Fascicolo Emergenza Nord Africa
-
Upload
fratelli-san-francesco -
Category
Documents
-
view
214 -
download
2
description
Transcript of Fascicolo Emergenza Nord Africa
EMERGENZA NORD AFRICA
Lascio la mia terra
Via della Moscova, 9 - 20121 Milano - www.fratellisanfrancesco.itTel. 02 6254591 - [email protected]
Prefazione a cura di Frate Clemente Moriggi
Prefazione a cura di Vittorio Zappalorto
Chi sono i rifugiati?
Il quadro storico: la Primavera Araba e Milano
L’Emergenza Nord Africa in Lombardia e in via Saponaro
- La fase dell’accoglienza
- L’iter burocratico
Caratteristiche dei richiedenti accolti
Nazionalità dei richiedenti asilo
Accoglienza Migranti:
le prime assistenze a cura degli operatori di via Saponaro
Conclusioni. Emergenza Nord Africa: criticità e soddisfazioni
Testimonianze
Supporti e attività per i nostri ospiti richiedenti asilo
politico di Clara Bonfanti
Riflessioni sul Corso di Italiano per Asilanti: un bilancio tra realtà
e speranza di Alessandro Gagliardi
I miei ragazzi africani di Antonella Braschi
Asilo, un viaggio con la fantasia di Roberta Resmini
Un momento di svago...e non solo di Bledjan Beshiraj
Bibliografia
Indice pag. 4
pag. 5
pag. 8
pag. 10
pag. 15
pag. 16
pag. 17
pag. 19
pag. 21
pag. 21
pag. 26
pag. 28
pag. 29
pag. 30
pag. 32
pag. 33
pag. 36
pag. 39
1
2 3
Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.
San Francesco
4 5
Prefazionedi Vittorio Zappalorto Vice Prefetto Vicario Prefettura di Milano
Non tutti quelli che chiedono aiuto sono rifugiati. Ma è certo che tutti coloro che
chiedono un rifugio hanno bisogno di aiuto a prescindere da quale esito abbia avuto
la loro richiesta.
E anzi proprio quelli che si sono visti rifiutare la domanda di asilo o di protezione
umanitaria hanno più bisogno di essere assistiti e aiutati perché, se hanno deciso di
mettere a rischio la vita loro e dei loro cari in viaggi e traversate pericolose, lo hanno
fatto per istinto di sopravvivenza senza alcun intento di ledere diritti o intaccare il
benessere di altri.
La storia ci insegna che le migrazioni sono sempre esistite dall’avvento dell’uomo.
Gli spostamenti sono avvenuti, anche in passato per le stesse ragioni di oggi: guerre,
carestie, eventi naturali avversi. Le cause delle migrazioni sono sempre le stesse
e sono riconducibili alla necessità di cercare e trovare ambienti più favorevoli e
condizioni di vita meno dure.
Tentare di bloccare migliaia di persone che fuggono da uno stato di guerra è illusorio
e porta senz’altro a conseguenze tragiche, almeno per chi crede che la vita umana
sia un valore da preservare sempre e comunque.
Pensiamo solo al fatto che un decimo della popolazione mondiale detiene
(direttamente o riesce a sfruttare in via esclusiva) l’80% delle risorse del pianeta.
Come è possibile obbligare gli altri nove decimi a stare fermi, a morire di fame nelle
loro terre o a condurre una vita di stenti che, il più delle volte, termina prima dei 40
anni?
Queste e altre considerazioni che si potrebbero fare su tale fenomeno dovrebbero
indurre noi ed i Governi a mutare atteggiamento e politiche per far fronte alle
migrazioni: aiutare le popolazioni più povere a creare migliori condizioni di vita nei
loro Paesi. Mettere un freno allo sfruttamento incontrollato delle risorse energetiche
e usare il benessere in più accumulato, per alleviare le enormi diseguaglianze
esistenti.
L’esperienza dei profughi venuti dalla Libia ci ha insegnato cose importanti.
I flussi di migranti non si fermano con i respingimenti in mare né la morte di centinaia
di persone è di per sé un disincentivo a partire.
Il rimpatrio è uno strumento efficace per controllare i flussi, ma si fonda su un patto
dove le sorti e le speranze degli uomini vengono scambiate con forniture di armi,
costruzioni di strade e altri beni che quasi sempre finiscono nelle mani di pochi Rais.
Quest’opera è frutto delle esperienze e delle opinioni personali di chi ha vissuto ed
operato a stretto contatto con i richiedenti asilo politico, accolti presso la nostra
Casa di Solidarietà di via Saponaro 40. La nostra Fondazione opera da sempre
seguendo gli insegnamenti francescani di carità e solidarietà, con l’obiettivo di
garantire l’integrazione di ciascun bisognoso nel nostro tessuto sociale.
Abbiamo condiviso con loro i momenti di gioia e di difficoltà, profuso grandi
sforzi per cercare di soddisfare ogni richiesta e da sempre troviamo conforto
nella speranza di poter offrire loro un futuro migliore.
Ringrazio tutti coloro che direttamente ed indirettamente hanno reso possibile
tutto ciò e coloro con cui abbiamo avuto l’opportunità di collaborare: i nostri
volontari, gli operatori, i collaboratori, i coordinatori di questo progetto, Silvia
Furiosi e Walter Nappa, i mediatori culturali, gli psicologi, le assistenti sociali,
i nostri fedeli benefattori, le istituzioni pubbliche, la Prefettura di Milano, la
Questura di Milano, il Comune di Milano, la Provincia di Milano, la Fondazione
Cariplo, l’Istituto Italiano di Fotografia, la Dr.ssa Annamaria Braccini per il
prezioso contributo offerto e tutti coloro che non mi è possibile menzionare.
Prefazionedi Frate Clemente Moriggi Direttore Delle Opere
“Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe”.
Madre Teresa di Calcutta
6 7
Abbiamo imparato, per esempio, che chi approda, spesso dopo un viaggio tragico,
sulle rive di casa nostra, con pochi spiccioli, affamato e spaventato può essere molto
più civile di chi lo accoglie a insulti e imprecazioni negandogli un ricovero. Può
accadere anche, in un Paese sedicente civile, che si scateni una gara a chi mostra
più muscoli contro l’accoglienza dei profughi.
Ma alla fine, una volta arrivati e constatato che si tratta di persone miti che nulla
pretendono se non il riguardo che si dovrebbe avere per qualsiasi persona, ecco che
esce prepotente l’anima, lo spirito magnifico dei lombardi, la generosità di Ambrogio,
la solidarietà che li ha sempre contraddistinti. E allora la gara diventa a chi fa di
più per loro. Non ci si accontenta di dare cibo e un alloggio, cure sanitarie che la
Regione ha offerto (è bene saperle queste cose) fin dal primo giorno! Se i soldi messi
a disposizione dal Governo sono sufficienti bene. Se non bastano “se fa instess”
a spese dell’associazione, del parroco, del cittadino privato che se potesse se li
porterebbe a casa propria! Questo è quello che è successo in Lombardia.
Certo, lo Stato deve continuare a fare la sua parte in tutta questa vicenda. La
sussidiarietà, per quanto orizzontale, non può arrivare a eliminare del tutto
l’intervento pubblico che c’è stato, è stato efficace e che, credo, anche in Lombardia,
ha portato a dei risultati cospicui: omogeneità di trattamento dei profughi sul
territorio, circoscritti episodi di interesse per l’ordine pubblico.
Voglio esprimere il mio personale ringraziamento oltre che ai Fratelli di S. Francesco
d’Assisi e a Fr Clemente Moriggi, per quanto hanno fatto e stanno ancora facendo
con le loro strutture, a tutti i numerosi Sindaci ed amministratori comunali, in
primo luogo ai Sindaci di Milano e di Pieve Emanuele, a Regione Lombardia, alle
associazioni del Terzo settore ed agli albergatori che hanno messo la loro opera e
le loro strutture a disposizione dell’emergenza concorrendo in questo modo civile e
solidale a garantire assistenza e aiuto ai migranti ospitati in questo territorio.
Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un sorriso.
Madre Teresa di Calcutta
8 9
D’assisi Onlus, sopratutto nelle prime fasi dell’accoglienza dei migranti, ovvero in
occasione dell’Emergenza Nord Africa.
E’ questa la definizione a cui noi tutti facciamo riferimento quando parliamo di rifugiati,
richiamandoci alla Convenzione di Ginevra del 19511.
Per essere accolti come rifugiati in qualsiasi Paese è necessario fare una domanda di
protezione internazionale. Tale domanda può essere presentata alla “polizia di frontiera
al momento dell’ingresso oppure all’ufficio della Questura competente in base alla
dimora del richiedente”2.
In Italia, fino a qualche anno fa, i richiedenti asilo arrivavano spesso con aerei di linea e
documenti falsi negli aeroporti di Malpensa o Fiumicino, fuggendo da situazioni in cui la
loro vita nel Paese di origine era stata minacciata per il coinvolgimento in avvenimenti
politici, in guerre etniche o religiose. Portavano sul corpo i segni delle torture e delle
violenze subite, raccontavano di segregazioni in prigioni fatiscenti, ammucchiati per
mesi e mesi in stanze in cui potevano a malapena stare seduti e di punizioni corporali
inimmaginabili. Dall’aeroporto passavano direttamente alle rispettive questure a
presentare la domanda di asilo. Tra il 2005 e il 2010, tuttavia, il numero complessivo
delle domande di asilo presentate ai valichi di frontiera aeroportuali di Milano e Roma
si è ridimensionato3.
Oggi sono molto pochi i casi in cui viene concesso lo status di rifugiato politico, mentre
la protezione sussidiaria viene riconosciuta quasi automaticamente ai richiedenti asilo
di Sudan, Eritrea, Etiopia, Afghanistan; Paesi in cui i conflitti armati vanno avanti da
decenni. Anche le persone provenienti dalla Costa d’Avorio sono riconosciute aventi
diritto ad una forma di protezione sussidiaria, mostrando tale Paese ancora segni di
inquietudine politica. Ma di tutti gli altri Paesi non si parla quasi più. Ciononostante, la
gente non ha smesso di fuggire, anzi, negli ultimi anni si è assistito ad un incremento
notevole degli arrivi attraverso il Mediterraneo. Ora si fugge non esclusivamente per
fuggire alle guerre, ma per sopravvivere alla povertà, alla speranza di vita spesso
ridotta al di sotto dei 50 anni (come nel caso della Nigeria4), all’impossibilità di trovare
cibo, acqua, soldi per le medicine, per andare scuola e per far crescere i figli. Si parla
di “migranti per motivi economici” più che di richiedenti asilo.
Le pagine che seguono testimoniano il lavoro della Fondazione Fratelli di San Francesco
CHI SONO I RIFUGIATI?Rifugiato è colui che, temendo, a ragione,
di essere perseguitato per motivi di razza,
religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o per le sue
opinioni politiche, si trova fuori del Paese,
di cui è cittadino e non può o non vuole,
a causa di questo timore, avvalersi della
protezione di questo Paese; oppure che, non
avendo una cittadinanza e trovandosi fuori
del Paese in cui aveva residenza abituale,
a seguito di siffatti avvenimenti, non può o
non vuole tornarvi per il timore di cui sopra.
1 L’Italia ha ratificato la convenzione di Ginevra (28/7/51) con la legge n° 277 del 24/7/1954, rendendola parte integrante del proprio ordinamento giuridico2 Cfr. D.Lgl 25/08 che disciplina le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato, art. 26, co.13 Il Diritto alla Protezione. La protezione internazionale in Italia: quale futuro? (Pag. 42)4 www.indexmundi.com
Un ospite della Casa di Solidarietà di via Saponaro
10 11
LA PRIMAVERA ARABA E MILANOA seguito dell’arrivo sulle coste italiane di migliaia di cittadini stranieri, si è palesata la necessità di organizzare su tutto il territorio, un’accoglienza straordinaria. Da subito, anche la Fondazione Fratelli di San Francesco D’Assisi Onlus si è attivata per mettere a disposizione dei posti nella struttura di via Saponaro 40.Si era ipotizzato che la maggior parte di loro fosse di nazionalità libica, egiziana o tunisina, coloro per i quali anche giornali e TV avevano suscitato tanto clamore. E’ apparso invece evidente, che la maggior parte dei richiedenti asilo politico, fosse per lo più proveniente dall’Africa nera subsahariana e dal Bangladesh, desumendo quindi che un anno fa dalla Libia siano scappati altri migranti, oltre ai libici.
Viene dunque spontaneo domandarsi come mai tutte queste persone di diversa nazionalità, si trovavano in Libia e per quali ragioni lo scoppio della guerra civile abbia creato simili risvolti nelle loro vite.
La risposta potrebbe trovare le sue radici, nel personaggio Gheddafi e soprattutto nella sua
morte cruenta nell’ottobre 2011.
Il primo settembre 1969 a capo di altri ufficiali scontenti delle politiche filo-occidentali del Re
Idris, Gheddafi ha portato a termine il colpo di Stato, autoproclamandosi Colonnello e dando
inizio ad una dittatura sanguinaria che ha generato un totale cambiamento delle politiche della
Libia. Nei primi anni si è dedicato all’eliminazione di tutti gli oppositori politici e militari, gli ex
colonizzatori sono stati lentamente cacciati dalla Libia, processo che ha avuto il suo apice il
15 Ottobre 1970, con la cacciata degli italiani 5. Nonostante ciò, negli anni 70 il suo appoggio
da parte del popolo è cresciuto vastamente.
Il regime libico è diventato finanziatore dell’OLP di Yasser Arafat nella sua lotta contro Israele e
si è reso spesso propugnatore di un’unione politica tra i vari Stati islamici dell’Africa. Negli anni
’80 Gheddafi ha sostenuto il terrorismo anti occidentale di matrice islamista; la sua ideologia
anti-israeliana e anti-americana lo ha portato a sostenere gruppi terroristi, quali ad esempio
l’IRA irlandese e il Settembre Nero palestinese. Viene anche accusato di essere coinvolto
in altri fatti di sangue: il DC9 caduto nei cieli di Ustica, il dirottamento dell’Achille Lauro,
l’attentato a Berlino del 1986 e la strage di Lockerbie nel 1988 contro cittadini americani per
un numero complessivo di 450 morti.
L’ONU ha attribuito alla Libia la responsabilità dell’attentato aereo, chiedendo al governo di
Tripoli l’arresto di due suoi cittadini accusati di esservi direttamente coinvolti. Al rifiuto di
Gheddafi, le Nazioni Unite hanno approvato la Risoluzione 748, che ha sancito un pesante
embargo economico contro la Libia, la cui economia si trovava già in fase calante.
Nel 1986, Gheddafi è stato il responsabile del lancio di due missili libici contro Lampedusa,
in risposta ad un attacco Nato voluto dall’allora presidente USA, Ronald Reagan. I missili,
fortunatamente sono caduti in mare, a due chilometri dalle coste italiane.
Durante l’embargo in Libia è aumentata la crisi economica per il ceto medio basso, la
stagnazione e non c’è stata più richiesta di petrolio, né un’adeguata fornitura di medicinali.
In questo periodo, il raìs ha allacciato rapporti economici con altri due dittatori, Chavez in
Venezuela e Mugabe in Zimbabwe che apparivano come possibili Paesi che potevano ospitare,
nelle sue ultime settimane di vita Gheddafi nel corso della fuga, che a un certo momento le
potenze occidentali sembravano invocare come risoluzione pacifica dell’intervento militare 6.
A partire dai primi anni Novanta, Gheddafi ha ridefinito ulteriormente il ruolo del suo regime
nella politica internazionale, mostrando un graduale riavvicinamento agli USA e alle
democrazie europee, con un conseguente allontanamento dall’integralismo islamico.
Piazza Duomo, Milano
12 13
Gheddafi ha condannato i primi attentati di Osama Bin Laden contro le ambasciate americane
in Kenya e in Tanzania 7 nel 1998. E’ stato anche uno dei pochi all’interno del mondo arabo a
non condannare l’invasione americana in Afghanistan subito dopo le stragi delle Torri Gemelle
e a non ostacolare politicamente l’intervento occidentale in Iraq nel 2003, che ha portato alla
cattura e alla condanna a morte di un altro dittatore: Saddam Hussein.
Sono state queste prese di posizione che hanno favorito prima, da parte dell’ONU nella
primavera del 1999, il ritiro dell’embargo alla Libia e poi, hanno sdoganato l’immagine di
Gheddafi come quella di un leader islamico moderato e non più nemico dell’Occidente.
Questa è apparsa la miglior soluzione per accontentare sia il rais, sia i Paesi Occidentali che
hanno così potuto soddisfare le loro richieste politiche, militari ed economiche.
E’ in tal modo che la Libia ha potuto proseguire nel corso dei primi anni Duemila il suo processo
di crescita ed è in quest’ottica che va inquadrato il rinascimento economico di questo Paese,
attraverso un crescente mercato immobiliare, la costruzione di alberghi, strade e ponti e una
grande espansione delle città della costa. Per realizzare tutto ciò, la Libia aveva bisogno di una
manodopera a basso prezzo da impiegare nei cantieri.
In questi ultimi dieci anni Gheddafi aveva ipotizzato di fare affari con l’Occidente attraverso
la vendita del petrolio e attraverso il blocco di flussi migratori verso l’Europa, ma non solo.
Con tre colossi politici e economici come Cina, America ed Europa, l’unica possibilità di
interazione non solo per la Libia, ma per tutta l’Africa, sarebbe stata l’unione delle esigenze e
delle istanze politiche ed economiche. Solo in tal modo, i Paesi africani avrebbero contato a
livello internazionale e per questa ragione, Gheddafi si era offerto come interlocutore legittimo,
nonché punto di riferimento di tutto il continente africano.
Così se da un lato Gheddafi ha dunque controllato e contenuto i fenomeni migratori verso
l’Occidente, dall’altro, ha dato lavoro ai numerosi disoccupati del continente africano,
proponendosi come l’uomo forte nelle vesti di portavoce ufficiale che viene ricevuto nelle
diverse capitali europee, dettando le sue condizioni ai leaders occidentali 8.
La Libia, dopo aver vissuto una prima fase di insurrezione popolare nota come rivoluzione del
17 febbraio 2011, a seguito di quanto avvenuto in quasi tutto il mondo arabo, specialmente
in Tunisia e in Egitto, ha conosciuto in poche settimane lo sfociare della rivolta in un conflitto
civile. E così, alla vigilia della primavera araba che ha travolto la Tunisia, l’Egitto e la stessa
Libia, Gheddafi si è trovato a fronteggiare due nemici: gli oppositori interni e i bombardamenti
decisi dall’Occidente a metà marzo 2011.
Non potendo rispondere su entrambi i fronti con un’adeguata forza militare, il rais si è
rivolto anche ai mercenari di colore per il fronte interno e, nello stesso tempo, ha provato a
destabilizzare le opinioni pubbliche occidentali provocando uno “tsunami migratorio”, rimasto
compresso per alcuni anni. E’ questa una chiave di lettura per capire gli sbarchi di massa che
peraltro hanno anche determinato per i Paesi ospitanti notevoli costi di gestione, sia per le
operazioni di salvataggio, sia per l’allestimento di programmi di prima accoglienza, sia per le
spese sanitarie e tanto altro ancora.
L’Italia è obbligata, ed è stata obbligata a prestare soccorso e accoglienza, dalle norme del
diritto internazionale, dalla Convenzione di Ginevra del 1951, dalla normativa europea che
è vincolante e preminente per tutti i Paesi dell’Unione e dal diritto di navigazione.
Secondo la Convenzione, il rifugiato è colui “che temendo a ragione di essere perseguitato
per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o
per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole,
a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non
avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito
di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.
Si aggiunge inoltre che le imbarcazioni in difficoltà vanno soccorse, senza accertarsi se
si dovessero trovare in acque internazionali o in acque nazionali, se i naviganti abbiano il
passaporto e regolare biglietto di viaggio.
I “balletti di competenza” e la burocrazia non esistono davanti ad una imbarcazione in
difficoltà in mare 9.
Ciò che appare tuttavia sin da subito evidente, è che quasi tutti questi migranti e richiedenti
asilo vanno inquadrati nella definizione più corretta di “migranti economici” e quindi
difficilmente potranno ottenere la protezione dello stato di asilo politico, in base ai criteri
Perché l’Italia è tenuta a soccorrere e accogliere tutte queste persone?
5 La Libia è stata infatti una colonia italiana dal 1912 al secondo dopoguerra, e ha soddisfatto solo la “fame
di terra” di molti nostri contadini, che non erano certo fascisti per scelta, ma solo per dura necessità. Solo chi
aveva la tessera del partito, poteva infatti partire come colono (Cfr. F. Cresti, Non desiderare la terra d’altri.
La colonizzazione italiana in Libia, Roma, Carocci, 2011)6 Aquaro A., L’amico Chavez o lo Zimbabwe, adesso il Colonnello tratta la fuga., La Repubblica 23/8/2011.7 Olimpio G., La testa del serpente. Tutti i segreti di Osama Bin Laden., Milano, Corriere della Sera, 2011.8 Gazzini C., Il “grande gesto” dell’Italia verso la Libia in: Il mare nostrum è degli altri, I Quaderni speciali di
Limes, supplemento 3/2009, Roma, 2009.
14 15
stabiliti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 10. Queste persone infatti, non hanno lasciato
i loro Paesi d’origine per sfuggire a persecuzioni, ingiusta detenzione o tortura, ma per lo
più solo per motivi di lavoro. In aggiunta a ciò, la situazione appare ancora più complicata
se consideriamo che la maggior parte di loro proviene dai territori sub sahariani e non
sono di nazionalità libica 11 bensì provenienti per la legge, europea e italiana, da un Paese
terzo.
Questo è il problema giuridico che stanno cercando di affrontare gli avvocati che supportano
i richiedenti asilo politico nell’avviare le istanze di ricorso. Pur essendo migranti economici,
tutti i richiedenti asilo della Casa di Solidarietà di via Saponaro sono da considerarsi
comunque vittime di un grave reato contro l’Umanità: un reato che si è esplicitato in una
migrazione di massa imposta in modo coercitivo, poiché queste persone non hanno scelto
volontariamente di migrare, ma sono stati costretti in massa a farlo.
Prima di salire sui barconi, sono stati derubati dei documenti, dei soldi e del cellulare.
Gli avvocati in virtù di ciò, stanno impostando i ricorsi in modo da ottenere almeno un
permesso temporaneo e umanitario, di sei o dodici mesi. Appare l’unica strada per dare
la possibilità a queste persone di ottenere un permesso di soggiorno, un passaporto o
un titolo di viaggio, che permetterà loro di rientrare liberamente nei Paesi di origine. A
nostro giudizio, allo stato attuale, gli ospiti della Casa di Solidarietà di via Saponaro, se non
riceveranno nessun tipo di permesso di soggiorno, rimarranno in un limbo indefinito. Non
potranno lavorare in regola e non potranno neanche rientrare liberamente nei loro Paesi
in quanto, senza un documento di identità valido, non potranno avere né passaporto né
carta di identità consolare dalle loro ambasciate. Non potranno prendere un aereo o una
nave per attraversare tutte le frontiere che separano l’Italia dai Paesi di origine. Secondo
il giudizio di chi scrive, il rischio a cui si va incontro, è che diventino per lo più clandestini
destinati ad entrare velocemente nel mercato del lavoro nero, se non addirittura anche nel
circuito penale delle nostre carceri, fino all’inevitabile espulsione.
9 Gabrielli C., L’obbligo di salvataggio in mare nelle attività dell’Agenzia Frontex secondo la decisione del
Consiglio dell’Unione, in: Gli Stranieri. Rassegna di studi e giurisprudenza. N.1/2010 Studio Immigrazione,
Viterbo. 10 Petrovic N., Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi.
Milano, Franco Angeli, 2011. 11 Le nazioni più rappresentate nella nostra Casa di Solidarietà di via Saponaro, sono: Nigeria, Costa d’Avorio,
Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso, Ghana, Togo, Sierra Leone, Bangladesh.
L’EMERGENZA NORD AFRICA IN LOMBARDIA E PRESSO LA CASA DI SOLIDARIETÀ DI VIA SAPONARO A MILANO
Padre Clemente Moriggi conforta un ospite del Centro
16 17
Per gestire quest’attività di accoglienza straordinaria in Lombardia, a partire dal 10
maggio 2011, sono state individuate due figure operative:
• Un Soggetto Incaricato di individuare le strutture di accoglienza (o di allestirle, dove
necessario) per l’intero territorio regionale: questa funzione è stata svolta in un primo
momento temporaneo e transitorio dalla Protezione Civile;
• Un Soggetto Attuatore competente per la gestione delle strutture individuate,
funzione svolta dalla Prefettura.
Dall’inizio dell’Emergenza Nord Africa ad oggi hanno fatto domanda di asilo 18.390
persone, che sono state suddivise nelle Regioni in modo equo e proporzionale alla
popolazione residente. In Lombardia sono state assistite 2.680 persone .
La Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi Onlus ha firmato una convenzione
con la Prefettura di Milano per l’accoglienza di 150 richiedenti asilo nella Casa di
Solidarietà di via Saponaro 40 a Milano e a loro è stato dedicato un intero piano.
La fase dell’accoglienza
L’iter burocratico
Gli ingressi sono iniziati il 3 maggio del 2011.
Pochissimi hanno dichiarato di possedere i documenti; il primo passo è stata l’apertura
di una cartella sociale di presa in carico: è stata attivata la domanda di asilo presso
la Questura con il fotosegnalamento e la successiva audizione. Alcuni di loro, che
I profughi accolti presso la nostra Casa di Solidarietà hanno attivato la procedura per il
rilascio dello stato di richiedente asilo presso la Questura di Milano guidati dall’assistente
sociale, dalla psicologa e dalle figure professionali deputate a guidare i richiedenti nel
disbrigo delle pratiche.
Hanno avuto un primo permesso di soggiorno di sei mesi, sono stati chiamati in Prefettura
per le audizioni davanti alla Commissione.
All’esito dell’esame individuale della domanda di protezione internazionale, la
Commissione territoriale può decidere di:
12 Gutman R. e Rieff D. (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, Roma, Contrasto/
Internazionale, 2004. 13 Dato della Protezione civile aggiornati al 27 luglio 2012:
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS24974
avevano già fatto la richiesta di asilo in altre Questure hanno ricevuto un diniego per la
richiesta di asilo politico, ma hanno ottenuto un permesso di soggiorno valido per sei
mesi. La Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi Onlus ha messo a disposizione
un proprio veicolo e un autista per agevolare i loro spostamenti e di volta in volta sono
stati coordinati dall’Assistente Sociale.
Al momento dell’avvio della pratica per l’attivazione della richiesta della domanda
d’asilo, si è provveduto al rilascio di un documento per poter usufruire dei mezzi pubblici
e, contestualmente, si è provveduto ad accompagnarli alla sede ASL territoriale per il
rilascio della Tessera Sanitaria e la scelta del medico. In aggiunta al Servizio Sanitario
Nazionale, gli ospiti hanno potuto usufruire delle prestazioni sanitarie generiche e
specialistiche erogate dal nostro poliambulatorio, situazione per loro più congeniale
soprattutto in funzione della presenza di mediatori linguistici che li hanno aiutati a
superare più facilmente alcune barriere linguistiche, nonchè in parte anche culturali.
Si è inoltre provveduto a fornire loro dei vestiti, scarpe e quanto necessario per l’igiene
quotidiana, compreso un servizio di barberia e una piccola somma di denaro, una sorta
di mancia mensile, per far fronte alle esigenze.
Parallelamente sono stati avviati Corsi di italiano organizzati su più livelli, suddivisi in
base alla lingua madre e al grado di alfabetizzazione.
In un secondo momento, sono partite le attività ricreative, con la possibilità di utilizzare
un campo sportivo situato in prossimità della Casa di Solidarietà tre volte la settimana
e uno Sportello di orientamento per la ricerca di lavoro.
La risposta diretta e tempestiva ai bisogni primari dei profughi coniugato con il
supporto psicologico e le attività di svago hanno permesso loro di ritrovare una certa
stabilità emotiva.
Alcuni volontari dello Sportello Orientamento al Lavoro
18 19
- Riconoscere lo stato di rifugiato;
- Non riconoscere lo stato di rifugiato, ma accertare la sussistenza di esigenze di
protezione sussidiaria, riconoscendo appunto questa forma di protezione;
- Rigettare la domanda di protezione internazionale, ma accertare la sussistenza di
esigenze di protezione umanitaria in favore del richiedente e rinviare gli atti al Questore
per il rilascio del relativo permesso di soggiorno, per motivi umanitari;
- Rigettare la domanda di protezione internazionale senza riconoscere la protezione
umanitaria.
Il richiedente asilo destinatario di un provvedimento negativo della Commissione
territoriale o di un provvedimento che non lo soddisfi pienamente, ha diritto di presentare
ricorso giurisdizionale contro tale provvedimento.
Le prime notifiche di diniego per i nostri asilanti sono arrivate a partire dal mese di
novembre 2011 in maniera piuttosto massiccia: la Commissione ha classificato quasi
tutti gli immigrati provenienti dalla Libia come migranti economici, senza possibilità di
rientrare nello stato di asilante politico.
Dall’analisi delle motivazioni che essi hanno portato alla Commissione per giustificare
la domanda di asilo, si è potuto osservare che effettivamente molte di esse sono
state giudicate, a ragion veduta, “poco attendibili”. Le motivazioni spaziavano in una
ristretta e discutibile gamma di problematiche familiari, concernenti sia aspetti affettivi
(relazioni tra membri diversi della stessa famiglia, non accettate dagli altri), che materiali
(discussioni sull’appartenenza di terreni o animali), che nulla avevano a che fare con
quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra. Nelle maggior parte dei casi le motivazioni
addotte risultavano sfortunatamente anche molto simili una all’altra, per cui la risposta
della Commissione non poteva essere che negativa.
I dinieghi massicci a cui sono andate incontro le domande di asilo hanno prodotto un
clima di sfiducia e depressione sull’intero gruppo di ospiti. Ogni giorno operatori e
specialisti hanno dedicato molte ore a spiegare loro, più volte e in più le lingue, il perché
dei dinieghi e le procedure del ricorso. Ad ogni diniegato è stato assegnato un avvocato.
Essi hanno potuto fare ricorso, entro trenta giorni dall’avvenuta notifica, al Tribunale
Ordinario, dove sono stati chiamati in udienza di fronte a un giudice. Se anche in
questo caso il ricorso in Tribunale darà esito negativo (si parla di rigetti), è discrezione
dell’avvocato decidere se presentare reclamo in Corte d’Appello o meno. Da lì, le
14 In Italia sono previste tre forme di protezione, consistenti rispettivamente nello status di rifugiato ai sensi
della Convenzione di Ginevra del 1951, la protezione sussidiaria ex art. 14 D.Lgs 251/07 - entrambe forme
di protezione internazionale - e una terza forma di protezione nazionale: la protezione umanitaria disciplinata
agli art. 19 e 32 legge 189/2002.
I richiedenti accolti presso la nostra Casa di Saponaro hanno un’età compresa
tra i 18 ed i 41 anni, ma la maggior parte è nella fascia tra i 20 e i 30 anni.
Provengono tutti da Paesi diversi, in più numero dalla Costa d’Avorio, dalla
Nigeria, dal Ghana e dal Bangladesh, rispecchiando le proporzioni nazionali che
emergono dai dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
La maggior parte dei migranti che sono stati accolti nella Casa di Solidarietà di
Via Saponaro proviene dai Paesi dell’Africa SubSahariana e dal Bangladesh ed
è di religione musulmana; i cattolici provengono dai Paesi anglofoni dell’Africa.
Caratteristiche dei richiedenti accolti
possibilità sono la concessione del permesso di soggiorno, il rimpatrio assistito o la
permanenza irregolare sul territorio italiano.
Alcuni operatori e l’assistente sociale della Casa di Solidarietà
Un ospite della Casa di Solidarietà in una delle sale della mensa
20 21
Nei loro Paesi d’origine vivevano in uno stato di povertà assoluta, con scarse
possibilità di andare a scuola e di trovare un lavoro e sono emigrati in Libia
per necessità economiche. Sono nati quasi tutti in piccoli villaggi. Le famiglie
erano molto povere, indipendentemente dalla presenza di conflitti bellici o meno.
Molti, provenendo dallo stesso villaggio, si conoscevano già prima di ritrovarsi
in Libia.
Circa il 60% dei migranti non ha realizzato nessun percorso scolastico nel
Paese di origine, parlano solo la lingua madre della loro etnia e poche altre
parole di inglese o francese. Solo il 10% circa ha svolto un percorso scolastico
regolare (2 ragazzi hanno frequentato l’università al loro Paese) ed è in grado
di leggere e scrivere, mentre il restante 30% ha frequentato scuole coraniche
al villaggio.
In Libia hanno trovato tutti un lavoro (alcuni come piastrellisti, come muratori,
imbianchini, elettricisti; i provenienti dal Bangladesh hanno lavorato soprattutto
in imprese di pulizia), ma dalle loro storie di vita si evince che la maggior parte
di loro sono stati messi al margine dalla società libica e utilizzati per lavori
faticosi e malpagati e spesso privati della loro libertà.
Il 95% di loro è celibe e senza figli. Chi era in Libia con la famiglia e ha potuto
farlo, ha inviato moglie e figli al Paese di provenienza prima dello scoppio della
guerra. Alcuni civili hanno invece perso moglie, figli, fratelli, prima di venire in
Italia.
Si è potuto osservare un divario molto profondo tra le culture di appartenenza
dei migranti e quella in cui ora si trovano a vivere. Tale divario si è rilevato anche
nei più comuni comportamenti della vita quotidiana: dall’uso dei servizi igienici e
delle docce, alla cura di sé, dei propri abiti, delle stanze dove dormono. Nei primi
giorni, per esempio, i letti a castello sono stati smontati ed i materassi messi
direttamente sui pavimenti. Oppure hanno continuato, nonostante i divieti, a fare
scorte di cibo, portato dalla mensa alle camere da letto e poi gettato, come pure
a ricercare cure ed esami medici del tutto inutili e fuori luogo.
Dai loro racconti è emerso che per alcuni venire in Italia è stata una scelta
dovuta al momento contingente, mentre per altri un obbligo imposto dai soldati
di Gheddafi che hanno rastrellato casa per casa tutti gli stranieri di colore.
Bangladesh
Niger Altre nazionalità
Nigeria
Guinea
Mali Sudan
Ciad
Burkina Faso
Palestina
Pakistan
Mali
Marocco Togo
Costa d’Avorio
Ghana
Sierra Leone
Algeria
Nazionalitàdei richiedentiasilo
Accoglienza Migranti: le prime assistenze a cura degli operatori di via Saponaro
La Protezione Civile ha avuto il compito di gestire inizialmente quella che è stata definita
“Emergenza Nord Africa”, accompagnando i migranti alle strutture preposte, fra cui
anche la nostra Casa di Solidarietà di via Saponaro; alcune persone sono invece giunte
presso la nostra sede direttamente da Lampedusa, altri ancora dai grandi Centri per
profughi in Puglia e Sicilia.
I loro trascorsi in Italia prima dell’arrivo in via Saponaro sono stati dei più disparati, alcuni
avevano vissuto qualche giorno in albergo, in piccoli paesi della Valcamonica, altri in
22 23
alcuni centri di pronto intervento in cui erano stati accolti; li accomunava unicamente,
il loro senso di disorientamento e i segni delle fatiche fisiche, dopo un lungo e difficile
viaggio.
I migranti sono arrivati quasi sempre in gruppo; il primo gruppo il 3 maggio 2011 e
l’ultimo nel luglio 2012. Le persone giunte il 3 maggio provenivano da 20 Paesi differenti
e la maggior parte di loro, si trovava in Libia per lavoro. Gli ultimi arrivi hanno invece
riguardato per lo più trasferimenti da altri Centri di accoglienza.
I professionisti, la psicologa e l’assistente sociale, della nostra Casa di Solidarietà, hanno
provveduto a definire una procedura per dar seguito all’accoglienza di queste persone,
per cercare di tracciare il loro profilo e comprendere, nonostante le molteplici barriere
linguistiche e culturali, la storia di ciascuno di loro. Si impose da subito la necessità di
incontrarli quanto prima possibile, per accertare le loro condizioni psichiche, fisiche e
per compilare le opportune schede per il disbrigo di tutte le pratiche burocratiche. Con
l’ausilio di alcuni test e questionari redatti dalla psicologa, si è cercato di tracciare quella
che è stata definita la “carta d’identità culturale”, uno strumento che consentisse di
delineare, quanto più possibile, la cultura di ciascun individuo, dunque il loro bagaglio di
conoscenze e di credenze.
Attraverso tale indagine sono state raccolte informazioni in merito a:
Nome:considerando in particolare da chi fosse stato scelto a chi era appartenuto cosa significasse
Luogo di nascita: se proveniente da villaggi o da grandi città
Età,stato civile: sposato, celibe, poligamo, con figli e quanti
Fratria: primo, secondo, terzogenito
Lingua: quale la lingua madre, la conoscenza di lingua italiana o di altre lingue straniere
Mobilità: da campagna a città, da Paese a Paese
Parenti migranti
Scolarità,lavoro: quanti anni di scuola, che tipo di istruzione e se impiegati
Salute/malattia: se favorevoli o meno alle medicine tradizionali o più propensi a terapie alternative
Religione: quale e soprattutto se praticanti e in quale misura
Questo strumento di indagine culturale ha sin da subito messo in evidenza alcuni
aspetti utili per comprendere al meglio il vissuto di ciascun individuo e i contesti
socio-culturali in cui gli stessi hanno vissuto. Abbiamo appreso fin da subito, ad
esempio, che il gruppo dei migranti ghanesi, considera più favorevolmente i
“guaritori” alternativi, rispetto alla medicina tradizionale Occidentale; o ancora che
la poligamia nel loro Paese è abbastanza diffusa, tanto che uno di loro aveva 54
fratelli, avendo avuto il padre 9 mogli. Abbiamo avuto abbondanti descrizioni di
piccoli villaggi nelle zone più desolate dell’Africa e dei tuguri in cui si accatastavano
le numerose famiglie. E così se il mondo dei ragazzi del Bangladesh appariva pieno
di fiori e farfalle, quello dei giovani del Mali era fatto di cellulari e automobili di
lusso. Questa “carta di identità culturale” è stata sviluppata in quindici giorni circa,
adottando una metodologia di lavoro basata su gruppi perché i tempi stretti non ci
avrebbero consentito di sviluppare sin da subito i colloqui individuali. Si è cercato
quanto più possibile di utilizzare la lingua dei migranti soprattutto in tutti quei casi
in cui la persona parlava solo la lingua tradizionale di Mali, Ghana, Costa d’Avorio,
Bangladesh, grazie all’aiuto di un altro ospite dello stesso Paese d’origine, che
conosceva almeno una delle tre lingue utilizzate dai nostri operatori, ovvero inglese,
francese o arabo.
Da subito è emerso che solo quattro su cento di loro conoscevano l’esistenza del
trattato di Dublino, che stabilisce che uno straniero richiedente asilo deve restare
nel primo Paese in cui ha depositato la sua impronta e non a caso quasi tutti, fin dal
primo colloquio, avevano chiesto se era possibile andare in altri Paesi Europei. Ben
pochi di loro, inizialmente si sono resi conto di quanto sarebbe stato difficile vedere
realizzati in tempi brevi i loro sogni, la possibilità di avere un lavoro, dunque dei
Un medico volontario del Poliambulatorio di via Bertoni
24 25
soldi, una casa, la famiglia.
Si è cercato, sin da subito, di spiegare dove si trovassero, cercando di interagire quanto
più possibile con loro ascoltando le loro esigenze.
Lo strumento di indagine culturale da noi adottato, ci ha consentito di fare anche delle
previsioni sulle possibilità e capacità di integrazione di ciascuno di loro, cercando
di comprendere di capire chi avrebbe avuto più o meno difficoltà nel processo
transculturale ovvero nel passare dalla cultura originaria a quella del Paese, in cui ora
si trova.
Previsioni che sono risultate tendenzialmente attendibili, nel momento stesso in cui
i richiedenti si sono successivamente dovuti confrontare con il mondo esterno alla
Fondazione. Dopo sei mesi è stato loro rilasciato, secondo quanto stabilito dalla legge,
un permesso di soggiorno che, seppur temporaneo, garantiva la possibilità di lavorare.
Si è cercato, in base alle caratteristiche di ciascuno, di offrire un orientamento per
la ricerca di lavoro, constatando che tutti coloro che in fase di indagine dell’identità
culturale erano risultati con personalità fortemente “tradizionaliste”, ovvero con
notevoli resistenze al cambiamento, a distanza di mesi avevano ampliato di poco il loro
vocabolario di italiano limitandosi ai saluti generici e riscontrando notevoli difficoltà.
Da subito si sono demotivati e hanno considerato l’apprendimento della lingua e
la frequentazione della scuola, un’inutile perdita di tempo, fermo restando la loro
incessante volontà di avere un lavoro.
Erano continui i loro confronti con l’esperienza avuta in Libia, dove a nessuno di loro
veniva richiesto di parlare l’arabo e risultava sufficiente eseguire i lavori secondo
quanto veniva loro ordinato. La maggior parte di queste persone trascorrono le loro
giornate in giro per la città in una ricerca superficiale e senza un preciso obiettivo, se
non quello generico di “trovare lavoro”.
Diversa invece è la situazione per gli altri che avevano ottenuto un profilo di tipo
“transculturale”, che possedevano titoli di studio e parlavano già la lingua italiana
riuscendo dunque a comprendere quali strade percorrere al fine di far coincidere le
loro capacità lavorative con le richieste del mercato.
Sono tutti coloro che hanno saputo trovare dei punti di riferimento in biblioteche,
parrocchie, associazioni di connazionali e amici italiani.
Un ospite della Casa di Solidarietà La mensa di via Saponaro, aperta tutti i giorni anche in occasione delle festività
26 27
Nell’insieme sono transitati presso la Casa di Solidarietà di via Saponaro 199 migranti:
dal 3 maggio al 31 dicembre 2011, 183 ospiti e, dal primo gennaio al 31 agosto 2012,
sono transitate altre 16 persone.
Oggi, a distanza di più di un anno dal loro arrivo in Italia, nella Casa di Solidarietà, sono
ospitati 86 richiedenti asilo; 11 di loro hanno ottenuto un permesso di soggiorno
per motivi umanitari ed un altro richiedente di nazionalità eritrea ha invece ottenuto
lo stato di asilante. Altri 70 hanno avuto un esito di diniego e altri 4 sono in attesa
della risposta della Commissione.
Dal giorno in cui sono arrivati, quando li abbiamo accolti spaesati, confusi, stanchi,
quando non avevano niente con sé, se non gli abiti che indossavano, a oggi
hanno attraversato tante fasi, hanno dovuto avventurarsi ancora una volta, dopo
l’esperienza in Libia, in una nuova società e cultura, lontane per alcuni di loro anni
luce dal piccolo villaggio africano o del Bangladesh in cui erano cresciuti.
Molti di loro erano feriti nel corpo e nell’anima, la loro sofferenza era palese. Altri,
che avevano attraversato la guerra e il doppio esilio apparentemente indenni,
sopportavano malamente il cibo diverso, il clima, le lungaggini della burocrazia, i
lunghi mesi dell’attesa per le convocazioni in Questura e Prefettura. E lo facevano
capire ribellandosi, scatenando guerre inutili tra etnie diverse, lamentando malesseri
fisici che erano il risvolto di quelli psichici.
Apparivano incontentabili: il pocket money sembrava non soddisfare le loro esigenze
primarie, la tessera dell’ATM veniva spesso perduta, le scarpe ed i vestiti non
risultavano adeguati e perfino le medicine non erano mai sufficienti a placare il loro
disagio.
Abbiamo curato i loro malesseri fisici, abbiamo alleviato le pesantezze dei loro cuori,
abbiamo cercato di offrire loro la speranza che il loro sogno di riscatto sia ancora
possibile.
Da questa esperienza abbiamo tratto soddisfazioni professionali e personali, grazie
al contatto con tante persone e culture. Abbiamo cercato di fare il possibile affinché
ciascun migrante, dopo aver lasciato il proprio Paese, la famiglia, gli amici, e dopo la
terribile esperienza della guerra in Libia, l’imbarco forzato, i lutti, la perdita di ogni
avere, potesse sentirsi accolto e protetto, in attesa di avere una risposta alla sua
domanda di asilo.
Ma non possiamo esimerci dal dire, come opinione personale di chi scrive, che
Conclusioni Emergenza Nord Africa: criticità e soddisfazioni
il meccanismo attuato per la riposta all’Emergenza Nord Africa andrebbe rivisto,
snellito, reso più comprensibile a coloro che vi devono accedere.
L’Emergenza si concluderà il 31 dicembre 2012 e ancora non sappiamo chi garantirà
le risorse per l’accoglienza e i percorsi di avvio all’autonomia e all’integrazione di
queste persone. L’auspicio, da un punto di vista personale, è che non si ripetano più
situazioni come gli scorsi anni, in cui, terminata un’emergenza, gli stessi richiedenti
asilo entrino a far parte di una nuova emergenza, trovandosi in una situazione
paradossalmente ancor più di disperazione perché senza alcun beneficio del circuito
Emergenza Nord Africa.
Nel nostro piccolo, affrontiamo il termine dell’Emergenza cercando di dare, per
quanto ci è possibile e senza creare false illusioni, alcune delle risposte che loro
attendono ed aiutandoli nel loro percorso di integrazione nel nostro Paese.
Un ospite della Casa di Solidarietà di via Saponaro
28 29
Sono molte le storie che si intrecciano e si sovrappongono nella Casa di Solidarietà di via Saponaro 40. Vogliamo dare spazio a
esperienze personali, attraverso la voce di operatori, professionisti e volontari, che hanno lavorato e vissuto con le persone accolte.
TESTIMONIANZE
Supporti e attività per i nostri ospiti richiedenti asilo politicodi Clara Bonfanti
Nell’estate 2011 a seguito dell’Emergenza Nord Africa, i Fratelli di San Francesco
d’Assisi hanno potenziato tutti i servizi offerti agli ospiti delle case di accoglienza.
La scuola di italiano ha riaperto dopo la normale chiusura a giugno e in soli 15
giorni ha attivato un corso intensivo calibrato per queste persone, coprendo tutto
il periodo estivo, in buona parte grazie ad insegnanti volontari.
I professionisti, psicologi, assistenti sociali, insieme a operatori sempre presenti
sul posto, hanno provveduto alle necessità pratiche comuni a tutti (domanda
di asilo politico, vestiario, tessera sanitaria, scheda telefonica, medicinali, vitto
e alloggio, abbonamento ai mezzi pubblici...) e a quelle individuali (colloqui
psicologici di approfondimento e visite mediche specialistiche). Tutto questo ci
ha consentito di conoscerli sempre meglio, di passare dai numeri, a nomi, volti
cui appartengono storie, potenziali e necessità molto differenti. Per alcuni è stato
possibile fare allora qualcosa di più: i volontari dello “Sportello di orientamento
e avviamento al lavoro”, si sono resi disponibili nel mese di agosto a parlare
con le persone che hanno la possibilità di cercare lavoro; a loro hanno dedicato
colloqui approfonditi, hanno stilato i curricula vitae e stanno progettando
percorsi possibili di inserimento lavorativo. L’Associazione Volontari ha pensato
anche di proporre a questi nostri ospiti uno spazio di espressione artistica per
l’elaborazione di vissuti ed emozioni. Grazie alla co-partecipazione di alcuni
volontari, gli incontri sono stati una bella occasione per condividere momenti di
espressione attraverso canali non esclusivamente linguistici: ci siamo espressi
con la gestualità del corpo, con la musica, con la pittura, con lo spazio che
ci accoglie, con il comune linguaggio delle emozioni. Nei due primi incontri,
attraverso tecniche di teatro e movimento creativo, per attivare l’ascolto a livello
di gruppo e individuale, abbiamo cercato di lavorare con la nostra creatività,
quale strumento non solo di benessere, ma anche di stimolazione per la
risoluzione dei problemi. I lavori realizzati dapprima su un foglio di carta e poi
ritagliati, hanno preso forma quasi a voler rappresentare i bisogni percepiti, i
desideri, i problemi irrisolti. Il poter lavorare in gruppo allena e stimola, protegge
e accoglie, sorregge un cambiamento possibile. L’arte come la vita, è questo il
messaggio che portano le artiterapie. Ecco alcuni dei lavori prodotti, che offrono
la possibilità di conoscere qualcosa di più di ciò che sta dietro a uno dei tanti
volti che arrivano dalle immagini degli sbarchi a Lampedusa.
Un ospite che riposa in una camera della Casa di Solidarietà di via Saponaro
30 31
L’esperienza di insegnamento di Italiano per richiedenti asilo politico, svolta presso la
Casa di Solidarietà di via Saponaro, ha creato in me molte emozioni, a volte contrastanti,
ma sempre positive: da un lato è stato sicuramente molto faticoso fare lezione a studenti
tanto diversi tra loro per livello d’istruzione e di cultura, dall’altro è stato altrettanto
stimolante e umanamente gratificante, seguirli con attenzione e dedizione e vedere,
giorno dopo giorno, i loro piccoli, ma importanti progressi.
Ho cominciato questa avventura a luglio 2011 e con il passare del tempo mi sono sempre
più reso conto della reale difficoltà di queste persone nell’adeguarsi ad un mondo, un
sistema economico, una lingua a loro completamente estranei.
Avendo diversi gruppi da seguire e facendo lezione a persone di diversa età, livello
culturale, istruzione, religione e carattere (dagli analfabeti che devono essere seguiti
con più impegno, ai diplomati e addirittura ad alcuni laureati con cui si riesce a parlare
e scambiare idee e opinioni), ho scoperto l’esistenza di culture, tradizioni, usi e costumi
molto diversi da quelli di noi europei, ma non per questo meno interessanti e anche, in
qualche modo, affascinanti.
Devo ammettere che i primi approcci con gli studenti sono stati piuttosto complessi:
oltre all’uso della lingua inglese e francese, che ha creato qualche iniziale difficoltà
di apprendimento data la provenienza dei ragazzi da varie parti dell’Africa, ho dovuto
necessariamente cercare di superare, nel modo più spontaneo possibile e senza urtare
la loro sensibilità, i pregiudizi e le diffidenze reciproche che inevitabilmente si creano
tra persone con caratteri differenti, ottenendo gradualmente, lezione dopo lezione, la
fiducia di tutti. A distanza di qualche mese, posso dire con una certa soddisfazione di
essere riuscito a creare un rapporto di reciproco rispetto e di fiducia con tutti i ragazzi
e con alcuni addirittura di amicizia. Molti di loro mi considerano, mio malgrado, non
solo un insegnante, ma anche una sorta di confidente e amico: infatti spesso mi fanno
leggere le relazioni della Commissione, mi chiedono informazioni, delucidazioni o aiuto
nella compilazione, traduzione o spiegazione vera e propria di documenti rilasciati dalla
Commissione o dalla Questura, a cui purtroppo io non posso rispondere secondo le loro
aspettative, non essendo un esperto di legge. Mi vedo dunque costretto a demandarli
ad altre figure professionali, come l’assistente sociale, lo psicologo, l’avvocato,
indubbiamente più idonee a soddisfare le loro domande ed esigenze. Le situazioni di
molti di loro mi hanno particolarmente colpito e commosso: persone che in Libia, sotto il
tirannico regime di Gheddafi, sono state costrette con la forza ad arruolarsi nell’esercito
Riflessioni sul Corso di Italiano per Asilanti: un bilancio tra realtà e speranza di Alessandro Gagliardi
libico, torturate o mutilate in caso di rifiuto o diserzione, che hanno dovuto abbandonare
mogli, figli, padri e madri o li hanno visti morire sotto le armi dei miliziani o in mare sui
“gommoni della speranza”. Erano quasi tutti alla ricerca di una libertà, di un lavoro, di
una dignità che forse neanche noi italiani, in un periodo di profonda crisi economica e
politica, a parer mio, possiamo garantire loro.
Con il passare dei mesi il numero dei frequentanti le lezioni è calato vertiginosamente.
I motivi di tale abbandono sono vari: chi va alla ricerca di lavoro, chi non ha voglia di
studiare perché non vi è abituato, chi non lo ritiene affatto necessario, chi si disinteressa
completamente della lingua italiana, ritenendo di star bene così. Questo atteggiamento
mi rattrista un poco, perchè conosco le difficoltà che secondo la Legge italiana avranno
queste persone nell’ottenere i documenti e lo stato di “Asilante politico” e quindi il relativo
permesso di soggiorno per poter restare nel nostro Paese: dovranno infatti dimostrare
di essere in grado di parlare la lingua italiana almeno a livello elementare e di avere un
lavoro stabile, arduo compito in questo periodo di crisi anche per gli stessi italiani.
Mi auguro comunque che almeno per gli studenti che hanno frequentato con assiduità
i corsi di Italiano e che sono anche quelli che iniziano a “masticare” un po’della nostra
lingua, si possano aprire nuove prospettive di vita e di lavoro nel nostro Paese. L’unica
cosa che posso dire a tutti loro, senza distinzioni, è: buona fortuna!
Un momento in classe durante la scuola di italiano
32 33
I miei ragazzi africani
Asilo, un viaggio con la fantasia
di Antonella Braschi di Roberta Resmini
Su un numero d’agosto di “Sette”, supplemento del “Corriere della Sera“,
spiccava la foto, una delle tante pubblicate in questi ultimi tempi, di una massa
indistinta di giovani uomini stipati gli uni contro gli altri nel Centro di accoglienza
di Lampedusa.
L’autore dell’articolo si era dato la pena di interrogarne alcuni e l’intero articolo
era giocato sul contrasto tra l’indifferenza (in alcuni casi l’insofferenza o il timore)
che provoca un fenomeno di queste inaspettate proporzioni e il sentimento che
non può non sorgere spontaneo quando i numeri smettono di essere tali e si
fanno lacrime e sangue, storie e racconti.
Questa, ho pensato, è proprio l’amara, tragica verità: una verità così scomoda da
accettare, da indurci a stemperare l’individualità di quei volti e della sofferenza
che sta dietro a quegli sguardi in una entità sfuocata e indistinta. Fino a pochi
giorni prima, questi giovani (certo non proprio quelli della foto che ho citato
poco sopra, ma altri come loro) li avevo avuti intorno, li avevo chiamati per
nome, li avevo mandati dal medico quando non stavano bene, avevo ascoltato le
loro lamentele sull’invasione delle zanzare a Saponaro (ma in Africa non ce ne
sono più?) e alla fine mi ero accorta che sempre, nell’uomo, c’è un bisogno più
forte di tutti: l’essere apprezzato nella sua individualità, l’essere “riconosciuto”,
l’essere accolto.
Credo che, più di ogni altra cosa, essi temano l’indifferenza che li relega in un
limbo dove non c’è spazio per quei rapporti umani veri a cui erano abituati,
pur nella miseria e nella precarietà, quando ancora vivevano nella loro terra
d’origine.
Due giorni dopo, ho incontrato, in spiaggia, uno dei tanti venditori ambulanti e le
mie amiche, con distratta cortesia, gli avevano appena mormorato il solito, generico
“No, grazie”: e l’ambulante ha voluto precisare: “Prima di tutto buongiorno!”.
A quel punto ho risposto: “Buongiorno, da dove vieni?”. “Sono nigeriano”. “Allora
parli inglese?”. “Certo!”.
Così, per un po’ abbiamo chiacchierato, gli ho raccontato della mia esperienza al
corso di italiano con gli africani e di alcuni, come lui, nigeriani.
Gli ho offerto un caffè e gli ho augurato che Dio avesse cura di lui in arabo
(una delle cinque o sei espressioni che conosco) e l’ho visto andarsene via
rasserenato.
Ho sempre amato viaggiare. Il viaggio è movimento, ritmo, musica, colore, odore. E’ vita.
Amo ascoltare le storie dei viaggiatori che raccontano di posti inusuali, tradizioni bizzarre,
cibi fuori dal comune.
Ho spesso pensato che il viaggio implichi necessariamente un movimento nello spazio e nel
tempo. Mi sono dovuta ricredere quando ho incrociato lo sguardo di ragazzi che avevano
negli occhi le immagini impresse del loro viaggio dalla Libia verso l’Italia, e ho toccato con
mano, le loro storie, le sofferenze, le speranze.
Li ho incontrati la prima volta il giorno del loro arrivo in via Saponaro, il 3 maggio 2011,
intimoriti e spaesati. Conoscendo l’inglese e il francese, sono riuscita a parlare con i primi
arrivati: la loro rabbia era motivata dal non capire cosa poter fare, dove dover andare, chi
fossimo noi.
Li ho incontrati nuovamente dopo pochi giorni, questa volta seduti ai banchi di scuola:
scritta nei loro occhi la speranza di affrancarsi anche qui, in Italia. Apparivano desiderosi
di apprendere l’italiano per poter riuscire a comprendere meglio la complicata trafila
burocratica da seguire per presentare la richiesta di asilo politico.
Un nuovo incontro quasi un anno dopo: questa volta in Tribunale, per fare da interprete con
il giudice nei ricorsi ai dinieghi alle richieste di asilo politico.
LE LORO STORIE
E’ proprio in questa circostanza che conosco Hussein 15 , partito dalla Libia e arrivato da
Lampedusa: lui non libico, non africano, originario del Bangladesh. Lavorava in Libia prima
della guerra, come piastrellista.
Gli dico che sono la sua traduttrice, dall’inglese all’italiano e viceversa. Anche se ho letto
tutta la sua storia me la faccio raccontare. E mentre mi narra che la zona dove abitava in
Libia era sotto il controllo dei ribelli che hanno distrutto la sua abitazione e che dopo è stato
costretto a imbarcarsi alla volta di Lampedusa. Penso a tutte le sofferenze che le parole
non riescono a trasmettere: cosa c’era nella vita di Hussein prima dell’arrivo a Lampedusa?
Quanti sacrifici ha sopportato, da immigrato, in un Paese come la Libia, quanto ha sofferto
lasciando il suo Paese natale e quanta altra sofferenza ha lasciato nel Bangladesh?
E poi Emmanuel, originario della Nigeria, che, prima di sbarcare a Lampedusa, ha
attraversato altri Paesi per poi approdare in Libia, dove ha lavorato come carpentiere: lui,
perseguitato nel suo Paese perché cristiano della Chiesa Apostolica e perché omosessuale.
Avrebbe tutte le carte per essere ammesso al circuito asilanti: in Nigeria l’omosessualità è
Un’opera realizzata da un ospite della Casa
Uno scritto di un ospite della Casa
34 35
punita con la pena di morte e la lotta intestina tra musulmani e cristiani è acerrima.
E ancora, la storia di Nnamdi. Nnamdi era una persona importante nel suo Paese, la Nigeria.
Avrebbe dovuto succedere al padre sul trono del villaggio. Ma un evento nefasto, l’omicidio
del padre, gli ha fatto perdere in un attimo un futuro glorioso e la possibilità di vivere nel
suo Paese natale. In un inglese quasi perfetto mi dice:
Mi ha spiegato che nel suo piccolo villaggio è in corso una lotta tra famiglie: le famiglie sono
rappresentanti di etnie rivali. Succedere al trono avrebbe significato per lui la morte sicura.
In inglese, in parole semplici che riporto in italiano, riferisce:
Che cosa ne sarà di Nnamdi, se anche questo ricorso non va a buon fine? Sicuramente le
cose per lui non sono andate come le immaginava da bambino, quando voleva costruire la
vita nel suo Paese, quando doveva diventare re del suo villaggio. La sua storia è cambiata,
ora è in Italia.
E infine incontro Muhammad, proveniente dal Bangladesh. Lui parla solo bengalese e ha
bisogno di un interprete che traduca dal bengalese all’inglese.
Nel suo villaggio nel distretto di Gazipur era agricoltore ma, poiché, appartenente ad una
minoranza induista in un villaggio dove i musulmani si aggirano attorno al 94%, era vittima
di una serie di ritorsioni (come il furto del raccolto in tempo di mietitura) che non poteva
denunciare alla polizia perché questa ne avrebbe altrimenti minacciato l’arresto. Nel 2010
ha deciso di emigrare in Libia, dove ha trovato lavoro come imbianchino presso un’impresa
edile prima italiana e poi libica.
In Italia ha ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ritenendo che possano
per lui sussistere gravi motivi di carattere umanitario stabilite dall’art. 32 co. 3 D.Lgs
25/08. Sicuramente l’Italia non ha mai rappresentato per lui il “Paese dei balocchi”; solo la
contingenza della guerra lo ha portato ad approdare qui e ora si apre per lui un nuovo futuro.
Un aforisma di Sant’Agostino paragona la vita ad un libro, di cui chi non viaggia legge
solo la prima pagina. Pochi momenti a contatto con questi ragazzi mi hanno permesso di
girare mezzo mondo e sfogliare pagine di storia, tradizioni, equilibri politici in un viaggio
immaginario ma allo stesso tempo tremendamente reale.
Il mio augurio è che tutti questi ragazzi possano ricostruire, pezzo dopo pezzo, la loro
identità frammentata e dislocata su più continenti.
I couldn’t stay in Nigeria anymore…otherwise the enemies kill me, like my father.
Non potevo più restare in Nigeria, altrimenti i nemici mi avrebbero ucciso, come
hanno fatto con mio padre.
“ “
Così ho deciso di lasciare il mio Paese. Sono andato prima in Burkina Faso, poi sono arrivato in Libia.
Lì ho lavorato come piastrellista. Ma poi la guerra, le bombe…sono stato costretto a partire. I soldati
mi hanno derubato di tutti i miei risparmi e mi hanno costretto a partire. Non sapevo dove il pesche-
reccio fosse diretto. Ho saputo che ero in Italia perché me lo hanno riferito gli operatori.
““
Ho lavorato sei mesi presso un’impresa edile italiana, lì mi pagavano regolarmente lo stipendio. Poi
ho terminato il lavoro in quella ditta e sono andato a lavorare presso un’impresa libica per quattro
mesi senza percepire stipendio. Allo scoppio dei primi tafferugli la ditta ha chiuso senza pagarci.
Quando in Libia sono aumentati i bombardamenti mi sono rifugiato sulla spiaggia ma era pieno di
militari libici che mi hanno picchiato, tolto tutti i denari che avevo e, a spintoni, obbligato a salire su
una nave con circa 600 persone a bordo in partenza per l’Italia.
“
“
15 I nomi riportati in questo articolo sono di fantasia
Alcuni ospiti in mensa
36 37
Un momento di svago...e non solodi Bledjan Beshiraj
I richiedenti asilo politico: ne ho sempre sentito parlare; anche molti dei miei amici
sono stati richiedenti asilo politico, eppure, paradossalmente, per me sono una novità.
Mi chiamo Bledjan Beshiraj, sono albanese e sono arrivato in Italia nel 2000 quando
ancora ero minorenne. Sono stato accolto nella comunità per ragazzi minori trovati in
stato di abbandono sul territorio, gestita dalla Fondazione Fratelli di San Francesco
d’Assisi, per poi, una volta raggiunta la maggiore età, diventare operatore della
Fondazione stessa ed essere così in grado di aiutare tutte le persone che, per vari
eventi della vita, si ritrovano a dormire sulla strada, o chi, come me, è stato costretto a
dover scappare dal proprio Paese per cause più diverse ( guerre, povertà ecc ). Mi sono
poi iscritto all’università, alla Facoltà di Scienze Politiche. Questa premessa per potervi
raccontare la mia esperienza con i ragazzi accolti nelle comunità della Fondazione,
provenienti dal Nord Africa, dove guerre, fame e ingiustizie sono la normalità, dove
ai bambini viene rubata l’infanzia e ai ragazzi viene tolto il diritto di sognare una vita
normale.
IL LORO ARRIVO
Nel mese di maggio, dietro convenzione con la Prefettura, sono stati accolti presso il
nostro Centro di via Saponaro 40, 120 richiedenti asilo politico. Devo ammettere, a onor
del vero, che il primo impatto non è stato dei più facili; immaginate: costretti anche
con la forza a doversi imbarcare, dopo essere stati spogliati di tutto (o almeno quel
poco che avevano), dopo un lungo viaggio ammassati come sardine su una carcassa,
e vedendo i propri amici, conoscenti ma anche mogli, mariti e figli, morire di stenti,
per raggiungere “la terra promessa”. Secondo voi lo stato d’animo di questi ragazzi e
uomini quale poteva essere, se non rabbia o paura?
Il mio compito presso la Casa di Solidarietà di via Saponaro è quello di “Responsabile
dell’accoglienza notturna” e quindi, insieme ai colleghi del turno della notte, si instaura
un dialogo, che spesso si trasforma in amicizia e stima, con tutti gli ospiti.
La maggior parte di questi ragazzi come seconda lingua parla il francese: grazie
all’aiuto dei mediatori culturali della Fondazione sono riuscito ad interagire in maniera
sempre più completa con loro. Questo rapporto è stato facilitato dal momento in
cui hanno cominciato a frequentare i corsi di lingua e cultura italiana tenuti dagli
insegnanti interni alla Casa.
Parlavo con loro e raccontavo anche la mia esperienza, ma mi rendevo conto che il mio
vissuto, sebbene non facile, era stato “normale”.
Sono tifoso sfegatato del Milan (ma ben sopporto interisti, juventini e altre tifoserie) e
quando alla sera venivano trasmesse delle partite, ci si ritrovava davanti alla grande tv
della sala di socializzazione per tifare la squadra del cuore.
Era ed è emozionante vedere questi giovani che per 90 minuti dimenticano gli orrori di
quanto hanno vissuto ed esultano a ogni goal della propria squadra. Così mi sono così
chiesto se praticare uno sport, ad esempio il calcio, avrebbe potuto essere di aiuto a
questi ragazzi.
LO SPORT:
DISCIPLINA, SOFFERENZA, AMICIZIA, FORMAZIONE, SALUTE FISICA E MENTALE
Lo sport concorre alla formazione di una personalità equilibrata, che pone le basi per
un’apertura a valori più alti quali la cultura, la partecipazione sociale e la ricerca di
significati che vanno oltre gli aspetti materiali della vita.
Uno dei valori più importanti legati alla pratica sportiva è quello della disciplina. Bisogna
infatti condurre una vita regolare, fatta di sane abitudini evitando eccessi di varia
natura. La disciplina non porta solo ai risultati sportivi: si impara ad apprezzare la vita
attiva e regolare, a saper rispettare gli impegni presi senza lasciarsi trasportare da
sbalzi di umore o incostanza. Parlando con loro una sera è emerso che avevano una
gran voglia di giocare a calcio, sognando ognuno di essere un campione.
Il calcio, in questo caso, aiuta non solo i richiedenti asilo politico ma anche altri ospiti
del nostro Centro, a creare rapporti di stima e amicizia, demolendo barriere linguistiche
e culturali che altrimenti andrebbero a radicarsi nella persona, impedendogli, una volta
raggiunta l’autonomia, di relazionarsi all’esterno con altri.
LA SQUADRA DEI RAGAZZI RICHIEDENTI ASILO POLITICO
Settanta dei richiedenti hanno aderito così alla mia proposta di giocare due o tre volte
a settimana delle partite amichevoli. Mi sono informato in varie strutture e alla fine ho
trovato un campetto da calcio, vicino a via Saponaro. I settanta ragazzi erano entusiasti
della notizia e da subito sono iniziati gli allenamenti, ai quali ha preso parte (e con
grandi risultati), anche il Superiore del Convento di Sant’Angelo, P. Roberto Ferrari, data
la sua passata esperienza di cappellano dell’Inter e allenatore dei Pulcini.
Il dopo partita è uno dei momenti che preferisco: vedi questi ragazzi orgogliosi della La locandina del momento sportivo
38 39
vittoria, che si confrontano con i componenti della squadra avversaria e nascono, così,
delle vere amicizie. Avversari in campo, ma fuori uniti dalle sofferenze e dalle paure.
Molte le partite amichevoli giocate:
PARTITA VINTA contro la squadra di CASCINA MONLUE’.
PARTITA VINTA contro il dormitorio di V.le Ortles.
PARTITA VINTA contro la squadra formata dai ragazzi minori della Comunità minori della Fondazione.
PARTITA VINTA nel mese di dicembre, abbiamo preso parte ad un torneo con altre
cinque squadre.
Concludo ringraziando questi ragazzi per avermi regalato la loro fiducia e il loro affetto.
Forza campioni, il prossimo goal sarà la realizzazione dei vostri sogni!
Bibliografia
AA.VV., Il diritto alla protezione. La protezione internazionale in Italia Quale futuro?Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia
e proposte per una sua evoluzione, Pubblicazione a cura del Fondo Europeo per i Rifugiati, 2011.
AA.VV., La tutela dei richiedenti asilo. Manuale giuridico per l’operatore, Pubblicazione elaborata nell’ambito del Progetto
In/Formazione II grazie alle risorse assegnate ad ANCI per l’anno 2007 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2012.
Aquaro A., L’amico Chavez o lo Zimbabwe, adesso il Colonnello tratta la fuga, La Repubblica 23/8/2011.
Cresti F., Non desiderare la terra d’altri. La colonizzazione italiana in Libia, Roma, Carocci, 2010.
D.Lgs. n. 25/2008, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri
ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 16 febbraio 2008.
Gabrielli C., L’obbligo di salvataggio in mare nelle attività dell’Agenzia Frontex secondo la decisione del Consiglio dell’Unione, Gli
Stranieri, rassegna di studi e giurisprudenza, N.1/2010 Studio Immigrazione, Viterbo, 2010.
Gazzini C., Il grande gesto dell’Italia verso la Libia, Il mare nostrum è degli altri, I Quaderni speciali di Limes, Roma, supplemento
3/2009.
Gutman R., Rieff D. (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, Roma, Contrasto/Internazionale, 2004.
Olimpio G., La testa del serpente. Tutti i segreti di Osama Bin Laden, Milano, Corriere della Sera, 2011.
Petrovic N., Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Milano, Franco Angeli,
2011.
Sassen Saskia, Migranti, coloni, rifugiati. Dall’Emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano, 1999.
Sensini P., Libia 2011, Milano, Jaca Book, 2011.
La squadra di calcio dei nostri ospiti presso la Casa di Solidarietà
Siti di riferimento:
Alto commissariato per i rifugiati - http://www.unhcr.it
Consiglio italiano per i rifugiati - http://www.cir-onlus.org
Fortezza Europa - http://fortresseurope.blogspot.it/
Index Mundi - http://www.indexmundi.com
Melting pot - http://www.meltingpot.org
Protezione civile - http://www.protezionecivile.gov.it
Film per approfondire:
Lettere dal Sahara, di Vittorio De Seta, Italia, 2004
Liberi, prod. Guardia Costiera, Italia, 2011
Nuovomondo, di Emanuele Crialese, Italia-Francia, 2006
Terraferma, di Emanuele Crialese, Francia, 2011
Foto a cura di:Istituto Italiano di Fotografia,
Lidia Crisafulli
40
Via della Moscova, 9 - 20121 Milano - www.fratellisanfrancesco.itTel. 02 6254591 - [email protected]