FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN. - Università degli studi...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN. LAUREA MAGISTRALE IN GEOLOGIA E GEOLOGIA TECNICA Caratteristiche composizionali e provenienza dei depositi fluviali pleistocenici della Val d’Ambra (Toscana, Italia): implicazioni per l’evoluzione del paleo-drenaggio del fiume Arno. Relatore Dr. Massimiliano Ghinassi Laureanda Giorgia Moscon Correlatore Prof. Cristina Stefani Anno Accademico 2011/2012

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  • UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

    FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN.

    LAUREA MAGISTRALE IN GEOLOGIA E GEOLOGIA TECNICA

    Caratteristiche composizionali e provenienza dei depositi fluviali pleistocenici della Val d’Ambra

    (Toscana, Italia): implicazioni per l’evoluzione del paleo-drenaggio del fiume Arno.

    Relatore Dr. Massimiliano Ghinassi

    Laureanda Giorgia Moscon

    Correlatore Prof. Cristina Stefani

    Anno Accademico 2011/2012

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    Indice INTRODUZIONE ............................................................................................................................................ 9

    CAPITOLO 1.... INQUADRAMENTO GEOGRAFICO ....................................................................................... 11

    CAPITOLO 2.... INQUADRAMENTO GEOLOGICO ......................................................................................... 13

    Appennino Settentrionale .......................................................................................................................... 13

    Bacini dell’ Appennino Settentrionale........................................................................................................ 14

    Evoluzione del drenaggio nella Toscana centrale tra il Pliocene ed il Pleistocene .................................... 17

    L’area in esame........................................................................................................................................... 18

    CAPITOLO 3.... ATTIVITA’ DI CAMPAGNA E DI LABORATORIO ................................................................ 21

    Geomorfologia e Stratigrafia ...................................................................................................................... 22

    Analisi composizionali ................................................................................................................................ 35

    Analisi della frazione ruditica ........................................................................................................ 35

    Descrizione litologica dei raggruppamenti di ciottoli .................................................................... 37

    Analisi della frazione sabbiosa ....................................................................................................... 39

    CAPITOLO 4.... RISULTATI PETROGRAFICI ................................................................................................... 42

    Risultati Compositivi ................................................................................................................................... 42

    Frazione Ruditica ........................................................................................................................... 42

    Frazione Sabbiosa .......................................................................................................................... 47

    CAPITOLO 5.... DISCUSSIONE ...................................................................................................................... 52

    La paleovalle ed il possibile bacino di drenaggio sulla base di evidenze geologiche e geomorfologiche .. 52

    Provenienza dei sedimenti ......................................................................................................................... 55

    Geologia del bacino di drenaggio chiantigiano ............................................................................. 55

    Geologia del bacino di drenaggio casentinese .............................................................................. 56

    I possibili bacini di drenaggio confrontati con i dati composizionali.......................................................... 58

    CAPITOLO 6.... CONCLUSIONI ..................................................................................................................... 62

    BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………………………………………………………………………………………….70

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    Indice delle Figure

    Figura 1 : (A) Ubicazione dell’area di studio nella Toscana centrale. Ubicazione geografica dell’area, tra

    la provincia di Arezzo e la provincia di Siena. (B) Ubicazione dell’area di studio in relazione alle

    principali depressioni tettoniche mio-quaternarie della Toscana. .............................................. 10

    Figura 2 : Ubicazione dell’area di studio rispetto ai bacini di Siena e del Valdarno Superiore. Notare come

    la zona in esame sia collocata a cavallo della Dorsale dei Monti del Chianti. ............................ 11

    Figura 3 : Sezione attraverso l’Appennino settentrionale e relativa distinzione tra bacini estensionali e

    compressivi suggerita da Martini e Sagri, 1993. ......................................................................... 15

    Figura 4 : Bacini estensionali della Toscana in relazione alle principali lineazioni tettoniche

    antiappenniniche. Notare come i fiumi Arno e Sieve cambino radicalmente la loro orientazione

    in corrispondenza di tali lineamenti tettonici (Arbia-Valmarecchia per il F. Arno e Piombino-

    Faenza per il F. Sieve). ................................................................................................................. 16

    Figura 5 : Drenaggio del paleoArno (linea rossa) dal Bacino del Casentino verso la Val di Chiana, attivo

    nel Pliocene Medio, secondo la ricostruzione di Bartolini e Pranzini (1981). La linea blu

    evidenzia l’andamento dell’attuale Arno. ................................................................................... 18

    Figura 6 : Depositi fluviali di valle incisa decritti da Aldinucci et al. (2007) nell’area in esame. (A)

    Ubicazione dell’area studiata nel presente lavoro rispetto a quella di Aldinucci et al. (2007) (B)

    Sezioni schematiche del sistema di valle incisa descritto da Aldinucci et al. (2007). L’unità Q di

    Aldinucci et al. (2007) è analizzata nel presente lavoro e rinominata unità VF2. (C) Architettura

    dei depositi di riempimento della valle appartenenti all’unità VF secondo Aldinucci et al. (2007)

    . ................................................................................................................................................... 20

    Figura 7 : Modello digitale del terreno relativo all’area di studio. In evidenza lo spartiacque tra il Bacino

    di Siena e il Bacino del Valdarno. ................................................................................................ 23

    Figura 8 : Vista dell’area in esame tramite Google Earth. L’area è osservata verso SO da un’elevazione di

    circa 15 km (esagerazione verticale X3)...................................................................................... 24

    Figura 9 : Vista dell’area in esame tramite Google Earth. L’area è osservata verso NE da un’elevazione di

    circa 7 km (esagerazione verticale X3). Notare le dimensioni della valle attualmente drenata dal

    T. Scerfio, il quale risulta essere comunemente asciutto durante la maggior parte dell’anno. . 25

    Figura 10 : Superfici terrazzate presenti nell’area di studio. (A) Ubicazione delle aree caratterizzate dalle

    superfici terrazzate più evidenti. (B) Superfici terrazzate a Sud dello spartiacque che separa il

    bacino di Siena dal bacino del Valdarno Superiore. (C) Superfici terrazzate a Nord dello stesso

    spartiacque. .............................................................................................................................. 26

    Figura 11 : Principali litologie componenti il substrato roccioso. (A) Depositi argillitici e calcarei

    appartenenti ad Unità Subliguri; (B) Arenarie torbiditiche della F.ne del Macigno. ................ 27

    Figura 12 : Depositi pliocenici marini costieri. (A) Livelli ricchi di gusci frammentati in sedimenti sabbiosi

    di mare basso. (B) Intervalli di ciottolami a base netta con dispersi frammenti di gusci di

    molluschi marini. ...................................................................................................................... 27

    Figura 13 : Depositi di riempimenti di valle incisa nella porzione centro-meridionale dell’area in esame. 29

    Figura 14: Depositi dell’unità VF2 nella porzione centro-meridionale dell’area in esame. (A) Affioramento

    nei pressi del Pod. Arcidosso. Notare come l’unità VF2 sia costituita da una porzione basale

    formata da ciottolami ed una sovrastante costituita da sabbie. (B) depositi clastosostenuti

    con stratificazione inclinata; (C) Canale di ridotte dimensioni a pareti sub-verticali tagliato in

    depositi sabbiosi costituienti la porzione suoperiore dell’unità VF2. (D-E) Ripples cross

    lamination in depositi sabbiosi dell’unità VF2. ......................................................................... 31

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    Figura 15 : Depositi siltoso-sabbiosi di VF2 a nella porzione settentrionale dell’area in esame. (A)

    Depositi sabbioso-ghiaiosi a stratificazione piano-parallela e base erosiva attribuiti a corpi

    canalizzati; (B) Depositi pelitici con tracce di radici e frustoli vegetali. (D) Log sedimentologico

    da Boscaini (2011). ................................................................................................................... 33

    Figura 16 : (A) Ubicazione delle zone di campionamento per i depositi dell’unità VF2 e per i sedimenti

    accumulati dal paleoArno nel bacino del Valdarno Superiore durante il Pleistocene Medio (sito

    Cava). (B) Visione di dettaglio dei depositi dell’unità VF2 nei pressi di Pod. Arcidosso. (C)

    Depositi del paleoArno nell’area di Monticello. ....................................................................... 35

    Figura 17 : Percentuale di frequenza dei gruppi litologici riconosciuti. ...................................................... 43

    Figura 18 : Percentuale di frequenza dei gruppi litologici riconosciuti. ...................................................... 43

    Figura 19 : Percentuale di frequenza dei gruppi litologici riconosciuti. ...................................................... 44

    Figura 20 : Lunghezza dell’asse b misurata sui ciottoli dei depositi di Cava. ............................................. 45

    Figura 21 : Lunghezza dell’asse b misurata sui ciottoli dei depositi di VF1. ............................................... 45

    Figura 22 : Lunghezza dell’asse b misurata sui ciottoli dei depositi di VF2. ............................................... 46

    Figura 23 : Composizione dei campioni analizzati ...................................................................................... 49

    Figura 24 : Composizione della frazione litica a grana fine ........................................................................ 50

    Figura 25 : Composizione della frazione litica a grana fine, suddivisa in “silicoclastica” e “carbonatica” 51

    Figura 26 : Ipotetica ricostruzione relativa ad un bacino di drenaggio limitato all’area chiantigiana. ..... 53

    Figura 27 : Ipotetica ricostruzione relativa ad un bacino di drenaggio che includeva sia l’area

    chiantigiana che quella casentinese. ........................................................................................ 54

    Figura 28 : Carta geologica semplificata del bacino chiantigiano. ............................................................ 56

    Figura 29 : Carta geologica semplificata del bacino casentinese. .............................................................. 58

    Figura 30 : Diagramma classificativo triangolare; si nota che la composizione dell’Unità del Macigno

    calcolata da Cipriani(1961) e la composizione dei depositi VF2, raggruppando i punti contati

    nelle stesse classi proposte da Cipriani(1961), risulta essere differente. ................................ 60

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    Indice delle Tabelle

    Tabella 1: Classi iniziali ottenute tramite il riconoscimento dei ciottoli. .................................................... 36

    Tabella 2: Percentuale dei ciottoli determinati in ciascuna stazione di misura di VF1 suddivisi nei 5 gruppi

    riconosciuti. .............................................................................................................................. 38

    Tabella 3: Percentuale dei ciottoli determinati in ciascuna stazione di misura di VF2 suddivisi nei 5 gruppi

    riconosciuti. .............................................................................................................................. 39

    Tabella 4 : Percentuale dei ciottoli determinati in ciascuna stazione di misura di Cava suddivisi nei 5

    gruppi riconosciuti. ................................................................................................................... 39

    Tabella 5 : Tipologie di clasti conteggiati e loro raggruppamento ai fini classificativi. ............................. 41

    Tabella 6 : Percentuali di frequenza delle classi di Cava. ........................................................................... 42

    Tabella 7 : Punti contati per sezione sottile................................................................................................ 47

    Tabella 8 : Percentuale dei punti contati per sezione sottile. ..................................................................... 48

    Tabella 9 : Parametri compositivi. .............................................................................................................. 48

    Tabella 10: Composizione mineralogica dell’Unità del Macigno calcolata da Cipriani (1961). ................. 59

    Tabella 11 : Composizione mineralogica di VF2 ricalcolata da Cipriani (1961).......................................... 59

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    INTRODUZIONE

    Il presente studio si propone di indagare l’evoluzione plio-pleistocenica del

    drenaggio fluviale di un’area ubicata in prossimità della dorsale del Chianti (FIG.1),

    in Toscana centrale (Appennino Settentrionale). Il principale corso d’acqua che

    drena questo settore dell’Appennino è il F. Arno, che nasce dal M. Falterona e

    dopo circa 240 km sfocia nel Mar Tirreno in prossimità di Pisa. L’evoluzione del

    drenaggio dei principali corsi d’acqua dell’area toscana, e pertanto anche del F.

    Arno, è stata descritta in dettaglio da Bartolini e Pranzini (1981). Questi Autori

    evidenziano come l’area in esame rappresenti un punto focale per l’evoluzione

    del drenaggio del F. Arno, soprattutto in relazione ad uno dei principali fenomeni

    di avulsione, che lo hanno portato, durante il Pleistocene, ad assumere l’attuale

    conformazione mettendo fine ad una fase di confluenza nel bacino del F. Tevere.

    Recenti studi (Aldinucci et al., 2007; Moscon, 2008; Boscaini 2011; Roner,

    comunicazione personale) hanno però evidenziato come tale area ospitasse

    anche un sistema vallivo (Aldinucci et al., 2007) che durante il Plio-Pleistocene

    (Aldinucci et al., 2007; Boscaini, 2011) era drenato da un corso d’acqua di

    dimensioni considerevoli (Moscon, 2008; Roner, comunicazione personale). Allo

    stato attuale delle conoscenze, non è noto come questo elemento del drenaggio

    pleistocenico possa essere collocato nello schema evolutivo proposto da Bartolini

    e Pranzini (1981). Il presente lavoro di tesi è pertanto di associato ad indagini

    inerenti problematiche di geologia regionale ed è volto a contestualizzare il

    sistema di drenaggio precedentemente menzionato nell’ambito dello sviluppo del

    drenaggio appenninico, con particolare riferimento all’evoluzione del reticolo del

    F. Arno. In tale contesto, lo studio svolto si è focalizzato sui depositi di

    riempimento di valle incisa già descritti da Aldinucci et al. (2007), ed in particolare

    sulla porzione di tetto di tale successione. L’andamento della paleovalle è stato

    definito attraverso un dettagliato rilevamento di campagna, mentre lo studio

    delle provenienze dei sedimenti associati a tale drenaggio è stato effettuata

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    attraverso un’analisi composizionale sia della frazione ciottolosa che di quella

    sabbiosa. Sulla base dei dati raccolti sono infine state formulate diverse ipotesi

    che associano il sistema vallivo studiato all’evoluzione del drenaggio del

    paleoArno. Nell’ambito dello studio svolto, la scala dei tempi utilizzata è quella

    proposta da Gradstein et al. (2004), che pone il tetto del Pliocene a circa 1.8 Ma.

    L’utilizzo di tale scala, invece della nuova scala proposta da Gibbard et al., 2010, è

    dettato da motivi pratici, scaturiti dalla necessità di confrontare i dati con quelli

    derivanti da studi precedenti.

    Figura 1 : (A) Ubicazione dell’area di studio nella Toscana centrale. Ubicazione geografica dell’area, tra la provincia di Arezzo e la provincia di Siena. (B) Ubicazione dell’area di studio in relazione alle principali depressioni tettoniche mio-quaternarie della Toscana.

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    CAPITOLO 1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

    L’area di studio si trova nella zona Centro-Orientale della Toscana (Appennino

    Settentrionale), a cavallo delle province di Arezzo e Siena e si estende tra il

    territorio del comune di Bucine (AR) a Nord-Est e il comune di Castelnuovo

    Berardenga (SI) a Sud-Ovest (FIG.2) La zona è compresa nei fogli 114 e 121 della

    Carta Geologica d’Italia 1: 100000 I.G.M e in particolare nelle sezioni CTR 287120,

    287160, 297040, 297070, 297030 della cartografia in scala 1: 10000 della regione

    Toscana. L’area è ubicata lungo il margine meridionale della dorsale del Chianti, in

    corrispondenza dell’attuale spartiacque che separa il Bacino del Valdarno

    Superiore dal Bacino di Siena.

    Figura 2 : Ubicazione dell’area di studio rispetto ai bacini di Siena e del Valdarno Superiore. Notare come la zona in esame sia collocata a cavallo della Dorsale dei Monti del Chianti.

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    CAPITOLO 2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO

    La catena montuosa degli Appennini è un sistema montuoso a pieghe e

    sovrascorrimenti che attraversa tutta la penisola italiana da Nord a Sud per oltre

    1000 km, da Genova fino alla Piana di Sibari (Cosenza), suddiviso in due tronconi,

    Appennino Settentrionale e Centro-Meridionale, da una lineazione tettonica nota

    come Linea Ancona-Anzio.

    Appennino Settentrionale

    L’Appennino Settentrionale è una catena a pieghe e sovrascorrimenti con

    vergenza verso NE. L’origine di questa catena, formatasi durante il Terziario, è

    attribuita alla chiusura dell’Oceano Ligure–Piemontese, dovuta alla collisione

    della placca Europea con quella Africana (Martini e Sagri, 1993).

    Le principali unità tettono-sedimentarie degli Appennini Settentrionali si sono

    formate in quattro diversi domini paleogeografici, che dal più esterno al più

    interno sono:

    1) DOMINIO LIGURE: Comprende alla base una sequenza ofiolitica con rocce

    ultramafiche serpentinizzate e gabbri, una copertura sedimentaria soprastante

    caratterizzata da brecce ofiolitiche e radiolariti, riferite al Giurassico Sup.-

    Cretaceo Inf.. La successione al top presenta un flysch calcareo-argilloso

    (Cretaceo-Eocene Inf.) indicativo della fase di chiusura del bacino oceanico e

    dell’intensa deformazione compressiva (Bortolotti et al., 2001).

    2) DOMINIO SUBLIGURE: formato solo da una successione paleogenica alloctona

    (unità di Canetolo) depositata in una zona di transizione tra l’oceano e il margine

    passivo continentale (Sani et al., 2008).

    3) DOMINIO TOSCANO: costituito da unità deposte sul margine passivo

    continentale di Adria, un promontorio della placca africana. Questo dominio è

    suddiviso in due unità principali: Unità del Macigno e Unità di Cervarola-

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    Falterona. Le due unità sono formate da successioni torbiditiche isolate dal loro

    substrato e arrangiate in sistemi di sovrascorrimenti (Est-vergenti), formatisi a

    partire dal Miocene Inf. (Sani et al., 2008).

    4) DOMINIO UMBRO: caratterizzato da evaporiti e carbonati triassici, carbonati

    giurassici, sovrapposti da shale carbonatici cretacei-miocenici e da torbiditi

    mioceniche che formano la Formazione Marnoso Arenacea (Martini e Sagri,

    1993).

    Dal punto di vista paleogeografico, i dominii sopradescritti indicavano il passaggio

    da un ambiente oceanico (Dominio Ligure), transizionale (Dominio Subligure) ad

    un margine continentale passivo (Dominio Toscano e Umbro). Durante la fase

    orogenica, i depositi accumulatisi nei diversi domini hanno formato unità

    tettoniche che si sono sovrapposte sovrascorrendo verso Est e portando al

    complessivo impilamento delle unità esterne (Liguri) su quelle interne (Toscane e

    Umbre).

    Bacini dell’ Appennino Settentrionale

    L’Appennino Settentrionale è caratterizzato dalla presenza di numerose

    depressioni tettoniche, allungate in direzione NO-SE, parallelamente all’asse della

    catena appenninica e sviluppatesi a partire dal Miocene Superiore.

    In particolare si distinguono bacini associati a tettonica estensionale o

    compressiva in relazione alla loro collocazione ad Ovest oppure ad Est all’attuale

    spartiacque (Martini e Sagri, 1993; FIG.3). I bacini estensionali si trovano pertanto

    nella parte interna dell’Appennino Settentrionale e possono essere divisi in

    “Bacini Centrali” e “Bacini Periferici” (Martini e Sagri, 1993). I primi si trovano

    vicino al Mar Tirreno, si sono impostati sopra crosta continentale assottigliata, e

    sono stati riempiti con depositi di mare poco profondo e fluvio-lacustre. Tali

    bacini si sviluppano dal Miocene Superiore fino al Pleistocene. I secondi, sono

  • 15

    collocati nella zona orientale, si sono impostati sopra crosta continentale più

    spessa. Questi bacini sono stati riempiti con depositi esclusivamente continentali

    dal Pliocene Medio al Pleistocene (Martini e Sagri, 1993; FIG.3). I bacini

    estensionali sono considerati da molti autori come graben o half graben

    sviluppatisi in regime estensionale fino al Neogene (Martini e Sagri, 1993; Martini

    e al., 2001). Il blocco di letto di questi bacini era bordato da una o più faglie

    normali, lungo le quali si aveva maggior dislocamento verticale; questo lato dei

    bacini era percorso da corsi d’acqua minori e caratterizzati da notevole pendenza

    (Martini e Sagri, 1993). Il blocco di tetto invece era bordato da piccole faglie

    normali. Generalmente questo lato dei bacini era più piatto ed era influenzato da

    grandi sistemi di drenaggio fluviale (Martini e Sagri, 1993).

    Figura 3 : Sezione attraverso l’Appennino settentrionale e relativa distinzione tra bacini estensionali e compressivi suggerita da Martini e Sagri, 1993.

    I bacini dell’Appennino Settentrionale sono separati da delle lineazioni tettoniche

    (“lineazioni antiappenniniche” in Martini e Sagri, 1993) comunemente

    interpretate come zone di trasferimento della principale spinta orogenica (Sani,

    2008). Tali zone hanno infatti permesso la coesistenza di bacini con diverso tasso

    di estensione o compressione (Liotta, 1991). Sebbene la dinamica strutturale di

    tali zone non sia tuttora ben nota, il ruolo di tali linee nel controllo del reticolo

  • 16

    idrografico è chiaramente evidenziato dall’andamento dei principali corsi d’acqua

    che attualmente drenano l’area toscana (FIG. 4). Risulta evidente per esempio

    come i fiumi Arno e Sieve cambino bruscamente la loro direzione di drenaggio

    dopo aver incontrato alcuni di tali lineamenti (FIG. 4).

    Figura 4 : Bacini estensionali della Toscana in relazione alle principali lineazioni tettoniche antiappenniniche. Notare come i fiumi Arno e Sieve cambino radicalmente la loro orientazione in corrispondenza di tali lineamenti tettonici (Arbia-Valmarecchia per il F. Arno e Piombino-Faenza per il F. Sieve).

  • 17

    Evoluzione del drenaggio nella Toscana centrale tra il Pliocene ed il

    Pleistocene

    Il drenaggio dell’area Toscana, fino al Pliocene Medio, era orientato

    principalmente verso il Mare Adriatico. Con la tettonica estensionale associata

    all’apertura del Mar Tirreno i sistemi fluviali furono principalmente controllati

    dallo sviluppo dei bacini intermontani orientati NO-SE (Bartolini and Pranzini,

    1981). Il drenaggio è stato quindi progressivamente modificato dalla persistente

    attività tettonica. Bartolini e Pranzini (1981) suddividono l’evoluzione del

    drenaggio di tale area in due principali fasi.

    Nel Pliocene Medio l’Arno non era ancora presente nel suo attuale corso e fluiva

    dal bacino del casentino verso la Val di Chiana attraverso il bacino di Arezzo

    (FIG.5). Secondo tali Autori il bacino del Valdarno Superiore potrebbe anche aver

    drenato a mare (nel bacino di Siena) attraverso l’attuale Val d’Ambra. Tra

    Pliocene e Pleistocene, lo sviluppo di un numero elevato di bacini che si

    collocavano lungo il corso attuale dell’Arno influenza fortemente il drenaggio, ed

    in particolare, l’elevata subsidenza del bacino del Valdarno Superiore causò la

    cattura del Fiume Arno che iniziò a fluire nel bacino da SE definendo l’attuale

    reticolo. L’immissione del paleoArno nel bacino del Valdarno è evidenziata dalla

    comparsa di litologie calcaree associate a litotipi miocenici erosi dalle Epiliguri

    (Sestini, 1936) presenti nei depositi fluviali esposti lungo i margini del bacino del

    Casentino (area di origine del F. Arno).

  • 18

    Figura 5 : Drenaggio del paleoArno (linea rossa) dal Bacino del Casentino verso la Val di Chiana, attivo nel Pliocene Medio, secondo la ricostruzione di Bartolini e Pranzini (1981). La linea blu evidenzia l’andamento dell’attuale Arno.

    L’area in esame

    Nell’area in esame affiorano sia depositi rocciosi appartenenti ai domini Liguri e

    Toscani, che sedimenti plio-pleistocenici di ambiente marino e continentale

    accumulatisi nei bacini di Siena e del Valdarno Superiore (FIG.2). Un primo studio

    dettagliato della porzione centrale di tale area è stato effettuato da Aldinucci et

    al. (2007) mettendo in evidenza la presenza di un corpo di valle incisa riempito da

    depositi fluviali di età plio-pleistocenica (FIG.6). Tale sistema era associato ad un

    drenaggio diretto grossomodo da Nord a Sud. Nell’area esaminata da Aldinucci et

    al. (2007) la successione di riempimento della valle è costituita da due unità fining

    upward (da ciottoli a limi) separate da una superficie erosiva e denominate da tali

    Autori come Vf e Q. Questi depositi in pianta formano un corpo allungato con

    ampiezza ed orientazione variabili da Nord a Sud (FIG.6). Tale corpo è

    caratterizzato da geometria lenticolare con base concava, ed ha uno spessore

  • 19

    massimo di 60-70 metri. In particolare esso appare di ampiezza ridotta (1.5 km)

    quando poggia su depositi rocciosi, e da maggiore ampiezza (2.5 km) quando è

    inciso su depositi pliocenici non cementati. Aldinucci et al. (2007) hanno attribuito

    l’incisione di tale sistema ad una regressione marina forzata indotta da un doming

    avvenuto al tetto del Pliocene Medio a scala regionale (Martini e Sagri, 1993). Al

    contrario, gli stessi Autori attribuiscono il riempimento ad un significativo

    aumento degli apporti sedimentari avvenuto nel Pliocene Superiore per motivi

    tettono-climatici.

    I depositi esaminati nel presente lavoro sono quelli nominati da Aldinucci et al.

    (2007) come unità Q e formano l’unità di tetto della successione di riempimento

    di valle incisa. Tali depositi, da qui in avanti saranno nominati VF2 (per meglio

    evidenziare la loro relazione con i sottostanti depositi VF1 di Aldinucci et al.

    (2007), sono principalmente costituiti da ghiaie e ciottoli a stratificazione

    incrociata accumulati in sistemi fluviali tipo gravel-bed rivers (Boscaini, 2011). I

    sedimenti di tale unità poggiano su una superficie di discontinuità sviluppatasi

    durante una fase di erosione-bypass e sono stati datati al Pleistocene Inferiore

    sulla base di analisi magnetostratigrafiche (Boscaini, 2011). Studi preliminari

    effettuati su tali depositi (Moscon, 2008; Roner comunicazione personale)

    evidenziano che i corsi d’acqua che drenavano tale valle erano caratterizzati da

    una significativa portata idrica, come evidenziato dalla presenza di barre alte fino

    a 4.5 m e sezioni di paleocanali di alcune decine di metri.

  • 20

    Figura 6 : Depositi fluviali di valle incisa decritti da Aldinucci et al. (2007) nell’area in esame. (A) Ubicazione dell’area studiata nel presente lavoro rispetto a quella di Aldinucci et al. (2007) (B) Sezioni schematiche del sistema di valle incisa descritto da Aldinucci et al. (2007). L’unità Q di Aldinucci et al. (2007) è analizzata nel presente lavoro e rinominata unità VF2. (C) Architettura dei depositi di riempimento della valle appartenenti all’unità VF secondo Aldinucci et al. (2007) .

  • 21

    CAPITOLO 3 ATTIVITA’ DI CAMPAGNA E DI

    LABORATORIO

    Alla luce del quadro geologico e stratigrafico precedentemente descritto, il

    presente lavoro si propone di stabilire quale potesse essere il bacino di drenaggio

    (area fonte dei sedimenti) del corso d’acqua associato al sistema vallivo

    identificato da Aldinicci et al. (2007) e di stabilire il ruolo di tale sistema

    nell’evoluzione del drenaggio dell’area, con particolare riferimento alla relazione

    tra questo ed il paleoArno.

    A tal fine il lavoro svolto è stato indirizzato a: i) riconoscimento del possibile

    andamento della paleovalle e ii) caratterizzazione composizionale dei sedimenti

    che formano l’unità VF2 al tetto della successione di valle incisa.

    Il riconoscimento dei possibili limiti del sistema vallivo in esame in aree ubicate a

    monte ed a valle del settore indagato da Aldinucci et al. (2007) è stato reso

    possibile attraverso un rilevamento di dettaglio alla scala 1:10.000. L’area coperta

    dal rilevamento si estende in direzione Nord-Sud dal T. Scerfio fino all’area di

    Podere Pian di Bari, a pochi chilometri da Rapolano Terme. Il rilevamento si è

    concentrato maggiormente sull’analisi litologica e morfologica ed ha permesso di

    riconoscere diverse principali unità litologiche (vedi ALLEGATO A). La

    caratterizzazione composizionale dei depositi dell’unità VF2 è stata effettuata sia

    tramite lo studio della frazione ghiaiosa che di quella sabbiosa. In particolare,

    nell’ambito di una comparazione tra il sistema in esame ed il drenaggio associato

    al paleoArno sono stati raccolti dei campioni di ciottoli e di sabbie depositati dal

    paleoArno nell’area di Monticello, nella porzione SE del bacino del Valdarno. Tale

    comparazione permetterà di discutere eventuali differenze o similitudini tra la

    composizione dei sedimenti dell’area esaminata e quelli trasportati dal

    paleoArno.

  • 22

    In totale sono stati raccolti 12 campioni di ciottoli, tra cui 4 nei depositi dell’unità

    VF2 e 4 nei depositi del paleoArno in un sito denominato Cava. Al fine di verificare

    eventuali variazioni della composizione della frazione grossolana all’interno della

    successione di riempimento di valle incisa sono stati anche raccolti 4 campioni

    nell’unità VF1. I campioni prelevati dalle unità VF1 e VF2 provengono tutti

    dall’area di Pod. Arcidosso, lungo il margine settentrionale del bacino di Siena. I

    campioni di sabbie sono stati raccolti nelle unità VF2 nell’area di Pod. Arcidosso (3

    campioni) per quanto riguarda i depositi di valle incisa e nell’area di Monticello (3

    campioni) per quanto riguarda i sedimenti del paleoArno. Le modalità di raccolta

    ed analisi dei campioni saranno brevemente illustrate e commentate nei paragrafi

    inerenti gli studi composizionali.

    Geomorfologia e Stratigrafia

    L’area in esame è in gran parte drenata dal T. Ambra, il quale dopo un breve

    tratto associato ad un drenaggio da Nord verso Sud compie una brusca curva ed

    inizia a scorrere verso Nord, per confluire nel F. Arno nei pressi di Levanella, nel

    Bacino del Valdarno superiore (FIG.7-8). La variazione di direzione di flusso del T.

    Ambra avviene in corrispondenza dello spartiacque tra il bacino di Siena (a Sud)

    ed il Valdarno Superiore (a Nord) (FIG.7), ed è stata da tempo riferita (Bartolini e

    Pranzini, 1981) alla cattura di una paleoAmbra che scorreva verso il bacino di

    Siena da parte di un tributario del bacino del Valdarno. Questo spartiacque

    appare orientato in direzione NO-SE ed è ubicato in prossimità di una zona

    caratterizzata da attività tettonica recente (Boscaini, 2011). Tale attività tettonica

    si esprime attraverso una faglia normale orientata circa parallelamente allo

    spartiacque, che ribassa il blocco a Nord e rialza quello a Sud. L’attività di tale

    faglia è documentata dalle emissioni di CO2, che attualmente interessano l’area, e

  • 23

    da evidenze di tettonizzazione che interessano i clasti dell’unità VF di Aldinucci et

    al. (2007).

    Figura 7 : Modello digitale del terreno relativo all’area di studio. In evidenza lo spartiacque tra il Bacino di Siena e il Bacino del Valdarno.

  • 24

    Figura 8 : Vista dell’area in esame tramite Google Earth. L’area è osservata verso SO da un’elevazione di circa 15 km (esagerazione verticale X3).

    Il T. Ambra riceve diversi affluenti prima di confluire nel F. Arno. Uno di questi

    affluenti è il T. Scerfio, un affluente destro del T. Ambra che confluisce in questo

    all’altezza di Capannole (FIG.9). La caratteristica peculiare di tale corso d’acqua è

    rappresentata dalle ridotte dimensioni rispetto a quelle della valle che lo ospita

    (FIG.9). Il T. Scerfio, infatti, risulta asciutto per buona parte dell’anno ma è

    ospitato in una valle ampia circa 1 km e tagliata in un substrato roccioso. Tale

    valle può essere chiaramente seguita sottocorrente, mentre mostra una

    progressiva diminuzione dell’ampiezza, fino alla definitiva confluenza dello Scerfio

    nell’Ambra (FIG.9).

  • 25

    Figura 9 : Vista dell’area in esame tramite Google Earth. L’area è osservata verso NE da un’elevazione di circa 7 km (esagerazione verticale X3). Notare le dimensioni della valle attualmente drenata dal T. Scerfio, il quale risulta essere comunemente asciutto durante la maggior parte dell’anno.

    A Sud dello spartiacque che separa il bacino di Siena ed il Valdarno Superiore, il

    principale corso d’acqua è rappresentato dal T. Ombrone che drena verso Sud,

    erodendo principalmente i depositi pliocenici del bacino di Siena. In questo

    settore dell’area in esame, risultano chiaramente visibili delle superfici terrazzate

    che formano un “pianalto” ad una quota di circa 270 m slm che si estende

    dall’area di Montalto fino al margine più meridionale dell’area di studio (FIG.10B).

    Superfici terrazzate sono evidenti anche nel settore a Nord dello spartiacque e

    sono associate alle ripetute fasi di incisione operate dall’Ambra a spese dei

    depositi alluvionali precedentemente depositi (FIG.10C).

  • 26

    Figura 10 : Superfici terrazzate presenti nell’area di studio. (A) Ubicazione delle aree caratterizzate dalle superfici terrazzate più evidenti. (B) Superfici terrazzate a Sud dello spartiacque che separa il bacino di Siena dal bacino del Valdarno Superiore. (C) Superfici terrazzate a Nord dello stesso spartiacque.

    Il rilevamento svolto ha permesso di cartografare diverse unità (vedi ALLEGATO A)

    e di mettere in relazione i depositi affioranti con le superfici morfologiche

    osservate.

    Il substrato roccioso dell’area in esame è costituito da:

    1) UNITA SUBLIGURI (FIG.11A): costituite principalmente da torbiditi siltose

    grigiastre con intercalazioni micritiche da giallastre a grigie e da occasionali

    calcareniti torbiditiche con noduli di selce grigia (Cretaceo Superiore).

    2) FORMAZIONE DEL MACIGNO (FIG.11B): costituita da arenarie torbiditiche

    prevalentemente grigiastre con subordinati depositi pelitici (Oligocene).

  • 27

    Figura 11 : Principali litologie componenti il substrato roccioso. (A) Depositi argillitici e calcarei appartenenti ad Unità Subliguri; (B) Arenarie torbiditiche della F.ne del Macigno.

    La Successione plio-pleistocenica è invece costituita da diverse unità sedimentarie

    non litificate, separate da superfici di discontinuità. In senso stratigrafico tali unità

    sono:

    1) DEPOSITI PLIOCENICI MARINI COSTIERI (FIG.12): costituiti da ghiaie fluvio-

    deltizie e sabbie di mare sottile caratterizzati da uno spessore massimo di 50 m. I

    depositi fluvio-deltizi possono contenere intervalli di argille torbose con molluschi

    di acqua salmastra. I sedimenti di mare sottile sono rappresentati da sabbie da

    massive a stratificate contenenti abbondanti resti di gusci di molluschi (Pliocene

    Inferiore e Medio).

    Figura 12 : Depositi pliocenici marini costieri. (A) Livelli ricchi di gusci frammentati in sedimenti sabbiosi di mare basso. (B) Intervalli di ciottolami a base netta con dispersi frammenti di gusci di molluschi marini.

  • 28

    2) DEPOSITI FLUVIALI VF1 (FIG.13). Questi depositi, spessi fino a 25 m, affiorano

    principalmente nell’area a Sud dello spartiacque tra il bacino di Siena e quello del

    Valdarno Superiore e rappresentano l’unità inferiore del riempimento di valle

    incisa (VF1) che era stata precedentemente descritta da Aldinucci et al. (2007).

    Questi sedimenti sono rappresentati da ciottoli, ben arrotondati, con tessitura

    clastosostenuta e matrice sabbioso-ghiaiosa. I clasti sono riferibili comunemente

    a coarse pebbles, anche se casi di clasti di diametro prossimo ai 30 cm non sono

    rari. Sebbene ad una prima analisi i depositi possano apparire omogenei, una più

    accurata osservazione evidenzia come questi siano caratterizzati da crude

    stratificazioni incrociate o pianoparallele che formano corpi spessi fino a 1.5-2 m.

    Localmente i depositi formano pacchetti apparentemente massivi con una

    gradazione mal definita. Questi depositi si sono accumulati in condizioni di

    trasporto trattivo, come evidenziato dalla presenza di stratificazioni di vario tipo.

    Il carattere caotico di alcuni livelli, suggerisce comunque la possibilità che vi siano

    stati sporadici processi di trasporto in massa (flussi iperconcentrati). La presenza

    di stratificazioni incrociate in depositi così grossolani suggerisce la presenza di

    flussi molto pertinenti e canalizzati, possibilmente riferibili a sistemi tipo gravel-

    bed rivers.

  • 29

    Figura 13 : Depositi di riempimenti di valle incisa nella porzione centro-meridionale dell’area in esame.

    3) DEPOSITI FLUVIALI VF2 (FIG.14). Questi depositi, spessi fino a 30 m, sono stati

    seguiti per diversi chilometri in direzione Nord-Sud; occupano la porzione

    sommitale del riempimento di valle incisa e sono distribuiti a cavallo dello

    spartiacque tra il bacino di Siena e quello del Valdarno Superiore. Essi mostrano

    caratteristiche sedimentologiche diverse a Nord e Sud della faglia ubicata in

    prossimità dello spartiacque tra il bacino di Siena e quello del Valdarno Superiore.

    Boscaini (2011) ha recentemente dimostrato come tale variabilità sia associata ad

    un controllo tettonico sulla sedimentazione, dovuto ad una modificazione del

    profilo del fiume indotto da una subsidenza molto localizzata. In particolare a

    Nord della faglia i depositi sono costituiti prevalentemente da limi con

    intercalazioni lentiformi di sabbie, mentre nelle aree a Sud della faglia sono

    costituiti da ciottoli e subordinate sabbie. In entrambi i settori le paleocorrenti

    indicano un flusso verso Sud (Boscaini, 2011). I depositi ghiaiosi affioranti a Sud

    della faglia sono costituiti da ciottoli delle dimensioni dei pebbles con tessitura

  • 30

    clastosostenuta con matrice sabbiosa grossolana, rudemente organizzati in

    bedding inclinato di circa 15°-20° (FIG.14A-B). I singoli strati, spessi fino ad un

    massimo di 25 cm, appaiono caratterizzati da laminazione pianoparallela e spesso

    privi di matrice. I pacchi di strati inclinati possono essere spessi fino a 4 m e

    presentare una continuità laterale decametrica. Comunemente, i clasti di

    maggiori dimensioni sono collocati nella porzione basale del corpo caratterizzato

    da stratificazione inclinata. La direzione del trasporto, ricavabile dall’embriciatura

    dei ciottoli di maggiori dimensioni, è comunemente ortogonale alla direzione di

    immersione del bedding. In alcune zone, le litologie sabbiose sono

    particolarmente abbondanti (FIG.14A-E) e formano corpi spessi fino a poco oltre 1

    m con base erosiva. Questi depositi sabbiosi, che diventano dominanti

    muovendosi verso sud, presentano stratificazione pianoparallela dominante,

    anche se possono essere presenti casi di stratificazione incrociata. La porzione a

    dominanza sabbiosa presenta comunque delle lenti e livelli di ciottoli che possono

    apparire massivi o caratterizzati da stratificazione pianoparallela o incrociata. I

    depositi più grossolani possono essere interpretati come depositi di barra fluviale,

    in accordo con la base erosiva, la presenza di clasti di maggiori dimensioni nella

    porzione basale (lag di fondo canale) e la notevole continuità laterale della

    clinostratificazione. Infine, la determinazione di paleocorrenti pressoché

    ortogonali al flusso indica processi di accrezione laterale, associata probabilmente

    ad un corso d’acqua caratterizzato da moderata sinuosità. Le porzioni sabbiose

    sono associabili ad aree di deposizione in cui il sedimento non si muoveva

    all’interno di canali poco definiti e molto ampi.

  • 31

    Figura 14: Depositi dell’unità VF2 nella porzione centro-meridionale dell’area in esame. (A) Affioramento nei pressi del Pod. Arcidosso. Notare come l’unità VF2 sia costituita da una porzione basale formata da ciottoli ed una sovrastante costituita da sabbie. (B) depositi clastosostenuti con stratificazione inclinata; (C) Canale di ridotte dimensioni a pareti sub-verticali tagliato in depositi sabbiosi costituienti la porzione suoperiore dell’unità VF2. (D-E) Ripples cross lamination in depositi sabbiosi dell’unità VF2.

  • 32

    I depositi siltoso-sabbiosi (FIG.15) ubicati a Nord della faglia risultano scarsamente

    esposti. Gli intervalli sabbiosi (spessi fino a 2-2,5 m), caratterizzati da basi nette ed

    erosive, mostrano depositi moderatamente cerniti con una tessitura di tipo

    bimodale, sono spesso gradati normalmente e, al loro interno, è possibile

    distinguere una stratificazione piano parallela spesso evidenziata dalla presenza di

    granuli. In rari casi sono presenti intervalli caratterizzati da una stratificazione a

    truogolo. Gli intervalli più fini, rappresentati da litologie siltose e argillose,

    appaiono spesso massivi, pedogenizzati e mostrano resti di radici, frustoli vegetali

    e caliche. Questi depositi sono riferibili ad un contesto alluvionale, dove le

    porzioni sabbiose rappresentano il riempimento di canali fluviali (profondi almeno

    2,5 m), in accordo al loro trend fining-upward e la marcata base erosiva, mentre

    le frazioni fini sono riferibili ad un ambiente di piana esondabile, dove la

    sedimentazione avveniva principalmente per decantazione di fanghi dopo i

    principali eventi di piena. Questi depositi sono quindi stati esposti ad intensa

    pedogenesi, evidenziata dalla presenza di frustoli vegetali e radici.

  • 33

    Figura 15 : Depositi siltoso-sabbiosi di VF2 nella porzione settentrionale dell’area in esame. (A) Depositi sabbioso-ghiaiosi a stratificazione piano-parallela e base erosiva attribuiti a corpi canalizzati; (B) Depositi pelitici con tracce di radici e frustoli vegetali. (D) Log sedimentologico da Boscaini (2011).

  • 34

    4) DEPOSITI DI TERRAZZI FLUVIALI. Sono costituiti da depositi fluviali sabbioso

    ghiaiosi sviluppatisi lungo i fianchi delle moderne valli durante il Pleistocene

    Medio e Superiore. Tali depositi raggiungono il massimo spessore di alcuni metri e

    risultano essere scarsamente esposti.

    5) ALLUVIONI RECENTI. sono rappresentate dai depositi ciottolosi e sabbiosi di

    sistemi fluviali attuali.

    A Nord dello spartiacque che delimita il margine settentrionale del bacino di

    Siena, i depositi sabbioso-siltosi dell’unità VF2 possono essere seguiti lungo il

    corso dell’attuale T. Ambra, dove sono stati incontrati anche da diversi sondaggi

    (Boscaini, 2011) e proseguono a Nord nella valle dello Scerfio. A sud dello

    spartiacque i depositi ciottolosi dell’unità VF2 passano a litologie

    prevalentemente sabbiose, al tetto delle quali si sviluppa la superficie morfologica

    ben definita precedentemente descritta tra l’area di Montalto e il limite

    meridionale dell’area in esame.

  • 35

    Analisi composizionali

    L’ analisi della composizione dei sedimenti ha interessato sia i ciottoli che le

    sabbie.

    Analisi della frazione ruditica

    Sono stati campionati ciottoli (dimensioni maggiori di 3 cm) appartenenti a tre

    tipologie di depositi differenti (FIG.16):

    ciottoli di depositi sicuri del Fiume Arno, prelevati in cave attive,

    denominati come già ricordato Cava,

    ciottoli del Valley Fill studiato durante il rilevamento geologico, denominato

    come già ricordato VF2,

    ciottoli del Valley Fill studiato da Aldinucci et al. (2007) che si trova

    stratigraficamente al di sotto di VF2, denominato come già ricordato VF1.

    Figura 16 : (A) Ubicazione delle zone di campionamento per i depositi dell’unità VF2 e per i sedimenti accumulati

    dal paleoArno nel bacino del Valdarno Superiore durante il Pleistocene Medio (sito Cava). (B) Visione di dettaglio dei depositi dell’unità VF2 nei pressi di Pod. Arcidosso. (C) Depositi del paleoArno nell’area di Monticello.

    Per ciascuna tipologia di deposito sono state campionate quattro stazioni

    differenti. In ciascuna stazione sono stati presi in esame tutti i ciottoli toccati da

  • 36

    una linea grosso modo parallela all’originaria superficie deposizionale, fino al

    riconoscimento di 100 ciottoli (Orombelli e Gnaccolini, 1978). I ciottoli quindi

    sono stati descritti litologicamente ed è stato misurato l’asse b (da 3 cm a 8 cm) di

    ciascuno.

    I dati ottenuti sono stati raggruppati inizialmente in 20 classi:

    Classi iniziali

    1 Calcare Marnoso scuro grossolano

    2 Calcare Marnoso scuro fine

    3 Calcare Marnoso marrone alterato

    4 Calcare Marnoso marrone con muscovite

    5 Calcare Marnoso fine chiaro

    6 Selce

    7 Argillite nocciola

    8 Argillite marrone

    9 Argillite grigio scuro

    10 Arenaria grossolana

    11 Arenaria fine

    12 Calcarenite chiara

    13 Calcarenite scura con frustoli

    14 Calcarenite scura alterata

    15 Calcarenite scura grossolana

    16 Calcarenite scura fine

    17 Calcare chiaro

    18 Siltite scura con miche

    19 Siltite chiara

    20 Tracciante

    Tabella 1: Classi iniziali ottenute tramite il riconoscimento dei ciottoli.

    Successivamente con le venti classi riconosciute sono stati fatti dei gruppi

    litologici, in base alle formazioni rocciose affioranti nel Bacino del Casentino, nel

    quale scorre nel suo primo tratto l’Arno, e alle formazioni affioranti nella Dorsale

    del Chainti, che delimita la valle dove scorre l’attuale Torrente Ambra. Per questa

    operazione è stata indispensabile la consultazione delle “Note illustrative della

  • 37

    Carta Geologica d’Italia” alla scala 1: 100000, e in particolare del Foglio 107

    “Monte Falterona”, Foglio 114 “Arezzo” e Foglio 113 “Castelfiorentino”.

    Le classi 4, 7, 8, 9, 11, 18, 19 sono state ricondotte ai litotipi appartenenti all’Unità

    del Macigno, dell’Oligocene–Miocene Inf, che in seguito sarà indicata con la sigla

    Mg.

    Le classi 5, 12, 17 sono state raggruppate nella “Formazione dell’Alberese”,

    dell’Eocene Medio-Inferiore, di seguito siglate Al.

    Le classi 1, 2, 3, 6, 13, 14, 15, 16 sono state ricondotte ai litotipi appartenenti ai

    “Calcari e Brecciole di Monte Senario”, del Paleogene, di seguito siglate BnS.

    La classe 10 è stata ricondotto alle “Arenarie di Monte Senario”,dell’Oligocene,

    che si trovano stratigraficamente al tetto dei “Calcari e Brecciole di Monte

    Senario”, di seguito siglata As.

    La classe 20 infine è attribuita ai “Calcari a briozoi”, del Miocene, tale classe è

    stata utilizzata come tracciante e siglata come Mcb.

    Descrizione litologica dei raggruppamenti di ciottoli

    Unità appartenenti al Dominio Toscano:

    L’”Unità del Macigno”, Mg, è caratterizzata da un’alternanza di arenarie

    quarzoso–feldspatiche gradate con siltiti e argilliti (Foglio 107). Questa

    formazione è un flysch di origine torbiditica, con strati complessi caratterizzati da

    un intervallo arenitico ed uno argillitico. La porzione arenitica è gradata

    normalmente con dimensione media dei granuli decrescente dalla base al tetto e

    passa gradualmente alla porzione argillosa. L’arenaria ha colore grigio–azzurro se

    è fresca, e diventa giallo–ocracea alterandosi, le argilliti sono di colore grigio

    giallastro, e grigio scuro con spalmature micacee.

  • 38

    Unità appartenenti al Dominio Ligure:

    L’”Alberese”, Al, è una formazione di origine torbiditica, con dimensione media

    della grana decrescente dalla base al tetto dell’intervallo calcareo–marnoso, e si

    nota inoltre una diminuzione del contenuto di carbonato dalla base al tetto dello

    strato, in relazione con l’aumento nello stesso senso, dei minerali argillosi (Foglio

    107).

    I “Calcari e Brecciole di Monte Senario”, BnS, comprendono calcari marnosi,

    marne e calcareniti con liste di selce, argilliti grigie e arenarie; la componente

    calcarenitica è talora fortemente prevalente.

    Le “Arenarie di Monte Senario”, As, sono anch’esse di origine torbiditica (Foglio

    107) e quarzoso–feldspatiche e risultano macroscopicamente simili al “Macigno”

    ma a grana più grossa.

    Unità appartenenti alla Serie della Verna:

    I “Calcari a briozoi”, Mcb, affiorano in alcuni lembi, di modesta estensione nella

    parte orientale del Bacino del Casentino, sono costituiti da calciruditi biancastre a

    briozoi, massicce o con stratificazione poco evidente.

    I dati così ottenuti sono stati raggruppati nelle Tabelle da 2 a 4:

    Mg Al BnS As Mcb VF1-1 30,0 2,0 64,0 4,0 0,0

    VF1-2 32,0 0,0 64,0 5,0 0,0

    VF1-3 37,0 7,0 50,0 5,0 0,0

    VF1-4 41,0 3,0 52,0 4,0 0,0

    Tabella 2: Percentuale dei ciottoli determinati in ciascuna stazione di misura di VF1 suddivisi nei 5 gruppi

    riconosciuti.

  • 39

    Mg Al BnS As Mcb VF2-1 36,0 4,0 50,0 10,0 0,0

    VF2-2 31,0 4,0 61,0 4,0 0,0

    VF2-3 25,0 2,0 69,0 4,0 0,0

    VF2-4 37,0 0,0 50,0 13,0 0,0

    Tabella 3: Percentuale dei ciottoli determinati in ciascuna stazione di misura di VF2 suddivisi nei 5 gruppi riconosciuti.

    Mg Al BnS As Mcb Cava1 26,0 4,0 57,0 11,0 2,0

    Cava2 30,0 1,0 61,0 6,0 2,0

    Cava3 30,0 2,0 54,0 11,0 3,0

    Cava4 34,0 0,0 54,0 12,0 0,0

    Tabella 4 : Percentuale dei ciottoli determinati in ciascuna stazione di misura di Cava suddivisi nei 5 gruppi riconosciuti.

    Analisi della frazione sabbiosa

    Durante il rilevamento oltre ai ciottoli sono state campionate anche le sabbie;

    sono state prelevate sabbie inglobate con una resina epossidica e quindi sono

    state ricavate delle sezioni sottili per l’analisi al microscopio polarizzatore, della

    tessitura e della composizione. Le sezioni sottili sono state colorate con il Rosso di

    Alizarina per permettere una distinzione immediata tra calcite e dolomite.

    L’analisi modale per punti è stata eseguita al microscopio ottico tramite l’uso di

    un tavolino traslatore ad incremento costante, mediante il quale i punti vengono

    distribuiti sulla sezione sottile secondo un reticolo a maglia quadrata. Questo

    metodo di analisi, secondo Manetti & Turi (1969) è quello che meglio rispecchia la

    distribuzione volumetrica dei granuli. La distanza tra punti consecutivi, cioè la

    larghezza della maglia, è fissata in modo tale che ogni granulo sia interessato una

    sola volta dal conteggio, che prosegue generalmente fino alla determinazione di

    300-500 punti. Nel presente studio sono stati contati 300 punti per sezione

    sottile, trattandosi di sabbie inglobate, secondo una prassi ormai utilizzata da

    diversi ricercatori. Tra i granuli che si depositano in un bacino di sedimentazione

  • 40

    possono essere distinte particelle terrigene, che derivano dall’erosione di rocce

    madri, granuli di origine interna al bacino o allochimici (Folk, 1974) come ad

    esempio i bioclasti, e precipitati chimici in situ, detti costituenti autigeni o

    ortochimici (Folk, 1974). Le particelle intrabacinali, considerate coeve rispetto alla

    sedimentazione forniscono informazioni sulle condizioni chimiche e fisiche del

    bacino deposizionale, mentre i grani extrabacinali forniscono informazioni sulla

    storia e sulla configurazione dell’area sorgente.

    Tabella di Conteggio: è una tabella che ha permesso di dividere i costituenti in

    non-carbonatici extrabacinali (NCE) e carbonatici extrabacinali (CE) (Zuffa, 1980;

    1985). All’interno di queste categorie maggiori, un'ulteriore suddivisione è stata

    fatta su base composizionale e tessiturale, seguendo una particolare tecnica di

    conteggio, proposta da vari autori (Gazzi, 1966; Dickinson, 1970; Zuffa, 1980;

    Ingersoll et al., 1984), con la quale è possibile minimizzare la dipendenza della

    composizione da variazioni granolumetriche. Questo metodo, noto come “Gazzi-

    Dickinson”, consiste nel considerare con criteri diversi i frammenti di roccia a

    grana grossa e i frammenti litici a grana fine; i primi sono composti da singoli

    cristalli di dimensioni maggiori di 0,0625 mm, i secondi composti invece da singoli

    cristalli di dimensioni inferiori a 0,0625 mm. Per non perdere preziose

    informazioni date dai frammenti litici a grana grossa, possono venir distinte

    numerose classi per il quarzo e i feldspati, che tengono conto di quale sia il tipo di

    roccia che contiene il singolo minerale conteggiato.

    Dopo uno studio speditivo delle sezioni sottili, mirato a riconoscere i vari

    costituenti, è stata ricavata la tabella di analisi di seguito riportata (Tabella 5).

  • 41

    NCE Q Qtz monocristallino

    Qtz policristallino

    Qtz in rocce metam di basso grado

    Qtz in rocce vulcaniche

    Qtz in areniti

    F Kfeld monocristallino

    Kfeld in rocce metamorfiche

    Kfeld in rocce vulcaniche

    Kfeld in areniti

    Pl monocristallino

    Pl in rocce metamorfiche

    Pl in rocce vulcaniche

    Pl in areniti

    L Lm Framm di rocce metam

    Lv Framm di rocce vulcaniche interm

    Lv Framm di rocce vulcaniche acide

    Ls Selce

    Ls Siltite silicoclastica

    Lc Siltite prevalentemente carbonatica

    Miche e cloriti

    Miche e cloriti in frammenti di rocce metam

    Miche in fr. rocce sedimentarie

    CE CE Packstone-grainstone

    Dolomie a cristallo singolo

    Packstone-grainstone fossilifero

    Tabella 5 : Tipologie di clasti conteggiati e loro raggruppamento ai fini classificativi.

  • 42

    CAPITOLO 4 RISULTATI PETROGRAFICI

    Risultati Compositivi

    Per quanto riguarda la composizione si possono distinguere due gruppi di dati,

    quelli inerenti ai ciottoli e quelli inerenti alle sabbie.

    Attraverso i dati ottenuti è possibile confrontare la composizione dei campioni

    raccolti nelle stazioni di Cava, con i campioni provenienti, o solo da VF2, per

    l’analisi delle sabbie, o anche da VF1, per l’analisi dei ciottoli. Essendo certi della

    provenienza dei campioni raccolti nelle stazioni Cava, il confronto risulterà essere

    positivo se i campioni VF2 e VF1 saranno simili ai campioni Cava.

    Frazione Ruditica

    Con i dati riportati nelle Tabelle 2, 3, 4 sono stati ricavati i grafici di seguito

    riportati:

    Confronto in percentuale delle litologie

    I tre grafici seguenti (FIG.17,18,19) sono rappresentativi del totale dei ciottoli per i

    depositi di Cava, di VF1 e di VF2 (400 ciottoli per deposito). I grafici sono stati

    calcolati sommando il totale dei ciottoli, ottenuto per ogni classe, per tutte le

    stazioni (Tabella 6, es. per i depositi di Cava).

    Mg Al BnS As Mcb Staz. Cava1 26,0 4,0 57,0 11,0 2,0

    Staz. Cava2 30,0 1,0 61,0 6,0 2,0

    Staz. Cava3 30,0 2,0 54,0 11,0 3,0

    Staz. Cava4 34,0 0,0 54,0 12,0 0,0

    Tabella 6 : Percentuali di frequenza delle classi di Cava.

    I grafici di Fig.17,18,19 riportano la percentuale delle classi precedentemente

    descritte sul totale dei depositi Cava, VF1, VF2.

  • 43

    Figura 17 : Percentuale di frequenza dei gruppi litologici riconosciuti.

    Il grafico di Fig. 17 rappresenta la composizione dei depositi Cava, depositi

    associati al Fiume Arno. Si ha la presenza di tutte le cinque classi, in particolare

    l’Unità del Macigno (Mg), Alberese (Al), Calcari e Brecciole del Monte Senario

    (BnS), Arenarie del Monte Senario (As), Calcari a Briozoi (Mcb). Il grafico mostra

    una predominanza dei Calcari e Brecciole di Monte Senario (BnS).

    Figura 18 : Percentuale di frequenza dei gruppi litologici riconosciuti.

    Il grafico di Fig.18 rappresenta la composizione dei depositi studiati da Aldinucci

    et al. (2007), che si trovano stratigraficamente al di sotto dei depositi di VF2.

    56%

    2%

    30%

    10%

    2%

    Litotipi Cava

    BnS

    Al

    Mg

    As

    Mcb

    57%

    3%

    35%

    5%

    0%

    Litotipi VF1

    BnS

    Al

    Mg

    As

    Mcb

  • 44

    Sono presenti quattro classi su cinque, con una predominanza dei Calcari e

    Brecciole di Monte Senario (BnS).

    Figura 19 : Percentuale di frequenza dei gruppi litologici riconosciuti.

    Il grafico di Fig. 19 rappresenta la composizione dei depositi studiati durante il

    rilevamento; il grafico, come quello in Fig.18, mostra la mancanza della classe dei

    Calcari a Briozoi (Mcb); anche in questo grafico si ha la predominanza dei Calcari e

    Brecciole di Monte Senario (BnS).

    Confrontando i tre grafici si nota una fortissima somiglianza compositiva delle tre

    tipologie di depositi considerate. Per tutti i depositi si nota una predominanza dei

    Calcari e Brecciole di Monte Senario, circa il 57%, seguite da un’alta percentuale

    dell’Unità del Macigno, intorno al 30%. Le classi rimanenti presentano percentuali

    inferiori o uguali al 10%.

    Confronto delle dimensioni dei clasti

    I grafici di Fig. 20,21,22 mostrano per ciascuna litologia considerata la

    distribuzione dimensionale dei ciottoli raggruppati in base alla lunghezza dell’asse

    b; i ciottoli hanno una lunghezza dell’asse b minima di 3 cm, e massima di 8 cm.

    57%

    3%

    32%

    8%

    0%

    Litotipi VF2

    BnS

    Al

    Mg

    As

    Mcb

  • 45

    Figura 20 : Lunghezza dell’asse b misurata sui ciottoli dei depositi di Cava.

    Il grafico di Fig.20 mostra un numero elevato di ciottoli appartenenti ai Calcari e

    Brecciole di Monte Senario (BnS), e all’Unità Macigno (Mg). C’è una

    concentrazione maggiore di ciottoli con asse b di 4 cm, seguiti da 3 e 5 cm.

    Figura 21 : Lunghezza dell’asse b misurata sui ciottoli dei depositi di VF1.

    Il grafico di Fig.21 mostra un numero elevato di ciottoli appartenenti ai Calcari e

    Brecciole di Monte Senario (BnS), e all’Unità Macigno (Mg). C’è una

    concentrazione maggiore di ciottoli con asse b di 3 cm, seguiti da 4, 5, 6 cm.

    0,0

    20,0

    40,0

    60,0

    80,0

    100,0

    3 cm

    3,5 cm

    4 cm

    4,5 cm

    5 cm

    5,5 cm

    6 cm

    6,5 cm

    7 cm

    7,5 cm

    8 cm

    Dimensioni Cava

    BnS

    Al

    Mg

    As

    Mcb

    0

    20

    40

    60

    80

    100

    3 cm 3,5 cm

    4 cm 4,5 cm

    5 cm 5,5 cm

    6 cm 6,5 cm

    7 cm 7,5 cm

    8,0 cm

    Dimensioni VF1

    BnS

    Al

    Mg

    As

    Mcb

  • 46

    Figura 22 : Lunghezza dell’asse b misurata sui ciottoli dei depositi di VF2.

    Il grafico di Fig.22 mostra un numero elevato di ciottoli appartenenti ai Calcari e

    Brecciole di Monte Senario (BnS), e all’Unità Macigno (Mg). C’è una

    concentrazione maggiore di ciottoli con asse b di 3 cm, seguiti da 4, 5, 6 cm.

    I tre grafici mostrano una variazione delle dimensione dei ciottoli nei depositi di

    Cava rispetto ai depositi VF1 e VF2; in particolare i depositi Cava hanno una

    concentrazione maggiore di ciottoli con asse b di 4 cm, soprattutto per i Calcari e

    Brecciole di Monte Senario (BnS), che è il litotipo dominante, ma anche per le

    Arenarie di Monte Senario (As) e per l’ Alberese (Al). I depositi VF1 e VF2

    mostrano, in tutte la classi, una concentrazione maggiore dei ciottoli con

    lunghezza dell’asse b di 3 cm. La variazione nelle dimensioni può essere indicativa

    di un maggior trasporto dei depositi VF1 e VF2 rispetto ai depositi Cava.

    0

    20

    40

    60

    80

    100

    3 cm 3,5 cm

    4 cm 4,5 cm

    5 cm 5,5 cm

    6 cm 6,5 cm

    7 cm 7,5 cm

    8 cm

    Dimensioni VF2

    BnS

    Al

    Mg

    As

    Mcb

  • 47

    Frazione Sabbiosa

    Per le sabbie, come per i ciottoli, è stata confrontata la composizione dei depositi

    di Cava, in questo caso solo con i depositi di VF2.

    Al Microscopio polarizzatore sono stati contati trecento punti per sezione, e

    successivamente sono state calcolate le percentuali di ogni classe di grani sul

    totale della sezione (Tabella 7,8. TAVOLA 1,2,3 esempi di punti contati).

    Cava a Cava b Cava c VF2 a VF2 b VF2 c

    Qtz monocristallino 6,0 18,0 22,0 13,0 9,0 20,0

    Qtz policristallino 15,0 17,0 15,0 11,0 16,0 15,0

    Qtz in rocce metam di basso grado 18,0 25,0 39,0 33,0 23,0 11,0

    Qtz in rocce vulcaniche 4,0 8,0 12,0 12,0 8,0 7,0

    Qtz in areniti 0,0 6,0 6,0 5,0 2,0 3,0

    Kfeld monocristallino 83,0 82,0 45,0 60,0 52,0 80,0

    Kfeld in rocce metamorfiche 22,0 19,0 13,0 10,0 14,0 12,0

    Kfeld in rocce vulcaniche 5,0 9,0 9,0 12,0 13,0 6,0

    Kfeld in areniti 2,0 9,0 6,0 8,0 4,0 10,0

    Pl monocristallino 11,0 4,0 6,0 1,0 2,0 4,0

    Pl in rocce metamorfiche 1,0 0,0 0,0 1,0 1,0 0,0

    Pl in rocce vulcaniche 1,0 0 1,0 1,0 0,0 0,0

    Pl in areniti 0,0 2,0 1,0 0,0 0,0 0,0

    Framm di rocce metam 15,0 5,0 10,0 11,0 20,0 13,0

    Framm di rocce vulcaniche interm 17,0 21,0 28,0 30,0 32,0 26,0

    Framm di rocce vulcaniche acide 10,0 5,0 3,0 6,0 15,0 1,0

    Selce 0,0 0,0 0,0 0,0 1,0 2,0

    Siltite silicoclastica 8,0 15,0 21,0 16,0 27,0 19,0

    Siltite prevalentemente carbonatica 66,0 48,0 50,0 58,0 40,0 60,0

    Packstone-grainstone 4,0 1,0 4,0 1,0 7,0 4,0

    Packstone-grainstone fossilifero 7,0 3,0 3,0 2,0 1,0 3,0

    Dolomie a cristallo singolo 1,0 0,0 0,0 1,0 0,0 2,0

    Miche e cloriti 3,0 2,0 2,0 6,0 7,0 0,0

    Miche e cloriti in framm di rocce metam 1,0 1,0 2,0 2,0 5,0 1,0

    Miche in fr. rocce sedimentarie 0,0 0,0 2,0 0 1,0 1,0

    Totale 300,0 300,0 300,0 300,0 300,0 300,0

    Tabella 7 : Punti contati per sezione sottile.

  • 48

    Cava a Cava b Cava c VF2 a VF2 b VF2 c

    Qtz monocristallino 2,0 6,0 7,3 4,3 3,0 6,7

    Qtz policristallino 5,0 5,7 5,0 3,7 5,3 5,0

    Qtz in rocce metam di basso grado 6,0 8,3 13,0 11,0 7,7 3,7

    Qtz in rocce vulcaniche 1,3 2,7 4,0 4,0 2,7 2,3

    Qtz in areniti 0,0 2,0 2,0 1,7 0,7 1,0

    Kfeld monocristallino 27,7 27,3 15,0 20,0 17,3 26,7

    Kfeld in rocce metamorfiche 7,3 6,3 4,3 3,3 4,7 4,0

    Kfeld in rocce vulcaniche 1,7 3,0 3,0 4,0 4,3 2,0

    Kfeld in areniti 0,7 3,0 2,0 2,7 1,3 3,3

    Pl monocristallino 3,7 1,3 2,0 0,3 0,7 1,3

    Pl in rocce metamorfiche 0,3 0,0 0,0 0,3 0,3 0,0

    Pl in rocce vulcaniche 0,3 0,0 0,3 0,3 0,0 0,0

    Pl in areniti 0,0 0,7 0,3 0,0 0,0 0,0

    Framm di rocce metam 5,0 1,7 3,3 3,7 6,7 4,3

    Framm di rocce vulcaniche interm 5,7 7,0 9,3 10,0 10,7 8,7

    Framm di rocce vulcaniche acide 3,3 1,7 1,0 2,0 5,0 0,3

    Selce 0,0 0,0 0,0 0,0 0,3 0,7

    siltite silicoclastica 2,7 5,0 7,0 5,3 9,0 6,3

    siltite prevalentemente carbonatica 22,0 16,0 16,6 18,3 13,3 20,0

    Packstone-grainstone 1,3 0,3 1,3 0,3 2,3 1,3

    Packstone-grainstone fossilifero 2,3 1,0 1,0 0,7 0,3 1,0

    Dolomie a cristallo singolo 0,3 0,0 0,0 0,3 0,0 0,7

    miche e cloriti 1,0 0,7 0,7 2,0 2,3 0,0

    Miche e cloriti in framm di rocce metam 0,3 0,3 0,7 0,7 1,7 0,3

    Miche in fr. rocce sedimentarie 0,0 0,0 0,7 0,0 0,3 0,3

    Totale 100 100 100 100 100 100,0

    Tabella 8 : Percentuale dei punti contati per sezione sottile.

    Con i dati di Tabella 5 , successivamente sono stati calcolati i parametri

    compositivi Q (quarzo), F (feldspato) e punti appartenenti a L+CE (litici a grana

    fine +carbonati extrabacinali) (Tabella 9).

    Q F L+CE

    Cava a 43 125 132

    Cava b 74 125 101

    Cava c 94 81 125

    VF2 a 74 93 133

    VF2 b 58 86 156

    VF2 c 56 112 132

    Tabella 9 : Parametri compositivi.

    I dati della Tabella 9 sono stati quindi inseriti in un diagramma classificativo

    triangolare mediante l’uso del programma Tridraw (FIG. 23)

  • 49

    Figura 23 : Composizione dei campioni analizzati

    Dalla Fig.23, si nota che i campioni Cava e i campioni VF2 si trovano tutti nella

    stessa regione del triangolo; hanno quindi composizione molto simile. In

    particolare ricadono tutti nel campo delle sabbie litiche (sensu Folk, 1974, Zuffa,

    1980). Il passo successivo è stato quello di sviluppare un diagramma che

    rappresentasse la sola frazione litica a grana fine, suddivisa nelle seguenti

    categorie: Litici metamorfici (Lm), Litici Vulcanici (Lv), e l’intera frazione di Litici

    sedimentari (Ls +Lc +CE) (Tabella 5, FIG.24).

    Q

    F L+CE

    Cava aCava bCava cVF2 aVF2 bVF2 c

  • 50

    Figura 24 : Composizione della frazione litica a grana fine

    La Fig.24 non evidenzia sostanziali differenze tra i depositi Cava e i depositi VF2.

    Siccome nelle aree di drenaggio considerate affiorano solamente rocce

    sedimentarie sono state sommate le percentuali di frequenza dei litici

    metamorfici a grana fine (Lm) e dei litici vulcanici a grana fine (Lv) , poiché

    sicuramente si tratta di clasti riciclati e sono stati divisi i litici silicoclastici in litici

    puramente silicoclastici (Ls) e in litici carbonatici + CE (Lc+CE) (FIG.25).

    Lv

    Lm Ls+Lc+CE

    Cava aCava bCava cVF2 aVF2 b VF2 c

  • 51

    Figura 25 : Composizione della frazione litica a grana fine, suddivisa in “silicoclastica” e “carbonatica”

    La Figura 25 permette di distinguere il totale dei litici carbonatici (Lc + CE) dalle

    altre componenti a grana fine; si evidenzia così una parziale sovrapposizione tra i

    campioni di Cava e quelli del riempimento VF2.

    Lv+Lm

    Ls Lc+CE

    Cava aCava bCava cVF2 aVF2 bVF2 c

  • 52

    CAPITOLO 5 DISCUSSIONE

    La paleovalle ed il possibile bacino di drenaggio sulla base di evidenze

    geologiche e geomorfologiche

    Lo studio svolto evidenzia la presenza di un sistema vallivo associato ad un

    drenaggio diretto verso il bacino di Siena, in accordo con quanto

    precedentemente suggerito a Aldinicci et al. (2007) e Boscaini (2011).

    Sulla base dei dati di natura stratigrafica e geomorfologica non è però possibile

    definire con esattezza l’estensione di tale drenaggio, sebbene la presenza di barre

    fluviali alte fino a 4 m nei depositi ciottolosi dell’unità VF2 suggerisca la presenza

    di corsi d’acqua di una certa pertinenza.

    Sulla base di tali dati possono essere formulate due diverse ipotesi, che saranno

    successivamente discusse attraverso un’integrazione col dato di natura

    composizionale.

  • 53

    Ipotesi 1

    Il corso d’acqua in esame drenava esclusivamente la dorsale del Chianti ed il suo

    bacino di drenaggio era limitato a Nord dalla presenza del bacino del Valdarno

    Superiore, ed ad Est dal bacino della Val di Chiana. Tale corso d’acqua si sarebbe

    poi immesso nel bacino di Siena risentendo però dell’influenza sullo stile fluviale

    esercitata dall’attività tettonica presente nell’area dell’attuale spartiacque

    (FIG.26).

    Figura 26 : Ipotetica ricostruzione relativa ad un bacino di drenaggio limitato all’area chiantigiana.

  • 54

    Ipotesi2

    Il corso d’acqua in esame era rappresentato dal paleoArno, che fluiva dal Bacino

    del Casentino attraverso l’area di Arezzo lungo l’attuale corso, per poi deviare a

    Sud in corrispondenza della valle del T. Scerfio. Il paleoArno avrebbe occupato

    pertanto l’attuale val d’Ambra e si sarebbe immesso nel bacino di Siena, subendo

    però modificazioni di stile fluviale legate ad attività tettonica sin-deposizionale in

    corrispondenza dello spartiacque (FIG.27).

    Figura 27 : Ipotetica ricostruzione relativa ad un bacino di drenaggio che includeva sia l’area chiantigiana che quella casentinese.

  • 55

    In entrambi i casi, il corso d’acqua in esame sarebbe stato richiamato nel bacino

    del Valdarno Superiore in conseguenza di una cattura che sarebbe avvenuta

    nell’area di Capannole (nel caso dell’ipotesi 1) o nell’area di Levane (nel caso

    dell’ipotesi 2).

    Provenienza dei sedimenti

    La discussione delle due ipotesi precedentemente proposte richiede una breve

    descrizione delle principali litologie affioranti nelle due aree definite come i

    possibili bacini di drenaggio del sistema in esame. Tale descrizione permetterà

    infatti di discutere il dato composizionale in relazione alle diverse aree fonte. Le

    due aree considerate come possibili bacini di drenaggio sono qui denominate

    “bacino di drenaggio casentinese” e “bacino di drenaggio chiantigiano”.

    Geologia del bacino di drenaggio chiantigiano

    Il bacino di drenaggio chiantigiano a Sud del Bacino del Valdarno, è attualmente

    percorso trasversalmente dalla Val d’Ambra. Questo bacino è costituito quasi

    esclusivamente dall’Unità del Macigno (FIG.28). Questa Unità di età Oligocenia-

    Miocenica rappresenta una potente successione terrigena costituita da arenarie

    silicoclastiche a granulometria variabile alternate a siltiti, argilliti e a livelli

    marnosi. Le arenarie silicoclastiche sono grigie se fresche, ocracee se alterate,

    mostrano una stratificazione con livelli da molto spessi a sottili. I livelli di siltiti e

    argilliti che si trovano intercalate alle arenarie sono di colore grigio scuro se

    alterate, possono anche costituire pacchi di strati di spessore pluridecimetrico. Si

    trovano inoltre, in un’area limitata alla porzione Nord-Est del bacino, i “Calcari e

    Brecciole di Monte Senario”, costituite da un’alternanza di brecce, calcari marnosi

    e calcareniti con liste di selce, argilliti grigie e arenarie grossolane; separate da

    sottili letti argillosi.

  • 56

    Figura 28 : Carta geologica semplificata del bacino chiantigiano.

    Geologia del bacino di drenaggio casentinese

    Il bacino di drenaggio casentinese include quello precedentemente descritto e si

    estende lungo il corso dell’attuale Arno fino al Bacino del Casentino. Le principali

    litologie presenti nell’area casentinese ed attualmente erose dal sistema di

    drenaggio del F. Arno appartengono al Dominio Toscano, al Dominio Ligure e alla

    Serie della Verna (FIG. 29).

    Le litologie indicative del primo dominio sono:

    1) Unità del Macigno (Oligocene-Miocene Inf.) definita da un’alternanza di

    arenarie quarzoso-feldspatiche, con siltiti e argilliti. Lo spessore degli strati di

    arenaria è rilevante, mentre lo spessore delle siltiti e argilliti siltose al tetto di ogni

    strato arenaceo è ridotto (Merla e Bortolotti, 1969).

    2) Unità Cervarola-Falterona (Oligocene Sup-Miocene Inf.) è caratterizzata da

    alternanza di siltiti e argilliti, marne e arenarie fini quarzoso-feldspatiche e

  • 57

    calcaree; si ha inoltre la presenza di dolomite detritica, a differenza invece

    dell’Unità del Macigno che ne è completamente priva.

    Le litologie indicative del secondo sono:

    1) Pietraforte (Cretaceo Inf.) è costituita da arenarie quarzoso-dolomitiche;

    argilloscicti grigio scuri, siltosi, scagliosi, in strati alternati con l’arenaria; calcari

    marnosi e marne giallastre. La formazione è caratterizzata dalla presenza di

    dolomie detritiche.

    2) Alberese (Eocene Medio-Inf.) è caratterizzata da alternanza di calcari grigio

    giallastri, con calcari marnosi bianchi a frattura concoide, e argilliti marnose

    (Merla e Bortolotti, 1969).

    3) Calcari e brecciole di M. Senario (Paleogene) consistono in alternanza di brecce,

    calcari marnosi e calcareniti con liste di selce, argilliti grigie e arenarie grossolane;

    separate da sottili letti argillosi.

    4) Arenarie di M. Senario (Oligocene) che appaiono molto simili alle arenarie del

    Macigno ma comunemente con grana più grossolana.

    5) Complesso Indifferenziato, questa unità comprende svariati litotipi, in

    particolare, calcari marnosi e marnoso silicei chiari e grigi, a frattura concoide,

    micritici; arenarie talvolta associate ad argilloscisti; argilloscisti grigi, verdastri e

    neri; calcareniti e brecce a macroforaminiferi (Merla e Bortolotti, 1969).

    L’unica litologia indicativa della Serie della Verna è:

    1) Calcari a Briozoi (Miocene) costituiti da due membri, quello inferiore

    formato da da calciruditi biancastre a Briozoi, massicce o con stratificazione poco

    evidente; quello superiore costituito da calcareniti in strati lentiformi irregolari di

    colore grigio-giallastro.

  • 58

    Figura 29 : Carta geologica semplificata del bacino casentinese.

    I possibili bacini di drenaggio confrontati con i dati composizionali

    Nel presente paragrafo, verranno discusse sulla base dei dati delle analisi

    composizionali le due ipotesi sulla ricostruzione dei bacini di drenaggio formulate

    sulla base di evidenze geologiche e geomorfologiche. Le due ipotesi

    precedentemente formulate indicano entrambe un drenaggio da Nord verso Sud,

    ma differiscono nella collocazione del limite settentrionale di tale bacino di

    drenaggio (FIG.26,27). Nella prima ipotesi tale limite è collocato in prossimità del

    margine settentrionale della valle del T. Scerfio, mentre nella seconda si spinge

    molto più a Nord, attraverso tutta la valle del F. Arno, fino a raggiungere i lembi

    più settentrionali del bacino del Casentino.

  • 59

    Lo studio sulla composizione di sabbie dell’unità VF2 evidenzia come i frammenti

    litici contenuti in esse siano in buona parte costituiti da siltiti carbonatiche

    (TAVOLA 1,2,3 e FIG.25). Allo stesso tempo la composizione dei ciottoli (FIG.19)

    mette in evidenza una dominanza di clasti calcarei riferiti a unità Liguri, che su

    quelli derivanti dall’erosione delle arenarie del Macigno (quarzo, feldspati).

    La stessa caratteristica è mostrata anche dai ciottoli che compongono la

    sottostante unità VF1 (FIG.18), deposta in tempi diversi ma chiaramente associata

    allo stesso sistema di drenaggio.

    La dominanza di una componente calcarea risulta essere scarsamente compatibile

    con un reticolo idrografico come quello del bacino di drenaggio chiantigiano, il

    quale drena per la maggior parte le arenarie torbiditiche dell’Unità del Macigno,

    ed in minima parte Unità Liguri nell’area del T. Scerfio. La composizione delle

    arenarie del Macigno riportata (Tabella 10) evidenzia come lo smantellamento di

    tali depositi non possa apportare una componente litica costituita da frammenti

    di siltiti carbonatiche evidenti invece nei depositi VF2 (Tabella 11),(FIG.30).

    Qtz in granuli singoli, più selce.

    Feldspati in granuli singoli, con frammenti di

    rocce Metamorfiche, Vulcaniche e miche.

    Altri minerali e componente carbonatica

    22,7 74,0 3,3

    Tabella 10: Composizione mineralogica dell’Unità del Macigno calcolata da Cipriani (1961).

    Qtz in granuli singoli, più selce.

    Feldspati in granuli singoli, con frammenti di rocce

    Metamorfiche, Vulcaniche e miche.

    Altri minerali e componente carbonatica

    14,6 60,0 25,4

    Tabella 11 : Composizione mineralogica di VF2 ricalcolata da Cipriani (1961).

  • 60

    Figura 30 : Diagramma classificativo triangolare; si nota che la composizione dell’Unità del Macigno calcolata da Cipriani(1961) e la composizione dei depositi VF2, raggruppando i punti contati nelle stesse classi proposte da Cipriani(1961), risulta essere differente.

    Alla luce di tali evidenze, l’ipotesi che correla il sistema in esame a quello che è

    stato denominato bacino di drenaggio casentinese appare la più plausibile. In tale

    contesto appare evidente che se il bacino di drenaggio si estendeva fino al

    casentino, il corso d’acqua che drenava la valle incisa in esame era il paleoArno.

    Tale fiume, in analogia col moderno Arno, si originava nel bacino del Casentino e

    fluiva verso Sud, raggiungendo il bacino di Arezzo, dove deviava verso Ovest

    immettendosi nell’area di Laterina. In tale area, il corso d’acqua svoltava

    bruscamente a Sud inserendosi nella Valle del T. Scerfio e confluendo poi in Val

    d’Ambra e raggiungendo il bacino di Siena. Tale ipotesi è avvalorata dalla marcata

    similitudine tra la composizione dei depositi sabbiosi dell’unità VF2 e quelli

    accumulati dal paleoArno durante il Pleistocene Medio nell’area del bacino del

    Valdarno Superiore e campionati nel sito indicato come Cava. In entrambi casi,

    infatti i campioni risultano ricchi di frammenti litici costituiti da siltiti carbonatiche

    Q

    F+Lv+Lm Lc+CE

    Unità MgVF2

  • 61

    di chiara provenienza ligure. Infine, un ulteriore elemento di supporto per tale

    teoria è fornito dalla marcata somiglianza, in termini di dimensioni, tra le barre

    ghiaiose presenti nell’area in esame e quelle prodotte dal paleoArno nel bacino

    del Valdarno Superiore. La dimensione di tali barre e dei canali associati risulta

    compatibile e riconducibile a paleoportate molto simili (Roner, comunicazione

    personale). Nell’area in esame, la presenza di un corso d’acqua di notevole

    portata giustifica le dimensioni della valle attualmente drenata dal T. Scerfio.

    Tale valle è stata probabilmente modellata dal paleoArno e successivamente

    abbandonata quando questo è migrato nel bacino del Valdarno Superiore. L’età

    attribuita da Boscaini (2011) ai depositi in esame è compatibile con

    l’interpretazione fornita. Secondo tale Autore, infatti, il drenaggio in esame era

    attivo durante il Chron Olduvai (1.7-1.9 Ma), mentre l’arrivo del paleoArno nel

    bacino del Valdarno Superiore è datato alla base del Chron Brunhes (0.78 Ma).

    Il modello proposto fornisce una potenziale alternativa rispetto a quanto

    suggerito da Bartolini e Pranzini (1981), che assumevano che il paleoArno, prima

    di drenare il bacino del Valdarno Superiore fluisse verso Sud attraverso il bacino

    della Val di Chiana.

    Nel contesto finora esaminato, risulta però significativo discutere l’assenza di

    clasti appartenenti ai depositi calcarenitici miocenici dei sedimenti in esame. Tali

    tipologie di clasti sono presenti nei depositi del paleoArno del bacino del

    Valdarno Superiore e sono considerati da lungo tempo come elemento

    diagnostico delle provenienze delle acque dal drenaggio casentinese (Sestini,

    1936). Questi depositi infatti affiorano in piccoli lembi lungo il crinale NE del

    bacino del casentino. L’assenza di tali clasti nella successione studiata potrebbe

    suggerire che circa 2 milioni di anni fa questi non appartenessero al bacino ma

    che fossero esposti sul versante opposto (adriatico) del crinale.

  • 62

    CAPITOLO 6 CONCLUSIONI

    Le principali conclusioni del presente lavoro di tesi possono essere sintetizzate

    secondo i seguenti punti:

    1) I depositi valle incisa affioranti nell’area di Castelnuovo Berardenga e

    precedentemente descritti da Aldinucci et al. (2007), proseguono in direzione

    Nord-Sud su un’area che si estende circa 15 km.

    2) Essi variano le loro caratteristiche sedimentologiche lungo il corso della

    paleovalle, soprattutto in relazione a modificazioni dello stile fluviale indotte da

    disturbi tettonici rappresentati da una faglia normale che taglia la valle

    trasversalmente all’asse di questa. In particolare i depositi ubicati a monte della

    faglia sono costituiti da riempimenti di canali sabbiosi immersi in depositi pelitici

    di piana alluvionale, mentre quelli a valle della faglia sono costituiti da sedimenti

    ciottolosi e sabbiosi attribuiti a sistemi tipo gravel-bed rivers.

    3) La composizione della frazione sabbiosa e ciottolosa dei depositi in esame

    evidenzia lo smantellamento di unità appartenenti al Dominio Ligure e Toscano.

    In particolar modo, entrambe le frazioni documentano la presenza di abbondanti

    elementi carbonatici affini ai depositi del Dominio Ligure. Tale composizione

    risulta scarsamente compatibile con l’erosione delle sole aree circostanti quella in

    esame, dove affiorano principalmente areniti feldspatiche appartenenti all’Unità

    del Macigno.

    4) In accordo con evidenze geomorfologiche e composizionali è stata formulata

    l’ipotesi che la valle in esame fosse drenata dal F. Arno. Come accade

    attualmente, tale fiume si originava nel bacino del Casentino e fluiva verso Sud,

    raggiungendo il bacino di Arezzo, dove deviava verso Ovest immettendosi

    nell’area di Laterina. In tale area, il corso d’acqua svoltava bruscamente a Sud

    inserendosi nella valle del T. Scerfio e confluendo poi in val d’Ambra e

    raggiungendo infine il bacino di Siena.

  • 63

    Questa nuova ipotesi risulta essere un’alternativa rispetto a quanto suggerito da

    Bartolini & Pranzini (1981), che assumevano che il paleoArno, prima di drenare il

    bacino del Valdarno Superiore fluisse verso Sud attraverso il bacino della Val di

    Chiana.

    5) Il modello proposto risulta compatibile con l’età attribuita recentemente da

    Boscaini (2011) a questi depositi. Secondo tale attribuzione, infatti, il drenaggio in

    esame era attivo durante il Chron Olduvai (1.7-1.9 Ma), mentre l’arrivo del

    paleoArno nel bacino del Valdarno Superiore è datato alla base del Chron Brunhes

    (0.78 Ma).

  • 64

    TAVOLA 1

    1a; 1b fossili planctonici osservati a nicol incrociati, 2a; 2b fossili planctonici osservati a nicol paralleli. 3a; 3b

    fossile bentonico osservato rispettivamente e nicol incrociati e nicol paralleli. Scala in rosso, uguale a 0,2 mm.

    1a 1b

    2a 2b

    3a 3b

  • 65

  • 66

    TAVOLA 2

    1a; 1b plagioclasio fresco, 2a; 2b frammento di siltite prevalentemente carbonatica rispettivamente a nicol

    incrociati e nicol paralleli; 3a; 3b frammento di siltite silicoclastica e silcrete, rispettivamente a nicol incrociati e

    nicol paralleli; Scala in rosso, uguale a 0,3 mm.

    1a 1b

    2a 2b

    3a 3b

  • 67

  • 68

    TAVOLA 3

    1a; 1b quarzo in roccia metamorfica rispettivamente a nicol incrociati e nicol paralleli; 2a; 2b frammento di

    roccia vulcanica rispettivamente a nicol incrociati e nicol paralleli;3a; 3b feldspato alterato rispettivamente a

    nicol incrociati e nicol paralleli; Scala in rosso, uguale a 0,3 mm.

    1a 1b

    2a 2b

    3a 3b

  • 69

  • 70

    BIBLIOGRAFIA

    ALDINUCCI, M.; GHINASSI, M.; SANDRELLI, F. (2007) Climatic and tectonic segnature in the

    fluvial infill of a late