febbraio 13 2015 - Stampa Alternativa · Quando seppi della morte di Floris nel giro di una...
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nali che ci sbattono davanti, ma non è co-sì. Nel momento in cui licenzio questo li-bro, sono stato in carcere 34 anni, 5 mesi,23 giorni. Per 13 anni sono stato nel carce-re di Spoleto, di cui non posso lamentarmise non per il fatto che è stato ancora quasiimpossibile ottenere benefici come permes-si o semilibertà, e non è poco. La primave-ra dello scorso anno mentre ancora chiede-vo un avvicinamento alla mia terra, sonostato trasferito nel carcere di San Gimigna-no, che è ancora più difficile da raggiunge-re per i miei familiari. Così tolgono la spe-ranza, che è l’unica cosa che mantiene invita, distruggono quanto c’è di buono inquesto carcere, rischiando che lo sforzo fat-to da noi detenuti nel corso degli anni, cer-cando di vedere le cose della vita anche seterribili sotto un altro aspetto, vada perso. Come tanti anch’io ho provato tanto odioquanto era grande l’offesa ricevuta. Sonosempre una persona completa di cose buo-ne e cattive, come tutti gli uomini. Mal’odio è un mostro che ci consuma interna-mente: ci distrugge la vita e ci rende similia delle bestie. L’uomo deve averli tutti i sen-timenti ma i cattivi deve saperli tenere a ba-da, anche quando l’odio è immenso. Io cisono riuscito: cercando magari giustifica-zioni anche dove era impossibile trovarne,sono riuscito a metterli in un angolo e ad-dormentarli e non pensiate che sia statauna cosa facile, ci sono voluti decenni.Questo sforzo mi ha tolto parecchi anni divita, sicuramente mi ha minato il fisico, pe-rò mi ha fatto capire quanto può essere for-te un uomo. Ma senza la speranza si rischianuovamente di essere travolti, morsi e stri-tolati da quel serpente velenoso che èl’odio. Questo è il carcere: anche se con unamano ti dà il dolce, come a Spoleto, conl’altra ti offre la cicuta. Certo io non sonodisposto a lasciarmi nuovamente travolge-re da quel sentimento spietato che non dàtregua, oggi mi fa orrore solo a pensarci.Riesco a tenere a bada i miei sentimenti piùoscuri e questo mi permette di vedere edesaminare il male che ci ha fatto ma non di
odiarlo, lo disprezzo e penso che basti.Quante volte ho riflettuto durante questidecenni su tutte le mostruosità che ho vi-sto con i miei occhi e vissuto sulla mia pel-le. Con il sangue che scorreva nelle vene aduna velocità pazzesca e con la mente occu-pata dall’odio facevo i progetti più crimina-li e studiavo il modo di vendicarmi dei mo-stri che avevano distrutto la mia libertà, mariflettendo con più calma sui miei guai mimeraviglio io stesso di non riuscire a pro-vare odio più di tanto nei confronti dei mieiaccusatori. Quelli che occupavano la miamente e mi avvelenavano il sangue erano idue responsabili principali che mi hannostravolto l’esistenza: Lombardini e MauroFloris. Quando seppi della morte di Florisnel giro di una settimana per ben due vol-te mi sognai al camposanto che a mani nu-de scavavo in cerca delle sue ossa sbavan-do come un cane rabbioso. Dopo tanto tor-mento mi svegliavo sudato, era come seavessi dovuto affrontare l’attraversata di unfiume in piena e la sua ira. Forse è a causadella loro morte che in questi ultimi anninon sento più quell’odio tremendo che misoffocava. Delle persone che mi sono statevicine negli ultimi decenni credo siano sta-ti pochi coloro che si sono accorti del ma-le che mi consumava internamente, sonosempre riuscito a nascondere l’angosciamolto bene. Dopo la loro morte soffro me-no di prima ma questo non vuol dire chepotrò dimenticare, continuerò a maledire lamorte che se li è portati via togliendomi ilpiatto della rivalsa che mi sarebbe servitoda nutrimento e avere un po’ di sollievopensando agli anni tremendi che ho dovu-to affrontare a causa loro. Non avrei mai vo-luto che accadesse prima che potessimoguardarci in faccia, e a porre le domandesarei stato io e anche l’ultima parola sareb-be stata la mia. Non so se sarebbero riusci-ti a mantenere la calma come l’ho mante-nuta io sotto le loro pressanti domande,piene di offese. Ma a chi nasce sotto unacattiva stella non gli riesce mai niente deisuoi progetti.
13martedì 3 febbraio
2015
di essere avvicinato alla sua fa-miglia, in Sardegna.Quando, incontrandolo, mi sonochiesta e gli ho chiesto come si faa sopravvivere a una pena cosìinfinita, mi ha risposto che vivegrazie al ricordo della natura nel-la quale è cresciuto come in duevite parallele nelle quali entraogni mattina: quella che immagi-
na ricordando, e quella del carce-re...Vero. Il ricordo del tempo passa-to sui monti è vividissimo. Laprima parte del libro, in moltepagine, sembra un trattato di bo-tanica. E tutta la narrazione è tes-suta dell’eco della sua lingua,perché, mi ha confessato, unadelle pene che si aggiungono a
pena è non poter parlare in sardo. Mario Trudu, che lo scorso annoè stato trasferito nel carcere diSan Gimignano, durante la de-tenzione nel carcere di Spoleto siè diplomato all’Istituto d’Arte.Aveva sempre desiderato potercompiere degli studi e imparare adisegnare. Il libro è tutto ‘farcito’dei suoi disegni...
gruppo di osservazione del carcere compo-sto dal direttore, dall’educatore, dall’assi-stente sociale, dal comandante, dalla psico-loga e dal criminologo: non posso definirlaaltro che una cattiveria. A causa di quella“trascuratezza” per venti anni non ho usu-fruito dei benefici, nessun permesso, menoche meno la semilibertà, e rischio molto se-riamente di non uscire mai dal carcere.Hanno continuato a negarmi permessi perle relazioni fatte dagli sbirri che mi descri-vono come elemento ad alta pericolosità,marcando a più riprese la gravità dei reaticommessi vari decenni prima accompagna-ti dalle pesanti condanne, ma questo è ilmotivo per cui sono dentro e se fra altrivent’anni chiederanno nuovamente infor-mazioni agli sbirri, quelli risponderanno lestesse cose che dicono oggi, quelle informa-zioni non potranno mai cambiare. [...] Solo il 27 maggio del 2004 mi concesseroun permesso di otto ore libero nella perso-na, per la presentazione di un cd che ave-vamo realizzato in carcere: finalmente do-po 25 anni di detenzione ho potuto riassa-
porare la libertà, e questo grazie alla dotto-ressa Lidia Antonini che si era presa la re-sponsabilità di portarmi fuori, una donnastraordinaria, e questo vecchio non trova leparole giuste per darle l’onore che merita.Poche altre persone credo che avrebberofatto lo stesso per un ergastolano quasi sco-nosciuto, ed è riuscita a regalarmi il 10 no-vembre del 2005 altre sette ore di immensagioia che ho trascorso di nuovo con i mieifamiliari venuti per l’occasione dalla Sar-degna, onorandoci della sua compagnia epresentandoci alla sua eccezionale fami-glia, e se un giorno dovessi ritornare in li-bertà mi piacerebbe rincontrarla. In base aqueste due occasioni non posso che pormiuna domanda: se non ero una persona pe-ricolosa per andare alla presentazione di unCD, cosa che ritengo di poco valore, comemai mi dicono che faccio parte della cate-goria dei “pericolosi” quando chiedo di an-dare a trovare i miei per curare gli affetti fa-miliari? Ma noi nasciamo delinquenti, cosa possia-mo pretendere?! In questo maledetto postonon si deve solo affrontare l’inferno dellasolitudine, delle umiliazioni, della lonta-nanza dei cari e altri soprusi, ma se mi han-no tolto la libertà non possono far sparirel’uomo che c’è in me, mi si può solo am-mazzare non distruggere. Si continua a par-lare di migliorare la vivibilità nelle carcerima soltanto a parole, invece si aggiungonocancelli, inferriate, telecamere e filo spina-to, eppure quante evasioni ci sono state ne-gli ultimi anni? Le grandi rivolte sono fini-te nel lontano 1986, i detenuti sono moltocambiati e non saprei dire se è un bene oun male, per me ci hanno fatto diventaredei conigli, non siamo più capaci di farenessun tipo di protesta per i nostri diritti.Ogni volta che c’è un’assoluzione comequella di Andreotti, di un Carnevale, di unBerlusconi o di un Contrada la maggior par-te di noi detenuti, eterni ignoranti, ci illu-diamo che le cose possano cambiare, che ipentiti non saranno più sempre creduti, ciriempiamo la testa delle cronache dei gior-
Ma è testimonianza anche di co-me una pena che travalica i limi-ti dell’umano (perché non è uma-namente concepibile una penache finisce solo con la morte del-la persona condannata) può tra-sformare anche chi ha compiutoun reato in vittima.Totu sa beridadi, Tutta la verità(Stampa alternativa, 192 pagg. 11
euro) è un libro che come pochici danno il senso del tempo eter-no che è una carcerazione comequesta, senza speranza di uscir-ne. E per un ostativo non c’è re-denzione che valga... In 35 annidi carcere Trudu ha usufruito so-lo di due permessi di 6 e 8 ore,una decina di anni fa. Poi piùnulla. Chiede da tempo almeno
«DUE CONDANNE PER SEQUESTRO DI PERSONA. DEL PRIMO MIDICHIARO INNOCENTE. MA LE VITTIME DI QUESTA FACCENDA NONSONO SOLO I SEQUESTRATI. PURE IO E I MIEI FAMILIARI SIAMO VITTIMEDI UNO STATO CHE DOVREBBE FARE GIUSTIZIA E NON VENDETTA»
NELLA FOTO GRANDE, IL CARCERE DI SPOLETO DOVETRUDU È STATO DETENUTO PER MOLTI ANNI. A FIANCO, DUE DELLE ILLUSTRAZIONIREALIZZATE DALL’UOMO PER LA SUA AUTOBIOGRAFIA. QUI IN BASSO, LA COPERTINA DEL LIBRO, “TODU SA BERIDADI”EDITO DA STAMPA ALTERNATIVA