Favole

106
Favole al Femminile di Isabella Caporaletti www.piazzadelgrano.org

description

 

Transcript of Favole

Favole al Femminiledi Isabella Caporaletti

www.piazzadelgrano.org

FFaavvoollee aall FFeemmmmiinniillee

IIssaabbeell llaa CCaappoorraalleetttt ii

Cara Isabella,mentre leggevo le tue fiabe e mi accingevo ad esprimere lamia ammirazione per il tuo impegno che testimonia unamente fervida e fantasiosa, ma che non perde mai di vistaun approccio forte con la realtà e con le problematiche so-ciali, civili e ambientali, che sono il sale della nostra esisten-za, ho appreso dal telegiornale regionale che la Provincia diPerugia ribadiva la vendita dei beni pubblici, tra cui Villa Re-denta di Spoleto. Il parco della Villa è il luogo dove si trat-tengono mamme e bambini, giovani che traducono in dolcisospiri la loro errante nostalgia d'amore, cittadini che godo-no del verde dei prati, note musicali dei cantanti del LiricoSperimentale, che onorano da tutto il mondo la nostra cittàcon la loro presenza, effondendo nell'aria le loro voci. Ba-steranno i draghi buoni delle tue fiabe ad avere la megliosulla fredda ragione di Stato e sull'adeguamento piatto a vo-leri superiori di chi dovrebbe tutelare il bene pubblico ed in-vece mira a tutelare solo se stesso? Sì, basteranno, ne sonoconvinto, perché chi ha il cuore bambino vede da un'altraangolazione la realtà, perché "la vita è sogno e i sogni ci aiu-tano a vivere", come ci ricorda Pedro Calderon della Barca,perché non volge gli occhi in basso chi li rivolge al cielo, per-ché questo pascoliano "atomo opaco del male" non può pre-valere sulle generazioni future. E' utopia tutto ciò? Sì lo è,ma è un utopia concreta: se in noi vi è l'idea di un mondoperfetto, di una terra rigogliosa e verdeggiante, di città a mi-sura d'uomo e di donna, di valori forti quali la Pace, la Fra-tellanza, l'Uguaglianza, la Libertà, di una più equa ridistri-buzione delle ricchezze, vuol dire che a questi valori siamovocati. Cara Isabella, apprezzo chi come te vive per questiideali, perché trasmette a chi viene dopo di noi dei punti fer-mi. Mi piace infine citare i versi del dolce poeta Severino Fer-rari, che ricorda che la nonna racconta una fiaba ai suoi ni-potini: "La nonna fila e dice. Suggon le sue parole i bimbi co-loriti, le belle occhi di sole". Un forte abbraccio.

Luigi Sammarco 26 settembre 2012pag. 3

Miwa e il mostro del lago

Miwa è una bella bambina che abita vicino a un lago insiemeai genitori e tanti animali. Miwa a volte gioca davanti allasua casa, ma siccome è piccina, non le permettono di avvi-cinarsi al lago. Il lago, si sa, è un po’ buono e un po’ cattivo,dipende da come gli va.Un giorno Miwa giocando con il suo bambolotto preferito,si accorse di una piccola coda sotto un sasso.Miwa prese il sasso con la sua piccola mano e lo alzò. Quelloche c’era sotto sembrava una lucertolina, ma a guardarla be-ne era una lucertola molto strana. Intanto aveva tutti i coloridell’arcobaleno e poi aveva uno strano modo di guardareMiwa negli occhi. Sembrava intelligente. Miwa la prese inmano e la nascose sotto una piccola tana ricavata da unabuca nel terreno, coperta con un po’ di foglie.Nel pomeriggio Miwa uscì di casa con la merenda, sempresotto l’occhio vigile della mamma, ma la mamma non si pre-occupò più di tanto quando vide che la bambina si era ac-cucciata vicino alla tana del piccolo rettile. Quando Miwascoprì la tana dove aveva fatto nascondere la lucertolina,due occhietti vispi la guardarono fissi nei suoi. Miwa le die-de un pezzetto di pane ma quella lo sputò, poi le diede unpezzetto di prosciutto. Quello sì che le piacque! La bambinanon esitò a darle tutto il prosciutto del suo panino in piccolipezzetti, finché non fu finito.E così andò avanti per molti giorni, fino a che la lucertolinanon era divenuta grande più di un gatto. Allora sì che eradifficile nasconderla! La buca non bastava più e Miwa la fecenascondere sotto un grosso e fitto cespuglio.Un giorno Miwa si mise a osservare quello strano animale.

pag. 5

Intanto era diventata un’enorme lucertolona dai sette coloridell’arcobaleno, poi, a guardare bene, aveva le ali! Miwa lefece una carezza sul muso e due occhi profondi come pozzila fissarono.La lucertola prese Miwa delicatamente per il grembiule e sela mise in groppa. La bambina si attaccò al collo iridescentedi quello che, ormai l’aveva capito, era un drago e per la pri-ma volta seppe cosa significa volare.I due sorvolarono il lago fino a che non divenne una mac-chia blu e Miwa con il vento nei capelli rideva e si divertiva.A un certo punto scesero in picchiata fino a sfiorare la su-perficie dell’acqua e Miwa si ritrovò tutti i capelli bagnati mail drago subito la riportò verso il cielo e i capelli furono su-bito asciugati dall’aria calda del pomeriggio.Quando atterrarono il drago prelevò con la bocca la bambi-na dalla sua groppa e, dopo averla appoggiata delicatamen-te a terra, le parlò.“Sei davvero una bambina coraggiosa! Allevare un drago ingiardino non è una cosa facile! E tu hai salvato Agatax dallamorte. Mi hai dato il tuo cibo e mi hai fatto le carezze, nonhai avuto paura del fatto che sono così diversa da te.”Miwa non poteva credere alle proprie orecchie. Quella lucer-tola che lei aveva allevato a prosciutto, ma anche tonno, uo-va e pietanze varie, le aveva parlato! Era una femmina e sichiamava Agatax, e parlava!Passarono diversi mesi e Miwa ogni tanto andava a trovareil drago che aveva scavato una specie di caverna nella roc-cia, proprio in riva al lago. Un giorno, Miwa non trovò la suaamica, ma non fece in tempo a preoccuparsi neanche un po’che la vide volteggiare nel cielo e atterrare a un passo da lei.“Miwa!” la chiamò, “ho bisogno del tuo aiuto, devo fare unacosa!”“Cosa?” chiese Miwa con le gambe che le tremavano. E’ nor-male che una bambina piccola abbia un po’ di paura. “Do-vrai aiutarmi a liberare le mie amiche Sarah e Rebecca chesono tenute prigioniere dagli uomini malvagi!”“E come faccio?” protestò Miwa “sono solo una bambina! Mi-

ca mi lasciano andare in giro da sola!”“Oh, a questo si può rimediare! Fermerò il tempo! Noi dra-ghi siamo specialisti nel fermare il tempo,non so sapevi?”“No che non lo sapevo, sono una bambina piccola, devo an-cora imparare tutte le cose!”“Bene, allora che hai deciso?” domandò il drago guardando-la con i suoi occhi languidi ed enormi.“Voglio aiutarti!” proruppe Miwa tutto d’un fiato.“Allora sali! Si parte!”Si alzarono in volo e nel giro di qualche minuto non furonoaltro che un puntino minuscolo nel cielo blu.Arrivarono a un vecchio castello e atterrarono un po’ lonta-no per non farsi vedere. I draghi erano prigionieri in celleenormi con le sbarre ed erano entrambi accucciati con ilmuso a terra. Sembravano deboli e malati.Le sbarre erano forti e altissime e Agatax e Miwa, da sole,non l’avrebbero mai fatta. Decisero di indagare e scoprironoche la gran parte degli uomini viveva ridotta in povertàestrema. Non avevano da mangiare e da vestirsi, e neanchei soldi per comprare le cose. Scoprirono che gli uomini mal-vagi che tenevano prigioniere le amiche di Agatax, erano unpiccolo gruppo di persone ricchissime e tutti gli altri cosìpoveri che non avevano neanche le scarpe. I due draghi era-no stati fatti prigionieri per essere venduti.Miwa e il drago si nascosero per riflettere e trovare un siste-ma per liberare i due draghi, ma l’impresa era veramente di-sperata.Quasi tutti gli uomini erano stati resi schiavi, lavoravano incondizioni disumane per un pezzo di pane secco e molti siammalavano e non potevano essere curati.Miwa conobbe un bambino come lei, solo che lui era unoschiavo.“Tu non sei come me!” le diceva il ragazzino, “tu sei diversa,sei nata libera!”Miwa lo guardò attentamente. Aveva due mani, come lei, ilnaso, gli occhi. Cercò di sbirciare sotto i lunghi capelli per-ché magari poteva non avere le orecchie. Invece le aveva,

pag. 7

sporche, ma le aveva. Ma per quanto si sforzasse le sembra-va che il bambino fosse proprio come lei. Aveva la pelle unpo’ più scura della sua, era un po’ più magrolino, certamen-te, ma per il resto non c’erano grosse differenze. “Perché siamo diversi?” chiese Miwa incuriosita.“Perché noi siamo schiavi!” rispose il ragazzino come se fos-se una cosa ovvia.“E perché siete schiavi?” insistette Miwa curiosa.“Perché i Signori ci danno il cibo e noi dobbiamo lavorareper loro!” disse il ragazzino.“E perché?” domandò Miwa.Il bambino non sapeva più cosa rispondere, così prese Miwaper mano e la portò a casa sua.Quando i genitori del piccolo videro Miwa si spaventaronoma il bambino, facendo l’occhiolino a Miwa, spiegò che erasolo una bambina curiosa, così accettarono di rispondere al-le sue domande.“Miwa vuole sapere perché siamo schiavi!” disse al padre.“Beh, siamo schiavi perché i padroni ci comandano e noidobbiamo obbedire!”“Perché non vi comandate voi?”L’uomo sgranò gli occhi. Era una cosa che non aveva maipensato. Non aveva mai pensato che gli schiavi erano moltidi più dei Signori e se avessero voluto, avrebbero potutocacciarli via dalla loro terra, riprendersela e tornare liberi.“Agatax e io dobbiamo liberare i draghi!” disse Miwa alloschiavo, “dovete aiutarci, da sole non ce la faremo mai!”Miwa provò a convincere gli uomini a ribellarsi. Ciascuno diloro pensava per se stesso, senza preoccuparsi di nessun al-tro. Ma è difficile quando si è schiavi pensare agli altri.Quando una persona non ha da mangiare, cerca di trovareil pane e non gli importa tanto della libertà propria, né diquella di due draghi.Miwa tornò da Agatax sconfitta, così Agatax cercò di farsiascoltare dagli uomini. Parlò loro di un mondo giusto, unmondo senza confini dove tutti gli uomini e gli animali pos-sano passeggiare in pace.

“Può esistere un mondo dove tutti contribuiscono a crearericchezza ciascuno secondo le proprie possibilità e poi laricchezza viene ridata a ciascuno secondo i propri bisogni?Un mondo dove si comprano le medicine per tutti e si man-dano tutti i bambini a scuola?”Gli uomini non volevano ca-pire. Certo per realizzare un mondo così occorreva lavorare tutti,e quei poverini che da secoli erano schiavi, non volevano unlavoro da schiavi. Miwa spiegò loro che se si fossero unitisarebbero stati liberi e che potevano organizzarsi perché illoro lavoro potesse essere pagato e protetto dai pericoli.Quando gli uomini capirono che i loro sogni potevano avve-rarsi, nessuno riuscì a fermarli. Cacciarono i governanti e li-berarono i due draghi. Erano due creature maestose, unagialla e una arancione. Grandi come un palazzo di dieci pia-ni e con le ali enormi come un circo. Volteggiarono nel cieloazzurro e si fermarono solo a ringraziare Miwa. “Ciao soldo di cacio!” la salutò Sara.“Vieni a trovarci!” le gridò dietro Rebecca.“Ogni volta che avrai bisogno di me” le sussurrò Agatax al-l’orecchio, devi solo chiamarmi. Ora ciao! E grazie!”Miwa tornò a casa credendo di prendersi una sgridata manessuno si era accorto di niente. Cenò come sempre e andòa dormire ma il giorno dopo rise a crepapelle fino alle lacri-me. Aveva sentito alla radio che un pescatore aveva intravi-sto un gigantesco mostro del lago

pag. 9

Miwa in missione speciale

“Aiuto! Un mostro!”“No! Sono due! Anzi, tre!”Miwa drizzò le orecchie. Era andata a dormire da cinque mi-nuti ma non si era ancora addormentata. Senza farsi sentireandò alla finestra aperta spostando con le mani le tendesvolazzanti, c’era una leggera brezza lacustre ma la notteera così buia che non si vedeva neanche il lago, era come setutto fosse stato inghiottito dal buio. Guardò in alto e vide come un’ombra se possibile ancorapiù nera del buio. Il suo cuore cominciò a battere più forte.Agatax! Era proprio lei! Era il gigantesco drago che aveva al-levato nel suo giardino! E insieme a lei c’erano le sue amicheSarah e Rebecca. “Ciao, soldo di cacio!” l’apostrofò subito Sara.“Ciao!” fece Miwa salutando con la mano.Agatax si accostò alla finestra tenendosi in equilibrio con legrosse ali. “Ciao Miwa, siamo in missione speciale, è accadu-ta una cosa terribile… una macchia di petrolio gigantescasta mettendo in pericolo la vita di molti animali…” ansimòper lo sforzo di tenersi ferma in volo.Miwa sentì un brivido, ma non era un brivido di freddo, erail brivido che ci prende quando abbiamo il desiderio di aiu-tare gli altri, l’indignazione che ci assale contro chi agisceper distruggere il pianeta. Il nostro bel pianeta che Miwaaveva visto dal finestrino dell’aereo, dato che lei era una gi-ramondo.Agatax si accorse di questo sentimento forte e fece cenno aMiwa di salire sulla sua groppa. Miwa ci pensò un attimo,poi chiese: “I miei genitori?”“Oh,” sussurrò Agatax “ovviamente non si accorgeranno diniente, abbiamo fermato il tempo! E poi, siccome siamo sta-te avvistate, abbiamo dovuto spolverare un gruppo di pe-

pag. 11

scatori notturni con la nostra polvere della dimenticanza,così domattina anche i pescatori che ci hanno viste non ri-corderanno nulla!” aggiunse con una risata sarcastica.Miwa non esitò. Saltò al collo di Agatax felice di aver ritro-vato la sua vecchia amica e, insieme, raggiunsero il cielo al-tissimo e puntarono verso l’ovest seguite a ruota dalle mae-stose Sarah e Rebecca.Volarono veloci fino all’alba e, quando il sole nacque, Miwarimase senza fiato. Aveva già visto il mondo dall’alto, maquesto era bellissimo, e poi la sensazione di avere il ventonei capelli era davvero fantastica. A quell’altezza il sole eraviolento e accecante e Miwa dovette stringere gli occhi cheiniziarono a lacrimare.“Piangi, soldo di cacio?” le chiese Sarah premurosa, ma Mi-wa le restituì un sorriso radioso e Sarah si tranquillizzò.Presto arrivarono al punto dove c’era stata la fuoriuscita dipetrolio.“Che cos’è il petrolio?” chiese Miwa che non aveva neanchetre anni, e il petrolio non l’aveva mai visto.“Il petrolio è un liquido denso, una sostanza naturale che sitrova sottoterra e siccome è infiammabile, serve per scaldar-si e per far camminare le automobili, le navi e gli aerei. Lochiamano anche oro nero, ma ora che si è riversato nel marecostituisce un grave pericolo per gli animali perché è piùleggero dell’acqua e si ferma sulla superficie, privando l’ac-qua di ossigeno e di luce. Dobbiamo cercare di far allonta-nare gli animali!”“Ma cosa possiamo fare?” chiese Miwa quando vide le di-mensioni della chiazza nera. Era una macchia di proporzio-ni gigantesche, molto più grandi anche dei tre draghi.“L’unica cosa che possiamo fare adesso è chiamare i delfini,ma noi siamo troppo grosse, si spaventerebbero molto, solotu puoi farlo Miwa!” disse Rebecca, il drago arancione.Miwa non aveva idea di come si possa parlare a un delfino,ma prese un forte respiro e annuì.Agatax la fece scendere su una spiaggia dove c’era un vec-chio molo pericolante che arrivava fino al largo e lì Miwa si

sedette in attesa di veder passare un delfino.Dovette attendere molto ma poi la sua pazienza fu premiataperché un branco di delfini giocosi passò proprio vicino alei. I delfini giocavano, saltavano fuori dall’acqua e la spruz-zavano, ma non ne volevano sapere di ascoltarla.“Dovete ascoltarmi!” li implorò Miwa, “prima che sia troppotardi!”Un cucciolo di delfino le si avvicinò e la guardò curioso. “Mainsomma volete ascoltarmi?” sbottò Miwa che iniziava a stu-farsi di venire spruzzata per divertimento.Il piccolo la guardò storto, poi se ne andò con un guizzo ve-loce. Miwa affranta guardò verso il nascondiglio dei draghi,ma quando si girò di nuovo verso il mare, notò con sollievoche il piccolo delfino stava arrivando scortato dai genitori.Così Miwa spiegò loro che occorreva fare qualcosa per scon-giurare una carneficina e i delfini capirono il messaggio. Lamamma delfino la invitò a salire sulla sua groppa perché unbranco di delfini, per quanto simpatici, non sarebbero riu-sciti da soli ad avvertire tutti gli animali, avevano bisognodi aiuto.Miwa è una bambina molto coraggiosa, ma viaggiare a dorsodi un delfino certamente richiede una dose di coraggio chea volte anche una persona grande e grossa fa fatica a trova-re. La mamma delfino però la guardò con i suoi occhiespressivi pregandola di farlo, perché solo insieme avrebbe-ro potuto salvare gli animali.Miwa salì sulla sua groppa un po’ tremante ma dovette su-bito acchiapparsi forte alla pinna dorsale del grosso mam-mifero che partì a razzo. Miwa si girò e vide tre teste a pelod’acqua che la scortavano. I draghi si erano gettati in acquae seguivano la strana coppia pronti a difendere la loro pic-cola amica da qualsiasi pericolo.Mamma delfino portò Miwa dalla balenottera, un gigantescocetaceo, anche lei un mammifero, che accolse Miwa congrande dolcezza, nonostante il timore della bambina chenon aveva mai visto un animale così grande. Era pure piùgrande di Agatax!

pag. 13

La balenottera si occupò subito di far avere il messaggio atutte le sue compagne. “Pericolo! State lontani dalla macchianera!”Breve ma efficace! Non restava che sperare che tutti lo sen-tissero.Con le balenottere, che diramarono il messaggio a tutto ilmare, erano stati tutti avvertiti. Miwa vide la lontano la vi-scida sostanza nera e ebbe un tuffo al cuore. Uno stormo digabbiani stava mangiando pesce a pochissima distanza dal-la macchia nera. Il suo cuore cominciò a battere a mille. Sesi fossero sporcati le piume con quella roba maleodorantesarebbero morti tutti! Mamma delfino si accorse dell’ap-prensione della bambina e si precipitò con lei sopra verso ilgruppo di gabbiani. Erano troppo lontane, non ce l’avrebbe-ro mai fatta. Agatax che non aveva smesso di seguire la suaadorata Miwa, capì al volo quello che doveva fare. Si alzòdall’acqua con un fragore assordante e spostando una mas-sa d’acqua enorme provocò un’onda gigantesca che spinseper un po’ di metri la massa untuosa, poi si fece vedere daigabbiani che, spaventati fuggirono lontano. Miwa tirò un so-spiro di sollievo e, per far calmare la mamma delfino chenon aveva mai visto un drago, le sussurrò all’orecchio paro-le tranquillizzanti. Agatax si avvicinò, ma proprio in quel-l’istante, una femmina di gabbiano arrivò gridando: “I mieipulcini! I miei figli sono là sotto!”Non c’era da perdere neanche un istante. Mamma delfino eMiwa si guardarono e in un secondo presero la decisione.Miwa prese aria e si immersero sotto la massa nera per cer-care di salvare i piccoli gabbiani.Miwa non riusciva a vedere niente così cercò di abituare gliocchi al buio tenendoli chiusi per un po’. Il cuore le martel-lava nel petto e presto avrebbe dovuto uscire dall’acqua per-ché i nostri polmoni non possono resistere a lungo tratte-nendo il respiro. Noi non siamo come i delfini che ci posso-no stare molto tempo sott’acqua!Quando riaprì gli occhi li vide! Tre pulcini di gabbiano sta-vano pescando dei pesciolini da una roccia ignari del peri-

colo. Se fossero riemersi sotto la macchia si sarebbero spor-cati tutte le piume e sarebbero morti!Mamma delfino cercò di aggirarli per non spaventarli e nonmandarli direttamente contro il petrolio. Piano piano li rag-giunse da dietro e poi cercò di catturare la loro attenzione.Fortunatamente i pulcini capirono che mamma delfino e Mi-wa non avevano intenzioni cattive e si diressero verso la su-perficie limpida che lasciava penetrare i raggi del sole. Quando li vide mamma gabbiano ringraziò tutti e volò viadietro ai figli.Anche mamma delfino ringraziò Miwa e, con uno spruzzogiocoso, tornò dal suo piccolo.“Agatax…” chiese Miwa alla sua gigantesca amica, perchéhanno buttato il petrolio in mare?” “Be’, non è che ce l’abbiano buttato, stamane è affondatauna nave che lo trasportava e così tutto il liquido è finito inmare. Sai, gli uomini non pensano al loro pianeta. Ne sfrut-tano le risorse, l’acqua, il cibo, le sostanze che danno ener-gia, ma non pensano a mantenerlo come ci è stato dato.”Miwa divenne pensierosa. “E perché?” chiese di nuovo. Si sa,i bambini sono curiosi, devono scoprire il mondo…“Perché…” Agatax s’interruppe.“Perché alla stupidità umana non c’è rimedio!” sentenziò Sa-rah diretta.Miwa rimase in silenzio. Salì in groppa al magnifico dragodei colori dell’arcobaleno e tornò a casa. Quando fu di nuo-vo nel suo letto prese una solenne decisione. Quando sareb-be diventata grande avrebbe cercato di salvare il pianetadalla distruzione. E, convinta di quello che aveva deciso, si addormentò comeun sasso.

pag. 15

Miwa e i bambini Rom

“Miwa! Miwa, vuoi svegliarti? Ah, quanto non li sopporto ibambini!”Miwa aprì gli occhi. La finestra era spalancata e in pieno in-verno non è una cosa tanto gradevole. Cercò di vedere dadove provenisse la voce ma non vide niente. Certo! Dovevaguardare più in basso! Davanti a lei, con una faccia imbron-ciata c’era il folletto Zumpicarchs. Un piccolo essere verde,con il naso adunco, un cappello a punta, un gilet verde e unlecca lecca al mirtillo davvero profumato.“Buon… buona sera!” salutò Miwa che è una bimba moltoeducata.Il piccolo folletto la squadrò borbottando qualcosa a proposito di bambini, incartò delicatamente il lecca lecca al mir-tillo con una pezza di velluto, poi cavò dal taschino un gros-so orologio e cominciò ad armeggiare con le lancette.“Dobbiamo sbrigarci!” intimò “Agatax ci aspetta!” poi, ve-dendo la faccia stupita di Miwa “non dirmi che non ti ha maiparlato di me eh?” domandò.“Non… non mi pare…” balbettò Miwa un poco spaventata.“Beh non c’è tempo ora. Dobbiamo andare!” Andò verso la finestra, poi si fermò di botto. “E non dirmiche vuoi portare quella mocciosa di tua sorella piccola!”“Mia sorella non è mocciosa!” protestò Miwa.“Ah no? E dimmi, non piange mai?” chiese sarcastico il fol-letto “non bisogna sempre cambiarle il pannolino perchéancora non sa dire – mi scappa la pipì - o - mi scappa la po-pò? - Eh? Comunque poche chiacchiere. Dovrai venire da so-la. Io fermerò il tempo!”Miwa si affacciò alla finestra. Agatax le faceva cenno di ca-larsi di sotto e la bimba, dallo sguardo del drago capì cheera una cosa importante. Si vestì in fretta poi, accompagna-ta dal burbero folletto, si calò dalla finestra per salire in

pag. 17

groppa al poderoso drago.Dopo un secondo erano in alto nel cielo vellutato e puntina-to di stelle.Meno male che si era messa sciarpa cappello e guanti, altri-menti si sarebbe congelata. Fa freddo se si vola in groppa aun drago nel mese di dicembre. Agatax volò velocissima e per atterrare sollevò un grossopolverone. Miwa si chiese il perché di tanta fretta e il drago,gentile come al solito, le spiegò:“Vedi, soldo di cacio, ci sono dei bambini in pericolo, e tudevi salvarli! Tu e il nostro caro Zumpicarchs!”Il folletto mise le braccia conserte. “Già, io non vedo perchédarsi tanta pena per dei cuccioli d’uomo, ma lei ha una granpassione per l’umanità!” sbottò indicando il drago con unamossa della testa.“Non farci caso” le sussurrò Agatax all’orecchio. “è un vec-chio folletto brontolone, ma di lui possiamo fidarci!” poi, ri-volta al folletto, “Zumpi, per cortesia, vuoi essere così gen-tile da accompagnare Miwa al luogo prestabilito e spiegarlestrada facendo qual è la missione? Io vi aspetterò qui, sonotroppo grossa e non passerei inosservata, con il rischio diessere vista… sapete, non ho proprio nessuna intenzione difinire imbalsamata in un museo… Allora, andate e… in boc-ca al drago!”“Come in bocca al drago?” chiese spaventata Miwa.“Oh, non preoccuparti, è un modo di fare gli auguri!” la ras-sicurò il folletto “e ora, andiamo!”“Dove?” domandò Miwa mentre cercava di stargli dietro.“Andiamo al campo Rom! Stamattina una cornacchia nostraamica ha sentito alcuni ragazzi grandi che parlavano tra diloro. Progettavano un attentato! Dicevano che li avrebberobruciati tutti! Noi dobbiamo scoprire il loro piano e sabotar-lo!”“Che vuol dire sabotarlo? Non ti dimenticare che ho tre an-ni, ancora non sono andata a scuola!”“Già!” sentenziò il folletto burbero come al solito “significamandarlo all’aria, significa che loro proveranno a incendiare

il campo Rom e noi dobbiamo spegnere il fuoco. Capito?”“Si, grazie” ammise Miwa che ora era molto più soddisfatta. Quando arrivarono Zumpicarchs si diresse verso una casadi legno che aveva le persiane rotte e, così, poterono ascol-tare i discorsi dei ragazzi incendiari.Il folletto trasse dalla manica una bacchetta magica e diedeuna botta in testa a Miwa.“Ahia!” fece Miwa presa alla sprovvista. Poi si diede un col-po sulla sua testa e dopo un secondo erano diventati invisi-bili! Miwa non poteva crederci. Non si vedeva niente! Eranoinvisibili davvero! Come Herry Potter quando si metteva intesta il mantello dell’invisibilità. Certo, così era più comodo,non c’era il rischio che il mantello ti cadesse dalla testa e tirendesse di nuovo visibile.La cornacchia aveva sentito bene. I ragazzi quella stessanotte si sarebbero messi in testa un cappuccio e sarebberoandati a incendiare il campo dei nomadi accendendo più diun fuoco. L’avevano pensata proprio bene. Avrebbero primadi tutto incendiato dell’immondizia in tutte le vie di fugameno una, poi avrebbero aggredito il cuore del campo in-cendiando la roulotte degli anziani, poi sarebbero fuggiti at-traversando l’ultima via di fuga lasciandosi dietro una sciadi catrame a cui avrebbero dato fuoco non appena sarebbe-ro stati tutti fuori. Miwa era terrorizzata. Lì dentro a quell’ora c’erano pratica-mente tutti e quindi anche tutti i bambini. Sarebbero rimastiintrappolati nel rogo! Cosa avrebbero potuto fare loro cosìpiccoli contro quei ragazzi così grandi e grossi? “Zumpicarchs, facciamoci venire un’idea subito!” intimò im-paurita.Il folletto si mise a riflettere.Miwa lo stuzzicò “usa il tuo orologio ferma tempo!”“Non posso! Non può agire in un campo così grande!” rispo-se Zumpicarchs mentre rimuginava.“Beh, usa la tua bacchetta magica!” lo incalzò.“Senti impertinente bambina non lo sai che la magia nonpuò nulla contro la cattiveria di quella brutta razza degli

pag. 19

umani?” rimbrottò spazientito. Miwa ci pensò su. Aveva solo tre anni ma era una bambinadavvero speciale. Non si offese per la maleducazione delfolletto, si sa, i folletti cono così, bisogna avere pazienza.“Allora” continuò la bambina “organizziamoci per spegneregli incendi con l’acqua!”“Beh,” sentenziò il folletto “questa è già un’idea migliore!Ma come faremo a essere contemporaneamente nelle quat-tro vie di fuga? “Potremo farci aiutare da qualcuno!” esclamò Miwa felice diaver avuto l’approvazione dello scontroso folletto “ma perfarci aiutare, dovremo farci vedere…”Si allontanarono dalla casupola ove avevano assistito allamalvagia riunione e decisero che avrebbero chiesto l’aiutodi qualcuno di cui potevano fidarsi, non c’era tempo per da-re l’allarme e, comunque, avrebbero faticato a farsi credere,per cui scelsero una grossa e silenziosa roulotte dove dor-mivano dei bambini e Zumpicarchs diede una botta in testaa Miwa con la sua bacchetta magica. Miwa riuscì di nuovo aguardarsi le mani e, dopo che il folletto ebbe aperto la portadella roulotte con un altro colpo di bacchetta, entrò in pun-ta di piedi e cercò di svegliare quello che sembrava il piùgrande dei bambini.Miwa cercò di fare piano per non spaventarlo ma il bambi-no, una volta sveglio, spalancò i suoi occhi neri come il car-bone e le sorrise. “Ciao!” le disse “chi sei? Io sono Kak e hoquattro anni!”Miwa gli spiegò velocemente il motivo della sua visita e Kakscese dal letto e svegliò i suoi fratelli Chiori e Suno, due ge-melli di tre anni e la sorella Beba che di anni ne aveva solodue. Lasciarono a dormire solo la piccola Rumi che era neo-nata. “Beba sonno!” protestò Beba stropicciandosi gli occhi maKak le spiegò che dovevano fare una cosa importantissima,altrimenti sarebbe scoppiato un incendio gigantesco cheavrebbe distrutto tutto il campo. La piccola si convinse e si alzò dal letto.

“Come faremo?” chiese Kak “siamo solo dei bambini!”“Ma i grandi non ci crederebbero!” asserì Miwa “dovremocercare da soli di spegnere gli incendi. Ma… come faremo,Zumpicarchs?” chiese scendendo dalla roulotte seguita daiquattro bambini.“Chi hai chiamato?” fece Kak spaventato.“Hai paura di un folletto?” domandò Miwa che sapeva benis-simo che senza l’aiuto di Zumpicarchs non sarebbero riu-sciti a sventare l’attentato.“Beh, no, ma…”Dopo un secondo ecco comparire il folletto armato di bac-chetta magica. I ragazzi spalancarono gli occhi. Non aveva-no mai visto un folletto, infatti non è che i folletti vadano ingiro così, a farsi vedere da tutti. Ma si sa,i bambini sono pie-ni di risorse, così nessuno si spaventò e si concentraronotutti sul piano da elaborare.“Bene!” esclamò Zumpicarchs, “dovete decidere in fretta,quelli sono già in azione e io con la mia magia non riesco afare niente, o quasi!”“Allora, avete delle bottiglie vuote?” chiese Miwa.“Ho un’idea!” sbottò Kak entusiasta, prese un legnetto e co-minciò a disegnare sulla terra (nei campi Rom non ci sonomica le mattonelle!).Quando ebbe disegnato la piantina del campo, cominciò laspiegazione: “le quattro vie di fuga dove quei cattivi hannointenzione di appiccare il fuoco, sono questa, questa, que-sta e infine questa. Qui, qui e qui,” continuò indicando ipunti con la punta del bastoncino, ci sono delle fontanellee io so dove teniamo i tubi. Basterà che ognuno di noi simetta pronto con il tubo e, quando gli incendiari darannofuoco all’immondizia, spenga il fuoco. Ci divideremo così:io, che sono più grande, sarò da solo a nord, Chiori a est eSuno a sud, tu, Miwa e il tuo amico Zum… insomma il tuoamico folletto sarete al centro del campo ad attenderli epoi, noi ci dirigeremo verso l’uscita ovest che dovrebbe es-sere quella da dove fuggiranno. Che ne dite?”“E io?” chiese imbronciata la piccola Beba.

pag. 21

“Tu… tu, farai da palo! Dovrai avvertirci di qualsiasi cosasucceda!”“Beba no palo!” brontolò.Con grande fatica trovarono i tubi e li portarono vicino allefontanelle e con l’aiuto della bacchetta magica di Zumpi-carchs li attaccarono ai rubinetti. Fecero appena in tempo, iragazzacci avevano già cominciato ad appiccare il fuoco.Kak riuscì subito a spegnere l’incendio e riuscì anche a ba-gnare bene bene l’immondizia in modo che non si potessepiù incendiare.Miwa e Zumpicarchs aspettavano che i ragazzi si dirigesse-ro al centro del campo, mentre Chiori e Suno, anche se conun po’ di fatica, riuscirono a spegnere il fuoco che già cre-pitava.Sembrava che fosse andato tutto bene quando i ragazzaccisi accorsero che i fuochi si erano spenti. Se ne andarono madopo meno di cinque minuti tornarono. Avevano delle tani-che di benzina!“Adesso vedremo chi vince, piccoli esseri schifosi ladri e su-dici!” gridò uno di quei ragazzi con il cappuccio bianco chesembrava un fantasma.“Presto, con la benzina riusciranno a bruciare il campo, nonce la faremo mai con i nostri tubi a spegnere l’incendio!”Prima di riuscire a organizzarsi però, i ragazzi avevano giàincendiato una roulotte. “Rumi foco!” gridò la piccola Beba.I bambini si guardarono terrorizzati. Era la loro roulotte!“La piccola Rumi!” gridò Kak con gli occhi spalancati per lospavento.Erano tutti impietriti dalla paura ma Zumpicarchs si fiondònella roulotte rischiando la vita.“Zumpicarchs!” gridò Miwa.Il folletto non usciva più dalla roulotte in fiamme. Fumo ne-ro usciva dai finestrini che erano scoppiati e i ragazzi giàpiangevano per la loro sorellina. Dopo un tempo che a loro era sembrato lunghissimo, Zum-picarchs, con il cappello bruciacchiato, uscì con in mano un

fagottino che consegnò al fratello maggiore.La piccolina era ancora addormentata. Il folletto l’aveva pro-tetta con la magia e così si era potuta salvare.Miwa sorrise. “Ma non eri tu quello che non sopporta i bam-bini piccoli?” lo rimproverò.A quel punto anche i grandi si svegliarono e intervenneroriuscendo a spegnere l’incendio. Riuscirono anche ad ac-ciuffare uno dei ragazzi incendiari. Gli altri purtroppo era-no riusciti a fuggire ma, per fortuna, il danno era stato limi-tato.Zumpicarchs si rese di nuovo invisibile, meglio che i grandinon vedano i folletti, altrimenti non si sa cosa potrebbe suc-cedere, e anche Miwa si nascose, meglio non farsi trovare dasola, una bambina di tre anni, in un campo Rom. Avrebbescatenato l’esercito degli assistenti sociali del Comune! “Allora te ne vai…” le sussurrò all’orecchio Kak “tu ci haiaiutato. Quello hai sentito come ci ha chiamati? Piccoli, schi-fosi, ladri e…”Miwa gli fece cenno di guardare dietro di se. Erano i suoi ge-nitori che accorrevano impauriti ma nello stesso tempo fe-lici per i loro figli, tutti salvi. Kak le fece l’occhiolino, prese Beba per mano e tornò inmezzo alla sua gente. Miwa e Zumpicarchs raggiunsero Agatax che era stata tuttoil tempo ad aspettarli.“Sono fiera di voi!” disse loro mentre li faceva salire sullasua groppa.Il giorno dopo a colazione Miwa sentì il papà che leggeva al-la moglie un articolo di giornale.“Sventato il tentativo di incendiare un campo Rom. Quattrofratelli di etnia Rom sono riusciti a salvarsi dall’incendiodella loro roulotte appiccato da una banda di teppisti decisia fare piazza pulita del campo di Piazzale Armerino ma, for-tunatamente, non sono riusciti nel loro intento.Il Sindaco ha deciso di non interrompere il progetto di inte-grazione iniziato con gli abitanti del campo Rom che si sonoaccampati da diversi anni, così proporrà che i quattro piro-

pag. 23

mani, tutti acciuffati, siano condannati a tre anni di lavoroutile all’interno del campo. Miwa sorrise e, per nascondere il sorriso alzò la tazza di lat-te fin sopra gli occhi bevendo il latte tutto d’un fiato. “Ueeeeeee!” gridò la piccola sorella di Miwa e lei, che era or-mai grande, sorrise anche alla sorella.

La forza delle donne

Una volta Miwa, ormai famosa per la sua amicizia con unasplendida femmina di drago di nome Agatax, si trovò ad af-frontare uno spinoso problema. Miwa ha tre anni e mezzo ed è una bambina molto svegliama se glielo chiedete, vi dirà che ancora le tremano le gam-be per la paura.Quella volta Agatax la fece salire su di sé e la portò in un po-sto poverissimo, così povero che le case erano capanne e lepersone andavano in giro scalze. Agatax non si fece vederee, una volta depositata la bambina, scappò a nascondersi la-sciando Miwa in mezzo alla strada sterrata.“Presto! Nasconditi!”Miwa si girò intorno. All’inizio non vide nessuno, poi si ac-corse che dietro a un grosso cespuglio, c’era una bambinaall’incirca della sua età che, a gesti concitati, la invitava araggiungerla.Miwa capì che doveva nascondersi e, dopo essersi assicura-ta che nei paraggi non ci fosse nessuno, raggiunse la bam-bina dietro la fitta vegetazione.“Perché mi devo nascondere?” chiese sottovoce alla piccola.“A proposito, io sono Miwa, e tu?”La bambina sorrise mostrando una fila di graziosi denti dalatte “Sono Mia. I nostri nomi sono quasi uguali eh?”Poi si mise l’indice sulle labbra intimando a Miwa di fare si-lenzio e attese che passassero delle persone.“Allora,” domandò Miwa, “perché ci nascondiamo?”“Stanno prendendo tutte le bambine. Le portano in un postodove le senti urlare e poi, quando le lasciano andare, sonotutte sporche di sangue ma nessuna di loro sa dire con pre-cisione cosa le abbiano fatto. Sono certa che vengono tortu-rate!”Miwa si spaventò molto. Possibile che in certi posti nel mon-

pag. 25

do si faccia male alle bambine?Quando si fece sera, la bimba si accorsi che Miwa non avevauna casa dove andare, così le offrì ospitalità a casa sua. Mi-wa in verità una casa ce l’aveva, una casa vera e due genitoriteneri e affettuosi e aveva anche una sorella piccola! Ma sa-peva che la sua amica Agatax aveva fermato il tempo e quin-di nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Solo cheancora non aveva capito che tipo di missione dovesse com-piere. La piccola capanna ospitava madre e figlia. Miwa scoprì cheil padre di Mia era morto un anno prima e le due erano ri-maste sole vivendo con grande difficoltà.Si rivolse alla mamma di Mia. “Signora, perché fanno delmale alle bambine?”La donna la guardò e, come se temesse di essere osservata,si precipitò a chiudere la porta, cioè lo straccio che chiudevala capanna, poi, le rispose: “E’ un’usanza delle nostre parti.Ma io non voglio che venga fatto a mia figlia! Devo proteg-gerla! A costo di farla vestire da maschio!”Miwa comprese lo scopo della sua missione. “Certo che Aga-tax poteva essere un po’ più esplicita!” pensava Miwa tra sé.“E ora che faccio? Come posso io, una bambina, risolverequesto problema che mi pare davvero grosso e insormonta-bile?”Mentre era immersa nei suoi pensieri, Miwa incrociò losguardo di Mia. Quella bambina la guardava piena di spe-ranza. A volte, i più poveri ed esclusi, ci vedono come onni-potenti, fortunati a vivere nella parte del mondo dove sicammina con le scarpe anche sull’erba e ripongono in noiuna speranza non tanto di cambiamento delle cose, di rie-quilibrio delle disparità ma di miglioramento immediatodella loro vita.Quella notte Miwa non riuscì a prendere sonno. Mentre lesue amiche dormivano Miwa uscì dalla capanna e si avviòverso la grotta dove era nascosta Agatax. La bambina si sedette in terra accanto alla sua amica e gros-se e calde lacrime rotolarono lungo le sue guance.

“Che c’è Miwa?” le chiese Agatx guardandola con i suoi oc-chi profondi e neri.“C’è che non so cosa fare. Lì prendono le bambine, fanno lo-ro un taglio o qualcosa del genere, loro urlano, si divincola-no, fanno la pipì addosso, poi le lasciano andare ma non so-no più le stesse. Che posso fare io? Io non ho armi! Non honiente per impedire questa brutta cosa!”“Non è vero che non hai niente” le rispose il drago con dol-cezza “tu hai un’arma potentissima. Tu hai le parole! Le pa-role sono molto più forti della forza delle tue braccia e delletue gambe!”Miwa baciò Agatax sul gigantesco muso e tornò alla capan-na dove trovò la sua amica Mia che l’attendeva.“Dov’eri?” le chiese.“Ero a fare due passi. Senti Mia, io so come aiutarvi, ma perfarlo, tu e tua madre dovrete fare la vostra parte. Che dici,proviamo?”Una brillante luce di speranza accese gli occhi di Mia. Stra-ordinario potere delle parole. Era bastato dire – so come aiu-tarvi - per accenderla.Si misero d’accordo. Non fu affatto facile convincere tuttele donne a partecipare alla ribellione. Alcune erano davveroconvinte che le mutilazioni fossero una cosa giusta. Conl’aiuto di Mia e di sua madre, (potenza delle parole!) ci riu-scirono!Prepararono una mistura soporifera da dare agli uomini tut-te le sere per poi riunirsi in casa di Mia. Le prime volte nonsapevano parlare, non sapevano intervenire con garbo, si in-terrompevano, gridavano per far sentire più forte la loro vo-ce, insomma erano così indisciplinate che a Miwa sembravadi stare all’asilo!Poi, quando Miwa cominciò a perdere la speranza, comin-ciarono a parlare dei loro sogni. Non erano sogni di ricchez-za o di agiatezza, e neanche di emancipazione come po-tremmo intenderla noi del ricco e ingiusto occidente.Sognavano di poter andare a scuola, di istruire i loro figli, dicoltivare la terra in modo rispettoso dell’ambiente e delle

pag. 27

persone, sognavano un mondo senza violenza, senza so-praffazioni e senza disuguaglianze.Grazie ai loro sogni compresero che se si fossero unite la lo-ro forza, già grande, si sarebbe moltiplicata. Miwa compreseche il suo compito era riuscito ora poteva lasciarle sole etornare dalla sua famiglia.Miwa e Mia si abbracciarono. “Ti rivedrò?” chiese Mia con le lacrime agli occhi.“Puoi starne certa!” rispose Miwa mentre si allontanava sa-lutandola con la mano “hai detto che vuoi fare la musicistano? E io vado a organizzare il tuo primo concerto all’estero!”

Il calendario magico

Un giorno Miwa trovò un vecchio calendario perpetuo,quelli che ci dicono, per esempio, se siamo nati di merco-ledì o di sabato. Miwa è una bambina molto curiosa, così,decisa a scoprire come funzionasse, si mise a giocare conil calendario e, non si sa come, e neanche il perché, madopo un minuto, sprofondò in un buco che si era formatonel pavimento.Miwa scivolò lungo un tunnel che sembrava non finire maie poi cadde rotolando su un pavimento freddo e umido.“Ma dove sono finita?” si domandò Miwa massaggiandosi ilfondoschiena. Si alzò in piedi e udì dei rumori infernali. Ca-tene, spade che cozzavano, urla di gente. Un po’ si spaven-tò: Miwa ha tre anni e mezzo, e a questa età uno si spaventama lei non si fece certo paralizzare dalla paura e si diresseverso la porta di quella strana stanza altissima e con unapiccolissima finestra così alta che Miwa non poté neanchevedere il cielo.Si diresse verso i rumori per vedere cosa fosse accaduto e siaccorse che si trovava in una prigione. I prigionieri stavanodietro le sbarre e c’erano una banda di ragazzi che armeg-giavano per aprirle. Non appena ne aprivano una, i prigio-nieri uscivano zoppicanti e venivano accompagnati fuori dauna bellissima ragazza che sembrava una principessa.“Ciao!” si sentì Miwa dietro le spalle e a momenti non le ven-ne un colpo! “Chi sei?” chiese un bel ragazzo sconosciuto.“Sono Miwa. Il calendario mi ha fatto cadere nel pavimento.Dove mi trovo?” domandò. “Beh, i miei omaggi” disse il ragazzo inchinandosi. Avevauna piuma sul cappello. “Sei a Nottingham, in Inghilterra,nel mille e trecento, più o meno. Io sono Robin. Robin Hood!Rubo ai ricchi per sfamare i poveri, e ora sto liberando i pri-gionieri che sono stati arrestati per non aver pagato le tasse

pag. 29

a quel malvagio dello sceriffo di Nottingham!” Le prese la piccola mano e la baciò.“Ma Robin Hood non è vissuto veramente!” sbottò Miwa chenonostante la giovane età sapeva molte cose “è una leggen-da, insomma, una storia un po’ vera e un po’ falsa!”“Hai sentito Little John?” gridò il giovane verso la fine delbuio corridoio “c’è una signorina qui che dice che per metàsei falso!”Una risata baritonale squillò nella tetra prigione. Un corpu-lento giovane si avvicinò a Miwa e si abbassò vicino a leimettendo un ginocchio a terra e l’altro a sorreggere la volu-minosa pancia. “Benedette parole giovane fanciulla! Nessuno mi credequando dico di essere un falso grasso!” le prese l’altra manoe gliela baciò.Poi Robin Hood chiamò a gran voce “Marion!” e la bella fan-ciulla accorse presso di lui. Quando vide Miwa le regalò unradioso sorriso.“Qui c’è qualcuno che può aiutarti!” disse Robin a Marion in-dicando Miwa.La ragazza si abbassò e le prese le mani.“Tu vuoi aiutarci?” le chiese.Miwa ancora non sapeva bene quali fossero le cose giuste, esiccome non c’erano né il papà ne la mamma, che potevanosuggerirle, decise di seguire il suo istinto.“Sì!” esclamò, “vi aiuterò!”Si trattava di passare tra due sbarre molto strette. Solo unbambino piccolo avrebbe potuto passarci. Miwa ascoltò le istruzioni con attenzione e, dopo poco, eragià passata tra le sbarre e cercava di aprire la serratura diun lucchetto con una piccola chiave. Il prigioniero era trop-po debole per liberarsi da solo e lei aveva poca forza per gi-rare la chiave così passò un po’ di tempo prima di unire leforze. Entrambi con tutte e due le mani riuscirono a sbloc-care la grossa serratura. “Perché ti hanno imprigionato?” domandò Miwa al giova-notto riccioluto mentre lo tirava per aiutarlo ad alzarsi. “an-

che tu non hai pagato quelle cose?”“Vedi, piccola,” rispose il ragazzo alzandosi lentamente inpiedi “pagare le tasse non è ingiusto, ma le tasse servonoper la città, per le scuole, gli ospedali, non per arricchire glisceriffi! E comunque no, io le tasse le ho pagate, solo che iocanto per le strade e racconto l’ingiustizia della tirannia, diquanto sono iniqui i nostri governanti. Per questo mi hannoimprigionato!”Quando fu sicuro di reggersi in piedi il ragazzo prese unagrossa chiave dal muro, aprì la cella e, dopo due secondi,era tra le braccia robuste di Little John che lo portavano insalvo. “Ora siamo tutti fuori, grazie piccola, per il tuo preziosoaiuto! Ora potrai dire a tutti che sei stata parte di una leg-genda!”Robin le fece un profondo inchino e, presa per mano la suaadorata Marion, in un attimo, si dileguò.Miwa si frugò in tasca. Il calendario era ancora spostato suquel giorno lontano. Lo girò su “23 gennaio 2011”, e, mentresentiva arrivare le guardie che erano riuscite a liberarsi e adare l’allarme, sparì e, in un secondo, si trovò seduta sulsuo letto.

pag. 31

Miwa e la matita magica

(per scrivere questa favola ho rubato le parole al mio amicoVasco che mi ha inviato un SMS di auguri tra i più belli cheabbia mai ricevuto)

Un giorno Miwa passeggiava in riva al lago. Il lago rispec-chiava il cielo azzurro e limpido e stormi di uccelli si diver-tivano a sfiorare l’acqua emettendo versi striduli e allegri.Miwa si chiese se fossero davvero felici. Assorta nei suoipensieri Miwa non si accorse che una vecchietta era accantoa lei.“Credo che tu abbia bisogno di questa!” esclamò la vecchiaporgendole una matita.Miwa trasalì. Siccome era (ed è tuttora) una bambina moltoeducata, subito salutò e si scusò per non essersi accorta pri-ma che la signora si fosse avvicinata.La vecchietta le porgeva la matita tenendola dalla punta, perevitare che Miwa si ferisse nel prenderla, ma Miwa era moltotitubante.“Che c’è? Non la vuoi?” domandò la vecchina.“Perché mi dai la matita? Io non so scrivere!” protestò Miwache ancora non aveva deciso se fidarsi o no.“Oh, non ce n’è bisogno!” asserì la vecchina “questa è la ma-tita della felicità! Puoi anche solo fare un disegno! E porteraila felicità intorno a te!”Miwa afferrò delicatamente la matita e la osservò attenta-mente Era bellissima, aveva delle decorazioni accuratamen-te intagliate. Guardando meglio si accorse che vi erano ri-prodotti dei draghi, proprio come la sua amica Agatax. Alzògli occhi verso la signora dai capelli bianchi ma questa erasparita. Miwa si guardò intorno ma non vide nessuno. Eraproprio scomparsa!Tornò verso casa trotterellando con la matita in tasca (Miwa

pag. 33

è una bambina molto responsabile, lo sa che non bisognacorrere con le matite in mano, altrimenti rischiamo di infi-larcele negli occhi).Lungo il percorso, incontrò un ragazzo. Il giovane piangevacome una fontana e Miwa ne fu impressionata, non avevamai visto un grande piangere. “Sono triste perché sono in-namorato di Alicia ma lei non mi guarda neanche!”Miwa teneva la mano in tasca a contatto con la matita. Latrasse fuori e volle fare una prova. Chiese al giovane un fo-glio e disegnò due innamorati che si tenevano per mano. Lodiede al ragazzo che subito si illuminò in volto. “Ho deciso!”esclamò “stasera parlerò con Alicia! Grazie bambina, mi haireso felice!”Miwa sorrise. Allora la matita funzionava davvero. Se ne an-dò felice a casa pensando di fare molti disegni.Una volta a casa disegnò una bambina ridente per la sua so-rellina che piangeva forte perché aveva il mal di pancia. Ilmal di pancia passò e la piccolina tornò a sorridere. Poi di-segnò un cuore con dentro i suoi genitori che quel giornoavevano bisticciato e così fecero pace.Il giorno dopo Miwa decise che sarebbe andata in paese. Co-sa molto difficile perché a tre anni e poco più, mica ti lascia-no uscire da sola come niente fosse! Un conto era recarsi allago che stava vicino casa, un altro era andare in paese! Enon aveva neanche la sua amica Agatax per fermare il tem-po! Era così decisa che convinse la mamma a portarla con se afare la spesa.Mentre la mamma era nel negozio, Miwa incontrò un uomotriste.“Perché sei triste?” gli chiese.“Sono triste perché ho guadagnato poco, le vendite sono di-minuite e io ho paura di diventare povero e di dover rinun-ciare a questa bella automobile!” disse indicando una mac-chinona puzzolente che ingombrava la strada e anche ilmarciapiede.Miwa non era tanto convinta, ma una bambina può anche

sbagliare a volte, così, spinta dalla sua generosità, si fecedare un foglio e vi disegnò un mucchietto di soldi. L’uomo prese il disegno, prima rise come un matto, poi lostrappò e neanche lo buttò nel contenitore della carta. Loappallottolò e lo buttò nella campana della plastica.Miwa ci rimase davvero male quell’uomo era proprio malva-gio. Non avrebbe meritato i soldi che lei aveva disegnato sulfoglio.Piena di tristezza Miwa tornò in riva al lago e, dopo un atti-mo, la vecchina si materializzò accanto a lei.“Che succede Miwa? Non sei contenta di dare felicità?” chie-se la vecchia.Miwa raccontò dell’accaduto e anche dei suoi timori di averdato felicità a uno che non la meritava affatto.“Tranquilla, la magia di quella matita non è per tutti gli uo-mini. E’ un dono per chi non si rassegna che questo sia il mi-gliore dei mondi possibili, che la felicità sia un fatto perso-nale, per chi sa che sarà felice solo in un mondo intorno asé, felice.”Miwa trasse dalla tasca la matita.“Posso tenerla?” domandò “credo che il mondo abbia moltobisogno di questa magia!”La vecchia scoppiò a ridere. “La matita non è magica. La veramagia l’hai fatta tu!” e, ridendo a crepapelle, puf, scompar-ve!Anche Miwa sorrise. Aveva capito. Tornò a casa, prese un fo-glio, disegnò il pianeta terra e sotto ci scrisse “Pianeta giu-sto” e lo regalò al suo papà.

pag. 35

I pescatori di nebbia

“C’era una volta un Re…” no, questa no. “C’era una voltauna ranocchia”…Miwa non aveva voglia di leggere le favole. Era una seratamagnifica, con il lago che brillava di scaglie argentee e unaluna gigantesca incastrata nel velluto nero del cielo. L’ariafresca entrava dalla finestra e faceva svolazzare le tende chefluttuavano leggere a disegnare volute di fumo. Quella sera Miwa era un po’ pensierosa perché quando siera lavata i denti il papà le aveva raccomandato di chiudereil rubinetto dell’acqua per non sprecarla. Non aveva capitobene il perché di quella raccomandazione, in fondo abitavavicino a un lago che aveva una quantità d’acqua immensa,specialmente agli occhi di una bambina di quasi quattro an-ni.A un certo punto però Miwa si rese conto che dalle tendeusciva un fumo vero e un odore nauseabondo le impestò lenarici penetrando fino al cervello. Miwa non ebbe dubbi, erala sua amica Agatax, il maestoso drago femmina che vivevanel lago. Il suo alito era davvero pestilenziale ma Miwa nonsi formalizzava mica di queste sciocchezze. Con Agataxaveva avuto avventure meravigliose e il puzzo di marciobruciaticcio, mefitico e asfissiante, anche se qualche voltale aveva fatto salire le lacrime agli occhi, era veramente undettaglio superabile.E poi era abituata a ben altro, visto che aveva una sorellinacosì piccola che usava ancora il pannolone…Miwa si confidò con la sua amica drago e Agatax, pazientecome una mamma, cercò di spiegarle quanto preziosa sial’acqua dolce per la vita sulla terra. “Sai Miwa, l'acqua dolce rappresenta una piccolissima partedell'acqua totale presente sulla Terra e di questa piccolaparte, più della metà in pochi ghiacciai, in particolare al po-

pag. 37

lo Nord. Ecco perché è pericoloso il riscaldamento del pianeta! Se laterra si scalda troppo, i ghiacci si sciolgono e l’acqua dolcefinisce in mare, dove diventa inutilizzabile per la presenzadel sale. Togliere il sale dall’acqua è possibile, ma ci vuolemolto lavoro per farlo e si consuma molta energia.Poi ci sono i laghi e i fiumi, ma sono veramente una partepiccolissima in confronto a quello che serve. Quindi è im-portante non sprecare neanche una goccia d’acqua!Dai, sali, ti porto a vedere una cosa…”Miwa non se lo fece ripetere due volte, saltò in groppa aldrago che, in questi casi, con una magia fermava il tempo,altrimenti ai suoi genitori poteva anche venire un infarto.Dopo tre secondi l’aria fresca solleticava i capelli di Miwa elei si incantava a guardare la volta nera tempestata di picco-li diamanti e di una grossa luna piena che brillava come untopazio.Il drago portò Miwa in un posto molto strano, sembravamolto arido e brullo situato non troppo lontano dal mare.In un luogo un po’ più basso rispetto al paesaggio circostan-te c’erano delle reti altissime, attaccate a destra e a sinistra,a due pali molto alti che le reggevano in verticale.“Vedi quelle reti? Sono reti che pescano la nebbia!”Miwa non credeva ai suoi occhi. Le reti intrappolavano lanebbia e minuscole goccioline d’acqua limpida sgocciolava-no in alcune brocche poste sotto le reti e, quello che la stupìdi più, era che le brocche erano quasi piene!“Vedi cosa deve fare questo popolo per recuperare un po’d’acqua dolce?” Miwa guardava affascinata quel sistemasemplice ma funzionante e capì quanto fosse poca l’acquadolce a disposizione delle persone sul pianeta, quindi è im-portante non sprecare l’acqua!A un certo punto vide un bambino in vena di fare dispetti.Aveva una fionda e dei sassi e il suo gioco era quello di mi-rare alle brocche per romperle.Miwa gli si avvicinò. “L’acqua dolce è preziosa, non sprecar-la!” gli sussurrò per non farsi scoprire dai grandi.

Il bambino non parlava la nostra lingua ma capì il messag-gio, le sorrise e andò a tirare i sassi nell’acqua di mare.

pag. 39

Miwa e la principessa Rosamelinda

Una volta Miwa passeggiava in riva al lago. La mamma glieloaveva detto che era pericoloso, ma lei non aveva volutoascoltarla e, infatti, non si sa come né perché, Miwa caddenel lago.Cercò di aggrapparsi alle alghe della riva ma erano tropposcivolose e lei cadde in acqua e poi sempre più giù, nelle ne-re profondità lacustri. Dopo un po’ si accorse che strana-mente riusciva a respirare.“Agatax!” urlò con quanto fiato aveva in gola. Ma Agatax, ilpoderoso drago femmina che viveva nel lago, quel giornonon la udì.Miwa cadeva sempre più giù, ma non era nel lago, era in unaspecie di pozzo profondissimo e buio ma, alla fine, dopoche si era graffiata tutte le mani, atterrò su un letto di fogliesecche facendo un gran rumore.Cercando di abituare gli occhi al buio, si alzò da terra mas-saggiandosi il sedere dove era pesantemente atterrata e, do-po alcuni minuti, si accorse che una bambina all’incirca del-la sua età, la guardava con interesse.La bambina era riccamente vestita. Le sue vesti erano di unastoffa con i disegni a rilievo. Draghi, sì, erano draghi. Miwala guardava impaurita e affascinata.La bambina si rivolse a Miwa educatamente: “Grazie per es-sere venuta, sono la principessa Rosamelinda, e ho bisognodel tuo aiuto”“Ma, ma… “ balbettò Miwa “veramente… sono caduta in unaspecie di pozzo e…”“Oh, beh, allora…” sussurrò la principessa “vorrà dire che èstato un caso, un buon caso… la maggior parte delle cosesuccede per caso. Bene, magari però tu vorrai aiutarmi!”chiese tutto d’un fiato temendo che Miwa fosse un’altra diquelle bambine tutte gonne e frabalà ipercoccolate egoiste

pag. 41

e capricciose.Ma Miwa non è così, noi la conosciamo bene. Figuriamoci senon avrebbe offerto il suo aiuto!Miwa le tese la mano e la Principessa la condusse sulla torrepiù alta del suo regno. Nel frattempo si era fatto giorno eMiwa scoprì che c’era un regno che si chiamava Sottoillagoe che, a posto del cielo, ma dello stesso suo colore, avevauna volta d’acqua.Miwa vide uno spettacolo desolato. Rifiuti dovunque, mon-tagne di rifiuti e, di tanto in tanto dei draghi agonizzanti.Il cuore le fece un tuffo nel petto. Agatax. La sua amica Aga-tax poteva essere malata! A quel pensiero il cuore cominciòa martellare velocemente. Ecco perché non l’aveva sentita!“Non hai per caso un drago di nome Agatax?” chiese Miwaalla principessa.“E’ possibile, in questo regno ci sono moltissimi draghi, macome vedi si sono tutti ammalati. Ho paura che sia l’iniziodella fine! C’è qualcosa che li ha avvelenati. Queste creaturemaestose si estingueranno!”“Io voglio aiutarti” esclamò Miwa con sincerità, “ma voglioanche ritrovare la mia amica Agatax, anzi, sai che ti dico?Cominciamo da lei, così potremo avere anche delle indica-zioni sui motivi di questo disastro!”Miwa e Rosamelinda cominciarono la ricerca. Attraversaro-no pianure sporche di rifiuti abbandonati, fiumi inquinati eforeste malate. Sembrava proprio un mondo senza speran-za. Durante il cammino Miwa raccontava a Rosamelinda dicome si potrebbe risolvere il problema dei rifiuti. Occorreche tutti siano consapevoli che l’inquinamento potrebbeportare alla distruzione del pianeta ma per farlo, occorre in-segnare alle persone di non guardare solo dentro il proprioorticello. C’è un mondo intero fuori dei nostri orti che senon si ripulisce, rischia di morire!Miwa le raccontò di come si può fare la raccolta differen-ziata. La carta si mette con la carta e il cartone e poi si riu-tilizza per produrre altra carta e altro cartone, senza biso-gno di tagliare gli alberi che sono i principali fornitori di cel-

lulosa, quella materia che serve per produrre la carta.Il vetro si mette con il vetro e poi viene frantumato in pez-zetti piccolissimi, poi viene scaldato fino a quando diventaliquido e poi si può utilizzare per produrre altro vetro. E an-che la plastica si può riciclare. Anzi, sulla plastica bisognadire che è pericoloso lasciarla in giro o peggio bruciarla. Laplastica bruciata produce diossina, un veleno potente perl’uomo e per gli animali.Miwa aveva capito che se non si convinceva la principessa,non sarebbe cambiato niente.“Vedi principessa, tutti devono fare la propria parte, anchele fabbriche e chi governa, altrimenti gli esseri viventi po-trebbero anche scomparire!”La principessa sembrava assorta nei suoi pensieri, tanto cheper quasi due ore non aprì bocca. Nel loro viaggio incontrarono dei draghi morenti. Dalla bavabianca alla bocca Miwa capì che erano stati avvelenati e unamorsa le stringeva il cuore pensando alla sua cara amicadrago.Poi la trovarono. Era agonizzante. Miwa è pur sempre unabambina e cominciò a piangere disperatamente. Le bagnòtutto il muso con le lacrime. Agatax aprì i suo smisurati oc-chi e le sussurrò all’orecchio.“Miwa, che piacere rivederti!”Non aveva perso niente dei suoi modi educati e gentili.“Non pensare a me. In quella grotta laggiù, alla fine dellapianura che ho ripulito e bonificato, ci sono i miei figli. Devisalvarli! Devi convincere chi ci governa a prendere dei prov-vedimenti contro l’inquinamento!”Rosamelinda deglutì rumorosamente e tirò su col naso. Di-cono che le principesse non piangono mai. Miwa non ci cre-deva e infatti non era vero. Piangono e come! A vedere il po-deroso drago che sussurrava a malapena e non riusciva adalzarsi la principessa si era lasciata andare a un pianto som-messo e dolorosissimo.“Ti prego!” mormorò il drago, “se salverai i miei figli, il miosacrificio non sarà stato vano!”

pag. 43

Miwa capì che per salvare i figli di Agatax avrebbe dovutocambiare le cose nel regno e l’unico modo era convincereRosamelinda a prendere provvedimenti drastici a favoredell’ambiente.“Non morire, Agatax, non morire ti prego!” gridò Miwa trale lacrime.“Io sono vecchia e stanca” sussurrò Agatax accennando unsorriso. Ora tocca a te!” Chiuse gli occhi e l’ultima nuvoletta di fumo che le uscì dalnaso si dissolse velocemente sopra di lei.“Miwa, grazie, ho capito, ho capito cosa devo fare!” le dissela principessa cercando di asciugarle le lacrime con la suaricca veste.“Ora potrai tornare sulla terra ferma che dovrebbe essereun luogo meraviglioso!”Miwa divenne ancora più triste. Sulla terra una violentascossa di terremoto aveva provocato un disastro nucleare.Era successo molto lontano da casa sua, in Giappone, ma leiin Giappone aveva i suoi nonni! E non era riuscita a convin-cerli a lasciare il loro paese! La sua nonna era infermiera ela prima cosa che aveva fatto era stata aiutare le persone fe-rite e contaminate!Miwa non si dava pace. Piangeva come una fontana ma poivolse lo sguardo verso la grotta. Dieci cuccioli di drago gio-cavano e si divertivano a rincorrersi. Li guardò e nel suo cuore tornò la speranza.

Miwa e il mistero della diossina

Miwa aveva da poco perso un’amica. La femmina di drago dinome Agatax, che lei aveva raccolto appena nata, era mortaper salvare i suoi dieci piccoli dopo essere stata contamina-ta da un inquinamento terribile.“Non piangere, Miwa!”Miwa alzò gli occhi verso la finestra che era rimasta aperta.Seduto sul davanzale c’era il folletto Zumpicarchs. Gli eracostato sicuramente molto cercare di consolare la bambina,dato il suo carattere sempre scontroso e rustico. In verità isuoi occhi erano proprio gonfi, come se avesse pianto mol-to, ma non bisogna dirglielo: i folletti sono molto permalosi,basta un niente che puf! spariscono così come sono venuti.Già è un vero privilegio che si facciano vedere da una bam-bina.Miwa era molto dispiaciuta per la perdita della sua amica ildrago Agatax. Lei l’aveva raccolta che era poco più grossa diuna lucertola, l’aveva nutrita e l’aveva aiutata a migliorarequalche cosa del nostro mondo ingiusto. E Zumpicarchs eraun folletto proprio speciale, burbero e brontolone ma pron-to a mettersi in gioco per aiutare gli umani a migliorare laloro vita.“Non c’è tempo per piangere!” asserì deciso il piccolo essereverde puntandole contro un dito nodoso. Miwa non si curòdel gesto piuttosto maleducato e smise di piangere asciu-gandosi gli occhi con la manica.“Dobbiamo indagare su una strana concentrazione di dios-sina in località Piuma d’Angelo e non abbiamo molto tempo!La diossina è un agente inquinante molto pericoloso. E’ inpericolo la salute di molte persone!” le gridò addosso.Miwa sapeva bene che con i folletti bisogna essere molto pa-zienti e non arrabbiarsi per i modi che usano. Certo, è diffi-cile per i grandi, figuriamoci per una bambina di neanche

pag. 45

quattro anni e specialmente per una bambina che ha biso-gno di qualche coccola in più dato che ha una sorellina pic-colissima che si prende molto del tempo della mamma e delpapà!Miwa però era così triste solo all’idea di non rivedere piùAgatax che non aveva la forza di controbattere o di offrireil proprio aiuto.“Miwa!” esclamò la piccola creatura bitorzoluta saltandolevicino senza fare un rumore. “Ascolta il mio piano, per fa-vore, dobbiamo almeno provarci!”“Ma come facciamo noi due?” domandò Miwa consapevoledella gravità della perdita che avevano avuto e non solo sulpiano affettivo. “Se almeno fossimo un po’ più alti!”Zumpicarchs si avvicinò alla bambina. “Dobbiamo scoprirela causa dell’inquinamento, dobbiamo fare di tutto per sal-vare le persone dalla contaminazione da diossina. Insom-ma, vuoi almeno provarci?” urlò spazientito il folletto met-tendosi a braccia conserte.Miwa si sentì divisa in due. Una parte di lei voleva correre asalvare il mondo, l’altra voleva starsene a piangere per Aga-tax.“Lei non avrebbe voluto vederti così!” sentenziò il follettoche aveva capito il punto debole. Così Miwa si decise. “Va bene Zumpi, farò quello che vuoi!”affermò convinta.“Allora ascoltami! Dobbiamo tornare alla tana dei figli diAgatax. Io fermerò il tempo perché avrai bisogno di moltigiorni per addestrare uno dei cuccioli. Sarà lui che ci aiuteràa indagare. Durante l’addestramento io cercherò di portareavanti l’indagine e scoprire qualcosa di più. Purtroppo do-vrò mostrarmi a un’altra persona, un ragazzo che sta inda-gando sullo strano inquinamento, un giornalista investiga-tivo che si chiama Fabrizio, spero che il mio sforzo non siavano e che questo ragazzo accetti la nostra collaborazione.“Ragazzo? Ma Zumpi, Fabrizio è vecchio! Avrà almenotrent’anni!”“Già, dimenticavo che per te che hai si e no quattro anni ma-

gari può sembrare vecchio, per me che ne ho trecento…”Era la prima volta che il folletto parlava di sé. Che si fosseun po’ addolcito il suo carattere? A volte un grande doloreci apre la mente e ci fa guardare le cose con occhi diversi.Il folletto fermò il tempo. Per farlo usò il suo prezioso oro-logio del tempo, un bellissimo pezzo unico che teneva nelpanciotto agganciato a una catena d’oro. I due cercarono dientrare in contatto con i cuccioli di Agatax, ma quelli eranocosì malfidati che non solo non rivolgevano loro la parola,ma più di una volta cercarono di bruciarli con uno sputo difuoco.Allora Miwa tirò fuori un’arma molto potente. Si mise a se-dere davanti alla grotta armata di pazienza e aspettò.Si allontanò solo una volta per fare pipì. Quando le vennefame Zumpicarchs le portò qualcosa da mangiare. Per luiqualcosa da mangiare è un vassoio pieno di prelibatezze ba-stevole per una ventina di persone. Miwa mangiucchiò qual-cosa senza muoversi dalla sua postazione.Attratto dall’odore del cibo un cucciolo di drago mise il mu-so fuori dalla grotta. Miwa gli avvicinò il vassoio accanto almuso e quello spazzolò tutto quello che era rimasto, anchela carta dei pasticcini. Miwa non si mosse da dove si era se-duta e non gli rivolse parola. Non era lui che poteva aiutarla.E poi voleva una femmina. Miwa a volte sa molto bene cosavuole.Passò altro tempo e alla fine un altro muso fece capolinodalla grotta. Era di un rosso scuro. Lo stesso alito pestilen-ziale di marcescente bruciaticcio nauseabondo della suavecchia amica.Era una femmina. Un cucciolo già dieci volte più grosso diMiwa. Se avesse voluto l’avrebbe mangiata in un boccone.Miwa dovette appellarsi a tutto il suo coraggio per non fug-gire correndo a rotta di collo. “Io…” iniziò Miwa cercando di non farsi tradire dalla voce,“conoscevo tua madre!”La piccola si avvicinò curiosa. Allora Miwa si fece forza, einiziò a raccontare le innumerevoli avventure che aveva avu-

pag. 47

to con Agatax, che aveva trovato quando era appena uscitadall’uovo.Raccontò di quando aveva rischiato la vita per salvare nu-merose bambine che stavano per essere mutilate, e anche diquella volta che si era servita di lei quando c’era bisogno diessere piccoli e agili per salvare dei bambini da un incendio.“…e poi quella volta ci sono venute in soccorso le tue zie Sa-rah e Rebecca perché la macchia di petrolio era veramentegigantesca… Ora che non c’è più tua madre, chi mi aiuteràa migliorare il mondo?...”Il piccolo drago femmina uscì del tutto dalla caverna. Il cuo-re di Miwa iniziò a martellare nel suo petto e cominciò a re-spirare più forte per avere più ossigeno, ma riuscì a nonmuoversi. C’era qualcosa che le diceva che le intenzioni deldrago non erano cattive. Infatti il drago si avvicinò fino asfiorarla con il suo grosso muso in segno di amicizia. Miwanon credeva ai suoi occhi. L’aveva trovata! Aveva trovatouna nuova amica che poteva aiutarla nel suo difficile com-pito.I giorni successivi li passarono in compagnia del follettoche, nella veste di insegnante, era, se possibile, ancora piùsgarbato e scorbutico, ma bisogna andare al di là delle ap-parenze, se vogliamo cogliere la sostanza delle cose. Miwaperò decise che in un futuro non lontano gli avrebbe inse-gnato a essere più educato.“Allora, per prima cosa, dobbiamo darti un nome!” esordì ilfolletto con le braccia incrociate. Miwa ci pensò per un po’e poi decise. “Bene, ti chiamerò Vita!”Il folletto mugugnò qualcosa che aveva a che fare con gliumani, ma non si scompose più di tanto.“E ora che hai un’identità, andiamo! E’ ora di imparare a vo-lare!”Miwa guardava affascinata le lezioni di volo. Il brusco fol-letto insegnò a Vita a volare alto, molto in alto, per insegnar-le che i nostri ideali devono essere puri.Poi, però, le insegnò a volare a mezz’aria e nascondersi trale nuvole. A che serve volare alto se nessuno ci comprende?

A volte occorre ridimensionare i propri progetti a causa del-la scarsità del materiale che abbiamo a disposizione. A vol-te, invece, occorre volare raso terra. Lavorare dal basso perpiantare i semi in terra, semi che dovranno germogliare ecrescere, fino ad attraversare le nuvole.“Ecco, sei pronta ad aiutarci a scoprire qualcosa su quellabrutta diossina!” esclamò soddisfatto il folletto.Vita però era dubbiosa: “ma non faremmo mai in tempo!Abbiamo impiegato dieci giorni per il mio addestramento!”“Oh, non preoccuparti,” le rispose Miwa, Zumpicarchs hafermato il tempo sulla terra!Si misero in volo verso il centro abitato diretti a casa delgiornalista investigativo che avrebbe dovuto accettare di in-dagare per loro. Il folletto si arrampicò sulla finestra dellastanza dove il ragazzo dormiva ma poi decise di cambiaretattica per non fargli prendere un infarto. Prima di saltaregiù dalla finestra, però, sbloccò il tempo solo per il ragazzo.Tutta la terra avrebbe continuato a essere ferma.Decisero che invece di un infarto poteva prendersi un bellospavento nel vedere Miwa che aveva suonato alla porta, maalmeno non rischiava la salute…Così suonarono alla porta di casa e, come previsto, Fabriziosi spaventò molto nel vedere una piccola di neanche quat-tro anni che aveva suonato.La fece entrare deciso a chiamare i servizi sociali ma Miwanon si fece scoraggiare dal suo atteggiamento protettivo, glichiese se era pronto a vedere una cosa molto speciale equando dopo un po’, lui disse di sì, Miwa chiamò Zumpi-carchs. Il ragazzo si stropicciò gli occhi. Si ricordò che la se-ra prima non aveva bevuto neanche un goccio e addirittura,siccome aveva un po’ di mal di gola, non aveva fumato ne-anche una sigaretta.Convinto di stare ancora sognando si dichiarò pronto anchea vedere il drago, ma quando una zaffata di alito di Vita locolpì in pieno volto capì che non stava sognando. Meno ma-le che i ragazzi sono pieni di risorse! Ci vollero diversi mi-nuti, ma dopo aver ascoltato il problema dei nostri amici de-

pag. 49

cise che avrebbe investigato per loro.Il ragazzo si recò nel luogo inquinato dalla diossina e feceun ampio giro per verificare che non ci fossero fabbricheche con i loro liquami potessero aver inquinato un corsod’acqua e tutto l’ambiente circostante.Nel suo ampio giro di perlustrazione trovò una grossa cen-trale a biomasse. Quando tornò dai nostri amici, riferì quel-lo che aveva trovato e promise che il giorno dopo sarebbeentrato dentro la centrale per fare delle verifiche. “Che cos’è una centrale a biomasse?” chiese Miwa incuriosi-ta.“Una centrale a biomasse è formata da una grossa caldaiadove si bruciano sostanze vegetali e dove il calore prodottoscalda una certa quantità d’acqua che, una volta trasforma-ta in vapore, fa girare una turbina che produce elettricità.”Spiegò Fabrizio che era un giornalista molto informato. “Ah, ho capito!” proruppe Miwa, “come quando mammacuoce la pasta e l’acqua, quando bolle fa le nuvolette di fu-mo. Quello è il vapore, vero?”“Sì!” interruppe Zumpicarchs, “ma almeno quello non inqui-na!”“Che vuoi dire?” chiese Vita che era rimasta ad ascoltare convivo interesse.“Voglio dire che bruciare sostanze vegetali, se da una parteaiuta a ridurre l’inquinamento del suolo che viene ripulito,dall’altra, contribuiscono all’inquinamento dell’aria con i fu-mi della combustione, dando una mano all’effetto serra eprovocando le piogge acide.Fabrizio era pensieroso. “Però esiste uno studio” esordì di-mostrando che si era bene informato, “che dice che l’anidri-de carbonica prodotta da una pianta che viene bruciata, èpiù o meno la stessa quantità che la pianta avrebbe prodot-to nella sua intera vita se fosse stata lasciata vivere…”“Sì” sbottò il folletto, “ma abbiamo bruciato anche tuttol’ossigeno che la stessa pianta avrebbe prodotto di giorno,nella sua intera vita!”Fabrizio rifletté un paio di secondi, poi cominciò a parlare.

“In effetti tutte le sostanze vegetali se bruciate produconoinquinanti, anzi, ogni volta che si brucia qualcosa di organi-co in presenza di cloro, che si trova quasi dappertutto, siproduce la più velenosa delle diossine. E non c’è solo ladiossina, ma tante altre sostanze inquinanti. Pensate che iltabacco da solo ne possiede quasi quattromila. Quelle sonostate contate.”“Ma questo non spiega la grande quantità di diossina trova-ta nell’ambiente, vero?” domandò Vita che aveva capito do-ve stava la stranezza del problema. Zumpicarchs cominciò a pestare i piedi.“Puah! Uomini! L’uomo è l’unico animale inquinante che vi-va su questo pianeta, fin da quando ha imparato ad accen-dere il fuoco! E’ovvio che tutto ciò che viene bruciato inqui-na! Quello che non hanno ancora imparato è che le cose sistudiano, si analizzano con attenzione e, soprattutto, quan-do si progettano impianti che servono alla collettività, sicoinvolge tutta la collettività che vive nel territorio interes-sato. Se si ha paura del dibattito trasparente e democratico,non si va da nessuna parte! Razza individualista sporcaccio-na e distruttrice!” sentenziò.“Questo, però, non spiega la presenza di una quantità didiossina eccessiva rispetto alle previsioni, vero?” chiese Mi-wa.“No. Occorre ampliare le nostre indagini!” Esclamò Fabrizioche si era appassionato alla vicenda. Salirono tutti in groppa a Vita che in tre secondi li portò piùin alto delle nuvole. Volare lassù, tra i ciuffi bianchi di nu-volette fitte, era stupendo. Fabrizio che in genere teneva gliocchiali a fermare i capelli come un cerchietto, li aveva ca-lati sugli occhi e l’aria che schiacciava indietro i suoi capelliribelli gli dava un senso di ebbrezza.Il folletto richiamò tutti all’ordine. “Da quassù non si vedeniente!” brontolò “scendiamo sotto le nuvole!”Vita ubbidì e con una virata in velocità si abbassò quel tantoche bastava per rendersi conto di quello che succedeva interra.

pag. 51

Rimasero tutti a bocca aperta. Il paesaggio era desolato.Non c’era più un albero, un cespuglio, un arbusto. Avevanobruciato tutto! Altro che Piuma d’Angelo! Cacca di demonioavrebbe dovuto chiamarsi quel posto!Fabrizio ebbe una stretta allo stomaco e Miwa dovette lotta-re per non far uscire le lacrime. Anche lo scontroso folletto,abbandonando la sua proverbiale freddezza, si lasciò anda-re allo stupore attonito. Non c’era più niente nei paraggi!“Ma così non va bene!” protestò Miwa. Ora chi ci darà l’ossi-geno per respirare?”Scesero all’interno della recinzione della centrale e scopri-rono che, in mancanza di vegetali per far funzionare il mec-canismo, avevano iniziato a bruciare i rifiuti!Ecco spiegato il mistero della diossina.Fabrizio decise che avrebbe denunciato il fatto e scrisse ad-dirittura un libro che raccontava la storia. Dopo la denunciala centrale fu chiusa in attesa della bonifica del territoriocircostante, e il giornalista, con il suo libro denuncia, riuscìa convincere il governo a investire in ricerca per l’energiasolare, la sola energia pulita disponibile in grandi quantità.“Era ora che si fossero decisi!” brontolò il folletto.Miwa guardò verso il sole. Il sole non si può guardare, infatticominciarono a lacrimarle gli occhi anche a guardare solodalla sua parte. Pensò che se è vero che il sole produce piùdi un miliardo di volte dell’energia che ci serve, sarà benecercare di utilizzarla, invece di bruciare tutta la terra!

Viola esploratrice

Un giorno, Viola, una vispa bambina di tre anni, prese il suocappello da esploratrice e andò in esplorazione.Durante il viaggio incontrò la scimmia Berenice. “Ha! Ha! ha!” rise quella “Viola non è viola! Viola non è vio-la!”Viola ci rimase molto male. Quella scimmia dispettosa l’ave-va portata in giro perché il suo nome è anche quello di uncolore. Certo che non è viola! Mica è un disegno! E’ una bellabambina in carne e ossa. Le scimmie sono proprio antipati-che!Viola però non si fece scoraggiare dall’incontro con la scim-mia cattiva e continuò il suo viaggio esplorativo.Dopo aver camminato un po’, incontrò le margherite. “Ha! Ha! Ha!” risero quelle “Viola non è una viola! Viola nonè una viola!”“E neanche una margherita!” si arrabbiò Viola che comin-ciava a stufarsi di incontrare solo gente malvagia. Fece perandarsene quando una piccola margherita la chiamò.“Non farci caso!” le sussurrò “le mie compagne sono invi-diose e cattive! Sono piantate per terra e guardano solo interra. Io invece, vorrei tanto viaggiare, alzarmi da terra edesplorare il mondo”.“Beh puoi venire con me!” esclamò Viola che aveva propriovoglia di stare in compagnia.La margherita si fece cogliere, raccomandando a Viola di fa-re attenzione a non danneggiare la pianta e trovò posto trai capelli della bambina che così divenne ancora più bella.Continuarono il loro viaggio e a un certo punto incontraro-no la gatta Liquirizia.La gatta piangeva con certe lacrime così grosse che Viola sibagnò i piedi.“Perché piangi?” chiese Viola.

pag. 53

“Piango perché il cane mi porta in giro. Mi dice che non mimangia per non farsi venire la bocca nera!” “Non piangere gattina!” le mormorò Viola facendole una ca-rezza, “hai un nome simpatico e non devi fare caso a quelloche dicono gli altri. Vuoi venire con noi? Stiamo esplorandoil mondo…”La gattina si aggregò e tutti e tre continuarono il viaggio. A un certo punto si fermarono e rimasero a bocca aperta.Un grande arcobaleno si stagliava alto nel cielo blu. Comeper magia il violetto scese dall’arcobaleno e prese Viola inbraccio, senza dimenticare Margherita e Liquirizia. Volaro-no in alto nel cielo. Viola dovette tenere il cappello e Mar-gherita per non farli volare via ma non ebbe paura. Volaro-no sempre più in alto fino a raggiungere gli altri sei coloridell’arcobaleno e, da lassù, comodamente seduti sul viola,videro il mondo.Le persone erano piccole come formiche, le case, gli animali,tutto era così piccolo e così attaccato alla terra che Violacomprese quanto è importante vedere le cose da un altropunto di vista. Da lassù videro la scimmia Berenice che mangiava le mar-gherite e si arrabbiava con loro, saltellava, gridava e sbrai-tava, poi se la prendeva col cane cattivo che non voleva usci-re con lei.Viola, Margherita e Liquirizia sono ancora lassù e non c’èverso di farle scendere! Se aguzzate l’orecchio sentirete cheancora stanno ridendo a crepapelle!

Viola va al mare

Un giorno Viola, armata di paletta e secchiello, andò al marecon i suoi genitori. Se ne stava tranquilla sulla spiaggia,quando vide in mezzo all’acqua un pesciolino nero.“Oh, che bel pesciolino, vieni che ti prendo!” gli disse.“Fossi matto!” rispose quello “non mi faccio certo prenderedai bambini! Piuttosto, sono io che devo farti venire conme!” “Perché dovrei venire con te?” chiese Viola che in verità nonaveva tanta voglia di tuffarsi.“Perché la Regina vuole parlarti, perché sennò?”“Ah,” esclamò Viola curiosa “e perché vuole parlarmi?”“Perché c’è un pericolo, è ovvio!” asserì con fermezza il pe-sciolino.“E io che dovrei fare?” domandò Viola incuriosita.“Devi aiutarci, mi sembra ovvio! Lo dice il protocollo!”“Il che?” Viola non capiva bene il linguaggio del pesce, anchese ormai, a tre anni e quasi mezzo, il suo vocabolario era ve-ramente molto più nutrito di certe persone grandi…“Oh insomma, quante domande! Lo sapevo io che non ti do-vevo venire a chiamare, ma la Regina ha insistito tanto! Se-condo me sei troppo piccola per fare qualcosa di buono!”brontolò il pesce.Viola guardò indietro, verso i suoi genitori. Stavano sdraiatia leggere e in quel momento non la guardavano, così, abban-donati secchiello e paletta sul bagnasciuga, si tuffò dietro alpiccolo pesce nero.Quando arrivarono dalla Regina, Viola dovette immergersifino alla sua tana, ma si sa, gli umani non possono resistereper tanto tempo sott’acqua, così la Regina si sistemò sottoil pelo dell’acqua in modo che Viola potesse parlare senzaproblemi.La Regina era una piovra gigantesca ma Viola non ebbe pau-

pag. 55

ra perché si dimostrò subito molto gentile.“Allora, Viola, mi sono decisa a chiedere il tuo aiuto perchéabbiamo un serio problema: tre tartarughe sono morte. Era-no molto giovani, non crediamo che fossero malate. Tu do-vrai scoprire perché e dovrai aiutarci a risolvere questo pro-blema!”Viola ci ragionò su. Difficile, molto difficile. Non sapeva dache parte cominciare. Ma la curiosità prevalse e promise chealmeno ci avrebbe provato.Il pesciolino nero l’accompagnò al largo e lì Viola si accorsecon grande tristezza che il mare era pieno di immondizia.Buste di plastica, tappi di bottiglia, bottiglie e bottigliette diplastica, insomma una vera pattumiera!Si accorse poi che il vento e le maree trascinano questa ro-baccia dalle spiagge verso il largo, le tartarughe marine laconfondono con le meduse e la mangiano, così, cercando diinghiottirla, muoiono affogate. Viola tornò dalla Regina con una grande tristezza. Raccontòquello che aveva visto. Era davvero impossibile fare qualco-sa subito. La Regina si occupò, con scarso successo, di in-segnare alle tartarughe che non tutto quello che fluttua inacqua si può mangiare, ma Viola, quando tornò in spiaggia,cominciò a raccogliere tutta la plastica e a buttarla nel sec-chio dell’immondizia. Prima i bambini la guardavano schifati, poi, però capironoche anche se l’immondizia non è nostra, è nostro il mondo,e quindi facciamo bene a ripulirlo.Viola continuò imperterrita fino a quando la spiaggia non fucompletamente ripulita poi, guardò con tristezza verso ilmare, le sembrò di vedere un tentacolo che la salutava, allo-ra prese un impegno solenne. Da grande avrebbe fatto ditutto per far sparire le buste di plastica dalla faccia dellaterra. Chissà, amici, se ci riuscirà?

Viola va in campagna

Un giorno Viola decise di fare una passeggiata in campagna.Mentre passeggiava tranquilla una lepre le passò davanti aipiedi, correndo come una furia.“Mamma mia, che paura!” esclamò Viola che era rimastaferma come un sasso. La lepre andava così veloce che Violanon vide neanche le sue orecchie. E pensare che le lepri han-no orecchie davvero molto grandi!Dopo un po’ la lepre ritornò, ma questa volta si fermò da-vanti a Viola e si mise ritta sulle zampe posteriori.“Aiutami, bambina, aiutami, ho bisogno del tuo aiuto, ti pre-go!”Viola rimase a bocca aperta. Una lepre aveva bisogno delsuo aiuto? Ma come era possibile?“Sono una bambina, non so aiutare le lepri. Ancora devo im-parare tutte le cose!”Viola avrebbe voluto essere come la sua mamma che erauna naturalista, ma a tre anni e poco più è un po’ presto perdiventare una naturalista, quindi la lepre aveva poco da spe-rare. Viola non sapeva cosa fare ma la lepre piangeva con grosselacrime e lei non seppe dire di no, così la seguì per vederedi cosa avesse bisogno.La lepre la condusse attraverso un bosco, fino ad arrivare auna radura dove, incastrato in una tagliola, c’era un leprot-to, il suo leprotto. Il cucciolo piangeva perché aveva unazampetta intrappolata. Si sa, le tagliole hanno i denti comegli squali, e quella era proprio una tagliola cattiva. Stringevala zampetta del povero leprotto e non voleva aprirsi.Viola tentò di aprire la tagliola ma quella era veramente pe-sante e non ne voleva sapere di lasciare la presa, quindi cer-cò un’altra soluzione. Prese un bastoncino e fece leva nellatagliola e, dopo tanta fatica, quella fece uno schiocco secco

pag. 57

e si aprì: clang!Una volta libero il leprotto le si avvicinò e si fece accarezza-re. Invece della coda aveva un batuffolo. “Sei stata buona, bambina. Come ti chiami?”chiese mammalepre mentre controllava che la zampa del figlio non fosserotta.“Viola!” esclamò la bambina ancora affaticata per lo sforzo“e tu?”.“Io sono Marta la lepre! Bene, Viola, meriti un regalo, consi-derati nostra ospite!” disse indicando l’ingresso della tana,una buca nel terreno.Viola sorrise. “Come faccio a entrare nella tua tana? Sonotroppo grossa!”La lepre sorrise a sua volta, poi le soffiò addosso. In due se-condi Viola era diventata piccola piccola, come il leprotto.Prima si spaventò ma poco, perché Viola è molto coraggio-sa, poi, dato che ormai era rimpicciolita e non poteva farciniente, seguì madre e figlio dentro la tana.Le lepri la condussero attraverso gallerie e cunicoli moltobui, fino ad arrivare a una pesante porta di legno. La lepreaprì la porta e davanti agli occhi sbigottiti di Viola apparveuna grossa caverna arredata come una casa vera. Con gran-de stupore di Viola la lepre la condusse a una tavola appa-recchiata con tutte le delizie del mondo, anche le arachidisalate di cui Viola era ghiotta. Ovviamente non mancavanole carote, che piacciono tanto alle lepri. Dopo aver mangiatole arachidi, ma non tante per non farsi venire il mal di pan-cia, Viola si accorse che qualcuno bussava alla porta dellacaverna. La lepre andò ad aprire e una vecchia lepre biancache si reggeva con un bastone entrò nella grande stanza.“La grande Lepre!” mormorò Marta all’orecchio di Viola.“Voglio conoscere questa fanciulla coraggiosa!” esclamò lavecchia bianchissima lepre “dovrà aiutarci a liberare il no-stro terreno da quelle tagliole malefiche!” poi, rivolta a Vio-la, “ci aiuterai, vero?”Viola era anche un po’ spaventata, perché non capita micatutti i giorni di diventare piccola come un leprotto e di esse-

re invitata a pranzo dalle lepri! Guardò la lepre anziana e siaccorse, dal suo sguardo, che le lepri non avevano più spe-ranza. Era lei la loro ultima speranza e decise di aiutarle.“Io…” sussurrò Viola, “vorrei tanto aiutarvi, ma che possofare? Sono solo una bambina di tre anni e poco più…”“Oh, per questo, puoi fare molto! Con le tue manine puoiaiutarci a togliere tutte le tagliole e salvare le lepri!”Così Viola, con l’aiuto delle lepri, chiuse tutte le tagliole epoi le trascinò sul ciglio del burrone e le gettò di sotto. Mentre Viola tornava a casa l’arcobaleno si lanciava alto nelcielo e il violetto, che era suo amico, le strizzò l’occhio. Avolte bisogna anche lavorare sulla terra per aiutare qualcu-no.Quando i bracconieri tornarono a prendere le loro prede,non trovarono più niente, né lepri, né tagliole e fuggironoimpauriti come se avessero visto un fantasma. Se chiedete loro cosa sia successo, rispondono di aver uditodelle risate sinistre…

pag. 59

Viola Ambasciatrice di Pace

Che Viola sia amica dell’arcobaleno lo sappiamo già. E’ statoil Violetto a scendere sulla terra per portarla a fare un girosu nel cielo. Chiedetelo alla gatta Liquirizia se non ci credete: quel gior-no c’era anche lei.Al tempo in cui successero questi fatti Viola, però, non ve-deva più l’arcobaleno da un sacco di tempo. Pioveva e pio-veva da tanti giorni e, si sa, per scorgere l’arcobaleno ci vuo-le un po’ di sole, altrimenti quello se ne sta nascosto e nonsi fa vedere da nessuno.Insomma Viola era triste perché non vedeva più il suo amicoarcobaleno e se ne stava a guardare alla finestra la pioggiabattente che da giorni cadeva senza mai smettere.“Viola!”Viola sentì che qualcuno la chiamava. “Viola!”“Chi mi chiama?” chiese Viola che non vedeva nessuno.“Sono io, la gocciolina!”Viola vide una gocciolina sul vetro che la guardava.“Sono io che ti sto parlando! Non hai mai visto una gocciaparlante?”“Beh, veramente, no!” rispose Viola risoluta e anche un po’spaventata.“Ti va di aiutarmi?” chiese la goccia facendo un po’ la sfac-ciata.Viola è molto coraggiosa, una volta è diventata piccola pic-cola ed è scesa nella tana della lepre! Ma aiutare una gocciad’acqua che ci implora è veramente un’altra cosa!“Beh, se non vuoi, non fa niente!” mormorò delusa la goc-ciolina.“Che cosa vuoi che faccia?” chiese Viola che in fondo avevail desiderio di aiutare la piccola goccia che stava per piange-re. E meno male che non si mise a piangere, altrimenti si sa-

pag. 61

rebbe frantumata in mille piccole lacrime e sarebbe morta!“Dovresti venire con me sulla nuvola madre. Sta succeden-do un disastro!”“E come pensi che possa aiutarti?” domandò Viola.“Sono convinta che tu sia capace di aiutare il popolo dell’ac-qua. Me lo ha detto l’arcobaleno. E’ tuo amico no?” sussurròla piccola goccia come se qualcuno, dall’alto, potesse ascol-tare.Viola decise che avrebbe aiutato il popolo dell’acqua e, dopoun attimo, era dentro un ascensore di vetro che la faceva sa-lire velocemente verso la nuvola nera.L’ascensore aprì le sue porte trasparenti su una nuvola scu-ra piena di fulmini e saette e Viola ebbe molta paura. Erabuio e rumori sinistri venivano dal pavimento soffice maViola, anche se un po’ titubante, appoggiò i piedi sulla nu-vola per andare avanti.Così Viola scoprì che sulla nuvola era scoppiata la guerra. Ilpopolo dei Diquà si era messo contro il popolo dei Dilà e li-tigavano a più non posso. Litigavano per il possesso dellanuvola. A Viola fu portata la fascia della pace, lei la indossòe cercò di parlare con le gocce. A lei sembravano tutte ugua-li, ma quelle Diquà erano convinte di essere così diverse daquelle Dilà che non ne volevano sapere di fare la pace.Viola non sapeva come comportarsi. Cercò di portare qual-che esempio delle cose che sapeva degli uomini.“Gli uomini sono tutti stupidi!” sentenziò Aurilla Diquà, unagoccia vecchia e saggia.“Non vogliamo certo seguire il loro esempio, in quanto a fa-re la pace che non sanno neanche cosa sia!” rimarcò Pilla Di-là, una giovane goccia molto graziosa.“Non è vero, i bambini sono diversi!” protestò Viola, ma pre-sto capì che doveva cambiare tattica.“Ho un’idea!” esclamò Viola che cercava una soluzione al-meno per smettere la guerra.“Io traccerò un confine con il mio pennarello. La nuvola saràdivisa perfettamente a metà, così ne fate un po’ per ciascu-no e non litigate più!”

Le gocce furono subito d’accordo, ma c’era qualcosa in que-sta soluzione che a Viola non piaceva. “Basta fare a metà perfare la pace?” Si domandava.Però sembrava che le cose andassero davvero meglio, alme-no avevano smesso di fare la guerra. Però si odiavano lostesso.La gocciolina ringraziò molto Viola e l’accompagnò al-l’ascensore, ma Viola era triste e non sapeva se aveva dav-vero fatto una cosa giusta. A malincuore entrò dentrol’ascensore di vetro. Stavano per chiudersi le porte quandouna goccia dei Diquà corse trafelata verso di loro.“Aspettate!” ansimò “è successo un incidente diplomatico!Erinna Diquà e Aolo Dilà si sono innamorati! Ricomincerà laguerra!”Allora Viola ritornò sulla nuvola e, indossata di nuovo la fa-scia a sette colori, volle incontrare i due innamorati.I due si erano sposati di nascosto, ma ora non riuscivanopiù a nascondersi, e le loro famiglie stavano per entrare dinuovo in guerra. Allora Viola prese una decisione: “Costruirete la vostra casaproprio sul confine tra i Dilà e i Diquà, e che nessuno viostacoli!”Le gocce costruirono una bella casa proprio sopra alla rigache aveva tracciato Viola con il suo pennarello e, di fronteal grande amore delle due gocce non ebbero cuore di rico-minciare a litigare.Questa volta Viola fu molto soddisfatta della sua decisione.Tornò all’ascensore che la riportò a terra. Mentre scendeva,il cielo si era schiarito e un bellissimo arcobaleno coloravail cielo. Viola ripensò a quando aveva tracciato la linea diconfine, poi alla costruzione della casa proprio nel mezzo.E giunse a una conclusione. Solo l’amore può cancellare iconfini…

pag. 63

Viola e la nube tossica

Un giorno Viola vide una grossa, minacciosa nube tossicaavvicinarsi alla città. Per vedere meglio prese il cannocchialedi nonno Berto e si accorse che al suo passaggio la nube di-struggeva tutte le piante e i fiori che diventavano secchi eneri.Viola si spaventò molto ma non si perse d’animo. Per primacosa spalancò la finestra e chiamò il suo amico arcobaleno.“Viola, Violetta bella, che bello, che bello!” rideva gioiosol’arcobaleno.“Ciao Arcobaleno, c’è un problema, vuoi aiutarmi?” chieseViola al suo amico.“Che bello, che bello!” l’arcobaleno giocoso si divertiva agiocare con le goccioline d’acqua.“Ti prego arcobaleno, ascoltami, c’è un problema grande,grande come una nube tossica, guarda tu stesso!”Il viola si stese come una lunga mano, afferrò Viola e, insie-me, andarono a vedere. La nube tossica si stava avvicinandopericolosamente alla città e dove passava lasciava solo di-struzione. “Ora capisci perché mi devi aiutare?” domandò Viola all’ar-cobaleno che pensava solo a giocare e divertirsi.“Ma che posso fare io?” piagnucolò l’arcobaleno, “sono soloun arcobaleno! Il vento! Il vento può aiutarti! Chiama il ven-to Viola…” e, lasciando Viola quasi in lacrime, seduta su unanuvola, l’arcobaleno sparì.Viola non sapeva che fare. Quando si rese conto di essere suuna nuvola pensò che le nuvole sono amiche del vento, cosìgridò:“Nuvola, nuvola, mi senti? Ho bisogno di chiamare il vento!Hai capito? Il vento mi deve aiutare a spazzare via la nubetossica!”Niente. Quella nuvola sembrava sorda così Viola iniziò a

pag. 65

battere i piedi.“Hi hi hi, chi è che mi fa il solletico?” disse una vocetta squil-lante dall’interno della nuvola.“Sono io, Viola!”“E chi saresti tu, Viola?”“Sono una bambina!”“Oh, una bambina, non ne vedevo una da quando ero acquadi mare e i bambini venivano a schizzarsi e divertirsi sullaspiaggia!”“Senti nuvola, non vorrei essere scortese con te, ma ho as-solutissimamente bisogno di parlare con il vento. La mia cit-tà è in grave pericolo!”“Oh” rispose la nuvola un po’ offesa, “ma io non sono cheun cirrocumulo, una nuvoletta piccola come una pecorella,non posso parlare con il vento. Guarda, vedi quegli altocu-muli? Forse loro ti possono aiutare! Se vuoi ti accompagnoda loro!”Viola abbassò gli occhi. Gli altocumuli sono nubi più grandidei cirrocumuli, ma stanno un po’ più in basso.“Buongiorno signor altocumulo!” salutò Viola educatamente“sto cercando qualcuno che possa farmi parlare al vento!”“E’ una cosa che gli umani amano fare spesso!” rispose l’al-tocumulo scorbutico.“No, hai capito male, vorrei parlare CON il vento… insom-ma ho bisogno di chiedere aiuto al vento, ecco!” proruppeViola esasperata.“No, no, no, io non ci parlo con il vento!” esordì quello offe-sissimo, “vai da quello, quello è un Cumulus Congestus, luiforse ti potrà aiutare!” Girò le spalle e per poco non la fececadere. Fortunatamente un Cumulus Humilis la raccolse sulsuo suolo soffice e si offrì di accompagnarla dal CumulusCongestus. Il Cumulus Congestus è una torre di nubi molto alta e Violasi spaventò un po’ a vederlo. “Salve signor…”. Viola ha tre anni e quasi mezzo, conoscetantissime parole, ma queste parole difficili non se le ricor-dava, però era così determinata che riuscì a rimediare così:

“Signor Nuvola, mi farebbe la cortesia di portarmi dal Ven-to? Ho urgente bisogno di parlargli!”Il Cumulus Congestus sorrise a vedere un essere così picco-lo sfidare una nuvola così minacciosa e, abbandonata la suaprepotenza, rispose a Viola.“Cara bambina, nonostante gli umani non si meritino nien-te, ma proprio niente, ti dirò come fare. Io non posso avvi-cinare il Vento, ma lui sì!” Indicò un altissimo cumulonem-bo.Viola aveva le gambe che tremavano. L’imponente nube eraalta chilometri e chilometri, minacciosa e spettacolare, diuna bellezza terrificante.“Ti accompagno da lui, se vuoi!” confermò il Cumulus a Vio-la.Quando Viola arrivò dal Cumulonembo era spaventata madecisa a chiedere aiuto.“Certo che conosco il vento!” tuonò la nuvola con un boatocosì spaventoso che Viola ebbe un brivido che le fece driz-zare tutti i peli delle braccia. “Ma non ho voglia di aiutare gli umani!” brontolò, “razza in-quinatrice sporcacciona e distruttrice!” sentenziò.Viola ragionò che effettivamente la nuvola non aveva tutti itorti, ma comunque doveva tentare.“Se non ci aiuterai la nostra città sarà distrutta, e forse que-sta nuvola distruggerà tutte le persone sulla terra!” insistet-te Viola.“Meglio! Così la finiranno di distruggere il pianeta!” affermòquello.Era davvero un osso duro, ma Viola non si arrese.“Se non mi aiuterai, anche gli animali saranno distrutti, nonsentirai più il leggero volo delle farfalle, non potrai piùascoltare le chiacchiere delle ranocchie nello stagno, o il fri-nire dei grilli di notte e delle cicale di giorno. Non potrai piùvedere le zebre correre o gli elefanti farsi il bagno, i delfiniche giocano e le piccole tartarughe marine che corrono ver-so il mare. La nuvola si lasciò sfuggire una lacrima grossa come un bic-

pag. 67

chiere d’acqua che per poco non investì Viola in testa.“Va bene, ti aiutero!”Prese Viola e l’appoggiò delicatamente a terra, poi tornò al-tissima nel cielo e, dopo un attimo un fortissimo vento pre-se a soffiare disperdendo la nube tossica nell’atmosfera ter-restre. Dopo pochi minuti scoppiò un violento temporalecon lampi, tuoni, fulmini e saette, ma Viola non ebbe piùpaura. Era il suo amico cumulonembo che la stava aiutandolavando via le sostanze tossiche con la pioggia.Dopo il temporale, un gigantesco arcobaleno salutò Violadall’alto e lei, stanca e soddisfatta, tornò a casa ma si fermòun attimo a riflettere: “Tutti gli uomini dovrebbero combat-tere contro le nubi tossiche. Da grande, sicuramente, io lofarò!”

La principessa e il drago

Un giorno Viola leggeva una bella favola dal titolo “La prin-cipessa e il drago”. Era così presa dalla lettura che, non si sacome, non si sa perché, cadde nel libro.Poverina! Cadde davvero! E rotolò fino a sbattere forte con-tro un grande armadio di legno.“Era ora che arrivassi!” le disse una voce che sembrava ap-partenere a una bambina della sua età. Viola si rialzò mas-saggiandosi il sederino e va bene che era frastornata, maga-ri si può cadere dalle nuvole, non capita certo tutti i giornidi cadere nelle favole, però non riusciva a credere ai suoi oc-chi. Seduta sul pesante letto a baldacchino c’era una bambi-na perfettamente identica a lei. Sembrava di guardarsi nellospecchio! Però quella parlava, anzi se la rideva di gusto.“Insomma, chiudi quella bocca!” scherzò guardando Violache ancora aveva la bocca aperta per lo stupore.“Chi… chi sei?” riuscì a balbettare Viola che si era moltospaventata.“Sono la Principessa Violabellapipinacalzacorta, e ho biso-gno del tuo aiuto! Il mio drago è scomparso e nessuno mivuole aiutare a cercarlo. Andrò a cercarlo e tu prenderai ilmio posto qui, al castello!”Viola si guardò intorno. Era un vero castello, dalla finestrasi vedevano le torri e intorno c’era un profondo fossato do-ve guizzavano dei pericolosi draghi acquatici. Viola era si-cura di voler aiutare la principessa, come si può dire di noa nostra sorella gemella? Ma era preoccupata per i suoi ge-nitori. La Principessa l’anticipò.“Ah, dimenticavo, non preoccuparti per il tuo mondo. Hofermato il tempo!” sghignazzò facendo vedere a Viola unorologio magico ferma tempo che teneva nascosto sotto ilcuscino.

pag. 69

Poi si vestì da contadina, con il fazzoletto sulla testa, aiutòViola a indossare i vestiti da principessa e, prima che Violariuscisse a dire “ba” bussarono alla porta e la principessaViolabellapipinacalzacorta si calò velocemente dalla fine-stra facendo ciao con la mano.Bussarono di nuovo. Viola comprese che finché non avessedetto “Avanti!” nessuno sarebbe entrato, così aspettò un al-tro pochino cercando di riordinare le idee, ma quando ilbussare si fece frenetico cedette. “Avanti!” gracchiò con vo-ce tremante.Entrò una signora grassissima con la cuffia bianca e i guantibianchi. “Principessa, vi siete vestita da sola?”Viola annuì, squadrando quella strana signora. La principes-sa vera non aveva fatto in tempo a suggerirle come si dove-va comportare, così lei cercò di parlare il meno possibile as-secondando le richieste di quella strana tata e mangiandoper bene tutte le cose della colazione.“Principessa, vi sentite bene?” fu la richiesta della tata.“Si!” asserì decisamente Viola mentre mandava giù un buo-nissimo biscotto al burro.Poi Viola fu lasciata libera di girare per il castello. Evidente-mente era un periodo di vacanza, altrimenti si sa, le princi-pesse devono andare a scuola come tutti gli altri bambini!Incontrò la strega Pitta, una bellissima donna che la squa-drò da capo a piedi. Forse si era accorta dell’inganno.“Siete preoccupata per il vostro drago, vero?” le chiese condolcezza.Viola annuì e fu tentata di rivelare alla bella signora il truccodello scambio ma si trattenne dal farlo e cercò prima di in-dagare sulla strana sparizione.La principessa Violabellapipinacalzacorta era ormai lonta-na alla ricerca del magnifico animale e Viola avrebbe desi-derato partecipare alle ricerche, invece di starsene a palaz-zo vestita con abiti sontuosi che la facevano sentire legatacome un baccalà. Decise che non se ne sarebbe stata con le mani in mano eche avrebbe ispezionato il castello da cima a fondo.

Raggiunse le torri tremolanti. In una di queste abitava lastrega Pitta. Era profumata di erbe medicinali, polveri e un-guenti. La strega si mise Viola sulle ginocchia e le raccontòche le lacrime di drago hanno un potere straordinario diguarire qualsiasi ferita, ma lei non se la sentiva di far pian-gere un drago perché per farlo bisognava provocargli ungrande dolore. La strega profumava di lavanda e le sue vestifrusciavano morbide. Viola avrebbe voluto restare con leima si era prefissata di indagare e così continuò la sua ispe-zione. In un’altra torre traballante e polverosa abitava unostregone che aveva in testa un cappellaccio nero a punta eche non poteva vedere i bambini. Quando la vide la scacciòin malo modo. Viola però, decise di ritornare a vedere la tor-re quando lo stregone se ne fosse andato. Aveva intravistocon la coda dell’occhio una strana catena, troppo grossa peranimali normali. Chissà, forse lo stregone c’entrava qualco-sa sulla strana sparizione.Chiese notizie al giullare. “Chi? Stregomatto? Lascia stare, quello è matto ma è inno-cuo! Sai che ti dico? Il drago è morto! Chi l’ha rapito non sache i draghi vanno trattati con rispetto. Sono creature ma-gnifiche e sensibili. Se vengono privati della libertà preferi-scono morire!”Viola ascoltò con molta paura le parole del giullare ma nonsi diede per vinta. Vide dalla finestra il malvagio stregone,che si aggirava furtivo vicino al fossato, così decise di ispe-zionare la torre. Quella che aveva intravisto era una catenamolto grossa ma era stata spezzata. C’era attaccato un col-lare largo un metro. Solo un vero drago ha un collo cosìgrosso. Viola decise di seguire lo stregone. Avrebbe voluto avvertirela principessa Violabellapipinacalzacorta ma non sapeva co-me fare e così andò di corsa dietro allo stregone. Questi ar-meggiava vicino al fossato con dei pezzi di carne che gli ser-vivano per tenere occupati i pericolosi draghi acquaticimentre si tuffava nell’acqua.Viola non si perse d’animo e si tuffò dietro di lui cercando

pag. 71

di non farsi vedere. Lo stregone entrò in un passaggio segre-to e raggiunse una grandissima stanza dal soffitto alto al-meno quindici metri.Sul pavimento della stanza c’era accovacciato un dragomezzo morto. Viola sgattaiolò vicino al drago e vide che nonaveva mangiato la carne che lo stregone gli aveva portato. Ildrago la vide, la guardò attentamente, poi, accorgendosi chenon era la sua amata Violabellapipinacalzacorta rimise la te-sta appoggiata sulle zampe anteriori e chiuse gli occhi. Sem-brava voler morire. Viola cominciò ad armeggiare con il pe-sante collare. Era grosso almeno il doppio dell’altro, vera-mente troppo grosso per le sue piccole mani. “Guarda guarda chi c’era qua!” tuonò il malvagio stregonequando la vide. “Bene, principessa, ora dovranno piangere la tua morte, per-ché nessuno scoprirà questa stanza segreta! E io ruberò aldrago il potere di guarigione e diventerò il padrone del re-gno! Ha ha ha ha ha!”Viola aveva preso una decisione avventata e ora non sapevacome fare a mettersi in contatto con la principessa Violabel-lapipinacalzacorta. Le venne da piangere, le bambine di treanni e poco più a volte piangono, ma lei cercò di fare unosforzo per riflettere sul da farsi.Se si fosse gettata in acqua i draghi acquatici l’avrebbero di-vorata in un solo boccone e la stanza era così alta che nonsarebbe mai arrivata alla piccola finestra che faceva intrave-dere uno spicchio di cielo. Nel frattempo i genitori di Violabellapipinacalzacorta pian-gevano come fontane con certe lacrime che rischiavano diallagare il castello perché non trovavano più la loro bambi-na. La principessa che non si era allontanata troppo dal ca-stello ritornò di corsa al suo posto credendo che Viola se nefosse uscita dal libro e se ne fosse tornata a casa sua.Quando tornò però notò qualcosa di strano. In camera suac’era un collare enorme con la catena spezzata. Capì cheViola non se ne era andata e fingendo di aver perso la me-moria, chiese a tutti che le raccontassero tutti i suoi sposta-

menti degli ultimi giorni.Il giullare riferì che l’ultima volta che l’aveva vista era vicinoal fossato, così la principessa si recò nel luogo dove in effet-ti si vedevano anche le impronte dei suoi piccoli piedi chearrivavano fino all’acqua ma non tornavano indietro.Mentre stava pensando con terrore che Viola poteva esserecaduta in acqua, lo stregone arrivò di corsa.“Ma…” blaterò “co… come hai fatto a liberarti?”Senza pensarci un attimo si gettò in acqua dimenticandosidi tirare la carne ai malefici draghi. Questi non ci pensarononeanche un istante e si avventarono sullo stregone tutti in-sieme.La principessa si tuffò in acqua e trovò subito il passaggiosegreto. Il drago quando la vide mugolò e uggiolò ricono-scendola e lei poté liberare la sua amica. Accarezzò il dragosulla testa “non avere paura, tornerò a liberarti!”Prese Viola per mano e insieme tornarono nell’acqua ancoralibera dai draghi. Il giullare si stropicciò gli occhi guardandoprima Viola, poi Violabellapipinacalzacorta, poi se ne andòscuotendo la testa.Tornarono nella stanza della principessa.“Grazie Viola, hai salvato la vita del mio drago!” Le mostròla pagina del libro che era gigante e sembrava fatta d’acqua.“Torna a trovarmi!” le gridò dietro mentre Viola si tuffavaper tornare nel suo mondo.“Ciao Principessa!” la salutò Viola e, un attimo dopo, si tro-vo a sedere sul suo letto.

pag. 73

Viola e la principessa Rosmarina

“Aiuto, Viola, vieni a salvarmi!”Viola si svegliò in un bagno di sudore. Aveva sognato! Nelsogno la principessa Rosmarina le chiedeva aiuto. Era rin-chiusa in una torre altissima e a fare da guardia c’era unmalvagio drago nero. Per tutto il giorno Viola pensò alla povera principessa pri-gioniera e, anche se era un sogno, pensò che forse potevafare qualcosa per liberarla. Ma come si fa a liberare una per-sona in un sogno?Ma certo! Mettendosi a sognare di nuovo!Viola si fece fare una camomilla e poi, sbadigliando a piùnon posso, si mise a letto e subito si addormentò.Questa volta si recò davvero nel regno della principessa Ro-smarina. La poverina era rinchiusa nella torre più alta delcastello e Viola, che aveva quattro anni appena compiuti,ebbe una gran paura. Come poteva fare a liberare la princi-pessa che stava così in alto? E con quell’essere malefico, poi,con il rischio di venire mangiata in un boccone con tutte lescarpe?Il drago era seduto sul tetto della torre e non avrebbe maipermesso a nessuno di avvicinarsi, per cui, dopo aver riflet-tuto per qualche minuto, Viola decise che sarebbe entratanel castello e avrebbe raggiunto la torre da dentro.Impresa davvero ardua e difficile! Ma Viola era così determi-nata che riuscì a sgattaiolare all’interno del castello senzadare troppo nell’occhio. D’altra parte i grandi non pensanoche una bambina piccola sia pericolosa, per cui, nasconden-dosi quando c’era gente e camminando in punta di piediquando era sola, Viola riuscì ad arrivare alla vecchia portadella torre.“Principessa Rosmarina!” la chiamò “sono venuta a liberar-ti!” aggiunse “dov’è la chiave?”

pag. 75

“Ciao Viola, sei davvero una brava bambina, ma la chiave cel’ha il mio carceriere che alloggia al piano di sotto. Non ce lafarai mai a prenderla!” rispose la principessa tra le lacrime. Viola si armò di tutto il suo coraggio. Scese di sotto e videsubito la corpulenta guardia che teneva la chiave legata alcollo. Più che vederla la sentì che russava come un trattore!Viola si avvicinò silenziosamente e, con le sue manine pic-cole, riuscì a sfilare dal collo la pesante chiave senza farsisentire. Poi si girò di scatto e cominciò a correre. Era statofin troppo facile. I castelli non hanno il nostro pavimento li-scio, così Viola inciampò su un mattone rotto e fece un ru-more che svegliò la guardia. Viola si immobilizzò e sischiacciò verso il muro, dove c’era un piccolo angolo buio.Il bestione biascicò qualcosa che aveva a che fare con i gattie poi riprese a sbuffare come una locomotiva. Viola che ave-va il cuore che andava a mille, si calmò e, stavolta con moltaattenzione, raggiunse la porta della principessa e l’aprì.“Sono libera!” sussurrò la principessa. Si abbracciarono trale lacrime.“Perché piangi?” domandò Viola “puoi uscire! Sei libera!”La principessa divenne molto triste. Prese Viola per manoma non riuscì a oltrepassare la soglia della stanza. “Ho pau-ra!” mormorò “ho tanta paura! Io non conosco il mondo difuori. I miei genitori, prima di rinchiudermi nella torre han-no detto che lo facevano per il mio bene. Poi sono morti mail drago e le guardie non hanno voluto liberarmi. Hanno det-to che gli uomini sono cattivi e che io non posso venire mal-trattata come le donne del popolo!”Viola ci rimase molto male. Non aveva capito bene il discor-so della principessa ma aveva capito una cosa. La ragazzanon solo era prigioniera della torre, ma anche della sua pau-ra. E come si fa a essere prigionieri della paura? Forse ha ca-tene? Viola ragionò, con grande sforzo per una bambina diquattro anni che crede a quello che vede, che anche se nonsi vedevano c’erano delle catene invisibili che erano fatte dipaura. E la paura non si vede, ma c’è!E come si fa a liberare una principessa dalla paura? La paura

non è come una torre dove basta aprire la porta. La paura èqualcosa che ci hanno inculcato per non farci ragionare conla nostra testa. E dove sarà la porta?La porta, se c’è, è una sola. Uscire dall’isolamento e parlarecon altre donne, convincere le donne del popolo che non bi-sogna aver paura, unirsi contro chi vuole chiuderci la bocca,andare allo scoperto, a testa alta.Viola non sapeva come fare a spiegare queste cose alla bellaprincipessa Rosmarina, ma le raccontò una storia. Le rac-contò di quella volta che l’arcobaleno l’aveva convinta a farfare la pace ai popoli Diquà e Dilà e di come fosse riuscita aportare la pace tra di loro, le raccontò della forza delle pa-role e della volontà determinata di raggiungere un obietti-vo.La principessa era ancora molto scossa dalla liberazionema, anche se le tremavano le gambe, cominciò a uscire e,con grande coraggio, andò in mezzo alle donne del suo po-polo.Viola era soddisfatta, ora poteva svegliarsi. In fondo avevaliberato una persona da due prigioni, non era mica poco!Rosmarina la baciò su una guancia e, con un radioso sorri-so, la salutò.

pag. 77

La terra avvelenata

Un giorno Viola, una vispa bambina di quattro anni, amicadell’arcobaleno, fu chiamata al telefono. Era niente di menoche la Principessa Violabellabella, che lei aveva conosciutotempo addietro.“Scusami Viola se uso questo mezzo rudimentale per met-termi in contatto con te, ma non c’è tempo! E’ urgente! Laterra è in pericolo!”Viola si spaventò molto, è normale che una bimba di appenaquattro anni abbia paura di fronte a un pericolo, ma fortu-natamente la cosa durò poco, perché un magnifico arcoba-leno comparve nel cielo e il viola, strappandole un sorriso,formò una vera scala che Viola, prontamente, salì di corsa.L’arcobaleno fermò il tempo sulla terra per non far preoc-cupare i genitori di Viola e la portò lontanissimo, così lon-tano che neanche lei sapeva dove.Su un nuvola candida era in lacrime la Principessa Violabel-labella. Piangeva così tanto che sotto di lei aveva scatenatoun piccolo temporale con certe gocce così grosse che unasarebbe bastata per un bicchiere da acqua!“Che succede, Principessa?”Viola cercò di consolarla ma ebbe un bel daffare prima chesmettesse di piangere. “Viola…” farfugliò tra i singhiozzi appena riuscì a respirare,“la Terra si è arrabbiata!”D’improvviso come un tuono “Non sono arrabbiata!” la terragridò. “Mi avete avvelenata!”Viola e la Principessa si guardarono a occhi spalancati.La Terra si era raddrizzata. Il suo asse non era più inclinato.Se avesse avuto una terra su cui sedersi lo avrebbe fatto ese avesse avuto le braccia le avrebbe incrociate e se avesseavuto un volto sarebbe stata imbronciata come Viola quan-do alla scuola materna le fanno un dispetto.

pag. 79

“Beh,” cominciò la Principessa “magari non sarebbe un grandanno, solo che non avremo più le stagioni! Perché le stagio-ni ci sono proprio grazie all’inclinazione dell’asse terrestre!”“E perché?” domandò Viola.In verità Viola aveva già avuto il periodo del perché e avevaavuto tutte le risposte alle domande che aveva fatto, maquesta cosa proprio non se la ricordava.“Perché essendo inclinata rispetto al sole e girandogli intor-no, la terra una volta presenta il polo nord dalla parte delsole, e quindi nella metà superiore del globo terrestre èestate e le notti sono più corte, mentre nella metà inferioreè inverno e le notti sono più lunghe. Quando poi il sole nelsuo giro di rivoluzione (quello intorno al sole) presenta ilpolo sud dalla parte del sole, allora è estate nell’emisfero in-feriore!”Viola era stata ad ascoltare a bocca aperta. Si ricordò delsuo mappamondo che in effetti era inclinato.“Ora,” continuò la Principessa, “la Terra si è arrabbiata e siè raddrizzata, provocando un perenne equinozio.”“Ma che cos’è un equinozio?” chiese Viola spaventata.“Oh, è una parola difficile che usano gli scienziati per direche il dì è lungo come la notte.”Viola divenne molto pensierosa. “Che possiamo fare?” poisi rivolse alla terra. “Terra, ehi Terra, mi senti?”“Senti pulcino di quattro primavere, per tua norma io sentotutto, capito?” rispose la Terra con voce di tuono.“Perché sei arrabbiata?” mormorò Viola con le gambe tre-manti.“Mi avete avvelenato i fiumi, i mari, avete aggredito il terri-torio costruendo dappertutto. Avete costruito le serre peravere i frutti fuori stagione. Avete inquinato l’aria, persinola mia bella atmosfera è piena di spazzatura cosmica! Behadesso io mi siedo. E’ ora di farla finita. E vi spazzo via tutticon uno tzunami gigantesco. Così imparate!”“Mamma mia!” sussurrò Viola all’orecchio della Principessa“è proprio arrabbiata!”“Vi sento anche se sussurrate, sapete?” tuonò la terra dalla

sua postazione eretta “voi umani siete di troppo. E di voiposso anche farne a meno, visto che siete così diversi daglialtri esseri viventi da non costituire un anello importantedella catena evolutiva. Anzi, siete una cosa in più!”La principessa Violabellabella ricominciò a piangere comeuna fontana. “Viola, per favore, parlaci tu!”riuscì a dire dopoaver allagato tutta la nuvola con le lacrime.Viola allora si armò di pazienza e parlò alla terra con dol-cezza. Le raccontò dei grilli e delle farfalle, dei piccoli fioridi campo e dei crocus che escono dalla neve. Le parlò delsuo amico arcobaleno e di tutte le volte che l’aveva aiutataa sventare un pericolo. Una volta avevano addirittura salva-to gli animali che stavano per essere inghiottiti da una mac-chia di petrolio nel mare.Cercò di spiegarle che non tutti gli uomini sono uguali e chemolti di loro sono continuamente impegnati sul fronte dellasalvaguardia dell’ambiente.La Terra sembrava pensierosa ma, improvvisamente tuonò:“quando mi avranno avvelenato tutte le acque e sarannomorti i pesci e gli animali e con essi tutta la vegetazione, do-vranno mangiare i cibi in scatola, ma quando anche quellifiniranno, avranno solo i loro soldi e saranno costretti amangiare quelli; vedremo allora come digeriranno!”Era davvero decisa! E poi non aveva affatto torto! E come po-teva convincerla Viola a cambiare idea lasciando perdere ilconcetto di distruggere l’umanità? Era veramente un’impre-sa ardua, ma doveva almeno tentare, non poteva lasciar per-dere.“Insomma Terra, la vuoi smettere di fare i capricci?” gridòViola arrabbiata.“Se fai morire gli uomini farai morire anche me, la Principes-sa e tutti i bambini che non hanno colpa del disastro am-bientale provocato dai loro genitori!”In quel momento l’arcobaleno che si era stancato di staresenza fare niente, toccò la Terra con la sua bella strisciamulticolore.“Chi mi fa il solletico?” chiese risentita quella.

pag. 81

“Sono io, Arcobaleno, guardami, non sono uno spettacolo?”La Terra si commosse. Non poteva farne a meno ogni volta.E più si commuoveva, più le goccioline d’acqua dividevanola luce nei suoi sette colori. Uno spettacolo mozzafiato.Ma non bastò per niente.“Insomma, lasciatemi perdere. Ora mi fermerò del tutto edistruggerò la vita sulla terra!” asserì decisa. “Se non voleteaffogare rimanete sulla nuvola!”Allora Viola prese per mano la Principessa e insieme sceserodalla nuvola. Andarono sulla Terra in mezzo agli uomini manon vollero più parlare con lei.Passarono alcuni giorni e non successe niente. Viola e Vio-labellabella avevano ripreso la loro vita normale, ma aveva-no il cuore in gola pensando al disastro imminente.Poi, un giorno, Viola si accorse che le giornate iniziavano adallungarsi. Si chiese se la Terra si fosse rimessa al suo postoe, infatti, dopo qualche minuto si accorse che l’Arcobalenoera tornato a farle visita. Aveva un messaggio da parte dellaTerra!“Care Viola e Violabellabella” riferì l’arcobaleno “ho decisodi darvi un’altra possibilità. Vi offro una tregua. Nel giro dipochi anni dovrete ripulire il pianeta e renderlo ospitale eaccogliente. Dovrete convincere le persone a non consuma-re tutte le risorse ma a utilizzare quelle rinnovabili. Dovretefare in modo che la gente non misuri il benessere con i sol-di, ma con la felicità. Ci vediamo tra vent’ anni!”“Ma come ha fatto a convincersi?” chiese Viola stupita.L’arcobaleno la fece salire su di sé, poi prese anche Violabel-labella. “Ho dovuto faticare tanto ma ho trovato dei luoghiincontaminati. Le ho parlato di quei luoghi, di tutti gli ani-mali che sarebbero morti se avesse provocato un disastro.Le ho mostrato il pinguino imperatore e il lento bradipo, ilpipistrello gigante e il varano. Le ho detto che voi e tutti ibambini potete essere una speranza per la Terra. Le ho det-to che voi ce la potete fare.Viola e Violabellabella si abbracciarono. Ora avevano un dif-ficile compito, ma almeno potevano provarci!

Elena e il mistero dell’inquinatore folle.(Un’altra delle innumerevoli avventure del folletto

Zumpicarchs e del drago Agatax)

Elena è una bella bambina con un visetto birichino e un vi-spo sorriso sbarazzino. A volte combina anche delle mara-chelle, ma con il suo sorriso i grandi non hanno scampo elei ottiene un immediato perdono.Un giorno, quando aveva da poco compiuto gli otto anni, esi sentiva già un po’ vecchietta per giocare con i bambolottipiagnucolosi, si affacciò alla finestra e vide una cosa stra-nissima: un vecchio stregone con il mantello nero e un cap-pellaccio nero calato fin sopra gli occhi, gettava delle cosein strada e sul marciapiede.Decise in un attimo: sarebbe andata a vedere! Certo, a ottoanni non ti fanno uscire da sola in strada, così sbirciò in cu-cina e vide che la mamma se ne stava con la pancia attaccataai fornelli nell’intento di mescolare una delicata crema che,si sa, se uno abbandona l’impresa, impazzisce e ciao dolce!Mentre verificava la questione principale e cioè che la mam-ma non si accorgesse di niente, Elena sentì un pezzo di te-legiornale:“Le forze dell’ordine di tutta la città sono impegnate alloscopo di individuare i malfattori che stanno gettando dap-pertutto pile, batterie e sostanze altamente inquinanti. Sisospetta di una banda di ragazzini disadattati che si trove-rebbero in loco ma di fatto la polizia brancola nel buio.” Ilgiornalista per l’occasione aveva intervistato il Sindaco, unuomo così pancione che sembrava una palla, e stava man-dando un’intervista. Anche il Sindaco era sicuro che fosseroi ragazzi a essere i responsabili.Elena però non si perse d’animo e, non vista da nessuno,sgattaiolò fuori casa e si precipitò in strada a verificare.Erano proprio pile, batterie e cose altamente inquinanti

pag. 83

quelle che erano state gettate in strada ma Elena non si die-de per vinta. Aveva visto chi ce le aveva buttate ed era deci-sa a ritrovarlo per non far dare la colpa ai ragazzi della ban-da della scialuppa che lei conosceva bene.Per prima cosa andò a trovare Giorgio, il capo della bandadella scialuppa.“Ciao Giorgio, come stai?” gli chiese educatamente.“Oh, ciao Elena, come mai sei sola e da queste parti?”“Ecco, vedi, voglio indagare su un fatto strano. Stamattinaho visto un uomo vestito da stregone, con un mantello neroe un capellaccio da strega calcato sul naso che buttava interra delle cose, poi ho sentito che al telegiornale dicevanoche sono state trovate in strada delle sostanze inquinanti esiccome sospettano di te e della tua banda, sono venuta adavvertirti!”“Oh, mannaggia i pesci andati a male!” imprecò il ragazzino“ma perché qualsiasi cosa succeda in questo paese viene at-tribuita a noi? Hanno davvero fantasia bisogna ammetterlo!Grazie per l’avvertimento!”“Oh, di niente, ma ora come farai?” domandò Elena prima divoltarsi verso la via del ritorno.“Beh, magari,” rispose Giorgio, “potresti telefonare alla po-lizia e raccontare quello che hai visto, così , magari, ci lascia-no in pace!”“Bene, lo farò senz’altro, ma ora devo tornare a casa, sennòsguinzagliano polizia, carabinieri, assistenti sociali, mae-stre, genitori e nonni per cercarmi.”Mentre ritornava a casa Elena si accorse di un fruscio sottoun cespuglio che stava a bordo della strada. “Elena?” chiese una vocetta gracchiante.Elena rimase di sasso e non riuscì a spiccicare parola. Da-vanti a lei c’era un piccolo folletto, con le orecchie a puntae con la pelle verde come quella di un ranocchio. Il follettoaveva in testa un capello rosso e ai piedi un paio di scarperosse. “Tu… tu chi sei?” chiese balbettando Elena che era rimastaa bocca aperta per lo stupore.

“Sono Zumpicarchs, il folletto. E ora, se non ti dispiace, devochiederti se vuoi aiutarci a evitare la distruzione di questopaese a opera del malvagio stregone Zauros. Sbrigati a ri-spondere, per favore.”I folletti, si sa, sono molto scontrosi e Zumpicarchs non fa-ceva eccezione. Anzi era veramente scorbutico.Elena deglutì un paio di volte e si girò intorno per vedere seci fosse qualcuno ma lo sforzo fu inutile. Non solo non c’eranessuno, ma il tempo sembrava essersi fermato. Non c’erauna macchina che passava e nemmeno un insetto che vola-va. “Beh io… vorrei… vorrei aiutarti, ma come? Ho solo otto an-ni!” bofonchiò impacciata.“Senti, piccola, anche per me sei troppo piccola per aiutarcima il principe: no, è lei, solo lei può aiutarci. E così la miaopinione non è stata tenuta in debito conto. Sei stata scelta,ecco tutto. Allora che cosa hai deciso?” chiese con malagra-zia.Elena si spaventò ma davvero per poco. “Ma la mia mamma, quando si accorgerà della mia assenza,andrà su tutte le furie, mi verrà a cercare e…”Il folletto la interruppe. “Oh, a questo c’è rimedio!” Tirò fuo-ri dalla tasca del panciotto un grosso orologio e lo mostrò aElena. “Vedi? Ho fermato il tempo!”Ecco perché non si muoveva niente! Aveva fermato il tempo!Così la mamma con tutta probabilità era ancora lì, ferma,nell’atto di mescolare la crema!“Fico!” esclamò Elena tappandosi subito la bocca. Con i fol-letti non bisogna essere maleducati, altrimenti si offendonoe spariscono!“Beh, in questo caso, vorrei aiutarti!” esclamò tutto d’un fia-to.“Bene!” sentenziò il folletto rimettendo in tasca il preziosoorologio. “Per prima cosa dobbiamo trovare il malvagio Zau-ros. Ma secondo me non sai neanche da che parte incomin-ciare!” affermò ironicamente mettendo le braccia conserte.“E invece lo so dov’è andato! E’ andato da quella parte! Io l’-

pag. 85

ho visto!”Andarono insieme verso quella direzione. Mentre cammina-vano, Elena osservava il piccolo essere verde. Camminavatutto impettito come a sottolineare l’importanza della suamissione. Chissà quante avventure aveva avuto! Passaronovicino a un palco dove il Sindaco era bloccato con la manodestra alzata mentre faceva un comizio, con tutta probabi-lità contro chi sappiamo noi.Dopo un’ora di cammino, arrivarono vicino a un’alta mon-tagna blu. La montagna sembrava toccare il cielo con la pun-ta, tanto era alta. Alle pendici della montagna si trovava unagrotta. Zumpicarchs fece cenno a Elena di fare silenzio enon muoversi. Entrò con fare circospetto nella caverna eElena lo seguì con attenzione.All’interno della grotta videro il cappellaccio dello stregoneattaccato a un chiodo e poco più in là videro il mantello but-tato sullo schienale di una sedia. Elena era molto spaventa-ta. Erano entrati nella tana del malvagio e sicuramente illuogo era molto ma molto pericoloso.Improvvisamente sentirono un rumore di passi. Era lui chesi avvicinava! Senza perdersi d’animo Zumpicarchs tirò fuo-ri la bacchetta magica, colpì Elena in testa, poi si colpì a suavolta in testa ed entrambi divennero piccolissimi, come to-polini. Subito si nascosero in un buchetto della roccia. Il malvagio Zauros stava preparando dei sacchi con dentromateriale altamente inquinante, scorie radioattive, pile, bat-terie, rifiuti tossici. Poi, indossato il cappellaccio e il mantel-lo, uscì. Dopo un tempo che a Elena sembrò lunghissimo, idue intrepidi amici uscirono dal nascondiglio e, aiutati dallabacchetta magica, riacquistarono le loro normali dimensio-ni. Si guardarono un po’ intorno e dopo qualche minuto Ele-na trovò uno scatolone che aveva un pezzo di etichetta consu scritto: Fabbrica Zeldas. Incastrata nello spago c’era unafoglia di ippocastano.Si trattava di una fabbrica vicino a casa di Elena. Lei la cono-sceva bene perché ogni tanto gli abitanti della città manife-stavano contro i proprietari accusati di inquinare le acque

del fiume che scorreva là vicino e si presentavano lì con icartelli.Era un indizio ma era troppo poco. Intanto lo scatolone po-teva essere stato preso dalla spazzatura, poi era certamenteinsufficiente come prova per scagionare i suoi amici. Lo mo-strò al folletto che parve molto interessato.Decisero che sarebbero tornati verso casa per dare un’oc-chiata alla fabbrica, ma non poterono varcare la soglia dellacaverna perché un orribile drago nero sbarrava loro il pas-so.Il drago appoggiò a terra uno scatolone del tutto simile aquello esaminato da Elena e si mise a sedere proprio in mez-zo al passaggio. Erano bloccati! Elena cominciò ad averepaura.“E ora, che facciamo?” chiese al burbero folletto.“Chiamerò in soccorso la mia amica Agatax!” decise Zumpi-carchs.“Chi?” chiese Elena titubante che una folletta potesse inqualche modo aiutarli. Con i draghi neri, si sa, la magia buo-na non può funzionare. Neanche un esercito di follettiavrebbe potuto aiutarli.Zumpicarchs frugò nelle sue numerose tasche ma a partel’orologio e una serie quasi infinita di grossi lecca-lecca almirtillo, non tirò fuori niente.“Ah! Che sbadato! Mi ero dimenticato!” mormorò all’im-provviso. Poi si tolse delicatamente una scarpa scoprendouna calza a righe bianche e rosse. A Elena sfuggì un sorriso.Il folletto si tolse con cura la calza e, attaccato allo stinco,aveva un sottile foglio di pergamena che si sfilò per appog-giarlo a terra. Si rimise con attenzione calza e scarpa e ap-poggiò le mani con i palmi aperti sulla pergamena.“Che fai?” chiese Elena che ricominciava ad acquistare co-raggio.“Chiamo Agatax!” brontolò il folletto come se fosse una co-sa del tutto normale.Elena sgranò gli occhi. “Ma… ma non ce l’hai il cellulare?”“Che?” bofonchiò stizzito il piccolo essere verde.

pag. 87

“No, niente, niente…” mormorò delusa Elena che ormail’aveva capito, un conto è la tecnologia, un conto è la magia!Sono due cose che non possono andare d’accordo!!!Dopo pochissimi minuti dalla delicata operazione, un gridogracchiante di dolore attanagliò il drago nero che sanguina-va da un’ala. Urlando fuggì disperato verso la montagna.Elena rimase senza fiato. Un enorme drago arancione avevaferito il malvagio drago nero e aveva atterrato ai piedi dellamontagna come se niente fosse.“Oh, ce ne hai messo di tempo!” sentenziò il folletto.“Salute a te, Zumpicarchs” rispose Agatax che in fatto dieducazione la sapeva lunga, poi, da vera signora, salutò Ele-na: “Salute a te Yelenabellabellabella, ti porto i saluti delPrincipe Jpapadopulosongru, che ha ritenuto di affidare ate, aiutata dal qui presente Zumpicarchs, a risolvere il mi-stero dell’inquinamento selvaggio.”Elena aveva gli occhi di fuori. “Come mi ha chiamata?” sus-surrò al folletto.“E’ il tuo nome nella nostra lingua!” rispose Zumpicarchs, “eora rispondi, se non vuoi sembrare maleducata!”“Ciao!” rispose Elena cercando con gli occhi l’approvazionedel folletto. Costui, che era sempre imbronciato, questa vol-ta le strizzò l’occhio e lei si sentì rassicurata.“E ora, saltatemi in groppa!” gridò il drago.Elena non credeva ai suoi occhi. In groppa a un drago, undrago femmina enorme e gentile, ma vero come il follettoche aveva davanti a sé.Elena si strinse al collo del drago. Stranamente il collo nonera freddo come quello di tutti i rettili, era tiepido e pulsava,come se si sentisse il cuore. Anzi, a pensarci bene, si sentivaproprio il cuore. Elena si strinse in un abbraccio tenero. EAgatax sentì la tenerezza e le diede un’affettuosa musata intesta.Elena chiese al drago di sorvolare la fabbrica Zeldas ma pernon essere visti Agatax raggiunse un’altezza considerevoletale, però, da non far vedere quasi niente.“Zumpicarchs! Saresti così cortese da darci una mano?”

chiese Agatax con dolcezza.Zumpicarchs trasse fuori dalla tasca una bacchetta magica.“Posso renderci tutti invisibili, ma solo per pochi secondi.Agatax, avrai una manciata di secondi per passare sopra allafabbrica, allora, siamo pronti?”“Pro… pronti” mormorò Elena che non era così sicura.“Al mio tre. Uno, due e… tre!”Toccò la punta della coda del drago e immediatamente tuttie tre divennero invisibili. Agatax non aspettò un minuto ditroppo e passò in picchiata sopra alla fabbrica. Tornaronovisibili appena in tempo dopo che furono spariti dietro ungruppetto di alberi.“Allora?” chiese Zumpicarchs.“Le ho viste!” esclamò Elena.“Viste cosa?” chiese il folletto selvatico come un animale.“Le scatole! Ho visto delle scatole identiche a quelle che era-no nella grotta. Stavano in fila sotto l’unico albero della fab-brica, l’ippocastano!” Agatax si adagiò in una piccola radura all’interno del bo-schetto che li aveva ospitati e Zumpicarchs ed Elena sceseroa terra.“Che può significare questo?” chiese Elena che non ci capivapiù niente!All’improvviso un gruppo di ragazzi si precipitarono quasiaddosso ai nostri amici e rimasero a bocca aperta. “Giorgio!” gridò Elena, “ciao, ti presento i miei amici: Agataxe Zumpicarchs!”Giorgio e i ragazzi della banda della scialuppa si feceroavanti con molto timore ma non ebbero il coraggio di torna-re indietro. Stavano fuggendo dai guardiani della fabbricache li avevano sorpresi a curiosare vicino alle casse.“Che ci fate qui?” chiese Elena. Poi, guardando il folletto:“Ma, non avevi fermato il tempo?”“Beh, a dire il vero, ho fermato il tempo in uno spazio ri-stretto, casa tua e poco di più! Perché, non ti va bene?”“Oh, va bene, va bene” disse Elena scusandosi per l’imperti-nente domanda.

pag. 89

“Insomma, cosa hai scoperto?” chiese a Giorgio.“Ho seguito il cane del Sindaco. Mentre il Sindaco è rimastocon la mano in aria mentre cercava di convincere i cittadiniche la causa di tutto siamo noi ragazzi della banda dellascialuppa, io mi sono messo dietro al povero Botolo, il suocane. Botolo mi ha portato alla fabbrica, ma non ne conoscoil motivo. I sorveglianti ci hanno scacciati immediatamente.E tu, cos’hai scoperto?”“Ho scoperto che nella fabbrica vengono preparate dellescatole con dentro il materiale inquinante che viene abban-donato in giro per la nostra città, ma non so altro.”Poi Elena ebbe un’idea: “Dobbiamo trovare lo stregone!”esclamò “Agatax, ce la fai a portarci tutti?”“Sarebbe un onore per me, principessa Yelenabellabellabel-la. Se ce la faccio? Direi che un’altra dozzina di scriccioli co-me voi non costituirebbero nessun tipo di problema per unadella mia stazza!” Nel pronunciare queste parole il dragoaprì le ali enormi e i ragazzi sorrisero.Salirono tutti in groppa al drago che decollò puntando drit-to verso il cielo. I ragazzi avevano il vento nei capelli e Zum-picarchs brontolava qualcosa a proposito di cuccioli, scric-cioli e cose simili.Agatax portò tutti i ragazzi e il folletto alla grotta dello stre-gone e questi si nascosero all’interno. Quando lo stregonearrivò, gli giocarono un brutto scherzo. Elena aveva trovatoun vecchio lenzuolo, ci aveva praticato due fori all’altezzadegli occhi e l’aveva messo in testa a Zumpicarchs che si eramesso a cavalletta sulle spalle di Giorgio che era il più alto.Quando lo stregone arrivò si prese uno spavento memora-bile e scappò verso la città. Naturalmente il fantasma lo se-guì fino a casa e lui, che se l’era fatta sotto dalla paura, si de-cise a confessare. Era uno stregone malvagio e fifone!Andarono tutti a casa di Elena. La mamma era ancora incol-lata ai fornelli nell’atto di mescolare una crema e si sentivail telegiornale.“Grazie a un gruppo di intrepidi ragazzi e a una bambina diappena otto anni, l’associazione a delinquere è stata sgomi-

nata e il Sindaco imprigionato. Il Sindaco aveva assoldato unsicario, ora assicurato alle maglie della giustizia, che avevaassecondato il suo losco progetto di abbandonare in giroper la città scorie radioattive e materiale altamente inqui-nante prodotti dalla fabbrica di sua proprietà. Il Sindacoavrebbe voluto inquinare la città per presentarsi come l’uni-co capace di salvare il mondo dall’inquinamento, per questoaveva tentato di far incolpare i ragazzi della banda dellascialuppa, ma grazie all’intervento della piccola Elena è sta-ta dimostrata la loro innocenza e il Sindaco è finito in ma-nette.”“Orca! Sei diventata famosa!” sbottò Giorgio rivolto ad Ele-na.Elena fu molto contenta di aver vissuto quell’avventura. Sa-lutò Giorgio con un bacio, poi accompagnò alla finestraZumpicarchs che era atteso alla finestra dalla sua amicaAgatax. Zumpicarchs trasse fuori dalla tasca il suo orologioferma tempo, armeggiò con le lancette per poi salutare escappare in un batter d’occhio.“Fantastica questa crema!” esclamò la mamma di Elena“davvero, non mi è mai venuta meglio!”

pag. 91

Un’avventura pericolosa

C’erano una volta due fratelli, Elio ed Eliana. Erano nati inuna famiglia poverissima e non avevano quasi nulla di cuisfamarsi. A quel tempo c’erano delle famiglie la cui presen-za veniva tollerata ma non avevano alcun diritto. Neanche ildiritto di raccogliere le erbe selvatiche per farsi un’insalati-na.Elio e sua sorella Eliana, però, andavano tutti i giorni nel bo-sco e raccoglievano funghi, frutti ed erbe nascondendoselinelle tasche per potersi sfamare. Un giorno si accorsero cheai margini del bosco c’era una casetta di legno che non ave-vano mai notato prima e, furtivamente, si avvicinarono percuriosare.Dall’interno si sentiva discutere.“Insomma ho diritto anch’io a una parte dei soldi!” gracchiòuna donna.“Ma stai zitta!” rispose una voce maschile “i soldi non ci so-no più! Sono finiti! Fi-ni-ti! Hai capito strega di ricotta? E fin-ché non troviamo altra mercanzia, come quella che hai fattoscappare, siamo al verde!”Era una vera discussione. Chissà di quali soldi parlavano edi quale mercanzia? Sarebbe stato un mistero per semprese nell’avvicinarsi Eliana non avesse calpestato un baston-cino spezzandolo.“Chi c’è là?”I due ragazzi furono legati e imbavagliati come salsicce e fu-rono portati dentro alla casetta dove, al centro dell’unicastanza del piano superiore, c’era una grossa gabbia.Furono gettati nella gabbia e, quando il chiavistello fu ri-chiuso, i due carcerieri si sfregarono ben bene le mani pen-sando a quanti soldi potevano ricavare dalla vendita dei dueragazzi. A quel tempo la vita di due ragazzi non valeva qua-si niente. A nessuno importava se tornassero a casa o no. I

pag. 93

genitori sarebbero stati sollevati dal compito di sfamarli ela comunità non si sarebbe neanche accorta dell’assenza. In-somma nessuno sarebbe andato a cercarli e la loro venditacome schiavi avrebbe procurato un bel gruzzolo ai due mal-vagi adulti.Eliana cominciò a piangere e Elio cercò di slegarsi le mani equando ci riuscì si tolse il bavaglio e liberò anche sua sorel-la.“Tanto non c’è modo di uscire dalla gabbia!” sentenziò il ra-gazzo porgendo alla sorella il suo fazzoletto.“Non perdiamo la speranza” rispose lei asciugandosi le la-crime, un modo lo troveremo!”“Un modo non lo troveremo, non lo troveremo, non lo tro-veremo!!!” stridé una voce sgradevole che i ragazzi udironouscire da un pappagallo impagliato.Il povero pappagallo impagliato era vittima di un incantesi-mo. Condannato dalla strega a essere immobile come sefosse finto. In realtà aveva un piccolo cuore che batteva sot-to le piume incollate.“Ciao, come ti chiami?” chiese Eliana senza dimenticarsi cheanche nelle circostanze più avverse bisogna essere educati.“Sono Pallo il Pappagallo, per servirla, signorina!”“Piacere, Pallo, io sono Eliana e questi è mio fratello Elio!Può suggerirci un modo per uscire da questa gabbia, percortesia?”“Oh no! No, no, no, no! Impossibile! Impossibile! Solo la stre-ga possiede la chiave! E è una chiave magica! Così magicache se la prende un’altra persona diventa liquida e puf! Spa-risce! Non si può, non si può!” gracidò che sembrava una ra-nocchia.I ragazzi ammutolirono e si lasciarono cadere a sedere sulpavimento della gabbia. All’improvviso tornò la strega.“Ummh! Vi siete liberati, ma bravi! Che bello, ora risponde-rete ai miei indovinelli!”Indovinelli? I ragazzi si scambiarono un’occhiata disperata.Quella strega li voleva vendere come schiavi ma non avreb-be rinunciato a divertirsi un po’. Comunque si accorsero che

Pallo muoveva gli occhietti come per incitarli e capironoche, se volevano almeno tentare di fuggire, dovevano per ilmomento assecondare le stramberie della megera.Così la strega prese una sedia e si sedette accanto alla gab-bia. “Allora, cosa ci fa uno sputo su una scala? Eh che ci fa? Checi fa? Proprio non vi viene in mente? Saliva!!! Ah, ah, ah!” co-minciò a ridere come una matta.“Beh, almeno si diverte da sola!” commentò Eliana sottovocenell’orecchio di suo fratello.“E una goccia di sangue in terra? Eh, che dice? Che dice?Non sono in vena!!! Ah, ah, ah”Non dava loro neanche il tempo di pensarci! Elio la guardavacon gli occhi sgranati.“Ti piacciono i miei indovinelli, vero? Fantastico!” blaterò.“E questo, sentite questo: che fa un pomodoro la mattina?S’alza (salsa…hi hi hi). E una patata? Pure!!! (puré… hi hi hi).Carini eh?” I due fratelli annuirono e, all’improvviso, a Eliana venne inmente un’idea.“Senti strega, ti piacerebbe che io ti facessi un indovinello?”chiese la ragazza con il batticuore.“Oh sì, sì che mi piacerebbe! Però non chiedermi di liberarti,se non indovino. Mi è successo così con gli altri ragazzi e Lo-sco si è arrabbiato tanto!”Eliana si sentì svenire. Era proprio quello il trabocchetto cheaveva imbastito. Avrebbe detto un indovinello difficile,scommettendo con la strega che se non avesse indovinatoli avrebbe dovuti liberare all’istante.Il pappagallo chiuse gli occhi cacciando un rumoroso sospi-ro. Eliana, però, non si perse d’animo e sussurrò:“Beh, in questo caso … se non indovini vorrei che liberassiPallo dall’incantesimo che lo fa sembrare un pappagallo im-pagliato!”La strega guardò i ragazzi con sospetto. Poi guardò Palloesitando.“Oh, peccato!” mormorò la ragazza verso suo fratello “ave-

pag. 95

vo in mente un indovinello bellissimo, un vero rompicapo!Ma non saprò mai se la signora strega sia all’altezza!”La strega fece un gesto di stizza.“E va bene! Se non indovinerò il tuo indovinello, libererò Pal-lo dall’incantesimo! Ma se indovino, se indovino … dovraidire cento volte ‘Salla è la strega più intelligente dell’univer-so’!”Elio ed Eliana si scambiarono un’occhiata complice. Dunquela strega si chiamava Salla. “D’accordo!” fece Eliana porgen-do alla strega la sua piccola mano che scomparve dentroquella ossuta della vecchia siglando così il patto. “Allora” inizio Eliana cercando le parole giuste “allora, c’èuna grossa stanza. Nella stanza c’è una potentissima strega.La strega possiede nove gabbie. In una gabbia ci sono settefanciulle ciascuna con un gatto. In un’altre gabbia ci sonosette fanciulli ciascuno con un cane. Nelle altre sette gabbieci sono cani e gatti in misura variabile per un numero totaledi quarantanove.La domanda è questa: quante gambe ci sono in tutto?”La strega si immedesimò subito nel ruolo e iniziò a contare.“Allora sette fanciulle hanno quattordici gambe, ma se cia-scuna ha un gatto ce ne sono altre 28, così per i fanciulli,quindi siamo a…”.La strega contava sulle dita delle mani, ma evidentementesapeva contare poco e male, per cui passò un po’ di tempoprima che rispondesse.La posta in gioco non era quello che Eliana avrebbe deside-rato, ma avere un alleato era pur sempre un vantaggio, an-che se ancora non riusciva a capire quale, aveva chiesto lalibertà per il pappagallo e non sapeva se questo, una voltalibero, li avrebbe aiutati. Comunque ormai era in gioco e leconveniva starci fino alla fine, almeno avrebbero guadagna-to un po’ di tempo.“… quarantotto, poi altri quarantanove animali con quattrozampe fa… fa… centonovantasei! Ci sono! Centonovanta-sei!”Eliana sorrise. “No, non sono centonovantasei!” Guardò suo

fratello che scosse la testa. No. Non erano centonovantasei!La strega la guardò stizzita. “Dove ho sbagliato? Aaahh! Hocapito! Devi darmi un’altra possibilità!” protestò.Eliana la guardò con gli occhi che erano diventati due fessu-re.“Se sbagli, questa volta, libererai Pallo?” sibilò alla strega.“Parola mia, lo libererò!”“Allora vai!” la incitò Eliana.“ Sono duecentoquarantaquattro!” sentenziò soddisfatta.Eliana la guardò fisso negli occhi. “Hai sbagliato di nuovo!”aggiunse categorica “la domanda era quante gambe! Ti ri-sulta che gatti e cani ne abbiano?”La strega si arrabbiò moltissimo e si strappò i capelli. “Nonfinirà qui! No che non finirà qui!” urlò mentre cavava dallatasca la sua bacchetta magica.Pronunciò una formula magica e diede un colpo in testa alpovero pappagallo che, dopo un attimo, volò via dalla fine-stra aperta.Elio ed Eliana guardarono attoniti il volatile sparire nel cieloazzurro. Con lui sparirono anche le loro speranze di trovareuna via di fuga. E la strega già si sfregava le mani pensandoa un altro indovinello.“Non si muove eppure arriva dappertutto. Cos’è? Eh? Cos’è,lo sapete? No? E’ la strada! Ah ah ah, che battuta simpatica!”I ragazzi si sedettero sul pavimento della gabbia e misero latesta fra le gambe. Non avevano scampo. Quella megera nonli avrebbe mai liberati. E il pappagallo era fuggito chissà do-ve. Al mattino Losco sarebbe venuto per prenderli e portarlial mercato degli schiavi e non avrebbero potuto sfuggire aquel beffardo destino a meno che non fosse successo un mi-racolo. Così, mentre la strega se la rideva da sola, loro rimu-ginavano cercando nella loro testa un sistema per poter eva-dere. A un certo punto i due poveretti, pur essendo in preda alladisperazione, alzarono la testa e videro una cosa che li sor-prese molto.La strega parlava sottovoce con un essere invisibile, o me-

pag. 97

glio, con un essere minuscolo che teneva in mano e che i ra-gazzi, per quanto si sforzassero, non potevano vedere. Elio infilò la testa tra due sbarre e si sporse fino a farsi do-lere il collo, poi rimase a bocca aperta. La strega tenevastretto per una zampetta un ragno spillo. I ragni spillo sonoquelli che vivono sui muri e hanno le zampe sottili. La stre-ga gli parlava sottovoce e lo depose delicatamente fuori dal-la finestra. Mentre i nostri amici avevano ancora la boccaaperta per lo stupore Losco entrò furioso nella stanza, ag-guantò la donna per i capelli per lasciarla subito dopo asse-standole un manrovescio che le fece sanguinare il labbro.“Maledetta strega! Tu e la tua mania di salvare gli animali!”“Li… li salvo” balbettò la donna massaggiandosi la guancia“li salvo perché loro si mangino tutte le zanzare…”L’uomo la riagguantò per i capelli e la trascinò a forza fuoridalla stanza sbattendo con violenza la porta. Elio ed Elianasi guardarono attoniti. Quella donna forse non era cattiva,era solo tenuta soggiogata da quell’uomo losco, di nome edi fatto.Elio capì che non c’era più niente da fare e si abbandonò aun pianto dirotto. Eliana cercò di consolarlo ma ben prestole lacrime le inondarono gli occhi e non poté far altro che la-sciarle uscire per liberarsi da quel macigno che le appesan-tiva il petto. Quando non ebbero più lacrime per piangere,si abbracciarono e un sonno esausto e di sasso li travolseimmediatamente.I ragazzi furono svegliati in piena notte dalle urla della don-na che veniva picchiata selvaggiamente. Elio d’istinto ag-guantò le sbarre ma non riuscì a smuoverle neanche di unmillimetro. Improvvisamente la porta si aprì per sbattereaddosso al muro con un fragore infernale. Era Losco. Trasci-nava la donna per i capelli, era furioso e aveva uno sguardodiabolico. Strattonò i capelli della povera donna costringen-dola a dargli la chiave della gabbia. Lei tremando infilò lamano in tasca e trasse fuori una piccola chiave. Losco l’ag-guantò e si avvicinò rabbioso al lucchetto ma, in due secon-di, la chiave divenne liquida, la poltiglia gli sporcò le mani

e cadde sul pavimento e l’uomo cominciò a imprecare e be-stemmiare prendendo a calci la gabbia che però non si mos-se neanche. I ragazzi per un istante benedissero le pesantisbarre, ma presto si resero conto che, con la chiave, si eraliquefatta anche la benché minima speranza di venire libe-rati. Losco uscì sbattendo la porta lasciando in terra la poveradonna semi svenuta.“E’… è morta?” chiese Elio alla sorella che teneva tutte edue le mani sul viso a chiudere gli occhi. Eliana aprì gli occhilentamente e guardò con attenzione il corpo accasciato.“Respira!” mormorò “Salla!” chiamò “Salla, svegliati!” “Salla!” chiamò Elio più forte.La donna aprì gli occhi. Cercò di alzarsi ma il dolore dellepercosse era lancinante per cui dovette rinunciarvi. Si sedet-te con le spalle contro il muro e iniziò a piangere.I ragazzi non sapevano che fare, così decisero di aspettareche si fosse calmata per poterci parlare. Dopo un’ora la don-na non aveva ancora smesso di singhiozzare. Eliana si spa-zientiva perché quel malvagio di Losco poteva tornare da unmomento all’altro, così si decise a chiamarla.“Salla, ti prego, calmati, aiutaci a uscire da questa gabbia”“Aiutarvi? E perché dovrei farlo? Losco mi ucciderebbe su-bito!” rispose tra le lacrime la povera donna “dobbiamovendervi come schiavi, altrimenti non avremo niente damangiare per quest’inverno. Tanto a voi non vi cercherànessuno!”“Salla, tu non sei cattiva, io lo so!” disse Elio tutto d’un fia-to.La donna sgranò gli occhi e li fissò in quelli del ragazzo.“E allora? Che dovrei fare secondo te?” gli urlò.“Beh,” intervenne Eliana “se ci libererai, noi ti aiuteremo afuggire da lui!” La donna sembrò riflettere. La fuga non rientrava certo neisuoi programmi. Fuggire! E per dove? Dove si può fuggire senon si ha un posto dove andare? Come fare se non si pos-siede denaro per vivere? Scosse la testa. No, che idea balza-

pag. 99

na! Neanche la magia più potente di tutto il mondo cono-sciuto avrebbe potuto salvarla da quella situazione. Meglioavere un tetto sulla testa e un pezzo di pane da mangiare.Mangiare? Si toccò la bocca sanguinante. Come avrebbe fat-to a mangiare? E la testa? A che serve un tetto sulla testa seti staccano la testa dal collo a suon di ceffoni?Forse la ragazza aveva ragione. La donna si alzò e claudican-te si diresse verso di loro.“Apri!” la implorò Elio “Salla, sei una strega, apri la gab-bia! Fuggiremo insieme, andremo lontano e Losco non citroverà!”La strega sfiorò il lucchetto con la punta delle dita e quellosi aprì con uno schiocco secco. “Ce la fai a camminare?” le chiese Eliana prendendola sottobraccio.La donna annuì e con grande circospezione uscirono dallastanza dirigendosi verso la scala che portava al piano terra.Losco era in cucina che dormiva appoggiato al tavolino da-vanti ai resti di una misera cena, così, cercando di non farerumore, i tre sgattaiolarono fuori dalla casetta. Sarebberoriusciti nel loro intento se Eliana, neanche a farlo apposta,calpestò un bastoncino secco che si ruppe con uno scroc-chio. Losco si accorse della fuga e si lanciò dietro ai tre che,poverini, cercavano di correre quanto più forte potevanoma la donna era troppo dolorante, non ce l’avrebbero maifatta. “Andate ragazzi, fuggite voi!” disse loro la donna “io non cela faccio più a correre, lasciatemi qui, Losco mi riprenderàcon sé…”“Non se ne parla neanche!” sbottò Eliana “quello ti ucciderà!Coraggio, appoggiati a me. Ancora non ci ha presi. Ce lapuoi fare! Non perdere la speranza!”Eliana si girò. Losco era quasi sopra di loro, ancora un passoe li avrebbe presi. Improvvisamente un fruscio d’ali, non due, non tre, ma cen-to, mille! Erano pappagalli! Si avventarono contro l’uomoche si riparava con le mani ma non riuscì a scacciarli tutti

per quanto erano numerosi. I tre erano ancora a bocca aper-ta quando un grande pappagallo volò sopra le loro teste.“Pallo!” gridò Eliana.“Comandate Pallo al vostro servizio! Seguitemi! Vi porteròfuori dal bosco e lontano da quell’uomo malvagio!”I tre seguirono il pappagallo e in breve tempo si trovaronofuori dal bosco ma soprattutto fuori dalla portata di Loscoche, a quel punto, non poté far altro che ritornare a casasconfitto.Elio ed Eliana ragionarono un attimo sul da farsi. Avevanodue possibilità. Tornare a casa dove le botte erano panequotidiano anche per loro, o crearsi una nuova possibilitàinsieme a Salla. Non ebbero dubbi. Si trasferirono in un’altracittà e aprirono una bottega di erbe medicinali e spezie. Benpresto Salla la strega diventò Salla la guaritrice e, grazie aibambini che andavano a trovarla tutti i giorni, poté coltiva-re la sua passione per gli indovinelli.L’attività divenne fiorente e redditizia ma soprattutto, lepercosse e la violenza divennero un lontano ricordo.

pag. 101

Supplemento a “Piazza del Grano”Autorizzazione dei tribunale di Perugia n. 29/2009

Corso Cavour n. 39 - Folignoe-mail [email protected]

novembre 2012

Chi ha il cuore bambino vede da un'altra ango-lazione la realtà, perché "la vita è sogno e i so-gni ci aiutano a vivere", come ci ricorda PedroCalderon della Barca, perché non volge gli occhiin basso chi li rivolge al cielo.

Collana INEDITI di Piazza del Grano