Fantozzi Diritto

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Diritto Tributario Capitolo1 Il Diritto Tributario Il diritto tributario nell’ordinamento giuridico La definizione del Diritto Tributario ha creato molte controversie relative in particolare all’estensione del fenomeno tributario, al suo metodo di studio, ai rapporti con le altre scienze. Riguardo all’estensione i primi studi analizzavano insieme l’attività di ricerca dei mezzi finanziari, per far fronte ai fini istituzionali, e quella di utilizzo di tali mezzi. Quindi si studiava l’intera attività finanziaria dell’ente e per diritto finanziario si intendeva l’insieme delle norme che regolavano la raccolta, la gestione e l’erogazione dei mezzi finanziari pubblici. Col tempo ci si rese conto che all’unità della materia non vi era unità di disciplina, quest’ultima ispirata a principi diversi sia di diritto costituzionale, che privato e amministrativo quindi l’affinarsi degli studi giuridici ha portato allo studio di singoli settori speciali del diritto finanziario che avevano una disciplina omogenea. Uno di questi è proprio il Diritto Tributario che può definirsi come il complesso di norme che regolano l’istituzione e l’attuazione del tributo. Altre definizioni accolte dalla dottrina ruotano sempre intorno al tributo ( che comprendeva l’imposta, la tassa, il contributo e il monopolio fiscale) , tranne quella della dottrina tedesca che faceva coincidere il diritto tributario con il diritto d’imposta. Altre definizioni escludono dal diritto tributario la fase di istituzione del tributo che viene riservata al diritto costituzionale o fanno riferimento allo studio dei rapporti giuridici che intercorrono tra cittadini e Stato inserendo anche gli altri enti pubblici; parte della dottrina fa riferimento allo studio dei rapporti che intercorrono tra ente pubblico e contribuenti in relazione all’imposizione e riscossione dei tributi e pongono al centro dell’attenzione il rapporto giuridico d’imposta. Nella fase più recente degli studi la dottrina ha individuato l’oggetto dello studio con riguardo alla funzione tributaria esercitata dall’ente pubblico e alle modalità del suo svolgimento, includendo così nello studio tutti i tributi riferiti allo Stato e agli enti pubblici , e comprende sia la fase normativa di istituzione che quella di attuazione, cioè di accertamento e di riscossione. Il diritto tributario appare come uno spaccato di attività giuridiche differenti ma esiste un principio in base al quale ordinare tutte le norme che disciplinano l’istituzione e l’attuazione del tributo: è la capacità contributiva che verrà analizzata in seguito. L’autonomia e il particolarismo del diritto tributario Il problema dell’autonomia del diritto finanziario e tributario dagli altri rami dell’ordinamento è rimasto per molto tempo all’attenzione

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Diritto TributarioCapitolo1

Il Diritto Tributario

Il diritto tributario nell’ordinamento giuridico La definizione del Diritto Tributario ha creato molte controversie relative in particolare all’estensione del

fenomeno tributario, al suo metodo di studio, ai rapporti con le altre scienze. Riguardo all’estensione i primi studi analizzavano insieme l’attività di ricerca dei mezzi finanziari, per far fronte ai fini istituzionali, e quella di utilizzo di tali mezzi. Quindi si studiava l’intera attività finanziaria dell’ente e per diritto finanziario si intendeva l’insieme delle norme che regolavano la raccolta, la gestione e l’erogazione dei mezzi finanziari pubblici. Col tempo ci si rese conto che all’unità della materia non vi era unità di disciplina, quest’ultima ispirata a principi diversi sia di diritto costituzionale, che privato e amministrativo quindi l’affinarsi degli studi giuridici ha portato allo studio di singoli settori speciali del diritto finanziario che avevano una disciplina omogenea. Uno di questi è proprio il Diritto Tributario che può definirsi come il complesso di norme che regolano l’istituzione e l’attuazione del tributo. Altre definizioni accolte dalla dottrina ruotano sempre intorno al tributo ( che comprendeva l’imposta, la tassa, il contributo e il monopolio fiscale) , tranne quella della dottrina tedesca che faceva coincidere il diritto tributario con il diritto d’imposta. Altre definizioni escludono dal diritto tributario la fase di istituzione del tributo che viene riservata al diritto costituzionale o fanno riferimento allo studio dei rapporti giuridici che intercorrono tra cittadini e Stato inserendo anche gli altri enti pubblici; parte della dottrina fa riferimento allo studio dei rapporti che intercorrono tra ente pubblico e contribuenti in relazione all’imposizione e riscossione dei tributi e pongono al centro dell’attenzione il rapporto giuridico d’imposta. Nella fase più recente degli studi la dottrina ha individuato l’oggetto dello studio con riguardo alla funzione tributaria esercitata dall’ente pubblico e alle modalità del suo svolgimento, includendo così nello studio tutti i tributi riferiti allo Stato e agli enti pubblici , e comprende sia la fase normativa di istituzione che quella di attuazione, cioè di accertamento e di riscossione. Il diritto tributario appare come uno spaccato di attività giuridiche differenti ma esiste un principio in base al quale ordinare tutte le norme che disciplinano l’istituzione e l’attuazione del tributo: è la capacità contributiva che verrà analizzata in seguito.

L’autonomia e il particolarismo del diritto tributarioIl problema dell’autonomia del diritto finanziario e tributario dagli altri rami dell’ordinamento è rimasto per molto tempo all’attenzione della dottrina e va inquadrato in termini storici. In una prima fase le trattazioni sulla finanza pubblica furono opera di economisti o studiosi non giuristi; esse fornirono dati rilevanti e applicavano principi dell’economia classica. L’influsso però della dottrina tedesca favorì poi l’affermarsi del “Metodo Giuridico” che escludeva le indagini estranee alla tradizione giuridica. Questo provocò un’autonomia degli studi giuridici rispetto a quelli economici e l’uso di strumenti privatistici che non agevolavano la ricostruzione e la formulazione normativa dei principi generali riscontrati invece nelle scienze economiche. Seguì poi la reazione della scuola di Pavia che studiava il fenomeno finanziario sotto profili giuridici, economici, politici e tecnici ma il metodo era prevalentemente economico. Questa impostazione è stata abbandonata in favore della rilevanza del sistema normativo. Il dibattito dottrinale sull’autonomia del diritto tributario ha lasciato dei segni sul sistema tributario italiano: da un lato l’art 53 cost. identifica l’espressione di “capacità contributiva” e la definisce come la base per l’elaborazione dei principi di ripartizione delle spese pubbliche e pone tale criterio come limite alla legittimità delle norme istitutive di tributi. Dall’altro si evidenzia la rigidità di quadri di riferimento desunti dalla scienza economica o dal diritto privato. Attualmente nessuno dubita dell’autonomia scientifica del diritto tributario data l’importanza del tributo, e anche data la presenza di principi diretti a disciplinare la ripartizione dei carichi pubblici bilanciando interessi collettivi ( per sopperire le spese ) e individuali ( in relazione al proprio patrimonio ). Ciò rende necessario individuare i criteri di giustizia distributiva in base ai quali si individua la parte di spese pubbliche a carico di ciascun consociato; Il diritto tributario si caratterizza anche per una peculiarità quella di avere natura strumentale ( cioè l’attitudine del diritto tributario a sovrapporsi ad una realtà di regola già qualificata da altre norme giuridiche ) , per l’estensione dei poteri di controllo ( per evitare possibilità evasive e elusive del contribuente che vanno a danneggiare i più deboli ) e per il rafforzamento dei poteri amministrativi. Quali sono i rapporti con la Scienza delle Finanze? Essi non vanno ricercati nel fatto che tale scienza potrebbe interpretare le norme giuridiche né di far prevalere principi e finalità economiche nello studio

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del diritti tributario, ma solo di riconoscere i legami tra la scienza che studia l’istituzione e l’attuazione del tributo e quella che ne studia la scelta e gli effetti economici. Il problema nasce perché il legislatore tributario con la legge vorrebbe raggiungere degli obiettivi e dei risultati oggetto della scienza economica. Il rapporto è tra due scienze autonome appartenenti a diversi sistemi;

Capitolo IILe prestazioni imposte e il tributo

Le entrate dello stato e degli Enti PubbliciDopo aver spiegato il significato di diritto tributario è necessario analizzare il termine “Tributo” identificandolo in base al principio della capacità contributiva e separandolo delle altre entrate pubbliche. I mezzi economici di cui necessita lo Stato e gli altri enti pubblici possono derivare dalla gestione o dall’alienazione dei propri beni ( concessioni di beni in godimento a terzi ) , dall’esercizio di attività lucrative ( reddito imprese pubbliche ) o da una serie di prelievi coattivi giustificati dal bisogno di coprire i costi che l’ente pubblico ha sostenuto per realizzare un interesse pubblico superiore; secondo la classificazione economica il “prezzo” del servizio può essere di vario tipo: Privato o quasi privato ( quello determinato nelle contrattazioni in base a leggi di mercato ) Pubblico ( quello che fissato in base a regole pubblicistiche copriva il costo del pubblico servizio senza ottenere ricavo ) di Monopolio ( non diverso da quello pubblico aggiungeva un’imposta all’ammontare del prezzo privato per la posizione monopolistica dell’ente pubblico ) Politico ( era individuato nelle ipotesi della tassa e del contributo, come il prezzo inferiore alla quota del costo totale, chiesto dall’ente a chi usufruiva di un servizio pubblico come la difesa o l’ordine pubblico ). La reazione della dottrina tedesca e l’introduzione del Metodo Giuridico favorirono l’introduzione, nella classificazione delle entrate, di criteri giuridici ispirati alla metodologia del diritto privato. Nacque così una classificazione basata sulla natura del rapporto tra ente pubblico e cittadini: da ciò si distinsero le entrate di diritto pubblico che erano quelle imposte in virtù della potestà d’Imperio e finanziavano i servizi pubblici indivisibili a beneficio di tutti, e quelle di diritto privato che traevano origine dai rapporti contrattuali e finanziavano i servizi pubblici divisibili pagati solo da coloro che ne beneficiavano. Le classificazioni attuate dalla dottrina con questi criteri furono molte e utilizzando il criterio della sussistenza si distinsero inoltre le entrate a titolo commutativo ( che erano corrispettivo di una controprestazione ) da quelle a titolo contributivo ( erano quelle in cui la controprestazione mancava); le prime erano anche divise in entrate di diritto pubblico o privato.

Le prestazioni imposteAlle prestazioni imposte si applica la riserva di legge dell’art 23 Cost (Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. ) che ha le sue radici sia nell’art 30 dello Statuto Albertino (Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re) sia nel riferimento al mercato. L’intervento del legislatore era necessario quando l’ingresso dello Stato nell’economia avesse potuto turbare l’equilibrio e alterare le regole economiche del libero mercato. Riferendoci alle prestazioni assoggettabili alla riserva, la teoria esposta dal Cammeo distinse i tributi inclusi da quelli esclusi nella riserva e definiva il tributo espressione della Sovranità che si realizzava attraverso lo schema dell’obbligazione ex lege. Quindi il rapporto era di natura tributaria quando l’obbligazione derivava dalla legge mentre non era tributaria quando derivava dall’autonomia negoziale del privato. Intersecando le nozioni dello Statuto e quella di Sovranità la dottrina pervenne a creare una nozione più ampia riferibile a tutti i rapporti in cui la prestazione del privato è dovuta in base alla legge. Tutto questo trovò sbocco nella formulazione dell’art 23 che sintetizza la “coattività” e la rilevanza giuridica come caratteri essenziali di tali prestazioni. Ma cosa si intende per prestazione imposta? L’art 23 divide le prestazioni personali da quelle patrimoniali: le prime la dottrina le ha distinte in Tributi e prestazioni di opere, cioè prestazioni di dare o fare che richiedono l’impiego di energie fisiche e intellettuali e che hanno rilevanza patrimoniale anche incerta come negli esempio in parentesi ( servizio militare, obbligo di comparire in giudizio come testimone). Tali prestazioni limitano la libertà del privato di scegliere l’attività cui dedicarsi; con riguardo alle prestazioni patrimoniali i casi sono tanti: vengono definite come tali le prestazioni che incidono sul patrimonio del privato riducendolo; la decurtazione ,che è la ratio della norma, non può essere solo economica ma può consistere nella perdita di un diritto reale o dalla nascita di un’obbligazione che ha per oggetti beni diversi dal denaro. Vengono escluse quelle prestazioni dirette a

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sostituire beni o servizi del patrimonio di ugual valore senza impoverirlo. Il tributo rappresenta una delle categorie più importante delle prestazioni imposte insieme alle altre prestazioni sopra analizzate;

Criteri di ripartizione dei carichi pubbliciCome vengono ripartiti i tributi e le prestazioni imposte tra i consociati? In epoche remote i carichi venivano addossati a soggetti estranei alla collettività ( bottino di guerra ) poi si affermarono dei criteri di ripartizione legati all’esistenza di gruppi sociali ( famiglia, gruppi religiosi ) che se ne facevano carico dividendoseli al loro interno; durante le guerre o le calamità anche i singoli contribuivano spontaneamente alle spese. Le nuove dimensioni dello Stato moderno richiedono una maggiore regolarità di ripartizione in relazione al gettito certo che viene a nascere per la realizzazione di opere o servizi collettivi e ripartiti tra la collettività secondo indici di ricchezza. Nacquero così le teorie della corrispettività e del beneficio dirette a misurare il concorso del privato alla prestazioni pubbliche; la scuola di Pavia elaborò la teoria della “Causa Impositionis” riferita alla ripartizione e all’esercizio del tributo mediante la partecipazione del soggetto passivo ai vantaggi sociali in base alla sua capacità contributiva. Tali elementi diventarono principi fondamentali riscontrati nell’art 134 della Costituzione di Weimar ( Partecipazione in base ai mezzi economici ), nell’art 25 dello Statuto Albertino (Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato ) e all’art 53 cost. comma secondo (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività).

Il principio della capacità contributiva e l’art 53 Cost.L’art 53 recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Analizziamo i due commi separatamente; il primo tutela due interessi: quello della collettività al concorso delle spese pubbliche che mostra il carattere solidaristico e quello del singolo in base alla propria capacità contributiva. La regola del concorso si ricava sia dal rapporto della Commissione Economica all’assemblea costituente dal quale risulta che la formula “Capacità Contributiva” aveva lo scopo di andare contro il principio che riteneva il tributo quale corrispettivo del godimento di pubblici servizi giustificandolo con la necessità del concorso di tutti all’esistenza dello Stato in quanto collettività organizzata, sia dall’art 2 cost che richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale, e infine dalla generalità del concorso; la formula “Tutti” comprende tutti coloro che entrato in contatto con l’ordinamento dello Stato facenti parte di una collettività organizzata. La doverosità è invece espressa dalle parole “sono tenuti”; per l’individuazione della spesa pubblica si possono usare due criteri: uno soggettivo per cui sono pubbliche soltanto le spese dello Stato e degli enti pubblici; quello oggettivo per cui spese pubbliche sarebbero tutte quelle che rispondono all’interesse generale della collettività e che meritano di essere ripartite all’interno della stessa. Sono escluse dall’art 53 le prestazioni aventi carattere sanzionatorio, le contribuzioni per servizio il cui costo si può determinare divisibilmente;sono ricompresse invece solo le prestazioni contributive caratterizzate dal conseguimento di finalità generali; la corte cost. ha ricollegato l’operatività dell’art 53 ai tributi che coprono costi di servizi indivisibili ( Imposte ). La seconda parte del 1° comma dell’art 53 svolge la funzione garantistica di vietare tributi che non si colleghino a una capacità contributiva; in un primo momento la dottrina ha interpretato questa espressione come il Graziotti: la capacità contributiva si identificava col godimento dei pubblici servizi in funzione del quale si determinava il concorso dei privati alle spese pubbliche; come mera conferma del potere del legislatore di determinare i criteri distributivi di concorso nei singoli tributi e come tutela del minimo vitale.In questa prospettiva si inquadrava anche il collegamento con il principio di uguaglianza dell’art 3 cost generando la formula “ a prestazioni uguali imposizione uguale, a presupposti diversi imposizione diversa”.La giurisprudenza della Corte ha individuato il principio di Capacità Contributiva quale limite alla legittimità della norma impositrice distinguendo un limite relativo ( inteso come giustificazione della diversa contribuzione imposta a taluni consociati rispetto ad altri e giustificata da diversi sintomi di capacità contributiva ) e uno assoluto ( inteso come qualunque presupposto cui si potesse ricollegare la partecipazione alle spese pubbliche ); Con riguardo al limite assoluto la Corte Costituzionale ha elaborato la nozione di “potenzialità economica”( ricchezza ) come indice di capacità contributiva. Il principio di Capacità Contributiva accolto nell’art 53 garantisce che ogni prelievo tributario sia giustificato in indici rivelatori di ricchezza dai quali sia deducibile l’idoneità all’obbligazione che viene attribuita ad un Soggetto passivo, titolare delle fonti di ricchezza colpite dell’onere tributario, e in relazione alla situazione personale e familiare dello stesso, limitando perciò

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l’imposta alla propria capacità contributiva. Secondo la Corte i requisiti della Potenzialità economica sono diversi: essa deve essere in primo luogo “Effettiva” deducendone la non imponibilità sui mezzi necessari alla mera sopravvivenza ( minimo vitale ); la dottrina in questo aggiunge l’illegittimità di tassazioni di situazioni patrimoniali che non superino il minimo vitale. Secondo carattere è la “Certezza”: la capacità contributiva deve essere certa ed attuale e non meramente fittizia. La Corte ha in merito preso in esame le numerose presunzioni legali esistenti; ha dichiarato illegittime quelle assolute perché non si hanno certezze statuite senza la possibilità di provare il contrario salvaguardando il diritto del contribuente alla prova del reddito soggetto all’imposizione. Terzo requisito è “l’Attualità” cioè la capacità contributiva deve esistere nel momento in cui si verifica il prelievo e costituisce perciò un limite ai tributi retroattivi nonché alle norme che collegano effetti tributari a fattispecie non ancora realizzate. Queste problematiche verranno analizzate nei paragrafi successivi. Nel corso della sua evoluzione la Corte ha elaborato una nozione di Capacità Contributiva Relativa riferita non solo all’esigenza che ogni presupposto sia espressivo di potenzialità economica, ma dall’esigenza di differenziazione dei contribuenti e dei tributi fra di loro. Si sottolinea così una sorta di relativizzazione del sindacato sulla sussistenza della capacità contributiva, che mira a ricostruire il principio dell’art 53 alla luce dei principi e dei valori riconosciuti dall’ordinamento e utilizzati per risolvere il problema dell’ammissibilità dei tributi Extra-Fiscali; Riguardo ai tributi Extra-Fiscali deve sussistere comunque potenzialità economica in capo al soggetto, in più le finalità extrafiscali del tributo devono coordinarsi con altri principi di rango costituzionale e devono essere coerenti con lo strumento tributario e la logica del tributo. Il collegamento con altri principi costituzionali ha consentito alla dottrina e alla giurisprudenza della Corte di risolvere il problema della legittimità delle esenzioni e agevolazioni fiscali che trattano in modo diverso situazioni rilevanti, ma che tutelano interessi ulteriori presenti nell’ordinamento. Riguardo l’impossibilità di attribuire al tributo funzione sanzionatoria prevalente essa discende dal fatto che la sanzione reprime un comportamento negativo; può comunque il fatto illecito essere assunto quale presupposto di un tributo in quel caso il prelievo coattivo avrà natura di sanzione non prevalente e potrà subire il giudizio di legittimità costituzionale in base a principi costituzionali come quello sancito nell’art 25. Il criterio della capacità contributiva dettato dalla Costituzione pone al legislatore un limite assoluto e uno relativo: quello assoluto gli impone di scegliere quali sono i presupposti del tributo che mostrano la Forza Economica ( sarebbero perciò incostituzionali tributi che assumessero quali presupposti l’attività ricreativa, l’ozio, il credo religioso ), quello relativo che gli impone di assumere quale ratio del tributo un principio coerente con quelli costituzionali e non vigenti nel momento storico considerato. Minore importanza presenta il secondo comma dell’art 53 secondo cui il sistema tributario è ispirato a criteri di progressività: che è una norma direttiva o un principio per il legislatore ordinario; quest’ultimo potrà ricorrere all’introduzione di tributi proporzionali purchè la struttura del sistema presenti caratteri di progressività.

La nozione di TributoNella Dottrine della prima metà dell’ultimo secolo la nozione di tributo non era autonoma rispetto alle altre entrate coattive dell’ente pubblico; nella varie trattazioni la parte dedicata al tributo consisteva nell’analisi canonica delle imposte, tasse, contributi e monopoli fiscali; ora possiamo creare una definizione positiva dell’istituto combinando i principi derivanti dalle teorie economiche ( controprestazione, beneficio, capacità contributiva ) da quelli derivanti dall’impostazione giuridica (coattività, eguaglianza, solidarietà) con riguardo all’applicazione degli articoli 23 e 53 cost. Occorre distinguere tra coattività riferita alla fonte della prestazione e quella riferita alla disciplina e al contenuto; possono aversi così prestazioni imposte per legge o con atto di autorità, nelle quali vi è la possibilità del privato di disciplinare i suoi rapporti con l’ente pubblico, e prestazioni volontariamente determinate e richieste dal privato, per le quali la fissazione della disciplina e del quantum da prestare è rimessa ad un atto dell’ente pubblico. Seguendo questa via si riconducono alle prestazioni imposte le categorie tradizionali di tributi poiché per tutte vi è il depauperamento del privato determinato coattivamente. Man mano che si è attribuita portata maggiore all’art 53 si è sovrapposta la nozione di tributo a quella di prestazione imposta e si è estesa l’applicazione non alle sole imposte ma alle ipotesi di concorso nelle spese pubbliche non caratterizzate dalla coattività del prelievo. Combinando gli aspetti il tributo può definirsi come una prestazione patrimoniale imposta, caratterizzata dall’attitudine a determinare il concorso alle pubbliche spese. Il tributo si risolve in una obbligazione che nasce dalla legge e che ricollega autoritativamente la prestazione di dare una somma di denaro a fatti che mostrano la capacità

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contributiva; l’autoritatività risiede nella coattività della prestazione che risponde ad una regola di ripartizione del carico tra i consociati.

La classificazione dei Tributi: L’ImpostaLa classificazione dei tributi è di tipo tradizionale sia negli studi condotti con criteri economici che in quelli con criteri giuridici. Nel primo caso la classificazione serviva a guardare la coattività e la corrispettività del prelievo nel riferirlo al finanziamento di servizi pubblici; nel secondo caso permetteva di combinare le diverse concezioni autoritative o contrattuali del prelievo; la classificazione oggi ha perso la sua importanza sia perché le prestazioni coattive, specifiche per determinate attività, hanno perso ogni rilievo sia perché lo studio giuridico del tributo ha concentrato la classificazione sul duplice requisito del potere d’imperio dell’ente pubblico, e sull’assenza di un vantaggio speciale per il soggetto passivo. È stato facile quindi negare l’importanza della classificazione rilevando per tutti i tributi la comune natura di obbligazione derivante da un fatto previsto dalla legge. Lo studio del tributo ha dunque finito per coincidere con l’analisi dell’Imposta perché la natura giuridica di quest’ultima porterebbe a comprendere anche quella degli altri tipi di tributo. Secondo criteri economico-giuridici l’imposta è una prestazione coattiva dovuta dal soggetto passivo; è il tributo acausale per eccellenza e incontra limiti solo negli articoli 23 e 53 cost. il presupposto di fatto dell’imposta consiste in un fatto o un atto posto in essere dal soggetto passivo senza alcuna relazione con l’attività dell’ente impositore. Non esiste dunque alcun collegamento tra il gettito dell’imposta e le spese pubbliche vigendo nell’ordinamento il principio dell’universalità di bilancio e del divieto dei tributi di scopo;L’imposta perciò costituisce un mezzo di prelievo neutro non riferito a settori di attività o persone. Essa può essere suddivisa in diverse categorie; secondo la scienza economica si distinguono:1. Imposte dirette o Indirette: quelle dirette colpiscono direttamente e in modo esatto la capacità contributiva del soggetto passivo e sono prelevate in relazione all’entità economica che costituisce la base imponibile. Erano imposte dirette quelle che si basavano sulla mera esistenza del soggetto ( oggi scomparse ) o sul possesso da parte sua di un reddito o di un patrimonio. Quelle indirette invece colpivano una manifestazione indiretta di capacità economica stabilita dal legislatore di volta in volta in relazione a fatti che si qualificavano come indici di ricchezza.2. Imposte personali o Reali: sono personali quelle che tengono conto oltre che dell’indice di ricchezza considerato, anche di vicende ad esso estranee e relative alla persona del contribuente, alle sue condizioni familiari e sociali. Quelle reali si riferiscono ai singoli redditi, patrimoni o trasferimenti ( indici di ricchezza ) considerati senza tener conto delle condizioni personali o familiari del soggetto. Nelle imposte personali sul reddito l’elemento essenziale è il “Possesso” mentre in quelle reali è la “Produzione del reddito” che rappresenta il prelievo in capo alla fonte produttiva e non al soggetto. Le imposte personali colpiscono la base imponibile con aliquota progressiva (non sempre), quelle reali sono proporzionali ( non sempre es. imposta di ricchezza mobile ). Con riguardo al territorio le imposte reali si applicano ai soli redditi prodotti nel territorio dello Stato; per quelle personali il rapporto con il territorio è riferito alla residenza: ciò comporta nei rapporti internazionali la tassazione nel paese della residenza dei redditi ovunque prodotti.3. Imposte fisse, graduali, proporzionali, progressive: quella fissa è stabilita dalla legge in misura variabile o è determinata in base a parametri prestabiliti; quella proporzionale si ha quando l’aliquota varia in proporzione costante con il variare della base imponibile; quella graduale si ha quando l’aliquota varia non continuamente ma in ragione di quantità prestabilite della base imponibile; in quella progressiva l’aliquota aumenta con il crescere della base imponibile. 4. Imposta istantanee e periodiche: sono istantanee quelle il cui presupposto si realizza con il compimento di un unico atto o fatto; rientrano di regola tutte le imposte indirette i cui adempimenti sono riferiti per esempio al periodo mensile, trimestrale o annuale ( IVA). Le imposte dirette invece sono Periodiche in quanto il possesso del reddito o del patrimonio dura nel tempo e rende necessario frazionare il periodo di possesso al fine di applicare l’imposta. La legge crea così il periodo d’imposta, che coincide con l’anno solare, e fa corrispondere una obbligazione periodica. 5. Imposte Addizionali e Sovrimposte: quella addizionale consiste nell’inasprimento di una imposta esistente mediante applicazione di una ulteriore aliquota percentuale sull’ammontare dell’imposta anziché sulla base imponibile ( nel 98 è stati istituita un’addizionale comunale e provinciale all’IRPEF ); la sovrimposta è invece un tributo autonomo a carattere ordinario, sovrapposto alla base imponibile di un’altra imposta e dove il soggetto attivo ( spesso un ente locale ) della sovrimposta è diverso da quello dell’imposta.

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Secondo la scienza giuridica si distinguono:1. Imposte surrogatorie: per semplicità il legislatore applica all’imposta normale un tributo diverso che può essere a sua volta un tributo ordinariamente applicabile ad altre fattispecie o un tributo speciale che surroga una serie di altre imposte ( es. l’imposta sui contratti di borsa che surroga le imposte di registro e di bollo ); essa si basa sulla natura oggettiva di determinati atti. 2. Imposta sostitutiva: consiste in una disciplina non necessariamente agevolativa dettata nei confronti di soggetti determinati e consistente nella sostituzione di un prelievo speciale di regola in abbonamento in luogo di uno o più tributi ordinari. Essa è riferita a determinati soggetti o settori di attività considerati oggettivamente. Si parla di imposta sostitutiva anche riguardo alle ritenute alla fonte a titolo definitivo o d’imposta che esauriscono il prelievo tributario;3. Imposte principali, complementari e suppletive;4. In relazione al soggetto attivo capace di istituire, accertare e riscuotere il tributo si distinguono imposte erariali, statali, locali.

La TassaNella tradizionale classificazione la tassa è molto difficile da individuare perché il suo studio è condotto con unione di criteri economici e giuridici. È singolare che l’istituto sia passato da un’iniziale indifferenziazione rispetto alle altre figure di tributo ad un’attuale svalutazione della sua rilevanza giuridica nei dibattiti dottrinali. Gli studi sul concetto di tassa sintetizzarono i contrasti dall’impostazione commutativa allo studio giuridico del tributo come manifestazione di sovranità. Ad ogni modo la dottrina maggioritaria oggi sintetizza la tassa come una forma di tributo in cui il presupposto si caratterizza per il fatto di includere lo svolgimento di attività della pubblica amministrazione riguardanti il contribuente. Altra parte dottrinale l’ha definita come un onere rilevando che la spontaneità della prestazione sarebbe desumibile dal fatto che l’amministrazione non potrebbe applicare sanzioni ma solo rifiutare la prestazione del servizio; quindi si desumeva l’insussistenza nella tassa di una prestazione imposta e inapplicabilità della riserva di legge prevista dall’art 23, nonché l’esclusione della tassa dal novero dei tributi. La Corte Costituzionale ha sempre incluso la tassa nella prestazioni imposte soggette a riserva come da art 23, ha però escluso l’applicabilità dell’art 53 configurando il tributo come commutativo.

Il contributo e il tributo specialeMaggiori difficoltà di inserimento nella categoria di tributo presentano il contributo e il monopolio fiscale; Riguardo il termine contributo vi è una generale equivocità dovuta dal fatto che in primis le scienze economiche usavano il termine tributo e contributo come sinonimi e anche il legislatore definiva contributo come ogni forma di concorso del privato alle spese pubbliche. Intorno alla nozione di Contributo si sono scontrate tutte le teorie dottrinali che con diversi criteri hanno cercato di classificare le entrate dello Stato. Con tali criteri si può fare iniziale chiarezza su quei contributi atipici per capire cosa si intende per contributo tipico. Vanno esclusi dall’area tributaria i contributi volontari e spontanei disciplinati dal diritto pubblico ( contributi condominiali ) perché non si tratta di prestazioni imposte. Più difficile è la definizione di contributi dovuti ad enti pubblici minori ( consorzi di bonifica ) che sono prestazioni configurate nelle leggi istitutive che difficilmente possono essere classificati in modo unitario: da un lato vi sono i contributi dovuti all’ente economico di settori quali la cellulosa o la carta; dall’altro vi sono quelli di sicurezza sociale dovuti per esempio all’INPS, INAIL che non hanno natura tributaria perché operano in assetto commutativo. Ai contributi obbligatori per le assicurazioni sociali la dottrina ha attribuito il nome di contributi speciali per indicare che essi sono previsti per far fronte ai servizi che gli enti pubblici esplicano a favore di determinate categorie di soggetti o per realizzare uno scopo ben definito. Eliminate le ipotesi atipiche di contributi, la dottrina riserva la definizione di contributo in senso proprio a quei tributi che si ricollegano ad un vantaggio economico conseguito dal contribuente dall’esplicazione di un’attività pubblica. Parte della dottrina dubita della sopravvivenza di contributi in senso proprio nell’ordinamento vigente; gli esempi erano costituiti da contributi di miglioria (soppressi con l’imposta comunale ) e di fognatura ( aboliti con la riforma tributaria ) dovuti ai comuni per tali opere. Dal contributo si distingue il tributo speciale che si caratterizza per essere una prestazione che il privato deve personalmente al pubblico funzionario; tali tributi si classificavano tra i corrispettivi e attualmente hanno la configurazione di tasse.

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Il Monopolio FiscaleAncora più controversa è la nozione di monopolio fiscale per la presenza di un negozio di diritto privato attraverso cui l’ente pubblico consegue il prelievo e per l’unione dei profili economici e giuridici del prelievo. In economia il monopolio è quella situazione in cui un solo soggetto si trova a poter produrre, importare o vendere un bene; il monopolio può derivare dalla legge in quel caso è di Diritto, oppure da ragioni tecniche o di mercato, in quel caso è di fatto. I monopoli di diritto possono essere istituiti dallo Stato o da Enti locali per varie ragioni: finanziarie ( monopolio dei cambi e dell’oro ) fiscali (monopolio del gioco ).lo strumento con cui il monopolio di diritto si istituisce è la nascita di un divieto imposto ai cittadini con una riserva a favore del monopolista. Tra i diversi monopoli assumono rilievo quelli fiscali che sono di volta in volta definiti dalla dottrina con riguardo alla loro finalità di procurare all’ente una entrata destinata a far fronte ai carichi pubblici, o riguardo alla natura contrattuale o meno del rapporto monopolista-utente e monopolista-ente pubblico, o con riguardo alla derivazione della riserva monopolistica dalla potestà tributaria dello Stato. Di fronte alla difformità dei criteri definitori dottrina e Giurisprudenza hanno negato la natura necessariamente tributaria del monopolio fiscale ricercando la tutela e la nozione del monopolio fiscale nella normativa comunitaria CE.

Le entrate ParafiscaliIl termine parafiscalità indica l’area della fiscalità diversa dall’imposta e caratterizzata per la natura commutativa o paracommutativa del prelievo. Il termine è adottato per designare la finanza degli enti pubblici non territoriali; La dottrina tributaristica ha rilevato la necessità di applicare anche a queste figure di prelievo i principi costituzionali degli arti 23 e 53 e ha accentuato l’equivocità della nozione includendovi sia le prestazioni patrimoniali imposte non aventi natura tributaria ( alcuni contributi atipici ), sia le entrate degli enti pubblici che presentano diversità rispetto al tributo-imposta; nelle formulazioni recenti sono incluse nella parafiscalità le entrate relative al finanziamento della sicurezza sociale che si caratterizzano per essere dovute ad enti pubblici non territoriali , per essere prelevate da questi in virtù della potestà d’imperio conferita dalla legge, per essere contributi correlati con il costo del servizio pubblico e con la sua effettuazione.

Capitolo IIILa Norma Tributaria

Le Fonti del Diritto TributarioFino ad ora abbiamo analizzato i caratteri dei Tributi ma non ci siamo soffermati sugli atti normativi ( Fonti ) con cui l’ente pubblico esercita il potere di introdurre tributi e non abbiamo analizzato la struttura, la tipologia, l’efficacia e l’interpretazione della norma tributaria. Nelle diverse epoche storiche il fondamento del potere di imporre i tributi ha avuto radici diverse: in epoca romana era espressione di potestà pubblica, nel medioevo le prestazioni tributarie costituivano l’oggetto di un atto di volontà del feudatario verso il principe. Dallo Stato Barbarico alla Nascita dei comuni, il principio del consenso al tributo diventò espressione di adunanze di uomini liberi e corporazioni sociali. La vicenda ha avuto sviluppi diversi nelle varie nazioni: Nell’esperienza inglese si fa risalire alla Magna Charta del 1215 e alla Confirmatio Chartarum il principio “no taxation without rapresentatio” che sancì un trionfo della nobiltà ( Consenso della nobiltà al tributo )nei confronti del Re e anche del consenso espresso dal popolo sovrano al tributo; la necessità del consenso fece solidificare la posizione del popolo e della nobiltà; tale situazione si ebbe anche nell’esperienza Nord-Americana; precisamente il principio del consenso è presente nella Costituzione della Carolina del Nord, della Virginia e nella Costituzione Federale Americana che ha avuto riflessi anche in Europa. L’esperienza più singolare è quella Francese nella quale, dal principio del consenso espresso dagli Stati Generali, si passò all’affermazione dell’autorità del Sovrano a partire dal ‘600; è il sovrano che statuisce l’imposta e attua il prelievo; si deve attendere poi la crisi economica del 1700 per assistere alla codificazione del principio del consenso nella Dichiarazione dei Diritti Dell’Uomo e del Cittadino. Tale principio venne imitato anche in altri paesi e nelle Costituzioni recenti ha assunto significati diversi. Nelle Monarchie Costituzionali, in cui il sovrano era molto forte, si garantisce la sfera patrimoniale dei sudditi nei confronti del potere esecutivo. Negli Stati Parlamentari si affermò la supremazia del Parlamento sull’esecutivo, il governo fu espressone dalla maggioranza parlamentare che poteva controllarlo tramite il voto di fiducia, quindi il consenso diventa strumento di garanzia degli interessi patrimoniali dei cittadini nei confronti dei poteri pubblici. Nel passaggio alle costituzioni moderne si assiste alla progressiva accentuazione del contenuto politico del

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principio del consenso all’imposizione e alla svalutazione del contenuto dell’approvazione del bilancio, che viene discussa in Parlamento. A questa evoluzione non si sottrae l’Italia che si ispira alla Francia per l’art 30 dello Statuto Albertino (Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re) che includeva 2 principi costituzionali alla base del consenso: La Riserva di Legge nell’istituzione delle prestazioni imposte e quello della necessaria approvazione del Bilancio con legge dello Stato.

La Legge come Fonte PrimariaLa Legge è il momento in cui si manifesta la volontà dello Stato e sintetizza la portata garantista del principio del consenso al Tributo. Il tributo si realizza poi attraverso un’obbligazione legale che nasce dal verificarsi di un fatto previsto dalla legge senza alcuna autonomia privata. Questo si coglie nell’art 23 Cost (Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. ) che statuisce una riserva di legge e che attribuisce alla legge stessa fonte primaria della norme tributarie e comprende i tributi e le prestazioni imposte non aventi carattere tributario. Dato che esiste una riserva di legge, bisogna 1.individuare gli atti normativi che possono considerarsi come leggi, 2.quale parti della disciplina del tributo regolano 3.se l’art 23 possa individuare quali atti non di livello legislativo possono integrare la disciplina della legge. La formula dell’art 23 si riferisce agli atti in senso formale emanati dagli organi e con il procedimento previsti dalla Costituzione: si tratta delle leggi in senso stretto, Decreti legge e delegati, le leggi delle regioni a statuto speciale e ordinario e le leggi delle province autonome di Trento e di Bolzano ( come previsto dall’art 117 modificato con la legge 3/2001 che attribuisce a Stato e Regioni competenza esclusiva e concorrente in materia tributaria). Più delicata è la situazione dei Regolamenti Comunitari perché la riserva di legge potrebbe escluderli dalla previsione ( la dottrina ritiene in questo caso la riserva in parte relativa e in parte assoluta ). La riserva può essere infatti relativa o assoluta: la prima consente al legislatore di attribuire parte della disciplina ad atti diversi dalla legge; per quelle assolute tutta la materia è esclusivamente disciplinata per legge. Il problema nasce nell’individuare la disciplina riservata alla legge che secondo giurisprudenza e dottrina riguarda gli elementi essenziali della prestazione: presupposto ( fatto che genera la prestazione ), soggetto passivo(soggetto che deve la prestazione), base imponibile (criteri per determinare quantitativamente la prestazione). Occorre però distinguere la fase di determinazione della Base Imponibile e quella di determinazione del tasso d’imposta ( l’aliquota ). La prima è più complessa, è riservata al legislatore, e richiede giudizi economici nonché riferimenti costituzionali dell’art 53: deve essere colpita la base imponibile che corrisponde a quella espressa dal presupposto del tributo; la disciplina del tasso è contenuta nella legge ma può essere demandata a fonti diverse per esigenze tecniche o riguardo le amministrazioni locali. La fase di accertamento e riscossione può essere demandata ad atti non aventi forza di legge previa fissazione dei criteri che impediscono l’arbitrio dell’amministrazione e assicurino la congruità della capacità contributiva colpita. Il terzo dei profili riguarda l’individuazione degli atti diversi dalla legge che possono integrare la disciplina legislativa; l’esame si rivolge ai regolamenti e ad accertare se il regolamento sia l’unico atto che possa integrare e soprattutto quale sia il fondamento dell’integrazione; occorre accertare se una disciplina legale non completa possa essere integrata con atti amministrativi singoli o plurimi; parte della Dottrina ritiene tale intervento impossibile perché sarebbe esercizio di poteri discrezionali; altra parte ammette che là dove la riserva è relativa sia possibile perché precisa la disciplina della legge. Riguardo al fondamento del potere di integrare si ritiene che nei settori riservati alla legge il regolamento debba essere autorizzato; altra parte dice che visto che la riserva è relativa parte della disciplina può essere cmq demandata a fonti subordinate. Occorre esaminare ora la “Ratio” dell’art 23 cost e i suoi rapporti con gli altri principi costituzionali; si è già ricordata l’origine storica e la funzione garantista della norma, riconosciuta anche dalla Corte costituzionale come limite della sfera patrimoniale e personale del privato di fronte all’imposizione; La dottrina all’interno della funzione di garanzia o di limite dell’articolo ne accentua profili diversi: Parte della dottrina sottolinea la funzione di garanzia insita nella generalità e astrattezza della legge, altra parte ricollega la ratio al principio di autoimposizione che come sappiamo si riferiva a categorie individuate per censo alle quali era riservato l’elettorato attivo; in uno Stato in cui l’elettorato spetta a tutti non può dirsi che la rappresentanza parlamentare esprima la tutela solo nei confronti dell’imposizione ma che essa tuteli l’interesse all’effettuazione delle spese pubbliche. Attraverso il riconoscimento della protezione di interessi pubblici la dottrina ritorna alla tesi secondo cui la riserva di legge tuteli gli interessi delle minoranze rappresentate in Parlamento; interessi e libertà che non sono solo singoli ma generali. L’Altro principio contenuto nell’art 30 dello Statuto è ora contenuto

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nell’art 81 Cost secondo cui “Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.” Il punto più importante è contenuto nei commi 3 e 4: nel terzo comma la dottrina ha attribuito alla legge la natura “Formale”( sarebbe una legge di autorizzazione che non potrebbe innovare l’ordinamento introducendo nuovi tributi o nuove spese; la dottrina oggi ne attribuisce anche senso sostanziale ); il principio del comma terzo va studiato combinandolo con il comma quarto che esprime il superamento della regola del contingente (con cui si determinava nella legge di bilancio il gettito complessivo dei tributi e lo si ripartiva tra i contribuenti) e l’affermazione del principio di legalità in materia tributaria ( la legge determina il presupposto, la base imponibile e il tasso d’imposta ). L’obbligo di indicare le fonte di finanziamento impedisce ai parlamenti di gonfiare le spese ed assumere impegni che non possono essere finanziati.

La Legge e gli atti aventi forza di legge……………………………………………………………………………..Le leggi di rango più elevato sono la Costituzione e le leggi costituzionali tra le quali si inseriscono quelle degli Statuti delle regioni a Statuto Speciale; Tali norme possono determinare l’illegittimità di leggi inferiori in caso di contrasto. Un ruolo intermedio tra i ranghi più alti, la legge e gli atti aventi forza di legge sono le leggi pseudo-rafforzate, vale a dire testi normativi di portata generale nei quali vengono inserite clausole di auto-rafforzamento attraverso le quali il legislatore vincola se stesso nell’attività di normazione per il futuro. È il caso dello “Statuto dei diritti del Contribuente” che contiene principi generali dell’ordinamento tributario e prevede due clausole una di salvaguardia e l’altra rafforzativa: la prima è diretta ad evitare deroghe e modifiche alle disposizioni dello Statuto stesso, la seconda è volta ad escludere che tali deroghe possano essere attuate ricorrendo a leggi speciali; Tali clausole sono il primo passo verso una disciplina per principi più trasparente e affidabile. Fonte primaria del diritto tributario, a seguito della riserva posta nell’art 23, sono ancora le leggi e gli atti aventi forza di legge. Non vi è alcuna necessità di collegare la nozione di legge ad un particolare contenuto dell’atto normativo e di ritenere indispensabile la previsione di una disciplina generale e astratta; nel diritto tributario un limite alle leggi provvedimento è sancito dagli articoli 3 e 53 cost che vietano discriminazioni irragionevoli e ingiustificate; una legge che preveda l’obbligo per un solo soggetto passivo sarà giustificata quando il fatto impositivo può essere realizzato solo da soggetti determinati ( CONI e UNIRE per l’imposta sui giochi di abilità ). Il principio della delegazione legislativa è contenuto nell’art 76 cost (L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti); il potere legislativo delegato al governo è diverso e minore rispetto a quello delle camere che cmq non perdono la competenza a regolare la materia oggetto di delega oppure di revocare la delegazione; l’atto con cui il governo si serve di questa delega è il decreto legislativo che è in una posizione subordinata rispetto alla legge di delega, il contrasto con la quale determina l’illegittimità costituzione; infatti il governo che andrà ad operare dovrà farlo in base ai criteri fissati dal parlamento nella delega. Il ricorso frequente nel diritto tributario della delega è giustificato dal voler sottrarre alle assemblee parlamentari e di riservare ad organi tecnici dell’esecutivo, materie complesse e tecniche. Anche i Decreti Legge consentiti dall’art 77 per casi straordinari, di necessità e di urgenza, hanno conosciuto un’espansione patologica. In materia tributaria accanto all’uso legittimo del decreto legge per intervenie in settori economici in modo rapido, si è affiancato un uso disinvolto giustificato dalla difficoltà di trovare maggioranze stabili in Parlamento; tale problema ha assunto dimensioni rilevanti poiché in molte occasioni vi è stata la mancata conversione del decreto legge aggravando la situazione di instabilità; alla più frequente decadenza del decreto-legge per mancata conversione entro 60 giorni il Governo ha reagito con un ricorso assiduo alla “reiterazione” consistente nel riprodurre in un nuovo decreto legge il contenuto di quello non convertito; in tal modo il Governo si è appropriato della funzione legislativa utilizzando il decreto come forma di iniziativa legislativa. Per evitare questo la Corte con la sentenza 360/1996, ha messo fine alla pratica della reiterazione, escludendo che il Governo possa, in caso di decorso dei termini per la conversione, rinnovare il contenuto del decreto salvo che il nuovo decreto non risulti fondato su straordinari motivi di necessità e di urgenza.

Gli Atti non aventi forza di Legge: I Regolamenti

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Nell’ordine gerarchico delle fonti i regolamenti sono la fonte secondaria per eccellenza che contengono una disciplina generale ed astratta che non proviene da organi del potere legislativo. Il fondamento del potere regolamentare è stato fatto risalire al potere di autodisciplina da parte dell’amministrazione; la dottrina ha classificato i regolamenti legislativi in regolamenti: di attuazione, di organizzazione e autonomi. Quelli di attuazione ed esecutivi completano ed integrano la disciplina legislativa, sono previsti dalla legge e devono rimanere complementari e secondari rispetto ad essa. Quelli di organizzazione hanno perso la loro importanza essendo l’organizzazione dei pubblici uffici regolata in base all’art 97 al fine di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. I regolamenti autonomi e indipendenti sono destinati a disciplinare una materia in cui manca una disciplina di riferimento dettata dalla legge e hanno poco spazio nel diritto tributario. La legge 400/1988 ha formalizzato l’importanza dei regolamenti delegati, emanati su delega della legge che ne determina i principi direttivi. I regolamenti possono essere emanati dallo Stato, dagli enti locali, e da enti non territoriali; se essi violano la legge sono illegittimi e possono essere annullati dal giudice amministravo o disapplicati dal giudice ordinario. Sul piano dell’organo da cui provengono si dividono i regolamenti governativi e ministeriali: i primi trovano la loro base nell’art 87 che affida al Presidente della Repubblica la loro emanazione, previa deliberazione del consiglio dei ministri; quelli ministeriali sono privi di fondamento nella costituzione ma vengono disciplinati dalla legge 400/1988, la loro forma è costituita dal decreto ministeriale e sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. In materia tributaria i regolamenti hanno la forma del decreto ministeriale e sono assai frequenti per l’esigenza di demandare agli atti dell’amministrazione l’integrazione o l’attuazione della disciplina legislativa.

Le CircolariTra le fonti del diritto tributario sono annoverate anche le circolari. Occorre però precisare in quale senso esse possono essere fonti, dato che la dottrina le identifica come atti amministrativi interni; è possibile raccogliere sotto il nome di circolari una serie di comunicazioni interne: in primo luogo le circolari vere e proprie, cioè gli atti che l’amministrazione riconosce di interesse generale per tutti gli uffici e per i quali adotta forme di comunicazione efficace ( pubblicazione sulla Gazzetta ). Le note e le risoluzioni ministeriali che sono risposte a quesiti che possono essere rivolti sia dagli uffici periferici che dai privati. Riguardo al contenuto delle circolari, esso può essere di diverso tipo: l’amministrazione può impartire agli uffici istruzioni sul piano interpretativo, oppure porre regole di comportamento agli uffici, attuative di norme di legge e relative all’attività interna dell’amministrazione. Vi sono anche casi a contenuto normativo: in queste ipotesi è importante capire la natura della circolare; perciò si fa riferimento al fondamento del potere in base al quale l’atto è emanato; se il potere è normativo si tratterà di atti regolamentari che possono apparire esternamente come circolari; se il potere è di supremazia gerarchica nei confronti dell’organo subordinato allora l’atto a contenuto normativo è da ritenere una circolare in senso proprio che ha efficacia solo all’interno dell’amministrazione. Nel diritto amministrativo l’ipotesi della violazione di circolare è ricondotta ad una violazione di legge costituita dall’eccesso di potere che costituisce un vizio della causa dell’atto amministrativo da far valere davanti al giudice amministrativo. Nel diritto tributario l’inosservanza è fatta valere come indizio di illegittimità dinanzi al giudice speciale costituito dalle commissioni tributarie.

L’uso e la ConsuetudineL’ultima delle fonti è costituita dagli usi. Superate le discussioni dottrinari deve ritenersi difficilmente compatibile con la riserva di legge l’uso della consuetudine. Non è ipotizzabile una consuetudine abrogativa o contra legem essendo la consuetudine subordinata a qualsiasi fonte del diritto; invece non vi è ostacolo per gli usi secondo legge perché è come se la legge attuasse un rinvio consentito per alcuni ambiti della disciplina tributaria ( non per gli elementi essenziali del tributo o la sua istituzione ). La prassi amministrativa è irrilevante per la creazione di norme giuridiche sia pure consuetudinarie; maggiore importanza hanno gli usi costituzionali e quelli parlamentari. l’unico ambito in cui la consuetudine assume concreta portata è quello tributario internazionale: vi sono infatti norme giuridiche consuetudinarie che regolano il trattamento fiscale dello Stato straniero o dei rappresentanti diplomatici; queste consuetudini incidono sull’ordinamento interno che le recepiscono grazie all’art 10 cost. la norma consuetudinaria riconosciuta nel diritto internazionale comporterebbe l’adeguamento dell’ordinamento italiano attraverso l’emanazione di atti normativi tipici dell’ordinamento interno.

La potestà tributaria degli enti minori

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A) La potestà tributaria spetta di regola allo Stato ma è attribuita anche a taluni enti minori; con la legge 3/2001 che ha riformato il Titolo V si è ridisegnato il quadro costituzionale inerente alle autonomie locali, attribuendo a quest’ultimi poteri la cui dipendenza Statale risulta affievolita. La trasformazione delle competenze legislative regionali impongono una nuova elaborazione del modello della finanza degli enti locali in chiave più autonoma, producendo dei vantaggi al sistema tributario; per questo, “maggiore autonomia” significherebbe maggiore trasparenza ed efficienza dell’azione pubblica finanziata attraverso un diretto reperimento sul territorio delle risorse necessarie e da una diretta gestione dell’accertamento e della riscossione dei tributi. Un’amministrazione locale che debba finanziarsi attraverso tributi di sua istituzione sarebbe incentivata a gestire al meglio tali risorse e i contribuenti potrebbero controllare efficacemente le amministrazioni locali misurando il rapporto tra il sacrificio fiscale ( tributi pagati ) e i servizi forniti dall’ente stesso. Il federalismo fiscale che sta pian piano nascendo non ha solo vantaggi ma porta con se delle controindicazioni; il riconoscimento di una effettiva autonomia impositiva può tradursi in una duplicazione di imposizione sullo stesso presupposto; per evitare ciò bisogna svolgere una meticolosa funzione di controllo e coordinamento ogni qual volta si inserisce nel sistema un nuovo tributo locale. Inoltre la gestione a livello locale dei tributi non appare compatibile con l’attuale struttura organizzativa: si pensi alle difficoltà di gestire a livello comunale o regionale imposte che gravano su un reddito derivante da attività economiche svolte su un territorio più ampio. Ma soprattutto difetto principale è il trasferimento delle inefficienze statali a livello locale; B) Occorre chiarire entro quali limiti questi enti minori possono esercitare la potestà normativa secondo la disciplina della legge 3/2001; l’art 117 prima della modifica enumerava le materie di competenza regionale al di fuori della quali vi era una competenza Statale; le scelte regionali ad ogni modo dovevano soggiogare ai limiti stabiliti dalla legge dello Stato. La legge 3/2001 ha rovesciato tale sistema e nel nuovo art 117 fornisce una mappa completa delle competenze e dei poteri tra i diversi livelli di governo; vengono previste delle materie di esclusività statale, delle materie concorrenti tra Stato e Regioni e delle materie residuali di esclusività regionale. Riguardo al sistema tributario spetta in via esclusiva allo Stato la competenza sul sistema tributario e contabile dello Stato e sulla perequazione delle risorse finanziarie, mentre sono attribuiti alla legislazione concorrente l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; nelle materie concorrenti, allo Stato compete di determinare i principi fondamentali e alle regioni spetta la potestà legislativa. Nella nuova formulazione non si è solo rovesciato il sistema delle competenze ma si è trasformato il significato dell’art 70 cost. dove si afferma che “funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle camere”. Lo Stato ha perso potere generale e centrale ma fonda la propria competenza nelle materie a lui riservate; in relazione alla potestà regolamentare, il nuovo art 117 ha individuato la regione come ente a competenza generale; solo nelle materie di competenza esclusiva statale la potestà regolamentare spetta allo Stato, che può cmq delegarla alla regione. Un altro tratto fondamentale della riforma è quello delle funzioni amministrative; in base all’art 118 cost “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza “ possiamo capire che tali competenze hanno per oggetto ambiti del tutto sottratti all’attività amministrativa dello Stato. C) Prima della riforma i rapporti finanziari tra Stato ed Enti Territoriali erano stabiliti in base ad alcuni principi dell’art 119 cost che rinviava al legislatore ordinario l’attuazione degli stessi; con il tempo si è passati da un modello di finanza “derivata” ( stato centrale demandava il denaro) ad un modello che concede maggiore certezza di risorse agli enti regionali sempre previsto dall’art 119 modificato dalla L 3/2001. nel primo comma, I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, il legislatore ha voluto dare un fondamento certo all’autonomia finanziaria degli enti locali e ha fornito un contributo di chiarezza del termine “Autonomia Finanziaria”. Bisogna in primis distinguere l’autonomia finanziaria da quella tributaria delle regioni: la prima è autosufficienza dei mezzi finanziari o delle risorse di bilancio, quindi come autonomia nella determinazione delle entrate e delle spese; la seconda può intendersi o come potestà normativa di autodeterminare i tributi di competenza della regione, o come assegnazione alla regione di interi tributi statali o di quote di essi. Nella nuova versione dell’art 119 il primo comma qualifica l’autonomia finanziaria come autonomia sia delle spese che delle entrate, inoltre attribuisce, al secondo comma, alle regioni e agli altri enti un potere di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie. Occorre perciò stabilire in quale misura sia stata ripartita, tra Stato ed enti Sub-Statali, dal legislatore costituzionale la potestà di determinare i tributi. Bisogna osservare che il potere di “Stabilire” ed “applicare” è riferito insieme a regioni, comuni, province, città metropolitane. Ma a quale organo spessa la fissazione della

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possibilità di stabilire i tributi?? Secondo la riserva di legge dell’art 23 gli Enti Locali non potranno assumere alcuna iniziativa in materia tributaria se non nell’ambito stabilito da una legge di rango primario e cioè la legge regionale che nel tempo ha permesso l’ istituzione di diverse imposte: IRPEF, tassa regionale per il diritto allo studio universitario, tassa regionale di circolazione ecc...per questi tributi, la legge statale ha previsto per ciascuno i presupposti, i soggetti passivi, le modalità di accertamento e riscossione nonché le aliquote massime e minime, poi le singole leggi regionali hanno a loro volta interpretato l’ambito di discrezionalità loro concesso. Il sistema di finanziamento dell’art 119 conserva anche un sistema di finanza derivata; È prevista infatti dal secondo comma una compartecipazione al gettito dei tributi erariali, mentre al terzo si prevede l’istituzione di un fondo perequativo senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante. La redistribuzione finanziaria però non contempla una quantità di risorse da destinare al fondo e non prevede alcun vincolo costituzionale dei tributi che devono alimentare il fondo; l’entità del fondo è rimessa alle scelte del legislatore che avendo capacità esclusiva in tale materia può scegliere con quali entrate tributarie alimentare il fondo la cui consistenza dipende dall’andamento della congiuntura economica e dalle scelte politiche dello Stato. Il quarto comma stabilisce che le entrate proprie sono finalizzate a finanziare integralmente le funzioni pubbliche dei diversi livelli di governo. Collegata ai meccanismi perequativi è la previsione contenuta nel 5 comma in cui viene stabilito che per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali. La differenza tra i due strumenti è nel fatto che questo secondo intervento è diretto ad integrare le risorse proprie delle regioni al fine di ottenere specifici risultati. Inoltre mentre la perequazione ha l’obiettivo di garantire ai livelli di governo il pieno esercizio delle loro funzioni, gli interventi speciali provvedono anche a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni. D) Alle regioni a statuto speciale è attribuita una potestà normativa tributaria originaria seppur limitata dalle leggi dello Stato. Secondo l’art 116, anche prima della riforma, l’autonomia finanziaria era più ampia di quella delle regioni a statuto ordinario; esse potevano istituire tributi nuovi colpendo manifestazioni di capacità contributiva insufficientemente colpite da tributi erariali, purché non sussistesse un contrasto con il sistema tributario nazionale. Con la riforma del Titolo V l’art 116 prevede che le regioni a statuto speciale dispongano di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale. In base all’art 10 L 3/2001 sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano. E) Potestà normativa tributaria è infine riconosciuta alle comunità israelitiche e alla comunità dei greco-ortodossi; riguardo alle prime esse hanno il potere di prelevare un’imposta sul reddito complessivo ovunque prodotto a carico dei appartenenti alla comunità; l’aliquota è fissata annualmente dal Consiglio della Comunità sulla base dello stato dei contribuenti. La riscossione avviene con le forme previste per le imposte comunali; con la sentenza 239/1984 la Corte cost. ha affermato la conformità del tributi ai principi costituzionali e ha dichiarato l’incostituzionalità del solo art 4 R.D. 1731/1930 dove affermava l’appartenenza di diritto alla comunità di tutti gli israeliti residenti nel territorio di essa.

La Potestà tributaria degli organismi sovranazionali e internazionali…………………………………………….L’appartenenza dell’Italia ad organismi sovranazionali o internazionali può comportare l’esercizio da parte di questi ultimi, di una potestà tributaria che vincoli il legislatore italiano. Il caso più importante è costituito dalla sottoscrizione dei Trattati Istitutivi della Comunità Europea che hanno provocato molteplici effetti sui paesi aderenti: unificazione del mercato, introduzione di prelievi comunitari, tutela di libertà varie. In particolare le norme del trattato impongono l’armonizzazione delle legislazioni in specifici settori tributari ed il ravvicinamento delle disposizioni legislative regolamentari ed amministrative. Nell’esame della potestà tributaria occorre distinguere il potere di prelevare tributi a carico dei singoli Stati membri o dei loro cittadini, dal potere di dettare agli Stati membri limitazioni nell’esercizio della loro potestà normativa. È escluso nell’ordinamento internazionale, per il principio di sovranità, il potere di uno Stato di prelevare tributi a carico di un altro Stato; per la stessa ragione si esclude che tale potere spetti ad organismi sovranazionali nei confronti degli Stati membri. Si ritiene che esso spetti agli organismi sovranazionali e internazionali nei confronti dei sudditi degli Stati membri anche se per la sua attuazione essi debbano ricorrere agli strumenti normativi offerti dai diversi ordinamenti statuali. Sono le ipotesi delle contribuzioni dirette, stabilite dall’Onu, a carico dei propri funzionari sulle retribuzioni a questi corrisposte. Più delicate sono le ipotesi in cui procedimenti di

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produzione normativa propri di un ordinamento sovranazionale producono effetti innovativi sull’ordinamento dei singoli Stati membri. È quando avviene in forza dell’art 249 che attribuisce efficacia obbligatoria ai regolamenti dell’Unione senza necessità che gli stati membri li recepiscono con propria legge. Per quanto riguarda i Regolamenti Comunitari, che innovano l’ordinamento interno dei singoli Stati, è ampio il dibattito attraverso cui si realizza l’influenza grazie all’art 10 (L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute) e 11 cost. (L'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Più delicati sono i rapporti tra i regolamenti comunitari e le norme costituzionali: i regolamenti saranno efficaci, potendo istituire o modificare tributi, quando non contrastano con i principi fondamentali non solo costituzionali ma appartenenti agli Stati membri. Il problema si pone in misura accentuata per le direttiva comunitarie che impongono linee di comportamento agli Stati membri la cui attuazione richiede perciò atti normativi interni. Anche rispetto ad esse l’opinione generale ammetteva l’immediata applicabilità quando ponevano a carico di uno Stato membro degli obblighi chiari e precisi ( quando contiene tutti gli elementi necessari per la sua concreta applicazione ) ed i termini per la ricezione siano scaduti.

I SOGGETTILA NOZIONE DI SOGGETTO.Chi sono i soggetti della prestazione tributaria? Occorre riconoscere che soggetti, intesi come centri di imputazione di effetti giuridici tributari, sono sia lo Stato e gli enti pubblici territoriali e non, che i loro ausiliari, sia il contribuente e tutti gli altri soggetti che a vario titolo intervengono nell’accertamento e nella riscossione del tributo.Essi possono essere titolari di situazioni giuridiche soggettive diverse, sia attive che passive: così se lo Stato è di regola titolare di poteri, di poteri-doveri e del diritto di credito al tributo, può essere talora titolare di soggezioni a poteri e diritti potestativi del privato ovvero di obbligazioni di restituzione ( es. di tributi percetti in eccesso). Il contribuente di regola è soggetto di situazioni soggettive passive (soggezioni, obblighi formali, obbligazioni di pagare l’imposta) ma può a sua volta essere titolare di situazioni soggettive attive (diritto a certificazioni, attestazioni, diritto di credito al rimborso di imposte pagate in eccesso).La soggettività del tributo deve essere individuata considerando quest’ultima quale istituto tipico del diritto tributario, finalizzato all’attuazione del prelievo in funzione del concorso di tutti ai carichi pubblici.Soggetto attivo del tributo è il soggetto cui si imputa direttamente l’incremento patrimoniale in cui si risolve il tributo; è il centro di imputazione dell’arricchimento economico che obbliga al concorso alle spese pubbliche.Il soggetto passivo del tributo è il soggetto nel cui patrimonio si riflette il risultato dell’applicazione del tributo, consiste in una diminuzione patrimoniale; deve trattarsi di colui cui è imputabile la capacità contributiva manifestata dal fatto previsto dalla norma. I due criteri devono coincidere, pene l’illegittimità costituzionale della norma.Resta da domandarsi se lo Stato possa divenire soggetto passivo del tributo, così da assommare in sé la qualifica di creditore e debitore. Il problema si pone sia con riguardo alla soggezione dello Stato alle imposte di enti territoriali minori (soggezione all’ICI di immobili di proprietà dello Stato), sia con riguardo alla sua soggezione ad imposte erariali, sia con riguardo alla soggezione degli enti minori ai tributi locali. Sotto un primo profilo, non vi è ragione per ritenere che la norma tributaria posta dalla Stato non si applichi anche allo Stato come organizzazione. Sotto un secondo profilo, si è posto il dubbio se uno stesso soggetto potesse intervenire nel rapporto giuridico nella duplice veste di soggetto attivo e passivo. Oggi la dottrina ammette tale tipo di rapporto giustificandolo in base alla ricorrenza di interessi diversi da quelli tributari: in questi casi, il tributo consente anche di calcolare il costo dell’incidenza fiscale sugli altri soggetti.

I SOGGETTI ATTIVI: LA POTESTA’ AMMINISTARTIVA D’IMPOSIZIONE.È la posizione ed il ruolo degli organi amministrativi cui è demandata l’applicazione dei tributi esistenti. Parte della dottrina ha individuato nell’atto di imposizione la fonte dell’obbligazione tributaria e ricondotto alla potestà, l’attività e la situazione soggettiva dell’amministrazione prima del sorgere dell’obbligazione.I soggetti attivi non hanno il compito di applicare il tributo nella misura massimo possibile, bensì esattamente nella misura corrispondente alla capacità contributiva espressa del presupposto.L’amministrazione finanziaria deve attenersi alle norme (sostanziali e formali) di legge, senza avere spazi per ponderare gli interessi in conflitti; una volta accertati fatti ed applicate ad essi le norme, non restano

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all’amministrazione finanziaria spazi per privilegiare o sacrificare qualcuno degli interessi in conflitto, il che è caratteristico della discrezionalità amministrativa: quindi natura vincolata e non discrezionale. Momenti di discrezionalità possono configurarsi nella facoltà di cui è titolare l’amministrazione di concedere, su richiesta del contribuente, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di 60 rate mensili, ovvero di sospendere la riscossione sino alla data di pubblicazione della sentenza della Commissione trib. Provinciale.La discrezionalità sembra scomparire del tutto solo al momento di determinare la base imponibile, mentre negli atti anteriori e posteriori possono annidarsi ponderazioni di interessi e giudizi di opportunità. Nell’attività di valutazione del presupposto o di determinazione della base imponibile, sussistono ampi margini di apprezzamento. Analoghi margini di apprezzamento sussistono di fronte ai cd. “concetti indeterminati”, come l’inerenza, la stabile organizzazione… Questi spazi di discrezionalità tecnica afferiscono all’attività logica che qualunque titolare di funzione pubblica deve porre in essere per prendere la propria decisione e vengono progressivamente ridotti dalla legge che disciplina l’esercizio di tale attività logica al fine di consentirne il controllo da parte dei contribuenti.A quanto si è detto si collega il principio di indisponibilità della potestà di imposizione; infatti costituisce reato il comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, al fine di interrompere o turbare la regolarità dei servizi di accertamento e di riscossione delle imposte dirette o indirette, ordinarie o straordinarie, rifiuta, omette o ritarda atti del proprio ufficio. L’ente impositore non può rinunciare all’esercizio della potestà di imposizione se non nei casi previsti dalla legge: es. sgravi d’imposta dei condoni. L’amministrazione non può rinunciare al tributo neppure con circolari e regolamenti: essa può invece dare istruzioni agli uffici di non applicare i tributi, in conformità a disposizioni di legge o a pronunce giurisprudenziali.Ci si domanda se l’ente impositore possa accollarsi il carico del tributo: basandosi sul principio di irrinunciabilità, si è ritenuta l’ammissibilità dell’accollo a carico dell’ente impositore quando anch’esso sia soggetto passivo del tributo, poiché in tal caso la convenzione avverrebbe sul paino contrattuale dei soggetti passivi e non inciderebbe sul diritto dell’ente alla percezione del tributo.Alla potestà d’imposizione è stato collegato l’istituto del concordato tributario.Per quanto riguarda l’intrasmissibilità è evidente che essa è praticabile per la potestà normativa,mentre la potestà amministrativa può essere affidata a soggetti diversi, territoriali e non. Se la potestà normativa e la potestà d’imposizione sono imprescrittibili, sono invece sottoposti alle regole della prescrizione e della decadenza i diritti e i poteri che sorgono dalle singole fattispecie di attuazione del tributo.

L’ORGANIZZAZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA. LE AGENZIE FISCALI.La potestà amm. di imposizione, ovvero quel complesso di poteri di accertamento, controllo e riscossione necessari a realizzare il concorso alle pubbliche spese, è stata da sempre esercitata dallo Stato attraverso gli uffici dell’amministrazione finanziaria. Tale ultima locuzione è stata per tradizione utilizzata per indicare il complesso apparato che, prima della riforma del 1991, era gerarchicamente ordinato in una struttura centrale costituita dal Ministero delle Finanze e in strutture periferiche articolate su base regionale e provinciale.Con la L.358/1991 siffatta organizzazione è stata oggetto di una radicale riforma con lo scopo di unificare i vari uffici centrali e periferici al fine di potenziarne la capacità operativa.La rinnovata struttura del Ministero risultava articolata in 3 soli dipartimenti (delle entrate, delle dogane, del territorio) a loro volta suddivisi in direzioni centrali, con funzioni di indirizzo e coordinamento degli uffici periferici, mentre a livello regionale, con funzioni di programmazione, coordinamento, indirizzo e vigilanza dell’attività amministrativa locale.Si è arrivati all’emanazione del D. Lgs. 300/1999, che ha riservato al Ministero dell’Economia e delle Finanze una serie di funzioni tra cui quelle di coordinamento, indirizzo, vigilanza e controllo previste dalla legge sulle 4 agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio); queste agenzie sono enti pubblici non economici dotati di autonomia regolamentare, amministrativa, contabile, patrimoniale e finanziaria. Si è venuto delineando un quadro nel quale, a decorrere dal 1 gennaio 2001, data dalla quale le agenzie fiscali sono divenute “esecutive”, la funzione accertativi e la titolarità dei poteri di indagine sono state trasferite alle agenzie, mentre la responsabilità politica sulla funzione impositiva rimane in capo al Ministro, il quale è chiamato, sia a dettare le direttive cui le agenzie devono attenersi e a individuare gli obiettivi che le stesse devono raggiungere, sia a esercitare direttamente o tramite i propri organi, il controllo sui risultati e la vigilanza sull’applicazione della legge da parte delle stesse agenzie.

I SOGGETTI AUSILIARI.

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Tutte le figure considerate quali soggetti ausiliari possono essere accomunate dall’obiettivo di semplificare e rendere più efficaci, trasparenti e collaborativi i rapporti tra soggetti attivi e passivi del tributo.A)esattore. Conosciuto sin dall’epoca antica, si interponeva tra l’ente impositore e i contribuenti nella fase di riscossione del tributo, sulla base di un accordo negoziale e di un provvedimento amministrativo che approvava l’accordo stesso. Il contratto di esattoria poteva essere stipulato dall’ente impositore con soggetti persone fisiche o giuridiche, iscritti in un apposito albo nazionale. Con il contratto di esattoria veniva affidata all’esattore la riscossione di tributi e di altre entrate non tributarie in un determinato ambito territoriale.L’esattore doveva impegnarsi a recuperare dai contribuenti iscritti nei ruoli quanto da lui anticipato all’ente impositore e al tal fine veniva dalla legge dotato di particolari poteri autoritativi per la riscossione anche coattiva del credito che culminava nella cd. esecuzione esattoriale in cui l’esattore cumulava la qualità di creditore con quella di giudice dell’esecuzione. Il compenso che gli spettava per il servizio espletato, denominato aggio, variava sia con riguardo all’ammontare delle somme da riscuotere, sia dell’attività che doveva compiere, ma soprattutto cambiava da comune a comune a seconda del rischio di insolvibilità dei contribuenti.L’esattore non è cessionario (né pro soluto né pro solvendo) del credito d’imposta e, non subendo il rischio dell’inadempimento del contribuente ma rivestendo il ruolo di ausiliario nella riscossione, non poteva essere qualificato quale soggetto attivo del tributo. Dal 1 gennaio 1990 è scomparsa la figura dell’esattore, quale persona fisica, per lasciare il posto a quella del concessionario-persona giuridica costituita da aziende e istituti di credito, s.p.a. con capitale non inferiore al miliardo, s.coop. con le stesse caratteristiche, che curano la riscossione delle imposte nell’ambito territoriale di loro competenza.

B)aziende di credito e uffici postali. La legge prevede una delega irrevocabile conferita dal contribuente all’azienda di credito a versare l’imposta alla tesoreria dello Stato entro il quinto giorno successivo. La banca rilascia al contribuente un’attestazione di pagamento e viene compensata con una commissione, mentre in caso di omesso o ritardato versamento si applicherà alla stessa una penale del 2% al giorno(la penale è ridotta nel caso in cui il mancato versamento sia dovuto ad errori materiali). L’attestazione rilasciata ha efficacia liberatoria per il contribuente; quindi, pagando alla banca, il contribuente ha adempiuto alla propria obbligazione tributaria.

C) G.d.F. le sue funzioni investigative sono tuttora svolte in cooperazione e coordinamento con gli uffici al fine dell’accertamento e della riscossione delle imposte dirette e dell’IVA.

Altri soggetti ausiliari sono: i messi comunali e quelli speciali, i messi notificatori del concessionario e gli uffici giudiziari.

D)centri autorizzati di assistenza fiscale: i CAAF, che sono s.d.capitali il cui oggetto sociale è limitato allo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale e i cui soci possono essere esclusivamente associazioni . si distinguono in CAAF- imprese e CAAF-dipendenti. CAAF-imprese possono prestare assistenza esclusivamente ai contribuenti titolari di impresa e possono tenere le scritture contabili dei loro utenti, verificando la regolarità formale della documentazione contabile dagli stessi prodotta. CAAF- dipendenti, prestano assistenza esclusivamente nei confronti dei sostituti elaborando, predisponendo e trasmettendo le loro dichiarazioni; i CAAF- dipendenti e sostituti ricevono un compenso a carico del bilancio dello Stato.

Il garante del contribuente: ha competenza su tutte le questioni riguardanti gli uffici ubicati in regione e su tutti i tributi di ogni genere e specie richiamati dal D. Lgs. 546/1992. il garante è un organo collegiale costituito da 3 membri scelti e nominati dal Presidente della Commissione tributaria tra categorie di soggetti portatori di alta professionalità: mentre, infatti, il presidente deve essere un magistrato, un professore universitario di materie giuridiche o economiche o un notaio, la scelta degli altri due membri deve ricadere su un dirigente dell’amministrazione finanziaria o su un ufficiale generale e superiore della G.d.F., a riposo da almeno 2 anni, mentre il terzo membro è un iscritto all’ordine degli avvocati, dottori commercialisti.Ha funzioni tutorie e di vigilanza; l’intervento più incisivo che il Garante può porre in essere è quello di attivare le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente.

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I SOGGETTI PASSIVI.Il fisco ha interesse a : semplificare i propri rapporti con la molteplicità dei contribuenti e rafforzare la sicura riscossione del tributo. L’interesse del fisco si realizza non solo attraverso la predisposizione di idonee garanzie patrimoniali a carico del debitore (privilegi, ipoteche…) ma soprattutto ampliando l’ambito della responsabilità patrimoniale ed estendendola per l’intero a tutti i soggetti che hanno realizzato il presupposto.L’arricchimento e il depauperamento in cui il tributo si risolve devono realizzarsi attraverso strumenti giuridici: cioè attraverso la nascita e l’estinzione di rapporti obbligatori, l’estinzione e l’ablazione dei diritti reali… Questi effetti giuridici devono prodursi in capo al titolare della capacità contributiva manifestata dal presupposto anche quando il prelievo avvenga a carico di un soggetto diverso; se così non fosse sarebbe violato il principio costituzionale che riferisce il concorso tributario a colui che ha realizzato la capacità contributiva.Il meccanismo attraverso cui il depauperamento patrimoniale viene trasferito da colui che lo ha subito a colui che lo deve subire in via definitiva per aver realizzato il presupposto d’imposta, può essere affidato all’operare delle regole economiche del mercato oppure essere previsto dalla legge tributaria. Nel primo caso si parla di traslazione del tributo: essa si verifica quando colui che subito il prelievo (soggetto percosso) lo trasferisce al soggetto passivo del tributo (soggetto inciso) includendolo nel corrispettivo dei beni o servizi scambiati.In tutti i casi in cui l’ordinamento prevede meccanismi giuridici che consentano al terzo coinvolto nel prelievo di reintegrare la decurtazione patrimoniale subita per effetto di tale coinvolgimento, può parlarsi di rivalsa. La funzione della rivalsa è quello di porre definitivamente a carico del soggetto passivo l’onere economico del prelievo fiscale subito da altro soggetto; la rivalsa opera attraverso la schema del rapporto obbligatorio, in cui creditore è colui che ha subito il decremento patrimoniale, ma non è soggetto passivo del tributo mentre debitore è colui che avendo realizzato il presupposto d’imposta deve subire il definitivo prelievo in ragione della propria capacità contributiva.I principi tributari devono poi coordinarsi con altri principi eventualmente presenti nell’ordinamento, come le norme di diritto processuale civile o di diritto amministrativo.L’art. 53,1°comma cost. richiede che il tributo sia strutturato in modo da porne l’onere a carico del soggetto che manifesta la relativa capacità contributiva, ma non esclude la possibilità che nell’operare di altri istituti giuridici comporti una diversa ripartizione tra i consociati dell’onere stesso.

LA SOGGETTIVITA’ E LA SOLIDARIETA’ TRIBUTARIA.A) l’espressione soggettività tributaria nacque a proposito di organizzazioni di persone o di beni non

fornite di personalità giuridica, ma aventi obblighi tributari. Con la formula soggettività tributaria speciale venne così descritta la condizione di soggetti passivi tributari che la legislazione fiscale riconosce a determinati organismi, entità economiche o patrimoniali con titolarità collettiva, ma privi di personalità giuridica. Si trattava,però, di un’impostazione che si basava su un presupposto erroneo: quello che la capacità giuridica di diritto comune non potesse spettare che a persone fisiche o persone giuridiche.

La dottrina successiva ha invece chiarito che la personalità giuridica costituisce un quid pluris rispetto alla soggettività; ha chiarito inoltre che bisogna ammettere una terza categoria di soggetti giuridicamente rilevanti, di carattere collettivo e senza personalità giuridica; ciò accade quando in virtù della speciale rilevanza che lo stesso legislatore attribuisce a determinati requisiti del soggetto collettivo privo di personalità giuridica. Requisiti riconducibili all’autonomia amministrativa, processuale o patrimoniale, e proprio quest’ultima è ciò che interessa al legislatore tributario ai fini dell’attribuzione della soggettività anche ad enti carenti di personalità.

B)solidarietà tributaria: una delle più elementari garanzie per l’interessato all’adempimento di una prestazione di dare o di fare consiste nell’accollarne l’obbligo a più soggetti, dando la possibilità al creditore di chiedere l’integrale adempimento a ciascun condebitore e a ciascun condebitore di liberare gli altri con il proprio adempimento.A differenza del diritto civile, in cui la solidarietà passiva costituisce mero strumento di rafforzamento della garanzia del creditore, nel diritto tributario essa costituisce strumento di realizzazione del loro concorso alle spese pubbliche in ragione della rispettiva capacità contributiva.Esistono dunque vari tipi di solidarietà sostanziale:

SOLIDARIETÀ PARITETICA.

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Si parla di solidarietà paritetica nel caso in cui gli effetti di un’unica fattispecie imponibile sono riferibili a soggetti distinti che si trovano rispetto ad essa nella posizione prevista dalla norma. Es. se l’unico fatto imponibile si riferisce contemporaneamente e per l’intero a più soggetti in quanto atto a evidenziare la loro capacità contributiva, deve ritenersi che l’imputazione degli effetti si produca nei confronti di ciascun soggetto per l’intero e unitariamente. Sono ad es, le ipotesi di solidarietà fra le parti in senso sostanziale dell’atto sottoposto a registrazione e quelle di solidarietà nelle imposte ipotecarie tra coloro che richiedono le formalità e coloro nel cui interesse è stata fatta la richiesta o i debitori contro i quali è stata iscritta o rinnovata l’ipoteca.Con riguardo alla solidarietà principale o paritetica, si osserva che esiste una stretta interdipendenza fra la configurazione obiettiva del presupposto, la sua funzione quale indice di capacità contributiva e l’individuazione di questo tipo di solidarietà in capo a più soggetti passivi.

SOLIDARIETA’ DIPENDENTE.Se ne parla tutte le volte che il presupposto del tributo è riferibile ad uno o più soggetti mentre la norma tributaria, coinvolge con vincolo solidale nell’obbligazione tributaria anche soggetti cui sicuramente non è riferibile la capacità contributiva evidenziata dal presupposto.Possono così distinguersi le ipotesi di pluralità dipendente contestuale, cioè quelle in cui gli elementi che subentrano nella fattispecie estensiva sussisto non contemporaneamente al verificarsi della fattispecie imponibile tipica, dalle ipotesi di pluralità successiva nella quale i predetti elementi subentrano dopo che si sono esauriti gli effetti della fattispecie imponibile.La coobbligazione solidale dipendente è tipica del “responsabile d’imposta”.Nei rapporti interni il “diritto di rivalsa”del coobbligato dipendente si esercita per l’intero anziché pro quota come nella solidarietà paritetica e si giustifica con il principio costituzionale di capacità contributiva.

a) ipotesi di solidarietà dipendente contestuale possono già essere individuate, con riguardo all’imposta di registro, nei procuratori intervenuti in atto, nei pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto.

b) Ipotesi di solidarietà dipendente successiva sono invece quelle che derivano da modificazioni soggettive del rapporto che aggiungano altri coobbligati a quello originario.

SOLIDARIETA’ FORMALE.Termine utilizzato per indicare le interrelazioni tra coobbligazione solidale e applicazione del tributo, sia sotto il profilo degli obblighi strumentali diretti ai contribuenti, sia sotto il profilo deglieffetti degli atti dell’amministrazione quando esistano più debitori solidali.Per quanto riguarda gli adempimenti strumentali(dichiarazioni, comunicazioni…) gravanti sui contribuenti, vale il principio secondo cui l’adempimento di un condebitore solidale libera gli altri.ciò è previsto espressamente nel D.P.R: 600/1973 per la dichiarazione dei redditi. La ragione è da trovarsi nella uinitarietà del contenuto della dichiarazione e nel principio di economia degli atti procedimentali: ciò che interessa al fisco è l’acquisizione delle informazioni rilevanti e dunque lo scopo è raggiunto con l’adempimento dell’obbligo anche da parte di un solo coobbligato.SUPERSOLIDARIETA’: l’efficacia degli atti dell’amministrazione nei confronti dei condebitori solidali è stata definita col termine di solidarietà tributaria (o, supersolidarietà). La teoria tradizionale affermava che gli atti del fisco postini essere nei confronti di un coobbligato, producevano effetti nei confronti di tutti gli altri, limitando il diritto dei soggetti di far valere in giudizio le proprie ragioni. Ciò indusse la Corte Costituzionale a dichiarare illegittima l’interpretazione degli articoli di legge su cui si fondava la pretesa supersolidarietà tributaria.Dopo un primo momento di incertezza, la giurisprudenza e la dottrina si sono consolidate nel ritenere applicabili alle obbligazioni tributarie le regole civilistiche in teme di solidarietà. In quest’ottica l’atto di accertamento produce effetti solo nei confronti dei coobbligati solidali cui sia stato notificato; allo stesso modo, l’impugnazione o la mancata impugnazione dell’accertamento producono effetti solo nei confronti del coobbligato che abbia tenuto il relativo comportamento.Ciò comporta le seguenti conseguenze:a)la possibilità di una diversa definizione del rapporto obbligatorio in capo ai singoli coobbligati, a seconda che essi impugnino o meno l’avviso di accertamento e a seconda degli esiti della fase contenziosa;b)l’inopponibilità del giudicato sul rapporto obbligatorio, formatosi tra il creditore ed uno dei condebitori.

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Art. 1306: il principio costituzionale di capacità contributiva impone che il tributo imposto a ciascun soggetto sia ricollegato all’effettiva capacità contributiva da quest’ultimo manifestata e quindi, l’operatività dell’art. 1306 c.c. non è sempre sufficiente a garantire questo risultato. Si pensi all’ipotesi dell’adempimento effettuato da uno dei coobbligati solidali; tale adempimento dovrebbe far cadere tutti gli altri giudizi pendenti in cui sono parti gli altri coobbligati. Ma in questo modo gli altri coobbligati potranno solo esperire l’azione difensiva davanti al giudice ordinario, quando il debitore adempiente agirà in regresso nei loro confronti.Limiti del giudicato: anche nel caso in cui un coobbligato ottenga un giudicato di annullamento o comunque favorevole non è detto che attraverso l’art. 1306c.c. si possano ricondurre a unità tutti i rapporti tributari. A)in primo luogo il ricorso all’art. 1306, oltre a essere facoltativo, presuppone la conoscenza del giudicato favorevole ottenuto dall’altro coobbligato solidale;b) l’eventuale estensione di tale giudicato incontra limiti processuali quale quello del diverso giudicato ottenuto dall’altro coobbligato e il limite della definitività dell’accertamento a quest’ultimo notificato.A queste critiche la corte costituzionale, con sentenza a Sezioni Unite, ha ritenuto che il coobbligato non impugnante possa avvalersi del giudicato reso nei confronti di altro coobbligato e non fondato su ragioni personali, con gli unici limiti della sussistenza di un giudicato di segno opposto in capo al condebitore solidale che voglia avvalersi dell’art.1306, ovvero dell’avvenuto pagamento dell’imposta in base ad un accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione.Le Sezioni Unite hanno precisato che l’art. 1306 deve essere letto alla luca del principio costituzionale di capacità contributiva; tale vicenda ha il limitato effetto di precludere al condebitore la possibilità di ricorrere direttamente alle Commissioni tributarie per contrastare la pretesa del fisco nei suoi riguardi, ma non gli impedisce di avvalersi in via di eccezione della facoltà di opporre al creditore la sentenza favorevole intervenuta rispetto ad altro condebitore.Il nostro ordinamento prevede solo due strumenti per assicurare l’unitarietà di accertamento giudiziale di una stessa fattispecie sostanziale nei confronti di una pluralità di soggetti: il litisconsorzio necessario o l’automatica estensione agli altri del giudicato intervenuto nei confronti di uno dei coobbligati.

IL SOSTITUTO E IL RESPONSABILE D’IMPOSTA.Le figure tipiche, elaborate dal diritto tributario per indicare i soggetti coinvolti nell’attuazione del prelievo senza aver realizzato il presupposto del tributo, sono: il sostituto e il responsabile d’imposta.

A) sostituto d’imposta è chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ad anche a titolo di acconto; esso deve esercitare il diritto di rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso, mentre il sostituito ha la facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento dell’imposta.

La peculiarità dell’istituto viene spiegata sulla base del collegamento tra due norme: la prima, considerata principale, fissa il presupposto-base in capo al sostituito e la seconda, secondaria e collegata alla prima, determina l’imputazione dell’obbligo in capo al sostituto, realizzando il cd. “sviamento” dell’effetto giuridico “tributo” che avrebbe dovuto sorgere, in virtù della norma primaria, in capo al sostituito.È però fondamentale distinguere due tipi di sostituzione, entrambi compresi nel D.P.R. 600/1973, ma operanti secondo schemi diversi. La distinzione è tra sostituzione propria( o d’imposta) e la sostituzione impropria o d’acconto.

1.la sostituzione propria o d’imposta si ha nei casi in cui il prelievo in capo al sostituto esaurisce l’attuazione del tributo: vi è così totale subentro del sostituto nella posizione che sarebbe propria del sostituito e quest’ultimo è dunque liberato da qualunque rapporto con l’ente impositore.

Es. ritenute a titolo d’imposta, quelle sui dividendi delle azioni di risparmio, sui premi e le vincite. In tutti questi casi il soggetto che effettua i pagamenti trattiene l’imposta da versare al fisco ed esaurisce così l’attuazione del prelievo attraverso l’applicazione di una aliquota ri regola proporzionale anziché progressiva: il percettore del reddito su cui è stata effettuata la ritenuta a titolo d’imposta non è obbligato a denunziarlo e non ha alcun rapporto con il fisco. Il sostituito è dunque estraneo all’attuazione del prelievo che opera esclusivamente nei confronti del sostituto.

In un unico caso la legge coinvolge il sostituito nell’attuazione del prelievo a carico del sostituto: quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sanzioni e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato le ritenute a titolo d’imposta e che non ha versato; in questo caso il sostituito è coobbligato in solido.

2.nella sostituzione impropria d’acconto, che si realizza attraverso la ritenuta d’acconto, il sostituito non viene estromesso dalla attuazione del prelievo, in quanto deve ugualmente dichiarare gli imponibili assoggettati a ritenuta e conguagliare l’imposta trattenuta dal sostituto. Nonostante il meccanismo della

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sostituzione, la posizione del sostituito non è diversa da quella di ogni altro contribuente: la sua obbligazione d’imposta riguarda il complesso dei suoi redditi e l’unica particolarità è costituita dal fatto che le quote trattenute dal sostituto costituiscono acconti da portare in detrazione dall’imposta dovuta a saldo. Mentre nella sostituzione propria il rapporto tributario intercorre tra fisco e sostituto, in questo caso il rapporto rimane tra 3 soggetti, essendo rilevante anche la posizione del sostituto.

È il caso delle numerose ipotesi di ritenute da’acconto previste per lo più per i redditi di lavoro e di capitale.

La dottrina ritiene che tra sostituto e sostituito vi siano, sia u per la sostituzione d’acconto che per quella di imposta, rapporti di diritto privato: da un lato quello, nel quale il sostituto è debitore del sostituito per l’erogazione del dividendo, dell’interesse, della vincita..;dall’altro quello, di rivalsa, in base al quale il sostituito corrisponde al sostituto una somma decurtata dell’imposta che questi ha versato o verserà all’erario.Obblighi del sostituto:effettuare la ritenuta e rivalersi in capo al sostituito; versare le ritenute all’erario; certificare l’effettuazione della ritenuta e rilasciare e consegnare le relative certificazioni entro precisi termini ai percettori delle somme erogate; presentare annualmente la dichiarazione dei sostituti d’imposta; tenere le scritture contabili.Può accadere che alcuni di questi obblighi non vengano regolarmente assolti dal sostituto, dando luogo così ad un complesso contenzioso tra i 3 soggetti coinvolti.Per le sostituzioni d’acconto, se il sostituto opera la ritenuta ma non la versa:1.il fisco potrà agire esclusivamente nei confronti del sostituto per il mancato versamento dell’imposta da lui

trattenuta dal momento che il sostituito, tramite la rivalsa, ha già assolto l’imposta.2.quando il sostituto non opera in tutto o in parte la ritenuta e conseguentemente non la versa, da un lato, il

fisco può pretendere sia dal sostituto l’importo della ritenuta che dal sostituito quanto dovuto, dall’altro, trattandosi di ritenute d’acconto, il sostituito può avere a sua volta dichiarato il relativo provento, senza scomputare alcuna ritenuta in quanto non operata; il fisco potrebbe così conseguire l’importo della ritenuta 2 volte, una prima recuperandolo coattivamente in capo al sostituto e una seconda nell’ambito delle imposte versate dal sostituito.

3.può infine accadere che il sostituito contesti al sostituto l’effettuazione della ritenuta, adducendo ad esempio l’intassabilità del relativo provento. Ciò consiste nella richiesta di una maggiore somma di denaro rispetto a quella ricevuta, l’eventuale lite riguardando un rapporto di diritto privato sarà sottoposta al giudice ordinario.

Tuttavia la successiva giurisprudenza della S.C. sembra definitivamente orientata verso la devoluzione della competenza giurisdizionale alle commissioni tributarie, visto che l’indagine sulla legittimità delle ritenute comporta una causa di natura tributaria.

B) il responsabile d’imposta è chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi. Il responsabile dunque risponde per un presupposto realizzato da altri e si aggiunge al soggetto passivo del tributo senza sostituirvisi; ha diritto e non obbligo di rivalsa.

La definizione normativa si concilia benissimo con lo schema della coobbligazione solidale dipendente, occorre quindi far riferimento al coobbligato principale per determinare il sorgere e il contenuto dei relativi obblighi nei rapporti interni il responsabile d’imposta avrà il diritto di rivalsa per l’intero nei confronti del debitore principale; e proprio l’esistenza del diritto di rivalsa vale a distinguere il soggetto passivo dal responsabile d’imposta.Le principali ipotesi di responsabile d’imposta sono individuate dalla dottrina nelle imposte indirette sui trasferimenti: il caso dei pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto sottoposto a imposta di registro; la responsabilità dei rappresentanti di società di assicurazione; il caso di responsabilità del cessionario di aziende, in solido col cedente; il caso di solidarietà tra sostituto e sostituito per le ritenute d’imposta.

IL FENOMENO DELLA SUCCESSIONE E I “PATTI SULL’IMPOSTA”.Nell’esame della successione nel diritto tributario vengono di solito ricompresi non soltanto i casi normali di successione mortis causa e inter vivos, bensì anche ipotesi in cui la responsabilità di altri soggetti si aggiunge, ma non si sostituisce, a quella dei precedenti.A) il caso tipico di successione è quella ereditaria dove gli eredi subentrano nelle situazioni soggettive trasmissibili del de cuius e pertanto anche in quelle di natura tributaria.La specifica disciplina tributaria della successione mortis causa è contenuta nell’art. 65 D.P.R. 600/1973

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secondo cui gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni per tributi il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa. Essa costituisce una deroga al principio civilistico contenuto nell’art. 752 e 754 c.c. secondo cui “gli eredi sono tenuti verso i crditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria e ipotecariamente per intero.La nuova formulazione limita la responsabilità degli eredi alle obbligazioni per tributi il cui presupposto si sia verificato anteriormente al decesso; ed esclude invece la responsabilità per quella parte di tributi a carattere continuativo successiva alla morte del de cuius dal momento che per tali tributi il periodo si deve considerare concluso con la morte.La rinuncia all’eredità esclude la coobbligazione nei debiti d’imposta del de cuius; ma non fa divenire l’erede rinunciatario estraneo a tutta la vicenda dell’accertamento, della riscossione e del contenzioso. Infatti poiché l’erede ha 10 anni di tempo per revocare la rinuncia, l’ufficio ha interesse a notificargli gli atti di accertamento. Questa tesi, di regola eseguita dagli uffici, è stata tuttavia rigettata dal Ministero delle Finanze che ha ritenuto che colui che rinuncia non diventa mai erede.Per quanto riguarda la successione in solido degli eredi nelle sanzioni tributarie deve ricordarsi che al termine una lunga vicenda la trasmissione è stata espressamente esclusa. Dato che il fisco ignora di regola chi siano gli eredi, essi devono comunicare all’ufficio delle entrate del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale. In tal caso la notifica degli atti tributari deve essere fatta singolarmente a ciascun coerede a pena di nullità. In caso contrario, la notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi.Se vi è processo pendente, questo si interrompe. Gli eredi devono comunicare alla segreteria della commissione le loro generalità e la loro residenza, altrimenti gli atti del processo vengono notificati, fino a 1 anno dalla morte, collettivamente ed impersonalmente al domicilio eletto dal defunto.B) va menzionata la fusione di società. Il fisco dovrà rivolgersi, dopo l’operazione, alla società risultante dalla fusione o incorporante. La società risultante dalla fusione o incorporante dovrà perciò presentare la dichiarazione dei redditi relativa all’ultimo periodo d’imposta delle società fuse o incorporate.C)occorre esaminare le ipotesi si successione a titolo particolare inter vivos, anche se nessuna di essa realizza una successione in senso proprio, in quanto la responsabilità dell’originario debitore non viene mai meno.Considerando però che l’indisponibilità del credito tributario impedisce in genere la liberazione dell’originario debitore, la responsabilità del nuovo soggetto sarà cumulativa e non sostitutiva. L’ammissibilità di un accollo semplice nel diritto tributario è affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in considerazione dell’esclusivo effetto che una siffatta ripartizione produce tra le parti. L’indisponibiltà da parte del fisco della propria situazione soggettiva rende invece inammissibile l’accollo liberatorio. Per cui l’ente impositore potrà soltanto limitarsi ad aderire all’accollo rendendolo così cumulativo. Così come in ogni accollo interno l’accollante resterà obbligato esclusivamente nei confronti del debitore senza alcun vincolo con l’ente impositore del quale potrà però subire l’azione surrogatoria.Delegazione ed espromissione: la delegazione e l’espromissione possono essere nel diritto tributario soltanto cumulative senza provocare alcun fenomeno di successione.D)I patti sull’imposta.La tematica degli accolli d’imposta permette di esaminare il problema della liceità delle relative clausole. Questo problema è tornato di attualità a seguito di alcune importanti sentenze della Cassazione che hanno variamente affermato la nullità di tutti i patti traslativi di imposta che sarebbero in contrasto con l’art. 53Cost. e quindi nulli. Nonostante questa affermazione, le pronunce ricordate sono poi pervenute a conclusioni differenti quanto alla liceità dei negozi traslativi d’imposta considerati nelle varie ipotesi. Questo conferma l’impossibilità di ritenere costituzionalizzato per effetto dell’art. 53 Cost. un generale divieto di disciplinare l’attribuzione del carico fiscale sia nelle imposte indirette che in quelle dirette.

LA RAPPRESENTANZA.A) per quanto riguarda la capacità di agire e dunque la rappresentanza legale e volontaria

valgono le regole generali. Ne consegue, che prima della maggiore età, la capacità di agire spetta al rappresentante legale del minore, al tutore o a chi esercita la patria potestà; lo stesso vale per le persone legalmente incapaci come gli interdetti; quanto al minore emancipato e l’inabilitato, essi possono validamente pagare tributi, mentre debbono essere autorizzati a compiere attidi straordinaria amministrazione, tra cui promuovere azioni avanti a organi giurisdizionali, difendersi dalla richiesta del fisco o chiedere il rimborso di quanto pagato

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per errore.Per quanto riguarda la rappresentanza delle persone giuridiche, occorrerà di volta in volta far riferimento agli statuti, alle tavole di fondazione e alla legge civile. Qualora poi la rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche non sia determinabile secondo la legge civile, essa è attribuita ai fini tributari alle persone che ne hanno l’amministrazione anche di fatto.I rappresentanti legali tanto delle persone fisiche quanto delle persone giuridiche sono tenuti all’osservanza dei vari obblighi e all’adempimento degli obblighi formali, cui sono obbligati i soggetti da lui rappresentati. Talora la dichiarazione deve essere sottoscritta dalle persone fisiche che costituiscono l’organo di controllo o dal presidente del medesimo se si tratta di organo collegiale.Secondo il D.P.R. 600/1973 dettato in materia di imposte dirette, per la rappresentanza e l’assistenza tecnica presso gli uffici finanziari, la procura speciale deve essere conferita per iscritto, con firma autenticata da notaio, a meno che la procura stessa sia conferita al coniuge o ai parenti affini entro il 4° o ai propri dipendenti da persone giuridiche. Se la procura è conferita a persone iscritte in un albo professionale, è data facoltà ai professionisti di autenticare la firma del contribuente. Detta procura può altresì essere conferita a impiegati delle carriere dirigenziali, dell’amministrazione finanziaria, nonché a ufficiali e a sottoufficiali della G.d.F. a riposo, sempre che gli stessi abbiano avuto l’autorizzazione dal ministero delle finanze; gli ex ufficiali e sottoufficiali e gli ex impiegati non possono esercitare funzioni di assistenza o di rappresentanza per 2 anni dalla data di cessazione del rapporto di impiego.Di regola il rappresentante non risponde del pagamento del tributo, salve le ipotesi in cui la legge ne prevede la coobbligazione solidale col rappresentato. Si tratta: della responsabilità prevista per gli amministratori e liquidatori di società; della responsabilità del rappresentante, sia legale che volontario, che abbia sottoscritto le denunce dei contratti verbali o di operazioni verbali di società e di enti esteri.

B) per quanto riguarda la rappresentanza e la difesa del contribuente davanti alle commissioni tributarie, quest’ultimo non può più stare in giudizio personalmente, se non per le controversie riguardanti tributi in contestazione di importo inferiore ai 5 milioni di lire. La necessità dell’assistenza in giudizio da parte di un difensore abilitato è uno degli aspetti più innovativi della nuova disciplina del processo tributario; l’incarico deve essere conferito al difensore tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata o anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato.C) il diritto tributario conosce infine 2 ipotesi tipiche di rappresentanza per i rapporti tributari dei soggetti non residenti.l’art. 4, D.P.R. 600/1973 dispone che le società o enti che non hanno la sede legale o amministrativa nel territorio dello stato indichino nella dichiarazione dei redditi l’indirizzo della stabile organizzazione nello Stato in quanto vi sia le generalità e l’indirizzo in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari.L’art. 7, D.P.R. 600/1973, dispone che gli obblighi e i diritti per l’IVA relativi alle operazioni effettuate in Italia compiute da o nei confronti dei soggetti non residenti o senza stabile organizzazione possano essere adempiuti o esercitati nei modi ordinari da un rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato con atto pubblico, scrittura privata registrata o lettera annotata in un apposito registro tenuto dall’ufficio entrate competente.Mentre in materia di imposte sul reddito il rappresentante fiscale non risponde solidalmente con il contribuente del pagamento delle imposte dovute da quest’ultimo, ma potrà essere tenuto solidalmente al pagamento solo delle sanzioni amministrativa; in materia di IVA egli è solidalmente responsabile con il rappresentato degli obblighi derivatigli dalla legge e risponde pertanto del pagamento del tributo e delle eventuali sanzioni.

IL DOMICILIO FISCALE.Ai fini dell’attuazione del prelievo occorre individuare l’ufficio tributario competente a ricevere le dichiarazioni e gli altri atti del contribuente e a porre in essere gli altri atti di accertamento e di riscossione. Tale individuazione avviene mediante la fissazione di un domicilio fiscale che, ai fini delle imposte sul reddito, coincide, per i cittadini italiani, con il comune nella cui anagrafe sono iscritti. Si tratta dell’anagrafe tenuta ai fini dello stato civile, che non va confusa con l’anagrafe tributaria. La nozione in esame non coincide con quella di diritto comune del domicilio, come centro di interessi e sede principale degli affari, avvicinandosi invece alla residenza di diritto comune.Per le persone fisiche non residenti il domicilio fiscale è stabilito nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito si è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. La nozione civilistica di domicilio come centro di affari torna dunque a prevalere quando il soggetto passivo risiede all’estero. Sia la moglie che il marito possono avere domicili fiscali in comuni diversi e in tal caso il figlio minore, i cui redditi sono imputati per metà a ciascun genitore, dovrebbe avere il domicilio fiscale del genitore con il quale convive. Nel caso di coniugi non legalmente ed effettivamente separati che in passato abbiano presentato la dichiarazione su di un unico modello, la notifica della cartella esattoriale di pagamento delle predette imposte è eseguita nel domicilio

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fiscale del marito, ovvero nel domicilio fiscale della moglie se soltanto questa è residente nel territorio dello Stato.I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa. In mancanza anche di quest’ultima, i soggetti hanno il proprio domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione. In mancanza di ogni altro punto di riferimento, il domicilio è nel comune in cui i soggetti esercitano prevalentemente la loro attività.Il criterio legale per la fissazione del domicilio fiscale è in linea di trincio inderogabile, sia per il soggetto passivo che per la stessa amministrazione. Quest’ultima tuttavia può ritenere che il domicilio previsto dalla legge rechi aggravio all’attribuzione del tributo: in tali casi l’amministrazione finanziaria può stabilire il domicilio fiscale nel comune dove il soggetto svolge in modo continuativo l’attività principale ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, dove è stabilita la sede amministrativa. Competente a provvedere è la Direzione regionale delle entrate(D.R.E.).L’ANAGRAFE TRIBUTARIA.Ha la funzione di raccogliere e ordinare, su scala nazionale, i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti. Al funzionamento dell’anagrafe tributaria, il Ministero provvede mediante un sistema informativo basato sull’impiego di apparecchiature elettroniche centrali, periferiche e di trasmissione dei dati. Una commissione parlamentare di 11 membri, designati dai presidenti delle due Camere del Parlamento, ha il compito della vigilanza sull’anagrafe tributaria.

L’ACCERTAMENTOLA PARTECIPAZIONE DEL PRIVATO NELLA FASE DI ACCERTAMENTO:Di collaborazione del contribuente nell’accertamento e di attività amministrativa partecipata si parla nel diritto tributario italiano almeno fin dalle fondamentali opere di Vanoni che appunto teorizzò e introdusse con l’obbligo generalizzato di dichiarazione la prima e essenziale forma di partecipazione del contribuente all’accertamento del tributo. Su questa concezione della collaborazione tra Stato e cittadino nell’attuazione del tributo, reagirono negativamente la dottrina e l’inefficienza dell’amministrazione.È solo l’irrompere sulla scena, con la riforma degli anni ’70, della fiscalità di massa che crea le premesse per un nuovo ruolo del contribuente nell’attuazione del prelievo. Il ricorso a deroghe sempre più ampie rispetto alle risultanze delle scritture contabili rese necessarie dalla molteplicità dei contribuenti, ha giustificato una nuova forma di partecipazione del privato in un meccanismo in cui fosse consentito anche all’interessato di concorrere in contraddittorio con l’amministrazione alla migliore determinazione del presupposto. Nasce da questa logica la “richiesta di chiarimenti”(L. 17/1985), obbligatoria a pena di nullità, che è riconosciuta dalla dottrina come il primo caso di partecipazione del privato non in funzione di collaborazione bensì in funzione di contraddittorio, cioè in difesa di propri diritti e interessi.Inizia anche nel nostro paese verso la fine degli anni ’80 l’attenzione alle esigenze di “civiltà” del fisco; da un lato si alleggerisce l’obbligo di dichiarazione che in molti casi viene meno; si eleva il limite per l’esonero; si sostituisce la dichiarazione con il certificato del sostituto d’imposta inviato al fisco; si eliminano quasi del tutto gli allegati alle dichiarazioni dei diritti o IVA; se ne ammette la presentazione per via telematica. Lo Statuto del contribuente impedisce persino all’amministrazione di richiedere documenti e certificazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni indicate dal contribuente.Casi di partecipazione del privato all’accertamento:

1. partecipazione nella formazione degli studi di settore. Per l’aggiornamento di tali studi, la legge impone agli imprenditori e lavoratori autonomi coinvolti nell’obbligo di fornire all’amministrazione, sia attraverso la dichiarazione che attraverso appositi questionari, i dati contabili ed extracontabili relativi all’attività esercitata.

2. partecipazione nella fase di liquidazione: controllo contabile della dichiarazione per le imposte sul reddito.

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La legge formalizza qui ipotesi di contraddittorio che tuttavia sembrano ancora rivolte all’interesse dell’amministrazione alla correttezza dei controlli: non sembra che il contribuente possa azionare giudizialmente la mancata comunicazione ovvero la mancata richiesta di chiarimenti; né che possa far valere l’omessa o insufficiente motivazione.

3. appare invece più efficace la previsione la L.212/2000 dello Statuto del contribuente, secondo cui prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a 30 giorni dalla richiesta. Questa costituisce l’unica ipotesi di contraddittorio obbligatorio cui la legge ricollega la nullità dei provvedimenti emessi in violazione.

D) le controdeduzioni al verbale. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.E)accertamento con adesione. Costituisce l’ipotesi più strutturata e con maggiori prospettive, di partecipazione del contribuente all’accertamento. Concludendosi esso con un atto formale la partecipazione del privato è in questo caso suscettibile di fondare situazioni soggettive immediatamente tutelabili. L’accertamento per adesione può intervenire sia su proposta dell’amministrazione che su istanza del contribuente.F) conciliazione giudiziale.G) l’interpello.H)accertamento dell’elusione: accertamento che disconosce fattispecie elusive e applica le imposte determinate in base alle fattispecie eluse.La particolare complessità della fattispecie raccomanda una fase di contraddittorio prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento, da esperirsi previa richiesta al contribuente, anche per via raccomandata, di chiarimenti da inviare entro 60 giorni. Nella richiesta devono essere indicati i motivi per cui l’amministrazione ritiene di disconoscere la fattispecie ritenuta elusiva. L’avviso di accertamento deve essere motivato, a pena di nullità.I) irrogazione delle sanzioni. L’atto di contestazione, con l’indicazione di tutti gli elementi, consente la

definizione agevolata e si converte in provvedimento di irrogazione delle sanzioni se entro 60 giorni il trasgressore e gli obbligati in solido non producono deduzioni difensive. Se sono prodotte deduzioni difensive, l’ufficio ha termine di decadenza di 1 anno per emettere un atto di irrogazione delle sanzioni, motivato a pena di nullità anche in ordine alle deduzioni presentate. Questa più articolata forma di contraddittorio è stata ora generalizzata con l’art.6 dello Statuto del contribuente in base al quale l’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito.

J) Nonostante il progressivo affermarsi della partecipazione del contribuente non più in chiave collaborativi ma in chiave contraddittoria e difensiva, il legislatore appare tuttora assai riluttante a ricollegare alla violazione del contraddittorio l’invalidità del provvedimento successivo. Solo in 3 casi la nullità è espressamente prevista:1- nell’art.6 dello Statuto del contribuente; 2- nell’art.37bis D.P.R. 600/1973; 3- nell’art.16 D.Lgs. 472/1997. Nei primi 2, però essa è circondata di condizioni limitative, mentre è piena e adeguatamente formalizzata solo nel terzo caso.

LE FATTISPECIE PRODROMICHE.Si tratta di una serie di obblighi che la legge impone ai soggetti passivi ed il cui assolvimento è considerato strumentale ai fini della migliore applicazione del tributo ovvero ai fini del controllo di tale applicazione; l’importanza di tali adempimenti per il fisco è sottolineata dalle sanzioni,talora anche penali, che puniscono il mancato esatto adempimenti di tali obblighi strumentali.

1 le autorizzazioni: costituisco un primo tipo di obbligo di cui il contribuente deve munirsi per l’esercizio di attività fiscalmente rilevanti. Basti pensare agli obblighi gravanti sul contribuente e consistenti nella predisposizione di strutture produttive che consentano il controllo permanente da parte del fisco: si tratta di comportamenti dovuti la cui violazione può configurare il reato di contrabbando e comporta comunque la mancanza di autorizzazioni dell’attività soggetta all’imposta.

2 L’installazione di strumenti fiscali di misurazione: l’esempio più comune è costituito dai registratori di cassa attraverso i quali vengono registrati e rilasciati scontrini fiscali sostitutivi della fattura da parte di una serie di esercizi pubblici.

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3 Predisposizione di documenti fiscalmente rilavanti: vi sono poi documenti che assumono precisa rilevanza fiscale e che sono oggetto di controllo dalla fase della stampa a quella dell’utilizzazione, in quanto devono essere predisposti da tipografie autorizzate che devono annotare in apposito registro le imprese acquirenti. Si tratta delle ricevute fiscali che devono essere obbligatoriamente rilasciate da una serie di soggetti IVA operanti nei confronti dei consumatori finali. Il legislatore ha equiparato a tutti gli effetti lo scontrini fiscale alla ricevuta fiscale, riservando al contribuente la libertà di scelta nell’emissione dell’uno o dell’altro documento.

L’ipotesi più comune e più importante di obblighi fiscali indipendenti dal verificarsi del presupposto d’imposta è però costituita dalle scritture contabili: si tratta di documenti che la legge considera essenziali per l’applicazione delle imposte sui redditi ai titolari di redditi d’impresa e di lavoro autonomo, nonché per l’applicazione dell’IVA. Mentre prima della riforma tributaria degli anni 1971-73 la tassazione in base al bilancio era obbligatoria soltanto per le società di capitali e poteva essere richiesta dalle società di persone e dagli imprenditori individuali; con la riforma, la tassazione è stata estesa anche alle società di persone e agli imprenditori non tenuti alla redazione del bilancio in base al codice civile.Tali documenti espongono in forma sintetica i risultati dell’andamento dell’esercizio o del periodo d’imposta quali si desumono dalle registrazioni sulle scritture contabili, che dunque costituiscono il supporto essenziale per la determinazione del tributo per tali tipi di contribuenti.Tali soggetti devono presentare la dichiarazione anche in mancanza di redditi. Pertanto, la semplice mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili configura la violazione di un obbligo autonomamente accertabile e sanzionabile da parte del fisco.

LA DICHIARAZIONE: NATURA ED EFFETTI.La dichiarazione è, secondo la dottrina tradizionale, l’atto fondamentale di collaborazione del contribuente con il fisco. Con la dichiarazione il contribuente porta a conoscenza dell’ente impositore i connotati qualitativi e quantitativi del presupposto. La presentazione della dichiarazione è un atto dovuto, imposto dalla legge con la previsione, in caso di inadempimento, di gravi sanzioni sia amministrative che penali; produce effetti sia sul versante dell’accertamento che su quello della riscossione.L’omissione delle dichiarazione consente l’accertamento d’ufficio basato su elementi comunque raccolti e su presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza. Se invece la dichiarazione è completa e fedele, e non emergono ulteriori irregolarità negli altri adempimenti formali, l’eventuale fase di controllo non si concluderà in alcun atto di accertamento; a una dichiarazione analitica e completa dovrà corrispondere un accertamento analitico.L’obbligo di dichiarazione, in quanto riferito alla partecipazione e determinazione del presupposto, sorge di regola dalla realizzazione di quest’ultimo. La legge tuttavia lo ricollega talora anche a fattispecie diverse dal presupposto, come nel caso dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, i quali devono presentare le dichiarazioni anche in mancanza di redditi. In questo caso, infatti, l’interesse del fisco nell’acquisizione delle rilevazioni contabili, giustifica l’obbligo di dichiarazione, indipendentemente dalla realizzazione del presupposto del tributo.Al contrario l’obbligo di dichiarazione viene talvolta escluso pur in presenza di un reddito quando i redditi non superano il valore minimo considerato dal legislatore quale minimo vitale.Tramontate le remote teorie spiccatamente privatistiche che assimilavano la dichiarazione a una confessione stragiudiziale , dunque ritrattabile per errore di fatto soltanto nei limiti previsti dell’art. 2732c.c. e revocabile invece per errore di diritto stante l’indisponibiltà del rapporto tributario, vi è da tempo concordia in dottrina nel ritenere che la dichiarazione tributaria costituisca una dichiarazione di scienza. Gli effetti della dichiarazione, sia sul piano dell’accertamento che su quello della riscossione, discendono esclusivamente dalla legge, che la considera quale atto: tali effetti non discendono dalla volontà del dichiarante. In presenza di più dichiarazioni presentate nel termine di decadenza, non varrà la regola applicabile in presenza di più manifestazioni successive di volontà, bensì il fisco potrà liberamente conoscere delle più dichiarazioni presentate: esse concorrono tutte alla determinazione dell’unico presupposto e possono essere utilizzate dall’amministrazione per determinarlo.Gli effetti che la legge ricollega alla presentazione della dichiarazione derivano, sul piano dell’accertamento, dalla corrispondenza della fattispecie dichiarata dal contribuente a quella reale, e, sul piano della riscossione, dall’esigenza di anticipare il prelievo in base a questa verosimiglianza. Per un

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verso si infatti attribuita alla dichiarazione tributaria la già menzionata natura di dichiarazione di volontà e persino confessionaria, accentuando il profilo della corrispondenza del pagato al dichiarato; è stata considerata atto negoziale di rappresentazione di verità che impegna la responsabilità del dichiarante ed è pertanto sufficiente a giustificare il prelievo. Chi le attribuisce natura negoziale o di dichiarazione di volontà ricollega ad essa effetti, ora nascenti dalla dichiarazione stessa, ora dagli atti della riscossione che essa legittima. La dichiarazione è pertanto irretrattabile e immodificabile da parte del contribuente; può esserne ammessa la correzione, l’invalidazione e l’integrazione nei casi previsti dalla legge.Per altro verso si è attribuita al contenuto sostanziale del presupposto (capacità contributiva), svalutando così il contenuto precettivo e vincolante della dichiarazione ed attenuandone l’efficacia sul piano dell’attuazione del prelievo. Chi svaluta l’importanza della dichiarazione in rapporto al presupposto riconosce la libertà rettificabile della dichiarazione stessa.Posizione delle giurisprudenza: se comune è la negazione del carattere confessorio della dichiarazione e del suo contenuto negoziale, si è da un lato affermata la retrattabilità della dichiarazione stessa anche in sede di ricorso contro il ruolo, giustificando tale retrattabilità con la considerazione che la dichiarazione dovrebbe essere rettificata dall’ufficio anche a favore del contribuente; dall’altro lato si è però affermato come la dichiarazione tributaria non sia valutabile secondo mere categorie privatistiche (di scienza, di volontà), ma, in quanto “atto” di un procedimento di diritto pubblico non possa essere rettificata, dopo la scadenza del termine per la sua presentazione, se non utilizzando i tipici strumenti e gli spazi temporali che l’ordinamento consente per l’impugnazione della pretesa tributaria. Le Sezioni Unite tributarie, accogliendo la natura di dichiarazione di scienza, hanno definitivamente riconosciuto la retrattabilità della dichiarazione per errori sia di fatto che di diritto e senza limiti di tempo che non siano quelli posti dalle disposizioni di legge per l’azione di rimborso.È evidente che l’atto dichiarativo può essere modificato dal contribuente al fine riconsentire l’integrazione o correzione delle informazioni fornite all’amministrazione finanziaria; la legge ha riconosciuto espressamente che, salva l’applicazione delle sanzioni amministrative, la dichiarazione può essere integrata per correggere errori od omissioni mediante la presentazione di una successiva dichiarazione con uguali modalità di quella originariamente presentata (D.P.R. 322/1998); per la correzione di errori od omissioni che abbiano determinato un maggior reddito o comunque una maggiore imposta è fissata senza l’applicazione delle sanzioni un termine per la presentazione della dichiarazione integrativa.Anche il contribuente può rettificare la dichiarazione a proprio favore nel termine di un anno: al valore rettificato sarà commisurata l’imposta di base con ogni conseguenza comprese quelle sanzionatorie. La dichiarazione integrativa in aumento può essere presentata con sanzioni ridotte, entro 90 giorni dal termine di decadenza per la presentazione e con sanzioni normali entro il termine di decadenza per l’accertamento, salve ipotesi di ravvedimento operoso .Talvolta le dichiarazioni possono contenere anche manifestazioni di volontà; si pensi all’ipotesi in cui il contribuente deve optare tra 2 regimi di determinazione del reddito, ovvero ancora sceglie di destinare l’8 x 1000 delle imposte alle diverse confessioni religiose p allo Stato.Anche la dichiarazione doganale presenta alcuni elementi che possono configurarla come una dichiarazione di volontà; la dichiarazione deve indicare, oltre agli altri elementi per l’identificazione dei soggetti e delle merci, la destinazione doganale delle stesse. La destinazione al consumo entro o fuori il territorio dello Stato costituisce il presupposto dei tributi doganali, il dichiarante manifesta con la dichiarazione la propria intenzione di realizzare o meno il presupposto d’imposta. La differenza rispetto ai presupposti degli altri tributi consiste nel fatto che, per le imposte doganali, la destinazione o meno al consumo deve ancora verificarsi all’atto della dichiarazione e dipende dalla volontà del soggetto passivo.

TIPOLOGIA DELLE DICHIARAZIONI TRIBUTARIE IN RELAZIONE AI SOGGETTI OBBLIGATI.

A. La dichiarazione dei redditi è imposta annualmente al contribuente che deve dichiarare i redditi posseduti anche se non ne consegue alcun debito d’imposta: fino alla riforma Vanoni del 1951 la dichiarazione, un tempo annuale, era caduta in desuetudine e si era affermata la conferma per silenzio dell’imponibile dell’anno precedente. Vanoni reintrodusse l’obbligo della denuncia annuale che da lui prese il nome.

La dichiarazione per le persone fisiche è unica, in quanto riguarda tutti i redditi posseduti; per le persone fisiche legalmente incapaci l’obbligo spetta al rappresentante legale. Se più soggetti sono obbligati alla stesse dichiarazione, la dichiarazione fatta da uno libera gli altri: es. dichiarazione dei coeredi.

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Dopo l’abolizione del cd. cumulo dei redditi ciascun coniuge può presentare la dichiarazione per proprio conto, ma a quelli non legalmente ed effettivamente separati è tuttavia consentito di presentare su un unico modello la dichiarazione dei redditi di ciascuno di essi, sottoscritta da entrambi a pena di nullità, per la parte relativa ai redditi propri (cd. dichiarazione congiunta), semprechè non siano possessori di redditi d’impresa o di lavoro autonomo.La dichiarazione delle società di persone è presentata dalle società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice e dalle società e associazioni ad esse equiparate: la dichiarazione è unica, ma va incrociata con quella del socio ai fini dell’imposta personale di quest’ultimo.Nessun modello autonomi esiste per le imprese familiari, considerate imprese individuali e i cui redditi si distribuiscono tra l’imprenditore e i collaboratori; nell’ipotesi di impresa gestita su azienda in comunione coniugale, l’amministrazione finanziaria impone invece l’uso del modello previsto per le società di persone.La dichiarazione dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche è anch’essa unica, riguardando tutti i redditi del soggetto. Essa deve essere comunque presentata dalle società di capitali e dai soggetti a queste assimilati nonché dalle società di persone non residenti produttrici di redditi in Italia. Vi sono obbligati anche i cd. enti non commerciali, ove siano titolari di redditi o in ogni caso ove siano tenuti alle scritture contabili per eventuali attività commerciali collaterali. Le dichiarazioni suddette si distinguono dalla dichiarazione dei sostituti d’imposta che riguarda i redditi altrui, assoggettati a ritenuta dal sostituto d’imposta essa deve essere presentata da tutti i soggetti che corrispondono somme o valori soggetti a ritenuta alla fonte e deve essere unica e riguardare tutti i percipienti, a eccezione di coloro che hanno ricevuto compensi e altri redditi corrisposti dallo Stato.Dichiarazioni nei casi di operazioni straordinarie e di crisi dell’impresa:nei casi di trasformazione, fusione e scissione di società deve essere presentata una dichiarazione avente a oggetto i redditi prodotti nella frazione di esercizio compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui hanno effetto le suindicate operazioni straordinarie; alla dichiarazione deve essere allegato un conto economico della frazione del periodo.In caso di liquidazione di società o enti soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche e di società o associazioni similari, il legislatore, o in mancanza il rappresentante legale, deve presentare la dichiarazione relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la deliberazione di messa in liquidazione.

B. Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, la dichiarazione risponde al medesimo modello normativo sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di persone giuridiche.

La dichiarazione annuale IVA deve essere presentata da tutti i soggetti-IVA, cioè da coloro che, ai fini di tale tributo, rivestono la qualità di imprenditori o professionisti, i quali devono presentarla anche se nell’anno non hanno effettuato operazioni imponibili né acquisti gravanti da IVA.Oltre alla dichiarazione annuale fino all’anno 2001 è stata prevista la presentazione di dichiarazioni periodiche contestualmente alla liquidazione periodica del tributo; a partire dall’anno 2002 la presentazione di dichiarazioni periodiche è stata sostituita con la presentazione di un unico modello sintetico nell’anno successivo a quello di riferimento.

C. Nell’imposta di registro manca in genere una vera e propria dichiarazione poiché gli elementi da portare a conoscenza del fisco sono di regola nello stesso atto da registrare. La funzione tipica della dichiarazione è svolta dalla materiale presentazione all’ufficio dell’atto da registrare; tuttavia la legge prevede alcune ipotesi in cui la registrazione avviene a seguito di una vera e propria denuncia:

La registrazione dei contratti verbali deve essere richiesta presentando all’ufficio una denuncia in doppio originale, sottoscritto dalle parti contraenti e che indichi le loro generalità, il luogo e la data di stipulazione…

Per la registrazione delle operazioni di società ed enti esteri occorre una denuncia firmata dal rappresentante o da colui che risponde delle obbligazioni della società o ente.

Il verificarsi della condizione sospensiva aggiunta a un atto, il verificarsi di eventi che diano luogo a ulteriore liquidazione d’imposta e la sottoscrizione di aumenti di capitale deliberati devono essere dichiarati all’ufficio entro termini di decadenza per l’applicazione della imposta proporzionale di registro.

CONTENUTO E FORMA DELLA DICHIARAZIONE.A. Il contenuto della dichiarazione tributaria.

La dichiarazione dei redditi sia per le persone fisiche che giuridiche deve contenere tutte le indicazioni

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previste dalla legge; la mancata indicazione degli elementi necessari alla determinazione dei redditi comporta che questi si considerino non dichiarati ai fini dell’accertamento e delle sanzioni; oltre agli elementi identificativi del contribuente devono essere indicati anche il luogo o i luoghi in cui sono tenute e conservate le scritture contabili.Nella disciplina tradizionale, era previsto l’obbligo di allegare la copia del bilancio e del conto economico per i soggetti esercenti imprese commerciali, i cui redditi si determinano per l’appunto sulla base del bilancio e del conto economico.Di recente, la copia del bilancio e del conto economico, sottoscritti da coloro che sono tenuti a sottoscrivere la dichiarazione, devono essere conservati presso la sede dell’impresa ed essere messi a disposizione dell’amministrazione finanziaria ove ne sia richiesta l’esibizione.La dichiarazione annuale per l’IVA si caratterizza per il fatto di indicare l’ammontare annuo delle operazioni imponibili, non imponibili ed esenti, l’IVA detraibile sugli acquisti… la sua funzione principale consiste nella raccolta di informazioni generali sull’attività del contribuente da trasferire all’amministrazione finanziaria allo scopo di consentire una conoscenza idonea a indirizzare l’attività di controllo e verifica.

B. La dichiarazione unificata e la presentazione telematica.Con recente provvedimento è stato previsto l’accorpamento in un unico documento delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’IRAP e all’IVA, nonché agli obblighi contributivi e previdenziali e, in secondo luogo, l’obbligo di procedere alla relativa presentazione utilizzando strumenti di comunicazione telematica. In tal modo dovrebbe venire raggiunto il duplice risultato di accelerare l’attività di verifica e controllo e di omologare le indagini ai fini delle imposte dirette e dell’IVA. A fronte di tali vantaggi, il contribuente beneficia di una riduzione dei termini dell’accertamento nonché della possibilità di procedere a compensazione tra crediti e debiti relativi a diversi tributi (es. tra un credito IRPEF ed un debito IVA). Due sono le condizioni necessarie per l’applicazione di tale regime: la contemporanea soggezione alle imposte sui redditi, all’IRAP e all’IVA; la coincidenza del periodo di imposta con l’anno solare.La presentazione della dichiarazione dovrà essere effettuata in via telematica all’Agenzia delle entrate direttamente ad opera del contribuente oppure attraverso il ricorso a un intermediario abilitato.

C. L’assistenza ai contribuenti nella fase di redazione e presentazione della dichiarazione.L’evoluzione del sistema tributario ha imposto un incremento crescente del livello di approfondimento e dettaglio dell’atto dichiarativo. Ne è discesa pertanto l’esigenza di promuovere forme di assistenza professionale in sede di redazione e presentazione della dichiarazione. Per facilitare l’adempimento degli obblighi di dichiarazione dei lavoratori dipendenti è stata prevista l’istituzione di appositi centri di assistenza fiscale (cd. CAAF), costituiti nella forma di società per azioni previa autorizzazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.L’attività di assistenza dei CAAF consiste nella presentazione della dichiarazione dei redditi al posto del contribuente; i CAAF sono autorizzati ad apporre un visto di conformità alla dichiarazione tributaria, da considerarsi quale giudizio di correttezza formale dei dati esposti in dichiarazione dal contribuente; laddove in sede di accertamento emergano irregolarità in ordine a dati o informazioni della dichiarazione, le sanzioni vengono irrogate esclusivamente nei confronti dell’organizzazione professionale che ha apposto il visto.

D. La forma delle dichiarazioni.A pena di nullità, le dichiarazioni devono redigersi su stampati conformi ai modelli approvati con decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze pubblicato nella G.U. entro il 15 febbraio dell’anno in cui devono essere utilizzati. I modelli di dichiarazione sono resi disponibili dall’amministrazione in via telematica gratuita ciascun anno. Le dichiarazioni devono essere sottoscritte, a pena di nullità, dal contribuente e da chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale, nonché da chi ne ha l’amministrazione anche di fatto. La nullità può essere sanata se il contribuente provvede alla sottoscrizione entro 30 giorni dal ricevimento del relativo invito da parte dell’ufficio delle entrate territorialmente competente.

E. I termini di presentazione.I termini di presentazione delle dichiarazioni dei redditi sono disciplinati dal D.P.R. 322/1998. le persone fisiche e le società o assicurazioni devono presentarla tra il 1° maggio e il 31 luglio di ciascun anno per i redditi dell’anno solare precedente. La trasmissione della dichiarazione telematica, compresa quella unificata, è effettuata entro il 31 ottobre di ciascun anno.I soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche devono presentare la dichiarazione entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo alla chiusura dell’esercizio, se ricorrono banche o uffici postali, oppure entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo alla chiusura dell’esercizio, se la presentazione avviene in via telematica.

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Entro i medesimi termini devono essere presentate le dichiarazioni ai fini IRAP da parte dei soggetti che non sono tenuti a presentare le dichiarazioni dei redditi.I sostituti d’imposta entro il 31 giugno dell’anno successivo a quello di erogazione dei compensi e redditi soggetti a ritenuta d’imposta sono tenuti a comunicare all’Agenzia delle entrate, in via telematica, i dati fiscali e contributivi dei sostituiti. La dichiarazione dei sostituti deve essere presentata in via telematica entro il 31 ottobre di ciascun anno per i pagamenti o gli utili fatti nell’anno solare precedente.In caso di liquidazione di società o enti, il liquidatore, o in mancanza il rappresentante legale, deve presentare entro 4 mesi dalla data in cui ha effetto la deliberazione di messa in liquidazione la dichiarazione relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data stessa. La dichiarazione relativa al risultato finale delle operazioni di liquidazione deve essere presentata entro 4 mesi dalla chiusura della liquidazione stessa o dal deposito del bilancio finale, se prescritto. Se la liquidazione si prolunga oltre il periodo d’imposta iniziale devono essere presentate entro i termini stabiliti dal D.P.R. 322/1998, la dichiarazione relativa alla residua frazione del detto periodo e quelle relative a ogni successivi periodo d’imposta.Nei casi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa le dichiarazioni devono essere presentate anche se si tratta di imprese individuali, dal curatore o dal commissario liquidatore, rispettivamente entro 4 mesi dalla nomina ed entro 4 mesi dalla chiusura del fallimento e dalla liquidazione, e le dichiarazioni annuali devono essere presentate soltanto se vi è stato esercizio provvisorio.In caso di trasformazione di una società non soggetta all’imposta sul reddito delle persone giuridiche in società soggetta a tale imposta, o viceversa, deve essere presentata entro 4 mesi dalla data in cui ha effetto la trasformazione, la dichiarazione relativa alla frazione di esercizio compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data stessa.In caso di fusione di più società, deve essere presentata dalla società risultante dalla fusione o incorporante, entro 4 mesi dalla data in cui ha effetto la fusione, la dichiarazione relativa alla frazione di esercizio delle società fuse o incorporate comprese tra l’inizio del periodo d’imposta e la data stessa.In caso di scissione totale, la società deve presentare la dichiarazione relativa alla frazione di periodo della società scissa entro 4 mesi dalla data in cui è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte dall’art. 2504c.c. indipendentemente da eventuali effetti retroattivi. Tali disposizioni valgono anche per le trasformazioni e le fusioni di enti diversi dalle società.Dichiarazioni tardive: le dichiarazioni presentate entro 90 giorni dalla scadenza del termine sono considerate valide, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo; le dichiarazioni presentate oltre questo termine si considerano omesse.Sono stabiliti anche i termini per la trasmissione della dichiarazione unificata all’amministrazione finanziaria da parte dell’intermediario stesso. Gli incaricati professionali trasmettono la dichiarazione ricevuta dal contribuente entro 1 mese dalla data contenuta nell’impegno alla trasmissione rilasciato al contribuente medesimo; per banche e poste è previsto dalla legge un differimento di 5 mesi rispetto alla data di scadenza dei termini di presentazione.

F. Il ravvedimento operoso.Tale istituto consente al contribuente di correggere eventuali errori o omissioni contenuti nella dichiarazione, mediante una dichiarazione successiva da presentare entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo, sempre che nel frattempo non siano stati iniziati accessi, ispezioni o verifiche e la violazione non sia stata comunque constatata.La sanatoria opera solo sul presupposto di una dichiarazione tempestivamente presentata.

IL CONTROLLO DELLA DICHIARAZIONE; LA FASE ISTRUTTORIA.Una volta che il soggetto passivo ha adempiuto, ovvero ha omesso di adempiere al suo obbligo di dichiarazione, inizia la fase di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria dell’adempimento o dell’inadempimento totale o parziale del contribuente.

A. Imposte sul reddito.La dottrina aveva ricompresso i poteri istruttori nel procedimento d’imposizione, finalizzandoli esclusivamente all’atto di accertamento. L’esercizio dei poteri istruttori non si inserisce necessariamente in un procedimento di accertamento o d’imposizione che inizi con la dichiarazione del contribuente; l’iniziativa all’esercizio dei poteri istruttori può derivare anche da diversi atti o fatti previsti dalla legge: oltre che dalla presentazione della dichiarazione, da segnalazioni dell’anagrafe tributaria, da richieste dell’autorità giudiziaria…Agli uffici spettano anche alcuni compiti istituzionali previsti dall’art.31 D.P.R.600/1973, in base al quale

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essi possono:controllare le dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta e rilevare la loro eventuale omissione; liquidare le imposte o maggiori imposte dovute; vigilare sull’adempimento degli obblighi relativi alla tenuta delle scritture contabili; irrogare le pene pecuniarie e presentare all’autorità giudiziaria un rapporto per le violazioni sanzionate penalmente; raccogliere informazioni per le autorità competenti degli altri Stati membri della UE ed effettuare lo scambio con le medesime autorità.L’attività istruttoria dell’amministrazione ha quindi natura conoscitiva in quanto mira ad acquisire elementi sia per la migliore determinazione del presupposto, sia per verificare l’adempimento dei ben noti obblighi strumentali, nonché per analizzare il comportamento di intere categorie di contribuenti.L’art. 37, d.p.r.600/1973, stabilisce che l’attività di controllo degli uffici debba svolgersi sulla base di criteri selettivi fissati annualmente dal Ministero delle finanze, tenendo anche conto delle capacità operative degli uffici: a ciascun ufficio viene assegnato un numero complessivo di verifiche ripartite su contribuenti che, sulla base dei criteri selettivi previsti per quell’anno, presentano sintomi di pericolosità fiscale.La predisposizione di forme di assistenza ai contribuenti nell’adempimento degli obblighi tributari ad opera del d.lgs. 241/1997, se da un lato mira a garantire ai contribuenti assistitit un corretto adempimento di taluni obblighi tributari, dall’altra agevola l’amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da accertare e nell’esecuzione dei controlli di propria competenza. La sottoposizione a controlli è condizionata dalle dimensioni dell’attività svolta dal contribuente; si tende a privilegiare l’attività di verifica nei confronti dei soggetti di grandi dimensioni e medio-grandi, per quest’ultimi risulta fondamentale adottare gli studi di settore.I poteri riconosciuti agli uffici possono distinguersi in:

1.poteri diretti ad acquisire informazioni relative al contribuente cui si riferisce;2.poteri diretti ad acquisire informazioni in generale;

entrambi i tipi possono distinguersi in:a) poteri esercitati nei confronti del contribuente cui i dati e documenti si riferiscono;b) poteri esercitati nei confronti di terzi con cui il contribuente ha eventualmente rapporti.Specifiche disposizioni volte a individuare i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche sono state introdotte dall’art.12 L.212/2000 recante “Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente”. Il legislatore ha disciplinato che tutti gli accessi, le ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali devono essere effettuati sulla base di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo; che devono svolgersi durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa ed alle relazioni commerciali e professionali del contribuente; che, su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili, può essere effettuato presso l’ufficio dei verificatori ovvero presso il professionista che lo assiste o rappresenta. A verifica iniziata, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’hanno giustificata e dall’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista, oltre che dei diritti e degli obblighi che gli sono riconosciuti in occasione delle verifiche. Fondamentale garanzia per il soggetto sottoposto a verifiche riguarda la durata delle stesse; si stabilisce così che la permanenza degli operatori dell’amministrazione finanziaria non può superare i 30 giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori 30 giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuale e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono però ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica; ove ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, il contribuente può attivare lo specifico rimedio di tutela stabilito dallo Statuto, rivolgendosi al Garante del contribuente.È stata prevista l’introduzione di nuove forme di partecipazione tra amministrazione finanziaria e contribuente già nella fase istruttoria, attraverso il contraddittorio; le ipotesi di contraddittorio previste si riferiscono a situazioni specifiche. Così, ove il contribuente sia stato sottoposto a verifica fiscale, può comunicare osservazioni e richieste entro 60 giorni dal rilascio della copia del verbale di chiusura delle operazioni, stabilendosi che, salvo casi di particolare e motivata urgenza, l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine; l’amministrazione finanziaria, inoltre, deve informare il contribuente dei casi di mancato riconoscimento di un credito ovvero di irrogazione di sanzioni al fine di consentire l’integrazione o correzione degli atti prodotti. Va infatti osservato che in sede istruttoria ben potrebbero verificarsi conflitti tra l’interesse dell’amministrazione finanziaria ad approfondire le indagini e interessi dei contribuenti alla riservatezza o ad evitare intralci nell’esercizio della loro attività economica. È stata riconosciuta la necessità di una tutela di fronte al giudice ordinario o a quello amministrativo per le

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ipotesi di esercizio illecito o illegittimo dei poteri di indagineUn problema successivi riguarda la possibilità che il controllo si concluda senza alcuna rettifica (cioè in un “non-atto”) ovvero in una rettifica in favore del contribuente.a) La conclusione senza alcuna rettifica è ammessa ogniqualvolta dal procedimento di controllo risulti

l’assoluta correttezza del comportamento del contribuente; in tale ipotesi l’ufficio può limitarsi ad archiviare la pratica, anche se può ritenersi che occorra una sorta di atto interno dotato di motivazione;

b) Per la dottrina l’ufficio procede alla rettifica quando il reddito complessivo dichiarato risulta inferiore a quello effettivo o non sussistono o non spettano in tutto o in parte le deduzioni dal reddito o le detrazioni d’imposta indicate nella dichiarazione, in pratica solo quando dall’accertamento il fisco trae vantaggio.

B. Accertamento nell’IVA.I controlli in materia di IVA sono rivolti all’evidenziazione del volume di affari, suddiviso nelle diverse categorie di operazioni, dell’imposta dovuta, di quella ammessa in detrazione e infine di quella versata. Particolare rilievo assumono rispetto all’IVA le verifiche contabili, i controlli fisici delle merci assistiti dalle presunzioni di cessione o di acquisto e gli accessi e ispezioni presso il contribuente.

C. Accertamento nell’IRAP.Il procedimento di controllo dell’imposta regionale sulle attività produttive(IRAP) rappresenta uno dei profili in cui si manifesta il carattere regionale dell’imposta. Il d.lgs. 446/1997 prevede che le regioni, a decorrere dal 2000, possono disciplinare con legge regionale le procedure applicative del tributo, pur nel rispetto dei principi in materia di imposte sul reddito e di quelli dettati per l’imposta in esame. L’attività di constatazione delle violazioni è riservata alla competenza dell’amministrazione regionale, stabilendosi nel contempo forme di collaborazione con gli uffici dell’amministrazione finanziaria centrale. Infatti questi trasmettono i dati relativi alle dichiarazioni presentate dai soggetti passivi; gli elementi acquisiti nel corso dell’attività di controllo dagli uffici dell’amministrazione finanziaria, dal Corpo della G.d.F. e dagli organi regionali sono direttamente utilizzabili, rispettivamente, per l’accertamento dell’imposta regionale e dei tributi erariali; gli uffici dell’amministrazione finanziaria e i comandi della G.d.F., procedono anche di propria iniziativa secondo le norme e con le facoltà loro attribuite dalla normativa tributaria statale, trasmettendo agli uffici regionali i relativi verbali e rapporti.

D. Accertamento nelle altre imposte sui trasferimenti.La diversità del procedimento deriva dal fatto che, trattandosi di imposte istantanee e non periodiche e riferendosi al trasferimento o all’acquisizione di un bene o diritto per atto tra vivi o mortis causa, l’attività di controllo è rivolta alla valutazione del bene o diritto trasferito.Risulta prevalente nel procedimento di accertamento delle “imposte uso registro” il controllo della congruità tra valore su cui è pagata l’imposta principale e valore del presupposto di fatto realizzato: nell’effettuazione di tale controllo la legge impone agli uffici di avvalersi di organi diversi anche estranei all’amministrazione(uffici tecnici erariali, pubblici ufficiali, comuni…).

E. Accertamento catastale.È previsto dalla legge per i redditi derivanti da terreni e da fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano. La sua funzione è predeterminare per ciascun fabbricato o terreno un reddito medio ordinario(forfetario), destinato a essere utilizzato per una pluralità di periodo d’imposta futuri.L’inottemperanza agli obblighi previsti dalla legge con riguardo al catasto (aggiornamenti, variazioni, rettifiche) comporta l’inefficacia della variazioni non risultanti dal catasto, ma non la sanzione per colui che non ha posto in essere la variazione catastale. Il catasto del terreno consiste in un inventario della proprietà terriera esistente in ciascun comune, suddivisa in particelle, con l’indicazione dell’appartenenza, della superficie, delle caratteristiche della coltivazione, della qualità, della classe e del relativo reddito medio ordinario sia domiciliare che agrario. L’unità elementare del catasto è la particella catastale che rappresenta una porzione contigua di terreno, situata nello stesso comune, appartenente allo stesso possessore, avente la medesima qualità e classe di coltivazione e la stessa destinazione.Occorre distinguere le attività di formazione del catasto da quelle di conservazione:a) Le prime consistono nel rilevamento della proprietà delle particelle e della loro figura ed estensione sulla

base di mappe planimetriche collegate a punti trigonometrici, quindi nella distinzione dei diversi tipi di coltivazione, infine nell’assegnazione a ciascuna particella di una qualità e di una classe.

b) La conservazione del catasto si realizza attraverso revisioni catastali da effettuare periodicamente quando se ne manifesti l’esigenza per sopravvenute variazioni nelle qualità e nei prezzi dei prodotti e dei mezzi di produzione o nell’organizzazione e strutturazione aziendale e comunque ogni 10 anni. La revisione è

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disposta con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e può essere effettuata d’ufficio o su richiesta dei comuni interessati; le modificazioni derivanti dalla revisione hanno effetto dall’anno successivo a quello di pubblicazione nella G.U. del nuovo progetto delle tariffe d’estimo.

Analoga procedura vale per il catasto edilizio urbano la cui unità elementare è costituita dall’unità immobiliare che viene classificata per categorie e classi cui viene attribuito ugualmente un reddito medio ordinario.L’accertamento catastale è utilizzato solo per una parte dei redditi assoggettati a imposte complessive quali l’IRPEF e l’IRPEG.

F. ACCERTAMENTO NELLE ACCISE E NELL’IMPOSTA DI CONSUMO.Per queste imposte,che sono dovute dal produttore ancorché esse poi incidano sul consumatore trasferendosi nel prezzo dei beni, la legge prevede la vigilanza finanziaria permanente.I funzionari dell’amministrazione finanziaria e gli appartenenti alla G.d. F. hanno facoltà di eseguire le indagini e i controlli necessari ai fini dell’accertamento delle violazioni alla disciplina delle imposte sulla produzione e sui consumi; possono altresì accedere liberamente e in ogni momento dei depositi, negli impianti e nei luoghi nei quali sono fabbricati, trasformati, detenuti o utilizzati prodotti sottoposti ad accisa o dove è custodita la documentazione contabile attinente ai suddetti prodotti per eseguirvi verifiche, riscontri, inventari, ispezioni e ricerche e per esaminare registri e documenti.

G. Accertamento nelle imposte doganali.Il procedimento di accertamento è volto a verificare da un lato la natura merceologica dei beni importati o esportati, e dall’altro l’effettiva destinazione ad essi conferita.

H. Accertamento nell’imposta di bollo.I tributi uso bollo che adottano questo istituto, costituiscono le ipotesi tipiche di tributi senza imposizione, di tributi cioè in cui manca un’attività di accertamento diretta a costituire o liquidare l’obbligazione di imposta e l’unica attività di accertamento è riferita alle violazioni.Sia che l’imposta venga assolta in modo ordinario(carta o marca da bollo) che in modo straordinario (mediante visto per bollo o bollo a punzone) che in fine in modo virtuale (nel qual caso vi è una dichiarazione preventiva del privato con indicazione del numero previsto di atti da assoggettare a bollo e una dichiarazione di conguaglio cui consegue la liquidazione definitiva), l’attività di accertamento da parte dell’amministrazione è esercitata nell’ambito dei poteri di polizia tributaria attribuiti dal d.lgs.473/1997.

I METODI DI ACCERTAMENTO.In sede di riforma del ’73 il legislatore ha affrontato per la prima volta il problema della dimostrazione da porre a fondamento dell’accertamento in materia di IVA prevedendo gli artt. 54 e 55 del d.p.r. 633/1972. I primi due commi dell’art. 54 prevedono in primo luogo l’accertamento analitico-contabile sulla base dei dati contenuti nella dichiarazione annuale e del confronto di quest’ultima con i registri, le fatture, gli altri documenti, le altre scritture contabili. La stesso art. però prevede anche l’integrazione analitica qualora le violazioni risultino in modo certo e diretto.Dall’ispezione contabile l’ufficio può invece procedere con accertamenti induttivi o extracontabile ai sensi dell’art.55 nei casi di omessa dichiarazione annuale ovvero in presenza di omissioni o irregolarità particolarmente gravi o ripetute; tale metodo, tuttavia impone comunque di pervenire alla determinazione delle operazioni imponibili attraverso la ricostruzione dell’attività d’impresa.Dopo le polemiche sorte in vigenza del sistema precedente, la regola adottata è quella dell’accertamento analitico in cui i dati sono disponibili per l’ufficio o debbono essere acquisiti mediante ispezione contabile. Metodi di accertamento in materia di imposte sui redditi:accanto a criteri analoghi a quelli previsti per l’IVA in favore dei soggetti tenuti alle scritture contabili, è stata introdotta una norma per tutti gli altri contribuenti, art.38 d.p.r. 600/1973, che disciplina nei primi 3 commi l’accertamento analitico basato su presunzioni gravi, precise e concordanti; nei commi successivi invece è stato disciplinato l’accertamento sintetico che consiste nella dimostrazione del reddito complessivo in base alla spesa.Per i soggetti tenuti alla contabilità, l’art.39 d.p.r.600/1973 prevede:

A. In via generale, la rettifica analitica contabile;B. In linea integrativa, la rettifica analitica induttiva mediante presunzioni gravi, precise e concordanti;C. In via alternativa, la rettifica induttiva extracontabile con facoltà di ricorrere a presunzioni prive di tali

requisiti.Il metodo indicato come accertamento contabile ha rappresentato la regola a cui gli uffici devono attenersi in via ordinaria mentre quello induttivo o extracontabile costituisce l’eccezione a cui gli uffici possono fare

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ricorso solo in presenza delle ipotesi tassativamente previste dalla legge.Qual è lo schema attuale dei metodi di accertamento?Attualmente può ritenersi raggiunta l’indipendenza dell’accertamento sintetico rispetto all’accertamento analitico in quanto entrambi sono diventati metodi concorrenti che corrono su 2 binari paralleli. Presupposti dell’accertamento sintetico: condizione necessaria è che il reddito complessivo netto accertabile in base a elementi e circostanze di fatto certi si discosti per almeno un quarto da quello dichiarato; è altresì previsto che il metodo di accertamento sintetico sia utilizzabile solo quando l’incongruità rispetto al reddito dichiarato si manifesti per almeno 2 esercizi d’imposta. L’ufficio non può procedere ad accertamento sintetico quando il reddito sia accertabile sulla base di uno solo degli indicatori presi in considerazione e risulti palesemente incongruo per eccesso rispetto a quello determinabile sulla base o di altri elementi in suo possesso o acquisiti successivamente. Il contribuente potrà smentire l’accertamento sintetico dimostrando che il maggior reddito accertato sinteticamente dipende da redditi esenti o soggetti alla ritenuta a titolo d’imposta.Gli elementi sui quali si fonda l’accertamento sintetico del reddito non sono più rappresentati dai soli consumi ma anche dalla spesa per investimenti e l’apprezzamento dell’ufficio è circoscritto dal ricorso a coefficienti presuntivi della spesa connessa ad elementi indicativi di capacità contributiva; tali coefficienti sono stati denominati “redditometro”.Per i soggetti tenuti per legge alle scritture contabili il metodo ordinario di accertamento è quello basato sulle risultanze della contabilità.Si definisce analitico-contabile perché consiste nell’analisi della contabilità complessivamente e nelle singole poste e nel suo raffronto con le indicazioni contenute nella dichiarazione o con le informazioni desunte dall’esercizio dei poteri istruttori.Si definisce induttivo-contabile quel ragionamento basato su presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti; permette di desumere attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate.Ciò non è più possibile fare quando il contribuente commette violazioni che incidono sulla complessiva possibilità per il fisco di determinare il presupposto o perché manca la dichiarazione, o perché manca la contabilità o perché mancano la completezza e la sistematicità di quest’ultima.Il legislatore pertanto consente all’ufficio di determinare il reddito d’impresa in base ai dati e alle notizie raccolti o venuti a sua legittima conoscenza; questo metodo di accertamento, definito induttivo-extracontrattuale , presenta rilevanti conseguenze sotto il profilo della prova e della motivazione.a) Con riguardo alla prima, parte della dottrina ha attribuito ad essa natura para-sanzionatoria, ma il

Fantozzi rifiuta questa qualifica;b) L’art.42d.p.r.60071973, specifica che nei casi di ricorso a metodi induttivi o sintetici l’atto di

accertamento deve essere motivato con specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a tali metodi di accertamento.

I presupposti per l’accertamento induttivo o extracontabile, sono:1. omessa indicazione del reddito d’impresa nella dichiarazione dei redditi ovvero omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, ossia quando il contribuente non ha fornito all’ufficio il documento fondamentale per procedere all’accertamento analitico;

2. omessa tenuta o esibizione, sottrazione all’ispezione o comunque materiale indisponibilità dei registri e delle scritture contabili obbligatorie;

3. mancata emissione delle fatture per una parte rilevante delle operazioni ovvero omessa conservazione, esibizione o sottrazione anche parziale delle stesse dall’ispezione accertate con il verbale;

4. inattendibilità complessiva delle scritture e dei registri obbligatori a causa della gravità, numerosità e ripetizione delle omissioni e false indicazioni rilevate in sede di ispezione;

5. mancato seguito agli inviti disposti dagli uffici.L’accertamento delle imprese minori in regime di contabilità semplificata è regolata dal d.l.853/1984 che consente agli uffici di determinare il reddito argomentando anche sulle caratteristiche esteriori dell’azienda sulla base dei coefficienti di congruità e presuntivi di reddito, e successivamente introducendo, con riferimento agli imprenditori e ali esercenti arti e professioni con un limitato volume di affari, i coefficienti presuntivi di ricavi e compensi. Tali coefficienti avrebbero dovuto essere elaborati annualmente, su proposta dal Ministero delle Finanze, attraverso decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in modo tale da costituire uno strumento con prospettive di continuo progresso ed affinamento. Ben presto il sistema accertativi basato sui coefficienti si è rilevato poco produttivo; si è giunti così alla scelta di utilizzare, partire dall’esercizio d’imposta 1998, un nuovo strumento di accertamento dato dagli studi di settore.si tratta di una sofisticata ricostruzione dell’ammontare dei ricavi e dei compensi delle piccole imprese e dei

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professionisti elaborata in funzione del settore di appartenenza e variabile in base ad una serie di parametri, di carattere qualitativo e quantitativo, relativi ai volumi di attività esercitata rilevati dalle dichiarazioni o da appositi questionari compilati dai contribuenti; tali studi di settore sono costruiti sulla base di una fattiva collaborazione delle categorie economiche e delle parti sociali e costituiscono una griglia di indici in grado di consentire una corretta ricostruzione della redditività media di categoria. Tramite lo studio di settore si rilevano, all’interno delle diverse categorie economiche, le fasce di ricavi entro le quali si collocano i diversi contribuenti alla luce degli elementi caratterizzanti l’attività esercitata senza dover procedere ad accesso presso il contribuente.Gli studi dovranno rispondere alle seguenti finalità:a) fornire i riferimenti che consentano al contribuente l’adempimento spontaneo in sede di dichiarazione;b) dotare gli uffici finanziari preposti al controllo delle dichiarazioni di un insieme di elementi utilizzabili

nell’ambito dell’attività di accertamento e per la selezione dei soggetti da sottoporre a controllo fiscale.Possono essere utilizzati per la rettifica quando ricorrano le seguenti condizioni:a) l’accertamento si riferisce a periodi di imposta della durata di 12 mesi;b) la rettifica riguarda gli esercenti arti e professioni nonché le imprese minori;c) da parte dei suddetti contribuenti siano stati dichiarati ricavi, compensi o corrispettivi in misura inferiore

a quelli determinati sulla base degli studi di settore per almeno 2 dei 3 anni consecutivi presi in considerazione.

Tali disposizioni sono inapplicabili per i contribuenti che hanno dichiarato ricavi o compensi di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore che comunque non può essere superiore a 10 miliardi di lire. Le rettifiche operate sulla base degli studi di settore hanno piena rilevanza anche ai fini IVA in quanto danno luogo a un maggiore imponibile a cui si applica l’aliquota media risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume di affari dichiarato.

LA PARTECIPAZIONE DEI COMUNI, DELLE PROVINCE E DELLE REGIONI ALL’ACCERTAMENTO.Con riferimento al ruolo degli enti locali territoriali nel procedimento di accertamento dei tributi, la tendenza legislativa più recente sembra orientata in 2 direzioni:a) la separazione dell’attività di accertamento di taluni tributi erariali da quella relativa all’accertamento dei

tributi locali;b) il riconoscimento alle regioni e alle province di un ruolo analogo a quello riservato ai comuni.A partire dalla riforma tributaria degli anni Settanta, è diffusa l’idea che i comuni possano disporre, dato la loro vicinanza alla fonte di capacità contributiva, di migliori elementi di valutazione e di quantificazione del presupposto e in tale prospettiva si giustifica la rilevanza attribuita al comune del domicilio fiscale ai fini delle imposte sui redditi e a quello in cui l’immobile si trova ai fini dell’INVIM. Si giustifica così nella fase post riforma il riconoscimento in capo ai comuni di poteri di collaborazione e di intervento in merito ai tributi erariali molto limitati ai quali si aggiunge la subordinazione degli stessi nell’eventualità di una difforme valutazione da parte degli uffici erariali.Per quanto riguarda l’IRPEF, a partire dalla riforma tributaria del 1973, la collaborazione dei comuni può svolgersi su due diversi livelli. Con riguardo alla partecipazione dei comuni all’accertamento, la dottrina rifiuta l’ipotesi che sia stato dettato un regime di “cogestione” della funzione impositiva tra uffici finanziari ed enti locali. Le proposte di accertamento inviate dagli uffici al comune non sono proposte in senso tecnico trattandosi di atti con cui l’ufficio dà impulso al sub-procedimento istruttorio caratterizzato dalla partecipazione del comune. Anche le proposte di accertamento da parte del comune hanno un’efficacia limitata e non vincolante dal momento che l’ufficio può disattenderle e trasmetterle alla Commissione paritetica insieme con le proprie deduzioni. Se invece le accoglie, la dottrina ha giustificato il fenomeno in termini di amministrazione consultiva ora facendo ricorso alla figura del concerto, ora a quello dell’atto complesso.Per la teoria che parla dell’atto complesso, l’avviso di accertamento è privo di un requisito strutturale ed è quindi invalido. Per la dottrina prevalente, che riduce la partecipazione del comune a un atto di concerto con rilevanza interna meramente istruttoria, la mancanza o l’irregolarità della partecipazione non coincide sulla completezza dell’atto potendo al massimo configurare un’ipotesi di responsabilità amministrativa interna per i funzionari statali.

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Un’ulteriore fattispecie di partecipazione dei comuni all’accertamento inquadrabile tra le attività di collaborazione fra organi dello Stato è stata recentemente prevista in materia di IRAP dal d.lgs. 446/1997; tale disposizione prevede che le regioni, le province ed i comuni partecipano all’attività di accertamento e di riscossione dell’imposta regionale, segnalando elementi e notizie utili, collaborando, eventualmente anche tramite le apposite commissioni paritetiche, con osservazioni e proposte alla predisposizione dei programmi di accertamento degli uffici dell’amministrazione finanziaria, aggiungendo che le modalità di attuazione sono stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.A tali forme di partecipazione se ne è affiancata un’altra che ha attribuito ai comuni e alle province il potere di disciplinare con regolamenti tutte le fonti delle entrate locali, compresi i procedimenti di accertamento e di riscossione, nel rispetto dell’art. 23 cost.Quanto ai tributi erariali, le regioni a statuto ordinario partecipano all’attività di accertamento dei tributi erariali. Con decreto del Ministro delle finanze, d’intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. 56/2000, saranno stabilite le modalità di partecipazione all’attività di accertamento. Alle regioni a statuto ordinario è stato esteso lo specifico strumento partecipativo previsto per i soli comuni in materia di IRPEF.In materia di IRAP, le competenze delle regioni in materia di accertamento si presentano più articolate rispetto a quanto illustrato a proposito dei comuni.Le regioni a statuto ordinario nonché quelle a statuto speciale nonché le province autonome di Trento e Bolzano, possono disciplinare con legge regionale l’espletamento delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell’imposta. Tuttavia in attesa dell’emanazione delle varie leggi regionali per l’accertamento e per la riscossione dell’imposta regionale si applicano le disposizioni le disposizioni in materia di imposte sui redditi ad eccezione degli art.44 del d.p.r.600/1973.

B) Natura, tipologia e struttura della norma tributaria.22. Natura della norma tributaria.

Lo studio della norma tributaria in quanto tale è relativamente recente nella scienza tributaristica. L’importanza attribuita dalla nostra Costituzione ai limiti formali (art.23) e sostanziali (art.53) posti al legislatore ordinario e la centralità sia del principio di legalità che quello di capacità contributiva hanno favorito lo studio della norma tributaria sia sotto il profilo statico cioè della tipologia e struttura che sotto quello dinamico cioè delle fasi di accertamento, riscossione, rimborso del tributo e delle vicende relative alle situazioni giuridiche soggettive rilevanti in tali fasi.Di portata storica sono le teorie che attribuivano alla legge tributaria la qualità di legge solo in senso formale, cioè che non creava diritti e obblighi nei soggetti limitandosi a disciplinare l’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e le teorie secondo cui la norma tributaria sarebbe norma eccezionale o addirittura punitiva quasi penale.Molto più importante e attuale è il carattere strumentale della norma tributaria. Questa è infatti strumentale in quanto disciplina l’attività dell’ente pubblico rivolta a procurarsi i mezzi diretti a conseguire le proprie finalità istituzionali. La natura strumentale della norma tributaria porta dunque con sé alcune caratteristiche. In primo luogo l’interesse fiscale o la ragion fiscale comporta la possibilità di subordinare alti principi, costituzionali e non all’interesse generale alla riscossione dei tributi riconosciuto quale interesse alla sopravvivenza dell’intera collettività e non della sola pubblica amministrazione. Tale interesse condiziona dunque pesantemente la struttura della norma tributaria fino al punto da assurgere a criterio di valutazione della sua legittimità costituzionale.Per quanto riguarda la semplificazione della posizione del fisco, la legge si avvale spesso delle presunzioni e dell’equiparazione di fattispecie. Benché gli uffici fiscali debbano in linea di principio dimostrare i fatti cui si ricollega l’imposizione, la legge consente spesso di adempiere questo compito con presunzioni sprovviste dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., o che è lo stesso, di determinazioni induttive. Altre volte è la legge stessa a predeterminare una parte dell’argomentazione presuntiva. Si tratta delle presunzioni legali, secondo cui una volta dimostrati certi fatti, se ne deve ricavare necessariamente un ulteriore fatto, oggetto della presunzione. Le presunzioni legali si dicono relative quando il contribuente è ammesso a provare che la conseguenza del fatto dimostrato è stata diversa da quella presunta dalla legge. Quando è assoluta non è invece ammessa la prova contraria e dunque vengono equiparati, quanto a disciplina fiscale applicabile , fatti o atti diversi. Il rafforzamento della posizione del fisco avviene sia agevolandone la funzione di controllo, come succede quando si preclude al contribuente di dimostrare circostanze non formalizzate nei modo previsti dalla legge, sia dettando delle norme che riqualificano fatti o soggetti apparenti e consentono al fisco di riqualificarli o di

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imputarli a soggetti diversi. Ciò si verifica nell’ipotesi secondo cui in sede di rettifica o di accertamento di ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato che egli sia l’effettivo possessore per interposta persona; ovvero quando si ricomprendano nell’attivo ereditario i beni e diritti alienati dal defunto negli ultimi sei mesi di vita.L’elusione fiscale si differenzia da tutte le altre ipotesi definite dalla dottrina economica quali “reazioni passive” al tributo: e cioè la rimozione negativa, il risparmio d’imposta, l’evasione, l’insolvenza fiscale e l’erosione. Essa consiste in un comportamento non proibito da lacuna norma di legge che presenta le seguenti del sistema, sia disposizioni che indicassero la reazione dell’ordinamento nel caso appunto di violazione di principi del sistema . si è ritenuto pertanto che la soluzione fosse da ricercare in via interpretativa caratteristiche: a) di essere ispirato fin dall’inizio dall’unico e dominante intento di risparmiare l’imposta; b) di costituire un comportamento anormale rispetto a quelli solitamente adottati nelle medesime condizioni; c) di far conseguire un risparmio d’imposta né previsto né consentito, sia pure implicitamente dal legislatore. Nel nostro ordinamento mancavano, fino ad epoca recente, sia disposizioni che consentissero di distinguere tra elusione fiscale legittima e illegittima in quanto contrastante con i principi del sistema. Si è ritenuto pertanto che la soluzione fosse da ricercare in via interpretativa; si sono così variamente distinti i negozi indiretti, i negozi simulati, i negozi in frode alla legge, i negozi in frode al fisco. Tuttavia nessuno di questi strumenti impiegati in via interpretativa conduceva al risultato auspicato dal fisco. Di fronte a tale impossibilità il legislatore è intervenuto espressamente con l’intenzione, per la verità mai dichiarata, di introdurre nell’ordinamento la assai contrastata norma antielusiva di carattere generale. Con un primo intervento ha inserito nell’art. 37,3° comma, del D.P.R. n. 600 la possibilità per il fisco di imputare al contribuente “i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato anche sulla base di presunzioni gravi precise e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. Nonostante la valenza generale della disposizione essa si applica soltanto ai casi di interposizione personale fittizia e non reale, nulla innovando rispetto al sistema precedente. Una vera e propria clausola antielusiva è stata introdotta solo con il D. lgs. 8 Ottobre1997 n. 358, che ha inserito nel D.P.R. n. 600 del 1973 un nuovo art. 37 bis con la rubrica “Disposizioni antielusive”. Questa disposizione ha risolto in via legislativa e in termini generali il problema dell’elusione in quanto rende inopponibili all’amministrazione finanziaria “gli atti, i fatti e negozi anche collegati tra loro privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni d’imposte o rimborsi altrimenti indebiti”.La riqualificazione della fattispecie richiede dunque:che vi sia un vantaggio fiscale quale risultato complessivo indebito in quanto previsto e voluto dal contribuente;che vi sia un aggiramento di obblighi e divieti: dunque una deviazione, non necessariamente fraudolenta rispetto al percorso normale;che, infine, gli atti e i fatti siano privi di valide ragioni economiche.Tutti i requisiti devono sussistere congiuntamente perché l’amministrazione finanziaria possa disconoscere i vantaggi tributari conseguiti, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse al netto di quanto già pagato in base al comportamento elusivo. La portata applicativa dell’art 37 bis riguarda: trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;cessioni di crediti;cessioni di eccedenze di imposta; ecc.Da ciò consegue che si tratta più che di una clausola generale, di una norma assai ampia che comprende quasi tutte le ipotesi di elusione attualmente conosciute.Una seconda conseguenza della natura strumentale della norma tributaria è la sua variabilità e mutevolezza che comporta una continua modifica dei testi legislativi, il loro continuo aggiornamento e dunque una elevata instabilità della legislazione tributaria. A tale disagio a tale disagio potrebbe aver posto rimedio lo Statuto del contribuente nella parte in cui il legislatore prescrive taluni principi generali con particolare riguardo, tra l’altro, alla tecnica redazionale delle norme al fine di garantirne la chiarezza e la trasparenza.Parte della dottrina ha infine sottolineato la semplificazione e il metodo casistico della norma tributaria: entrambi derivanti dalla strumentalità orientata all’interesse del fisco. La prima consiste nella riduzione di un concetto astratto di fatto imponibile ad ipotesi specifiche che possano rinvenirsi nei comportamenti pratici dei contribuenti. Il secondo consiste nella indicazione dei casi sottoposti

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ad imposta al fine di privilegiare la semplicità di applicazione e la certezza dei rapporti tributari nonché il gettito per l’amministrazione, accentuando il già elevato tecnicismo e la già spiccata specificità della norma tributaria.

23. Tipologia delle norme tributarie.

Lo schema della norma tributaria può ridursi alla seguente formula: “Chi fa questo... deve corrispondere un tributo… in ragione di…”. Questo schema caratterizza la norma tributaria impositrice, che assume il massimo rilievo sotto il profilo dei limiti costituzionali dovendo essa disciplinare la “base” dell’imposizione: cioè il fatto o presupposto d’imposta, l’imputazione di esso ad un soggetto, l’effetto costituito dalla debenza di un tributo, ragguagliato ad una determinata grandezza attraverso l’applicazione di un tasso o di un’aliquota.Oltre che sotto il profilo dell'art.23 Cost., la norma impositrice rileva anche sotto il profilo della capacità contributiva dal momento che il presupposta deve essere imputato al soggetto cui l'attitudine è riferibile e non a soggetti estranei a tale capacità. Naturalmente essa può essere contenuta in un'unica disposizione legislativa oppure risultare dalla combinazione di disposizioni di diversi articoli di legge che fissino separatamente il presupposto. i soggetti passivi, la base imponibile e il tasso d'imposta; deve però esistere un'intriseca coerenza tra gli elementi della norma impositrice. Accanto alla norma inpositrice la legge deve però prevedere una serie di norme formali o procedimentali dirette a disciplinare obblighi strumentali, quali la presentazione di dichiarazioni, le modalità di effettuazione dei versamenti, la tenuta di scritture contabili, ecc. Anche queste sono legate alla norma impositrice attraverso il principio di legalità e vincolatezza, assicurando che anch'esse concorrano alla migliore determinazione della capacità contributiva che il tributo è volto a colpire. Le norme processuali assicurano al contribuente e ai terzi coinvolti nell'attuazione del prelievo un sindacato giurisdizionale dinanzi agli organi del contenzioso tributario. con le norme sanzionatorie l'ordinamento assicura la punizione, con sanzioni sia amministrative che penali, dei comportamenti che violano norme sostanziali o formali relative all'attuazione del tributo. Attraverso le norme interpretative si cerca da un lato di porre riparo agli inconvenienti e alla oscurità di una legislazione sempre meno raffinata, ma dall'altro si realizzano talora interventi surrettizzi sulla legislazione esistente, attribuendo retroattivamente una data portata normativa a disposizioni delle quali si era più o meno pacificamente formata una interpretazione diversa. Esse possono creare problemi qualora introducano retroattivamente norme nuove. La norma derogatoria integra o modifica la disciplina di un tributo. Essa regola diversamente "una parte" dei fatti riconducibili alla fattispecie della prima norma (derogata): il conflitto fra norme è risolto applicando la norma derogatoria per la parte in cui essa dispone, in base al criterio della maggiore specificità, e mantenendo in vita la norma derogata per il resto della fattispecie in essa prevista. Le norme derogatorie sono particolarmente utilizzate dal legislatore per introdurre agevolazioni ed esenzioni. Più delicate nel diritto tributario sono le ipotesi in cui diverse norme concorrono alla disciplina della fattispecie. Una prima ipotesi di norme concorrenti si ha quando due o più norme presentano fattispecie parzialmente coincidenti in modo che nessuna risulti interamente ricompresa nell'altra: non vi è dunque un rapporto di deroga bensì di parziale incompatibilità reciproca. Il problema consiste nello stabilire quale delle norme concorrenti sia da applicare al caso concreto: si ritiene che prevalga la norma più specifica anche se tutte le norme concorrenti restano in vita e producono i loro effetti. Una seconda ipotesi riguarda le norme condizionate la cui efficacia è subordinata al verificarsi di un evento incerto non solo nel quando ma anche nell'an. Ma l'ipotesi di gran lunga più frequente in cui più norme disciplinano una fattispecie si ha nel caso delle norme di rinvio; nel rinvio la norma è formulata per riferimento ad altro atto normativo. Tuttavia può distinguersi tra rinvio materiale quando il richiamo di un altro testo normativo è utilizzato a soli fini di brevità redazionale e rinvio formale quando il richiamo dell'altra norma è fatto alla sua potenzialità di produzione normativa; il rinvio non è così a un testo determinato bensì all'efficacia normativa di una fonte diversa. Può trattarsi di un rinvio extraistituzionale, come avviene frequentemente nel diritto internazionale privato, ovvero, come esclusivamente avviene nel diritto tributario, di un rinvio intraistituzionale cioè ad altre norme dello stesso ordinamento o addirittura dello stesso settore. Dal rinvio intraistituzionale si distingue il rapporto di presupposizione che si ha quando il legislatore nel dettare una norma tributaria presuppone la disciplina prevista ad es. da un altro settore dell'ordinamento (si pensi alla disciplina dell'impresa dettata dal diritto commerciale). Il rapporto di presupposizione può riguardare anche discipline fiscali dettate da altri ordinamenti, come avviene ad es. nel caso di credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero in cui il legislatore italiano accredita al contribuente la quota d'imposta italiana corrispondente ai redditi prodotti all'estero nella presupposizione, appunto, che

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questi abbiano scontato l'imposta straniera.

24. Struttura della norma tributaria impositrice.

La norma tributaria qualifica elementi pregiuridici, ovvero fatti ed atti già qualificati da altri settori del diritto, attribuendo loro rilevanza e ricollegando loro una determinata efficacia: essa crea cioè delle fattispecie; esse sono indispensabili perché si verifichi la situazione che la norma ha assunto dalla realtà quale rappresentativa di determinati interessi e cui ha ricollegato determinati effetti: nel nostro caso l'interesse è quello al concorso delle spese pubbliche e l'effetto si risolve nell'attuazione del prelievo a carico del soggetto cui si riferisce l'attitudine al concorso. La fattispecie è oggettiva quando la qualificazione normativa attribuisce rilevanza ed efficacia ad un fatto o complesso di fatti, è soggettiva quando essa individua punti di riferimento soggettivi di conseguenze giuridiche. La dottrina tributaristica, ma soprattutto il legislatore, usano il termine presupposto per indicare il fatto o complesso di fatti al cui verificarsi si rende dovuto il tributo.Se si considera che ciascun prelievo tributario deve corrispondere ad una precisa funzione in seno all'ordinamento e che tale funzione costituisce la ratio della norma istitutiva, potrà ravvisarsi nel presupposto l'espressione normativa della ratio del tributo. Espressione che sul piano statico, consente il sindacato di costituzionalità ex art. 53, 1°comma, Cost. e, sul piano dinamico, fonda la legittimità del complesso di atti posti in essere per l'acquisizione del tributo. Il presupposto dell'imposta va distinto dall'oggetto che è costituito dalla ricchezza ovvero dalla capacità economica che il tributo vuole colpire. Un problema particolare che la dottrina si è tradizionalmente posto è quello della possibilità di assumere quale presupposto di un tributo il fatto illecito. Con disposizione formalmente interpretativa il legislatore ha ricompreso nelle categorie di reddito di cui all'art.6 del TUIR i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. Dunque i redditi derivanti ad esempio dal contrabbando di sigarette, dallo spaccio di stupefacenti, dallo sfruttamento della prostituzione costituiscono sicuramente presupposti d'imposta, salvo il problema d'inserirli in una legislazione casistica e, naturalmente, i problemi di accertamento.Il soggetto costituisce il centro di imputazione degli effetti del presupposto: cioè colui al quale viene riferito il tributo. Esso è di regola colui che ha posto in essere il fatto manifestativo di capacità contributiva, ma può essere un soggetto diverso (sostituto, responsabile). La legge non può scegliere irragionevolmente un soggetto cui imputare il tributo, che sia totalmente svincolato dalla capacità contributiva manifestata dal presupposto. La base imponibile è costituita dalla grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal presupposto ovvero l'oggetto del tributo: di regola essa è espressa in denaro, ovvero secondo caratteristiche di misura e di peso, o infine costituita da cose nella loro unità. Così nell'IRPEF, ad es., presupposto è il possesso del reddito, oggetto è il reddito, e base imponibile è la quantità del reddito posseduto tassabile in capo al soggetto. Il sistema fa salvo il minimo vitale, costituzionalmente garantito, disponendo talvolta l'inapplicabilità dell'imposta se la base non supera il minimo imponibile.Per quanto riguarda gli elementi che compongono la base imponibile, nell'imposizione sul reddito, i redditi di lavoro autonomo e d'impresa sono tassati al netto e dunque la legge indica le componenti negative che vanno dedotte dalle componenti positive, mentre i redditi di capitale sono tassati al lordo cioè senza alcuna deduzione e i redditi di lavoro dipendente sono tassati al netto di spese di produzione determinate forfettariamente. La misurazione della base imponibile si effettua in base alla qualità degli oggetti sottoposti al tributo, ovvero alla loro numerazione, al peso, volume, ecc. Ma nella maggior parte dei tributi la base imponibile è costituita dall'espressione monetaria del valore.Il tasso d'imposta è costituito dal coefficiente da applicare alla base imponibile per estrarre da essa l'ammontare dell'imposta. Può essere fisso o variabile. E' fisso quando è espresso in un ammontare invariabile quale sia la grandezza della base imponibile (imposta di registro, imposta di bollo, ecc.).Assai più frequente è il tasso variabile costituito, quando la base imponibile è una grandezza monetaria, da un'aliquota. L'aliquota può essere proporzionale o progressiva. E' proporzionale quando rimane costante al variare della base imponibile. E' progressiva quando muta più che proporzionalmente al crescere della base imponibile. Le imposte sono regressive quando l'aliquota diminuisce con il crescere della base imponibile; esse non hanno rilievo nel ns sistema tributario.

25. Tipologia delle fattispecie tributarie.

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Un primo tipo di fattispecie è costituito da quelle che concorrono alla delimitazione del presupposto del tributo: quest'ultimo può essere definito in termini positivi attraverso l'indicazione dei fatti che manifestino la capacità contributiva che il tributo è volto a colpire; ovvero può essere definito in termini negativi mediante l'esclusione dei fatti incompatibili con tale capacità contributiva; o infine può essere definito a contrario o per sostituzione, con riferimento alla capacità contributiva manifestata da presupposti in sostituzione dei quali il tributo è applicabile. La definizione del presupposto per esclusione ha dato luogo a vivaci dibattiti dottrinali riferiti alle categorie delle esenzioni e delle esclusioni. Tuttavia può ritenersi che con l'esclusione la definizione del presupposto avviene attraverso l'eliminazione totale o parziale di elementi estrinseci alla ratio del tributo; con l'esenzione vengono espunti elementi intrinseci a tale ratio pur aventi autonoma rilevanza giuridica e come tali considerati dal legislatore. In ogni caso la distinzione tre esenzioni ed esclusioni nella dottrina più recente ha perduto molta importanza. Dalle esenzioni ed esclusioni si differenziano altre fattispecie che possono ugualmente ricondursi nell'ambito delle agevolazioni. a)Gli sgravi d'imposta si verificano quando un tributo già sorto viene posto nel nulla per atto dell'amministrazione ( non per legge). Si pensi agli sgravi di tributi iscritti a ruolo, concessi in occasione di calamità naturali. b)I crediti d'imposta sono invece somme in danaro che i titolari, in ragione di caratteristiche soggettive e/o oggettive loro proprie, possono detrarre dalle imposte e/o contributi previdenziali oppure possono dedurre dall'imponibile di una o più imposte. c)Infine le sostituzioni del presupposto ricorrono quando la norma sottopone a tassazione un presupposto diverso da quello normale: ciò avviene ad es. nelle ipotesi di tassazione solo in caso d'uso degli atti sottoposti al registro o al bollo. d)Da quest'ultima ipotesi si distingue l' imposta sostitutiva o surrogatoria che per la dottrina è quella che si applica in luogo di altri tributi, sia che si tratti di un tributo istituito con la funzione tipica di sostituirne un altro, sia che il risultato si persegua assegnando a un tributo preesistente ulteriori finalità sostitutive.

C) L'efficacia della norma tributaria nel tempo e nello spazio.26. L'efficacia nel tempo.

Per quanto riguarda l'inizio dell'efficacia dispongono l'art. 73, ultimo comma, Cost., secondo cui le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo (vacatio legis) alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso, e l'art. 10 disp. prel. c.c., secondo cui le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto. Dunque il termine della vacatio legis è derogabile sia per le leggi che per i regolamenti, ma per quest'ultimi il momento iniziale di efficacia può essere modificato soltanto dalla legge. Problemi molto delicati nascono quando il legislatore non si limita a fissare l'inizio dell'efficacia della norma contestualmente o successivamente alla pubblicazione dell'atto normativo, bensì in un momento anticipato: egli dispone cioè retroattivamente. Mentre per le norme sanzionatorie vige il principio, di origine costituzionale (art.25 Cost. nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso), di irretroattività della legge, per le norme tributarie in senso stretto, cioè le norme tributarie impositrici, non esiste invece alcun principio costituzionale che imponga la irretroattività. Il legislatore tributario ha così frequentemente disposto per il passato con leggi che, peraltro, presentano caratteristiche diverse. La dottrina parla infatti di retroattività propria quando sia la fattispecie che i suoi effetti si collocano nel passato rispetto alla pubblicazione della legge; in ipotesi di esenzioni o di agevolazioni a termine il legislatore può ritenere, successivamente alla loro scadenza, che esse meritino di essere mantenute e può disporne la proroga con una legge che produce effetti anticipati alla sua pubblicazione ed in relazione a fatti verificatisi in precedenza. Assai più frequenti sono invece le ipotesi di retroattività impropria che si hanno quando la legge collega un tributo, da corrispondere dopo la sua entrata in vigore, a fatti verificatisi anteriormente alla legge stessa. Il limite alla teorica illimitatezza della retroattività improprie in materia tributaria è stato rinvenuto nel principio di capacità contributiva espresso dall'art. 53, 1°comma, Cost.:la capacità contributiva deve essere attuale, cioè esistere tuttora nel momento in cui la norma viene posta. Un tipo di legge per sua natura retroattiva è quello della legge interpretativa: con essa il legislatore piuttosto che disporre una certa disciplina, dispone circa l'interpretazione di un'altra norma il cui significato sia contestato o contestabile. La natura stessa della legge interpretativa ne consente l'efficacia retroattiva che non subisce neppure il limite del principio costituzionale di capacità contributiva; di qui un abuso delle stesse da parte del legislatore tributario.Con l'emanazione dello Statuto dei diritti del contribuente è stato pertanto

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espressamente disposto che l'adozione di norme interpretative può avvenire soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria. Per quanto riguarda ora il momento finale di efficacia, si applicano anche in questo caso le regole generali. Così gli atti normativi possono prevedere un termine finale di efficacia. Ma esso può inoltre coincidere con l'abrogazione da parte di altro atto normativo di rango pari o superiore. L'abrogazione può essere espressa o tacita. Un'altra ipotesi di cessazione dell'efficacia è costituita dalla dichiarazione di incostituzionalità: la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione dell decisione. Quanto infine al problema della successione di leggi tributarie nel tempo, valgono anche in questo caso le regole generali: così la legge successiva se di grado pari o superiore, abroga quella precedente incompatibile; se invece l'incompatibilità è parziale è la norma speciale che deroga quella generale. Con una disposizione transitoria il legislatore disciplina il succedersi delle varie leggi rispetto al procedimento applicativo del tributo.

27. L'efficacia nello spazio.

La legge tributaria ha efficacia su tutto il territorio dello Stato salvo che essa disponga diversamente. Ciò può avvenire per l'esigenza di sottrarre determinate zone del territorio (zone depresse, calamità naturali) all'imposizione. La territorialità della legge tributaria si riferisce di regola al territorio su cui lo Stato esercita la propria sovranità: dunque il territorio politico. Dal territorio politico va distinto il territorio doganale che è quello appunto circoscritto dalla linea doganale. Il ricondurre alla sovranità il problema dell'efficacia territoriale dell'atto normativo tributario ha indotto la dottrina ad affermare l'esclusività della norma medesima e dunque a sancire il principio di non collaborazione fra Stati; la norma tributaria dunque avrebbe così efficacia piena ed esclusiva sul territorio dello Stato che l'ha emanata, ma sarebbe priva di efficacia fuori di tale territorio. Tuttavia è stato altresì obiettato che il principio di non collaborazione non tiene conto del fatto che molte richieste di collaborazione provengono dagli Stati non nell'esercizio dei loro poteri autoritativi, espressione della sovranità, bensì nell'esercizio degli ordinari poteri spettanti a un creditore: essi non dovrebbero comportare alcuna lesione della sovranità dello stato destinatario. La dottrina invero, nel prospettarsi il superamento del principio di non collaborazione, si mostra perplessa quanto agli strumenti per conferire efficacia all'estero alla potestà tributaria dello Stato ed auspica il ricorso a strumenti pattizi di diritto internazionale. E' quanto è avvenuto con la emanazione da parte della CEE di due direttive volte a creare una più intensa collaborazione internazionale rafforzata dalla stipula di convenzioni bilaterali o plurilaterali di assistenza reciproca. Lo Stato non può certo realizzare il proprio potere di imposizione compiendo atti sul territorio di un altro Stato, senza il consenso di quest'ultimo. I principi di territorialità ed esclusività vanno dunque completati con il richiamo del principio di effettività: la norma tributaria deve essere tale da poter essere attuata dagli organi amministrativi dello Stato che l'ha emanata.Per quanto riguarda l'ambito spaziale del presupposto, il legislatore non può assumere a presupposto d'imposta fatti privi di ogni collegamento, sia oggettivo che soggettivo, con il territorio nazionale: deve invece scegliere fatti che presentino un ragionevole legame con il territorio e l'ordinamento dello Stato, tale da essere suscettibile di valutazione in termini di capacità contributiva.Oggi le imposte sul reddito sono applicate nella grande maggioranza degli Stati sulla base di due criteri: i soggetti residenti vengono assoggettati all'imposta sul reddito ovunque prodotto, indipendentemente dal fatto che esso derivi da fonti o cespiti nazionali o esteri (è il principio del reddito mondiale), mentre i soggetti non residenti vengono assoggettati all'imposta sui redditi derivanti da fonti poste nel territorio dello Stato (principio di territorialità o della fonte).I criteri di collegamento basati sulla residenza comportano l'applicazione al contribuente dell'imposta con le aliquote e i criteri dello Stato di residenza e non di quello della fonte: si giustificano così con l'attitudine dei paesi capitalistici (esportatori di capitali) a riappropriarsi in termini fiscali di eventuali vantaggi concessi tramite agevolazioni a loro imprese situate in paesi in via di sviluppo (importatori di capitali). Tuttavia se un soggetto consegue redditi da uno Stato in cui non è residente ed entrambi gli Stati, quello della residenza e quello della fonte, adottano gli stessi principi secondo cui lo Stato della residenza tassa tutto il reddito ovunque prodotto e quello della fonte tassa i redditi prodotti sul suo territorio, non v'è dubbio che i redditi di fonte estera verranno sottoposti a duplice tassazione. Duplice tassazione potrà verificarsi altresì ove i diversi Stati considerano il soggetto residente in ciascuno di essi o perché il soggetto abbia la residenza effettivamente in ciascuno di essi, ecc... A questo problema gli Stati tendono ad ovviare mediante convenzioni internazionali contro la doppia imposizione con le quali l'obbligazione tributaria sussiste solo quando accanto ai presupposti della legislazione interna si verifichino anche quelli previsti dalla

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convenzione. Restano tuttavia problemi irrisolti. Innanzitutto problemi di interpretazione dal momento che una difforme interpretazione da parte dei due Stati contraenti potrebbe comportare che l'esecuzione del trattato nel diritto interno non corrisponda alle obbligazioni assunte dagli Stati sul piano del diritto internazionale; problemi di abuso delle convenzioni, ecc.Dalla doppia imposizione internazionale si differenzia la doppia imposizione interna che si verifica quando la duplice o plurima imposizione dello stesso presupposto si realizza all'interno dello stesso ordinamento. L'art.127 TUIR dispone che " la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi". Ma tale disposizione viene svalutata dalla giurisprudenza fino a ridurla ad espressione del principio ne bis in idem inteso come divieto di reiterazione di atti di imposizione in relazione allo stesso presupposto.

D) L'interpretazione della norma tributaria28. L'interpretazione e l'analogia.

La dottrina è oggi concorde nel ritenere che la norma tributaria vada interpretata come qualunque altra norma dell'ordinamento salvo che quest'ultimo detti delle particolari regole di interpretazione. Occorre dunque procedere in primo luogo ad una interpretazione letterale o grammaticale sulla base del significato proprio delle parole nel luogo o nel tempo in cui il legislatore ha posto la norma; è ritenuta valida anche l'interpretazione evolutiva intesa nel senso dell'adeguamento della formula legislativa per tener conto dell'intervallo di tempo, e di ambiente socio-economico, intercorso tra il momento in cui è stata posta e quello in cui viene interpretata. Poi vi è l'interpretazione estensiva che consiste nell'estendere la portata della norma fino al più ampio significato con essa compatibile. Il legislatore può infine ricorrere all'interpretazione autentica affermando con legge l'interpretazione da adottare in presenza di conflitti interpretativi attuali o potenziali. Per quanto riguarda il problema dell'analogia, non vi è dubbio che alle norme sanzionatorie e penali in particolare, così come a quelle speciali o eccezionali sia applicabile il divieto di analogia posto dall'art. 14 disp. prel.; ugualmente non vi è dubbio che le norme procedimenatali e processuali possano essere integrate analogicamente con il ricorso ad elementi intrinseci ovvero agli istituti del diritto processuale civile o amministrativo. La dottrina oggi dominante ritiene l'analogia non già procedimento di creazione di norme giuridiche, bensì regola e strumento di interpretazione delle norme espresse e dunque si ritiene che le norme tributarie impositrici possano essere interpretate, oltre che con il metodo estensivo, con il metodo analogico e con il ricorso ai principi generali dell'ordinamento. 29. L'interpello dei contribuenti. Sotto il nome di "interpello" ricadono genericamente le richieste del contribuente volte a sollecitare un intervento chiarificatore da parte dell'amministrazione finanziaria. In un sistema tributario basato sull'adempimento spontaneo, è logico ritenere che l'amministrazione, a fronte della peculiare funzione di controllo, debba svolgere anche quella di consulenza giuridica e di assistenza. Quest'ultima si può distinguere in attività interpretativa di carattere generale, che si esplica principalmente attraverso circolari predisposte dalle Direzioni generali e rivolte alla generalità dei contribuenti, degli Uffici e in pareri relativi a specifiche fattispecie applicative sollecitati da soggetti interessati a conoscere l'orientamento dell'amministrazione, tutti riconducibili all'istituto dell'interpello. E' necessario distinguere l'interpello ex art. 21 della L. 413/1991 da quello ex art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente. a) Interpello ex art.21 della L. 413/1991.Il contribuente mediante apposita richiesta può conoscere preventivamente il parere dell'amministrazione finanziaria in merito all'applicazione ai casi concreto delle disposizioni contenute nell'art 37 bis, in tema di disconoscibilità dei vantaggi conseguiti a seguito di operazioni che potrebbero essere considerate elusive, nonché di quelle relative ad interposizione fittizia di persona e alla deducibilità delle spese di rappresentanza e di pubblicità. La spiccata tassatività della fattispecie ha portato a ritenere che eesa abbia ad oggetto la qualificazione giuridica di un fatto e non già la corretta interpretazione di una norma. Sul piano dell'efficacia, la citata norma prevede soltanto l'inversione dell'onere della prova a carico della parte che non si è uniformata al parere. (Vedi libro per la procedura)b) Interpello ex art. 11 della L. 212/2002.Tale art. ha introdotto l'istituto dell'interpello, quale strumento di carattere generale teso a far conoscere, preventivamente e con efficacia vincolante in sede di eventuale accertamento, la posizione degli uffici in merito all'applicazione di norme tributarie a casi concreti e personali, quando sussistano obiettive condizioni di incertezza sull'interpretazione delle stesse. L'interpello del contribuente può avere ad oggetto

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esclusivamente atti normativi di fonte primaria o secondaria relativi alla materia tributaria. (Vedi libro per la procedura)c)Interpello ex art.37 bis, 8° comma del D.P.R. 600/1973 Un'altra particolare procedura di interpello è quella prevista dall'art. 37 bis, 8° comma del D.P.R. 600/1973 che attribuisce al Direttore regionale dell'Agenzia il potere di disapplicare disposizioni di carattere tributario che, a scopo antielusivo, limitano deduzioni, detrazioni e crediti d'imposta.(Vedi libro per la procedura)d) Interpello ordinario.L'attività di consulenza giuridica in risposta a quesiti specifici formulati dal contribuente non riconducibile nei presupposti all'interpello disciplinato ex art. 11 dello Statuto, nonché gli interventi interpretativi sollecitati da associazioni sindacali e di categoria, ordini professionali, enti pubblici o privati che esprimono interessi non personali, ma di carattere generale, non producono effetti giuridicamente vincolanti in relazione al successivo operato dell'amministrazione. Tali pareri hanno la medesima rilevanza interna delle risoluzioni e delle circolari ministeriali, che può al più creare un affidamento in capo al contribuente, con le note conseguenze sul piano sanzionatorio (vedi procedura libro).e) Ruling internazionale.Si tratta di una particolare forma di parere preventivo che le imprese con attività internazionale possono richiedere all'amministrazione finanziaria in merito al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalities. L'atto che conclude questa procedura risulta peculiare ed è qualificato dalla legge come accordo stipulato tra il competente ufficio dell'Agenzia delle entrate ed il contribuente. Nei periodi di imposta in cui l'accordo risulta vincolante l'amministrazione finanziaria può cmq esercitare i suoi poteri di accertamento nei confronti dell'impresa che lo ha stipulato, ma solo relativamente a questioni diverse da quelle oggetto dell'atto sottoscritto.

Capitolo QuartoL'applicazione della norma tributaria:

L'attuazione del prelievo

A) Gli schemi teorici di attuazione del prelievo.30. L'obbligazione tributaria e il rapporto giuridico d'imposta: le teorie dichiarative e costitutive.

Per lunghissimi anni il nucleo centrale degli studi di diritto tributario ha riguardato i rapporti tra la nascita dell’obbligazione tributaria (che ha fonte legale) e l’accertamento. L’accertamento fu studiato esclusivamente in funzione del rapporto giuridico d’imposta, quale atto cioè previsto dalla legge per determinare nel quantum e rendere certa un’obbligazione tributaria già sorta con il verificarsi del presupposto di fatto. La “teoria dichiarativa” attribuiva all’atto di accertamento funzione di dichiarare, cioè determinare nel quantum, sulla base di un’attività pubblicistica, una obbligazione peraltro già sorta al verificarsi del presupposto. Le constatate difficoltà di applicare senza residui all’obbligazione tributaria le regole civilistiche indussero una parte autorevole della dottrina a privilegiare la fase e l’atto di accertamento rispetto alla pretesa nascita dell’obbligazione dal presupposto di fatto. Le teorie costitutive riconoscevano bensì che fin dal verificarsi di quest’ultimo nasceva una funzione vincolata di imposizione, o un potere per il fisco cui corrispondeva una soggezione generica del contribuente, ma attribuivano all’atto di accertamento la natura giuridica di atto di imposizione, di atto cioè costitutivo dell’obbligazione tributaria. Sul piano effettuale, solo da quest’ultimo momento erano applicabili a questa situazione soggettiva le regole civilistiche dell’obbligazione. Oggi la ricorrente polemica tra teoria dichiarativa e teoria costitutiva risulta in buona sostanza attenuata o sopita, posto che nessuno più dubita che dal verificarsi del presupposto discenda una situazione genericamente doverosa per colui che lo pone in essere, ma che tale situazione soggettiva difficilmente possa definirsi “obbligazione”, dovendosi invece ritenere che essa si qualifichi in modo diverso secondo le varie leggi d’imposta e si concreti in una serie di diverse situazioni soggettive che discendono dalle fattispecie previste dalla legge e poste in essere da fisco e contribuente, tutte collegate da un nesso finalizzato alla corretta applicazione del tributo.

31. L’atto d’imposizione e il procedimento d’imposizione: natura e funzione dell’accertamento tributario.

Oggetto dell’accertamento è l’individuazione delle dimensioni qualitative e quantitative del presupposto di

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fatto posto in essere dal contribuente: tale attività si snoda attraverso la collaborazione eventuale tra fisco e contribuente in atti propedeutici di cautela, nella dichiarazione, nel controllo di esse e in tutte le attività istruttorie e di verifica anche d’ufficio che conducono alla sostituzione della verità del fisco alla verità dichiarata dal contribuente fino alla definizione di una verità che valga per tutti e che precluda ogni contestazione relativa al presupposto. L’accertamento tributario inteso come procedimento e il suo atto finale (avviso di accertamento o di rettifica o accertamento d’ufficio) attengono dunque alla individuazione della precisa capacità contributiva manifestata dal presupposto di fatto. Una volta individuata la capacità contributiva risulta automatica la determinazione del debito d’imposta che deriva dalla semplice applicazione dell’aliquota. L’accertamento tributario risulta allora del tutto estraneo all’obbligazione tributaria e al rapporto giuridico d’imposta che si collocano invece sul versante della riscossione, derivando da fatti e atti collocati dalla legge anche in posizione anticipata ovvero successiva al verificarsi del presupposto. Basti pensare agli acconti d’imposta, alla ritenuta diretta, alle iscrizioni al ruolo a titolo provvisorio e definitivo: trattasi di diverse fattispecie che legittimano la riscossione, di somme via via più vicine a quanto risulterà probabilmente dovuto. In questa più ampia e attuale prospettiva lo studio dell’accertamento tributario passa dalla problematica dell’obbligazione tributaria e del presupposto del tributo a quella dei controlli amministrativi sull’attività dei privati. Mentre infatti l’attività di accertamento del presupposto e di determinazione della base imponibile deve tuttora considerarsi rigorosamente vincolata alla legge, margini progressivamente crescenti di apprezzamento sussistono nella attività di controllo e di riscossione. Accanto ai giudizi tecnici che l’amministrazione può compiere nel controllare i comportamenti del contribuente, si ampliano i margini di apprezzamento quanto alla scelta di procedere ad un accertamento analitico o induttivo, di ricorrere o meno alle indagini bancarie, agli studi di settore, al redditometro. Casi invece di vera e propria discrezionalità amministrativa esistono in relazione alla sospensione e alla dilazione della riscossione nonché all’attribuzione del domicilio fiscale.

32. L’attuazione della norma tributaria tra fase di accertamento del presupposto e fase di riscossione.

Al versante dell’accertamento vengono attribuiti i controlli sulla varia tipologia di obblighi del contribuente mentre dal lato della riscossione si accentua l’anticipazione del prelievo attraverso gli strumenti degli acconti d’imposta dei versamenti spontanei e delle ritenute alla fonte, ma soprattutto prendono spazio, anche nelle imposte sul reddito dov’erano prima sconosciuti, atti di liquidazione del tributo. Meritano di essere segnalati due aspetti dei rapporti tra accertamento e riscossione che emergono sempre più chiaramente dalla recente evoluzione legislativa. Il primo riguarda la sussistenza di essenziali punti di collegamento e di interferenza tra le due fasi . Non vi è dubbio accanto a fattispecie che rilevano sul piano della riscossione, le fattispecie dell’accertamento hanno la funzione di garantire il costante collegamento della riscossione anticipata, e magari a carico di altri soggetti, con la capacità contributiva manifestata dal presupposto e riferita al soggetto passivo del tributo. Merita invece di essere approfondito il secondo aspetto sopra segnalato dei rapporti tra accertamento e riscossione, che consiste nello spostare verso la seconda tutti gli atti di liquidazione del tributo e nel lasciare al primo soltanto gli atti di controllo e di valutazione del presupposto. Con l’inserimento degli artt. 36 bis e 36 ter nel D.P.R. 600/1973 il legislatore ha introdotto anche nelle imposte sul reddito una fase di liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni. Mentre l’art. 36 bis consentiva agli uffici delle imposte di procedere in base ai dati contenuti nelle dichiarazioni dei contribuenti e dei sostituti alla liquidazione delle imposte dovute e agli eventuali rimborsi correggendo errori materiali e di calcolo, escludendo o riducendo deduzioni, detrazioni, oneri deducibili o crediti di imposta; l’art. 36 ter contrastava una forma di evasione allora molto diffusa consentendo agli uffici di liquidare la maggiore imposta conseguente alla presentazione da parte delle persone fisiche di più dichiarazioni in luogo di una soltanto con redditi annuali. Entrambi gli articoli erano rubricati come liquidazione delle imposte dichiarate e facevano salva l’azione di accertamento. L’atto di liquidazione era costituito dal ruolo, cioè da una cartella esattoriale priva di una pur embrionale motivazione. Con l’art.13 del D. Lgs. 9 luglio 1997 n. 241 il legislatore ha sostanzialmente ampliato e ripartito tra l’art. 36 bis e il 36 ter la casistica già inclusa nel 36 bis attribuendo a quest’ultimo le ipotesi di correzioni infratestuali consistenti in rettifiche degli errori materiali o in riduzioni di deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta purché direttamente desumibili dalle dichiarazioni, e riservando al 36 ter le esclusioni delle stesse poste soprattutto sulla base del controllo dei documenti ma anche di elementi esterni alla dichiarazione richiesti al contribuente. La legge prevede ora una forma di comunicazione (anche telefonica) con il contribuente che è

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messo in condizione di fornire le proprie ragioni in assenza delle quali, o in caso di mancato accoglimento da parte del fisco, quest’ultimo procede con notifica di cartella esattoriale a chiedere l’imposta dovuta o ad effettuare il rimborso. Nonostante la modifica legislativa, si tratta in entrambi i casi, per le imposte richieste con cartella esattoriale, di imposte risultanti dalla dichiarazione e liquidate dall’ufficio: la fase di accertamento è sospinta più avanti e riferita all’attività valutativa e di controllo del presupposto del tributo. Diversa è la modifica introdotta all’art. 41 bis del D.P.R. 600/1973 con il D.P.R. 14 aprile 1982 n. 309, sull’accertamento parziale il quale si colloca indubbiamente nell’area dell’accertamento; ciò perché l’ufficio non si limita a correggere i dati risultanti dalla dichiarazione, bensì procede alla loro rettifica sulla base di elementi esterni, sia pure, nel testo originario, senza elaborarli o metterli in confronto con gli altri in suo possesso. La mancata impugnazione dell’accertamento parziale preclude la successiva valutazione, con avviso di accertamento ulteriore, dei fatti cui si è basato l’avviso di accertamento parziale divenuto definitivo. L’autore ritiene che l’efficacia preclusiva si estenda in tal caso agli elementi costitutivi del presupposto di fatto e non soltanto all’obbligazione di pagare una somma di danaro.

33. Le prospettive di evoluzione.

Le modifiche legislative verificatesi negli ultimi anni accentuano l’anticipazione del prelievo, la frammentazione degli atti di controllo, di accertamento e di riscossione e l’intersecarsi delle relative fattispecie. Nonostante questa estrema frammentazione dei moduli di attuazione del prelievo, non si può abbandonare lo schema dell’obbligazione e contestare la centralità del presupposto nell’attuazione del prelievo. Allo stesso modo può continuare ad affermarsi il principio della tendenziale unitarietà e globalità dell’atto di accertamento.

La Riscossione

La fase di riscossioneIl nostro sistema tributario è ispirato al principio di capacità contributiva.Esiste una assenza di discrezionalità della pubblica amministrazione. La fase della riscossione ha delicati legami con la fase dell’accertamento. La riscossione inizia con L’ANTICIPAZIONE ( il fisco ha esigenza di copertura dei pressanti fabbisogni di cassa e ha due caratteri Tipicità e vincolatezza ); poi si prosegue con L’ATTUAZIONE DEL TRIBUTO. È inoltre prevista una autoliquidazione dell’imposta basata sulla dichiarazione del contribuente. ( questo meccanismo oggi è completamente computerizzato e se risultano eventuali debiti automaticamente si emettono le cartelle esattorali.La differenza tra atti di accertamento e atti di riscossione: i primi contestano al contribuente la determinazione del presupposto … Sono atti necessariamente motivati per consentire la difesa; i secondi quantificano i presupposti già determinati; non sono motivati perché derivano da atti già motivati; sono atti autoritativi autonomi impugnabili.

La fattispecie della riscossione:a. Gli Acconti d’imposta: in senso generico ( le ritenute d’acconto.. ) in senso specifico ( 95% per

l’irpef, 98.5% per L’Irpeg, 88% per l’Iva)b. Le ritenute alla fonte: è l’obbligazione di trattenere somme di denaro e di versarle al fisco al fatto

della corresponsione di somme o di cose o di servizi costituenti reddito per il percettore ( vedi titolo III DPR 600/73 ).

c. La Dichiarazione: nelle imposte sui redditi, nell’iva, nell’imposta di registro, nelle altre imposte.d. L’Accertamento: nelle imposte sui redditi, nell’iva, nell’imposta di registro.e. Le decisioni giurisdizionali: sono delle ipotesi in cui l’avviso di accertamento venga impugnato

dinanzi alle commissioni tributarie; è una sospensione ex Lege dell’esecutorietà del provvedimento impugnato ( vedi Art 68 D. Lgs 546/92 ).

Le modalità della riscossione:generalità ( 1988 Radicale riforma ).1. La ritenuta diretta Art 2 Dpr 602/732. I Versamenti Diretti ( Versamenti spontanei del contribuente. Art 3 Dpr 602/73)

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3. La Riscossione mediante ruoli ( modifiche con il d.lgs 26 febbraio 1999 N°46 )4. Le modalità di riscossione delle imposta indirette sui trasferimenti e di particolari tributi.

L’imposta di registro:a. Imposta principale ( applicata al momento della registrazione; b. I. Complementare ( applicata successivamente per correggere errori o omissioni

dell’ufficio.c. I. Suppletiva: applicata in ogni altro caso

Gli Atti della riscossione: La LiquidazioneL’atto di liquidazione è quello con cui viene applicata l’aliquota alla base imponibile e determinato in concreto il tributo da pagare. In sostanza è il calcolo dell’imposta art 36 bis e ter dpr 600/73 Art 54 Bis dpr 633/72

Il Ruolo e L’ingiunzioneL’iscrizione a ruolo subentra a seguito di atti di liquidazione o di accertamento che reagiscono alle ipotesi di mancato o inesatto adempimento da parte del contribuente talché esse è sostitutiva del mancato versamento spontaneo del contribuente rappresentando il metodo necessario di riscossione delle somme che dopo l’atto di liquidazione o di accertamento non possono più essere versate spontaneamente. Il ruolo è un atto recettizio e deve rispettare l’art 25 Dpr 602/73. è un titolo esecutivo in base al quale l’esattore può procedere alla riscossione coattiva. La riscossione coattiva in base a ruolo opere a seguito di un titolo esecutivo emesso ( notificato ) dal concessionario a cui è pure affidata la propulsione della riscossione coattiva.

Gli effetti del ruolo:- Efficacia soggettiva- Problema della solidarietà; affinché si possa procedere a

riscossione nei confronti del coobbligato, occorre che gli siano notificati gli atti di accertamento e di riscossione del tributo.

- Efficacia dell’atto di riscossione- distinzione a seconda delle sequenze procedurali e delle diverse teorie dichiarative o costitutive.Abbiamo un’efficacia ESECUTIVA del ruolo e un’efficacia PRECLUSIVA.L’efficacia esecutiva produce un TITOLO ESECUTIVO CHE CONSENTE L’ESECUZIONE FORZATA.Con l’efficacia preclusiva la notifica del ruolo comporta sempre l’onere di impugnarlo a pena di decadenza e l’omessa proposizione del ricordo ne consolida definitivamente gli effetti, precludendo l’istanza di rimborso.

L’efficacia del ruolo nei confronti dei contribuenti è mediata dalla cartella di pagamento. La cartella è un atto del concessionario da notificare al debitore iscritto a ruolo oppure al coobbligato.Il pagamento deve essere redatto secondo i modelli approvati con decreto del ministero dell’economia e delle finanze.

Il ricordo contro l’iscrizione a ruolo: art 19 Dlgs 546/92 e art 39 Dpr 602/73

In pendenza di giudiziose è necessaria sempre una tutela cautelare art 47 d lgs 546/92

La riscossione coattivaIn caso di mancato adempimento spontaneo da parte del contribuente, la legge prevede la formazione di un titolo esecutivo che reca l’invito a pagare entro un breve termine e che, in caso di inosservanza, consente di iniziare la riscossione coattiva come da riforma del 99 D.lgs 46/99. dpr 43/88

Il Rimborso

Il Problema del Rimborso

L’attuazione del prelievo può dare luogo a situazione in cui, specie per effetto della riscossione anticipata, le somme versate dal soggetto passivo non corrispondano a quelle dovute. Questo può avvenire per vari motivi in molti dei quali si parla di crediti di imposta per indicare una situazione giuridica soggettiva attiva del contribuente nei confronti del fisco, che può essere soddisfatta o attraverso il pagamento da parte di

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quest’ultimo o attraverso la compensazione con il debito d’imposta dello stesso anno o di quelli successivi. La nozione di crediti di imposta è più ampia di quella di indebito poiché include anche le fattispecie definite crediti non da indebito che possono dare luogo sia al rimborso che alla restituzione al contribuente attraverso vari meccanismi:

1 Crediti di Rimborso: che derivano dal pagamento indebito2 Crediti di Restituzione, che permettono di riequilibrare precedenti attribuzioni patrimoniali non

indebite;3 Rediti d’imposta in senso stretto, che comportano la compensazione con il debito d’imposta da

richiedere in dichiarazione. Il rimborso è stato oggetto di studio di varie teorie come quella privatistica che accentuava la tutela del contribuente e quella pubblicistica che invece accentuava la tutela del fisco. Per la prima il diritto soggettivo al rimborso è autonomo e intangibile per il contribuente e riconducibile al principio generale in tema di indebito oggettivo. Per la seconda il rimborso è disciplinato dalle norme procedimentali e processuali che lo riconoscono. Il collegamento fondamentale tra imposta dovuta in base al presupposto e imposta versata in base ad atti del procedimento viene operato coordinando il meccanismo di rimborso con il processo tributario. Il rimborso si può ottenere automaticamente con una dichiarazione rettificata entro un anno o con un’istanza di rimborso nonostante la stretta connessione tra questi due strumenti è un errore combinarli tra loro e condizionarli visto che hanno diverse finalità.

Le fattispecie di rimborso

1 Carenza di legge, il pagamento è indebito quando manca fin dall’origine o viene meno successivamente la norma su cui esso si fonda. Le ipotesi a,b,c,d,e, ( dal libro ) possiamo aggiungere quella del contrasto della norma impositiva interna con norme comunitari immediatamente vincolanti.

2 Errore nella dichiarazione, che essendo fattispecie della riscossione obbliga al versamento dell’imposta corrispondente all’imponibile dichiarato;

3 Atto di accertamento illegittimo;4 Errore della riscossione può essere commesso dal contribuente o dall’ufficio.

I Procedimenti di rimborso

Sono disciplinati dalla legge per i singoli tributi, si deve distinguere tra imposta sui redditi e imposte indirette. Per quanto riguarda la prima occorre distinguere tra rimborsi su istanza di parte e rimborso d’ufficio e si può fare sempre tra i primi una triplice distinzione:

1 Rimborsi richiesti con la dichiarazione dei redditi che possono essere richiesti con istanza all’ufficio, ma la legge prevede in alcuni casi la possibilità di scelta o computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo successivo rimborsato in sede di dichiarazione;

2 Rimborsi richiesti con istanza all’ufficio competente che riguarda ritenute e versamenti diretti disciplinati dagli artt. 37 e 38 del Dpr 602/1973 ( consulta codice ). In caso di silenzio dell’intendente per oltre 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, il contribuente può ricorrere alla commissione secondo le norme del processo tributario. I rimborsi d’ufficio sono disciplinati dall’art 40 e 41 della legge stessa.

3 Rimborso di tributi riscossi a mezzo ruolo solo quando la riscossione ha avuto luogo previa emissione di atti della riscossione art 39 e 40.

per le imposte indirette vale il principio generale secondo cui il rimborso deve essere richiesto a pena di decadenza all’ufficio entro 3 anni dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione o al rimborso. Per quanto riguardo l’Iva occorre distinguere il rimborso dell’imposta indebitamente versata dal ricalco del credito d’imposta; nella prima ipotesi si applicano norme generali del dpr 633/1972 nella seconda ipotesi art 26 dello stesso decreto. Il rimborso in conto fiscale può essere fatto da imprenditori o soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo e sono titolari di un conto fiscale aperto d’ufficio presso il concessionario del servizio di riscossione.

Le situazioni giuridiche soggettive e le loro vicende.

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Le situazioni soggettive attive: in particolare il credito d’imposta.

Il rapporto d’imposta esprime da un lato l’obbligo del soggetto passivo di corrispondere l’imposta e dall’altro il diritto dell’ente di conseguire tale imposta, due situazioni soggettive contrapposte sono: obbligazione tributaria e credito d’imposta. Tra i vari criteri di classificazione delle situazioni soggettive c’è quello di situazione attive e inattive: le prime sono quelle che comportano situazioni di vantaggio a contenuto positivo; le seconde quella contenuto sia positivo che negativo che comportino situazioni di svantaggio; la situazione attiva può fare capo all’ente impositore che è titolare di un potere-dovere all’attuazione del prelievo; al verificarsi delle singole fattispecie nasce in capo all’ente un diritto di credito al tributo in misura prevista dalla fattispecie stessa. Le situazioni soggettive attive possono far capo anche ai soggetti ausiliari dell’ente e in particolare ai concessionari ma può collocarsi anche in capo a soggetti che di solito si collocano nella situazione passiva così l contribuente può essere titolare di un credito d’importa. Le principali ipotesi in cui la legge riconosce il credito d’imposta sono: A.b.c.d.e.f.g ( vedi libro ).

La cessione del credito d’imposta

È una possibilità del contribuente di cedere appunto il credito relativo a somme sulle quali spetta un diritto di rimborso; un ostacolo a questa possibilità era prima ravvistato nell’art 69 del Rd 244 del 1923; attualmente invece la cessione si diversifica a seconda che i soggetti tra i quali avviene siano soggetti terzi o altre società appartenenti al medesimo gruppo. In materia “iva” la cessione è disciplinata da decreti.

Le situazioni soggettive passive: in particolare l’obbligazione tributaria: rinvio.

Accanto all’obbligazione tributaria che è la situazione passiva per eccellenza troviamo anche obblighi formali e strumentali in capo al contribuente e ai terzi; ci sono poi situazione di mera soggezione ai poteri del disco, in cui il contribuente e il terzo devono limitarsi a consentire l’esplicazione nelle forme di legge; altra situazione passiva è l’onere anche se questo è visto più come modalità di esercizio di un potere.

Le forme di estinzione dell’obbligazione tributaria

Nel diritto tributario manca ogni discrezionalità e dunque la degradazione dei diritti soggettivi in interessi legittimi, lo schema norma fatto fa si che le obbligazioni nascano appunto da fattispecie previste dalla legge, tali essendo considerati anche gli atti della fase di accertamento; a questo punto possiamo dire che la disciplina civilistica subentra solo nella fase estintiva con ampie limitazioni ed è per questo che la dottrina ha cercato le diverse combinazioni tra le disciplina civilistica e quella tributaria anche in materia di estinzione dell’obbligazione. La prima forma di estinzione è l’adempimento: le modalità e i mezzi di pagamento sono epressi negli art 28 Dpr 602/1973, 38 dpr 633/1972 anche se di solito il pagamento viene fatto in contanti. Per i diritti donagali art 77 dpr 43/1973; una particolare forma di pagamento che la dottrina riconduce alla Datio in Solutum è espressa nell’art 28 bis, dpr 602 del 1973. il termine di pagamento può essere stabilito non solo nell’interesse del debitore ma anche del creditore, a meno che la legge non prevede diversamente art 31 dpr 602/1973. la legge stabilisce tempi e luoghi di pagamento che se non vengono rispettati rendono inefficace il versamento; la legge prevede anche dilazioni di pagamento art 19 dpr 602/73 per i diritti doganali art 79 TU. Nelle leggi d’imposta non sono previste norme relative all’imputazione dei pagamenti; caratteristica della riscossione dei tributati è la tipicità e tassatività dei mezzi di prova dell’Esatto adempimento art 23 dpr 602.

La prescrizione o la decadenza

Il legislatore spesso usa il termine prescrizione per indicare casi profondamente diversi tra loro; svariate e numerose sono le situazioni soggettive che la legge ricollega al procedimenti amministrativo di imposizione ed esse non si possono riportare al diritto di credito cui corrispondere una concreta obbligazione; solo per quest’ultimo caso si può parlare di prescrizione dei diritto medesimo per utti li altri poteri di iniziativa che si riportano al potere d’imposizione lato sensu si parla di decadenza. Di quest’ultima la legge fissa numerosi termini, in tema di imposte diretta art 43 dpr 600/1973 vari termini anche per l’imposta di registro; l’imposta di bollo art 37 dpr 642 del 1972, diritto doganali art 84 TU; leggi doganali dpr 43/73; nelle leggi tributarie

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mancano disposizioni generali sulla decadenza e sulla prescrizione per cui si applicano le disposizioni del codice civile.

Le Garanzie del credito d’imposta

Anche l’obbligazione tributaria può essere assistita da garanzie che assicurino il soddisfacimento del diritto di credito dell’ente impositore, nelle ipotesi in cui i soggetti passivi non vogliono o non possono adempiere volontariamente all’obbligazione. A tale scopo la legge tributaria può rafforzare il diritto di credito dell’ente impositore, dando a questo il diritto o la facoltà di chiedere al contribuente la prestazione di una garanzia supplementare ( fideiussione o deposito cautelare ); la forma di garanzia più frequente ed efficace è l’istituto del privilegio generale e speciale. I privilegi sono disciplinati in via generale dal codice civile e in numerose leggi d’imposta; in mancanza di norme speciali si applica ai privilegi tributari anche l’art 2749 del codice; la distinzione tra privilegi generali e speciali dipende dall’oggetto su cui cade la prelazione. I primi si esercitano su tutti i beni mobili del debitore, i secondi colpiscono determinati beni mobili ed immobili del debitore vincolandoli al creditore. L’istituto del privilegio può avere una funzione diversa del garantire il credito dell’ente impositore infatti questo istituto era già presente nel codice civile per realtà generali. Un altro strumento di garanzia della riscossione dei crediti d’imposta sono le misure cautelari, l’ipoteca e il sequestro conservativo, disciplinate dall’art 22 del decreto legislativo 472/1997. la misura cautelare a carattere generale prevista dall’ultimo comma dell’art 69 Rd 8/11/1923 N.2440 è denominato fermo amministrativo le cui modalità sono disciplinate dall’art 23 del decreto 472/1997.

L’imposta di registro

I Soggetti passivi

L’imputazione al soggetto dell’obbligo di richiedere la registrazione deve partire dall’osservazione della non coincidenza tra i soggetti obbligati al pagamento dell’imposta con quelli effettivamente incisi dal tributo. La legge elenca i soggetti obbligati a richiedere la registrazione ( 2 punti sul libro ). L’obbligo di provvedere alla registrazione comporta quello del pagamento dell’imposta liquidata dall’ufficio. ( Art 57. soggetti tenuti al pagamento; Art 58 surrogazione all’amministrazione ).

La Registrazione degli atti

La registrazione consiste nell’annotazione dell’atto o della denuncia in appostiti registri con le indicazioni stabilite dalla legge ( 16 terzo comma e 17 ); le modalità della registrazione variano a seconda della natura degli atti ( art 11-12 ). L’art 9 individua l’ufficio competente ad eseguire la registrazione; la presenza di diversi presidi normativi garantisce l’assolvimento dell’obbligo; la progressiva diffusione di forme di registrazione per via telematica degli atti relativi a diritti sugli immobili comportano l’autoliquidazione del tributo da parte del notaio.

La Base Imponibile

L’imposta è liquidata dall’ufficio mediante l’applicazione dell’aliquota, indicata nella tariffa, alla base imponibile. Il titolo quarto del dpr 131/1986 contiene i criteri dettati per la determinazione della base imponibile. In linea di principio è costituita dal valore del bene o del diritto oggettivo dell’atto sottoposto a registrazione. Criteri di identificazione del valore si rinvengono unicamente per gli atti che hanno ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli aventi per oggetto aziende o diritti reali su di esse. Esigenze di limitazione del contenzioso da accertamento di maggior valore hanno consigliato l’introduzione di un limite al potere di rettifica del valore dei beni immobili. Gli immobili non censiti in catasto con attribuzione di rendita art 12 L. 13 maggio 1988 n 154

L’applicazione dell’imposta

È di fatto legata alla qualifica giuridica dell’atto poiché la tariffa allegata alla legge di registro elenca diverse categorie giuridiche di atti alle quali di volta in volta si applicherà l’imposta in misura proporzionale con l’aliquota corrispondente al singolo atto. L’art 20 del T.U. contiene regole fondamentali; nell’ipotesi di un

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contrasto tra gli effetti giuridici e il titolo o la forma apparente viene dichiarata l’assoluta prevalenza dei primi. L’art 21 dispone per gli atti che contengono più disposizioni. L’imposta risulta applicabile anche agli atti nulli o annullabili art 38. In coerenza al principio generale dell’applicazione dell’imposta secondo gli effetti giuridici dell’atto , la legge di registro prevede specifici criteri di imposizione con riguardo a determinate categorie di atti ( a, b, c, libro ). Inoltre la stessa legge reca alcune disposizioni volte ad impedire che le parti possano ottenere i medesimi effetti giuridici adottando negozi fiscalmente meno onerosi di quelli ordinariamente usati. Vi sono poi determinati atti equiparati ad altri ai fini di evitare l’evasione.

La liquidazione e la riscossione

Il procedimento di riscossione dell’imposta di registro è disciplinato nel titolo V del DPR 131/1986; ( l’art 41 disciplina la liquidazione dell’imposta ). Il pagamento del tributo deve essere contemporaneo alla registrazione dell’atto. Costituisce deroga all’obbligo di pagamento dell’imposta al momento della registrazione la disposizione che consente la registrazione a debito di determinati atti per i quali lo Stato si riserva di riscuotere il tributo o di rinunciare ad esso in modi e tempi stabiliti. Sulle somme dovute è riconosciuto allo stato il privilegio che si estingue con il decorso di 5 anni dalla dati di registrazione. Per quanto riguarda la riscossione delle imposta complementari e suppletive si fa riferimento all’art 42. la riscossione coattiva tramite ruoli è ormai prevista anche per l’imposta di registro, il credito per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni.

Le sanzioni

Il Sistema delle sanzioni è stato oggetto di riforma. Attualmente la legge punisce ( vedi tre punto sul libro ). Il termine di decadenza è di 5 anni.

Le Origini

La nascita di questo tributo è dovuta all’esigenza che lo Stato ha avuto, con il diffondersi della civilizzazione, di intervenire negli atti giuridici della vita privata al fine di tutelare i diritti dei terzi. Questo tributo nella sua evoluzione ha perso il carattere di Tassa e ha acquistato quello di imposta; negli ultimi anni è stato sottoposto a molte riforme.

L’oggetto dell’Imposta.

Quest’imposta ha una stretta connessione con l’attività di registrazione, negli atti soggetti a registrazione è la stessa formazione dell’atto a determinare il sorgere dell’obbligo di registrazione che genera l’obbligazione tributaria. Per gli atti a registrazione volontaria opera una sorta di assimilazione agli atti a registrazione obbligatoria. Gli atti soggetti a registrazione possono dividersi in quattro categorie a seconda dell’esistenza:

1 Di un documento scritto;2 Di un contratto verbale di particolare rilevanza economica;3 Di un’operazione riguardante società o enti esterni posti in essere nello Stato;4 Di un atto formato all’estero che riguarda beni immobili nel territorio dello Stato.

Nella categoria degli atti soggetti a registrazione la legge distingue poi tra atti soggetti a registrazione in termine fisso e in caso di uso, nei primi è stabilito l’obbligo di richiedere la registrazione entro termine stabiliti, per i secondi la registrazione costituisce un onere cui è subordinato l’utilizzo dell’atto. Fra gli atti soggetti a registrazione solo in caso di uso sono compresi gli atti formali per corrispondenza e le scritture private non autenticate ad operazioni soggettive come l’IVA. La legge prevede che alcuni atti non siano soggetti a obbligo di registrazione in nessun caso.

Il Presupposto dell’imposta

Ci sono tre teorie fondamentali sull'imposta di registro; secondo quella più recente il presupposto deve essere individuato nella formazione di uno degli atti soggetti a registrazione ai sensi del Dpr 131/1986 e della tariffa allegata. il successivo tentativo di superamento di questa tesi fa consistere il presupposto nella mera effettuazione della registazione. vi è poi una teoria intermedia che distingue tra gli atti soggetti a

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registrazione in termini fissi per i quali il presupposto risiedeva nella stipulazione dell'atto o negozio, e tutti gli altri casi, per i quali il presupposto risulta nella richiesta di registrazione.

Capitolo VLE SANZIONI

79. Il sistema sanzionatorioLa sanzione è predisposta dall’ ordinamento per assicurare l’osservanza del precetto. Nel diritto tributario a questa funzione se ne sovrappone un’altra: quella di garantire un rilevante gettito all’erario. Il nostro sistema sanzionatorio è mutevole e impreciso, esso è frutto di una evoluzione fondata su tre fasi storiche:1)la disciplina generale (legge 4/1929)2)continui interventi che l’hanno travolta (anni ’50-’60)3)la riforma dell’intero sistema del ’97 La legge n.4 operò una “summa divisio” tra le violazioni di leggi finanziarie relativa ai tributi dello stato,quindi tra sanzioni penali e amministrative, le prime disciplinate dall’art.17ss c. p., le altre previste in aggiunta alle sanzioni penali.Le sanzioni penali e le pene pecuniarie erano alternative mentre la soprattassa prevista dalle sanzioni amministrative si cumulava alle sanzioni penali o alle pene pecuniarie per cui le sanzioni penali erano di natura affittiva, le sanzioni amministrative avevano natura risarcitoria. La legge n.4/’29 prevedeva che le sanzioni penali erano irrogate dal giudice penale tranne l’ammenda che spettava all’intendente di finanza che irrogava anche la pena pecuniaria;la soprattassa era irrogata dall’ufficio che applicava il tributo. Per quanto riguarda il rapporto tra accertamento della violazione e irrogazione della sanzione:-in materia di tributi diretti, l’azione penale poteva essere perseguita solo dopo la definitività dell’accertamento( PREGIUDIZIALITA’ TRIBUTARIA)-per tutti gli altri tributi, quando l’esistenza del reato dipendeva dalla risoluzione di una controversia concernente il tributo, il tribunale cui spettava la cognizione del reato poteva decidere della controversia relativa al tributo (PRINCIPIO DI ASSORBIMENTO)La stessa legge prevedeva il principio di fissità per il quale prevedeva che le disposizioni della legge non potevano essere modificate da leggi posteriori concernenti singoli tributi. L’evoluzione legislativa ha stravolto la legge che ha portato ad esempio la Corte Costituzionale ad eliminare la giurisdizione dell’intendente di finanza in tema di ammenda e si è altresì realizzato il cumulo tra sanzioni amministrative e tra amministrative e penali.Con la riforma degli anni ’70 si sono riordinate le competenze sanzionatorie rispetto a singoli tributi: ad esempio è stata sottratta all’intendente di finanza la competenza in materia di irrogazione della pena pecuniaria che è stata trasferita agli uffici che applicavano l’imposta. E’ stato comunque mantenuta la pregiudiziale tributaria. Con la riforma si sono definiti due meccanismi:

1) sono state ricondotte alle sanzioni amministrative le pene pecuniarie di minore ammontare,2) si è ricorso alla sanzione penale per frenare l’evasione.

Con la legge n.516 del 1982 si è disciplinata la materia delle sanzioni penali tributarie in tema di imposte sui redditi e IVA, questa ha eliminato altresì il principio di fissità e la pregiudiziale tributaria, risolvendo i rapporti tra processo penale e tributario affermandone la rispettiva indipendenza.La nuova riforma ha però portato ad una giurisprudenza oscillante tanto che ha favorito il ricorso ad interpretazioni benevoli circa l’ablazione, l’amnistia etc.. Ma l’esigenza di superare il disordine creato dalla combinazione di più leggi, nonché dalla presenza di una miriade di disposizioni speciali era molto forte. Fino ad allora il settore tributario amministrativo aveva utilizzato il modello risarcitorio: ad ogni violazione faceva seguito la reintegrazione del danno cagionato; per cui la sanzione poteva essere trasmessa agli eredi.Differentemente la legge generale sulle sanzioni amministrative era basata su un modello affittivo quindi non trasmissibile agli eredi. La questione è stata risolta con la legge 662/’96 con la quale il Governo ha adottato un’unica sanzione amministrativa, intrasmissibile, sottoposta ai principi di legalità, imputabilità e colpevolezza. Risultato: una riforma( d. lgs.472/’97) che ha assunto una tipologia della sanzione da tipo personalistico. Il sistema sanzionatorio attuale risulta quindi disciplinato dai D. lgs.471,472,473 del ’97 (sanzioni. Amministrative.) e dal D. lgs 74/’00 (sanzioni. penali) ; quest’ultimo ha definito il principio di specialità che regola l’applicazione alternativa delle due sanzioni.

80. Tipologia delle sanzioni e principio di specialitàLa prima classificazione delle sanzioni tributarie è tra sanzioni penali e amministrative. Le prime soggette

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all’art.25 Cost.; le sanzioni amministrative è una sanzione pecuniaria e ha carattere affittivo. Queste ultime sono disciplinate nel D. lgs 472/’97 .Esistono altresì le sanzioni civili che hanno funzione restitutoria o riparatoria. L’applicazione delle sanzioni civili e penali è sottoposta al principio di specialità. Ulteriore differenza è tra sanzioni principali e accessorie: la prima consegue alla violazione della norma che prevede l’obbligo tributario; la sanzione accessoria deriva dall’applicazione della sanzione principale. La distinzione tra sanzioni proprie ed improprie non ha fondamento normativo. Infine si distinguono le sanzioni dirette da quelle indirette (legge 825/’71) : la diretta è la conseguenza negativa derivante dalla violazione della norma tributaria.

81. Le cosiddette “sanzioni civili”La dottrina che riconosce le sanzioni civili, include in queste gli interessi moratori, previsti dalla legge per le ipotesi di ritardato adempimento da parte del contribuente. Il sistema prevede interessi a carico dell’erario per l’ipotesi di imposte non dovute, non chiamati interessi moratori bensì compensativi. Si tratta invece di interessi corrispettivi quelli che il contribuente deve corrispondere per prolungata rateazione.

82. Le sanzioni amministrativeI principi generali del sistema sanzionatorio amministrativo sono regolati dal D. lgs.472/’97 che si concentra sulla persona del trasgressore. Il principio di personalità ha dato importanza al fatto che anche per gli illeciti commessi da enti o società, deve rispondere la persona fisica che ha materialmente commesso le violazioni. Questa stessa disciplina ha recepito diversi istituti penalistici cui il principio di legalità, dell’ “abolitio criminis” e del “favor rei”. Naturalmente non poche sono le difficoltà delle conseguenze del recepimento di questi principi per la materia tributaria.

A) Principio di legalità e succesione di leggi nel tempo Secondo il principio di legalità , ogni potere dello Stato è sottoposto alla legge e la sua prima espressione è data dalla previsione dell’irretroattività della norma tributaria. Il principio dell’ abolitio criminis, invece, stabilisce che nessuno può essere assoggettato e sanzionato per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce violazione punibile. Grazie ad esso si supera il principio dell’ultrattività della legge finanziaria. Questo principio potrà essere applicato nei casi in cui la sanzione non è stata ancora irrogata. Se il contribuente ha pagato, la somma versata non potrà essere restituita. In base al principio del “favor rei”, nel caso in cui la legge in vigore al tempo in cui è stata commessa la violazione e quelle successive stabiliscono sanzioni con entità diversa, si applica quella più favorevole all’agente.

B) L’elemento soggettivo dell’illecitoCondizione necessaria perché si possa dire esistente un illecito è la violazione di una norma come conseguenza di un atteggiamento psicologico qualificato. Quest’ultimo si articola in due livelli: l’imputabilità e la colpevolezza.IMPUTABILITA’: capacità di intendere e di volere in capo al soggetto che ha commesso la violazione. L’elemento della colpevolezza può assumere duplice forma: colpa e dolo.COLPA: limite minimo di responsabilità addebitabile al trasgressore.DOLO:violazione che risulti attuata con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero diretta a ostacolare l’attività amministrativa di accertamento.Esistono cause di non punibilità,esse si dividono in due tipologie: quelle totalmente recepite dal diritto penale e quelle stabilite per il settore tributario.OBIETTIVA INCERTEZZA: per l’applicazione della causa di giustificazione in esame,è necessario che il contribuente si trovi in una situazione mentale di buona fede soggettiva e che si riscontri una situazione di incertezza di tipo obiettivo, consistente in un’impossibilità di conoscenza di una norma. Tale incertezza non può quindi dipendere da uno stato soggettivo del contribuente ma deve essere determinata da elementi esterni al trasgressore e idonei comunque ad ingenerare nello stesso uno stato di confusione. A riguardo vedi anche l’art 10 dello statuto del contribuente.

C) Tipologia delle sanzioni amministrativeLe sanzioni amministrative previste per la violazione di norme tributarie sono la sanzione pecuniaria e le

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sanzioni accessorie.La sanzione pecuniaria è l’obbligazione di pagamento di una somma di denaro. Essa rappresenta il risultato dell’unificazione della pena pecuniaria e della soprattassa in attuazione della direttiva della legge delega che stabiliva il principio di unicità della sanzione amministrativa. Non sono quindi previste altre tipologie di sanzioni, l’eventuale riferimento ad altre tipologie di sanzioni è sostituito da una sanzione amministrativa di uguale importo.La sanzione amministrativa è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commetterla violazione, quindi essa è rivolta al trasgressore e non al contribuente che ha materialmente realizzato la condotta. L’accoglimento del principio di personalità comporta il recepimento del tradizionale corollario “societas delinquere non potest” secondo cui le sanzioni sono riferite sempre alla persona fisica infatti solo la persona fisica può realizzare violazioni sostenute da un elemento soggettivo e essere destinataria della sanzione conseguente.La previsione dell’intrasmissibilità agli eredi dell’obbligazione di pagamento avalla la natura personale e afflittiva della sanzione:la richiesta di pagamento agli eredi dell’ammontare della sanzione darebbe infatti luogo alla punizione di un soggetto diverso dal trasgressore. La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi.Le sanzioni accessorie sono previste dall’art.21 del D. lgs. 472 del 1997. Esse consistono in interdizioni (dall’esercizio di cariche di amministratore, sindaco etc….). Le sanzioni accessorie sono tassativamente indicate dalla legge e possono essere irrogate solo nei casi espressamente previsti; è inoltre sempre la legge a stabilirne i limiti temporali, in relazione alla gravità dell’infrazione commessa e alla misura della sanzione principale.

D) La determinazione della sanzione pecuniariaLa disciplina sanzionatoria prevede, oltre ai criteri generali per la determinazione della sanzione pecuniaria, anche una seria di istituti di derivazione penalistica che producono i loro effetti operando sulla misura della sanzione, introducendo in tal modo alcune deviazioni rispetto ai criteri ordinari di commisurazione. Per quanto riguarda la determinazione della misura della sanzione sono stabilite, a seconda delle diverse fattispecie, tre modalità:

1)fra un minimo ed un massimo2)in misura proporzionale al tributo evaso3)in misura fissa

Le sanzioni del primo tipo sono irrogate dagli uffici amministrativi in una misura compresa fra il minimo e il massimo stabilito dalle norme sanzionatorie, sulla base dei parametri indicati nella legge. Tra gli elementi oggettivi si riscontra la gravità della violazione. Gli elementi soggettivi si rinvengono invece nella personalità del trasgressore, nella sue condizioni economico-sociali. Le sanzioni del secondo tipo rispondono ad un’esigenza tipica del settore fiscale, vale a dire quella di non trascurare, per gli illeciti che determinano un’evasione vera e propria, la misura della somma realmente evasa.Tale tipologia di sanzione riesce a controbilanciare il vantaggio economico rappresentato dall’evasione, spingendo il contribuente ad adempiere piuttosto che ad evadere. Tale risultato viene raggiunto stabilendo che la sanzione deve essere calcolata in modo proporzionale all’imposta evasa e non prevedendo alcun limite massimo assoluto. La sanzione può essere nella norma stabilita in misura fissa e invariabile. Nella determinazione della misura della sanzione si può tener conto della recidiva: questa si configura quando nel corso dei precedenti tre anni il trasgressore abbia realizzato violazioni della stessa indole che non siano state definite con procedimenti di irrogazione delle sanzioni. Nei casi in cui con una o più condotte criminose vengano violate più norme sanzionatorie il trasgressore soggiace al regime del cumulo materiale, consistente nell’irrogazione della totalità delle sanzioni previste dalle disposizioni violate. Al fine di mitigare la misura della sanzione in alcune di queste ipotesi è stata predisposta una specifica regolamentazione del concorso di violazioni e della progressione. L’attenuazione della sanzione è operata attraverso l’applicazione della regola del cumulo giuridico in base alla quale viene irrogata una sola sanzione con gli aumenti previsti dalla legge; tali aumenti sono applicati nel rispetto del limite stabilito. Ugualmente soggiace al principio del cumulo giuridico chi commette più violazioni che, anche in tempi diversi, nella loro progressione pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo. Con la riforma vi è anche stato un riconoscimento generale dell’istituto del ravvedimento operoso, prima previsto,soltanto da disposizioni specifiche in materia di imposte dirette ed IVA. Tale istituto prevede un trattamento sanzionatorio premiale per tutti i trasgressori che, dopo aver commesso la violazione, si adoperino spontaneamente per porvi rimedio, effettuando entro termini stabiliti gli adempimenti omessi o

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regolarizzando quelli eseguiti in modo non conforme alle norme. Il ravvedimento operoso non è più possibile quindi nel momento in cui la violazione è stata già contestata al trasgressore. Il ravvedimento comporta una riduzione della sanzione.

E) Responsabili per le violazioni e responsabili per le sanzioni

L’art. 9 del D.Lgs 472 del 1997 prevede che quando più persone concorrono nella realizzazione di una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. I requisiti indispensabili perché si possa configurare un concorso nelle violazioni tributarie sono: la pluralità di soggetti, la realizzazione di una condotta illecita, il contributo di ciascun soggetto, l’elemento soggettivo. Il contributo di ciascun soggetto può essere sia materiale che morale; ciò che comunque va accertato in ogni caso è l’idoneità di ogni contributo a favorire la violazione. La disciplina del concorso si modifica in tutti i casi in cui la violazione consiste nell’omissione di un adempimento cui sono obbligati più soggetti. In questo caso si prevede l’irrogazione di una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri. Sono previste inoltre delle limitazioni di responsabilità per le violazioni connesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria, tali violazioni sono punibili in capo al consulente solo in caso di dolo o colpa grave. In via residuale si pone la fattispecie dell’autore mediato. Questa si configura quando un soggetto con violenza o minaccia o inducendo altri in errore incolpevole ovvero avvalendosi di una persona che pur temporaneamente è incapace di intendere e di volere, determina la commissione di una violazione, in questi casi egli ne risponde in luogo del suo autore materiale. Una disciplina peculiare è dettata in relazione agli illeciti compiuti da alcuni soggetti titolari di un rapporto qualificato con una persona fisica o giuridica o un’organizzazione. Dagli art. 5 e 11 del D. Lgs 472 del 1997 emerge che nel caso in cui l’autore della violazione abbia agito nell’interesse di un determinato soggetto al quale è legato da un rapporto qualificato, quest’ ultimo è obbligato in solido al pagamento della sanzione irrogata, salvo l’esercizio del diritto di regresso. Poiché vi sia un legame fra l’agente ed il corresponsabile la violazione inoltre deve essere sostanziale vale a dire che deve incidere sul pagamento del tributo e deve essere realizzata nell’adempimento dell’ufficio o del mandato o nell’esercizio di funzioni o incombenze che derivano dal rapporto qualificato. La limitazione opera quando l’agente non abbia agito con dolo o colpa grave, in questo caso la sanzione non può essere superiore ai 100 milioni di lire. Su tale assetto è intervenuto l’art. 7 della Lg. N°326/2003 in base al quale le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società ed enti con personalità giuridica sono a carico della persona giuridica. Ne deriva che nelle ipotesi di illeciti amministrativi commessi da dipendenti, rappresentanti di enti dotati di personalità giuridica che ne risponderà in via esclusiva. Per gli illeciti invece commessi da dipendenti o amministratori di persone fisiche sarà applicata la disciplina dell’art.11. F) I procedimenti applicativi delle sanzioni amministrativeUno degli aspetti della riforma è l’introduzione di un unico sistema di irrogazione delle sanzioni per tutte le violazioni dei tributi. Le sanzioni amministrative e accessorie nel sistema attuale sono irrogate dall’ufficio o ente competente all’accertamento del tributo. Sono previsti 3 procedimenti di irrogazione: uno generale e altri due più specifici. La strutturazione di tali procedimenti è ispirata ai principi di “buon andamento ed imparzialità” dell’attività amministrativa convenuti nell’art. 97 Cost. Per tutti gli atti di irrogazione delle sanzioni è previsto l’obbligo della motivazione nonché l’individuazione di un momento di contraddittorio obbligatorio in fase pre-contenziosa all’interno del procedimento di irrogazione contestazione. Lo Statuto del contribuente nell’art. 6 prevede che l’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto a sua conoscenza da cui possa derivare l’irrigazione di una sanzione. Il procedimento dove meglio si riflettono tali principi è quello di contestazione-irrogazione. Questo procedimento con la notifica di un atto di contestazione contenente l’indicazione dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, dei criteri che si intendono seguire per l’irrigazione della sanzione. Il contribuente ha 3 possibilità:

a) decidere di pagare la sanzione, in questo caso ne consegue l’estinzione della sanzione.b) Presentare delle “deduzioni difensive” in sede amministrativa, per aprire la fase del

contraddittorio pre-contenzioso.c) Impugnare in via giurisdizionale l’atto di contestazione il quale si converte in

provvedimento di irrogazione delle sanzioni. Le tre strade sono autonome tra loro.Più celeri sono i due procedimenti di irrogazione immediata delle sanzioni in quanto la potestà sanzionatoria viene esercitata direttamente con il procedimento di irrogazione delle sanzioni. La prima ipotesi è quella di notifica dell’atto di irrogazione delle sanzioni contestualmente all’avviso di accertamento. In questo caso ci

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sono per il trasgressore due strade da seguire entro sessanta giornia) definizione agevolata delle sanzioni pagando un quarto della sanzione irrogatab) impugnazione del provvedimento dinanzi agli organi giurisdizionali.

Infine vi è il procedimento di irrogazione immediata delle sanzioni mediante la diretta iscrizione al ruolo delle somme dovute. Tale procedimento però può essere utilizzato solo per le sanzioni relative all’omesso o ritardato versamento dei tributi.

G)Estinzione dell’illecito e estinzione della sanzione. Nell’assetto sanzionatorio amministrativo si distinguono le cause di estinzione dell’illecito e le cause di estinzione delle sanzione. Quando si verificano le prime viene meno il comportamento illecito e sono: la definizione agevolata, il ravvedimento operoso, la mancata contestazione della violazione al trasgressoreIl verificarsi delle seconde invece comporta l’estinzione della pretesa sanzionatoria e sono: l’adempimento, la prescrizione, il condono, la morte della persona fisica.La sanzione si estingue in modo naturale con l’adempimento dell’obbligazione. La disciplina sanzionatoria stabilisce un termine di prescrizione e uno di decadenza Questo ultimo circoscrive il periodo temporale entro il quale l’illecito si estingue. La prescrizione invece si riferisce a illeciti già contestati e a sanzioni già irrogate. In tal caso, la sanzione deve essere irrogata entro cinque anni dall’erogazione e in assenza di ciò il credito si prescrive. Un’altra causa di estinzione è il condono. La ratio è quella di consentire a chi ha commesso violazioni di ravvedersi per il passato con l’effetto premiale della non applicazione delle sanzioni. Infine il decesso della persona fisica estingue la sanzione se questa è stata irrogata mentre estingue l’illecito se ancora tale irrogazione non è avvenuta.

H) Cenni sulle violazioni relative ad imposte dirette ed IVAIl legislatore con la riforma ha riformulato le fattispecie sanzionatorie non soltanto perché il settore normativo era estremamente caotico ma soprattutto per coordinare i principi generali formulati all’interno del D. Lgs. 472 del ’97. Il D. Lgs. 471 del ’97 reca le disposizioni sanzionatorie in materia di imposte sui redditi, imposta sul valore aggiunto e relative alla riscossione dei tributi. Fra le violazioni comuni emergono le fattispecie in materia di dichiarazione indicate nelle ipotesi relative alla omessa e infedele dichiarazione. Risponde di omessa dichiarazione chi non adempie all’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi o la dichiarazione IVA. Se tale fattispecie avviene, è prevista una sanzione in misura da determinare fra un minimo ed un massimo previsti dalla norma. Risponde di infedele dichiarazione chi in sede di redazione di dichiarazione dei redditi, dei sostituti di imposte o Iva espone dati non conformi al vero oppure dichiara un reddito imponibile inferiore a quello accertato. Nella dichiarazione dei sostituti di imposta tale fattispecie viene applicata se l’ammontare dichiarato risulta inferiore all’ammontare accertato. La sanzione prevista per tale tipo di illecito è proporzionale all’imposta evasa. Fuori dalle ipotesi indicate, qualsiasi dichiarazione che non sia redatta in conformità con i modelli approvati dal Ministero delle Finanze e dell’Economia soggiace alla sanzione amministrativa residuale da determinarsi fra un minimo e un massimo stabiliti dalla legge. Le altre fattispecie .sanzionatorie si suddividono in due tipologie.

a) Violazioni di obblighi contabili, che consistono nella mancata tenuta o conservazione di scritture contabili, registri o documenti previsti dalla legge.

b) Condotte che ostacolano l’attività amministrativa di accertamento e consistono nel rifiuto di esibire la dichiarazione di mancato possesso, la sottrazione all’ispezione o alla verifica di documenti, registri o scritture contabili, la mancata restituzione di questionari inviati al contribuente, l’inottemperanza agli inviti a comparire.

Queste violazioni sono punibili con sanzioni amministrative da determinarsi fra un minimo ed un massimo. Per quanto riguarda le violazioni IVA ricorrono in tutte quelle ipotesi di violazione di obblighi relativi alla documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni dell’IVA.Per quel che concerne le sanzioni in materia di riscossione sono le fattispecie di omesso versamento e di mancata effettuazione di ritenute alla fonte. Le sanzioni stabilite per questi casi sono proporzionali agli importi non versati per chi non ha effettuato alle scadenze prescritte i versamenti previsti.

I) Cenni sulle violazioni relative ai tributi indirettiIl D. Lgs 473 del ’97 disciplina le sanzioni amministrative in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui costumi. Per comodità cerchiamo di circoscrivere il campo del decreto e le caratteristiche dello stesso.

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Innanzitutto il campo di intervento è riscontrabile nei seguenti tributi:1) imposte sui trasferimenti e l’imposta sul registro, imposta sulle successioni e donazioni, imposta

sull’incremento di valore degli immobili e le imposte ipotecarie e catastali.2) Imposta sulle assicurazioni private, imposta sugli spettacoli, tassa sanzioni previste dal D Lgs.

74/2000 in materia di imposte sui redditi e IVA .3) sanzioni previste per le altre fattispecie, la categoria più importante è quella che va sotto il nome di

contrabbando.Particolare importanza assume la prima categoria. Quindi si prenderanno in esame le singole figure e si analizzeranno le modifiche apportate.

83. Le sanzioni penaliIl sistema sanzionatorio è stato costruito intorno al concetto di dichiarazione annuale dando rilevanza ad una specie di comportamenti antigiuridici afferenti e correlati con la presentazione della dichiarazione annuale. In tal modo si riesce ad individuare il bene giuridico tutelato dalle norme penali-tributarie. Inoltre è importante ricordare che per ciascuna di reato è richiesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione. Le fattispecie delittuose sono contenute nel Titolo II del D. Lgs 74 infatti al Capo I sono riportate le fattispecie di dichiarazione fraudolenta, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione. Il quadro delle fattispecie delittuose viene completato dagli art. 8,10, 11 del Capo II intitolato “ Delitti in materia di documenti e pagamento d’imposte”. Entrambi i capi fanno ricorso all’istituto della soglia numerica di rilevanza penale inoltre la condanna prevista per i reati elencati nel D. Lgs 74 sono elencati nell’art. 12, infatti nel 1° comma sono descritte le pene accessorie che si possono definire comuni a tutti i reati. tra cui. Il 2° comma invece dispone la condanna per i reati previsti negli art. 2,3,8 e comporta l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a 3 anni. Inoltre nel D. Lgs 74 sono riportate anche delle attenuanti indicate negli art. 13,14. L’art.13 stabilisce che qualora il trasgressore abbia provveduto al pagamento del debito tributario la pena comminata viene diminuita fino alla metà. L’art. 14 invece dispone che se i debiti tributari sono estinti per decorrenza o prescrizione, l’imputato di taluni danni può chiedere di pagare una somma di danaro da lui indicato a titolo di equa riparazione recata all’interesse pubblico. L’art. 15 invece riguarda le violazioni dipendenti dall’interpretazione delle norme tributarie e stabilisce che non sono punibili le violazioni di norme tributarie determinate da condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione. Per le competenze per territorio la regola è quella generale del locus commissi delicti. Riguardo ai delitti in materia di dichiarazione il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Se il domicilio è all’estero è competente il giudice del luogo ove è stato accertato il reato. Un ultimo cenno al contrabbando. Tale fattispecie criminosa assai ampia risulta avere un denominatore comune consistente nella condotta di chi sottrae o tenta di sottrarre le merci al pagamento dei diritti di confine cui sono soggette. Questo reato è contenuto nel Capo III del D.P.R. 23 gennaio ’73 che prevede fattispecie a forma vincolata individuando ipotesi di reato di fatti di per sé inoffensivi ma che possono costituire il chiaro intento di evadere dal pagamento. L’art. 292 del T.U. prevede una fattispecie a forma vincolata che punisce qualsiasi condotta idonea a realizzare la sottrazione delle merci dal pagamento dei diritti di confine. Dobbiamo distinguere il contrabbando extraispettivo che si realizza evitando la visita doganale, da quello introspettivo che consiste nella presentazione della merce alla dogana ma con dei chiari intenti di eludere l’accertamento dei doganieri. Il contrabbando è punito con la confisca.

84. Le norme processuali; i rapporti tra processo penale, procedimento di accertamento e processo tributarioLe norme applicate al processo penale tributario sono quelle dettate dal codice di procedura penale..Per ciò che riguarda il luogo, il locus commissi delicti può essere disapplicato qualora non sia possibile individuare il luogo ove sia stato commesso il reato. Ulteriori deroghe sono state previste qualora le fatture e i documenti siano stati emessi o rilasciati in luoghi diversi: nel primo caso il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale e se questo si trova all’estero, competente è il giudice del luogo di accertamento del reato; nel secondo caso competente è il giudice di uno dei luoghi ove la fattura o i documenti sono stati emessi. Secondo quanto previsto dal D. Lgs: 74 del 2000 questi reati sono puniti con pena detentiva inferiore a dieci anni. Il legislatore del 2000 non ha però regolato compiutamente una materia che già in passato aveva creato numerose difficoltà di interpretazione. La disciplina dettata con la L. 4 del

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1929 aveva una sua intrinseca coerenza: essa stabiliva la pregiudiziale tributaria per i reati in materia di imposte dirette il cui accertamento richiedeva la quantificazione dell’evasione attraverso l’applicazione di più o meno complesse regole tributarie, mentre demandava l’accertamento tributario al giudice penale per il contrabbando in cui l’accertamento dei fatti materiali prevaleva sulla loro qualificazione giuridico-fiscale.Con l’introduzione della L.516 del 1982, per i reati in materia di imposte sui redditi ed IVA il processo tributario non poteva essere sospeso in attesa della definizione del giudizio penale. Oggi l’art. 12 L. 516 del 1982 è stato abrogato dall’art. 25 del :.D. Lgs: 74 del 2000. L’unica disposizione rimasta a regolare la materia è l’art.654 del c.p.p. il quale subordina l’efficacia del giudicato penale negli altri giudizi civile ed amministrativi a una serie di condizioni: in primo luogo il giudicato penale può far stato solo nei confronti dell’imputato o della parte civile costituita; in secondo luogo deve conseguire una sentenza emessa a seguito di dibattimento; in terzo luogo nel processo extra penale si deve controvertere “intorno ad un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento deve dipendere dagli stessi fatti che furono oggetto del giudizio penale” e a condizione che i “fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale”. Occorre evidenziare che, secondo il dettato del richiamato art. 654 c.p.p. le sentenze del giudice penale che possono far stato nel processo tributario non possono essere emesse a seguito di pronuncia di giudizio abbreviato.Il problema dell’efficacia del giudicato tributario nel processo penale era stato risolto dall’art.479 del Codice di procedura del 1988 che sancisce espressamente l’indifferenza tra i due processi così che il giudicato tributario, emesso in presenza di rilevanti limitazioni alla prova, potrà assumere nel processo penale soltanto il rilievo di prova atipica, ma non certa piena. Per quanto attiene ai rapporti di procedimenti, il 2° comma dell’art. 12, L. 516 del 1982 interveniva a regolare il procedimento applicativo del tributo, stabilendo che in base ai fatti materiali accertati dal giudice penale, gli allora uffici delle imposte sui redditi e dell’IVA, potevano modificare o revocare gli accertamenti già notificati nonché irrogare le pene pecuniarie che erano previsti per i fatti stessi. Con l’abrogazione espressa dell’intero art. 12 si ritiene che, in assenza di una disposizione specifica, possa trovare applicazione l’art. 4 della L.20 marzo 1865 n.2248, all. E, che impone agli uffici finanziari di conformarsi al giudicato dei tribunali.Rimangono ora da esaminare i rapporti tra i due processi con riguardo all’efficacia nell’un processo delle prove acquisite nell’altro.Il codice di procedura del 1988 accentua l’affermazione dell’autonomia tra i due giudizi anche quanto alle regole di acquisizione del materiale probatorio. L’art. 220 delle disposizioni di attuazione prevede che “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice.” Si ritiene quindi che siano acquisibili agli atti del processo penale quegli elementi di prova che siano stati rinvenuti precedentemente all’insorgere degli indizi di reato e trasmessi unitamente alla denuncia e alla comunicazione della notizia di reato. Per quanto riguarda l’ipotesi inversa della utilizzabilità in campo tributario del materiale probatorio acquisito in sede penale, il D.Lgs. 74 del 2000 con l’art. 23 ha modificato gli art.63, 1° comma, del D. P.R. 633 prevedendo espressamente che l’autorità giudiziaria possa concedere l’autorizzazione all’invio dei documenti, dei dati e delle notizie agli uffici amministrativi “anche in deroga all’ art. 329 del codice di procedura penale”. In secondo luogo possono entrare a far parte del processo tributario gli atti acquisiti al fascicolo del processo penale una volta che il segreto istruttorio non sia più operante.

Capitolo VI

IL CONTENZIOSO

85. La tutela giurisdizionale nel diritto tributarioNel processo tributario la legge si occupa di garantire la tutela dell´interesse pubblico al prelievo, limitando la tutela del contribuente e la ricostruzione probatoria del fatto controverso. Questa è la caratteristica pregnante della fattispecie tributaria, dove l´interesse pubblico alla regolare percezione dei tributi finisce per avere grande importanza.

86. L’evoluzione del sistema del contenzioso tributario.L´assetto attuale della tutela del cittadino nei confronti del fisco è il punto d´arrivo di una lunga evoluzione iniziata con la LEGGE 2248 del 1865. Prima di questa la disciplina della tutela giurisdizionale in

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materia di tributi erariali era contrassegnata dalla distinzione tra:1. IMPOSTE DIRETTE: colpiscono direttamente la capacità economica del soggetto contribuente passivo; sono caratterizzate da una stretta connessione tra presupposto e base imponibile; sono prerogative dell´amministrazione; per queste imposte era prevista una disciplina processuale mista (giudice speciale e giudice ordinario, quest´ultimo solo per questioni non attinenti all´estinzione semplice)2. IMPOSTE INDIRETTE: colpiscono una manifestazione indiretta della capacità economica: ha come presupposto fatti indicati dal legislatore quali sintomi o indici di ricchezza; sono considerate di carattere giuridico: sono prerogative del giudice ordinario dopo una fase contenziosa in sede amministrativa.

La LEGGE 2248 del 1865 abolì i tribunali del contenzioso amministrativo non abolendo però le COMMISSIONI TRIBUTARIE, organi amministrativi per l´accertamento dell´imposta. Tale legge però precludeva l´azione civile in materia tributaria senza i presupposti: a. della pubblicazione dei ruoli dell´impostab. del pagamento dell´imposta controversa

Comunque il sistema previsto dalla legge del 1865 si era andato consolidando con il processo di GIURISDIZIONALIZZAZIONE della commissione tributaria.Le commissioni erano articolate in tre gradi:1. distrettuali2. provinciali3. commissione centraleA queste si aggiungeva il giudizio dinnanzi al giudice ordinario1. tribunale2. corte d´appello3. cassazione

87. I rapporti tra la disciplina del contenzioso e le norme costituzionali sulla giurisdizione.Con l´entrata in vigore della Costituzione bisognò fare un riscontro di costituzionalità della disciplina del processo tributario per evitare vuoti normativi in relazione ai principi propugnati dall´ art 102 (unità di giurisdizione divieto di restituzione di NUOVI GIUDICI SPECIALI)- 103 cost (conservazione di alcuni giudici speciali amministrativi). [corte costituzionale: commissione organi amministrativi; corte di cassazione: commissione organi giurisdizionali]

88. Il sistema del contenzioso nella riforma tributariaTale era il sistema quando intervenne la legge delega per la riforma tributaria nel 1971 in base alla quale fu emanato il D.P.R. M 636 del 1972 dedicato alla revisione della disciplina del contenzioso.La corte costituzionale modificò il suo orientamento statuendo la natura giurisdizionale delle commissioni e la loro conformità al dettato costituzionale dopo la riforma.Con la riforma il processo era suddiviso in cinque gradi di giudizio:1. commissione di primo grado2. commissione di secondo grado3. commissione tributaria centrale 4. corte d´appello5. cassazioneLa disciplina del processo tributario contenuta nel D.P.R 636 del 1972 presentava difetti e lacune. Non vi erano la tutela cautelare, l´obbligo di assistenza tecnica, il tecnicismo dei componenti delle commissioni, per cui si sentiva l´esigenza di una riforma, realizzata sul piano normativo nel 1992 ma divenuta operante nel 1996. Tale riforma prese avvio dall´art 30 della legge M 413 del 1990 con cui il Parlamento delegò il Governo a riformare le commissioni ed il processo. Alla delega sono seguiti i decreti legislativi 545 e 546 del 1992 concernenti l´ordinamento delle commissioni ed il processo tributario. Sono state istituite le commissioni tributarie provinciali e regionali; il giudizio si articola in due gradi di merito (commissione) e uno di legittimità (cassazione).

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89. Le commissioni tributarieIl DECRETO LEGISLATIVO 545 DEL 1992 contiene norme in materia di ordinamento delle norme tributarie.Art. 1 Le commissioni tributarie si articolano in PROVINCIALI (con sede in ogni capoluogo della provincia) e REGIONALI (con sede i ogni capoluogo di regione). Nelle province autonome di Trento e Bolzano sono istituite commissioni di I e di II grado cui si applicano le disposizioni concernenti le commissioni provinciali e regionali (compatibili con le disposizioni di legge e lo statuto regionale). L´individuazione delle commissioni provinciali e regionali, il numero delle sezioni è stabilito dalle tabelle allegate A e B.Art. 2 Il collegio giudicante è formato da tre membri ed il presidente della commissione è sempre un magistrato. Il giudizio di primo grado si svolge sempre dinnanzi ad un giudice singolo per alcune controversie di minore importanza dove il ricorrente ha necessità di difendersi da solo e la cui trattazione avviene sempre in forma pubblica.Tranne che in questo caso la commissione dell´organo collegiale non differisce da quella del grado successivo. Varia solo il sistema di reclutamento dei giudici, competenza di un apposito organo: CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA.Art. 24 Delibera sulle nomine e in ogni altro provvedimento riguardante i componenti della commissione tributariaArt. 9 La nomina avviene con decreto del presidente della Repubblica su proposta del ministro previa deliberazione del consiglio di presidenza secondo l´ordine di collocazione negli elenchi.Importante è anche il trattamento economico nel sistema previgente: giudici a cottimo venivano pagati in base alla quantità di decisioni; oggi compenso mensile fisso più un aggiuntivo per ogni ricorso deciso.Art. 14 Ai componenti delle commissioni si applicano le disposizioni della LEGGE N 117 del 1988 cncernente il risarcimento per danni cagionati nell´esercizio delle funzioni giurisdizionali. Art. 2 suddetta legge, colpa grave o dolo, agire contro lo stato per risarcimento danni.VIGILANZA e SANZIONI DISCIPLINARI: al fine dell´imparzialità del giudizio, nell´art 6 D.LGS 546 del 1992 sono richiamati gli istituti dell´ASTENZIONE e della RICUSAZIONE art 51 - 52 c.p.c in quanto compatibili.

90. La giurisdizione delle commissioni tributarieLa dottrina distingue i limiti della giustizia tributaria in: 1. ESTERNI con riferimento alla materia tributaria devoluta alla competenza delle commissioni costituite dalle materie indicate dall´ART. 2 d.lgs 546 del 1992 :" E´ alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie". Il Tributo è un prestazione patrimoniale, un´imposta caratterizzata dall´attitudine a concorrere alle spese pubbliche. Competenza in materia di: sovrimposte, imposte addizionali, sanzioni amministrative, escluse le controversie riguardanti gli atti della sanzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento. Appartengono alla competenza delle commissioni le controversie promosse da singoli possessori concernenti delimitazione, classamento dei terreni ed altre controversie in materia catastale.2. INTERNI tipo di azioni esperibili nell´ambito di tale materia, attengono al fatto che la lite deve avere, come parte necessaria, l´ente impositore del tributo (parte resistente) e che la controversia deve stanziarsi contro un atto inquadrabile fra quelli elencati all´ART 19, ATTI IMPUGNABILI. Essi possono essere :o AUTONOMAMENTE IMPUGNABILI (espressamente enumerati): avviso di accertamento, avviso di liquidazione, provvedimento che irroga sanzioni, iscrizioni a ruolo e cartelle di pagamento, avviso di mora, atti delle operazioni catastali. Va detto che gli atti autonomamente impugnabili possono essere impugnati solo per vizi propri.o NON IMPUGNABILI AUTONOMAMENTE (non espressamente indicate): il contribuente deve attendere che gli venga notificato un atto impugnabile e proporre ricorso contro entrambi

91. Il giudizio dinanzi la commissione provinciale tributaria.Art. 3 d. leg. 546 del 1992 DIFETTO DI GIURISDIZIONEPrima di decidere il merito il giudice deve verificare se la causa è alla sua giurisdizione.Il difetto di giurisdizione è rilevato d´ufficio in ogni stato e grado del processo. È esperibile il regolamento preventivo di

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giurisdizione: sospende il giudizio e lo rimette alla Cassazione (art. 41 c.p.c)

Art. 4 d. leg. 546 del 1992 COMPETENZALa competenza territoriale delle commissioni tributarie provinciali è determinata dalla sede dell´ufficio o ente che ha emesso l´atto che si impugna. Le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni delle decisioni delle commissioni tributarie provinciali.

Art. 5 d. leg. 546 del 1992 INCOMPETENZALa competenza territoriale delle commissioni tributaria è inderogabile. L´incompetenza è rilevabile d´ufficio soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce. Se la commissione si dichiara incompetente deve indicare il giudice competente (TRASLATIO IUDICIS), se la causa è riassunta dinnanzi al nuovo giudice la questione sulla competenza non può essere più messa in discussione. La riassunzione del processo davanti alla commissione competente deve essere fatta entro il termine indicato nella sentenza o entro sei mesi da questo, o entro sei mesi da questa, altrimenti il procedimento si estingue (l´atto è definitivo). (Nel processo d´appello se l´atto si estingue passa in giudicato la sentenza di primo grado)

Art. 10 d. leg. 546 del 1992 Sono parti del processo dinnanzi le commissioni tributarie: o Il ricorrente (contribuente sostituto d´imposta)o Il resistente, ossia il soggetto che ha emesso l´atto che si impugna. (uffici dell´entrate, enti locali, concessionari della riscossione)

Al processo tributario posso partecipare oltre al ricorrente e al resistente anche altri soggetti. Ai sensi dell´articolo 14 ciò avviene quando l´oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti che devono fare tutti parte dello stesso processo e quando la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi (LITIS CONSORZIO NECESSARIO). Nel diritto tributario è difficile individuare casi nei quali si ha una situazione soggettiva inscindibilmente plurilaterale (un caso potrebbe essere la lite per il rimborso di ritenuti, secondo la giurisprudenza. al processo devono partecipare sia il sostituto che il sostituito). Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti è ordinata l´integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa nel termine stabilito (art. 14 II comma). Il terzo comma introduce l´intervento volontario in un processo già pendente.Inoltre devono ritenersi applicabili nel processo tributario gli art. 103 (RICORSO COLLETTIVO - più soggetti, obbligati in solido, impugnano lo stesso atto con un unico ricorso), e 104 del c.p.c. ( RICORSO CUMULATIVO - quando con un unico riscorso sono impugnati più atti).

Si ha LITIS CONSORZIO FACOLTATIVO quando la partecipazione di altri soggetti è una possibilità ma non una necessità. Può sorgere dal fatto che:

89 altri soggetti intervengono in un processo già instaurato; 90 sono chiamati in giudizio (integrazione del contraddittorio)

Art. 12 ASSISTENZA TECNICALe parti devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato. Sono abilitati i soggetti iscritti ad albi professionali indicati al secondo comma. Il processo tributario è ad impulso di parte.

Ci sono tre fasi del processo tributario:introduzione, istruzione e decisioni

INTRODUZIONE: ai sensi dell´art. 18 ai sensi del d.l.g.s 546 del 1992 l´atto introduttivo del processo tributario ad impulso di parte è il ricorso avente contenuto tipico e diretto a consentire al giudice tributario l´accertamento del regime giudico del rapporto d´imposta enunciato da tale atto. Il ricorso è proponibile verso gli atti indicati dall´art 19 nel termine di 60 giorni dalla notificazione.Il ricorso deve contenere l´indicazione:o Della commissione adita

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o Del ricorrente e del suo legale rappresentanteo Del soggetto contro cui il ricorso è propostoo Dell´atto impugnato e dell´oggetto di domandao Dei motivi o La sottoscrizioneDeve essere indicato l´oggetto del processo che si compone di: petitum (oggetto della domanda) e causa petendi (motivo del ricorso). Il petitum è il provvedimento che si chiede al giudice, per esempio nei processi di impugnazione quando si chiede l´annullamento di un provvedimento oppure nei processi di rimborso quando si chiede al giudice l´accertamento del credito contro la P.A e condanna l´amministrazione.La causa pretendi nei processi di impugnazione indica il vizio dell´atto che si impugna, in quelli di rimborso indica il fatto dal quale scaturisce il decreto di rimborso. Il ricorso è inammissibile se manca uno di questi elementi. L´inammissibilità è rilevata in ufficio in ogni stato e grado del processo. Il ricorso assolve funzione di edictio actionis (domanda di tutela -> il giudice non ha il potere di decidere su cose non chieste) rispetto al resistente assolve funzioni da vacatio in ius (chiamare in giudizio). Per dare avvio al processo il ricorso deve essere portato a conoscenza della controparte mediante notificazione e del giudice mediante notificazione in giudizio (doppiamente recettizio). La notifica può avvenire in tre modi: mediante ufficiale giudiziario, consegna a mano dell´atto della controparte oppure a mezzo posta ( la ricevuta di spedizione perfeziona la notifica)La notifica del ricorso deve essere fatta entro 60 giorni dalla notifica dell´atto contro cui si ricorre a pena di inammissibilità.Per i ricorsi proposti contro il rifiuto tacito di restituzione non è previsto alcun termine di decadenza. Dopo aver presentato il ricorso si deve avere la ricostituzione del ricorrente entro 30 giorni che avviene mediante deposito. La commissione viene investita dell´esame del ricorso solo a seguito del deposito in segreteria del ricorso in sede di costituzione del ricorrente entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso sotto pena di inammissibilità. Il fascicolo deve contenere il ricorso e i documenti probatori (documenti che provano la notifica e la prova del documento impugnato).La parte resistente a sua volta deve costituirsi in giudizio depositando il fascicolo (con controdeduzioni e documenti). La mancata costituzione in giudizio del ricorrente rende inammissibile il ricorso. La costituzione in giudizio del resistente non è essenziale.

TRATTAZIONE Alla costituzione in giudizio di una delle due parti ci sono delle attività di esame da parte del presidente della sezione circa l´ammissibilità del ricorso. Se questo è inammissibile il presidente dichiara l´inammissibilità con decreto. Se l´esito è positivo viene fissata l´udienza di trattazione e le parti devono essere avvisate almeno 30 giorni prima. La trattazione della controversia può avvenire:o In pubblica udienza: deve essere richiesta da una delle parti con istanza da depositare in segreteria e da depositare con le altre parti almeno 10 giorni prima dell´udienza. (NB può essere inserita la proposta di conciliazione della lite dopo la relazione dei componenti del collegio dei giudicanti, le parti sono ammesse alla discussione, la decisione è deliberata in camera di consiglio.)o In camera di consiglio: la trattazione avviene in modo non pubblico e senza la partecipazione delle parti. Il giudice deve decidere su questioni di diritto, le questioni di fatto sono risolte attraverso prove precostituite

ISTRUTTORIE IN SENSO STRETTOSe le iniziative probatorie delle parti non sono sufficienti a formare il convincimento del giudice sui fatti controversi è lo stesso giudice che può assumere iniziative istruttorie (fase dell´istruzione in s.s) Le commissioni tributarie posso acquisire dati e informazioni ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalla parti. (NB Le commissioni non hanno poteri istruttori aggiuntivi ma secondari, con funzioni integrative rispetto agli apporti probatori delle parti).Le decisioni si basano solo sulle prove dedotte dalle parti. Nel processo tributario sono esclusi il giuramento e la testimonianza; è un processo essenzialmente scritto e documentale. La confessione non è espressamente disciplinata ma la maggior parte della dottrina nega che abbia efficacia probante non per il carattere inquisitoria del processo tributario ma per l´indisponibilità delle situazioni soggettive controverse. Chi vuol far valere il diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituisce il fondamento.

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Inversione dell´onere della prova -> quando il giudice pur avendo acquisito nuovi elementi non è sicuro della decisione;Presunzioni semplici -> costanti in gran parte dei processi tributari;

DECISIONEIl processo tributario si conclude con un atto (la sentenza) nel quale il collegio definisce il giudizio. Nel processo tributario le spese di lite sono al carico del soccombente: chi perde paga; sono liquidate con la sentenza, ma vi può essere anche compensazione delle spese (risarcimento del danno per responsabilità approvata. La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella segreteria ->per effetto della pubblicazione la sentenza acquista rilevanza giuridica per cui vincola le parti.Per il contenuto distinguiamo sentenze:1. a carattere processuale: possono riguardare il difetto di giurisdizione o l´incompetenza territoriale della commissione adita.2. di merito o di accoglimento o di rigetto

92. I procedimenti specialiAlcuni particolari istituti che incidono sul consueto svolgimento del processo sono:1. SOSPENSIONE (arresto temporaneo del processo):o Necessaria -> quando viene presentata querela di falso o quando deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo STATUS o capacità delle persone. È dichiarata con ordinanza: non possono essere compiuti atti del procedimento. Entro sei mesi cessata la causa di sospensione deve essere presentata istanza di trattazione.o Impropria quando è sollevata una questione di costituzionalità o una questione di interpretazione, di norme comunitarie.2. INTERRUZIONE si ha quando, dopo la proposizione del ricorso, si verifica il venir meno, per morte o non capacità, di una delle parti o del difensore. L´interruzione si ha solo quando l´evento è dichiarato in sede processuale.3. ESTINZIONE ART 44, 45, 46 per rinuncia al ricorso, per inattività delle parti, per cessazione di materia da contendere.

Ai sensi dell´art 47 è possibile applicare procedimenti cautelari al processo tributario: il ricorrente può chiedere, nel ricorso o con un atto separato, la sospensione dell´atto impugnato (es. avviso di accertamento -> sospensione per evitare che l´Amministrazione proceda ad iscrizione a ruolo).Il potere di sospendere l´esecuzione spetta alla commissione provinciale e per ottenere la sospensione dell´atto impugnato devono sussistere due presupposti:o Fumus boni iuris: fondatezza delle ragioni dedotte dal ricorrente per contrastare la pretesa fiscaleo Periculum in mora: pericolo che un danno grave ed irreparabile possa gravare in capo al contribuente (stato di insolvenza, mina il minimo vitale).La decisione sulla domanda cautelare spetta alla commissione, la quale decide la camera di consiglio dopo aver sentito le parti ed aver deliberato il merito. La pronuncia assume forma di ordinanza e non può essere impugnata.Commissione tributaria provinciale -> dottrina che necessita di una fase cautelare anche nel giudizio di secondo grado.Commissione regionale -> provvedimenti di irrogazione di sanzioni.Sembra banale che la sospensione cautelare possa essere applicata per atti non dotati di una forza esecutiva.

GIUDIZIO DI OTTEMPERANZAOltre che con il processo esecutivo ordinario il creditore dell´Amministrazione può tutelarsi davanti alla commissione finanziaria promuovendo un apposito giudizio di ottemperanza, rivolta ad intervenire qualora vi sia inerzia amministrativa nell´adempimento delle obbligazioni nascenti (art 70)

CONCILIAZIONE GIUDIZIALE art 48

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Istituto diretto alla prevenzione del contenzioso mediante una particolare procedure. L´art non prevede particolari presupposti, limitandosi a stabilire le ragioni di carattere procedurale. Può avere luogo solo davanti alla commissione tributaria provinciale e non oltre la prima udienza.Per la procedura distinguiamo due tipologie di esperimento:CONCILIAZIONE 1. FUORI UDIENZA quando l´ufficio deposita la proposta di conciliazione cui la parte ha già aderito, prima della trattazione, decreto = estinzione2. IN UDIENZA su proposta di una delle parti o della commissione. Se la conciliazione ha luogo viene redatto un verbale contenente imposte, sanzioni, accordi, interessi.Il perfezionamento si verifica col pagamento entro 20 giorni dal decreto o dalla data di redazione del procedimento verbale.

93. Il sistema delle impugnazioni Strumenti posti a disposizione della parte soccombente al fine di consentire di rimuovere gli effetti pregiudiziali.I mezzi di impugnazione provocano una nuova sentenza e devono essere distinti in due tipi fondamentali:o IMPUGNAZIONI RESCINDENTI mero annullamento della sentenza impugnata (cassazione); oggetto: sentenza impugnata; motivi: vizi della sentenza.o IMPUGNAZIONI SOSTITUTIVE pronuncia che sostituisce la sentenza impugnata (appello); oggetto: oggetto di giudizio del grado precedente; motivi: non predeterminati.

L´art 49 richiama le norme del c.p.c sulle impugnazioni in generale escluso l´art 337.Nel decreto leg 546 del 1992 vi è una indicazione dei mezzi di impugnazione e dei termini per ricorrere. I mezzi di impugnazione sono:a. Appello della commissione Tribunale Regionaleb. Ricorso per cassazionec. RevocazioneE´ legittimato ad impugnare colui che è stato parte nel processo che ha originato la sentenza oggetto dell´impugnazione.E´ ammissibile l´impugnazione proposta dal successore a titolo universale e particolare nel diritto controverso.

EFFETTO DEVOLUTIVO Le deduzioni ed i materiali acquisiti passano dal giorno successivo.Le sentenze della Commissione Tributaria provinciale possono essere appellate con ricorso alla commissione tribiutaria regionale entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado. Nel procedimento di appello si osservano le norme dettate per il primo grado.Contro le sentenze della commissione Regionale è proponibile il ricorso per Cassazione. La Cassazione può rinviare alle Commissione Tributaria regionale o provinciale quando accerta anomalie di giudizio.

REVOCAZIONE Mezzo straordinario di impugnazione in quanto presuppone la non impugnabilità della decisione e rimuove l´efficacia del giudicato. Il ricorso per revocazione si propone allo stesso giudice che ha emesso la sentenza che si impugna.

Può essere:ORDINARIA proposta per vizi che possono essere rilevati dalla stessa sentenza entro 60 giorni da notifica della sentenza.STRAORDINARIA proposta per vizi occulti entro 60 giorni dalla scoperta del vizio.

Le sentenze di primo grado sono soggetti solo a revisioni STRAORDINARIE; quelli di secondo grado sia per REVISIONE ORDINARIA che STRAORDINARIA perché su vizi relativi al giudizio sul fatto non può

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porre rimedio il ricorso per cassazione.Le Garanzie del credito imposta

Anche l’obbligazione tributaria può essere assistita da garanzie che assicurino il soddisfacimento del diritto di credito dell’ente impositore, nelle ipotesi in cui i soggetti passivi non vogliono o non possono adempiere volontariamente all’obbligazione. A tale scopo la legge tributaria può rafforzare il diritto di credito dell’ente impositore, dando a questo il diritto o la facoltà di chiedere al contribuente la prestazione di una garanzia supplementare ( fideiussione o deposito cautelare ); la forma di garanzia più frequente ed efficace è l’istituto del privilegio generale e speciale. I privilegi sono disciplinati in via generale dal codice civile e in numerose leggi d’imposta; in mancanza di norme speciali si applica ai privilegi tributari anche l’art 2749 del codice; la distinzione tra privilegi generali e speciali dipende dall’oggetto su cui cade la prelazione. I primi si esercitano su tutti i beni mobili del debitore, i secondi colpiscono determinati beni mobili ed immobili del debitore vincolandoli al creditore. L’istituto del privilegio può avere una funzione diversa del garantire il credito dell’ente impositore infatti questo istituto era già presente nel codice civile per realtà generali. Un altro strumento di garanzia della riscossione dei crediti d’imposta sono le misure cautelari, l’ipoteca e il sequestro conservativo, disciplinate dall’art 22 del decreto legislativo 472/1997. la misura cautelare a carattere generale prevista dall’ultimo comma dell’art 69 Rd 8/11/1923 N.2440 è denominato fermo amministrativo le cui modalità sono disciplinate dall’art 23 del decreto 472/1997.

I Soggetti passivi

L’imputazione al soggetto dell’obbligo di richiedere la registrazione deve partire dall’osservazione della non coincidenza tra i soggetti obbligati al pagamento dell’imposta con quelli effettivamente incisi dal tributo. La legge elenca i soggetti obbligati a richiedere la registrazione ( 2 punti sul libro ). L’obbligo di provvedere alla registrazione comporta quello del pagamento dell’imposta liquidata dall’ufficio. ( Art 57. soggetti tenuti al pagamento; Art 58 surrogazione all’amministrazione ).

La Registrazione degli atti

La registrazione consiste nell’annotazione dell’atto o della denuncia in appostiti registri con le indicazioni stabilite dalla legge ( 16 terzo comma e 17 ); le modalità della registrazione variano a seconda della natura degli atti ( art 11-12 ). L’art 9 individua l’ufficio competente ad eseguire la registrazione; la presenza di diversi presidi normativi garantisce l’assolvimento dell’obbligo; la progressiva diffusione di forme di registrazione per via telematica degli atti relativi a diritti sugli immobili comportano l’autoliquidazione del tributo da parte del notaio.

La Base Imponibile

L’imposta è liquidata dall’ufficio mediante l’applicazione dell’aliquota, indicata nella tariffa, alla base imponibile. Il titolo quarto del dpr 131/1986 contiene i criteri dettati per la determinazione della base imponibile. In linea di principio è costituita dal valore del bene o del diritto oggettivo dell’atto sottoposto a registrazione. Criteri di identificazione del valore si rinvengono unicamente per gli atti che hanno ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli aventi per oggetto aziende o diritti reali su di esse. Esigenze di limitazione del contenzioso da accertamento di maggior valore hanno consigliato l’introduzione di un limite al potere di rettifica del valore dei beni immobili. Gli immobili non censiti in catasto con attribuzione di rendita art 12 L. 13 maggio 1988 n 154

L’applicazione dell’imposta

È di fatto legata alla qualifica giuridica dell’atto poiché la tariffa allegata alla legge di registro elenca diverse categorie giuridiche di atti alle quali di volta in volta si applicherà l’imposta in misura proporzionale con l’aliquota corrispondente al singolo atto. L’art 20 del T.U. contiene regole fondamentali; nell’ipotesi di un contrasto tra gli effetti giuridici e il titolo o la forma apparente viene dichiarata l’assoluta prevalenza dei primi. L’art 21 dispone per gli atti che contengono più disposizioni. L’imposta risulta applicabile anche agli atti nulli o annullabili art 38. In coerenza al principio generale dell’applicazione dell’imposta secondo gli effetti giuridici dell’atto , la legge di registro prevede specifici criteri di imposizione con riguardo a

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determinate categorie di atti ( a, b, c, libro ). Inoltre la stella legge reca alcune disposizioni volte ad impedire che le parti possano ottenere i medesimi effetti giuridici adottando negozi fisicamente meno onerosi di quelli ordinariamente usati. Vi sono poi determinati **equiparati ad altri ai fini di evitare l’evasione.

La liquidazione e la riscossione

Il procedimento di riscossione dell’imposta di registro è disciplinato nel titolo V del DPR 131/1986; ( l’art 41 disciplina la liquidazione dell’imposta ). Il pagamento del tributo deve essere contemporaneo alla registrazione dell’atto. Costituisce deroga all’obbligo di pagamento dell’imposta al momento della registrazione la disposizione che consente la registrazione a debito di determinati atti per i quali lo Stato si riserva di riscuotere il tributo o di rinunciare ad esso in modi e tempi stabiliti. Sulle somme dovute è riconosciuto allo stato il privilegio che si estingue con il decorso di 5 anni dalla dati di registrazione. Per quanto riguarda la riscossione delle imposta complementari e suppletive si fa riferimento all’art 42. la riscossione coattiva tramite ruoli è ormai prevista anche per l’imposta di registro, il credito per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni.

Le sanzioni

Il Sistema delle sanzioni è stato oggetto di riforma. Attualmente la legge punisce ( vedi tre punto sul libro ). Il termine di decadenza è di 5 anni.

Le Origini

La nascita di questo tributo è dovuta all’esigenza che lo Stato ha avuto, con il diffondersi della civilizzazione, di intervenire negli atti giuridici della vita privata al fine di tutelare i diritti dei terzi. Questo tributo nella sua evoluzione ha perso il carattere di Tassa e ha acquistato quello di imposta; negli ultimi anni è stato sottoposto a molte riforme.

L’oggetto dell’Imposta.

Quest’imposta ha una stretta connessione con l’attività di registrazione, negli atti soggetti a registrazione è la stessa formazione dell’atto a determinare il sorgere dell’obbligo di registrazione che genera l’obbligazione tributaria. Per gli atti a registrazione volontaria opera una sorta di assimilazione agli atti a registrazione obbligatoria. Gli atti soggetti a registrazione possono dividersi in quattro categorie a seconda dell’esistenza:

1 Di un documento scritto;2 Di un contratto verbale di particolare rilevanza economica;3 Di un’operazione riguardante società o enti esterni posti in essere nello Stato;4 Di un atto formato all’estero che riguarda beni immobili nel territorio dello Stato.

Nella categoria degli atti soggetti a registrazione la legge distingue poi tra atti soggetti a registrazione in termine fisso e in caso di uso, nei primi è stabilito l’obbligo di richiedere la registrazione entro termine stabiliti, per i secondi la registrazione costituisce un onere cui è subordinato l’utilizzo dell’atto. Fra gli atti soggetti a registrazione solo in caso di uso sono compresi gli atti formali per corrispondenza e le scritture private non autenticate ad operazioni soggettive come l’IVA. La legge prevede che alcuni atti non siano soggetti a obbligo di registrazione in nessun caso.

Il Presupposto dell’imposta

Ci sono tre teorie fondamentali sull'imposta di registro; secondo quella più recente il presupposto deve essere individuato nella formazione di uno degli atti soggetti a registrazione ai sensi del Dpr 131/1986 e della tariffa allegata. il successivo tentativo di superamento di questa tesi fa consistere il presupposto nella mera effettuazione della registazione. vi è poi una teoria intermedia che distingue tra gli atti soggetti a registrazione in termini fissi per i quali il presupposto risiedeva nella stipulazione dell'atto o negozio, e tutti gli altri casi, per i quali il presupposto risulta nella richiesta di registrazione.