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Facoltà di Teologia Biblica “Gesù è il Signore” PANORAMA DELL’ANTICO TESTAMENTO Corso a cura di Geoffrey Allen, Ernesto D. Bretscher, Emilio Ursomando INTRODUZIONE GENERALE ALL’ANTICO TESTAMENTO Perché è importante conoscere l’Antico Testamento? Molti credenti, purtroppo, hanno poca dimestichezza con questa prima è più voluminosa parte della Bibbia, e magari la considerano poco importante e superata. Ci sono invece parecchi motivi per cui è importante leggerla, studiarla e familiarizzarci con essa. Altri invece la trovano di difficile comprensione perché non sono in possesso delle informazioni necessarie per superare la distanza di tempo e di cultura che ci separa dal suo mondo, e delle chiavi di lettura e d’interpretazione che ne liberano i tesori. Ecco alcuni dei motivi per cui è importante per ogni credente conoscere l’Antico Testamento: 1. Perché “OGNI Scrittura è ispirata da Dio e utile…” (2Tim 3:16) Ricordiamo che la “Scrittura” di cui parla questo testo è l’Antico Testamento, dal momento che il Nuovo era ancora in corso di composizione e comunque non era ancora pienamente riconosciuto come Parola ispirata di Dio. 2. Perché l’Antico Testamento è la Bibbia di Gesù e degli apostoli. Infatti: Gesù lo cita come autorevole contro gli avversari: “Non avete letto che…?” ( Mt 12:3,5; 19:4; 22:31), e dichiara: “La Scrittura non può essere annullata” e che “la tua Parola è verità” (Gv 10:35, 17:17); cita in particolare come autorevoli i brani oggi più contestati e derisi come “miti”: la creazione diretta di Adamo e di Eva da parte di Dio; il diluvio universale e l’arca di Noè; la distruzione di Sodoma e Gomorra; Giona nel ventre del pesce; ecc. lo usa per sconfiggere le tentazioni di Satana (Mt 4:4-10), con tre citazioni dal libro del Deuteronomio; da essa trae i due “grandi comandamenti” (rispettivamente dal Deuteronomio e dal Levitico); nel Nuovo Testamento si dichiara che molti eventi si sono verificati “affinché la Scrittura fosse adempiuta…”; gli autori del Nuovo Testamento lo citano dicendo: “Come dice lo Spirito Santo…” (Eb 3:7). 3. Perché è necessario conoscerlo per capire molte cose nel Nuovo Testamento. Alcuni (pochi) esempi: il significato della Pasqua ebraica, spesso menzionata; il rito della circoncisione; il “voto” di Paolo (Atti 18:18), comprensibile solo a chi conosce la legge del nazireato (Num. 6:2-21); la menzione del “Digiuno” (giorno dell’espiazione o Yom Kippur, celebrato in autunno, Atti 27:9); personaggi quali Abramo, Davide e molti altri; ecc. ecc.

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Facoltà di Teologia Biblica “Gesù è il Signore”

PANORAMA DELL’ANTICO TESTAMENTO

Corso a cura di Geoffrey Allen, Ernesto D. Bretscher, Emilio Ursomando

INTRODUZIONE GENERALE ALL’ANTICO TESTAMENTO

Perché è importante conoscere l’Antico Testamento? Molti credenti, purtroppo, hanno poca dimestichezza con questa prima è più voluminosa parte della Bibbia, e magari la considerano poco importante e superata. Ci sono invece parecchi motivi per cui è importante leggerla, studiarla e familiarizzarci con essa.

Altri invece la trovano di difficile comprensione perché non sono in possesso delle informazioni necessarie per superare la distanza di tempo e di cultura che ci separa dal suo mondo, e delle chiavi di lettura e d’interpretazione che ne liberano i tesori.

Ecco alcuni dei motivi per cui è importante per ogni credente conoscere l’Antico Testamento:

1. Perché “OGNI Scrittura è ispirata da Dio e utile…” (2Tim 3:16)

Ricordiamo che la “Scrittura” di cui parla questo testo è l’Antico Testamento, dal momento che il Nuovo era ancora in corso di composizione e comunque non era ancora pienamente riconosciuto come Parola ispirata di Dio.

2. Perché l’Antico Testamento è la Bibbia di Gesù e degli apostoli. Infatti:

• Gesù lo cita come autorevole contro gli avversari: “Non avete letto che…?” ( Mt 12:3,5; 19:4; 22:31), e dichiara: “La Scrittura non può essere annullata” e che “la tua Parola è verità” (Gv 10:35, 17:17);

• cita in particolare come autorevoli i brani oggi più contestati e derisi come “miti”: la creazione diretta di Adamo e di Eva da parte di Dio; il diluvio universale e l’arca di Noè; la distruzione di Sodoma e Gomorra; Giona nel ventre del pesce; ecc.

• lo usa per sconfiggere le tentazioni di Satana (Mt 4:4-10), con tre citazioni dal libro del Deuteronomio;

• da essa trae i due “grandi comandamenti” (rispettivamente dal Deuteronomio e dal Levitico);

• nel Nuovo Testamento si dichiara che molti eventi si sono verificati “affinché la Scrittura fosse adempiuta…”;

• gli autori del Nuovo Testamento lo citano dicendo: “Come dice lo Spirito Santo…” (Eb 3:7).

3. Perché è necessario conoscerlo per capire molte cose nel Nuovo Testamento.

Alcuni (pochi) esempi:

• il significato della Pasqua ebraica, spesso menzionata;

• il rito della circoncisione;

• il “voto” di Paolo (Atti 18:18), comprensibile solo a chi conosce la legge del nazireato (Num. 6:2-21);

• la menzione del “Digiuno” (giorno dell’espiazione o Yom Kippur, celebrato in autunno, Atti 27:9);

• personaggi quali Abramo, Davide e molti altri;

ecc. ecc.

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1. IL PENTATEUCO

a cura di Geoffrey Allen

BIBLIOGRAFIA Marshall, I. et al. (a cura di) Nuovo Dizionario Biblico, GBU 2008 Archer G.L. La Parola del Signore 1, VdB 1972 (fuori stampa), pagg. 89-302 Walvoord J. / Zuck R. Investigare le Scritture: Antico Testamento, CdB 2001 Fee, Gordon / Stuart, Douglas Come aprire le porta a una lettura informata della Bibbia, Patmos 2008 Terino Alfredo L’origine del Pentateuco, UCEB 1986 Terino Alfredo Chi ha scritto i cinque libri di Mosè?, Athenaeum 2003

(versione ridotta e semplificata della voce precedente)

1. INTRODUZIONE Il termine “Pentateuco” è usato per indicare i primi cinque libri della Bibbia. La parola deriva dal greco e significa appunto “cinque rotoli” o “cinque volumi”. Gli Ebrei invece chiamano questi libri con il termine collettivo Torah, cioè “legge” o “istruzione”, o talvolta con l’espressione “i libri di Mosè” .

Questi libri sono sempre stati considerati dagli Ebrei fondamentali rispetto al resto degli scritti sacri. Anche per noi sono di grande importanza (soprattutto il libro della Genesi, il cui nome significa “origine” ), in quanto spiegano le origini dell’universo, dell’uomo, del matrimonio e della famiglia, del peccato e quindi del male e della sofferenza nel mondo, e del popolo scelto da Dio, Israele, cioè la nazione e l’ambiente da cui è venuto il Messia. Non a caso sono sempre posti all’inizio della Bibbia in ogni lingua.

1.1 Divisione dei libri

Il Pentateuco forma una narrativa unitaria e la divisione in “libri” fu determinata essenzialmente da ragioni pratiche (il limite della lunghezza maneggevole di un rotolo), anche se evidentemente il libro della Genesi forma una narrazione a sé stante. I nomi con cui chiamiamo questi libri non fanno parte del testo ebraico, ma sono quelli dati loro nella traduzione greca dei “Settanta” (LXX). Agli Ebrei invece sono noti con le parole iniziali dei singoli volumi:

Italiano Greco Ebraico 1. Genesi Genesis (= “origine”) Bereshith (= “nel principio”)

2. Esodo Exodos (= “uscita”) Shemosh (= “nomi”)

3. Levitico Leuitikon (= “dei Leviti”) Wayyiqra (= “ed egli chiamò”)

4. Numeri Arithmoi (= “numeri”) Wayedabber (= “ed egli parlò”)

5. Deuteronomio Deuteronomion (= “seconda legge”) Elle haddevarim (= “queste sono le parole”)

1.2 Autore e composizione

La Bibbia non dice esplicitamente chi abbia redatto questi libri nella loro forma finale. Comunque, gli autori biblici, e in particolare il Signore Gesù, ne parlano spesso con l’espressione “legge di Mosè” o “libro di Mosè” (Mc. 12:26, Lc. 24:44). Gesù dice inoltre: “Mosè... ha scritto di me” (Gv. 5:46); cfr. Atti 15:21, “Mosè... nelle sinagoghe... viene letto ogni sabato”. Può darsi però che questo indichi semplicemente il protagonista e datore della Legge, non necessariamente l’autore definitivo.

Certamente Mosè sapeva scrivere (Es. 2:10, Atti 7:22) e, per quanto riguarda le leggi date da Dio, è detto esplicitamente: “Quando Mosè ebbe finito di scrivere in un libro tutte quante le parole di questa legge...” (Deut. 31:24); cfr.: “Mosè scrisse quel giorno questo cantico [cap. 32] e lo insegnò ai figli d’Israele” (v.22).

Ciò non esclude una redazione finale della narrativa del Pentateuco in un’epoca successiva – probabilmente vicino al tempo di Mosè – in base ai documenti e agli scritti più antichi (cfr. Num. 21:14). I nomi di alcuni luoghi sono stati aggiornati per renderli comprensibili ai lettori di generazioni successive. È evidente che almeno la conclusione (Deut. 34) deve essere stato scritto da un altro che Mosè.

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Viceversa è ben possibile che la Genesi sia esistita già in forma scritta prima dell’Esodo, data l’antichità degli eventi che racconta.

1.3 Contenuti e cronologia

Data appross.

1. Origini della terra e degli uomini Gen. 1 – 11 ??? - 2200 a.C.

2. Origini della nazione ebraica: i Patriarchi Gen. 12 – 50 2150 - 1880 a.C.

3. Liberazione dall’Egitto e viaggio fino al monte Sinai Es. 1 – 19 ca. 1450 a.C.

4. Israele al monte Sinai: la legge data a Mosè Es. 20 - Num. 9

5. Il mancato ingresso in Canaan e i 40 anni nel deserto Num. 10 - 26 1450 - 1410 a.C.

6. Israele al Giordano: ripetizione della Legge; ultime raccomandazioni di Mosè Num. 27 - Deut. 34 1410 a.C.

1.4 La teoria documentaria

Suggerita inizialmente dal francese J. Astruc (1753), fu sviluppata e diffusa dai tedeschi K. Graf (1866) e Julius Wellhausen (1876-1884). Partendo da presunte incoerenze e contraddizioni nel Pentateuco e dal fatto che diverse sezioni sono caratterizzate da diversi nomi per Dio (Elohim, “Dio” e JHWH, “Jahweh”, tradotto nelle nostre Bibbie con “il SIGNORE” o “ l’Eterno”), si sviluppò l’ipotesi che il Pentateuco fosse stato redatto al tempo di Esdra (ca. 400 a.C.) in base a quattro documenti o fonti diverse, note con queste sigle:

J = “Jahwista”, la fonte più antica (950-850);

E = “Elohista” (850-750);

D = “Deuteronomista”, essenzialmente Deut., identificato con il “Libro della legge” riscoperto al tempo di Giosia (2 Re 22-23);

P = Sacerdotale (dal tedesco “Priestercodex”, inglese “Priestly”), codificazione di fonti trasmesse oralmente (genealogie, rituali ecc.) e scritte al tempo dell’Esilio babilonese (587).

Schema della teoria documentaria (da A. Terino, L’origine del Pentateuco, UCEB, 1986):

Questa teoria è diventata “ortodossia” negli ambienti teologici liberali (è riportata come “dato di fatto” ad es. nelle annotazioni della Bibbia di Gerusalemme); infatti Wellhausen è stato ben chiamato “il Darwin della teologia”. Gli studiosi “conservatori” hanno però reagito energicamente, dimostrando la debolezza della teoria.

TorahSacerdotale

Esilio

J E P

V secolo: J E D P (Pentateuco)

TradizioneJahvista

fissataverso il

950

J E

587

TradizioneElohista

fissataversol'850

(caduta di Samaria)

(caduta di Gerusalemme)

721

TorahDeuteronomista

codicefissatoverso il

750

Deut. 5-28verso il

610

Ultimaedizionedel Deut.

Tradizioni Giudaiche Tradizioni del Nord

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2. LA CREAZIONE: Genesi 1 e 2

2.1 Schema del libro di Genesi

(da V. Hamilton, Handbook on the Pentateuch)

Il libro contiene un’introduzione (sez. 1), seguita da dieci sezioni, ognuna delle quali introdotta dalla formula: “Queste sono le generazioni di...” La parola ebraica toledoth, anche se variamente tradotta con “origini”, “posterità” o “discendenti”, è comunque sempre la stessa parola.

Non è però certo che questa formula si riferisca sempre a ciò che segue anziché a quello che precede, come sembrerebbe almeno in 2:4. Per un approfondimento, vedi Terino, L’origine del Pentateuco, pagg. 231-245.

1. La creazione (1:1 - 2:3) 2. Le generazioni dei cieli e della terra (2:4 - 4:26) 3. Le generazioni di Adamo (5:1 - 6:8) 4. Le generazioni di Noè (6:9 - 9:29) 5. Le generazioni dei figli di Noè (10:1 - 11:9) 6. Le generazioni di Sem (11:10-26) 7. Le generazioni di Terah (11:27 - 25:11) 8. Le generazioni di Ismaele (25:12-18) 9. Le generazioni di Isacco (25:19 - 35:29) 10. Le generazioni di Esaù (36:1 - 37:1) 11. Le generazioni di Giacobbe (37:2 50:26)

Dal n.3 in poi si tratta comunque di genealogie, probabilmente tratte da una fonte più antica, intercalate nella storia dei Patriarchi.

In ogni caso, è facile notare la progressione dal generale al particolare, secondo uno schema ben preciso.

2.2 Creazione del mondo: Gen. 1

In questo capitolo – in qualunque modo l’interpretiamo – sono affermati dei principi fondamentali della teologia biblica:

A. Dio esisteva prima di, ed è separato da, l’universo materiale. “Nel principio Dio...” (1:1). Questo in contrasto con il panteismo delle religioni orientali. Ne consegue che la materia non è eterna; infatti la Bibbia insegna che un giorno sarà anche abolita (2° Pt. 3:7, Apoc. 20:11, 21:1).

B. Dio creò non solo la materia prima, ma soprattutto l’ordine dell’universo. Durante i “sei giorni”, Dio dava soprattutto ordine e vita alla materia già creata in forma caotica (1:2).

C. La creazione originale riflette la bontà di Dio (1:4,10,12,18,21,25,31), anche se successivamente viene guastata dalle conseguenze del peccato (3:17- 18).

D. L’uomo è il coronamento e capo della creazione ed è fatto a somiglianza di Dio, maschio e femmina (1:26-30). Anche la sua sessualità è benedetta.

2.3 Creazione e scienza: Quattro approcci

Nota: La Chiesa Evangelica della Riconciliazione non ha una posizione dottrinale uniforme sulla questione, per cui quanto segue rappresenta le convinzioni personali del docente della materia.

Esaminiamo le quattro principali scuole di pensiero riguardo alla difficoltà di conciliare il racconto della Genesi con le prevalenti teorie della scienza moderna.

A. “Concordismo” : si cerca di reinterpretare la Bibbia in modo da armonizzare con le conclusioni prevalenti tra gli scienziati moderni, ad es. interpretando i “giorni” della creazione come “ere geologiche” di milioni di anni e, solitamente, ammettendo l’evoluzione come il meccanismo usato da Dio per creare le diverse specie viventi. La posizione favorita da parecchi studiosi evangelici, ad. es. B. Ramm, D. Vernet sul Nuovo Dizio-nario Biblico, l’autore de Il Pentateuco (ed. IBEI), ecc. Comporta notevoli difficoltà, e i suoi proponenti non sono d’accordo tra loro se l’uomo discenda da altre specie oppure sarebbe frutto di una speciale creazione a parte.

B. La teoria del “gap” (“buco”): accetta le teorie moderne sull’età della Terra, ma rifiuta l’evoluzione; tutta la preistoria geologica e la formazione dei fossili vengono consegnate a un ipotetico “buco” tra Genesi 1:1 e 1:2. Quest’ultimo versetto viene tradotto “La terra divenne informe e vuota...”, il che è grammaticalmente

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possibile, ma nel contesto rappresenta una notevole forzatura. La creazione raccontata nella Genesi sarebbe così non quella originale, ma una “ri-creazione”. Teoria proposta da G. Pember nel 1876 e popolarizzata da C. Scofield nella sua “Bibbia annotata”; promossa anche dal commentario Investigare le Scritture.

C. “Creazionismo scientifico”: ritiene che le osservazioni e le scoperte scientifiche vadano interpretate in armonia con la Bibbia, letta in maniera molto letterale. Se la Terra e il resto dell’universo sono state create da Dio come opera “matura” devono aver avuto, appena create, una “età apparente”. La Caduta, poi, ha sconvolto il creato, producendo un “effetto orizzonte” nel tempo, oltre il quale non è possibile risalire perché sono cambiate le leggi e il funzionamento della natura. I fossili sarebbero in gran parte risultato del catastrofico Diluvio universale. È la posizione (pur con molte varianti) del movimento della Creation Science (per approfondire, esistono diversi libri sull’argomento: si veda il sito www.origini.info).

D. “Fideismo” : la Bibbia non pretende di parlare di fatti scientifici ma propone verità spirituali e religiose con un linguaggio simbolico e poetico. La scienza e la storia appartengono a una sfera, la fede a un’altra. È la posizione di K. Barth e della teologia “liberale” in genere e della maggior parte degli studiosi cattolici moderni (cfr. le note nelle Bibbie cattoliche), ma anche di alcuni evangelici.

Tra queste possibili soluzioni, la B. sembra fare una vera e propria violenza alle Scritture ed appare come una specie di “gioco di prestigio”: fa comparire dal nulla un “buco nero” che inghiottisce milioni di anni di storia senza lasciare traccia! Appare poco rispettoso sia della Bibbia, sia della scienza. E si espone alla stessa obiezione come il concordismo riguardo alla natura di Dio.

Il fideismo (D.) rispetta la scienza, ma non sufficientemente la Bibbia. Certamente la Bibbia non è un libro di scienza, però racconta fatti realmente accaduti nella storia, non miti o leggende. Non è sorprendente che chi adotta questo approccio, in genere mette in dubbio anche la realtà storica e materiale della resurrezione di Cristo, considerando anche questa come una “verità religiosa” anziché storica: l’importante sarebbe che Cristo continui a vivere nei ricordi dei suoi seguaci… Un simile pensiero è chiaramente inaccettabile.

Rimangono dunque le proposte A. e C. Ora esamineremo alcune notevoli difficoltà nella prima di queste.

2.3.1 Bibbia e scienza: Difficoltà teologiche nel concordismo 1. La natura di Dio. È molto difficile pensare che un Dio buono e amorevole come quello rivelato nella Bibbia

possa avere scelto di creare gli animali, e anche l’uomo, attraverso un processo di milioni di anni di lotte per la sopravvivenza, di sofferenze, di morte e di “esperimenti non riusciti”, quando avrebbe potuto farlo invece in maniera indolore con una sua parola di comando.

2. La distinzione radicale tra l’uomo e gli altri esseri viventi. Alcuni hanno posto questa distinzione in termini di “quando Dio abbia dotato l’uomo di un’anima immortale”, anche se sarebbe più biblico porre la questione in termini della “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1:26-27). Comunque Giudei e cristiani hanno sempre tracciato una radicale distinzione tra l’uomo e gli animali, considerando ad es. legittimo ammazzare questi ultimi, ma non gli esseri umani, per uso alimentare. Il darwinismo invece non ha basi per tracciare una simile demarcazione radicale.

3. Una redenzione storica richiede una caduta storica. Noi aspettiamo la redenzione non solo dell’anima, ma anche del nostro corpo (Rom 8:23, 1 Cor 15:42-56), quando “questo mortale rivestirà immortalità”. Se la morte fisica non fosse entrata nel mondo soltanto come conseguenza del peccato umano, ma invece avesse sempre fatto parte del progetto di Dio per la sua creazione (come necessariamente suppone lo schema evoluzionista), allora non avrebbe senso questa “redenzione del corpo”, e di conseguenza sarebbe superflua anche la resurrezione corporale di Cristo.

Non solo, ma la Bibbia insegna chiaramente che il mondo stesso è stato sottoposto alla stessa maledizione che produce “vanità” (cioè, un ciclo senza senso di nascita e di morte) e che aspetta anch’esso la sua “redenzione” (Rom. 8:18-22, cfr. Eccl. 1:1-11), quando non ci sarà più violenza o morte ma la creazione sarà restaurata alla perfezione primitiva descritta nella Genesi (un mondo senza carnivori, Gen 1:29-30, cfr. Is. 11:6-9). È evidente che questo schema di cose è incompatibile con la narrativa evoluzionistica della storia del mondo. Questo riscatto, che avrà luogo a un preciso punto nel tempo, presuppone necessariamente una caduta che ha avuto luogo anch’essa in un preciso punto nello spazio e nel tempo.

4. Il problema del male. La Genesi afferma chiaramente che “Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Gen 1:31). Invece nel mondo quale lo osserviamo oggi, mentre certamente rimangono tante cose “buone”, è difficile affermare che sia “tutto molto buono”. Lasciando da parte il male e le sofferenze provocate direttamente o indirettamente dall’uomo, la natura stessa è responsabile di molti mali (malattie, terremoti e altri disastri naturali, malformazioni congenite, la morte stessa, ecc. ecc.), obiezione spesso sollevata contro l’esistenza di un Creatore onnipotente e infinitamente buono.

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La risposta biblica a questa obiezione è che “Dio l’ha creato molto buono, ma che poi esso ha subito le conseguenze del peccato e della ribellione dell’uomo”. Senza una caduta storica che ha comportato anche radicali conseguenze per la natura del creato, come racconta la Genesi, il cristianesimo non ha più una risposta adeguata al problema del male.

5. La testimonianza di Cristo e degli apostoli. Gesù parla della creazione diretta del primo uomo e della prima donna da parte di Dio (Mc 10:6), e afferma che i profeti di Dio sono stati perseguitati “fin dall’inizio del mondo”, citando specificamente Abele come figura storica (Lc 11:50-51). Anche Paolo parla della creazione di Adamo, il primo uomo, come figura storica, accostandolo a Cristo (Rom 5:14, 1 Cor. 15:22,45, 1 Tim 2:13-14). Anche di Noè e del diluvio che ha distrutta tutta l’umanità parlano sia Gesù (Mt 24:37-38) che Pietro (2 Pt 2:4-5), entrambi tracciando un parallelo con il futuro giudizio escatologico.

Per tutte queste ragioni, l’autore di questi appunti si è trovato “costretto”, suo malgrado e inizialmente con grande disagio, a riconoscere una incompatibilità fondamentale tra l’insegnamento biblico e cristiano e lo scenario comunemente proposto come “scientificamente provato” dagli autori e i media popolari. Per esclusione, l’unica interpretazione rimasta era la C di cui sopra.

2.3.2 Difficoltà scientifiche nell’evoluzionismo

Con “evoluzionismo” qui intendo non solo la teoria di Darwin e dei suoi successori in senso stretto (teoria dello sviluppo di una specie di essere vivente da un’altra attraverso l’azione graduale della selezione naturale su piccole modifiche, così da tracciare le origini di tutti gli esseri viventi da un solo antenato comune), ma l’intera visione del mondo o “ideologia” della quale costituisce une delle pietre fondamentali, e che include anche: • la credenza nell’origine spontanea della vita (abiogenesi); • l’antichità della Terra dell’ordine di milioni di anni, e dell’Universo in termini di miliardi di anni; • solitamente, con la cosmologia del “Big Bang”; • la concezione dell’universo come un sistema meccanicistico chiuso, con l’esclusione a priori di qualsiasi

influenza o causalità soprannaturale.

L’ultima di queste è un assunto, non una teoria; le altre non sono teorie scientifiche in senso stretto, non essendo (come d’altronde qualsiasi altra teoria sulle origini o su fenomeni accaduti in passato e non ripetibili, o processi troppo lenti da essere direttamente osservabili) esposta alla possibilità di verifica sperimentale (il “principio di falsificabilità” di Karl Popper).

L’evoluzionismo si espone a notevoli obiezioni scientifiche, tanto da essere stata definita “una teoria in crisi”1. Qui elenchiamo solo sommariamente alcune delle difficoltà più importanti:

1. L’origine della vita. Come ha documentato argutamente Fernando De Angelis2, proprio mentre Pasteur stava smentendo definitivamente il concetto dell’abiogenesi, o “generazione spontanea” (nascita di esseri viventi da materia inanimata), Darwin lo stava reintroducendo per la porta di servizio. Ma è stato ampiamente dimostrato che – contrariamente a quanto supposto da Darwin – anche le forme più “semplici” della vita sono di un grado di complessità tale che è inconcepibile che possano essere “capitate per caso”3. Il problema è talmente ostico che il premio Nobel Francis Crick (scopritore con James Watson della struttura del DNA), ateo confesso, disperando della possibilità che la vita possa essersi sviluppato spontaneamente sulla Terra, ha promosso l’ipotesi che debba essersi sviluppata da qualche parte dell’Universo4. Ovviamente ciò non fa che spostare il problema, non risolverlo.

2. La mancanza di un meccanismo credibile per spiegare lo sviluppo di nuovi organi o facoltà. Anche qui entra in gioco la “complessità irriducibile”, trattandosi di sistemi che richiedono il funzionamento almeno rudimentale di tutte le parti per essere vantaggiosi alla sopravvivenza.

3. La carenza tra i fossili degli “anelli mancanti” e la scoperta di “fossili viventi”. Secondo la teoria darwiniana, tra i fossili dovrebbero esserci delle forme intermedie tra tutti gli essere oggi viventi, tanto che si potrebbe immaginare una quasi impossibilità di classificarli in specie distinte: dovrebbero piuttosto dimostrare un “continuum” tra forme senza soluzioni di continuità. Invece, nonostante gli enormi sforzi

1 Michael Denton, Evolution: a theory in crisis, Londra, Burnett 1985. L’autore è un medico e biologo molecolare. 2 F. De Angelis, L’origine della vita per evoluzione, un ostacolo allo sviluppo della scienza, Vicenza, Casa Biblica 1991. 3 Si veda ad es. Michael J. Behe, La scatola nera di Darwin, ed. it. Caltanissetta, Alfa & Omega 2007. L’autore, professore

universitario di biologia, sottolinea il concetto di “complessità irriducibile”: un insieme complesso che richiede la funzionalità di molte parti a loro volta complesse per sopravvivere e funzionare, non può essersi sviluppato gradualmente.

4 F. Crick e C. Wickramasinghe, Evolution from Space, J.M. Dent, Londra 1981.

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compiuti dai paleontologi, pochissime forme del genere si sono trovate (e alcune di quelle, come il famoso latimeria, sono poi state scoperte viventi oggi).

Queste ragioni non inducono necessariamente ad accettare un’interpretazione letterale della Genesi, ma quanto meno, a credere in una “progettazione intelligente” degli esseri viventi, piuttosto che supporre che siano frutto meramente del caso e del tempo.

Letture di approfondimento: Oltre alle opere già citate, si segnalano:

Giuseppe Sermonti, Dimenticare Darwin, Il Cerchio, Rimini 2006. Reinhard Junker e Siegfried Scherer, Evoluzione: un trattato critico, Gribaudi, Milano 2007. John Blanchard, Evoluzione, mito o realtà?, Passaggio, 2004. John MacArthur, La battaglia per le origini, Associazione Verità Evangelica, 2003. Alfredo Terino, Le origini. Bibbia e mitologia, Gribaudi, Milano 2003. John Ashton, L:origine dell'Universo: 50 scienziati spiegano come sono giunti alla conclusione che

l’universo è opera di Dio (titolo precedente: I sei giorni della creazione), Armenia, Milano 2004. WilIiam Dembski, Intelligent Design, Alfa e Omega, Caltanissetta 2007.

2.4 La creazione dell’uomo: Gen. 2

I commentatori liberali vedono un contrasto tra i capitoli 1 e 2, considerandoli due racconti della creazione separati, messi insieme senza criterio. Sembra invece chiaro che, secondo la struttura della Genesi indicata sopra, anche qui si passa dal generale al più particolareggiato. Nel cap. 1, al centro dell’attenzione è la creazione, qui invece è l’uomo. Anche la formazione del giardino è per dare un ambiente all’uomo.

In questo capitolo si affermano alcuni principi fondamentali dell’antropologia biblica: A. L’uomo è una “anima (ebr. nephesh) vivente”, formato dall’unione tra la materia (corpo) e il principio vitale

(ruach, “soffio” o “spirito”) che viene da Dio (v.7). B. Nelle intenzioni originali di Dio, l’uomo doveva vivere in eterno (vv. 9,16, cfr. 3:22). C. Dio ha ideato e istituito il matrimonio, permanente e monogamico (vv. 18- 24). D. La relazione armoniosa tra l’uomo e Dio dipende dall’ubbidienza (vv. 16-17).

3. IL PECCATO DI ADAMO E LE SUE CONSEGUENZE: Genesi 3 – 4 La Bibbia non lascia dubbi che la caduta di Adamo è un avvenimento storico, così come la redenzione è un fatto storico. La condizione originale del creato e dell’uomo era ben diversa da quella attuale (cfr. 1:26-31).

3.1 La tentazione

Il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non è una “mela”, idea che deriva da un gioco di parole latine, malus (mela) – malum (male). Né ha nulla a che fare con il rapporto sessuale (vedi 1:28, 2:24). Il frutto non conferiva l’onniscienza, ma la capacità di determinare autonomamente il bene e il male, cioè senza usare come unico criterio la volontà e i comandi di Dio.

Il serpente è descritto come un “animale dei campi” (3:1); ma cfr. Ap. 12:9, 20:2-3, Lc. 10:18-20. Sembra che qui si tratta di Satana che prende possesso del serpente (vedi anche 3:14).

Il tentatore suggerisce che Dio è cattivo, privando i Suoi figli di un bene (3:1). Ma anche Eva aggiunge alla parola di Dio (v.3). Infine il serpente contraddice sfacciatamente quanto Dio aveva detto (v.5). Eva dà credito a questa menzogna e di conseguenza Gli disubbidisce (v.6).

Notiamo che fu Eva ad essere tentata per prima, anche se Adamo era presente (v. 6). Possiamo suggerirne due ragioni: 1. La donna è più facilmente soggetta all’inganno (cfr. 1° Tim. 2:12-14). 2. Essendo Eva sottomessa al marito, non sarebbe stata colpevole se avesse preso il frutto da lui. Invece così,

Satana è riuscito a rendere colpevoli entrambi.

3.2 Le conseguenze del peccato

• Il senso di colpa, che provoca l’interruzione della comunione con Dio: cercano di nascondersi (v.8). • La vergogna (v.7): si sentono esposti e tentano di coprirsi . Notiamo che la sessualità è una delle prime aree

colpite dalle conseguenze del peccato.

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• Cercano di scusarsi, scaricando la colpa sugli altri (vv. 12-13). Possono illudere se stessi, ma non riescono certo ad ingannare Dio!

La maledizione e il castigo di Dio cadono sul serpente, sulla donna e sull’uomo: ognuno porta la propria re-sponsabilità. La punizione colpisce le aree del lavoro e della procreazione, dove tipicamente l’uomo e la donna rispettivamente cercano la propria realizzazione.

È colpita anche la terra , sfera del dominio dell’uomo (14-19). Ma Dio manifesta anche la sua misericordia: è già prospettata la speranza della redenzione (v.15), prefigurata anche dalle “tuniche di pelle” (v. 21), copertura più adeguata delle foglie di fico, ma che richiede la morte di animali (cfr. il sistema sacrificale dell’A.T.).

Escluso dal giardino (vv. 22-24), l’uomo perde l’accesso all’albero della vita. È già morto spiritualmente (cfr. 2:17), ora è condannato anche alla lenta morte fisica.

3.3 Caino e Abele

Nel cap. 4, vediamo il rapido progresso del peccato. Dio rifiuta l’offerta di Caino, non (come alcuni pensano) perché erano accettabili solo sacrifici animali (cfr. Lev. 2), ma per le sue condizioni interiori (manifestate dopo; vedi 1° Gv. 3:12) e mancanza di fede (Ebr. 11:4). Ripreso implicitamente da Dio, Caino si irrita e si adira (vv. 6,8), invece di ravvedersi. La sua punizione è l’allontanamento dalla terra che ha contaminato (4:11, cfr. 6:11-12). Notiamo che la pena di morte non è stata ancora istituita, e il conseguente dilagare della violenza (vv. 15, 23-24, cfr. 9:5-6).

Qualcuno si chiede chi fosse la moglie di Caino. Poiché è affermato esplicitamente che Eva fu “la madre di tutti i viventi” (3:20), è evidente che Caino sposò una sua sorella. Il divieto del matrimonio tra consanguinei (che comunque rimase frequente, ad es. in Egitto fino ai tempo del Nuovo Testamento) divenne d’uso comune solo più tardi, essendo poi incorporato nella legge di Mosè, e fu reso necessario dalla degenerazione progressiva del patrimonio genetico umano, inizialmente perfetto. Anche Abramo, più tardi, sposò sua sorellastra Sarai (Gen. 20:12), mentre suo fratello Naor sposò la propria nipote Milca (Gen. 11:27,29).

Caino diventa fondatore della prima “civiltà urbana” (v.17-24; cfr. Is. 14:21). Al v.19 abbiamo la prima menzione della poligamia... istituita da un omicida (v.23)!

Da ora in poi abbiamo due “linee” di discendenza da Adamo: Caino e Set, il quale nasce quando Adamo ha già 130 anni (5:3). È incerto il significato del v. 26b.

4. IL DILUVIO UNIVERSALE E LA TORRE DI BABELE: Gene si 5-11 4.1 Le genealogie: capp. 5 e 11:10-27

C’è un parallelismo tra i due brani che fa pensare che possa trattarsi di genealogie schematiche in cui le generazioni sono ridotte a un numero simbolico (cfr. quella di Gesù in Matt. cap. 1: 14+14+14 generazioni):

Genesi 5 Genesi 11 1. Adamo Sem 2. Set Arpacsad 3. Enos (Cainan - Lc. 3:36) 4. Chenan Scela 5. Maalaleel Eber 6. Iared Peleg 7. Enoc Reu 8. Metusela Serug 9. Lamec Naor 10. Noè Tera (11. Sem. Cam, Jafet Abramo, Naor, Aran)

È chiaro che nel cap. 5 si riferisce la linea che conduce a Noè: i figli non sono necessariamente i primogeniti. Molte spiegazioni sono state suggerite per la longevità dei patriarchi (diverse condizioni di vita, maggiore vitalità...), ma non possiamo saperne la causa con sicurezza.

Non è possibile costruire da questi capitoli una cronologia precisa: 1. le cifre nei MSS. sono notoriamente soggette a corruzione (cfr. LXX); 2. a volte le genealogie bibliche chiamano “padre” un antenato remoto (cfr. Mt. 1:8 con 1° Cron. 3:11-12; 1°

Cron. 26:24 e Es. 6:20 con Num. 3:27-29);

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3. è difficile pensare che quasi tutti i patriarchi fossero ancora in vita fino al tempo di Diluvio, e che tutti quelli di Gen. 11, Noè compreso, fossero in vita al tempo di Abramo.

Enoc (vv. 21-24), nonostante la malvagità dei tempi, “camminò con Dio 300 anni”. Con Elia, diventa uno dei pochi ad essere assunti in cielo senza vedere la morte (Ebr. 11:5).

4.2 Malvagità dell’umanità: 6:1-8

Sui “figli di Dio” e le “figlie degli uomini” , esistono tre scuole di pensiero: 1. si tratta della linea dei “giusti” (da Set) e quella dei “malvagi” (da Caino); 2. si tratta di potenti dominatori (cfr. Sal. 82) e i loro sudditi, quindi di una poligamia sfrenata (harem); 3. si tratta di angeli (cfr. Giuda 6-7, 1° Pt. 3:19-20, 2° Pt. 2:4; ma cfr. Mc. 12:25).

In ogni caso, la Bibbia non dice che i giganti (v.4) fossero frutto di queste unioni (tesi avanzata nell’apocrifo Libro di Enoc): riferisce solo la loro esistenza. Cfr. gli “figli di Anachiti” biblici (Og, Goliat, ecc.), e le leggende di giganti che esistono fra ogni popolo della terra.

La malvagità degli uomini è tale che Dio ne determina la distruzione totale, insieme con la terra che hanno contaminato. Dei “120 anni” (v.3) esistono due interpretazioni: 1) la durata normale della vita umana di ora in poi; 2) il termine dopo il quale Dio manderà il Diluvio.

4.3 Noè e il diluvio: 6:9 – 9:29

A. Diluvio universale o alluvione locale?

Il racconto biblico indica inequivocabilmente un diluvio universale, cioè esteso al mondo intero, nonostante la teoria moderna dell’archeologo inglese H. Woolley, adottata poi da W. Keller (La Bibbia aveva ragione), B. Ramm e altri: 1. È affermato con forza in 6:5-7,17; 7:19-24, e nel Nuovo Testamento da Gesù e dagli apostoli: Mt 24:39; 2° Pt.

3:6-7, ecc. 2. Per un diluvio locale non era necessaria l’Arca, bastava fuggire sulle montagne. 3. È impossibile che un diluvio locale avesse la durata indicata nella Bibbia. 4. Il patto con Noè indica che si sia trattato di una catastrofe mai più ripetuta. 5. Le numerose leggende ritrovate in ogni parte del mondo (vedi Archer, Parola del Signore pagg. 243-4, citato

sotto) ne rappresentano un’ulteriore conferma.

Notiamo l’elemento miracoloso nella salvezza di Noè: • gli animali vengono spontaneamente da lui (6:20, 7:8-9); • è Dio in persona a chiudere la porta dell’Arca (7:16).

B. Effetti del diluvio

Se era universale (coprendo l’intera superficie della terra), allora era necessariamente anche catastrofico. 1. Sembra che le “fonti del grande abisso” (7:11 – forse liberazione di acque imprigionate sotto la crosta terre-

stre?) e “le cateratte del cielo” (liberazione dell’acqua fino allora tenuta “sopra la distesa”?) sprigionarono enormi quantità di acqua “nuova” sulla terra: fino allora, gli oceani sarebbero stati molto minori che oggi. Anche se ci sono difficoltà con i meccanismi fisici, questo combacerebbe bene con l’evidenza paleontologica di un clima universalmente mite nelle epoche antiche (“effetto serra”). Da 2:5-6 e 9:13 sembrerebbe che prima del Diluvio non avesse mai piovuto.

2. Il diluvio avrebbe provocato grandi movimenti tettonici della crosta terrestre, con la formazione delle mon-tagne (che prima sarebbero state molto più basse): cfr. Sal. 104:5-9. Notiamo che questa fu la convinzione di Tertulliano, Crisostomo, Agostino, Lutero e della maggior parte degli studiosi fino al secolo XIX.

3. Esistono enormi depositi di fossili (“caverne delle ossa”) in ogni parte del mondo, evidenza di una catastrofe universale (vedi citazione sotto). È chiaro che la maggior parte dei resti fossili sia dovuta ad eventi catastrofici, dal momento che si tratta solitamente di piante e animali interi.

C. Leggende del diluvio nel mondo

Da G.L. Archer, La Parola del Signore vol. 1, pagg. 243-5:

Si deve pure ricordare un’altra importante prova, vale a dire la tradizione orale o scritta esistente presso i più diversi popoli della terra a riguardo del diluvio. Si può riconoscere con facilità che i popoli della Mesopotamia, cioè i Sumeri, i Babilonesi e gli Assiri, possano avere posseduto tradizioni simili a quelle degli Ebrei, dal momento che vissero vicino alla sorgente presumibile della civiltà antidiluviana. Forse anche la leggenda egizia riferita nel Timeo di

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Platone e la versione di Manetone (secondo il quale solo Tot sarebbe scampato al diluvio) potrebbe spiegarsi con la vicinanza geografica della fertile pianura mesopotamica. Anche la tradizione greca di Deucalione e Pirra (espressa in modo così ammirevole nelle Metamorfosi di Ovidio) può essere derivata dal Medio Oriente. Lo stesso può essere vero anche per la tradizione noachica di Apamea (Asia Minore), che ha ispirato la raffigurazione dell’arca su qualche sua moneta.

Ma che dire della leggenda di Manu conservata tra gli Indù, secondo la quale Manu con altri sette scampò su di una barca dal diluvio universale; o quella tra i cinesi di Fah-he, che fu l’unico superstite assieme a sua moglie, tre suoi figli e tre sue figlie; o di Nu-u tra gli Hawaiani, o di Tezpi tra gli Indios del Messico, o di Manabozho tra gli Algonchini? Tutti costoro concordano nel riconoscere che l’umanità intera fu distrutta da un grande diluvio (solitamente descritto come universale) causato dal malcontento divino per il peccato umano, e nel sostenere che un solo uomo con la sua famiglia o con alcuni pochi amici sopravvisse alla catastrofe mediante una barca, una zattera o una gigantesca canoa.

Non tutte le tradizioni primitive del diluvio includono un’arca come mezzo di salvezza. Tra gli aborigeni delle isole Andamane nella baia del Bengala e tra i Battaki di Sumatra fu un alto monte a dare rifugio sulla sua vetta all’unico superstite. Ma per tutti gli altri elementi si rinviene la medesima struttura sostanziale del diluvio genesiaco. I Kurnai (una tribù aborigena dell’Australia), gli isolani Figi, i nativi della Polinesia, della Micronesia, della Nuova Guinea, della Nuova Zelanda, delle Nuove Ebridi, gli antichi celti del Galles, le tribù del lago Claudio nel Sudan, gli Ottentotti, i neogroenlandesi hanno tutti le loro tradizioni di un diluvio universale che distrusse tutta la razza umana ad eccezione di uno o due superstiti. La più completa collezione delle leggende diluviali di tutto il mondo è ancora l’opera tedesca Die Flutsagen (1891) edita da Richard Andree. Il lavoro più completo tra le opere inglesi si trova nel Folklore in the Old Testament (Vol. I, 1918) di James Frazer. Prescindendo dal fatto se tali tradizioni siano conciliabili o no con la teoria di un diluvio locale, esse mettono almeno in risalto il fatto che tutte le razze umane discendono da Noè, anziché eccettuarne alcune popolazioni dell’Africa, dell’India, della Cina e dell’America (come il Ramm sembra supporre in CVSS 239-240).

Spesso si è criticato il racconto genesiaco asserendo la pretesa insufficiente capacità dell’arca, secondo le misure indicate. Ma sulla base di un cubito di 60 cm (anche se poteva essere fino a dieci centimetri in meno), l’arca sarebbe stata lunga 184 m, larga 30 e alta 18. Supponendo che fosse simile a una scatola chiusa (cosa molto probabile in vista della sua finalità), avrebbe dovuto avere la capacità di 90.000 metri cubi. Il che vuol dire che vi sarebbe stato spazio equivalente a 2000 carri ferroviari da bestiame (ognuno dei quali contiene da 18 a 20 bovini, oppure da 60 a 80 maiali, da 80 a 100 pecore). Ora, vi sono solo 290 specie importanti di animali più grosse delle pecore; 759 con una dimensione tra le pecore e i topi e 1359 più piccole dei topi. Due esemplari di tutte queste specie avrebbero potuto ben trovare spazio confortevole entro la capacità dell’arca, lasciando ancora lo spazio sufficiente per il nutrimento. Vi sono indubbiamente dei problemi connessi con la possibilità di sostenere un così gran numero di animali per tanti mesi (specialmente se essi conservarono il loro modo usuale di cibarsi), ma nessuno sembra insuperabile. Si deve forse osservare a questo punto che un semplice diluvio locale limitato alla razza umana esistente nella Mesopotamia o nella depressione Aralo-Caspia si può conciliare assai difficilmente con l’insistenza divina (cfr. Gen 6:19-20) relativa alla conservazione di tutti i rappresentanti delle varie specie animali. Vi sono oggi solo poche specie limitate a quella particolare regione, ed è difficile immaginare come mai gli animali circonvicini all’area colpita dal diluvio non avrebbero potuto ripopolarla una volta che le acque fossero retrocesse. Sarebbe stato del tutto inutile rinchiuderli nell’arca.

4.4 La torre di Babele e la divisione della terra: 11:1-26

Notiamo nel v.4 il concetto tipicamente pagano della fama come forma di “immortalità”. L’unità della lingua (v.1) indica chiaramente un periodo precedente la diffusione dei popoli in 10:5,20,32. Molti pensano che la torre non fosse intesa letteralmente a “raggiungere il cielo”, ma fosse un osservatorio astronomico/astrologico (ma non è affatto sicuro che possa essere identificata con gli ziggurat dei Babilonesi storici). Sicuramente rappresenta un’impresa intesa ad accrescere la potenza degli uomini, senza dipendere da Dio.

La “divisione della terra” (10:25) è riferita da alcuni alla dispersione dei popoli in questo tempo, mentre altri la mettono in relazione con la divisione fisica dei continenti (cfr. la teoria di Alfred Wegener, ormai largamente accettata, della “deriva dei continenti”).

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5. ABRAMO

5.1 Vita dei Patriarchi: riassunto cronologico

Età Episodio Rif. in Genesi

1. Abramo ? Trasferimento da Ur a Caran 11:31

75 Partenza da Caran 12:4

Soggiorno in Egitto 12:10-20

Separazione da Lot; liberazione di Lot 13 - 14

Dio stabilisce il patto 15

86 Nascita di Ismaele 16

99 Patto di circoncisione 17 Età Episodio Rif. in Genesi Distruzione di Sodoma e Gomorra 18 - 19

Soggiorno presso Abimelec 20 2. Isacco 100 Nascita di Isacco 21 Nascita 21:1-5

? “Sacrificio” di Isacco 22 ? “Sacrificio” 22

137 Morte di Sara 23

140 Manda Eliezer a cercare moglie per Isacco 24 40 Matrimonio 24, 25:10

175 Morte 25:1-10

3. Giacobbe

Nascita 25:21-26 60 Nascita di Esaù e Giacobbe

25:21-26

? “Compra” la primogenitura da Esaù 25:29-34

100 Matrimonio di Esaù 26:34

40+ Ottiene la benedizione paterna per inganno; fugge da Labano e ne sposa le figlie. Nascono 11 figli e la figlia Dina

27 - 30 ? Benedice i figli 27

60+ Ritorna nel paese di Canaan 31 - 33

? Nascita di Beniamino e morte di Rachele 35:12-36

180 Morte 35:27-29

108 Giuseppe venduto schiavo in Egitto 37:12-36

130 Ritrova Giuseppe e scende in Egitto 42 - 47

147 Morte 47:28; 49:29-33

5.2 Abramo, uomo di fede

Fin qui la Genesi ha riferito l’ingresso del peccato nel mondo e le sue conseguenze rovinose: l’intervento di Dio è stato teso solo a circoscriverlo e limitarne le conseguenze. Qui invece inizia il Suo piano di recupero.

La vita di Abramo guarda tutta verso il futuro, fino alla venuta di Cristo (Gv. 8:56). Le promesse che egli riceve da Dio trovano in Lui il loro vero compimento (Gal. 3:8). Queste promesse riguardano la nascita di un figlio ; una discendenza numerosa; il possesso di una terra ; la benedizione divina (12:2-3; 13:14-18; 15:1-21; 22:15-18). In esse c’è chiaramente una rivelazione progressiva del piano di Dio, collegata con la risposta di fede e di ubbidienza da parte di Abramo: vedi particolarmente 22:15-18.

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Così Abramo diventa “padre di tutti quelli che credono” (Rom. 4:11). Infatti la giustizia di Abramo sta nella sua fede (15:6), non certo nelle sue opere; tuttavia è con le opere che egli dimostra le fede (cap. 22, cfr. Giac. 2:21-22). Egli muore ancora nella fede, senza aver visto ancora il compimento finale delle promesse (Ebr. 11:13).

5.3 Abramo, uomo di poca fede

La Bibbia non ci ritrae un “superuomo” senza difetti (il solo personaggio biblico di cui non si raccontano peccati e difetti è Gesù!). Come altri “eroi della fede”, Abramo più volte manca di fede:

1) in Egitto (12:10-20); 2) nel rapporto con Abimelec (cap. 20); 3) nella nascita di Ismaele (cap. 16; 17:18).

Questo dovrebbe incoraggiarci a rialzarci e riprendere il cammino se a volte veniamo meno nella fede!

5.4 Il rapporto tra Abramo e Lot

Notiamo che Abramo non aveva ubbidito pienamente all’ordine di Dio di “andarsene dai suoi parenti...” (12:1,4). Dio allora organizza le circostanze in modo da produrre la loro separazione (13:1-9). Lot è guidato da quello che vede (13:10), e questo lo porta a finire a Sodoma (v.12), ad essere catturato dai re orientali (cap. 14) e infine al compromesso e al incesto (cap. 19). Era un uomo che odiava il male (2° Pt. 2:7-8), ma è necessario aggiungere al ravvedimento la fede. Alla fine diventa l’antenato di due popoli che si oppongono al piano di Dio: Moab e Ammon (cfr. Num. 22, ecc.).

5.5 Melchisedec (cap. 14)

Re e sacerdote (14:18), è un “tipo” o “ombra” di Cristo (Sal. 110:4, Ebr. 7:1-10) Notiamo che la conoscenza del vero Dio non è monopolio di Abramo (cfr. Iethro, Es. 2:16, 18:1-12). Abramo gli dà la decima parte del bottino recuperato dagli invasori (v.20), restituendone il resto ai Sodomiti (23-24), e Melchisedec lo benedice.

5.6 Il patto stabilito da Dio (cap. 15), nascita di Ismaele (cap. 16) ed istituzione della circoncisione (17:9-14)

È Dio a istituire il patto, reso stabile dal sacrificio (cap. 15) e la circoncisione come segno del patto con Abramo e con la sua discendenza. Nel N.T. viene sostituita dalla “circoncisione del cuore” (Rom. 2:29).

Verosimilmente Agar era tra i “servi e serve” dati ad Abramo dal Faraone in Egitto (12:16).

5.7 L’intercessione per Sodoma: capp. 18-19

È il primo grande esempio biblico della potenza della preghiera d’intercessione Anche se, alla fine, non si trovano neanche 10 giusti a Sodoma, Dio aveva “ceduto” alle ripetute insistenze di Abramo, e quando manda il giudizio su Sodoma, ne fa uscire gli unici “giusti” che vi trova (Lot, la moglie e le due figlie – anche i suoi generi periscono).

5.8 Il “sacrificio” di Isacco (cap. 22)

È l’episodio culminante della vita di Abramo, in cui dimostra la sua fede con l’ubbidienza: crede che Dio, che gli aveva promessa una discendenza numerosa tramite Isacco, era capace anche di risuscitarlo dalla morte (Ebr. 11:17-19).

5.9 La ricerca di una moglie per Isacco: cap. 24

È un meraviglioso esempio della guida divina (vv. 11-27), riconosciuto come tale anche da Labano (v.50). Abramo è determinato a salvaguardare il futuro delle promesse divine, evitando che il suo erede sposi una donna cananea, cioè dei popoli che Dio ha promesso di sradicare dalla terra promessa per darla alla sua discendenza; nello stesso tempo vuole evitare il rischio che Isacco sia tentato di ritornare nella terra dei suoi parenti (v. 6).

Il capitolo può essere preso come “parabola” della ricerca da parte del Padre di una Sposa per suo Figlio (Eliezer potrebbe rappresentare o lo Spirito Santo, o il credente che evangelizza).

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6. ISACCO E GIACOBBE

6.1 Isacco

Isacco occupa una posizione di minor rilievo nelle Scritture rispetto ad Abramo o Giacobbe. La chiave per interpretare la sua vita è la grazia. Egli praticamente riceve tutto in dono, senza sforzi o meriti personali: la vita stessa, due volte, poi la sposa (cap. 24), le promesse (26:3-5), le ricchezze (26:12-14). Ma la sua vita è segnata anche dai conflitti in famiglia (25:28,29-34, 26:34, cap. 27), che si estendono anche alle generazioni successive.

Come Sara e, più tardi, Rachele, anche Rebecca ha difficoltà a concepire (25:21). Ma dei tre mariti, Isacco è il solo del quale è riferito che “implorò il Signore” per la moglie. Notiamo la necessità di una fede perseverante nei patriarchi perché si compia il piano di Dio per mezzo di loro. Tuttavia, anche Isacco non è sempre un uomo di fede: nel cap. 26, ripete la stessa esperienza del padre con Abimelec (probabilmente non lo stesso del cap. 20: il nome significa “il re [cioè la divinità] è mio padre”, ed era probabilmente un titolo ereditario).

6.2 Giacobbe

Giacobbe è uno dei maggiori esempi biblici della potenza trasformatrice di Dio: del fatto che, come qualcuno ha detto, “il cuore del problema è il problema del cuore”. Possiamo dividere la sua vita in quattro fasi:

A. La necessità della trasformazione: Giacobbe l’imbroglione (25:19-28:9); B. La preparazione della trasformazione: Giacobbe deve fare i conti con i risultati del suo modo di fare

(28:10-32:21); C. L’evento della trasformazione: la lotta con Dio nella quale vince perdendo (32:22-32); D. I risultati della trasformazione: non più Giacobbe ma Israele, un uomo mite che sa aspettare con fede i tempi

di Dio, e alla fine diventa un uomo di discernimento spirituale che fa delle profezie significative (33:1-36:40, capp. 48-49).

Al suo primo incontro con Dio (28:10-22), Giacobbe ne ha paura (v.17), conseguenza della sua coscienza sporca (cfr. 3:10), diversamente da Abramo, Isacco o persino Lot. Tuttavia Lo vuole “manipolare”, come fa con tutti (v.22). Ma Dio opera nella sua vita, prima attraverso le circostanze, usando lo zio Labano (capp. 29-30), poi obbligandolo a guardare in faccia il suo peccato (cap. 33) e confrontandolo direttamente (cap. 32). L’angelo col quale lotta sembra essere una manifestazione di Dio stesso (v.30).

A Peniel, Giacobbe si rende conto finalmente dell’inadeguatezza delle sue forze naturali e del bisogno che ha della grazia e della benedizione di Dio (32:26). Confessando il suo nome (v.27), riconosce qual è la sua natura (“soppiantatore”, “imbroglione”), ed è solo allora che Dio può conferirne uno nuovo.

I risultati della lotta con l’angelo sono:

A. Un nuovo nome (32:28), che indica anche un nuovo carattere; B. La benedizione di Dio (32:29); C. Una nuova familiarità con Dio (32:30), tuttavia mista con un giusto timore e rispetto; D. Una nuova consapevolezza della sua propria debolezza (32:31b).

Questi frutti continuano e maturano durante il resto della sua vita, come si vede:

a) nella riconciliazione con Esaù (cap. 34); b) nella reazione alla violenta vendetta di Simeone e Levi (34:30); c) nell’eliminazione degli idoli (35:1-4); d) nel nuovo spirito di adorazione (35:5-15, cfr. Ebr. 11:21); e) nello spirito profetico manifestato nella vecchiaia (47:28 – 49:33).

7. GIUSEPPE: Genesi 37-50

7.1 Giuseppe e i suoi fratelli: cap. 37

Dio, che è sovrano sulla storia, usa il peccato e la malvagità dei figli di Giacobbe, non solo per conservare in vita tutta la famiglia in un tempo di carestia (45:5-8), ma anche per compiere il piano che aveva già rivelato ad Abramo (15:13).

I sogni di Giuseppe hanno chiaramente un significato profetico: cfr. la sua abilità più tardi nell’interpretare i sogni (e cfr. Gioele 2:28). Ma è poco saggio di raccontarli, prima ai fratelli (37:5), poi al padre (v.10). Alcuni vedono in

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lui un giovane presuntuoso e arrogante, ma è meglio vedere il suo comportamento come frutto di immaturità e ingenuità (aveva solo 17 anni).

La vita di Giuseppe è salvata dal fratello maggiore Ruben, ed egli viene venduto schiavo a dei mercanti “Ismaeliti” (vv. 25,28) o “Madianiti” (v.28 – cfr. Giud. 8:22,24). Siamo a 170 anni dalla nascita di Ismaele, il quale ebbe 12 figli, per cui i suoi discendenti sono ormai numerosi.

7.2 Giuda e Tamar: cap. 38

Notiamo come da questo episodio scabroso nascono gli antenati di Davide, e quindi di Gesù (Mt. 1:3). Evidentemente la “Legge del levirato” (da levir, “cognato”), poi inserita nella Legge mosaica (Deut. 25:5-10), già faceva parte delle usanze dei popoli biblici. Notiamo il contrasto tra il comportamento di Giuda e quello del fratello Giuseppe nel capitolo seguente.

7.3 Giuseppe in Egitto: capp. 39-47

In questi capitoli Giuseppe viene di nuovo tradito e deluso dagli uomini (39:7-20, 40:23), ma il ritornello del brano è: “Ma il SIGNORE era con Giuseppe” (vv. 2,3,21), nonostante le apparenze negative. Alla fine egli viene improvvisamente tirato fuori dal carcere e elevato al posto più potente d’Egitto, grazie alla sua abilità data da Dio nell’interpretare i sogni (cfr. Daniele).

Anche nella vita di Giuseppe, la disciplina di Dio lo prepara a servire i propositi di Dio: notiamo la sua grande umiltà (40:8, 41:16, 45:5-8, 50:19-20), e nei capp. 41 e 42 quanta discrezione e saggezza dimostra (ha imparato a “tenere a freno la lingua”!). Anche i fratelli risultano cambiati dall’umiliazione e dalla disciplina di Dio, e sono pronti a riconoscere il male che hanno commesso (42:21-22).

Non è detto che Giuseppe abbia realmente fatto uso della divinazione (44:5): egli recita ancora la parte del grande capo egiziano, fra i quali la divinazione era d’uso frequente. Vuole anche far intendere di essere in grado di scoprire ogni inganno e di conoscere le verità nascoste, impaurendo così i fratelli.

Per mezzo di Giuseppe, la benedizione di Dio si estende come “sottoprodotto” anche agli altri che gli stanno a fianco (39:1-6,21-23, 41:47-49). Egli diventa così una prima dimostrazione dell’intenzione di Dio attraverso la progenie di Abramo (12:3).

7.4 Le benedizioni profetiche di Giacobbe: capp. 48-49

Notiamo il contrasto con il modo in cui il padre Isacco aveva impartito la benedizione ai suoi figli: Giacobbe, maturato dalla disciplina di Dio, parla con piena cognizione di causa (48:19-20), anche se fisicamente è diventato a sua volta cieco (v.10). Le parole di Giacobbe includono profezie e sentenze per il futuro, che si compiono pienamente negli anni a venire (48:19-20, 49:4,7,8,10,13, ecc.)

8. MOSÈ E LA SUA CHIAMATA: Esodo 1-6

8.1 Israele in Egitto: cap. 1

La narrativa biblica vola sopra un periodo di 320-350 anni in un silenzio quasi totale, notando solo la morte di Giuseppe e la moltiplicazione degli Israeliti (1:6-7), secondo le promesse di Dio. È incerta l’identità della dinastia “vecchia” e di quella “nuova” (v.8). È comunque attestato dall’archeologia l’uso di mattoni legati con paglia e cotti al sole (vedi 5:7) e la fondazione delle città di Pitom e Ramses intorno a questo periodo.

È difficile pensare che le levatrici degli Israeliti fossero solo due (v.15), anche a una o due generazioni prima dell’Esodo, se la popolazione israelitica, secondo le cifre di Numeri 1, doveva aggirarsi intorno ai due milioni (vedi la discussione sotto). La loro menzogna (v.19) suscita una ben nota questione etica: è mai giustificato mentire? Comunque siamo qui nell’Antico Testamento quando la rivelazione era molto meno perfetta di oggi (cfr. anche il comportamento di Abramo e Isacco).

8.2 La data dell’Esodo (Per un trattamento approfondito di questo argomento, vedi A. Terino, L’Origine del Pentateuco, pagg. 185-209).

Gli studiosi attribuiscono due date diverse all’Esodo (al quale non si è ancora trovato alcun riferimento nelle fonti egizie). Quella tradizionale parte dal dato di 1° Re 6:1: “Il 480° anno dopo l’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto… Salomone cominciò a costruire la casa per il SIGNORE” . Poiché questo evento è precisamente databile

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nel 967 a.C., la data dell’Esodo dovrebbe essere il 1447 a.C., e il Faraone dell’Esodo sarebbe Amenofi II (1448-1422 a.C.). Con ciò concorda anche il riferimento di Iefte in Giudici 11:26, dove parla di 300 anni di insediamento israelitico in Transgiordania.

Oggi invece la maggior parte degli studiosi preferisce una data intorno al 1270 a.C., partendo da Esodo 1:11: “Israele costruì al faraone le città che servivano da magazzini, Pitom e Ramses…”, città la cui costruzione è attribuita a Ramses II (1290-1224 a.C.), il quale sarebbe dunque il Faraone dell’Esodo. Ma è ben possibile che questo versetto si riferisca a una ricostruzione o ampliamento di quelle città, come infatti è attestato dall’ar-cheologia. Il nome “Ramses” può essere stato benissimo aggiornato posteriormente, come altri nomi di luogo nel Pentateuco. La data “tardiva” crea anche non pochi problemi per la cronologia dei Giudici, il cui periodo bisogna allora “condensare” in poco più di 100 anni. È vero che cifre e numerali sono tra gli elementi più facilmente soggetti ad errori di copiatura nei testi antichi, tuttavia non sembrano esistere elementi sufficienti per indurci a scartare la cronologia biblica data con tanta precisione nelle date riferite sopra.

8.3 Nascita, infanzia e fuga di Mosè: cap. 2

Il nome dato a Mosè significa “tirato fuori” (v.10), ma anche, profeticamente, “chi tira fuori”. Ha una forma simile a diversi nomi egiziani: Ramses, Ahmose, Thutmose, ecc.

La vita di Mosè dura 120 anni, divisi in tre periodi di 40 anni (Atti 7:23,30). Egli sceglie di identificarsi con il suo popolo d’origine, nonostante i privilegi ricevuti presso la corte egiziana (Ebr. 11:24-26), anche se il suo modo di difenderlo è all’inizio carnale. Ma si trova, come Gesù, rigettato dal proprio popolo (Atti 7:35,52, e cfr. più tardi nel deserto). È ovvio che l’Ebreo da lui difeso deve aver riferito l’episodio fra gli Israeliti (v.14). Per il suo soggiorno formativo nel deserto, cfr. Davide, Elia, Giovanni Battista, Gesù, Paolo, ecc.

8.4 Chiamata di Mosè: 3:1 – 4:17

Chi appare nel pruno ardente è “l’angelo del SIGNORE” , identificato però con Dio stesso (3:2,4,6). La riluttanza di Mosè fa contrasto con il suo zelo carnale di 40 anni prima: egli cerca ogni scusa possibile e immaginabile (senza un ordine particolare) per non addossarsi la responsabilità della guida, fino a provocare Dio all’ira (4:14). Dio risponde alle scuse con i primi miracoli della Bibbia (4:2-9), e risolvendo ogni reale difficoltà. La scusa di 4:10 sembra una falsa umiltà, alla luce di Atti 7:22.

Il nome di Dio, JHWH (3:14) è importante: sembra che il nome era già noto (Gen. 4:26, ecc.), ma qui viene spiegato e interpretato. Può significare: •••• “Io sono Colui che è” (così i LXX), cioè il Creatore di ogni altro essere, l’Eterno e l’Onnipotente; •••• “Io sono (o “sarò”) quello che voglio essere” (simile a 4:13, 33:19, 1° Sam. 23:13, Ezech. 12:25).

L’Antico Testamento usa quasi sempre questo nome per riferirsi a Dio quando si rivela all’uomo.

8.5 Il ritorno in Egitto: 4:18 – 6:30

È difficile la dichiarazione di Dio che “indurerà il cuore” al Faraone (4:21). Durante le prime 5 piaghe è comunque scritto che egli stesso “si indurì il cuore” . Cfr. anche Rom. 9:17-18.

Durante il viaggio, “il S IGNORE cerca di uccidere” Mosè (4:24-26). Sembra una contraddizione, ma ci fa capire l’importanza del patto della circoncisione: come poteva Mosè essere lo strumento di Dio se non era egli stesso ubbidiente a Dio? Sembra evidente che la moglie sapeva dell’esigenza della circoncisione (v.25): che era stata lei stessa a convincere il marito a non compiere un rito da lei ritenuto barbaro?

Più tardi, troviamo un episodio simile quando Dio, dopo aver salvato e liberato il Suo popolo, più volte vuole distruggerlo per le sue disubbidienze.

Dopo l’iniziale entusiasmo degli Israeliti (4:31), ai primi ostacoli si rivoltano contro Mosè e Aaronne (5:20-21). Inizia così un ciclo che si ripeterà per tutta la durata dell’Esodo: gli Israeliti sono sempre condizionati da quello che vedono carnalmente. Dio risponde riconfermando a Mosè la Sua chiamata (6:1-13).

9. L’ESODO: Esodo 7 – 15

9.1 Le prime nove piaghe: capp. 7 – 10

Lo scopo principale delle piaghe era quello di “far conoscere” (o “riconoscere”) chi è Dio, JHWH (7:5, cfr. 5:2): a) al Faraone (7:17, 8:10,22, 9:14,29);

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b) agli Egiziani (7:5, 14:4,18); c) a Mosè e al resto degli Israeliti (6:7, 10:2, 11:7, e cfr. 16:6,12).

Notiamo le parole di Dio a Mosè (7:1-4): “Io ti ho stabilito come Dio per il faraone... ed [egli] non vi darà ascolto”!

I maghi d’Egitto riescono ad imitare le prime due piaghe (non ad annullarle: riescono solo a peggiorare ulteriormente la situazione! – 7:22, 8:7). L’occultismo ha dunque reali poteri, ma quello di Dio è più grande (7:12, 8:19). Dalla quarta piaga in poi (le mosche velenose), c’è una discriminazione a favore degli Israeliti e del loro paese di Goscen (8:22, 9:4, ecc.).

Dopo la 4a, la 7a e l’8a piaga, il Faraone sembra piegarsi sotto il peso delle circostanze; ma subito si rimangia le parole quando le pressioni cessano. Vediamo qui illustrata la differenza tra un vero ravvedimento (duraturo), e un pentimento superficiale dovuto alle pressioni esterne. Il Faraone illustra anche il pericolo di indurire il proprio cuore quando si ode la voce di Dio (cfr. Ebr. 3:7, Prov. 28:14, 29:1).

9.2 La morte dei primogeniti e l’istituzione della Pasqua: capp. 11-12

L’ultima piaga differisce dalle altre in quanto non può essere più spiegata in termini “naturali” (colpisce infatti in maniera selettiva), e perché tocca direttamente le persone degli Egiziani (e di chiunque tra gli Israeliti fosse stato incredulo). Diventa l’occasione dell’istituzione della maggiore festa nazionale ebraica, la Pasqua – prescritta già prima dello svolgimento degli eventi che dovrà ricordare (12:14-20), che così commemora, non genericamente la liberazione dalla schiavitù, ma particolarmente la redenzione dei primogeniti per il sangue dell’agnello (cfr. Ebr. 12:23, “la chiesa dei primogeniti”).

La parola “Pasqua” (ebr. peshach) significa “passaggio” (vedi 12:12) o “atto di passare (sopra)” (v.13). Mentre in 12:12,13,23a,27 è detto che “il S IGNORE” colpirà i primogeniti degli Egiziani, in 23b è specificato che lo farà mediante “il distruttore” , che Egli stesso tratterrà dal colpire le case degli Israeliti contrassegnate dal sangue.

Nelle prescrizioni per la celebrazione annuale della Pasqua, è tratta una chiara linea di distinzione tra coloro che faranno parte del popolo di Dio, ammessi a parteciparne – gli Israeliti per nascita (v.47), i loro schiavi se circoncisi (44), e i proseliti, sempre se circoncisi (48) – e gli altri, anche se residenti in mezzo a loro, che ne sono esclusi (43,45).

Dopo la morte dei primogeniti, si verifica ciò che Dio aveva predetto a Mosè: non solo è consentito agli Israeliti di partire, ma vengono addirittura cacciati (11:1, 12:32), e partono arricchiti degli oggetti preziosi degli Egiziani (11:2, 12:35-36, cfr. Gen. 15:14).

9.3 Il passaggio del mare: capp. 13-15

Gli Israeliti partono in numero di 600.000 uomini, senza contare le donne e i bambini (12:37, 38:26, cfr. Num. 1:46, 2:32, 26:51), per una popolazione totale di 2 milioni circa. Alcuni hanno messo in dubbio queste cifre (infatti l’ebraico eleph può significare, oltre a “1000”, più genericamente “clan” o “compagnia”), ma questo sembra difficile in vista del censimento dettagliato di Num. 1. Il numero è comunque molto grande e sembra in contrasto con la cifra (più immediatamente verosimile) di 40.000 dato in Gios. 4:13, anche se il compito che li aspetta è impegnativo e il numero dei Cananei che dovranno scacciare è vasto (23:24-30). Per un approfondi-mento, vedi A. Terino, L’Origine del Pentateuco, nota alla p. 202.

Appena li vede partire, il Faraone cambia nuovamente idea e si mette a inseguirli (14:5-9), e questo provoca già la prima “mormorazione” degli Israeliti contro Mosè e contro Dio (14:10-12). Ma Dio interviene ancora potentemente in favore del Suo popolo. Il mare che blocca il loro passaggio non è chiamato nel testo ebraico “Mar Rosso”, ma “mare dei giunchi”, ed è probabilmente uno dei Laghi Salati. La “colonna di nuvola e di fuoco” (13:21-22) ora si interpone tra loro e gli Egiziani (14:19-20). È probabilmente questo il “battesimo nella nuvola” di 1° Cor. 10:2.

Dopo il passaggio del mare (il “battesimo nel mare” di 1° Cor. 10:2) e la distruzione dell’esercito egiziano, gli Israeliti festeggiano sulla riva orientale, ormai separati definitivamente dall’Egitto e la schiavitù. Il cantico del cap. 15 è il primo “salmo” ricordato nella Bibbia.

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10. IL PATTO E I DIECI COMANDAMENTI: Esodo 16 – 24

10.1 Il viaggio fino al Sinai: capp. 15:22 – 18

Dall’Esodo in poi, Dio accompagna Israele in maniera continua, non più con apparizioni sporadiche come al tempo dei Patriarchi.

Appena gli Israeliti entrano nel deserto, iniziano le prove (15:25, 16:4, cfr. Gen. 22:1, Deut. 8:2-3): • Le acque amare di Mara (15:22-27); • La mancanza di cibo (16:1-36); • La mancanza di acqua (17:1-7); • La battaglia con Amalec (17:8-16).

Ma nello stesso tempo, Israele mette Dio alla prova! (17:2,7, cfr. Deut. 6:16). Dio supera brillantemente la prova... e gli Israeliti?? Vediamo già qui come è messa in primo piano la grazia di Dio, prima che viene data la Legge.

Notiamo l’importante promessa di 15:26: Dio si rivela come il Guaritore e Risanatore (non solo degli uomini ma anche delle cose), ma la conclusione è che salverà il Suo popolo dalle malattie con la prevenzione, prima che con la cura.

Nonostante l’infedeltà e le lamentele del popolo, Dio esaudisce le sue richieste. In alcuni casi si serve di fenomeni o strumenti naturali, in altri interviene in modo soprannaturale. In particolare, la manna rappresenta un miracolo continuo, come dimostra il fatto che compare solo sei giorni della settimana, il 6° giorno in doppia quantità (16:5,22), e che si conserva fino all’indomani solo in occasione del sabato (16:24-27). Dio si contrista per la disubbidienza e la mancanza di fede del popolo (16:28), ma non interviene per punire, come invece fa più volte in Numeri.

Nella battaglia contro Amalec, notiamo il ruolo decisivo dell’intercessione di Mosè (17:11 – è questo il significato delle mani alzate, cfr. Sal. 28:2, 1° Tim. 2:1,8).

Mosè ha l’umiltà e il buon senso di accogliere il consiglio del suocero Ietro, e stabilisce fra il popolo capi di vari gradi, secondo la loro abilità (18:13-27). È un primo esempio della capacità organizzativa e amministrativa che è uno dei segni di un conduttore unto da Dio.

10.2 Il patto della legge: capp. 19-24

Notiamo la straordinaria vitalità di Mosè, che all’età di 80 anni sale e scende ripetutamente il monte Sinai (2300 m): nel cap. 19, tre volte; nel cap. 24, tre volte; nel cap. 32, due volte; nel cap. 34, una volta!

È da sottolineare che il patto (cap. 19) precedette la Legge (cap. 20), la quale rappresenta “i termini e le condizioni” del patto, accettato dal popolo con troppa facilità e presuntuosa fiducia nella propria capacità di osservarlo (19:8). Lo stesso patto viene ereditato poi dai cristiani nel N.T. (1° Pt. 2:9, Ap. 1:6, 5:10).

I 10 comandamenti (lett. “parole”, cfr. 34:28, Deut. 4:13, 10:4) sono il riassunto della Legge: i primi quattro riguardano il rapporto con Dio, i rimanenti i rapporti con gli uomini . L’ultimo, poi, è diverso dagli altri in quanto parla delle motivazioni interiori anziché i comportamenti esteriori: cfr. Rom. 7:7. La legge qui proposta da Dio al suo popolo ha certe somiglianze con i codici legali di altri popolo medio-orientali (es. quello di Ammurabi), ma differisce da loro in quanto è a) teocentrico, e b) essenzialmente egalitario. Dio sarà per il Suo popolo un Re molto diverso da quelli delle altre nazioni!

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11. IL TABERNACOLO E IL VITELLO D’ORO: Esodo 25 – 4 0

11.1 Disposizioni per il tabernacolo e il sacerdozio: capp. 25-31 Dopo la solenne cerimonia di accettazione e ratificazione del patto con Dio, sulla base delle leggi date nei capp. 20-23 (cap.24), Mosè risale sul monte Sinai per ricevere i 10 comandamenti in forma scritta dalla mano di Dio, e per ricevere le disposizioni relative alla costruzione di una tenda o “tabernacolo” perché Dio dimori in mezzo agli Israeliti.

Notiamo il digiuno soprannaturale sul monte di Mosè, che non mangia né beve per 40 giorni (34:28); viene successivamente ripetuto (Deut. 9:9,18). Solo alla fine della prima settimana Dio gli si avvicina e gli parla (24:16).

Esisteva già una “tenda di convegno”, usata come luogo di preghiera e di raccoglimento personale (33:7-10), che Mosè più tardi pianta “fuori del campo” e dove Dio viene a parlargli. Ora però Dio vuole una tenda fatta “su misura” come dimora Sua semi-permanente in mezzo al Suo popolo (25:8). Dovrà essere fatta esattamente secondo il progetto che Dio rivela a Mosè sul Monte Sinai (v. 9). Questo fatto ha un significato spirituale (v. Ebr. 8:5, 9:9,23) per la casa che Dio ora ha in mente di costruire per Sé stesso.

I materiali per la costruzione provengono tutti da una offerta volontaria (25:1-7, 35:4-29, 36:2-7). La quantità e il peso dei materiali impiegati (tra l’altro, 65 quintali di oro, argento e rame) sostengono la tesi di un popolo molto numeroso e anche ricco (vedi 12:35-36).

Per la disposizione del tabernacolo e del suo cortile e relative attrezzature, vedi la pianta e disegno allegato.

Aaronne e i suoi figli vengono chiamati al sacerdozio per servire il culto del Tabernacolo (28:1); sono descritti dettagliatamente i loro paramenti cerimoniali (28) e il rito per la loro consacrazione (29). L’efod sacerdotale fu una specie di sopravveste o tunica ornamentale. L’Urim e il Tummim (28:30) furono usati non solo come ornamento, ma anche nel consultare la volontà di Dio (Num. 27:21).

L’artigiano Besaleel (28:3, 31:3, 35:31) e i suoi aiutanti sono le prime persone che la Bibbia descrive come “ripieni dello Spirito”: notiamo che lo furono per fare il lavoro di costruzione della casa di Dio!

11.2 Il vitello d’oro e l’intercessione di Mosè: capp. 32-34

Mentre Mosè è sul monte, il popolo già viene meno all’impegno appena preso, trovando in Aaronne (che ancora non sa di essere stato scelto da Dio come sacerdote) un complice volonteroso. Sembra che l’immagine sia intesa come rappresentazione di Jahweh (32:4,5), seguendo l’esempio delle divinità egiziane in forma di animali e in barba al divieto del 2° comandamento.

Mosè, avvertito da Dio sul monte, già intercede per il popolo prima di vedere la situazione (32:11-14). Quando però la vede con i suoi occhi, costernato, spezza le due tavole della legge appena consegnategli da Dio (14-15). Notiamo le bugie di Aaronne che cerca di scusarsi, gettando la colpa sul popolo (vv. 22-24, cfr. 4-5); cfr. Eva in Gen. 3.

Mosè agisce su due fronti: ordina la punizione da una parte (vv. 25-29), ma dall’altra, intercede con Dio perché non accada nulla di peggio (30-35). L’intercessione di Mosè ci aiuta a capire il significato di questa parola: “interporsi” per subire nella propria persona il ma le che un’altra ha meritato (v.32). Davanti a Dio, si identifica con il popolo; ma davanti al popolo, rappresenta e si identifica con Dio. Come Abramo (Gen. 18:22-33), Mosè riesce a ottenere da Dio sempre maggiori concessioni: 1) Dio accetta di non sterminare interamente il popolo (32:11-14); 2) rimanda la punizione (32:30-33); 3) accetta di accompagnare Israele con la Sua presenza (33:14,17, cfr. v.4); 4) alla fine riconferma il patto e le promesse (34:10-28).

Per sé stesso, Mosè ottiene la rivelazione visibile della presenza di Dio (33:12-23).

11.3 Le nuove tavole della Legge e la costruzione del Tabernacolo: capp. 34-40

Questa volta è Mosè che prepara le tavole (34:1, cfr. 24:12), anche se sarà sempre Dio a scriverci sopra. Quando egli torna al campo, la sua faccia è raggiante della gloria riflessa della presenza di Dio (34:29-35, vedi 2° Cor. 2:13-18). Gli ultimi capitolo sono occupati dalla descrizione dei lavori per il Tabernacolo. Notiamo l’entusiasmo con cui il popolo offre tutto l’occorrente per i lavori (36:2-7). Al cap. 40, c’è l’inaugurazione della tenda e del sacerdozio aaronico, e Dio viene, come aveva promesso, a dimorare in mezzo al campo degli Israeliti (40:24-38).

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PIANTA E MODELLO DEL TABERNACOLO

Foto di un modello del tabernacolo e del cortile (del dr.

D.W. Gooding). Parte della copertura del tabernacolo è stata rimossa per mostrarne

l’interno.

100 cubiti (m. 50 ca).

10 cubiti 20 cubiti50 c

ubiti

(m

. 25

ca).

10 c

ubiti

Cortile

Tabernacolo

Luogo santo

Luogosantissimo

Conca di rame(30:17-21, 38:8)

Tavola dei pani(25:23-30, 37:10-16)

Arca del patto(25:10-22, 37:1-9)

Altare dei profumi(30:1-10, 37:25-28)

Candelabro(25:31-40, 37:17-24)

Altare dei sacrifici(27:1-8, 38:1-7)

Ingr

esso

del

cor

tile

(27:

16, 3

8:18

)

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12. LE LEGGI DEL CULTO: Levitico 1 – 10

12.1 Schema del Levitico

A. Comunione con un Dio santo capp. 1. Leggi sui sacrifici 1-7

2. Consacrazione dei sacerdoti 8-10

3. Leggi sulla purezza rituale 11-15

4. Il giorno dell’espiazione 16

B. Esigenze di un Dio santo 5. Leggi sulla santità 17-26

6. Leggi sui voti e sulla decima 27

Il Levitico, anche se dedicato in massima parte alle leggi cerimoniali, fa sempre parte integrante del racconto continuo che è il Pentateuco. Fanno parte del “filone narrativo” i capp. 8-10 e 24:10-23.

12.2 I sacrifici: capp. 1 – 7

La sezione si divide in due parti: 1:1 – 6:7 contiene disposizioni che riguardano il popolo, 6:8 – 7:38 delle norme supplementari che riguardano solo i sacerdoti.

I capp. 1 – 3 riguardano le offerte per Dio (volontarie), 4 – 6 le offerte per il peccato (obbligatorie). Una parola chiave in questi ultimi capitoli è “qorban” (offerta consacrata, dovuta a Dio – cfr. Mc. 7:11), parola trovata quasi solo in Lev. e Num.

Ecco un’analisi dei vari tipi di sacrificio (adattata da John H. Walton, Tavole sinottiche cronologiche dell’Antico Testamento):

Nome Porzione bruciata

Altre porzioni Offerta Occasione o motivo

Rif. Biblica

Olocausto

Tutto Nessuna (la pelle al sacerdote)

Maschio senza difetto; tipo di animale secondo le possibilità dell’offerente

Esprime la consacrazione a Dio, o per espiare la colpa del peccato

Lev. 1

Oblazione

Porzione simbolica

Mangiata dai sacerdoti

Farina, focacce senza lievito o grano. Sempre con sale

In generale, ringraziamento per l’inizio della raccolta

Lev. 2

Sacrificio di riconoscenza: come ringrazia-mento o per voto

Porzioni grasse

Petto e coscia per i sacerdoti. Il resto per l’offerente i suoi ospiti.

Praticamente tutti gli animali ammazzati a uso alimentare. Per un voto, deve essere senza difetto.

Esprime ricono-scenza per le bene-dizioni di Dio, o per sciogliere un voto fatto a Dio

Lev. 3; Lev. 22:18-30

Offerta per il peccato

Porzioni grasse

Sacerdote o intera nazione : incinerato. Altri casi: mangiata dai sacerdoti

Sacerdote o intera nazione : toro. Capo: capro. Altri : capra o agnello.

Per lo più, situazioni di purificazione (peccati involontari)

Lev. 4

Offerta per la colpa o per l’impurità

Porzioni grasse

Mangiata dai sacerdoti

Montone senza difetto Situazioni di profanazione o dissacrazione di cose sante; situazioni di colpa personale.

Lev. 5:1 – 6:7

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In tutti i sacrifici, c’era la partecipazione attiva dell’offerente. Ogni cosa offerta a Dio doveva essere di prima qualità. E le leggi contengono provvedimenti particolari per i più poveri, perché nessuno rimanga senza qualcosa da offrire a Dio, che “non ha riguardo alla qualità [o rango] delle persone”.

Le oblazioni (offerte di origine vegetale) dovevano sempre contenere del sale, simbolo del patto (2:13), e venivano offerte con incenso e con olio; non dovevano mai contenere lievito, simbolo di corruzione.

Le offerte di riconoscenza (altri traducono “di comunione”) comprendevano in realtà tutti gli animali ammaz-zati a uso alimentare (cfr. cap. 17, Deut. 12:15,21). Così Dio era coinvolto nella vita quotidiana.

Le offerte per il peccato riguardano peccati involontari (cap. 4), mentre invece le offerte di riparazione sono per peccati commessi coscientemente. Il torto doveva essere anche confessato e riparato dall’offerente.

12.3 Consacrazione dei sacerdoti: capp. 8 – 10

Nel cap. 8, notiamo come il sangue delle vittime veniva applicato all’orecchio, al pollice e all’alluce di ciascuno dei sacerdoti (vv. 23-24). Poi Aaronne e i suoi figli inaugurano il loro servizio con offerte, prima per se stessi, poi per il popolo (cfr. Ebr. 5:3).

Nel cap. 10, invece, leggiamo di come cadono subito nella disubbidienza e incorrono nel giudizio di Dio. Nadab e Abihu vengono drasticamente puniti per la loro presunzione nell’entrare nel Luogo Santissimo senza autorizzazione (cfr. 16:1-3); qualcuno ha suggerito che erano ubriachi (cfr. vv. 8-10). Lo stesso fuoco che in 9:24 aveva indicato l’approvazione di Dio, ora è un mezzo di distruzione (10:2); cfr. Ebr. 12:28-29.

13. LEGGI SULLA SANTITÀ E SULLA PUREZZA RITUALE: Le vitico 11 – 27

13.1 Leggi sulla purezza: capp. 11 – 15

A. Cap. 11: animali puri e impuri per l’uso alimentare. (N.B. Questa distinzione non è nuova: cfr. Gen. 7:2,3; 8:20).

B. Cap. 12: purificazione delle donne dopo il parto (N.B. l’impurità deriva dal sangue, v.5).

C. Cap. 13-14: la lebbra. (N.B. questo termine include varie malattie della pelle, non solo il “morbo di Hansen”, e anche funghi che attaccavano i muri delle case, 14:33-57).

D. Cap. 15: impurità derivanti dalle funzioni sessuali, comprese le malattie sessualmente trasmesse.

Lo stesso linguaggio qui usato per la purificazione cerimoniale viene adoperato altrove per parlare della purificazione morale della colpa e del peccato (Sal. 51:7,10; Ezech. 36:33). G. Vos ha commentato: “Dio insegna al Suo popolo ad avere gli stessi sentimenti nei riguardi del peccato che si è abituato ad avere per una vergognosa e scomoda esclusione dai riti del culto”. La parola frequentemente tradotta “fare espiazione” (kapar) significa probabilmente all’origine “coprire”: cfr. Sal. 32:1, Ebr. 10:4. (Dalla stessa radice deriva kapporeth, tradotto “propiziatorio” (Es. 25:17), che probabilmente significa semplicemente “coperchio”.)

13.2 Il giorno dell’espiazione: cap. 16

Questa ricorrenza annuale (impropriamente chiamata “festa”), in ebraico Yom hakkippurim, aveva luogo il 10 Tisri (verso la fine di settembre), ed era uno dei giorni più solenni del calendario ebraico. “Umiliare le anime vostre” (v. 29) indica il digiuno (cfr. Is. 58:3,5; Sal. 69:10, 35:13), da cui nel N.T. il giorno fu chiamato semplicemente “il digiuno” (Atti 27:9).

“L’espiazione” si fa, non per le persone, ma per le cose, e “a beneficio” delle persone. Non si tratta quindi di un effetto automatico e meccanicistico.

Oltre al sacrificio di un capro, il cui sangue veniva portato, solo questa volta nell’anno, dentro il Luogo Santissimo e asperso sul “propiziatorio” (vv. 14-15) e sugli altri arredi del Tabernacolo (18-19), c’era un altro capro che veniva portato via nel deserto per “portare via” i peccati di Israele. (La stessa parola per “portare via” significa anche “perdonare”, cfr. Is. 53:4, Giov. 1:29). Le vittime sacrificali dovevano essere bruciate fuori del campo, non sull’altare dei sacrifici (vv. 27-28).

Sul significato di “Azazel” (vv. 8,10,26) ci sono diverse interpretazioni. Più probabilmente non è il nome di un demone (come l’interpretano diversi commentatori moderni e i traduttori della Riv.), ma significa semplicemente “capro che va via”.

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13.3 Il “Codice della santità”: capp. 17 – 27

In questi capitoli ricorre 85 volte la parola “santo”: vedi 19:2, 20:7,26. Qui si tratta di leggi sulla vita quotidiana, non più per le pratiche del culto.

Cap. 17: leggi sui sacrifici e il divieto di mangiare il sangue. Notiamo il v. 7, “sacrifici ai demoni”: cfr. 1° Cor. 10:20, Deut. 32:17, ecc.

Cap. 18: leggi sui rapporti sessuali illeciti. Notiamo che è considerato responsabile il partner maschile.

Cap. 19: leggi sui rapporti sociali (riassunte nel v.18b) e sulle pratiche occulte (da notare il v.31).

Cap. 20: la punizione per vari tipi di peccato.

Capp. 21-22: regole per l’esercizio del sacerdozio e sulle vittime per i sacrifici.

Cap. 23: calendario delle celebrazioni religiose annuali.

Cap. 24: a) la fornitura di olio e di pane per il servizio del Tabernacolo;

b) l’episodio del bestemmiatore;

c) la legge del taglione (Es. 21:23-24) ribadita ed estesa agli stranieri residenti in Israele.

Cap. 25: a) l’anno sabatico (riposo anche per la terra!);

b) il giubileo: liberazione degli schiavi e restituzione dei terreni ai proprietari ereditari. Notiamo questa legislazione, tendente verso un’equa distribuzione della proprietà e ad evitare l’accumulo di ricchezze e di privilegi ereditati. La terra, come gli Israeliti stessi, appartiene a Dio.

Cap. 26: le conseguenze dell’ubbidienza e della disubbidienza: benedizioni e maledizioni (cfr. Deut. 28).

Cap. 27: a) la redenzione delle cose offerte a Dio in voto;

b) la legge delle decime, che “appartengono a Dio” (una specie di “affitto” sulla terra).

14. I 40 ANNI NEL DESERTO: Numeri 1 – 21

14.1 Preparativi per la partenza dal Sinai: capp. 1-10

Nel cap. 1, abbiamo l’ordine di fare il censimento degli uomini abili alla guerra (1:3). Le tribù diventano 12 per la divisione tra Efraim e Manasse (v.32), mentre i Leviti, addetti al servizio e alla difesa del Tabernacolo (vv. 47-53), non sono compresi. Qui vediamo che Dio s’interessa dei numeri.

Nel cap. 2, vengono dati ordini per la disposizione delle tribù nell’accampamento e in marcia. Vediamo che Dio è un Dio di ordine (1° Cor. 12:33, cfr. Lc. 9:14).

I capp. 3-4 contengono istruzioni per i Leviti, che Dio prende per sua proprietà particolare in cambio di tutti i figli primogeniti (3:11-13, 39-51, cfr. Es. 13: 1-2). Essi sono perciò censiti dall’età di un mese in su (3:15), ma prenderanno il servizio solo dai 30 fino ai 50 anni (4:3,23, ecc.), cioè durante gli anni della piena maturità (la stessa età in cui iniziò il servizio di Gesù). Il servizio più “sacro” viene riservato ai discendenti di Cheat, i parenti più stretti di Aaronne e di Mosè (3:31, 4:4-15).

Il cap. 5 contiene ordini per la purezza rituale del campo; per la confessione e la restituzione (notiamo che in ogni caso i torti vanno “pagati”, anche quando non è possibile fare risarcimento, v.8); e per la risoluzione dei casi di conflitti dovuti alla gelosia nel matrimonio.

Il cap. 6 contiene la legge del nazireato. Il voto poteva essere a vita, (cfr. Sansone, Samuele, Giovanni Battista), ma normalmente si trattava di un voto particolare per un tempo limitato (cfr. Paolo, Atti 18:18).

Nel cap. 7 si descrive la consacrazione del Tabernacolo e le offerte dei singoli capi tribù. Sembra essere fuori posto cronologicamente (cfr. Es. 40:2, Lev. 8:10). È notevole la ripetizione della lista delle offerte: ci fa capire che Dio non si “annoia” a ricevere ripetutamente le stesse cose, e che tutti hanno uguale valore ai Suoi occhi. Gli arredi sacri dovevano essere portati a spalla da uomini consacrati a Lui (v.9): Dio non affida la sua gloria a meccanismi e a metodi. Si descrive poi la cerimonia di consacrazione dei Leviti al servizio (cap. 8).

Il cap. 9 descrive la celebrazione della prima Pasqua nel deserto, e le disposizioni per una Pasqua differita in casi particolari. Poi è descritta la discesa e il movimento della nuvola della gloria di Dio che doveva guidare Israele attraverso il deserto (vv. 15-23). Nel cap. 10 si parla delle trombe e del loro uso, e della partenza dal Sinai a 13 mesi di tempo dall’Esodo.

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14.2 Viaggio dal Sinai alla pianura di Moab: capp. 11 – 21

Subito inizia una triste serie di ribellioni dovute all’incredulità (cap. 11, cfr. Ebr. 3:12,19). Nella prima (vv. 1-3), vediamo il giudizio di Dio e l’intercessione di Mosè; nella seconda (vv. 4-35) – che inizia dai non Israeliti (“simpatizzanti”) che li hanno accompagnati dall’Egitto (v.4, cfr. Es. 12:38) – vediamo insieme la grazia e il giudizio, dovuta ancora all’intercessione di Mosè. Notiamo che il fatto che Dio esaudisce la preghiera (v.18) non significa sempre che Gli siamo graditi (cfr. Sal. 106:14-15).

Lo stesso capitolo descrive l’importante episodio in cui Dio mette lo Spirito sui 70 anziani (vv. 16-17, 24-30). Notiamo il contrasto con la rigidità del culto del Tabernacolo, e la reazione di Giosuè (cfr. Lc. 9:49). Il desiderio di Mosè che “tutto il popolo di Dio fossero profeti” (v.24) troverà la sua realizzazione solo con il Nuovo Patto (Gioele 2:28).

Nel cap. 12, leggiamo come anche Maria e Aaronne criticano Mosè: l’iniziativa è di lei (il v.1 dice alla lettera: “e parlò lei, Maria, e Aaronne, contro Mosè”. Mosè non si difende, piuttosto è Dio a difenderlo: ecco la mansuetudine (v.3). Non sembra chiaro se la guarigione di Maria avviene subito o solo alla fine dei sette giorni.

I capp. 13-14 sono centrali all’intero libro: si tratta della “goccia che fa traboccare il vaso”. È la classica descrizione dei peccati “gemelli” dell’incredulità (14:1-12) e della presunzione (vv. 39-45). Delle dodici spie, dieci muoiono subito (14:37), mentre gli altri due (Caleb e Giosuè), che non sono tra i più giovani, sopravvivranno a tutto il resto del popolo! La differenza nella loro relazione è mettere Dio nell’equazione.

Notiamo: 1) la proposta “democratica” del v.4; 2) la nuova intercessione di Mosè (vv. 13-19); 3) che il perdono non esclude la punizione (cfr. Davide, 2° Sam. 12:13-14); 4) che il pianto e il cambio di intenzione (vv. 39-40) non equivalgono al ravvedimento (cfr. Ebr. 3-4).

I capp. 15-21 raccontano le peregrinazioni inutili nel deserto: praticamente aspettano solo che muoia tutta quella generazione, prima di poter entrare in Canaan. Questi capitoli racchiudono dunque 38 anni di storia (cfr. Deut. 1:45 – 2:14). Le norme del cap 15 sembrerebbero fuori posto, ma notiamo i vv. 1,18: “Quando...”

La ribellione del cap. 16 attira una tremenda punizione: notiamo il discorso “egalitario” e “democratico” dei vv. 3,14! Sembra che Kore aspiri al sacerdozio (v.10), che invece Dio si riserva di assegnare a chi vuole Lui. Notiamo la nuova intercessione di Mosè (v.22). Egli invece viene incolpato (v.41) dal popolo che ha appena salvato! I turiboli dei ribelli diventano comunque “santi” (vv. 36-40) perché sono stati offerti a Dio.

Il cap. 17 racconta del miracolo della verga di Aaronne: notiamo infine il timore “sbagliato” del popolo (vv. 12-13), che considera Dio un essere capriccioso e non razionale. Nel cap. 18 leggiamo delle disposizioni per le decime (che saranno pagate anche dagli stessi Leviti, v. 25-32). Il cap. 19 parla dell’acqua per le cerimonie di purificazione: non c’è purificazione senza spargimento di sangue.

Nel cap. 20 leggiamo della morte di Maria (v.1) e di Aaronne (vv. 22-29), questa a causa della sua disubbidienza, con Mosè, apparentemente “banale” (vv. 11-12). Nel cap. 21 c’è l’importante episodio del serpente di rame, simbolo di Gesù (Gv. 3:14), che più tardi diventa un idolo ed è giustamente distrutto da Ezechia (2° Re 18:4). Notiamo la necessità della confessione del peccato per ottenere grazia (vv. 6-7).

Infine leggiamo, dopo l’opposizione di Edom (20:14-21), della guerra con gli Amorei (Sicon e Og) e la loro distruzione (21:21-35). Sembra che Og sia stato della razza gigantesca (Deut. 3:11).

15. ISRAELE NELLA PIANURA DI MOAB: Numeri 22 – 36

15.1 Balaam e Balac: capp. 22-24

Balaam, che abita lontano, a Petor sull’Eufrate (22:5), è chiamato un “indovino” (v.7, Gios. 13:22, cfr. Deut. 18:14), però conosce e consulta il Signore, JHWH (vv. 8-9) e profetizza da parte Sua. Come indovino, è caratterizzato dal fatto di lavorare a pagamento (v.7). Ci sono nella Bibbia altri casi di persone che profetizzano contro voglia (Caiàfa, Gv. 11:49-52) o che parlano ora per ispirazione divina, ora per un altro spirito (Pietro, Mt. 16:15-23).

Notiamo come Dio prima gli rifiuta il permesso di andare da Balac (22:12), ma poi, dietro sue insistenze, glielo concede ma si adira con lui (vv. 20-22): cfr. Num. 11:31-33, Sal. 106:15, e il caso di Ezechia (2° Re 20 – 21). Balaam è sviato dall’amore del guadagno: 2° Pt. 2:15, Giuda 11; cfr. Atti 8:18-23.

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L’asina di Balaam (22:23-25) dimostra che profetizzare non è prova di particolare spiritualità! L’asina che “vede” e profetizza fa contrasta con il “veggente” che non vede! (cfr. 24:3-4,15-16!)

Le quattro benedizioni profetiche di Balaam (capp. 23 – 24) non impartiscono la benedizione, ma dichiarano soltanto quello che Dio ha già decretato (23:3,20). 24:17-19 sembra una profezia molto precisa del re Davide.

Alla fine, Balaam torna a casa (24:25), ma poi – attirato presumibilmente dalla stessa speranza di guadagno – torna a tramare contro Israele (31:16) e finisce ucciso (31:8 = Gios. 13:22).

15.2 Idolatria nella pianura di Moab: cap. 25

L’idolatria (infedeltà spirituale) è qui strettamente collegata con la fornicazione (infedeltà sessuale): cfr. 1° Cor. 6:13-20, 2° Cor. 6:14-17). Ma il flagello che colpisce 24.000 Israeliti è anche colpa di una nuova disubbidienza di Mosè (vv. 4-5), che sembra non essere d’accordo con Dio sulla responsabilità dei “capi” per il peccato del popolo.

15.3 Preparativi per la conquista di Canaan: capp. 26 – 36

Cap. 26: il nuovo censimento, sulla base del quale sarà fatta la divisione equa del paese (vv. 52-56). Gli Israeliti risultano leggermente diminuiti rispetto al primo censimento di 39 anni prima, mentre i Leviti sono aumentati.

Nel cap. 27, il “caso Selofead” introduce un principio per l’eredità delle terre: si vede la grande importanza attribuita alla continuità delle famiglie (cfr. anche la “legge del levirato”). Giosuè viene designato successore di Mosè.

Capp. 28-30: leggi per il culto e per i voti. Notiamo l’autorità riconosciuta al padre o al marito di annullare i voti delle donne che vivono sotto la loro cura, e anche il principio che “chi tace, acconsente” (30:4,8,11,14).

Cap. 31: lo sterminio dei Madianiti (= Moabiti). Non si tratta comunque di uno sterminio completo (vedi Giud. 6:1, ecc.), né il loro territorio viene occupato dagli Israeliti, come quello degli Amorei (Sicon e Og).

Cap. 32: il territorio degli Amorei concesso alle due tribù e mezza di Ruben, Gad e Manasse. Anche qui, Dio concede qualcosa che non faceva parte del Suo piano e delle Sue promesse: la preghiera di queste tribù si basa su ciò che “vedono” (32:1). Dovranno comunque aiutare i loro fratelli a prendere possesso della terra promessa. Il cap. 33:1-49 riassume le tappe del viaggio.

33:50 – cap. 35: ordini per la conquista e la divisione del paese, le città levitiche, le città di rifugio dalla vendetta per omicidi involontari.

Cap. 36: legge sull’eredità, mirata a conservare l’integrità dei territori delle singole tribù.

16. LA LEGGE RIBADITA: Deuteronomio 1 – 26

16.1 Introduzione

Il libro di Deuteronomio contiene gli ultimi “discorsi d’addio” di Mosè, che sta per morire, alla nuova genera-zione prima del passaggio del Giordano e l’invasione della Terra Promessa. Tutto il libro occupa non più di un mese (Deut. 1:3, Gios. 4:19). Il libro può essere così analizzato:

Primo discorso: 1:6 – 4:40

Secondo discorso: 5:1 – 28:68

Terzo discorso: 29:1 – 30:20

Quarto discorso: 31:1-8

Cantico di Mosè e benedizione finale: 31:30 – 33:29

Morte di Mosè: 34:1-12

Secondo la “teoria documentaria” (Wellhausen, Graf, ecc.) – che è partita proprio dalla critica di questo libro – il Deuteronomio sarebbe stato composto molto più tardi (7° secolo a.C., al tempo di Giosia) e sarebbe una “pia invenzione” dei sacerdoti, che volevano dare una “giustificazione” storica alle riforme religiose che volevano promuovere (abolizione degli “alti luoghi”, ecc.), e da loro nascosto nel Tempio per essere “riscoperto”! Chiaramente tutto questo non trova giustificazione nella Bibbia: al contrario, il N.T. ne attribuisce chiaramente i contenuti a Mosè (Mt. 19:8, 1° Cor. 9:9, Ebr. 10:28).

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Si è notato nel Deut. una somiglianza con i “patti” tra re e popoli soggetti, rinvenuti in documenti storici (Hittiti) del periodo (2° millennio a.C.): il preambolo (1:1-5); il prologo storico (1:6 – 4:49); gli articoli generali (5 – 11) e quelli particolari (12 – 26); le benedizioni invocate per l’osservanza e le maledizioni per la trasgressione (27 – 28); la deposizione del testo a disposizione dei sudditi (31:26); la periodica lettura pubblica (31:9-13); i testimoni invocati per la convalida (30:19, 31:19,26).

16.2 Primo discorso: 1:6 – 4:40

I capp. 1 – 3 contengono la ricapitolazione (per la nuova generazione) di tutto il viaggio e gli avvenimenti dal Sinai fino alla pianura di Moab. Notiamo però come Mosè dà la colpa al popolo per il fatto che egli non potrà entrare in Canaan (ripetuto 3 volte: 1:37, 3:26, 4:21). In parte ha ragione, perché doveva entrarvi già 38 anni prima (Num. 13).

Il cap. 4:1-40 contiene invece un’esortazione alla fedeltà e all’ubbidienza e ad evitare la tentazione all’idolatria dei popolo del Canaan, citando anche le infedeltà della vecchia generazione. Importanti i vv. 6-8.

16.3 Secondo discorso: la legge ribadita: capp. 5 – 26

Nel cap. 5, Mosè ripete il fondamento del patto, i 10 comandamenti, sottolineando che il patto è valido anche per la nuova generazione (v.3), e la necessità del timore di Dio (vv. 23-33).

Il cap. 6 contiene lo “Scemà” (“Ascolta... ” – vv. 4-9): è vitale non solo amare Dio personalmente, ma anche trasmettere l’amore e il timore di Dio di generazione in generazione (vv. 7,20-25). Le istruzioni dei vv. 8-9, più tardi prese alla lettera dai pii Ebrei, sembrano più un linguaggio metaforico.

Nel cap. 7, l’ordine di distruggere i popoli di Canaan è motivato essenzialmente dal timore che possano contagiare e sviare Israele. È l’amore di Dio che dovrà motivare Israele alla fedeltà e all’osservanza del patto (vv. 7-10).

I capp. 8 – 11 esortano a ricordare il cammino fatto nel deserto (nel quale questa generazione ha dovuto soffrire per l’infedeltà dei propri padri): “il passato è la chiave del futuro”. 8:2-5 è un brano “classico” sulla disciplina paterna di Dio (cfr. Ebr. 12:5-11). 8:11-18 è invece un ammonimento sui pericoli della prosperità (data da Dio!), che facilmente porta a dimenticarLo e abbandonarLo. Nel cap. 11 è posta chiaramente la scelta tra l’ubbidienza e la disubbidienza e le loro conseguenze.

I capp. 12 – 26 contengono una serie di leggi, senza un ordine evidente. Notiamo:

• cap. 12: il culto centralizzato in un solo luogo (N.B. Gerusalemme non viene nominata); • cap. 13: prova e punizione dei falsi profeti; • cap. 14: leggi sul lutto (costumi pagani), sui cibi, sulle decime. Qui si tratta della “decima della festa” (oltre

quella per i Leviti), da destinarsi a un “fondo per le ferie” (vv. 22-27), e a quella triennale per le opere di carità (vv. 28-29).

• 17:14-20: legge concessiva su un possibile re (cfr. 1° Sam. 8, 12; 1° Re 10:26, 11:3-6). • 18:15-22: i profeti, con riferimento anche a “il profeta” (cfr. Atti 3:22, 7:37). • cap. 20: il servizio militare e la conduzione delle guerre (legge “umanitaria”). • 21:10-14: trattamento delle donne schiave prese come concubine. • 21:18-21: trattamento dei figli ribelli. • 24:1-4: il divorzio (notiamo l’esistenza di diverse interpretazioni del v.1). • 24:5: i nuovi sposi.

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17. L’ADDIO DI MOSÈ: Deuteronomio 27 – 34

17.1 Ordine di rinnovare il patto: capp. 27 – 28

Nel cap. 27, Mosè e gli altri anziani dànno disposizioni per la cerimonia di rinnovamento del patto con Dio, da celebrarsi dopo il passaggio del Giordano (dato come una certezza, vv. 2,4,12). Questa cerimonia, che si svolge dopo la prima fase della conquista (Gios. 8:30-35), dovrà essere caratterizzata da una grande solennità, in modo di lasciare una profonda impressione nei partecipanti: infatti tutti dovranno dire il loro “Amen!” alla maledizione invocata sulla propria testa in caso di infedeltà al patto di Dio.

Il cap. 28 chiarisce il contenuto delle benedizioni e delle maledizioni che conseguiranno all’ubbidienza e all’infedeltà. Le benedizioni comprendono: • la prosperità nazionale (v. 1,10); • la prosperità economica (vv. 3-5,8,11-12);

• la prosperità e la felicità nella vita familiare (v.4a,6); • il successo militare (v.7).

Viceversa, le maledizioni abbracceranno tutte queste sfere (vv. 15-62), e culmineranno nell’esilio dalla terra che Dio sta per affidare loro (vv. 63-68). È significativo il fatto che viene dedicato molto più spazio alle minacce di castigo che non alle promesse di benedizione: Dio forse comprende meglio di noi la psicologia e le motivazioni umane? Notiamo anche come Dio opera nella storia per giudicare nazioni e non individui: cfr. Ger. 18:7-10, con la conseguenza che alcuni individui possono soffrire insieme con la massa degli ingiusti: cfr. Mt. 5:45.

17.2 Rinnovo del patto ed esortazioni finali: capp. 29 – 30

Notiamo la presenza, e l’inclusione nel patto, anche de “lo straniero che è in mezzo al tuo accampamento” (29:11-13), e le solenni esortazioni alla fedeltà a Dio che vede nel segreto dei cuori (vv. 18-20). Notevole anche il v.29.

Nel cap. 30, Mosè prevede come inevitabile l’apostasia, l’esilio e la successiva restaurazione (vv. 1-5, cfr. 31:16-21), e perfino il Nuovo Patto (v.6, cfr. Ger. 31:31-34).

17.3 Successione di Giosuè: cap. 31

Notiamo il v. 9: “Mosè scrisse questa legge...”, e l’ordine che sia letta pubblicamente ogni sette anni (vv. 10-13). Non abbiamo però notizia che questa legge sia mai stata rispettata. Il messaggio a Giosuè è ripetute diverse volte da Dio stesso in Gios. 1.

17.4 Il cantico di Mosè: cap. 32

Notiamo che il cantico è in previsione dell’apostasia che Dio già prevede in Israele (31:22): è un “atto di accusa di infedeltà al patto”, ma come molte profezie di calamità e di giudizio, è inteso a impedire ciò che predice (cfr. Giona). È scritto in un ebraico molto antico. Viene frequentemente citato nel N.T., ed esprime l’equilibrio tra il giudizio e la misericordia di Dio (vv. 35-36).

17.5 Le benedizioni profetiche: cap. 33

Cfr. Gen. 49. Notiamo che qui le promesse e le preghiere sono tutte in chiave positiva. Il capitolo inizia e termina con espressioni di lode a Dio.

17.6 Morte di Mosè: cap. 34

Anche nella sua morte, Mosè riceve un trattamento particolare da Dio (v. 6). Giuda v.9 fa riferimento a un fatto misterioso riportato nell’apocrifa “Assunzione di Mosè” (citata da Clemente e Origene). Nei vv. 10-12 è fatto notare che non è ancora sorto in Israele quel “profeta simile a Mosè” che egli aveva predetto in 18:15.