbe avvenuto tra le 15 e le 16, l’allarme è stato dato alle 19,20 dalla figlia. A lei, il babbo, aveva inviato un messaggio sul telefonino, letto però molto tardi. In quelle poche parole, così come sui due biglietti ritrovati in cucina, vi sarebbe impressa la sua devastante decisione. Ludmila è stata ritrovata sul letto, con ogni probabilità strangolata. Accanto il corpo esanime di Giuliano, in una pozza di sangue. Con una pistola di piccolo calibro (regolarmente detenuta), sequestrata nella stessa stanza, si è sparato un colpo dritto al capo. Ma il suo intento suicida, non è finito come voleva. I medici, fino a ieri notte, stavano facendo ogni cosa per salvargli la vita, nonostante le sue condizioni gravissime. Nessuno, nel palazzo, pare aver sentito nulla. «Eravamo in casa — aggiunge Francesco — ma non ci siamo accorti di niente. Che tragedia, non ci voglio credere». Fino all’alba sono proseguiti i rilievi dei carabinieri del Reparto operativo assieme ai colleghi del Norm e della Stazione di Copparo, coordinati dal pm Nicola Proto. Dall’inizio dell’anno è il quinto omicidio.

65. CLAUDIA BIANCA BENCA, 1 GIUGNO, 23 ANNI, TIVOLI, REPUBBLICA. Uccide l’ex compagna davanti al figlio e poi si accoltella, è in fin di vita. È successo a Tivoli. La ragazza è morta in ambulanza durante il trasporto all’ospedale del paese. L’omicida, l’aveva pedinata per tutto il giorno. È ricoverato all’Umberto I, in fin di vita, Andrej Scirpcariu, il romeno che giovedì notte a Tivoli ha sgozzato l’ex compagna, davanti al figlio di due anni e poi tentato di accoltellarsi. La donna è morta dopo poco in ambulanza durante il tragitto che l’avrebbe portata all’ospedale del paese. Scirpcariu l’ha inseguita per tutto il giorno e l’ha uccisa in auto intorno alle 23 dopo aver cercato un chiarimento. Un vero e proprio pedinamento, durato tutta la giornata, che ha avuto come scenario anche il posto di lavoro. La donna, dopo ripetute richieste ha accettato di parlare con lui. Sono saliti sull’auto della madre della donna e lì l’ha uccisa a coltellate davanti al figlioletto di lei, di due anni, appoggiato sul sedile posteriore. La vittima, Claudia Bianca Benca, romena di 23 anni, è stata soccorsa da alcuni passanti che hanno sentito le sue urla disperate in piazza delle Nazioni Unite. A bordo, sui sedili posteriori, c’era ancora l’ex fidanzato Andrej Scirpcariu, coetaneo della ragazza, che si era ferito all’addome e alla gola con un grosso coltello. I soccorritori e i poliziotti giunti sul posto hanno messo al sicuro il bambino e poi hanno trasportato i due all’ospedale di Tivoli. Claudia, secondo la ricostruzione degli investigatori, aveva già lasciato da tempo il ragazzo che però non aveva mai accettato la fine della loro relazione.

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Cronache dei femminicidi avvenuti in italia dal 1 gennaio al 9 giugno del 2012

Anno 2012 24

66. ROSINA LAVRENCIC, 6 GIUGNO, 60 ANNI, GORIZIA, LA STAMPA Un pensionato di 57 anni, Claudio Varotto, ha accoltellato a morte ieri pomeriggio a Staranzano (Gorizia) la convivente, Rosina Lavrencic, una donna di 60 anni, originaria di Doverdò del Lago, nella cucina dell’abitazione della coppia in via Marconi n. 21. In base alla ricostruzione fornita dai carabinieri, che hanno arrestato il pensionato in flagranza di reato, l’omicidio è scaturito da un litigio scoppiato tra i due, entrambi divorziati, per ragioni familiari. Il pensionato ha ucciso la compagna con un coltello da cucina nel locale a piano terra dell’abitazione, situata alla periferia del paese. Sul posto sono intervenuti anche i sanitari del 118, che non hanno potuto che constatare il decesso della donna, e il medico legale dell’Università di Udine, Carlo Moreschi, che ha fissato l’autopsia, su disposizione della magistratura, per domani mattina. L’arma del delitto, un coltello con una lama di circa 30 cm, è stata sequestrata. La salma della donna è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale di Monfalcone. Varotto è stato rinchiuso nel carcere di Gorizia. I due fra pochi giorni avrebbero dovuto sposarsi dopo anni di convivenza. «Voleva lasciarmi» ha raccontato ai carabinieri l’uomo, ex lavoratore portuale. Sembra che all’origine del grave fatto di sangue ci sia il rifiuto della donna a convolare a nozze. La donna lascia due figli avuti da un precedente matrimonio.