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Anno Accademico 2011-2012 FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA AZIENDALE TESI DI LAUREA IN ECONOMIA DELLE AZIENDE NON PROFIT DALLA FILANTROPIA ISTITUZIONALE ALLINTERMEDIAZIONE FILANTROPICA: IL CASO DELLE «FONDAZIONI DI COMUNITÀ» Relatore Prof.ssa ANTONIETTA COSENTINO Correlatore Prof.ssa DANIELA COLUCCIA Laureando MARCO CARONI

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Anno Accademico 2011-2012

FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA AZIENDALE

TESI DI LAUREA IN

ECONOMIA DELLE AZIENDE NON PROFIT

DALLA FILANTROPIA ISTITUZIONALE ALL’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA: IL CASO DELLE «FONDAZIONI DI COMUNITÀ»

Relatore Prof.ssa ANTONIETTA COSENTINO Correlatore Prof.ssa DANIELA COLUCCIA

Laureando MARCO CARONI

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«È un vero peccato che impariamo le lezioni

della vita solo quando non ci servono più.»

(Oscar Wilde, Il ventaglio di Lady Windermere)(1

)

(1) WILDE O., Aforismi, Mondadori, Milano, 2010, pag. 4.

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SIMONE MARTINI

LA DIVISIONE DEL MANTELLO

(Assisi, 1317)(2

)

(2) La divisione del mantello è un affresco (265 x 230 cm) di Simone Martini (Siena, 1284 -

Avignone, 1344) facente parte della decorazione della Cappella di San Martino nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi. L’opera ritrae una scena delle Storie di Martino, vescovo di Tours. In una fredda giornata invernale, Martino, mentre stava uscendo da una porta civica di Amiens, venne avvicinato da un pover’uomo con pochi stracci addosso e molto infreddolito. Non appena Martino lo vide, con un deciso colpo di spada squarciò il suo mantello in due parti, offrendone una al mendicante, nel quale Gesù si era incarnato. Fonte: in http://it.wikipedia.org/wiki/Simone_Martini.

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Alla cara memoria

dei miei genitori

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INDICE

V

INDICE

INTRODUZIONE PAG. XIII

RINGRAZIAMENTI » XVIII

CAPITOLO PRIMO

LE AZIENDE NON PROFIT

1. IL “TERZO SETTORE”: LINEAMENTI SOCIOLOGICI » 2

1.1. LE STRUTTURE DEL TERZO SETTORE

1.2. LA CULTURA

1.3. LA NORMATIVITÀ

1.4. L’ORGANIZZAZIONE OPERATIVA

1.5. IL RUOLO SOCIETARIO

1.6. I CRITERI DEFINITORI

»

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»

4

5

5

5

6

8

2. LE ORGANIZZAZIONI AZIENDALI » 9

2.1. I CRITERI DI CLASSIFICAZIONE

2.1.1. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL SOGGETTO

GIURIDICo

2.1.2. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL SOGGETTO

ECONOMICO

2.1.3. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL FINE

2.1.4. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA DESTINAZIONE

DELLA PRODUZIONE

»

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9

9

10

11

12

3. LA TIPOLOGIA DELLE AZIENDE NON PROFIT » 14

3.1. L’IMPRESA

3.2. L’AZIENDA DI AUTOPRODUZIONE

3.3. L’AZIENDA FILANTROPICO-EROGATIVA

»

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»

15

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INDICE

VI

3.4. L’IMPRESA SOCIALE PAG. 20

4. LA QUALIFICAZIONE ECONOMICO-SOCIALE DELLE AZIENDE NON

PROFIT

»

22

5. LE TEORIE SULLA FORMAZIONE DELLE AZIENDE NON PROFIT » 24

5.1. LA TEORIA DEL “FALLIMENTO DELLO STATO”: IL MODELLO

DELL’ELETTORE MEDIANO DI WEISBROD

5.2. LA TEORIA DEL “FALLIMENTO DEL CONTRATTO” DI

HANSMANN

5.3. ALTRE TEORIE SULLE AZIENDE NON PROFIT

»

»

»

24

26

27

6. LE FONDAZIONI: DEFINIZIONE ED ELEMENTI COSTITUTIVI » 31

6.1. L’ATTO DI FONDAZIONE

6.2. LO STATUTO

6.3. IL PATRIMONIO

6.4. LO SCOPO

»

»

»

»

33

34

34

35

7. LA TASSONOMIA DELLE FONDAZIONI » 35

7.1. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AL CRITERIO FUNZIONALE

7.1.1. LE FONDAZIONI DI GESTIONE (OPERATING

FOUNDATION)

7.1.2. LE FONDAZIONI DI EROGAZIONE (GRANT-MAKING

FOUNDATION)

7.1.3. LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ (COMMUNITY

FOUNDATION)

7.1.4. LE FONDAZIONI D’IMPRESA (CORPORATE

FOUNDATION)

7.2. LA CLASSIFICAZIONE IN BASE AI MODELLI GIURIDICI

ADOTTATI

7.2.1. LE FONDAZIONI DI DIRITTO COMUNE

7.2.2. LE FONDAZIONI DI PARTECIPAZIONE

7.2.3. LE FONDAZIONI DI DIRITTO SPECIALE

»

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»

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38

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INDICE

VII

CAPITOLO SECONDO

L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

1. LA FILANTROPIA ISTITUZIONALE PAG. 43

2. GLI STRUMENTI DI PERSEGUIMENTO DEGLI OBIETTIVI

FILANTROPICI

»

45

2.1. LA GESTIONE DIRETTA

2.2. LA DONAZIONE DELLE RISORSE AD UN ENTE SPECIFICO

2.3. LA COSTITUZIONE DI UN’ASSOCIAZIONE

2.4. LA COSTITUZIONE DI UNA FONDAZIONE

»

»

»

»

45

45

46

46

3. L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA » 46

3.1. IL CONCETTO DI «COMUNITÀ»

3.2. L’INFRASTRUTTURAZIONE SOCIALE DEL TERRITORIO

»

»

47

49

4. LA TEORIA DEL CICLO DI VITA DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 50

5. IL “CAPITALE SOCIALE” DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 52

6. LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ COME «INTERMEDIARI FIDUCIARI» » 54

7. IL «MERCATO» DELLE DONAZIONI » 56

7.1. LE DONAZIONI DIRETTE

7.2. LE DONAZIONI INDIRETTE

7.2.1. DONAZIONI AD INTERMEDIARI OPERATIVI

7.2.2. DONAZIONI AD INTERMEDIARI FINANZIARI

FILANTROPICI

»

»

»

»

56

57

57

58

8. LE CAUSE DI FORMAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FILANTROPICI » 58

8.1. LE ASIMMETRIE INFORMATIVE

8.2. I COSTI DI TRANSAZIONE

8.3. LE DIMENSIONI DELLE DONAZIONI

8.4. I VANTAGGI FISCALI

»

»

»

»

58

59

60

62

9. I PROBLEMI DI AGENZIA TRA I DONATORI E L’INTERMEDIARIO

FINANZIARIO FILANTROPICO

»

64

9.1. INTERMEDIARI FINANZIARI FILANTROPICI NATI DA UNA SOLA

GRANDE DONAZIONE

»

64

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INDICE

VIII

9.2. INTERMEDIARI FINANZIARI FILANTROPICI NATI DA MOLTE

PICCOLE DONAZIONI

9.3. VINCOLO DI NON DISTRIBUZIONE DEI PROFITTI

9.3.1. LA TEORIA NEO-ISTITUZIONALISTA DELL’IMPRESA

9.3.2. IL CASO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

FILANTROPICI

9.4. REGOLAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

FILANTROPICI

PAG.

»

»

»

»

65

66

67

67

68

10. LE PROBLEMATICHE DI GOVERNANCE DEGLI INTERMEDIARI

FINANZIARI FILANTROPICI

»

70

CAPITOLO TERZO

LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

1. LA GOVERNANCE DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 75

1.1. GLI STAKEHOLDERS DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

LOCALI

»

76

2. I RAPPORTI TRA LA FONDAZIONE DI COMUNITÀ E GLI ENTI LOCALI » 78

3. GLI ORGANI ISTITUZIONALI » 79

3.1. IL PRESIDENTE E IL VICE PRESIDENTE

3.2. IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

3.3. IL SEGRETARIO GENERALE (O DIRETTORE GENERALE)

3.4. IL COLLEGIO DEI REVISORI

3.5. IL COMITATO ESECUTIVO

3.6. IL COLLEGIO DEI PROBIVIRI

3.7. IL COMITATO DEI DONATORI

»

»

»

»

»

»

»

82

82

85

85

86

86

86

4. LE EROGAZIONI E LE DONAZIONI: ASPETTI INTRODUTTIVI » 87

5. GLI STRUMENTI DELLE DONAZIONI » 89

5.1. I BENEFICI FISCALI » 91

6. LE TIPOLOGIE DI FONDI » 93

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INDICE

IX

7. LE PROCEDURE DI EROGAZIONE DEI CONTRIBUTI PAG. 97

7.1. L’EROGAZIONE “A SPORTELLO”

7.2. IL BANDO “APERTO”

7.3. IL BANDO “CHIUSO”

7.4. IL BANDO “CON RACCOLTA”

7.5. L’EROGAZIONE “CON RISULTATO”

7.6. L’ATTIVITÀ EROGATIVA SOTTO ALTRE FORME

7.7. IL MODELLO OPERATIVO DELL’ATTIVITÀ EROGATIVA DELLA

FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO

»

»

»

»

»

»

»

98

98

99

99

99

100

101

8. I PROBLEMI DI GOVERNO DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 102

CAPITOLO QUARTO

LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

1. IL “PROGETTO FONDAZIONI DI COMUNITÀ” DELLA FONDAZIONE

CARIPLO

»

106

1.1. L’ORIGINE

1.2. LE LINEE GUIDA DEL PROGETTO

1.3. LA MISSION

1.4. L’«EROGAZIONE SFIDA»

»

»

»

»

106

107

112

113

2. LA PROCEDURA DI COSTITUZIONE DI UNA FONDAZIONE

COMUNITARIA

»

114

2.1. IL COMITATO D’ONORE

2.2. IL COMITATO PROMOTORE

»

»

115

116

3. I SETTORI DI INTERVENTO » 117

4. L’ACCOUNTABILITY » 119

4.1. LA RENDICONTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA NELLA

NORMATIVA CIVILISTICA

4.2. LA RENDICONTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA NELLA

NORMATIVA FISCALE

»

»

120

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INDICE

X

4.3. LA CLASSIFICAZIONE DEI BILANCI «ETICI»

4.4. IL BILANCIO DI MISSIONE

4.5. IL “RAPPORTO ANNUALE” DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

PAG.

»

»

123

126

128

5. UN MODELLO ITALIANO DI COMMUNITY FOUNDATION? » 128

6. LA PROCEDURA DI NOMINA DEI CONSIGLIERI DI

AMMINISTRAZIONE

»

132

6.1. IL REGOLAMENTO DEL COMITATO DI NOMINA

6.2. LA PROCEDURA DI EVIDENZA PUBBLICA PER L’ELEZIONE DEI

CONSIGLIERI DI DIRETTA COMPETENZA DELLE DIVERSE

AUTORITÀ PUBBLICHE

»

133

134

7. L’ASSOCIAZIONE ITALIANA FONDAZIONI ED ENTI DI EROGAZIONE

(ASSIFERO)

»

139

7.1. LE LINEE STRATEGICHE » 141

8. LE POSSIBILI DIRETTRICI DI SVILUPPO » 142

CAPITOLO QUINTO

I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA

ESPERIENZE INTERNAZIONALI

1. L’ADATTABILITÀ DEL MODELLO AI DIVERSI CONTESTI SOCIALI,

CULTURALI ED ECONOMICI

»

146

2. LE COMMUNITY FOUNDATIONS NEGLI STATI UNITI » 148

2.1. LA CLEVELAND FOUNDATION

2.2. LINEAMENTI GENERALI

»

»

149

151

3. LE COMMUNITY FOUNDATIONS IN GRAN BRETAGNA » 155

4. LE BÜRGERSTIFTUNG IN GERMANIA » 158

4.1. LA STADT STIFTUNG GÜTERSLOH » 160

5. LA FONDATION DE FRANCE » 161

CONCLUSIONI » 165

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INDICE

XI

BIBLIOGRAFIA

1. AGENZIA PER IL TERZO SETTORE PAG. 177

2. AGENZIA DELLE ENTRATE » 177

3. ASSOCIAZIONE DI FONDAZIONI E DI CASSE DI RISPARMIO » 178

4. MONOGRAFIE » 178

5. SAGGI » 181

6. ARTICOLI, RIVISTE E PERIODICI » 187

7. ATTI DI CONVEGNI E SEMINARI » 191

8. RAPPORTI E RICERCHE » 192

9. ENCICLICHE PAPALI » 192

10. ALTRE FONTI » 193

11. STATUTI, REGOLAMENTI E RAPPORTI ANNUALI » 194

12. SITI INTERNET ISTITUZIONALI DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ » 198

NOTA REDAZIONALE:

QUESTA TESI SI COMPONE DI 220 PAGINE.

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INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE

XIII

La crisi finanziaria(1) che dagli anni settanta ha colpito lo Stato, ha determinato la

progressiva crisi del welfare state(2

La crisi dello stato sociale è profonda e ben difficilmente potrà essere superata

senza un radicale ripensamento dell’intero modello di welfare che coinvolga anche il

«paradigma che ha guidato la costruzione dello stato sociale in questi ultimi secoli, la

cui pietra angolare deve essere cercata proprio nel concetto di diritto soggettivo. […]

L’idea che la giustizia possa essere perseguita attraverso la soddisfazione dei diritti

soggettivi si è infatti rivelata un’astrazione.»(

) e dei modelli di intervento che esso aveva

sviluppato.

3

Questa situazione ha aperto la strada all’introduzione di nuove metodologie di

azione in campo sociale che s’ispirano ai modelli sviluppati dalla filantropia(

).

4

La società civile(

)

istituzionale americana all’inizio del XX. 5

(1) La crisi finanziaria del settore pubblico, o crisi fiscale dello Stato, si manifesta nel fatto che,

mentre le spese pubbliche aumentano progressivamente, le corrispondenti entrate tributarie non aumentano in misura corrispondente. In particolare «l’attività economica pubblica deve essere in qualche modo finanziata. […] la crescita assai sostenuta delle attività pubbliche ha posto il problema di una adeguata crescita delle entrate tributarie necessarie al loro finanziamento. Anche se le entrate tributarie sono molto cresciute, esse non sono state sufficienti a finanziare completamente la spesa, e si è dovuto quindi ricorrere all’emissione di moneta e all’indebitamento pubblico per colmare il deficit. […] Ciò significa che […] un terzo della spesa pubblica è stato finanziato col ricorso al debito o con l’emissione di moneta. […] la massa di debito pubblico adesso in circolazione ha quasi raggiunto la consistenza del reddito nazionale; la pericolosità della situazione è evidente se si pensa da un lato all’ingente massa di interessi da pagare sul debito pubblico, e dall’altro al fatto che l’equilibrio finanziario dello Stato dipende, ogni anno, dalla propensione dei detentori di debito a rinnovare i titoli in scadenza, e a sottoscriverne di nuovi per un ammontare pari al deficit dell’anno stesso.»: FOSSATI A., Economia Pubblica, FrancoAngeli, Milano, 1999, pagg. 14-15.

) italiana, pertanto, è stata recentemente innervata da un nuovo

attore sociale: le community foundations.

(2) Il termine welfare viene «sovente usato con riferimento al concetto di Stato del benessere, ovvero quell’insieme di processi decisionali, azioni e contesti istituzionali, variamente organizzati, attraverso cui gli Stati sviluppano politiche sociali orientate a creare situazioni di sicurezza per i cittadini e a ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle risorse.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, Editrice San Raffaele, Milano, 2011, pag. 310.

(3) CASADEI B., Filantropia istituzionale e dignità della persona, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, n. 6, novembre/dicembre 2011, pag. 118.

(4) La parola filantropia «deriva dal greco e indica un sentimento di amore (philía) nei confronti dell’uomo (ánthropos). La filantropia è, dunque, un sentimento di amore e interesse per il prossimo, che si traduce in atti di fattiva solidarietà, normalmente nell’elargizione di una somma di denaro a favore di una determinata causa o persona.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 151.

(5) L’espressione società civile connota il «rapporto tra la soggettività dei cittadini e dello Stato e si caratterizza per il riconoscimento, da parte dell’ordinamento, di una serie di diritti di libertà, garantiti costituzionalmente e politicamente attraverso il riconoscimento di diritti politici attivi e passivi.»: IBIDEM, op. cit., pag. 270.

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INTRODUZIONE

XIV

Queste entità costituiscono una forma particolare di fondazione il cui raggio

d’azione è circoscritto alla comunità locale(6

Le fondazioni di comunità rappresentano un modello evoluto di intermediario

filantropico i cui obiettivi sono la promozione della «cultura del dono»(

).

7) e il

miglioramento della qualità della vita degli abitanti di una determinata area geografica

attraverso il finanziamento dei progetti promossi dalle organizzazioni appartenenti al

cosiddetto “terzo settore”(8

Per promuovere le donazioni, le fondazioni di comunità offrono ai potenziali

donatori servizi diversi che li agevolino nel perseguimento dei propri scopi filantropici.

Esse inoltre si «coinvolgono in numerose iniziative fungendo da “facilitatori”,

“catalizzatori” e “collaboratori” per la soluzione di problemi particolarmente rilevanti

per la comunità locale.»(

) nei campi scientifico, culturale e dell’assistenza

sociosanitaria.

9

Le fondazioni di comunità rappresentano una «forma organizzativa “leggera” e

particolarmente flessibile, sia in termini strutturali sia in termini operativi.»(

).

La fondazione di comunità combina nella stessa struttura due funzioni, quella di

raccolta dei fondi, il cosiddetto fund raising, e quella di erogazione dei contributi, il

cosiddetto grant-making, in precedenza svolte da organismi diversi.

L’autonomia e l’indipendenza dalla sfera pubblica e da quella privata e la

trasparenza e la rendicontabilità (accountability) della loro attività nei confronti

dell’opinione pubblica, sono i loro elementi caratteristici che vengono declinati in modo

specifico a seconda del contesto locale di riferimento.

10

In base agli schemi tecnico-economici elaborati dalla dottrina aziendalistica, le

fondazioni di comunità sono organizzazioni intermedie che raccolgono le donazioni da

).

(6) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, Vol. II, Il

caso delle fondazioni di comunità, FrancoAngeli, Milano, 2010, pag. 53. (7) BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, pag.

52, sul sito www.chiesacattolica.it: «La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza.».

(8) La locuzione «Terzo settore (traduzione del corrispettivo inglese Third Sector) indica quell’insieme, vasto ed eterogeneo, di aggregazioni collettive che sotto un profilo strettamente funzionale intendono collocarsi su una terza via rispetto allo Stato e al mercato.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 293.

(9) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pag. 55.

(10) IBIDEM, op. cit., pag. 56.

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INTRODUZIONE

XV

una pluralità di piccoli donatori, garantiscono una gestione indirizzata alla

massimizzazione del rendimento del patrimonio, effettuano una selezione preventiva dei

progetti da finanziare e un monitoraggio successivo degli obiettivi raggiunti.

Il presente studio intende delineare quello che è stato il passaggio dalla

tradizionale filantropia istituzionale alla moderna intermediazione filantropica e fornire

un quadro d’insieme sul poliedrico mondo delle fondazioni di comunità.

La prima parte, costituita dal I capitolo, analizza sinteticamente le tipologie di

aziende non profit operanti nell’ambito del “terzo settore”, soffermandosi poi su

un’esplicitazione specifica delle medesime rappresentata dalle fondazioni che

costituiscono ancora oggi delle «scatole nere poco conosciute e ancor meno comprese»

(Diaz, 1999).

La seconda parte, rappresentata dal II capitolo, è dedicata alla disamina del

fenomeno della filantropia istituzionale e, più in particolare, dell’intermediazione

filantropica. Vengono, quindi, analizzate le cause di formazione degli intermediari

filantropici che sono all’origine dello sviluppo della fondazione di comunità.

La terza parte comprende i capitoli III e IV e approfondisce il fenomeno delle

fondazioni di comunità in Italia. L’analisi dettagliata delle caratteristiche strutturali ed

operative delle fondazioni comunitarie italiane è preceduta dalla descrizione della loro

genesi nell’ambito del progetto promosso dalla “Fondazione Cariplo”. La ricerca è

orientata fondamentalmente sulle fondazioni di comunità che sono emanazione delle

fondazioni di origine bancaria ed è svolta mediante l’analisi dei loro statuti e

regolamenti.

La quarta parte, con l’ultimo capitolo, completa il lavoro e, nell’effettuare un

parallelo tra i principali modelli internazionali di community foundations, dimostra che

la «globalizzazione non necessariamente “distrugge” le comunità locali», ma innesca

processi di adattamento alle diverse situazioni economiche e sociali da cui possono

nascere nuovi attori collettivi capaci di mobilitare ulteriori risorse per la promozione del

benessere locale(11

«Le community foundations ricopriranno, con ogni probabilità, un ruolo sempre

più importante nella costruzione di comunità in grado di vincere le sfide che

).

(11) IBIDEM, op. cit., pag. 55.

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INTRODUZIONE

XVI

contraddistinguono la società contemporanea. Esse sembrano essere uno strumento

agile e sufficientemente flessibile per rispondere alle esigenze della società civile»(12

L’ipotesi alla base di questo lavoro è quella che le fondazioni di comunità, inserite

nel tessuto italiano, abbiano subito una forma di morfogenesi(

).

13) sviluppando uno

specifico modello “italiano” in grado di implementare nuove tipologie d’intervento di

lungo periodo(14) per promuovere il welfare societario(15

La tesi che vogliamo verificare è se l’azione delle fondazioni di comunità è

circoscritta alla semplice redistribuzione di risorse economiche tra le organizzazioni

locali del “terzo settore” ovvero se questo strumento può trasformarsi in un «vettore di

sviluppo» economico e sociale non solo in aree caratterizzate da maturità economica ma

anche in aree depresse e assumere un ruolo di leadership in ambito locale. L’assunzione,

pertanto, di un ruolo sistemico essenziale per lo sviluppo economico e sociale del paese.

) a livello locale.

La metamorfosi di questo “veicolo” non è ancora completata ed è quindi di grande

interesse cercare di comprendere quali sono le sue dinamiche di funzionamento.

(12) CASADEI B., Le community foundations: una scelta strategia per le fondazioni delle casse di

risparmio, in AA.VV, Fondazioni e organizzazioni non profit in USA, Maggioli, Rimini, 1997, pag. 183. (13) La differenziazione delle culture organizzative «può dar luogo a due esiti: la riproduzione delle

strutture esistenti (morfostasi) oppure l’elaborazione strutturale prodotta dall’agire interattivo dei soggetti che modificano la struttura (morfogenesi)»: FERRUCCI F., Come pensano (e agiscono) le fondazioni italiane? Morfogenesi e morfostasi delle culture filantropiche, in «Politiche sociali e servizi», Vita & Pensiero, Milano, anno IX, n. 1, gennaio-giugno 2007, pag. 80.

(14) «Le community foundations concentrandosi nel futuro, proprio mentre domina un’enfasi nei confronti degli obiettivi di corto periodo, possono dare un’importante contributo nel costruire una vera visione civile.»: CASADEI B., Le community foundations: una scelta strategia per le fondazioni delle casse di risparmio, op. cit., pag. 183.

(15) Il welfare societario corrisponde «a un sistema sociale in cui l’impegno per il benessere sociale, in qualche modo è parte integrante della vita di ogni giorno». Il welfare state corrisponde «a tutto ciò che un parlamento delibera e che un governo mette in atto». La prospettiva del welfare societario «riguarda invece le azioni, gli atteggiamenti e le opinioni della gente, rispetto le questioni che hanno rilevanza per il benessere della collettività» quindi «mette in evidenza come le politiche sociali non si identifichino più con gli interventi delle pubbliche amministrazioni volte alla promozione del benessere della collettività.»: FERRUCCI F., La promozione del welfare societario a livello locale: il ruolo delle Fondazioni Comunitarie, in BARTOLINI I. (a cura di), Capitale sociale, reti comunicative e culture di partecipazione, FrancoAngeli, Milano, 2008, pagg. 91-92.

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RINGRAZIAMENTI

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RINGRAZIAMENTI

XVIII

Devo un sentito ringraziamento alla Dott.ssa Silvia Cordero –

Segretario Generale della Fondazione della Comunità di

Mirafiori – per il contributo di pensiero e per il materiale

fornitomi.

Rivolgo un ringraziamento all’Arma dei Carabinieri e in

particolare agli Ufficiali che si sono avvicendati negli incarichi di

Capo dell’Ufficio Personale Marescialli e di Capo della 1^

Sezione Impiego per la incondizionata disponibilità e fiducia

dimostrata nei miei confronti.

Ringrazio la Dott.ssa Elisabetta Bonocore – Responsabile della

Biblioteca del Dipartimento di Diritto ed Economia delle Attività

Produttive della Facoltà di Economia dell’Università “Sapienza”

– per la gentile disponibilità.

In ultimo, perché in fondo a questa lista ma primi nella realtà,

ringrazio gli studenti, tutti ben presenti nei miei pensieri, della

Facoltà di Economia con cui ho condiviso sogni, speranze e

difficoltà.

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CAPITOLO PRIMO

LE AZIENDE NON PROFIT

SOMMARIO: 1. Il “terzo settore”: lineamenti sociologici – 1.1. Le strutture del terzo

settore – 1.2. La cultura – 1.3. La normatività – 1.4. L’organizzazione operativa – 1.5. Il ruolo societario – 1.6. I criteri definitori – 2. Le organizzazioni aziendali – 2.1. I criteri di classificazione – 2.1.1. La classificazione in base al soggetto giuridico – 2.1.2. La classificazione in base al soggetto economico – 2.1.3. La classificazione in base al fine – 2.1.4. La classificazione in base alla destinazione della produzione – 3. La tipologia delle aziende non profit – 3.1. L’impresa – 3.2. L’azienda di autoproduzione – 3.3. L’azienda filantropico-erogativa – 3.4. L’impresa sociale – 4. La qualificazione economico-sociale delle aziende non profit – 5. Le teorie sulla formazione delle aziende non profit – 5.1. La teoria del “fallimento dello Stato”: il modello dell’elettore mediano di Weisbrod – 5.2. La teoria del “fallimento del contratto” di Hansmann – 5.3. Altre teorie sulle aziende non profit – 6. Le fondazioni: definizione ed elementi costitutivi – 6.1. L’atto di fondazione – 6.2. Lo statuto – 6.3. Il patrimonio – 6.4. Lo scopo – 7. La tassonomia delle fondazioni – 7.1. La classificazione in base al criterio funzionale – 7.1.1. Le fondazioni di gestione (operating foundation) – 7.1.2. Le fondazioni di erogazione (grant-making foundation) – 7.1.3. Le fondazioni di comunità (community foundation) – 7.1.4. Le fondazioni d’impresa (corporate foundation) – 7.2. La classificazione in base ai modelli giuridici adottati – 7.2.1. Le fondazioni di diritto comune – 7.2.2. Le fondazioni di partecipazione – 7.2.3. Le fondazioni di diritto speciale.

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CAPITOLO PRIMO

2

1. IL “TERZO SETTORE”: LINEAMENTI SOCIOLOGICI(1)

Il termine “terzo settore”(2) identifica, nell’accezione corrente, un complesso di

valori, organizzazioni, culture e sistemi che presentano caratteri eterogenei. Questa

circostanza rende l’analisi della realtà del terzo settore estremamente complessa e

problematica(3

Il punto di partenza per definire il terzo settore, è rappresentato dall’ottica in cui si

pone l’osservatore rispetto a questo fenomeno.

).

Possiamo individuare due punti di osservazione quello:

esterno in cui le altre istituzioni, presenti nella società, osservano il terzo settore e ne

danno la propria definizione;

interno in cui il terzo settore osserva la società e si autodefinisce rispetto a

questa’ultima.

Le due prospettive, tuttavia, non sono complementari, ma possono essere

dissomiglianti e contrastanti tra loro(4

Da un punto di vista esterno e negativo, il terzo settore può essere definito come

tutto ciò che non è ricompreso né nello Stato né nel mercato e quindi come il prodotto

da un lato della crisi del welfare state e dall’altro dei fallimenti del mercato. Questa

prospettiva, tuttavia, è in grado di cogliere solo un aspetto della realtà.

).

(1) DONATI P., Che cos’è il terzo settore: cultura, normatività, organizzazione, ruolo societario, in

DONATI P. (a cura di), Sociologia del terzo settore, Carocci, Roma, 1998, pagg. 25-42. (2) «Con il termine “terzo settore” si fa riferimento a un ambito sociale specifico entro il quale è

inscrivibile una gamma articolata di organismi diversi. Tuttavia il dibattito scientifico vede la presenza di altre dizioni accanto a quella di terzo settore. Esse sono: privato sociale, terza dimensione, economia sociale, terzo sistema, settore delle organizzazioni non profit. Ognuna di queste definizioni, pur se con confini e motivazioni diverse, ha contribuito a identificare l’area in questione e il suo specifico significato sociale.»: BOVA A. - ROSATI D., Il terzo settore e l’impresa sociale: sostegni o sfide per il welfare state?, Apes, Roma, 2009, pagg. 16-17.

(3) «Lo studio della realtà del terzo settore sotto un profilo economico-aziendale non è esente da complessità e anche da problematicità, considerata l’eterogeneità delle organizzazioni che nel linguaggio comune si fanno rientrare nell’espressione terzo settore. Ne consegue la necessità di definire l’oggetto di studio, che sicuramente non risulta agevole, alla luce delle differenziate e molteplici tassonomie elaborate nelle diverse discipline.»: BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non profit, FrancoAngeli, Milano, 2010, pag. 16.

(4) «Si evince che definire i confini del terzo settore non risulta agevole, in quanto si tratta di un settore sui generis che può assolvere a ruoli anticipatori, complementari, ma anche concorrenziali rispetto alla Stato e al mercato e, infine, anche a ruoli residuali e di retroguardia, in relazione al contesto geografico e all’ambito di attività. A loro volta lo Stato e il mercato possono creare condizioni favorevoli o sfavorevoli per lo sviluppo del terzo settore»: IBIDEM, op. cit., pag. 17.

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LE AZIENDE NON PROFIT

3

Da un punto di vista più ampio e positivo, il terzo settore dovrebbe essere

considerato come il «prodotto della crisi del progetto illuministico moderno» che aveva

tentato di costruire una società basata sull’asse individuo-Stato con la conseguente

marginalizzazione di tutte quelle formazioni sociali intermedie che dal medioevo hanno

caratterizzato l’esistenza delle società occidentali.

Per giungere alla definizione del fenomeno, dobbiamo quindi utilizzare un “terzo

punto di vista” diverso da quello liberistico e da quello statuale che ci consenta di

inquadrare le relazioni che si generano nella società prima del loro scambio sul mercato,

come valore di scambio, o della loro regolazione politica da parte dello Stato. Il terzo

settore, pertanto, non è qualcosa di estraneo, ma è una realtà connaturata alla società e

prodotta dalla «differenziazione societaria in condizioni di crescente complessità

sociale».

In quest’ottica, il terzo settore è un modo di essere «positivo e propositivo» della

società e una «forma sociale emergente» che nasce dall’esigenza di trovare nuove

risposte a specifici problemi sociali determinati dall’accresciuta articolazione della

società.

Le società moderne possono essere scomposte in quattro sotto-sistemi:

a) economia (mercato);

b) istituzioni politico-amministrative (Stato e sue articolazioni);

c) terzo settore (organizzazioni di solidarietà sociale);

d) settore informale (famiglia).

Sulla base di questo schema interpretativo, il terzo settore si caratterizza in modo

differente a seconda che lo osserviamo dall’interno o dall’esterno.

Dall’esterno il terzo settore corrisponde, dal punto di vista:

economico

, all’economia sociale (efficienza del sistema societario);

politico

, a nuovi soggetti politici rappresentanti di identità e interessi e portatori di

proprie strategie e finalità (efficacia del sistema societario);

regolativo

, a nuove reti di sociabilità (integrazione interna per il sistema societario);

culturale

Dall’interno, invece, il terzo settore deve assumere i seguenti requisiti, sotto

l’aspetto:

, ad una nuova cultura civile (impegni di valore per il sistema societario).

− economico, deve disporre di propri mezzi finanziari e operativi;

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CAPITOLO PRIMO

4

− politico

, deve essere in grado di mobilitare risorse umane e materiali per il

perseguimento dei propri fini;

regolativo

, deve avvalersi di un particolare reticolo di norme formali e informali;

culturale

Il terzo settore, quindi, si caratterizza per una propria cultura, normatività,

operatività e funzione societaria anche se poi ogni singola organizzazione sociale

valorizza una di queste categorie rispetto alle altre (ad esempio il volontariato accentua

l’altruismo).

, deve ricorrere a determinate modalità di utilizzazione dei beni e delle

relazioni sociali.

1.1. Le strutture del terzo settore

Il terzo settore si sviluppa in maniera preponderante nelle società avanzate perché

è solo dove lo Stato e il mercato sono già sufficientemente diversificati, che emergono

altre esigenze. È solo quando lo Stato e il mercato si specializzano in determinate

funzioni che nasce la necessità che le relazioni sociali, diverse da quelle basate sul

valore di scambio e da quelle oggetto di regolazione politica, trovino una loro

organizzazione.

I processi che danno vita al terzo settore sono processi di «differenziazione

reticolare» poiché rappresentano la creazione di reti sociali più complesse di quelle

esistenti nella società precedente. Le reti del terzo settore si caratterizzano, quindi, per

una maggiore mobilità e capacità di dotarsi di nuove forme di relazione che

costituiscono l’organizzazione del terzo settore.

I “movimenti sociali” sono l’humus su cui si sviluppano i “soggetti sociali” del

terzo settore che rispondono alle esigenze di relazionalità degli individui. Pertanto le

organizzazioni del terzo settore non possono presentare né un elevato grado di

formalizzazione (paragonabile a quella delle strutture statali) né una gestione guidata

esclusivamente da criteri di utilità economica (paragonabili a quelli del mercato).

Il terzo settore è l’elemento che caratterizza la “società relazionale” quella in cui il

problema principale è costruire un nuovo contratto sociale su cui basare le società post-

moderne. Gli attori del terzo settore sono portatori di una cittadinanza che non fa più

riferimento allo Stato nazionale, ma a un nuovo sistema sociale che si collega a valori

globalizzanti e a realtà multietniche radicate sul territorio.

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LE AZIENDE NON PROFIT

5

1.2. La cultura

I valori culturali che esprime il terzo settore sono quelli dell’altruismo, del dono,

della solidarietà, della fiducia, della reciprocità e dell’attenzione alla persona umana.

La cultura del terzo settore si muove dentro tutte le relazioni che stanno tra il

profitto e il non profitto, fra l’inter-soggettività dei cittadini e le azioni dello Stato,

quindi, non può identificarsi con la mera beneficienza e assistenza ma aspira a

combinare le motivazioni “ideali” con forme di intervento efficaci, stabili e dirette a

rispondere a bisogni sociali non occasionali.

1.3. La normatività

Il terzo settore crea e utilizza forme autonome di scambio sociale in cui si

manifesta la sua normatività. Questi scambi si basano sul valore d’uso, anziché di

scambio, di beni e servizi e sul carattere relazionale dello scambio che deriva da

motivazioni soggettive, anziché dall’adempimento di un’obbligazione.

Queste forme di scambio basate sulla reciprocità si differenziano sia dagli scambi

di mercato (attuati tra equivalenti con riferimento al denaro e ad un sistema di prezzi)

sia dagli scambi redistributivi (tipici dello Stato che raccoglie i contributi da una

collettività e li ridistribuisce in base a criteri di equità e solidarietà).

Tuttavia anche i sistemi basati sulla reciprocità devono conformarsi a un numero

crescente di norme statali (legislazione sul welfare state) e utilizzare un metro

monetario se vogliono poter calcolare l’efficienza e l’efficacia dei servizi resi.

1.4. L’organizzazione operativa

I soggetti del terzo settore esprimono forme organizzative e operative specifiche

attraverso la combinazione di peculiari risorse, al fine di poter realizzare la propria

mission.

I gruppi sociali, a diverso grado di organizzazione, devono assumere una forma

giuridica, che sarà un compromesso fra la propria natura (missione) e le forme

istituzionali disponibili.

In Italia le strutture giuridiche utilizzabili sono quelle dell’associazione e della

fondazione (libro I del codice civile), delle società di cui al libro V del codice civile

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CAPITOLO PRIMO

6

subordinatamente all’acquisizione della qualifica di “impresa sociale”(5) e della

cooperativa sociale di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle

cooperative sociali”(6

In ogni caso l’organizzazione implica sempre dei dilemmi culturali e strutturali, in

particolare il vero e proprio paradosso del terzo settore è rappresentato dal fatto che per

raggiungere i propri obiettivi, deve adottare gradi più elevati di formalizzazione, ma

quanto più si formalizza, tanto più perde quelle connotazioni relazionali che ne

assicurano lo spirito, la mission, le motivazioni.

).

Per il terzo settore, l’ottimizzazione organizzativa consiste nel trovare un punto di

equilibrio dinamico fra risultati e risorse umane, tenendo in considerazione il fatto che

un eccesso di informalità determina una mancanza di crescita di professionalità mentre

un eccesso di formalizzazione comporta una spersonalizzazione che produce un deficit

motivazionale dei membri.

La maggior parte dei soggetti del terzo settore sorgono come iniziative informali

che vanno successivamente formalizzandosi assumendo modalità operative articolate

che fanno riferimento al “gruppo originario”.

1.5. Il ruolo societario

Il ruolo societario del terzo settore si manifesta nella produzione di nuovi beni

detti “relazionali”. Questi beni soddisfano bisogni che non possono essere coperti né dai

beni pubblici, prodotti dallo Stato, né dai beni privati, forniti dal mercato.

(5) Art. 1, comma 1, “Nozione” del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 “Disciplina dell’impresa sociale,

a norma della L. 13 giugno 2005, n. 118”: «Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4.». Inoltre alle ONLUS e agli enti non commerciali di cui al D.Lgs. 460/1997, che acquisiscono anche la qualifica di impresa sociale, continuano ad applicarsi le disposizioni tributarie previste per le ONLUS.

(6) «Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini. Tale scopo è perseguito attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi o con lo svolgimento di attività diverse, agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. È fatto obbligo, al fine di facilitare la responsabilità ai terzi, di inserire nella denominazione sociale, comunque formata, l’indicazione di «cooperativa sociale». […] Oltre ai soci previsti dalla normativa vigente, è consentito che delle cooperative sociali facciano parte i «soci volontari» (art. 2, comma 1, l. n. 381, del 1991), purché prestino la loro attività gratuitamente e la loro presenza sia prevista dagli statuti. […] Le persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa sociale e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa (art. 4, comma 2).»: TATARANO M. C., La nuova impresa cooperativa, Giuffrè, Milano, 2011, pagg. 411-414. Le cooperative sociali sono ONLUS di diritto in forza dell’art. 10, comma 8, del D.Lgs. 460/1997.

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LE AZIENDE NON PROFIT

7

CARATTERE DEL CONSUMO non competitivo competitivo

CARATTERE DEL

CONSUMATORE

Bene pubblico

(Stato)

Bene relazionale

collettivo (terzo settore) non

sovrano

Bene relazionale primario (quarto settore)

Bene privato

(mercato) sovrano

FIG. 1.1 – Matrice delle tipologie di beni

Per il terzo settore si parla di una “economia della condivisione” (sharing) cioè

della produzione di “beni relazionali collettivi”. I beni relazionali sono tutti quei beni

che possono essere prodotti e fruiti soltanto congiuntamente a coloro che ne sono gli

stessi produttori e fruitori, attraverso le relazioni che connettono i soggetti coinvolti (il

bene sta nella relazione).

I “beni relazionali collettivi” sono interrelati con il quarto settore cioè con quella

parte della società, costituita da famiglie, reti amicali e parentali, che produce i “beni

relazionali primari”.

Le quattro tipologie di beni possono essere individuate attraverso una matrice (cfr.

FIG. 1.1).

In base al livello più o meno elevato di condivisione abbiamo che:

a) il bene pubblico rappresenta una forma costrittiva di condivisione;

b) il bene privato non comporta alcuna condivisione;

c) i beni prodotti dal terzo settore implicano condivisione cioè possono essere prodotti e

fruiti soltanto insieme e su basi volontarie attraverso una serie di relazioni

gradualmente formalizzate.

La teoria economica, tuttavia, non è ancora pervenuta a una sistematizzazione

soddisfacente dei beni relazionali poiché non è ancora riuscita a superare la precedente

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CAPITOLO PRIMO

8

dicotomia pubblico/privato con l’inserimento di una “terza categoria” indicata come non

profit o “economia sociale”.

Il terzo settore non è semplicemente una combinazione di pubblico e privato ma è

una realtà sui generis con propri caratteri sociali e che si interrelaziona con gli altri

settori. Il ruolo societario del terzo settore diventa di conseguenza osservabile attraverso

gli scambi che i suoi soggetti realizzano con lo Stato, il mercato e il quarto settore. Gli

altri settori hanno bisogno di input che possono essere forniti solo dal terzo settore

mentre, per converso, il terzo settore ha la necessità di acquisire risorse dagli altri

settori.

1.6. I criteri definitori

Il terzo settore può essere identificato attraverso quattro criteri fondamentali.

In primo luogo una cultura che induce gli individui e i gruppi sociali a relazionarsi

in modo solidale verso gli altri. I soggetti del terzo settore non perseguono finalità

puramente economiche, questa condizione può anche essere garantita attraverso

l’inserimento nello statuto o nell’atto costitutivo dell’organizzazione di una clausola di

non distribuzione degli utili.

In secondo luogo un’auto-regolazione dell’attore che s’ispira a norme che vanno

dal dono allo scambio di reciprocità, però sempre senza fini di lucro.

In terzo luogo un’organizzazione operativa dotata di un certo grado di

formalizzazione in particolare per quanto concerne la trasparenza e la rendicontazione

delle attività.

In quarto luogo la produzione di “beni relazionali collettivi”.

A seconda che accentuino l’una o l’altra di queste caratteristiche, i diversi attori

del terzo settore tendono a specializzarsi per campi di intervento e modalità

organizzative. Avremo così il volontariato, la cooperazione sociale e l’associazionismo

sociale.

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LE AZIENDE NON PROFIT

9

2. LE ORGANIZZAZIONI AZIENDALI

L’oggetto di indagine dell’economia aziendale(7

un «centro organizzato per la produzione sistematica di beni e servizi». Il termine

“centro” indica che la produzione deve essere svolta in modo sistematico ed

organizzato in quanto non può parlarsi di azienda in presenza di una produzione di

carattere occasionale ovvero in assenza di un coordinato e durevole impiego di mezzi

e persone;

) è l’azienda che è definita come:

un «istituto economico atto a perdurare», intendendosi con ciò che essa è un’entità

che vive di vita propria indipendentemente dalle persone che l’hanno ideata.

2.1. I criteri di classificazione

Le aziende possono essere classificate con diversi criteri ognuno dei quali in

grado di porne in evidenza un particolare aspetto.

Pur tenendo presente che la realtà aziendale non può essere inquadrata in rigide

tassonomie, alcuni dei criteri di classificazione fanno riferimento:

− al soggetto giuridico;

− al soggetto economico;

− al fine;

− alla destinazione della produzione.

2.1.1. La classificazione in base al soggetto giuridico(8

«Il soggetto giuridico è la persona (fisica o giuridica) o l’insieme di persone cui

fanno capo i diritti […] e gli obblighi […] derivanti dalle operazioni effettuate nello

svolgimento dell’attività aziendale.».

)

Secondo il soggetto giuridico le aziende si classificano in pubbliche e private.

Le aziende pubbliche sono regolate dalle norme del diritto amministrativo e si

caratterizzano per il fatto che il soggetto giuridico è di tipo pubblico. Esse

comprendono, gli:

(7) «l’Economia aziendale […] è la scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni

di vita delle aziende»: CAPALDO P., L’economia aziendale oggi, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 5. (8) HINNA L., Economia delle aziende: introduzione e classificazione, in HINNA L. (a cura di),

Appunti di economia aziendale, Cedam, Padova, 2008, pagg. 30-32.

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CAPITOLO PRIMO

10

1) Enti Pubblici Territoriali

2)

(Stato, Regione, Provincia e Comune) che perseguono

obiettivi istituzionali e devono essere gestiti nel rispetto del principio di efficienza;

Enti pubblici non economici

3)

(Università, I.N.P.S., ecc.) che non hanno una

limitazione territoriale e provvedono al soddisfacimento di bisogni particolari di

gruppi sociali o della collettività in genere;

Enti pubblici economici

Le aziende private, che si contraddistinguono per la circostanza che il soggetto

giuridico è di tipo privato, si dividono a loro volta in due categorie, le:

(Istituto per il credito sportivo, ecc.).

1) Imprese

2)

disciplinate dal libro V del codice civile;

Aziende non profit

− associazioni (artt. 14 e seguenti del codice civile), costituite da un’organizzazione

stabile, composta da un sistema di persone, le quali utilizzando un patrimonio,

pongono in essere delle operazioni volte al conseguimento di fini di natura privata

e non lucrativi;

regolate dal libro I del codice civile e dalle legislazioni speciali.

Esempi di aziende non profit di diritto privato sono, le:

− fondazioni o istituzioni (artt. 14 e seguenti del codice civile), costituite da

un’organizzazione stabile, creata per la gestione di un patrimonio fruttifero

destinato ad uno scopo privato e non lucrativo delineato dal fondatore che per

donazione o per testamento ne delinea i vincoli e i beneficiari esterni all’ente.

2.1.2. La classificazione in base al soggetto economico

Il soggetto economico è «la persona fisica o il compatto insieme di persone che

ha il più alto potere di decisione e di indirizzo nella conduzione aziendale.»(9). Si dice

anche che il soggetto economico «è colui che esercita di fatto il “supremo potere

decisionale” nell’azienda; è cioè la persona o il gruppo di persone che prende le

decisioni che determinano gli orientamenti di fondo della gestione.»(10

Secondo questo parametro, le aziende si distinguono in:

). Il soggetto

economico non è sempre individuabile con facilità perché non è un’entità dai contorni

ben definiti.

1) aziende nelle quali le decisioni:

(9) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, Roma, 2008 (edizione provvisoria fuori commercio),

pag. 80. (10) ZANDA G., Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2006, pag. 140.

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LE AZIENDE NON PROFIT

11

− dipendono durevolmente da un singolo individuo o da gruppi di persone, legate da

accordi formali (patti di sindacato) o informali;

− derivano da un procedimento molto formalizzato che vede il concorso di più

soggetti e la convergenza di più volontà;

2) aziende nelle quali il controllo è detenuto:

− sulla base della titolarità di diritti patrimoniali (controllo di diritto);

− di fatto;

3) aziende che fanno capo ad:

− associazioni a larga base personale;

− organismi a forte contenuto patrimoniale e a ristretta base personale (ad esempio

le fondazioni).

Questo criterio è fondamentale per analizzare il processo di formazione delle

decisioni aziendali, la cosiddetta corporate governance(11

).

2.1.3. La classificazione in base al fine(12

Il «fine non è dell’azienda in sé ma delle persone che le danno vita, che la

conducono e che ne indirizzano di tempo in tempo la gestione: tesi alla quale si

contrappone quella secondo la quale l’azienda ha un fine in sé ed è costituto dal

perseguimento dell’equilibrio economico di gestione»(

)

13

Secondo lo scopo le aziende si suddividono in due gruppi, le:

).

1) Aziende orientate al profitto anche dette “for profit” o “profit oriented” o

imprese(14

2)

);

Aziende orientate a finalità diverse dal profitto anche dette «non profit»(15

Il soggetto che costituisce un’impresa ha come obiettivo il perseguimento di un

profitto indipendentemente dal tipo di produzione realizzata.

).

(11) «Per corporate governance intendiamo il sistema delle istituzioni e delle regole, sia formali sia

informali, che governano il funzionamento dell’impresa […] e in particolare la dinamica fra proprietà e controllo.»: GOGLIO A. - GOLDSTEIN A., Corporate governance. Un cardine della crescita economica, Il Mulino, Bologna, 2010, pagg. 11-12.

(12) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 122-125. (13) IBIDEM, op. cit., pag. 117. (14) «Le imprese sono complessi sistemi socio-tecnici, duraturi e probabilistici che producono beni

e/o servizi destinati allo scambio; esse possono soddisfare i bisogni umani in modo diretto e/o indiretto.»: D’ALESSIO L., La gestione delle aziende pubbliche, Giappichelli, Torino, 1992, pag. 10.

(15) «Le aziende non profit sono complessi sistemi socio-tecnici, duraturi e indirizzati a soddisfare direttamente i bisogni sociali.»: HINNA L., Economia delle aziende: introduzione e classificazione, op. cit., pag. 29.

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CAPITOLO PRIMO

12

Al contrario, nelle aziende non profit, il fine è strettamente legato all’oggetto

della produzione da realizzare. Il soggetto che dà vita ad un’azienda non profit lo fa per

produrre determinati beni o servizi in quanto ritiene che solo quelli siano in grado di

soddisfare quei bisogni per i quali l’azienda viene creata. L’azienda non profit, quindi,

ha ragione di esistere solo fintanto che ci sono quelle esigenze.

Condizione necessaria per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’azienda è il

mantenimento, nel medio-lungo periodo, dell’equilibrio economico. L’equilibrio

economico si configura in maniera diversa a seconda del tipo di azienda:

− nell’impresa l’«equilibrio economico è la capacità […] di sviluppare nel corso della

sua vita ricavi superiori ai costi in modo da remunerare in misura congrua il fattore in

posizione residuale»(16

− nell’azienda non profit invece «è sufficiente che i proventi, […], coprano tutti i costi

inerenti la produzione»(

);

17

).

2.1.4. La classificazione in base alla destinazione della produzione(18

Questo criterio si basa sulla destinazione che le aziende danno alla loro

produzione e conseguentemente sulle modalità con le quali ottengono le risorse per la

copertura dei costi.

)

Secondo questo criterio possiamo segmentare le aziende in tre classi, le:

1) Imprese cioè le aziende di produzione per lo scambio. Queste istituzioni economiche

destinano la loro produzione al mercato e nei ricavi, caratterizzati da elevata

variabilità, conseguiti dallo scambio, trovano le risorse necessarie per coprire i costi

della produzione(19

2)

). Nell’impresa il meccanismo economico è rappresentato dalla

relazione «costi-ricavi» poiché produce in previsione di una domanda di mercato;

Aziende di autoproduzione

(16) Il termine congruo significa «in linea con i compensi che il fattore in posizione residuale

conseguirebbe fuori dell’impresa. Non è perciò sufficiente coprire i costi. L’obiettivo dell’impresa è rendere quanto più elevato possibile il valore del reddito d’esercizio (differenza tra ricavi e costi).» secondo l’«Equazione dell’equilibrio economico: Ricavi = Costi + Reddito d’esercizio congruo»: ZANDA G., Lineamenti di economia aziendale, op. cit., pag. 139.

cioè le entità economiche che destinano la produzione a

soggetti predeterminati. Quest’azienda viene costituita per soddisfare i comuni

(17) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pag. 39. (18) IBIDEM, op. cit., pagg. 119-121. (19) «sono aziende che realizzano la loro funzione produttiva operando su mercati concorrenziali

sia dal lato della domanda (acquisizione dei fattori produttivi) che dell’offerta (collocamento dei prodotti)»: HINNA L., Economia delle aziende: introduzione e classificazione, op. cit., pag. 33.

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LE AZIENDE NON PROFIT

13

bisogni di un gruppo omogeneo di soggetti. Questi soggetti, che sono gli unici

destinatari della sua produzione, la mantengono in vita in quanto gli forniscono le

risorse necessarie alla copertura dei costi. Nelle aziende di autoproduzione il

meccanismo economico è rappresentato dalla relazione «costi-proventi» in quanto

producendo sulla base di una domanda già definita proveniente dai soggetti che

l’hanno costituita, sono questi ultimi che gli dovranno far pervenire le risorse

necessarie;

3) Aziende filantropico-erogative

All’interno del terzo settore è ricompreso, quindi, un sottoinsieme di

organizzazioni, denominate aziende non profit, che presentano caratteristiche peculiari.

La contrapposizione dei termini utilizzati per definirle, rende subito evidente quello che

è il loro carattere distintivo cioè l’impossibilità di distribuire utili.

o più specificatamente aziende di erogazione. Queste

entità destinano la loro produzione a beneficio di determinate persone o dell’intera

collettività e lo fanno senza ricevere alcuna controprestazione ovvero ottenendo una

controprestazione puramente simbolica. Le aziende filantropico-erogative producono

beni e servizi, nei campi della sanità, della cultura, dell’assistenza e della ricerca

scientifica, che vengono offerti, gratuitamente, per soddisfare i bisogni di persone

che vivono in condizioni di disagio sociale ovvero per contribuire alla crescita e al

miglioramento delle condizioni dell’intera comunità. L’elemento che

contraddistingue questa tipologia di aziende è il principio che poiché la loro

produzione viene ceduta attraverso “atti di liberalità”, per coerenza anche la

copertura dei loro costi deve avvenire attraverso “atti di liberalità” realizzati da

individui che ne sostengono l’attività. Quindi all’origine di queste istituzioni c’è un

gruppo di persone che condividono gli stessi valori etici e che offrono, senza ricevere

nulla in cambio, risorse economiche e impegno personale. Nell’azienda di

erogazione il meccanismo economico è rappresentato dalla relazione «costi-

proventi» inversa cioè essa può sostenere costi solo nei limiti delle risorse che gli

provengono gratuitamente da suoi sostenitori.

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CAPITOLO PRIMO

14

3. LA TIPOLOGIA DELLE AZIENDE NON PROFIT

Per approfondire l’analisi dell’universo delle aziende non profit, dobbiamo

procedere alla sovrapposizione di due degli schemi di classificazione esaminati nel

paragrafo precedente. Secondo il criterio:

della destinazione della produzione le aziende si distinguono in:

− a1) aziende che destinano allo scambio quello che producono;

− a2) aziende di autoproduzione;

− a3) aziende filantropico-erogative;

del fine le aziende si ordinano in:

− b1) aziende che operano per il profitto cioè le imprese;

− b2) aziende non profit.

Le classi a1 e b1 non coincidono completamente poiché mentre tutte le aziende

profit oriented destinano al mercato la loro produzione; ci sono aziende che pur

destinando al mercato ciò che producono operano per finalità diverse dal profitto. Da

questa considerazione deriva che la categoria b2 è più grande dell’aggregazione delle

categorie a2 e a3 in quanto include entità che, pur non volte al perseguimento del

profitto, hanno caratteristiche diverse dalle aziende di autoproduzione e di erogazione.

Queste aziende scambiano la loro produzione sul mercato ma per finalità diverse

dall’ottenimento di un surplus, come ad esempio:

− dare lavoro a persone svantaggiate non in grado di inserirsi nel mercato del lavoro

senza specifica assistenza;

− offrire beni e servizi, che non vengono prodotti attraverso i consueti canali dello

Stato e del mercato, per rispondere alla domanda di gruppi sociali economicamente

deboli.

Queste aziende ottengono le risorse di cui hanno bisogno da un lato attraverso atti

di liberalità da parte degli individui che ne condividono i valori e dall’altro attraverso lo

scambio di mercato. Esse si avvicinano, pertanto, sia alle aziende di erogazione sia alle

imprese e potrebbero essere classificate indistintamente nel gruppo a1 sulla base della

destinazione della produzione o nel gruppo b2 sulla base dello scopo.

Appare a questo punto evidente la necessità di creare una nuova species del genus

azienda che può essere denominata «impresa filantropica» o «impresa sociale».

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LE AZIENDE NON PROFIT

15

Questo nuovo fenomeno imprenditoriale è sostenuto dalle persone che,

condividendone le motivazioni etico-sociali alla base, gli forniscono senza oneri risorse

finanziarie e materiali.

L’universo delle aziende, quindi, può essere scomposto in quattro gruppi

principali che tuttavia non sono esaustivi del complesso mondo aziendale per la

presenza di «zone grigie», le:

1) Imprese;

2) Aziende di autoproduzione;

3) Aziende di erogazione;

4) Imprese sociali.

3.1. L’impresa(20

Il codice civile fornisce la nozione generale di imprenditore e quindi «i requisiti

minimi […] che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto all’applicazione

delle norme del codice civile dettate per l’impresa e per l’imprenditore. E dall’art. 2082

si ricava che l’impresa è attività (serie coordinata di atti); ed attività caratterizzata sia da

uno specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche modalità

di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità)»(

)

21

Per l’impresa, l’acquisizione dei fattori produttivi comporta il sostenimento di

costi mentre la cessione della produzione sul mercato permette il conseguimento di

ricavi. Un’impresa viene costituita e si sviluppa esclusivamente se è in grado di

generare una congrua eccedenza dei ricavi sui costi(

).

L’attività dell’impresa può essere scomposta in tre momenti consecutivi: α)

l’acquisizione dei fattori produttivi, i cosiddetti input (lavoro e capitale); β) la

combinazione di questi elementi per ottenere la produzione cioè l’output (beni e servizi)

e γ) lo scambio della produzione sul mercato.

22

L’impresa produce per il mercato per rispondere ad una domanda variabile e

difficilmente prevedibile, ne consegue che anche gli eventuali ricavi presentano gli

stessi requisiti di variabilità. Dall’altra parte, invece, l’impresa si trova di fronte costi di

).

(20) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 125-135. (21) CAMPOBASSO G. F., Manuale di diritto commerciale, Utet, Torino, 2004, pagg. 11-12. (22) Il surplus «questo «di più» costituisce la vera molla, il sale dell’attività d’impresa»: CAPALDO

P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pag. 136.

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CAPITOLO PRIMO

16

produzione che per la maggior parte sono rigidi (costi di struttura). Il disallineamento

tra ricavi aleatori e costi certi, determina un rischio di cui si deve far carico colui che dà

vita all’impresa. Da qui prende anche origine la distinzione tra “fattori in posizione

contrattuale” la cui remunerazione è contrattualmente prestabilita sia nella quantità che

nelle modalità e nei tempi di pagamento; e “fattori in posizione residuale” la cui

remunerazione è variabile, in relazione all’andamento economico della gestione, e

postergata e subordinata rispetto alla remunerazione dei fattori del primo tipo.

Da quanto detto emergono con chiarezza due osservazioni:

− la prima è che i “fattori a remunerazione residuale” sono destinati ad assumere

istituzionalmente e consapevolmente il rischio d’impresa;

− la seconda è che nell’impresa i “fattori a remunerazione residuale” non possono

assolutamente mancare a causa dell’insopprimibile presenza del rischio.

3.2. L’azienda di autoproduzione(23

Le aziende autoproduttrici nascono per iniziativa di soggetti che condividendo le

stesse esigenze e gli stessi bisogni, ritengono di poterli meglio soddisfare attraverso

un’azione coordinata invece che in forma individuale(

)

24

L’esigenza di costituire questa tipologia d’azienda si origina quando determinati

beni o servizi:

).

non sono disponibili sul mercato in quanto non è economicamente conveniente

produrli;

non sono offerti dallo Stato ovvero sono offerti ma con caratteristiche di

qualità/quantità ritenute insoddisfacenti;

sono disponibili sul mercato ma a prezzi o condizioni meno favorevoli di quelle che

presumibilmente si otterranno attraverso una produzione diretta.

I beni e servizi prodotti tendono a soddisfare:

− i bisogni essenziali dei soggetti che costituiscono l’organizzazione e dei loro

familiari (ad esempio nel campo della sanità);

(23) IBIDEM, op. cit., pagg. 141-149. (24) «Nelle aziende autoproduttrici, quindi, poiché è prevalente il carattere della mutualità, il

gruppo dominante (coloro che detengono il potere decisionale e che danno vita al processo produttivo) ed il gruppo beneficiario (destinatari dell’output) coincidono.»: CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i modelli di riferimento, in CARRERA D. - MESSINA A. (a cura di), Economia e gestione delle aziende nonprofit, Aracne, Roma, 2008, pag. 55.

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LE AZIENDE NON PROFIT

17

− il perseguimento di valori etici fortemente sentiti (ad esempio nel settore

dell’istruzione);

− la tutela di interessi economici (ad esempio gli acquisti concertati di determinati

prodotti);

− l’impiego del tempo libero (ad esempio nell’ambito culturale o sportivo).

Le aziende di autoproduzione possono nascere anche per iniziativa di altre

imprese che trovano vantaggioso svolgere congiuntamente alcune specifiche funzioni

ovvero acquisire fattori produttivi a costi più bassi.

La forma giuridica assunta da queste aziende spazia dall’associazione, al

consorzio o alla società per azioni. Ciò che le distingue, da un punto di vista tecnico-

economico, è che le risorse necessarie per coprire i costi della produzione vengono

fornite dagli aderenti in quanto unici destinatari della produzione. Si apre, pertanto, il

problema di come stabilire le modalità di ripartizione dei costi della produzione tra i

diversi aderenti. A questo riguardo si possono verificare tre casi: beni e servizi a

domanda divisibile, beni e servizi a domanda indivisibile e beni e servizi a domanda

mista.

a) Nel primo caso (domanda divisibile) i beni e servizi sono forniti agli aderenti sulla

base di una loro specifica domanda. I partecipanti, quindi, pagheranno, per ogni unità

richiesta, un quid pari tendenzialmente al relativo costo complessivo di produzione.

Questo corrispettivo non è un vero e proprio prezzo, in quanto non è il risultato di

uno scambio di mercato, ma può essere assimilato ad una “tariffa concordata” cioè

ad un compenso fissato di concerto tra tutti gli associati. In particolare l’uguaglianza

tariffa-costo può essere realizzata non giorno per giorno, ma con riferimento a

determinati intervalli temporali e questo per evitare di modificare continuamente la

tariffa.

Altre due modalità di ripartizione dei costi sono: I) la “doppia tariffa” in cui una

parte del corrispettivo è fisso, quindi svincolato dalla quantità richiesta, mentre l’altra

parte è variabile, in funzione della quantità effettivamente domandata e II) il

“minimo garantito” in cui gli associati si impegnano a richiedere ogni anno una

determinata quantità di prodotto e a pagare il relativo costo.

b) Nel secondo caso (domanda indivisibile) i beni e servizi sono fruiti indistintamente

da tutti gli aderenti, pertanto, il contributo di ciascun aderente alla copertura dei costi

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CAPITOLO PRIMO

18

sarà effettuato sulla base di parametri (ad esempio il fatturato delle imprese

associate) che manifestino indirettamente il vantaggio che i singoli associati ricavano

dall’attività aziendale.

c) Nel terzo caso (domanda mista) i beni e servizi sono in parte goduti indistintamente

da tutti gli aderenti e in parte forniti ai singoli su loro richiesta.

Il meccanismo di copertura dei costi è ciò che differenzia l’impresa dall’azienda

di autoproduzione in quanto in quest’ultima il sostenimento dei costi è garantito dai

destinatari della produzione. L’azienda autoproduttrice può subire, nel corso del tempo,

un processo di evoluzione che la porta verso il modello:

dell’impresa. Questo accade in due casi: I) quando l’azienda non produce a costi

competitivi e quindi è necessario introdurre elementi di concorrenza attraverso

l’apertura al mercato e II) quando l’elevata qualità della produzione consente di

attrarre una domanda esterna all’azienda;

dell’azienda di erogazione. Questo avviene quando l’azienda svolge un’attività

diretta al perseguimento di determinati valori etici degli associati ovvero alla cura di

bisogni essenziali. In questa evenienza l’attività filantropica può concretizzarsi o nel

cedere la capacità produttiva inutilizzata a persone estranee all’azienda che non sono

in condizioni di pagarla ovvero nell’ampliare la struttura produttiva esistente.

In conclusione ciò che distingue l’azienda di autoproduzione è la circostanza che

la produzione è destinata a soggetti determinati che devono assicurare la copertura dei

relativi costi.

3.3. L’azienda filantropico-erogativa(25

Le aziende filantropico-erogative nascono per iniziativa di soggetti che, spinti da

motivazioni etiche, culturali, religiose o filantropiche, decidono di fondare un’azienda

diretta a perseguire sistematicamente la diffusione di questi valori.

)

Queste aziende si caratterizzano per la circostanza che la loro produzione viene

ceduta senza una diretta controprestazione a persone in condizioni di disagio ovvero

all’intera comunità(26

(25) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 149-155.

). In alcuni casi è dovuta una controprestazione di natura simbolica

(26) «In questa tipologia di azienda, il gruppo beneficiario ed il gruppo dominante non coincidono: i servizi sono resi anche (e soprattutto) all’esterno del gruppo dei soci/associati e le leve decisionali ed operative non sono nelle mani dei destinatari dell’output.»: CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i modelli di riferimento, op. cit., pag. 56.

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LE AZIENDE NON PROFIT

19

allo scopo di ridurre il rischio di sprechi che si possono verificare quando un servizio è

ceduto gratuitamente.

Le risorse per coprire i costi di produzione devono pervenire all’azienda da parte

di soggetti che non chiedono alcuna controprestazione. In particolare le fonti di

finanziamento possono derivare da apporti in natura o in denaro.

Le risorse in natura comprendono:

− donazioni

di beni vari, materiali, derrate alimentari, ecc.;

prestazioni di lavoro gratuito

Le risorse in denaro includono:

il cosiddetto «volontariato». Il volontariato costituisce

la risorsa più importante delle aziende di erogazione perché consente di produrre

servizi di buona qualità a costi contenuti ed inoltre immette nell’organizzazione

elementi «meta-economici», quali la solidarietà, la condivisione, la partecipazione,

che aumentano l’efficacia dei servizi resi.

− contributi volontari

. I contributi possono essere versati con carattere di regolarità

attraverso quote associative quindi da persone legate stabilmente all’azienda ovvero

con carattere episodico in occasione di apposite campagne di raccolta di fondi

denominate fund raising;

redditi da beni patrimoniali

. L’azienda potrebbe essere dotata di un patrimonio

costituito da obbligazioni statali o corporate, fabbricati, terreni, azioni, ecc.. Questi

beni possono generare dei redditi, come dividendi, interessi o canoni di affitto,

oppure essere utilizzati direttamente nell’attività istituzionale;

proventi di attività collaterali

. La struttura produttiva dell’azienda di erogazione può

essere utilizzata, oltre che per lo svolgimento della prevalente attività filantropica,

anche per la produzione e la vendita di beni su richiesta di terzi. Queste attività

collaterali generano l’entrata di proventi aggiunti, equivalenti a veri e propri ricavi,

che, in alcuni casi, possono diventare molto consistenti richiedendo una contabilità

autonoma;

trasferimenti da enti pubblici. L’ente filantropico può ricevere erogazioni da parte

delle pubbliche amministrazioni centrali o locali quando la sua attività si esplica in

settori, in particolare nel campo dei servizi sociali, dove l’ente pubblico dovrebbe

comunque intervenire;

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CAPITOLO PRIMO

20

− redditi da lavoro

La differenza principale tra queste due classi di organizzazioni aziendali risiede

nel fatto che nelle:

. I membri delle congregazioni religiose possono svolgere

contemporaneamente sia un lavoro esterno, per il quale ricevono una regolare

retribuzione (come l’insegnamento nelle scuole pubbliche), e sia un’attività interna

diretta al perseguimento degli scopi istituzionali. L’emolumento verrà, pertanto,

versato all’ente che provvederà sia al mantenimento della confraternita e sia alla

realizzazione delle sue attività benefiche.

aziende di autoproduzione «i proventi sono subordinati alle spese», poiché i

destinatari della produzione devono assicurargli un flusso di risorse sufficiente alla

copertura dei costi;

aziende filantropiche, invece, sono i proventi fondamentalmente instabili a

condizionare le spese sostanzialmente rigide, in quanto non vi è la possibilità di

incrementare i primi per il solo fatto che aumentano i secondi.

Le aziende di erogazione possono costituirsi sotto la forma giuridica di:

associazioni, comitati e fondazioni.

3.4. L’impresa sociale(27

Le organizzazioni aziendali che producono per scambiare la loro produzione sul

mercato, ma perseguendo finalità non lucrative, sono definite come imprese sociali(

)

28

Per le imprese sociali, quindi, il profitto rappresenta esclusivamente uno

strumento per raggiungere i loro fini che consistono:

).

− nel favorire l’inserimento di persone svantaggiate nel mondo del lavoro;

(27) CAPALDO P., L’Azienda – Prima Parte, op. cit., pagg. 159-167. (28) «l’impresa sociale è un soggetto giuridico privato e autonomo (dalla pubblica amministrazione

e da altri soggetti privati), che svolge attività produttive secondo criteri imprenditoriali (continuità, sostenibilità, qualità), ma che persegue, a differenza delle imprese convenzionali, un’esplicita finalità sociale che si traduce nella produzione di benefici diretti a favore di un’intera comunità o di soggetti svantaggiati. Essa esclude la ricerca del massimo profitto in capo a coloro che apportano il capitale di rischio ed è piuttosto tesa alla ricerca dell’equilibrio tra una giusta remunerazione di almeno una parte dei fattori produttivi e le possibili ricadute a vantaggio di coloro che utilizzano i beni o i servizi prodotti. Un’impresa quindi che può coinvolgere nella proprietà e nella gestione più tipologie di stakeholder (dai volontari ai finanziatori), che mantiene forti legami con la comunità territoriale in cui opera e che trae le risorse di cui ha bisogno da una pluralità di fonti: dalla pubblica amministrazione (quando i servizi hanno una natura meritoria riconosciuta), dalle donazioni di denaro e di lavoro, ma anche dal mercato e dalla domanda privata.»: BORZAGA C. - ZANDONAI F., L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, Donzelli, Roma, 2009, pagg. 3-4.

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LE AZIENDE NON PROFIT

21

− nell’offrire beni e servizi, soprattutto in campo sociale, che il settore pubblico o le

imprese tout court non producono ovvero producono ma a prezzi troppo onerosi per

larghi strati della collettività;

− nell’«adottare percorsi di auto-imprenditorialità in cui l’agire dell’impresa possa

veicolare e diffondere principi e valori sul territorio e sulla comunità locale»(29

− nel «contribuire alla creazione di nuova (e buona) occupazione e di nuova

domanda»(

);

30

Anche le imprese sociali si fondano sull’opera del volontariato che svolge due

funzioni essenziali:

).

− una economica, in quanto la possibilità di acquisire manodopera a condizioni non di

mercato gli consente di contenere i prezzi dei beni e servizi prodotti, di aumentare la

remunerazione dei soggetti svantaggiati e di ampliare l’ambito di operatività

dell’iniziativa; e

− l’altra etica, in quanto il lavoro di persone, mosse da forti motivazioni morali,

permette di rendere più umana l’attività dell’impresa.

Per quanto concerne la gestione economica dell’impresa sociale, l’acquisizione

dei fattori produttivi può avvenire a prezzi di mercato, a valori non di mercato (ad

esempio il volontariato) o gratuitamente (ad esempio le donazioni e gli atti di liberalità);

mentre la vendita dell’output agli utenti/clienti può effettuarsi a prezzi di mercato o a

prezzi inferiori a quelli di mercato.

Analogamente alle imprese classiche anche nelle imprese sociali vi deve essere la

presenza di “fattori a remunerazione residuale” che hanno la funzione di fronteggiare il

rischio generico d’impresa. La presenza di soli “fattori a remunerazione contrattuale”,

infatti, non consentirebbe di sostenere i costi di struttura che anche lì sono presenti.

La differenza principale tra questi due gruppi d’imprese sta nel fatto che nelle:

imprese profit oriented coloro che hanno apportato il capitale di rischio si

appropriano di tutta l’eccedenza dei ricavi sui costi;

imprese sociali, invece, la remunerazione dei portatori del capitale di rischio è

soggetta ad un limite massimo stabilito dagli stessi titolari di questi fattori(31

(29) CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i

modelli di riferimento, op. cit., pag. 56.

).

(30) IBIDEM, op. cit., , pag. 56. (31) «In questa tipologia di organizzazione, si riscontra una parziale coincidenza tra gruppo

beneficiario e gruppo dominante, in cui quest’ultimo può essere ricompensato sia sotto forma di vantaggi

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CAPITOLO PRIMO

22

Indipendentemente dai criteri utilizzati per la determinazione di questo livello

massimo, si genera un’eccedenza che non è appropriabile da parte di alcun soggetto.

Questo utile viene lasciato all’interno dell’impresa e utilizzato per l’espansione della

sua attività. Anche sul patrimonio grava un vincolo d’indisponibilità perché non è

mai possibile, nemmeno in caso di scioglimento, distribuire fondi o riserve a

vantaggio di coloro che ne fanno parte, bensì l’intero patrimonio deve essere

devoluto ad altre associazioni non lucrative indicate nello statuto (analogamente a

quanto avviene nelle aziende filantropiche).

4. LA QUALIFICAZIONE ECONOMICO-SOCIALE DELLE AZIENDE NON PROFIT(32)

«Per impresa non profit, in genere, s’intende un’organizzazione che abbia finalità

vocatamente solidaristiche, non dia luogo a distribuzione di utili ai soci, ma anzi destini

qualsiasi utilità prodotta (nella forma di beni e/o servizi) con carattere di esclusività in

favore di terzi, e che non svolga attività commerciali, se non limitatamente ad azioni

meramente strumentali al conseguimento degli scopi sociali.»(33

Dall’analisi condotta nei capitoli precedenti, emergono quali sono le

caratteristiche che consentono di enucleare le organizzazioni non profit abbiamo:

).

a) creazione di valore sociale. Le aziende non profit «sono in grado di trasformare

valori individuali (solidarietà umana, altruismo, dedizione, ecc.) in valori economici

(vere e proprie attività sostenibili sul piano economico) e in valori sociali (risposta a

bisogni giudicati rilevanti dalla comunità di riferimento)»(34

b)

);

rapporto privilegiato con la società civile. La prossimità alla comunità di riferimento

favorisce la legittimazione e lo sviluppo delle aziende non profit(35

derivanti, tra le altre, dalle migliori condizioni attribuite ai soci nell’acquisto di beni e servizi, sia sotto forma di parziale remunerazione del capitale investito.»: IBIDEM, op. cit., pag. 57.

);

(32) FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, Cedam, Padova, 2007, pagg. 20-21.

(33) BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non profit, op. cit., pag. 9.

(34) BORGONOVI E., La funzione dell’Azienda non profit come trasformatore di “valori” individuali in “valore” economico e sociale: elementi di teoria aziendale, in BANDINI F. (a cura di), Manuale di economia delle aziende non profit, Cedam, Padova, 2003, pag. 7.

(35) ZAMAGNI S., Dell’identità delle imprese sociali e civili: perché prendere la relazione sul serio, in ZAMAGNI S. (a cura di), Il nonprofit italiano al bivio, Egea, Milano, 2002, pagg. 3-31.

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LE AZIENDE NON PROFIT

23

c) logiche di funzionamento. La produzione è diretta al soddisfacimento di «bisogni o

esigenze che non rientrano nei calcoli di convenienza delle aziende for profit o nelle

procedure delle pubbliche istituzioni, sia alla predisposizione di un’organizzazione in

grado di offrire opportunità di inserimento per soggetti svantaggiati»(36

d)

);

finalità primaria di natura sociale

e)

. Nelle aziende non profit gli aspetti economici sono

strumentali al perseguimento delle finalità sociali;

non distribuibilità del profitto

f)

. Queste aziende non perseguono il profitto, ma non è

escluso che possa comunque formarsi un’eccedenza dei proventi sulle spese. In ogni

caso gli eventuali utili non possono essere distribuiti né in forma diretta né in forma

indiretta, ma devono essere utilizzati per l’autofinanziamento o per migliorare le

capacità dell’ente di raggiungere i fini sociali;

settori di intervento

g)

. Le aziende non profit «operano in settori (servizi socio-

assistenziali, sanitari ed educativi), in cui esiste un’asimmetria informativa tra

produttori del servizio e utenti dello stesso ed in cui risulta problematica la

misurazione della qualità e dei risultati»;

identità ed autonomia. Le aziende non profit sono indipendenti dal settore pubblico e

dal settore profit, tendono alla valorizzazione delle loro diverse componenti, vedono

la partecipazione al board di soggetti privi di eventuali “conflitti d’interessi” che

screditerebbero la “reputazione” dell’organizzazione, sono orientate ad acquisire

legittimazione sociale attraverso una gestione economica sostenibile nel lungo

periodo(37

h)

);

assenza di ben definiti interessi proprietari

i)

. Questo «può determinare il venir meno di

un punto di riferimento per le scelte gestionali e per il governo dell’organizzazione

con le connesse diminuzioni delle performance gestionali»;

modelli di governo. Le aziende non profit prevedono «una struttura “orizzontale”,

associata a modelli di governance partecipativa»(38

).

(36) CASELLI L., La produzione e distribuzione del valore, in AA.VV., Le aziende nonprofit tra

Stato e mercato, Accademia Italiana di Economia Aziendale, Atti del XVIII convegno annuale, CLUEB, Bologna, 1996, pag. 185.

(37) CARRERA D., Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico-aziendale, i modelli di riferimento, op. cit., pag. 52.

(38) IBIDEM, op. cit., pag. 47.

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CAPITOLO PRIMO

24

5. LE TEORIE SULLA FORMAZIONE DELLE AZIENDE NON PROFIT(39)

La scienza economica ha ricondotto l’origine delle aziende non profit a due cause

principali:

a) i fallimenti dello Stato;

b) il fallimento del contratto.

5.1. La teoria del “fallimento dello Stato”: il modello dell’elettore mediano di

Weisbrod(40

La teoria di Weisbrod si basa sull’analisi delle modalità di fornitura dei beni

pubblici(

)

41

I mercati di concorrenza perfetta(

) da parte dello Stato. 42) si caratterizzano per lo scambio di beni che

mostrano rivalità nell’uso, tuttavia, la realtà dei mercati evidenzia anche la presenza di

beni pubblici. L’esistenza di beni pubblici determina i cosiddetti fallimenti del mercato,

con la conseguenza che l’intervento pubblico si sostituisce ai privati nella fornitura di

questi beni(43

(39) MONTEDURO F., Economia delle aziende non profit, in HINNA L. (a cura di), Appunti di

economia aziendale, Cedam, Padova, 2008, pagg. 183-191. Cfr. anche sull’argomento SACCO P. L. - ZARRI L., Perché esiste il settore non profit?, Working Paper n. 29, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Economia di Forlì, Febbraio 2006, pagg. 3-14 e BORZAGA C., Sull’impresa sociale, Working Paper n. 19, ISSAN, Università degli Studi di Trento, 2005, pagg. 7-12.

).

(40) WEISBROD B. A., The Nonprofit Economy, Harvard University Press, Cambrige, MA, 1988. (41) I Beni pubblici sono quei beni che presentano le caratteristiche della non rivalità nel consumo

e della non escludibilità nella fruizione. Non rivale significa che «l’aumento del consumo da parte di un soggetto non riduce la disponibilità per il consumo» da parte di un altro soggetto, mentre non escludibilità significa che «non è possibile escludere dal consumo nessun operatore, per la natura stessa del bene e/o per ragioni tecniche»: ACOCELLA N., Elementi di economia politica, Carocci, Roma, 2002, pag. 43.

(42) «Per concorrenza perfetta intendiamo un regime di mercato caratterizzato, dal lato sia della domanda che dell’offerta, da: − omogeneità dei beni; − ampia (al limite, infinita) numerosità degli operatori; − assenza di intese o accordi fra essi; − libertà di entrata e di uscita dal mercato; − perfetta informazione. La perfetta informazione […] è un requisito di trasparenza, necessario per evitare la segmentazione dei mercati e ottenere l’unicità del prezzo su tutto il mercato per un dato bene.»: IBIDEM, op. cit., pag. 32.

(43) «I beni e servizi sociali spesso hanno carattere di bene pubblico e per ovviare alle perdite di benessere collettivo generate dal fenomeno di free riding che si presenta in questi casi, l’offerta pubblica risulta paretianamente più efficiente del mercato.»: PIZZUTI F. R., Welfare state, economia e società, in PIZZUTI F. R. (a cura di), L’economia italiana dagli anni ’70 agli anni ’90, McGraw-Hill, Milano, 1994, pag. 215.

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LE AZIENDE NON PROFIT

25

Lo sviluppo delle aziende non profit, a sua volta, è da ricercare nelle inefficienze

dello Stato come fornitore di beni pubblici e in particolare nel processo di

determinazione della quantità offerta. In un sistema politico le decisioni pubbliche

dipendono dall’esito di elezioni guidate da meccanismi elettorali di tipo maggioritario.

All’interno di uno schema elettorale di questo tipo, saranno determinanti le

preferenze dell’elettore mediano dal momento che risulterà vincitore il candidato che

riuscirà a conquistare il 50% + 1 dei consensi.

Poiché ogni cittadino finanzia la produzione di un bene pubblico in misura

equivalente al beneficio che ne riceve, in un sistema politico di tipo maggioritario la

produzione del volume di bene pubblico rifletterà le preferenze e la disponibilità a

pagare dell’elettore mediano che sarebbe l’unico ad essere perfettamente soddisfatto del

livello di fornitura deliberato dal Governo.

Nella realtà, invece, poiché non è possibile uguagliare, per ogni elettore,

contributo marginale e beneficio marginale associati al bene, si verifica che due gruppi

di cittadini risulteranno insoddisfatti del livello dell’offerta pubblica che verrà giudicato

come troppo alto (cittadini over-satisfied) e come troppo basso (cittadini under-

satisfied). I cittadini over-satisfied, che sopportano un’imposizione fiscale superiore al

proprio beneficio marginale, sarebbero favorevoli ad una riduzione del livello di bene

offerto mentre i cittadini under-satisfied sarebbero disposti a pagare di più per una

ulteriore espansione dell’offerta.

Per risolvere il problema delle minoranze, insoddisfatte dal livello di bene

pubblico offerto dallo Stato, non è possibile rivolgersi alle imprese private in quanto i

loro beni non sono perfetti sostituti di quelli prodotti dall’attore statale.

A questo punto entrano in gioco le aziende non profit che consentono, alle

minoranze insoddisfatte, di produrre “dal basso” i beni pubblici desiderati a livelli

quantitativi e qualitativi adeguati.

In particolare le aziende non profit generano un’espansione dell’offerta di beni

pubblici tale da soddisfare la domanda residuale dei cittadini under-satisfied.

Sono stati rilevati due elementi di criticità nella teoria di Weisbrod:

− il primo è rappresentato dal fatto che i cittadini under-satisfied, invece che rivolgersi

alle organizzazioni non profit, potrebbero fare opera di lobbying per modificare le

decisioni dell’attore pubblico. In questo caso, tuttavia, bisogna considerare che le

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CAPITOLO PRIMO

26

aziende non profit possono rispondere con maggiore rapidità ad una domanda

eterogenea rispetto alla qualità del servizio; eventualità questa non consentita alle

organizzazioni pubbliche a causa della loro eccesiva burocratizzazione;

− il secondo è rappresentato dal fatto che le aziende non profit non operino in una scala

dimensionale efficiente in quanto la loro eccessiva frammentazione non gli

consentirebbe di sfruttare eventuali economie di scala. In questo caso si devono

perciò immaginare forme di collaborazione tra le organizzazioni non profit.

5.2. La teoria del “fallimento del contratto” di Hansmann(44

La teoria di Hansmann si fonda sui fallimenti del contratto che si determinano in

presenza di asimmetrie informative(

)

45

Nella realtà gli acquirenti di un bene sono nell’impossibilità di controllare ex-post

se il fornitore rispetti gli standard di qualità del prodotto fissati ex-ante nel contratto. In

aggiunta, se il produttore è un’azienda for profit, questa avrà un forte incentivo a non

rispettare gli accordi, attraverso una riduzione dei costi e quindi della qualità dei beni, al

fine di massimizzare i profitti.

) tra produttore e consumatore.

Il fallimento del meccanismo contrattuale è la causa dello sviluppo delle aziende

non profit. Le organizzazioni non lucrative, infatti, offrono, oltre a quello di mercato, un

ulteriore strumento di protezione a favore dei consumatori che è rappresentato dal

vincolo di non distribuzione degli utili. L’introduzione di questa condizione determina il

fatto che queste aziende non hanno alcun incentivo a diminuire la qualità dei prodotti

perché non possono avvantaggiarsene dal lato dei profitti.

Le aziende non profit operano nel campo dei servizi sanitari, sociali, culturali,

ecc., dove gli scambi sono ostacolati dalla difficoltà da parte dell’acquirente di

controllare la qualità del prodotto.

Hansmann spiega il fallimento del contratto, nel caso dei beni pubblici, con

l’impossibilità per il consumatore di valutare la qualità dei servizi offerti.

(44) HANSMANN H.B., The Role of Nonprofit Enterprise, in The Yale Law Journal, volume 89, n. 5, 1980, pagg. 835-901.

(45) Le asimmetrie informative si verificano «quando uno dei due operatori coinvolti in una transazione, quello che vende il bene o cede la prestazione, dispone di un vantaggio informativo sull’acquirente, essendo a conoscenza di alcune caratteristiche qualitative del bene venduto o della prestazione da effettuarsi che l’acquirente non è in grado di controllare»: MUSELLA M - D’ACUNTO S., Economia Politica del non profit, Giappichelli, Torino, 2000, pag. 12.

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LE AZIENDE NON PROFIT

27

5.3. Altre teorie sulle aziende non profit

Diversi studiosi hanno criticato la teoria di Hansmann in particolare:

James(46

− la prima è che le aziende non profit, nella maggior parte dei casi, hanno come

controparti le amministrazioni pubbliche e non le imprese come invece ipotizzato

da Hansmann;

) mette in evidenza due incongruenze della teoria di Hansmann:

− la seconda è che quella teoria non è in grado di spiegare perché in mercati in cui

sono presenti rilevanti asimmetrie informative, non vi sia la presenza di

organizzazioni non profit.

La studiosa reputa quindi opportuno integrare la teoria di Weisbrod con argomenti

che siano in grado di spiegare perché negli stati moderni si verifichi un

ridimensionamento del settore pubblico a favore del settore non profit, con la diretta

conseguenza che la maggior parte del finanziamento a questo settore sia di origine

pubblica. La scienziata individua due ordini di problemi: la crisi fiscale dello Stato e

la difficoltà di un sistema burocratizzato di rispondere adeguatamente ad una

domanda altamente eterogenea per lingua, cultura, etnia, ecc.. Affidare la produzione

dei servizi sociali alle organizzazioni non profit, consente di raggiungere due

obiettivi: differenziare l’offerta ed esigere più facilmente contributi dagli utenti

(riducendo il costo per lo Stato);

Ben-Ner(47

(46) JAMES E., How Nonprofit Grow: a Model, in Journal of Policy Analysis and Management, n.

2, 1983, pagg. 350-365.

). L’approccio di Ben-Ner si basa sull’ipotesi che le aziende non profit

permettono ai consumatori di massimizzare il controllo sull’output al fine di superare

le asimmetrie informative tra produttore e consumatore. Nel caso di un bene

escludibile, non rivale e qualitativamente di difficile valutazione, i consumatori sono

in grado di superare gli squilibri informativi negli scambi di mercato attraverso: I) il

monitoraggio sistematico della qualità ovvero II) il controllo diretto della

produzione. Queste tecniche presentano, in entrambi i casi, dei costi elevati per il

consumatore ma quando i costi della prima soluzione superano quelli della seconda,

allora i consumatori sceglieranno quest’ultima metodologia. Il caso è simile a quello

di una cooperativa di consumo ma si va oltre a questa considerando il carattere non

(47) BEN-NER A., Non-profit Organisations: Why Do They Exist in Market Economies?, in ROSE-ACKERMAN S. (a cura di), The Economics of Nonprofit Institutions: studies in structure and policy, Oxford University Press, Oxford, 1986, pagg. 94-113.

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CAPITOLO PRIMO

28

rivale del bene. La non rivalità nel consumo, infatti, rende non conveniente offrire il

bene a persone diverse dai soci e impossibile diversificare la qualità a seconda del

destinatario. A differenza di Hansmann, quindi, Ben-Ner pone l’accento sul ruolo di

controllo esercitato dai consumatori;

Krashinsky(48) parte dall’ipotesi che le aziende non profit, analogamente alle altre

aziende, presentano una serie di costi di transazione(49) e che esse riescano a

prevalere sulle altre esclusivamente quando i costi generati siano inferiori a quelli

delle imprese o delle istituzioni pubbliche. I costi di transazione derivano

dall’incompletezza contrattuale che caratterizza le relazioni tra i diversi gruppi di

stakeholders (donatori, amministratori, lavoratori, beneficiari). Questi costi vengono

sensibilmente ridotti quando gli individui che aderiscono ad un ente non profit

condividono lo stesso insieme di valori. L’approccio di Krashinsky segnala

l’importanza della motivazione “personale” e della condivisione della mission

aziendale ai fini della riduzione dei costi. In pratica un processo decisionale

condiviso tra tutti i portatori d’interessi costituisce una forma di controllo e garanzia

della qualità. In definitiva le organizzazioni non profit sarebbero «in grado di ridurre

i costi di transazione, vale a dire i costi decisionali, in quanto, data la natura ideale

delle motivazioni degli operatori che vi operano, risulta meno difficoltosa la

risoluzione dei conflitti d’interesse»(50

Young(

); 51) e Rose-Ackerman(52

(48) KRASHINSKY M., Transaction Cost and the Theory of The Nonprofit Organizations, in ROSE-

ACKERMAN S. (a cura di), The Economics of Nonprofit Institutions: studies in structure and policy, Oxford University Press, Oxford, 1986, pagg. 114-132.

) spiegano la nascita delle aziende non profit con

l’azione di particolari gruppi di pressione, sociali o religiosi, diretti ad allargare la

(49) La «teoria dei costi di transazione parte dall’affermazione che le imprese hanno l’obiettivo di minimizzare i costi di produzione e di transazione. I costi di transazione, in particolare, emergono quando occorre effettuare una transazione, cioè uno scambio di risorse, e possono assumere numerose forme. Si tratta di oneri di incerta determinazione e di difficile valutazione, ma che riguardano o la fase preparatoria dello scambio (per esempio, ricerca del contraente, preparazione dell’accordo, definizione del contratto) o la fase di esecuzione della transazione (per esempio, controllo delle prestazioni, gestione delle inadempienze, modifiche delle prestazioni che si rendono successivamente necessarie). Secondo questa teoria, i costi di transazione derivano da due circostanze, connesse da un lato alla razionalità limitata degli agenti economici, dall’altro lato, al rischio che, tra le parti, emergano comportamenti opportunistici.»: GIACCARI F., Le aggregazioni aziendali, Cacucci, Bari, 2003, pag. 54.

(50) ALLEVA F., L’impresa sociale italiana, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 9. (51) YOUNG D. R., If Not for Profit, fot What?, Lexington Books, Lexington, MA, 1983. (52) ROSE-ACKERMAN S., Altruism, Non Profit and Economic Theory, in Journal of Economic

Literature, volume 34, n. 2, 1996, pagg. 701-728.

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LE AZIENDE NON PROFIT

29

propria influenza, anche finanziando attraverso il reddito non distribuito, attività di

proselitismo;

Borzaga(53

a) fallimento dovuto alla presenza di asimmetrie tra produttore e consumatore;

) definisce le aziende non profit come “strutture di incentivi” e le

suddivide sulla base della titolarità dei diritti di controllo (donatori, lavoratori o

volontari, consumatori). Quindi rileva che ad ogni tipologia aziendale è associabile

una struttura di incentivi diretta a ridurre eventuali comportamenti opportunistici. Lo

studioso individua, di conseguenza, altre tre classi di fallimenti del contratto che si

vanno ad aggiungere a quello di Hansmann:

b) fallimento che si verifica quando i consumatori hanno un vantaggio informativo in

ordine alla loro disponibilità a pagare per determinati servizi;

c) fallimento dovuto all’incompletezza dei contratti di agenzia tra manager e

lavoratori.

La possibilità che si verifichi un tipo di fallimento piuttosto che un altro dipende

dalle caratteristiche del servizio prodotto e dai portatori di interessi coinvolti. Un ente

non profit prevale su un’impresa di mercato se è in grado di minimizzare i costi di

transazione connessi ai suddetti tipi di fallimento, ma per riuscirci deve scegliere la

giusta forma organizzativa ossia la più idonea “struttura di incentivi”;

Zamagni si differenzia dagli autori precedenti perché ipotizza che il consumatore

tenda a ricomprendere all’interno della sua funzione di preferenza oltre al rapporto

qualità-prezzo anche le caratteristiche della modalità di fornitura dei beni che

acquista(54). I principi di funzionamento delle aziende non profit potrebbero quindi

essere individuati nel peculiare “rapporto fiduciario” che si instaura tra consumatori e

fornitori dei servizi e nel principio di “reciprocità”(55

(53) BORZAGA C. - A. BACCHIEGA, Social Enterprises as Incentive Structures: An Economic

Analysis, in BORZAGA C. - DEFOURNY J. (a cura di), The Emergence of Social Enterprise, Routledge, London, New York, NY, 2001, pagg. 273-295.

). La reciprocità è costituita da

una serie di trasferimenti bidirezionali, indipendenti, ma allo stesso tempo

interconnessi. Essendo i trasferimenti volontari, colui che effettua il trasferimento

non assume nessuna obbligazione e di conseguenza nessuno scambio è il presupposto

(54) BRUNI L. - ZAMAGNI S., Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 165.

(55) Il principio di reciprocità è il principio fondante dell’Economia Civile ed è caratterizzato dalla presenza di tre soggetti (struttura triadica), di cui uno (homo reciprocans) compie un’azione nei confronti di un altro mosso non da “pretesa” di ricompensa dell’azione stessa, bensì da aspettativa, pena la rottura della relazione tra le due: IBIDEM, op. cit., pagg. 167-168.

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CAPITOLO PRIMO

30

di quello successivo. Queste caratteristiche differenziano il principio di “reciprocità”

dal principio dello scambio di equivalenti che caratterizza lo scambio di mercato.

L’altruismo puro, invece, si manifesta attraverso trasferimenti unidirezionali;

Salomon(56

a)

) analizza il rapporto tra amministrazioni pubbliche e aziende non profit

nella realtà statunitense ed arriva alla conclusione che storicamente il rapporto Stato-

settore non profit è stato visto come un rapporto tra un settore principale,

rappresentato dallo Stato, ed uno residuale, rappresentato dal non profit. Di fatto però

quel rapporto dovrebbe essere invertito e quindi sarebbero le organizzazioni non

profit a dover garantire, in via primaria, l’offerta dei servizi sociali mentre le autorità

pubbliche dovrebbero intervenire solo in caso di inefficienze del settore non

lucrativo. Lo studioso individua successivamente le situazioni nelle quali il settore

non profit fallisce e cioè:

Insufficienza filantropica

b)

. In questa ipotesi il settore non profit, attraverso la

contribuzione volontaria, non riesce a produrre un volume di risorse sufficiente a

sopperire ai bisogni sociali ritenuti essenziali. Bisogna quindi ricorrere a forme di

contribuzione involontaria (tassazione);

Particolarismo filantropico

c)

. In questo caso gli enti non profit concentrano la loro

offerta su determinate categorie sociali, rendendo indispensabile l’intervento

pubblico allo scopo di assicurare un determinato livello di equità sociale;

Paternalismo e carattere amatoriale della filantropia

(56) SALOMON L. M., Partners in public service: The scope and theory of the government-nonprofit

relations, in POWELL W. W. - STEINBERG R. (a cura di), The Nonprofit Sector: A Research Handbook, Yale University Press, New Haven, CT, 1987, pagg. 99-117.

. In questa ipotesi i soggetti

interessati allo scambio valutano il bene da prospettive diametralmente opposte.

Gli individui in condizioni di disagio considerano il servizio sociale come un

diritto, mentre le aziende non profit lo vedono in chiave paternalistica come

spirito di carità. Questo determina come conseguenza che mentre le persone in

stato di bisogno richiedono un approccio professionale nella gestione dei servizi

sociali, le organizzazioni non lucrative offrono un approccio di tipo amatoriale.

Per superare questo problema è necessario un forte investimento in formazione

andando oltre il semplice volontariato.

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LE AZIENDE NON PROFIT

31

Secondo Salomon la soluzione a questi problemi non risiede nell’esclusione di

uno dei due attori (pubblico o non profit) ma in opportune forme di collaborazione

tra i due:

− le amministrazioni pubbliche, infatti, sono in grado di raccogliere maggiori

risorse grazie alla tassazione, di risolvere il problema del particolarismo

attraverso processi politici democratici e di introdurre regole per l’accesso ai

servizi sociali che li individuino come diritti;

− le aziende non profit, invece, possono assicurare standard qualitativi più

elevati.

6. LE FONDAZIONI: DEFINIZIONE ED ELEMENTI COSTITUTIVI(57)

Dopo una panoramica sull’universo del non profit, focalizziamo la nostra

attenzione su una tipologia particolare di azienda filantropico-erogativa che è costituita

dalle fondazioni che rappresentano uno dei canali d’intervento più importanti

nell’ambito sociale.

Una fondazione è costituita da una stabile organizzazione privata, senza fini di

lucro, dotata di un patrimonio vincolato al perseguimento degli scopi fissati dallo

statuto. La centralità dell’elemento patrimoniale, rispetto a quello associativo, è la

caratteristica fondamentale della fondazione(58

La fondazione nasce per volontà di un fondatore (persona privata o ente pubblico)

che, spinto da motivazioni etiche, decide di distaccare una parte del proprio patrimonio

per destinarla al perseguimento di uno scopo di pubblica utilità, determinando nel

contempo la struttura organizzativa attraverso la quale perseguire tale fine.

).

(57) Cfr. sull’argomento TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Giuffrè,

Milano, ventesima edizione, 2011, pagg. 163-168; GALGANO F., Trattato di diritto civile, volume I, Cedam, Padova, 2010, pagg. 263-284; GUZZI D., Le fondazioni. Nascita e gestione, FAG, Assago (MI), 2010, pagg. 32-43; MONTEDURO F., Economia delle aziende non profit, op. cit., pagg. 198-201; TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, Giuffrè, Milano, diciottesima edizione, 2009, pagg. 83-85 e FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, op. cit., pagg. 27-28.

(58) Tuttavia occorre precisare che «la fondazione non è, propriamente, il patrimonio destinato allo scopo: è, piuttosto, l’organizzazione collettiva, anche qui formata da esseri umani (gli amministratori della fondazione), che si avvale del patrimonio per realizzare lo scopo. Le fondazioni si presentarono, al pari delle associazioni, come «organizzazioni di uomini», […]»: GALGANO F., Trattato di diritto civile, op. cit., pag. 263.

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CAPITOLO PRIMO

32

Occorre precisare che mentre «l’associazione ha anche un organo dominante:

l’assemblea degli associati; la fondazione, invece, ha solo organi serventi.»(59

La fondazione si costituisce attraverso un atto unilaterale, il cosiddetto “atto di

fondazione” o “atto costitutivo”, e acquista la personalità giuridica con il

riconoscimento(

). Un

organo servente è il Consiglio di Amministrazione.

60

a) la presentazione della domanda di riconoscimento, corredata di atto di fondazione,

statuto e atto di dotazione, alla Prefettura nella cui provincia è stabilita la sede della

fondazione;

) che comporta:

b) il controllo da parte della Prefettura dei requisiti previsti dalla legge;

c) l’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche.

Il riconoscimento viene concesso solo in seguito alla verifica della sussistenza di

determinati requisiti(61

− la liceità dello scopo perseguito;

) che concernono:

− la congruità della dotazione patrimoniale rispetto allo scopo da perseguire;

− il modello di organizzazione prescelto.

In seguito al riconoscimento, la fondazione risponde delle obbligazioni assunte

dagli amministratori per lo svolgimento dell’attività sociale esclusivamente con il suo

patrimonio(62

(59) TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, op. cit., pag. 83.

).

(60) «La domanda per il riconoscimento va presentata alla Prefettura nella cui Provincia è stabilita la sede legale dell’ente e l’acquisizione della personalità giuridica si ottiene con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche da essa tenuto. La Prefettura deve disporre o negare l’iscrizione entro 120 giorni dalla presentazione della domanda, previo esame del rispetto delle norme di legge o regolamento relative alla costituzione dell’ente che richiede il riconoscimento, della possibilità e liceità del suo scopo e della adeguatezza del suo patrimonio, la cui consistenza deve essere dimostrata da idonea documentazione da allegare alla domanda, alla realizzazione dello scopo stesso (artt. 1, 3 e 4 del d.P.R. n. 361/2000). La domanda per il riconoscimento deve essere presentata alla Regione, che ha istituito con legge o regolamento regionale il suo registro valido solo per quelle persone giuridiche la cui sede legale è ubicata nel territorio regionale, le cui attività sono attinenti alle competenze legislative della Regione, individuate dall’art. 117 Cost., e le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito territoriale di quella sola Regione (art. 7 del d.P.R. n. 361/2000 ed art. 14 del d.P.R. n. 616/1977). In questi casi la durata del procedimento è fissata dalle norme regionali e la Regione è anche l’Autorità governativa che esercita la vigilanza ed il controllo sulla persona giuridica previsti dalla legge (dagli artt. 25 e 26 c.c. per le fondazioni).»: VISCONTI G., Guida alle organizzazioni non profit e all’imprenditoria sociale. Disciplina civilistica, fiscale e amministrativa, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2010, pag. 27.

(61) «Benché non pacificamente condiviso dalla dottrina, si ritiene che il riconoscimento si configuri come un atto discrezionale, presupponendo una valutazione di opportunità della pubblica amministrazione quanto alla congruità dei presupposti dell’ente per il suo funzionamento e l’utilità sociale del fine perseguito.»: BANDIERAMONTE F., Enti no profit, fondazioni e patrimoni destinati allo scopo non lucrativo, Booksprint, Buccino (SA), 2011, pag. 44.

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LE AZIENDE NON PROFIT

33

«Gli organi che assolvono i compiti di governo e d’amministrazione sono:

− il Consiglio d’Amministrazione composto dai rappresentanti eletti dai fondatori e dai

sostenitori aderenti;

− il Consiglio Generale che riunisce i fondatori;

− l’Assemblea generale ha potere consultivo sui bilanci e formula proposte per la

programmazione dell’attività dell’ente;

− l’Advisory Board(63): con funzione consultiva per le scelte strategiche e culturali

della fondazione, è composto da rappresentanti nominati dagli enti pubblici o scelti

tra persone con elevata professionalità negli specifici settori d’intervento.»(64

Gli elementi costitutivi della fondazione sono quattro: a) il patrimonio; b) lo

scopo; c) l’atto di fondazione e d) lo statuto.

).

6.1. L’atto di fondazione

L’atto di fondazione con cui il fondatore manifesta la volontà di destinare una

quota del proprio patrimonio per il perseguimento di una finalità non economica, può

essere un atto inter vivos (dichiarazione di volontà) o un atto mortis causa cioè

contenuto in una disposizione testamentaria (art. 14 cod. civ.).

L’atto di fondazione deve rivestire la forma dell’atto pubblico e disciplinare gli

elementi fondamentali dell’organizzazione (art. 16 cod. civ.) tra i quali:

− la denominazione dell’ente;

− lo scopo, il patrimonio e la sede;

− l’assetto organizzativo;

− le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione;

− i criteri e le modalità di erogazione delle rendite;

(62) «Delle obbligazioni della fondazione risponde solo quest’ultima con il suo patrimonio (c.d.

autonomia patrimoniale perfetta).»: TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 166.

(63) «Lo statuto può prevedere che il consiglio d’indirizzo, qualora lo ritenga utile per lo svolgimento delle attività programmate, istituisca un advisory board o comitato scientifico. Nella prassi recente si prevede che esso sia composto da un numero variabile di membri, scelti e nominati, dal consiglio d’indirizzo, fra persone italiane e straniere che possiedono un particolare prestigio, una determinata qualifica o un profilo proprio nelle materie in cui opera l’ente. Il comitato scientifico svolge attività di consulenza, collaborando sia con il consiglio d’indirizzo che con l’organo di gestione nella definizione dei programmi e delle attività della fondazione.»: IORIO G., Le trasformazioni eterogenee e le fondazioni, Giuffrè, Milano, 2010, pag. 48.

(64) FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, op. cit., pagg. 27-28.

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CAPITOLO PRIMO

34

− le norme relative alla trasformazione, all’estinzione e alla devoluzione del

patrimonio.

Queste indicazioni possono essere contenute in un documento separato rispetto

all’atto di fondazione denominato statuto(65

).

6.2. Lo statuto

Lo statuto è l’insieme delle norme che disciplinano la vita e l’organizzazione della

fondazione e le modalità con le quali si vuole raggiungere lo scopo sociale.

6.3. Il patrimonio

Il patrimonio riveste un ruolo centrale nel riconoscimento della personalità

giuridica. Esso costituisce la garanzia per i terzi dell’assolvimento delle obbligazioni

sociali e lo strumento a disposizione degli amministratori per la realizzazione degli

obiettivi istituzionali.

Il fondatore deve, pertanto, porre in essere un atto, il cosiddetto “atto di

dotazione”, in forza del quale si spoglia gratuitamente, in modo definitivo ed

irrevocabile, della proprietà di beni a favore della fondazione con il vincolo di

destinazione(66

«Gli statuti delle fondazioni sono soliti distinguere fra patrimonio (o «fondo di

dotazione») della fondazione e fondo di gestione. Il primo è costituito dai beni (danaro o

altri beni) che il fondatore ha destinato al perseguimento dello scopo della fondazione; il

secondo è formato dal reddito del patrimonio. La distinzione è corretta: solo dal reddito,

e non anche dal capitale, gli amministratori possono attingere i mezzi finanziari

necessari al perseguimento dello scopo di fondazione.»(

) degli stessi al perseguimento dello scopo stabilito dal fondatore.

67

La sopravvenuta insufficienza del patrimonio, in relazione ai fini da raggiungere,

comporta l’estinzione della fondazione o la sua trasformazione.

).

(65) «Il contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto può essere determinato, ma anche

determinabile, essendo ammessa l’integrazione degli atti fondamentali da parte della legge o dall’atto di riconoscimento. Peraltro l’indicazione del patrimonio non è necessaria ove i beni siano conferiti con separato atto.»: BANDIERAMONTE F., Enti no profit, fondazioni e patrimoni destinati allo scopo non lucrativo, op. cit., pag. 43.

(66) «Il vincolo di destinazione impresso sul patrimonio della Fondazione ha natura reale ed è opponibile ai terzi, […].»: IBIDEM, op. cit., pag. 72.

(67) GALGANO F., Trattato di diritto civile, op. cit., pagg. 266-267.

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LE AZIENDE NON PROFIT

35

6.4. Lo scopo

Lo scopo è l’elemento di unione tra patrimonio e organizzazione. «La fondazione

può, […], essere costituita solo per scopi nei quali sia riconoscibile una pubblica

utilità.»(68

Il concetto di pubblica utilità non è definito in maniera specifica cosicché il suo

significato si è evoluto nel corso del tempo in seguito al modificarsi del contesto socio-

economico in cui operano le fondazioni.

) per questa ragione non si possono costituire fondazioni il cui fine sia quello

di procurare un vantaggio economico per il fondatore.

Lo scopo stabilito in origine non può più essere modificato né dal fondatore(69) né

dagli amministratori della fondazione(70

) (artt. 28, comma 1, e 32 cod. civ.). Gli

amministratori possono esclusivamente decidere le modalità con le quali perseguirlo.

7. LA TASSONOMIA DELLE FONDAZIONI

Il legislatore italiano non ha ancora provveduto alla raccolta in un testo unico di

tutta la normativa concernente le fondazioni, pertanto, esistono tanti tipi di fondazioni

quante sono le diverse norme istitutive.

Le fondazioni possono classificarsi in base ai modi posti in essere per raggiungere

il fine statutario (criterio funzionale) ovvero in base ai modelli giuridici adottati.

7.1. La classificazione in base al criterio funzionale(71

In base al criterio funzionale le fondazioni si suddividono in:

)

− Fondazioni di gestione (operating foundation);

− Fondazioni di erogazione (grant-making foundation);

− Fondazioni di comunità (community foundation);

(68) IBIDEM, op. cit., pag. 276. (69) Questo vincolo rappresenta una forma di garanzia per i beneficiari della fondazione «i quali

dovrebbero essere in tal modo tutelati dal rischio che in un momento successivo, il fondatore modifichi surrettiziamente lo scopo originariamente stabilito, recando pregiudizio agli interessi dei beneficiari stessi»: TIEGHI M., Le fondazioni. Obiettivi finalizzanti, sistema informativo e bilancio di esercizio, CLUEB, Bologna, 1995, pagg. 22-23.

(70) «Il vincolo di destinazione non può cessare né per volontà del fondatore né per deliberazione degli amministratori né, fino a quando lo scopo sia attuabile, per provvedimento dell’autorità governativa: […]»: GALGANO F., Trattato di diritto civile, op. cit., pagg. 277.

(71) GUZZI D., Le fondazioni. Nascita e gestione, op. cit., pagg. 34-35.

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CAPITOLO PRIMO

36

− Fondazioni d’impresa (corporate foundation).

7.1.1. Le fondazioni di gestione (operating foundation)

Questi enti svolgono direttamente le attività connesse al perseguimento dello

scopo sociale attraverso la gestione di proprie strutture operative (case di cura, scuole,

biblioteche, ecc.). In questa categoria rientrano le organizzazioni di volontariato e le

ONLUS. La dotazione di una struttura comporta diversi problemi quali gli elevati costi di

funzionamento, la motivazione del personale e l’individuazione di indicatori di

soddisfazione della domanda.

TIPOLOGIE PATRIMONIO CONTROLLO AREE DI INTERVENTO

Fondazioni operative

prevalentemente da un’unica fonte

la direzione è solitamente affidata ad un comitato (board) indipendente

eroga servizi o compie ricerche

Fondazioni di erogazione

diverse fonti la direzione è solitamente affidata ad un comitato (board) indipendente

erogazione di contributi alle organizzazioni non profit e sostegno a progetti specifici

Fondazioni di comunità

diverse fonti tra cui donazioni dei cittadini e lasciti testamentari

la direzione è affidata a un board rappresentativo degli interessi della comunità

erogazioni limitate alle non profit che operano in ambito locale

Fondazioni d’impresa

da un’unica fonte (la società madre)

nel comitato siedono rappresentanti della società e a volte qualche membro indipendente

erogazioni in tutti i settori, anche se privilegia il settore correlato all’attività della casa madre

FIG. 1.2 – Tabella delle principali caratteristiche delle diverse tipologie di fondazioni(72)

7.1.2. Le fondazioni di erogazione (grant-making foundation)

Questi enti svolgono indirettamente le attività connesse al perseguimento dello

scopo sociale attraverso l’erogazione di sussidi e contributi ad altri soggetti (tipicamente

(72) MAGNANI E. - PADOVANI S., Valutazione dell’efficacia dei contributi erogati nelle fondazioni

filantropiche: un tentativo di sistematizzazione, in AA.VV, Fondazioni e organizzazioni non profit in USA, Maggioli, Rimini, 1997, pag. 190.

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LE AZIENDE NON PROFIT

37

enti non-profit) che, in seguito, interverranno con una propria struttura per offrire beni e

servizi alla collettività. In questa categoria rientrano ad esempio le fondazioni bancarie.

Il finanziamento di soggetti terzi fa emergere diversi problemi tra cui la selezione dei

progetti più meritevoli, il rendimento del patrimonio e l’incremento delle donazioni.

Anche le fondazioni di erogazione possono svolgere attività collaterali di tipo

commerciale finalizzate all’incremento del patrimonio(73

).

7.1.3. Le fondazioni di comunità (community foundation)

Queste fondazioni presentano caratteristiche intermedie tra la prima e la seconda

tipologia di enti. Il modello è nato negli Stati Uniti e si è successivamente diffuso negli

altri paesi. Le fondazioni comunitarie svolgono il ruolo di «catalizzatore di risorse»

della comunità grazie all’autorevolezza dei promotori e alla destinazione delle risorse ad

iniziative in ambito locale. Inoltre il coinvolgimento, nei processi decisionali, dei

soggetti beneficiari e dei rappresentanti più autorevoli della comunità, crea un circolo

virtuoso per cui la collettività è stimolata a donare risorse. La gestione di questi enti

presenta alcune criticità in particolare per quanto riguarda la necessità di un maggior

grado di apertura verso l’esterno (trasparenza contabile/gestionale e bilancio sociale) e

l’esigenza di una cura particolare per i risultati conseguiti (per non bloccare il circolo

virtuoso della fiducia).

7.1.4. Le fondazioni d’impresa (corporate foundation)

Questa tipologia si sta affermando come modello organizzativo scelto dalle

imprese per attuare efficacemente la propria strategia di responsabilità sociale

(corporate social responsibility) e per migliorare l’impatto delle proprie iniziative

filantropiche nella comunità. Le imprese costituiscono, quindi, delle fondazioni dotate

di elevati livelli di patrimonializzazione e operanti direttamente nel sociale, ma

soprattutto specializzate nel finanziamento di progetti sociali di carattere assistenziale,

sanitario, scientifico, culturale, ambientale, civile promossi dagli istituti non profit(74

(73) TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 165.

).

(74) GRUMO M., Le Partnership tra fondazioni d’impresa e istituti non profit, Vita & Pensiero, Milano, 2007, pagg. 30-31: «Per fondazioni d’impresa s’intendono pertanto quegli istituti non profit (giuridicamente configurati come fondazioni):

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CAPITOLO PRIMO

38

7.2. La classificazione in base ai modelli giuridici adottati

In base al modello giuridico di riferimento le fondazioni si suddividono in:

− Fondazioni di diritto comune;

− Fondazioni di partecipazione;

− Fondazioni di diritto speciale.

7.2.1. Le fondazioni di diritto comune

Le fondazioni di diritto comune sono disciplinate dal libro primo, titolo II, capo

II del codice civile (artt. 14-35). La legge non indica lo scopo che deve perseguire la

fondazione, tuttavia, una consolidata giurisprudenza prevede un generico fine di

pubblica utilità. Questa interpretazione è il risultato dell’analisi dell’art. 699 del codice

civile e della circostanza che il vincolo della destinazione, cui è soggetto il patrimonio

della fondazione, si pone in contrasto con i principi di libera circolazione dei beni e di

libero sfruttamento delle risorse economiche, che pervadono l’ordinamento giuridico

italiano. Questi vincoli, pertanto, possono trovare giustificazione esclusivamente se il

patrimonio è destinato ad uno scopo di pubblica utilità che, in ogni caso, non deve

essere eccessivamente generico.

7.2.2. Le fondazioni di partecipazione(75

Le fondazioni di partecipazione costituiscono un modello atipico di ente privato,

non previsto dall’ordinamento ma scaturito dalla prassi e diffusosi all’inizio del

)

XXI

secolo, che uniscono all’elemento patrimoniale, proprio della fondazione, l’elemento

personale proprio dell’associazione. Si tratta di uno strumento sovente utilizzato dagli

enti pubblici per svolgere attività di pubblica utilità con il concorso di privati.

1. costituiti da un’impresa profit, come strumento (più o meno articolato) di attuazione della propria

strategia di responsabilità sociale, e cioè di miglioramento costante delle relazioni con i propri stakeholder critici;

2. ‘capitalizzati’ da parte dell’impresa di riferimento, almeno nella fase di start-up; 3. sostenuti periodicamente dall’impresa fondatrice, con varia intensità e in molteplici forme e, in

generale, aventi con tale impresa un legame molto stretto; 4. aventi organi di governo propri e una struttura organizzativa strumentale allo svolgimento dell’attività

statutaria; 5. aventi una finalità differente da quella dell’impresa fondatrice, a beneficio del sociale, e che si esplica

in attività di carattere erogativo od operativo.» (75) Vds. sul punto IORIO G., Le trasformazioni eterogenee e le fondazioni, op. cit., pagg. 38-50.

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LE AZIENDE NON PROFIT

39

7.2.3. Le fondazioni di diritto speciale(76

Le fondazioni di diritto speciale sono state istituite per rispondere a precisi

bisogni della collettività e si caratterizzano per delle particolarità, rispetto alla normativa

civilistica ordinaria, soprattutto in materia di controlli e autorità di vigilanza. Le

principali categorie di fondazioni di diritto speciale sono le:

)

− Fondazioni di famiglia

(art. 4 del regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99). Questi enti

hanno l’obiettivo di fornire prestazioni educative e/o assistenziali ai discenti di una o

più famiglie determinate;

Fondazioni assistenziali

(regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2841);

Fondazioni di istruzione agraria

(art. 1 della legge 19 giugno 1913, n. 770). Questi

enti hanno come scopo principale l’istruzione agraria, industriale e commerciale, il

miglioramento dell’agricoltura e lo sviluppo dell’industria e del commercio;

Fondazioni scolastiche

(art. 550 del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297). Questi

enti hanno come scopo prevalente l’assistenza scolastica agli alunni meritevoli e

bisognosi, attraverso l’erogazione di borse di studio;

Fondazioni militari

(art. 849 del regio decreto 10 febbraio 1927, n. 443). Questi enti

hanno come scopo l’assistenza ai militari, agli ex militari e alle loro famiglie;

Fondazioni di culto

(leggi concordatarie del 1929 e 1985). Questi enti hanno come

scopo prevalente il culto o la religione;

Fondazioni per la gestione del patrimonio artistico

(art. 10 del decreto legislativo 20

ottobre 1998, n. 368). Il Ministero per i beni culturali e ambientali, al fine di

realizzare le proprie finalità istituzionali, può cooperare con enti pubblici, privati o

misti (tipicamente fondazioni);

Fondazioni a sostegno della lettura

(art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 250). Il

Ministero dei beni e delle attività culturali, al fine di promuovere l’editoria culturale,

gestisce un fondo per l’assegnazione di contributi a fondazioni ed enti non profit

operanti nel settore;

Fondazioni universitarie

(76) GUZZI D., Le fondazioni. Nascita e gestione, op. cit., pagg. 36-43.

(legge 23 dicembre 2000, n. 388). Sono entità costituite

dalle università per lo svolgimento di funzioni di supporto all’attività istituzionale

con la partecipazione di enti e amministrazioni pubbliche;

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CAPITOLO PRIMO

40

− Fondazioni bancarie(77

In seguito la legge 23 dicembre 1998, n. 461, nota come “legge Ciampi”, e il decreto

legislativo 17 maggio 1999, n. 153, definirono la natura delle fondazioni bancarie

riconoscendole come «persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena

autonomia statutaria e gestionale».

). La legge 30 luglio 1990, n. 218, cosiddetta “legge Amato-

Carli”, avviò in Italia la privatizzazione della forma giuridica delle Casse di

risparmio e degli Istituti di credito di diritto pubblico. Il provvedimento prevedeva la

scissione tra l’ente conferente, che detiene la partecipazione nell’azienda di credito e

si dedica ad attività filantropiche, e l’impresa bancaria, costituita sotto forma di

società per azioni, che si dedica all’attività creditizia. Questo scorporo era favorito

attraverso la concessione di incentivi fiscali e avrebbe dato origine ad un sistema con

due attori distinti: I) la fondazione di origine bancaria e II) il gruppo creditizio.

La legge 21 dicembre 2001, n. 448 («riforma Tremonti») determinò,

successivamente, i «settori ammessi» nel cui ambito possono operare le fondazioni:

1) famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione

e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato,

filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani;

diritti civili;

2) prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e

agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale(78

(77) Cfr. sull’argomento anche GALANTI E., La storia dell’ordinamento bancario e finanziario

italiano fra crisi e riforme, in GALANTI E. (a cura di), Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Cedam, Padova, 2008, pag. 96 e CORSICO F. - MESSA P., Da Frankenstein a principe azzurro. Le fondazioni bancarie fra passato e futuro, Marsilio, Venezia, 2011, pagg. 27-45.

); protezione

dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e

riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze;

patologia e disturbi psichici e mentali;

(78) «‘Housing Sociale’ significa pertanto l’insieme di alloggi e servizi, di azioni e strumenti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. La finalità dell’housing sociale è di migliorare e rafforzare la condizione di queste persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale sia possibile non solo accedere a un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e significative. […] Data la limitatezza delle sovvenzioni pubbliche disponibili, gli interventi di housing sociale condotti da soggetti privati - incluse le fondazioni di origine bancaria - tendono a focalizzarsi su situazioni di disagio ‘solvibili’, relative a soggetti che non riescono a sostenere un affitto di mercato ma che possiedono comunque una moderata capacità di reddito, condizione che generalmente li esclude dalle graduatorie dell’Edilizia Residenziale Pubblica.»: URBANI S. - FERRI G., Fondazioni di origine bancaria e Housing Sociale, in ACRI, Tredicesimo Rapporto sulle Fondazioni di origine bancaria, Roma, 2009, pag. 167, sul sito www.acri.it.

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LE AZIENDE NON PROFIT

41

3) ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale;

4) arte, attività e beni culturali.

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CAPITOLO SECONDO

L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

SOMMARIO: 1. La filantropia istituzionale – 2. Gli strumenti di perseguimento degli

obiettivi filantropici – 2.1. La gestione diretta – 2.2. La donazione delle risorse ad un ente specifico – 2.3. La costituzione di un’associazione – 2.4. La costituzione di una fondazione – 3. L’intermediazione filantropica – 3.1. Il concetto di «comunità» – 3.2. L’infrastrutturazione sociale del territorio – 4. La teoria del ciclo di vita delle fondazioni di comunità – 5. Il “capitale sociale” delle fondazioni di comunità – 6. Le fondazioni di comunità come «intermediari fiduciari» – 7. Il mercato delle donazioni – 7.1. Le donazioni dirette – 7.2. Le donazioni indirette – 7.2.1. Donazioni ad intermediari operativi – 7.2.2. Donazioni ad intermediari finanziari filantropici – 8. Le cause di formazione degli intermediari filantropici – 8.1. Le asimmetrie informative – 8.2. I costi di transazione – 8.3. Le dimensioni delle donazioni – 8.4. I vantaggi fiscali – 9. I problemi di agenzia tra i donatori e l’intermediario finanziario filantropico – 9.1. Intermediari finanziari filantropici nati da una sola grande donazione – 9.2. Intermediari finanziari filantropici nati da molte piccole donazioni – 9.3. Vincolo di non distribuzione dei profitti – 9.3.1. La teoria neo-istituzionalista dell’impresa – 9.3.2. Il caso degli intermediari finanziari filantropici – 9.4. Regolazione degli intermediari finanziari filantropici – 10. Le problematiche di governance degli intermediari finanziari filantropici.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

43

1. LA FILANTROPIA ISTITUZIONALE

La “filantropia istituzionale” nasce negli Stati Uniti nel diciannovesimo secolo

con lo sviluppo delle fondazioni private (public foundations, independent foundations,

community foundations, corporate foundations and operating foundations) e

l’affermarsi della cosiddetta “filantropia scientifica” che, attraverso nuove modalità di

erogazione, aveva lo scopo di alleviare la povertà intervenendo non sugli effetti, ma

contrastando direttamente le cause.

La “filantropia istituzionale” può essere definita come una «cultura diffusa per cui

la beneficienza e il sostegno a istituzioni meritevoli costituivano un preciso «dovere

sociale» connesso al ruolo preminente che si era chiamati a svolgere nella società.

Filantropia non come atto paternalistico ed estemporaneo, perciò, ma come ruolo

«istituzionale», in una concezione della vita in cui la ricchezza personale, anche recente,

non era vista solo come un fatto privato ma imponeva un impegno nella sfera pubblica,

così come lo status sociale comportava parimenti diritti e doveri. Un impegno civico

prima ancora che politico.»(1

Questo nuovo tipo di approccio richiedeva, però, un’organizzazione molto

strutturata e dotata di personale altamente specializzato. Successivamente nel corso del

ventesimo secolo questo nuovo modello di intervento comincia a diffondersi anche in

Europa.

).

In Italia la “filantropia istituzionale” si afferma in ritardo a causa di alcune

caratteristiche specifiche del paese dovute in sintesi:

alla pervasiva presenza della tradizione cattolica e delle sue organizzazioni;

all’assenza di un’adeguata politica di incentivi fiscali;

ad una forte egemonia partitocratica e sindacale;

ad una struttura assistenziale basata sulle istituzioni parastatali.

Dagli anni ’90 la “filantropia istituzionale” conosce una nuova fase di espansione.

In questo periodo crescono sia il numero delle fondazioni private che l’efficacia dei loro

(1) SCARPELLINI E., Il Teatro del popolo. La stagione artistica dell’Umanitaria fra cultura e

società, FrancoAngeli, Milano, 2000, pagg. 169-170.

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CAPITOLO SECONDO

44

interventi grazie all’elaborazione di nuove “strategie della donazione”(2

La “filantropia istituzionale” tende ad essere considerata ancora oggi come

«un’attività caritatevole, benefica, benevolente, estemporanea: una concezione che, di

fatto, è agli antipodi della filantropia istituzionale volta a produrre un potenziale di beni

relazionali.»(

) e questo

nonostante una perdurante mancanza di visibilità che colpisce la loro azione.

3

La moderna “filantropia istituzionale” è orientata alla ricerca e alla costruzione di

nuovi modelli d’intervento. Il Prof. Carlo Borzaga esprime l’esigenza che la “filantropia

istituzionale” diventi un «motore di innovazione» passando da un intervento di tipo

“passivo” basato sulla domanda ad un intervento di tipo “attivo” che individui

autonomamente i bisogni da soddisfare e che sia in grado di selezionare tra le modalità

di offerta dei servizi quelle più capaci di innovazione anche nell’organizzazione

dell’offerta(

).

4

Secondo il Prof. Pellegrino Capaldo, la filantropia istituzionale ha «titolo per darsi

un ruolo più importante di quello di generico integratore del ruolo svolto dallo Stato. Un

ruolo più ambizioso che deve passare attraverso la destatalizzazione del sociale e una

distinzione di funzioni più precisa. Non l’abbandono da parte dello Stato di un certo

impegno in campo sociale, ma un processo alla fine del quale lo Stato smette di essere

operatore e recupera un ruolo di orientatore e di garante di ultima istanza della copertura

di tutti i bisogni; mentre il privato in senso lato e la filantropia istituzionale possono

esserne il motore.»(

).

5

).

(2) PORTER M. - KRAMER M., The Competitive Advantage of Corporate Philanthropy, Harvard

Business Review, LXXX, 2, Cambrige, MA, 2002, pagg. 56-68. (3) MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita

e Ruolo, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia delle aziende non profit”, Università degli Studi di Roma “Sapienza”, Facoltà di Economia, Dipartimento di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, 9 dicembre 2010, sul sito www.assifero.org., pagg. 2-3.

(4) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Rapporto Annuale 2011, Brescia, pag. 3, sul sito www.fondazionebresciana.org.

(5) CAPALDO P., E in Italia le fondazioni devono destatalizzare il sociale, in Non Profit Magazine, Società editoriale Vita, Milano, 10 giugno 2011, pag. 3.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

45

2. GLI STRUMENTI DI PERSEGUIMENTO DEGLI OBIETTIVI FILANTROPICI(6)

Un donatore, che desideri perseguire i propri scopi benefici, ha a disposizione

diversi strumenti con cui realizzarli. In particolare può scegliere tra la gestione diretta

dell’erogazione, la donazione ad un ente specifico, la creazione di un’associazione e la

costituzione di una fondazione. Tuttavia ognuna di queste modalità presenta degli

svantaggi.

2.1. La gestione diretta

In questo caso il donatore eroga direttamente i contributi a favore dei beneficiari.

Si tratta, però, di una modalità operativa estremamente complessa e onerosa. Effettuare

una donazione, infatti, non significa semplicemente selezionare il beneficiario della

stessa, ma soprattutto monitorare come il soggetto utilizzerà i contributi ricevuti,

raccoglierne la rendicontazione e verificarne l’impatto. Queste procedure

presuppongono un impegno notevole in termini di tempo ma più di tutto richiedono

competenze specifiche che difficilmente il donatore ha a disposizione in ambito

familiare o aziendale.

2.2. La donazione delle risorse ad un ente specifico

In questa ipotesi il donatore dona il proprio contributo ad un ente specifico che lo

utilizzerà per raggiungere le proprie finalità. Questa modalità richiede che il donante

condivida gli scopi dell’ente beneficiario ma soprattutto che abbia completa fiducia nel

suo operato poiché questa soluzione comporta, come conseguenza, la perdita di

controllo sull’utilizzo finale delle risorse donate.

L’elemento negativo di questa strategia di elargizione è rappresentato dal fatto

che, una volta effettuata la donazione, non è più possibile cambiarne la destinazione,

quindi, nell’eventualità che dovesse nascere un nuovo soggetto che meglio rispondesse

alle esigenze del donatore, questi non potrà chiedere all’ente che ha già ricevuto il

contributo di stornarne una quota per sostenere un progetto realizzato da un’altra

organizzazione non profit.

(6) CASADEI B., Fondazioni di comunità: novità e problematiche, Il Sole 24 Ore, Milano, in «I

Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato», Atti del Convegno Non profit: le sfide dell’oggi e il ruolo del notariato, Milano, 5 novembre 2010, pagg. 87-88.

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CAPITOLO SECONDO

46

2.3. La creazione di un’associazione

Un’altra possibilità per finalizzare i propri obiettivi filantropici è la creazione di

un’associazione. In questo caso, però, il donatore deve affrontare una serie di problemi

tipici, legati alla gestione di una pluralità di soggetti, che comportano da una parte la

necessità di organizzare e gestire complesse assemblee e dall’altra parte il rischio che

con le difficoltà subentri un certo grado di stanchezza che determini, di fatto, il fermo

operativo dell’organizzazione.

2.4. La costituzione di una fondazione

L’ultima opportunità offerta al donatore è la costituzione di una fondazione che

rappresenta lo strumento più efficace e flessibile per il perseguimento degli obiettivi

filantropici. Tuttavia la gestione di una fondazione è molto onerosa sia in termini di

tempo sia di denaro e si giustifica solo in presenza di capitali molto consistenti se si

vuole evitare il rischio che tutte le risorse siano assorbite dal funzionamento della

struttura.

Inoltre le fondazioni presentano altri inconvenienti come ad esempio il fatto che

con il tempo i Consigli di Amministrazione abbiano finito per tradire la volontà dei

fondatori oppure che i consiglieri perdono interesse per la vita della fondazione che

cessa di funzionare. Anche gli interventi dell’autorità governativa, di fatto estremamente

sporadici, non sono in grado di modificare la situazione. Ne consegue che le fondazioni

sono spesso abbandonate a se stesse. Comunque al di là di questi problemi rimane che

questa modalità d’intervento è solitamente appannaggio dei ricchissimi.

3. L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

La “filantropia istituzionale” per superare questi problemi ha sviluppato una

nuova modalità operativa che tecnicamente viene definita come «intermediazione

filantropica».

Questa nuova filosofia d’intervento è rappresentata da una fondazione avente le

caratteristiche di ONLUS, in modo da poter consentire ai donatori di massimizzare i

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

47

benefici fiscali, che mette a disposizione degli aspiranti filantropi la propria

infrastruttura(7

In questo modo i donatori, attraverso donazioni modali, possono costituire dei

fondi che hanno ognuno un proprio regolamento e sono indirizzati esclusivamente al

perseguimento degli obiettivi filantropici stabiliti dal benefattore. In pratica il donante

ha la possibilità di usufruire di uno strumento che presenta gli stessi vantaggi di una

fondazione privata, ma senza i rischi e i costi connessi alla sua costituzione e gestione.

).

Un altro vantaggio dei fondi è rappresentato dalla rapidità e semplicità della loro

costituzione e gestione. Essi, infatti, a differenza della fondazione, non necessitano per

la costituzione né di atto pubblico né di riconoscimento amministrativo e, inoltre, non

richiedono per la gestione l’implementazione di tutte quelle prassi contabili e

amministrative richieste alle fondazioni.

Quindi con la trasformazione della “filantropia istituzionale” si afferma un nuovo

soggetto istituzionale evoluto: la fondazione di comunità.

Secondo la definizione di Suzanne Feurt (1999) una community foundation «è una

organizzazione filantropica indipendente la cui finalità è di migliorare la qualità della

vita di una comunità nel lungo periodo. Essa deve coinvolgere i cittadini e generare

nuove risorse permanenti volte al sostegno dei bisogni della comunità a livello locale e

territoriale»(8

).

3.1. Il concetto di «comunità»

La comunità degli «uomini non è solo communis (comune), qualcosa che è di

tutti, è anche cum-munus. Non è solo una proprietà, una tradizione o un territorio da

difendere, ma anche munus (dono), luogo del dono che si dà perché non si può non dare

e della gratitudine che attende di essere ricambiata. Nel termine munus sono contenuti i

concetti di reciprocità e mutualità: un dare che consegna l’uno all’altro, una scelta di

(7) CASADEI B., Le fondazioni di comunità come intermediario filantropico, Relazione tenuta al

convegno su “Fondazioni di Comunità, società civile e bene comune” organizzato dalla Fondazione Riviera-Miranese, Salzano (VE), 26 novembre 2011, pag. 3, sul sito www.assifero.org: «Un ente, di norma una fondazione avente caratteristiche onlus, mette a disposizione la sua struttura per gestire risorse filantropiche sulla base delle indicazioni stabilite dal donante, che gode dei benefici di una gestione professionale delle proprie donazioni ad oneri ridotti.».

(8) GEMELLI G., Le Community foundation tra futuro e passato, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pag. 60.

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CAPITOLO SECONDO

48

appartenere per fare, una relazione che vede ciascuna parte in dialogo costante con le

altre parti.»(9

Le community foundations «sono, […], la specie di un genere più ampio che è la

community philanthropy» che secondo la definizione della “Mott Foundation”(

).

10): “è la

pratica di catalizzare e raccogliere risorse da una comunità a beneficio della

comunità”(11

La letteratura sul “terzo settore” traduce il termine anglosassone “community

foundation” con l’espressione “fondazione di comunità”.

).

Tuttavia il termine community richiede di essere «correttamente interpretato, non

potendosi esso pedissequamente tradurre, né fare semplicemente corrispondere al nostro

termine comunità.»(12

«Il termine e la connessa nozione di comunità come intesa dal nostro ordinamento

non possono quindi essere acriticamente trasposti ed utilizzati per tradurre il termine

anglosassone di community, che nasce invece ed è riferito ad un contesto profondamente

diverso dal nostro, di impronta calvinista e liberale»(

).

13

Il significato che i soggetti, che si relazionano con questa forma organizzativa,

attribuiscono al termine “comunità” è riconducibile alla definizione di “comunità

locale” spazialmente intesa cioè «quella collettività i cui membri dividono un’area

territoriale comune come loro base di operazioni per le attività quotidiane»(

).

14

Nel caso italiano la comunità è contenuta nei confini amministrativi della

provincia.

).

(9) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del

non profit, op. cit., pag. 97. (10) The “Charles Stewart Mott Foundation” è una fondazione privata grantmaking fondata nel

1926 a Flint nel Michigan da Charles Stewart Mott (1875 – 1973) che era diventato uno dei principali industriali della città attraverso la sua associazione con la General Motors, sul sito www.mott.org.

(11) GEMELLI G., Le Community foundation tra futuro e passato, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pag. 61.

(12) STEFANELLI M. A., L’intervento delle fondazioni di origine bancaria e la mission delle community foundations nel settore dei servizi sociali, in «Sanità Pubblica e Privata», Maggioli, Rimini, giugno 6/2004, pag. 606.

(13) IBIDEM, op. cit., pag. 607. (14) PARSONS T., Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Torino, 1996, pag. 98 (ed. or. The Social

System, The Free Press, New York, 1951).

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

49

3.2. L’infrastrutturazione sociale del territorio

La “filantropia comunitaria” unisce da un lato, la filantropia, cioè la “gestione

professionale del dono”, dall’altro, il sentimento di appartenenza nei confronti della

propria comunità locale(15

La “filantropia comunitaria” è il settore più dinamico e in più rapida crescita del

privato sociale e grazie ad essa è stata promossa l’infrastrutturazione sociale(

).

16

Le infrastrutture sociali sono costituite dall’insieme degli impianti e dei servizi

destinati a soddisfare interessi e bisogni collettivi. La dotazione d’infrastrutture sociali

viene considerata, insieme a quella d’infrastrutture economiche, tra i fattori in grado di

determinare il potenziale di sviluppo ed attrazione di un’area.

)

individuata come leva strategica per lo sviluppo del territorio.

Le fondazioni di comunità(17

L’insediamento di queste strutture vede una netta prevalenza delle regioni

settentrionali e, più recentemente, di quelle meridionali. Mentre è totalmente assente da

) vanno a rafforzare e integrare le reti di

infrastrutture sociali presenti sul territorio (volontariato, cultura, formazione,

promozione delle risorse umane, inclusione sociale, riduzione delle disparità) in modo

da accrescerne la capacità di azione e di adeguarle al fabbisogno della comunità.

(15) CASADEI B., Nuove prospettive per il privato sociale: la filantropia comunitaria, in «Terzo

Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 10 - ottobre 2001, pag. 74. (16) L’infrastruttura sociale comprende «le attività della pubblica amministrazione, i servizi di

welfare, l’istruzione, la cultura, le organizzazioni economiche e sindacali e del tempo libero. In sostanza ci si riferisce ai servizi non di mercato, nel senso che la loro tipologia risulta legata alla soddisfazione di un insieme di bisogni collettivi e di sicurezza sociale. È necessario tuttavia fare attenzione: la caratteristica non di mercato non implica un’assenza di operatori privati, soprattutto nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria e dell’istruzione, quanto che i livelli di dotazione e di distribuzione sul territorio delle singole attività sono direttamente sottoposti al controllo pubblico. L’interazione tra pubblico e privato, in campi come l’istruzione e la sanità, tiene conto della necessità di garantire determinati livelli di servizio, sia quantitativo che qualitativo. L’evoluzione di questa categoria è quindi strettamente collegata alle caratteristiche della popolazione presente e all’evoluzione della struttura sociale nel suo complesso». CAVALLO M., Per una globalizzazione responsabile: qualità dello sviluppo e coesione sociale, FrancoAngeli, Milano, 2001, pag. 47:.

(17) EVERETT J. - EVERETT S. & ASSOCIATES, Community Foundations: An Introductory Report on International Experience and Irish Potential, Combat Poverty Agency, Dublin, 1998, pag. VIII: «Essentially a community foundation is a charitable organisation that exists to build a permanent endowment fund that will provide financial and other resources to meet a specific community’s needs through six co-ordinated functions: • fund-raising; • grant-making; • donor; • convening; • mentoring; and • researching».

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CAPITOLO SECONDO

50

questa dinamica di sviluppo il Centro Italia che è attualmente privo di queste

infrastrutture.

Le fondazioni di comunità potrebbero costituire la base per la costruzione di

quella infrastruttura sociale nazionale, ipotizzata dal Prof. Pellegrino Capaldo(18), che è

sostanzialmente «una «rete di ascolto e di monitoraggio» dei bisogni umani che copra

l’intero territorio nazionale. Una «rete» composta da una miriade di piccole strutture

locali, dotate di ampia autonomia ma capaci, all’occorrenza, di coordinarsi e di fare

sistema tra loro. Penso, in particolare, ad alcune migliaia di strutture locali (grosso

modo 1 per ogni 10.000 abitanti) con un responsabile a tempo pieno coadiuvato da

molti collaboratori, per lo più volontari. Penso a strutture, organizzativamente molto

agili, capaci di ascoltare le persone che chiedono aiuto ma anche di cogliere – nel

territorio di loro competenza – i bisogni nascosti e di individuare le persone che, il più

delle volte, ne sono silenti e appartate portatrici.»(19

).

4. LA TEORIA DEL CICLO DI VITA DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ(20)

Le fondazioni di comunità, secondo Graddy e Morgan(21

la prima è centrata sui servizi ai donatori (donor service). In questo caso il ruolo

delle fondazioni di comunità consiste nell’agevolare i donatori nel perseguimento dei

loro obiettivi filantropici attraverso la fornitura di servizi professionali. Le fondazioni

comunitarie più giovani tendono a privilegiare il rapporto con i donatori in quanto il

loro obiettivo principale è l’incremento della dotazione patrimoniale, mentre il

), possono sviluppare tre

diverse strategie di azione (mission):

(18) CAPALDO P., E in Italia le fondazioni devono destatalizzare il sociale, op. cit., pag. 3.:

«Occorre creare una rete di monitoraggio del territorio, articolata in tante piccole unità: cinque o seimila unità sul territorio libere di operare non rigidamente governate dal centro, ma tra loro coordinate, e impegnate a leggere i bisogni, dare risposte alle richieste. Un rete di questo tipo è indispensabile. Rischiamo altrimenti di lasciare inappagati bisogni che meritano di essere soddisfatti.».

(19) CAPALDO P., Filantropia istituzionale: forma di una moderna responsabilità civile, Relazione tenuta al 2° Convegno Nazionale delle Fondazioni e degli Enti d’Erogazione sul tema “Oltre i progetti: responsabilità, potenzialità e strategie della filantropia istituzionale per lo sviluppo del Paese”, Roma, 11 marzo 2011, pagg. 2-3, sul sito www.assifero.org.

(20) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg. 72-74.

(21) GRADDY E. - MORGAN D., Community Foundations, Organizational Strategy and Public Policy, «Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly», XXXV, 4, 2006, pagg. 605-630.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

51

rapporto tra fondazioni e organizzazioni non profit è “debole”. L’allocazione delle

risorse è vincolata dalla volontà del donatore e per questa ragione le fondazioni

comunitarie devono essere in grado di gestire le relazioni con i donatori con una

duplice logica di “coinvolgimento” e “distacco” in modo da non chiudersi ai bisogni

emergenti della comunità;

la seconda è focalizzata sul ruolo delle fondazioni di comunità come intermediari tra

i donatori e le organizzazioni del “terzo settore” (matchmaker) e quindi tra risorse e

bisogni. In questo caso le fondazioni si muovono in due direzioni parallele: da un

lato i servizi ai donatori e dall’altro la conoscenza dei bisogni della comunità locale.

L’acquisizione di tali informazioni apre la strada ad una migliore allocazione delle

risorse in quanto consente di orientare le scelte dei donatori verso le organizzazioni

non profit maggiormente efficienti. Questa metodologia di intervento è conveniente

per le organizzazioni del “terzo settore” in quanto riescono a raggiungere dei nuovi

potenziali donatori che prima gli erano preclusi. Questo approccio richiede, però, alle

fondazioni di comunità di avvalersi di figure professionali in grado di “leggere” i

bisogni del territorio, concentrandosi sulla situazione esistente;

la terza è puntata sull’assunzione di un ruolo di leadership nell’ambito della

comunità locale (community leadership). In questo caso la fondazione di comunità

mira ad assumere la governance della comunità locale attraverso l’elaborazione di

programmi di intervento che migliorano la qualità della vita. La funzione di

leadership richiede la capacità di condizionare l’opinione pubblica ma rischia di fare

assomigliare le fondazioni di comunità alle fondazioni di erogazione comuni che

stabiliscono le priorità di intervento e finanziano solo le organizzazioni in grado di

realizzarle.

I fattori che guidano l’emergere di una determinata strategia sono rappresentati

dalle:

a) caratteristiche dell’ambiente sociale in cui operano le fondazioni di comunità

(capacità filantropica, capacità dei partner ed esistenza di concorrenti a livello

locale);

b) caratteristiche organizzative delle fondazioni di comunità (età, dimensioni operative,

principali fondi patrimoniali istituiti);

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CAPITOLO SECONDO

52

c) caratteristiche esterne (presenza di partner strategici e concorrenti a livello

nazionale).

In base a questi elementi, il modello del ciclo di vita delle fondazioni di comunità

ci dice che:

− nella fase iniziale le fondazioni privilegiano i servizi ai donatori;

− nella fase di consolidamento patrimoniale, le fondazioni sviluppano strategie di

intermediazione o di leadership.

Le fondazioni di comunità italiane si trovano in una fase di consolidamento che le

spinge verso un modello matchmaker dal quale però si allontanano per il basso livello di

professionalizzazione del personale che è composto per la maggior parte da volontari

non in possesso di competenze specifiche per la lettura dei bisogni del territorio. Quindi

la teoria del ciclo vitale non si adatta completamente al caso italiano.

Le fondazioni di comunità italiane autodefiniscono il loro ruolo in quello di

«intermediari della solidarietà». In questa ottica le fondazioni di comunità

rappresentano da un lato degli intermediari creditizi che riducono l’incertezza e il costo

della raccolta dei fondi e dall’altro lato soggetti con funzioni redistributive che si

affiancano, senza sostituirli, ai canali statali e locali.

5. IL “CAPITALE SOCIALE” DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ(22)

La transizione dal welfare tradizionale al welfare societario, che include oltre allo

Stato e al mercato anche la dimensione comunitaria, richiede che le fondazioni di

comunità:

siano in grado di generare e valorizzare il “capitale sociale” presente nella comunità

locale;

sappiano istituzionalizzare il dono a livello locale.

Il “capitale sociale”(23

(22) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg.

77-86.

) favorisce lo sviluppo della filantropia e delle istituzioni

filantropiche quali le fondazioni di comunità.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

53

Il “capitale sociale” viene definito come una «risorsa connessa alle relazioni

sociali»(24

L’atto di donare comporta un certo rischio in quanto il donatore ha bisogno di

informazioni perché quelle possedute non sono sufficienti. Purtroppo l’attività di

raccolta delle informazioni richiede tempo e competenze specifiche e potrebbe

comportare costi elevati.

).

Secondo James S. Coleman(25

1) il

) le fondazioni di comunità dispongono di tre forme

di “capitale sociale”:

potenziale informativo

− dei potenziali donatori una serie di informazioni che agevolano la donazione;

che consente di ridurre le asimmetrie informative presenti

all’interno della comunità e che ostacolano le donazioni alle organizzazioni non

profit. Le fondazioni comunitarie mettono a disposizione:

− delle organizzazioni del “terzo settore” un bacino più vasto di potenziali donatori

a cui promuovere i loro progetti.

Pertanto sia le relazioni tra fondazione di comunità e donatori sia le relazioni tra

fondazione di comunità e organizzazioni del “terzo settore” costituiscono una forma

di “capitale sociale”;

2) i doveri e le aspettative

(23) Il capitale sociale è «l’insieme delle relazioni fiduciarie fondate sul principio di reciprocità che

si instaurano tra persone appartenenti a una determinata comunità.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 74.

in sospeso della collettività (i “titoli di credito”).

L’«erogazione sfida» lanciata dalla Fondazione Cariplo per la costituzione del

patrimonio delle fondazioni di comunità genera una sorta di obbligazione morale

nella comunità locale. L’impegno a donare della Fondazione Cariplo costituisce un

“titolo di credito” che spinge la comunità a reciprocare la donazione al fine di

vincere la sfida. La stessa cosa si verifica nel caso del finanziamento dei progetti da

parte della fondazione di comunità che stimola la comunità a contribuire per la parte

non finanziata. In quest’ottica le fondazioni di comunità rappresentano un

moltiplicatore delle risorse monetarie in quanto le loro donazioni rimettono in moto

costantemente il principio di reciprocità su scale locale;

(24) Per una classificazione delle diverse definizioni di capitale sociale cfr. COLOZZI I., Il capitale sociale in prospettiva relazionale, in BARTOLINI I. (a cura di), Capitale sociale, reti comunicative e culture di partecipazione, FrancoAngeli, Milano, 2008, pagg. 25-27.

(25) COLEMAN J. S., Fondamenti di teoria sociale, Il Mulino, Bologna, 2005, pagg. 388-408 (ed. or. Foundations of Social Theory, Belknap Press, Cambrige, MA, 1994).

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CAPITOLO SECONDO

54

3) le organizzazioni sociali appropriabili

Da quanto detto emerge che la principale forma di “capitale sociale” delle

fondazioni di comunità è rappresentata dal loro potenziale informativo. Tuttavia gli

investimenti per creare “capitale sociale” sono scarsi perché «molti dei vantaggi delle

azioni che producono capitale sociale favoriscono persone diverse da chi compie queste

azioni» e quindi le persone non hanno interesse a produrlo.

sono organizzazioni costituite per un fine

determinato, ma che possono essere utilizzate dai singoli e dalla comunità anche per

altri scopi. Quindi si verifica che i soggetti che hanno rapporti con le fondazioni di

comunità possono mettere a loro disposizione il proprio network di relazioni e le

risorse in essi circolanti. Ad esempio i commercialisti, che compongono il Collegio

Sindacale delle fondazioni, possono favorire la diffusione di notizie riguardanti l’ente

nell’ambito del loro ordine professionale.

6. LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ COME «INTERMEDIARI FIDUCIARI»(26)

La principale forma di “capitale sociale” prodotto dalle fondazioni di comunità è

il loro potenziale informativo che riduce l’incertezza che rende rischiosa qualsiasi

relazione di scambio e che frena le donazioni.

Le donazioni «contribuiscono a creare una rete di relazioni fra gruppi sociali

distanti fra loro, “iniettando” e facendo circolare la fiducia necessaria».

Il ruolo delle fondazioni di comunità può essere meglio compreso se si

considerano come «intermediari fiduciari» tra i potenziali prestatori di fiducia (i

donatori) e i fiduciari cioè coloro a cui la fiducia è accordata (le organizzazioni del

“terzo settore”).

Le fondazioni di comunità sono in grado di gestire l’incertezza esistente nella

comunità locale che condiziona l’atteggiamento nei confronti del dono, generando e

facendo circolare la fiducia.

Gli «intermediari fiduciari» si suddividono in tre categorie: i “garanti”, i

“consiglieri” e gli “imprenditori”.

(26) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg.

89-91.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

55

I potenziali donatori, in assenza di informazioni sull’affidabilità delle

organizzazioni non profit, potrebbero evitare di donare. Questo problema può essere

superato con l’intervento della fondazione di comunità che mostra di avere fiducia nelle

capacità operative dell’organizzazione non profit.

Le fondazioni di comunità quando:

utilizzano i bandi si comportano sia come:

− “imprenditori” perché attraverso la pratica del matching grant (sovvenzione

paritaria) sollecitano la fiducia dei donatori sui progetti delle organizzazioni non

profit selezionate. I donatori si fidano della competenza delle fondazioni

comunitarie nel monitorare l’attuazione dei progetti;

− “garanti” della capacità di prestazione delle organizzazioni non profit perché

partecipano al finanziamento del progetto per un importo del 50%. Se

l’organizzazione selezionata non completa il progetto subiranno una perdita sia il

donatore che la fondazione. Quindi è essenziale che l’intermediario conosca in

modo approfondito l’organizzazione del “terzo settore”;

istituiscono dei fondi patrimoniali, ma non quelli con diritto di indirizzo, si

comportano come “consiglieri” dei potenziali donatori e questo perché la selezione e

il cofinanziamento dei progetti da parte delle fondazioni di comunità, le trasformano

in consulenti di coloro che utilizzano i loro servizi professionali per effettuare la

donazione.

Le fondazioni di comunità quindi non veicolano solo risorse economiche ma

anche risorse informative che sono alimentate da tre fonti:

1) dalla prestazione del fiduciario (le organizzazioni del “terzo settore”);

2) da coloro che hanno un interesse simile a quello del potenziale prestatore di fiducia;

3) da coloro che hanno un interesse diverso da quello del potenziale prestatore di

fiducia.

Le variazioni della fiducia dipendono dalle modalità con cui si combinano queste

tre fonti. Il successo delle fondazioni di comunità, quali «intermediari fiduciari», e la

loro attitudine a generare “capitale sociale”, dipenderà dalla loro capacità di valutare

correttamente le prestazioni delle organizzazioni del “terzo settore” e di suscitare

continuamente dei donatori.

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CAPITOLO SECONDO

56

In conclusione se le fondazioni di comunità vorranno conseguire livelli crescenti

di fiducia dovranno favorire la diffusione delle informazioni provenienti dalle

organizzazioni del “terzo settore”, riguardanti la loro capacità di prestazione,

nell’ambito della comunità locale.

7. IL «MERCATO» DELLE DONAZIONI(27)

Donare significa dare spontaneamente qualcosa a qualcuno senza un compenso.

Gli individui donano frequentemente denaro o altre utilità a persone cui non sono legate

né da amicizia né da parentela e lo fanno per le motivazioni più diverse (altruismo,

pubblicità, ecc.).

Se considerassimo il dono equivalente ad un bene potremmo ipotizzare che la

donazione(28

) sia l’oggetto di un ipotetico scambio di mercato. Il beneficiante può

realizzare questo scambio di mercato secondo due modalità alternative: direttamente o

indirettamente.

7.1. Le donazioni dirette

Nel caso dell’elemosina effettuata a persone indigenti incontrate sulla pubblica

via, il donante seleziona e beneficia personalmente il destinatario della propria

donazione, trasferendogli direttamente parte del proprio reddito o patrimonio.

In questo esempio l’offerta di donazioni (da parte dei soggetti filantropici)

incontra direttamente sul mercato la domanda di donazioni (da parte di soggetti

bisognosi), senza il bisogno di alcun tipo d’intermediario. I “datori” e i “prenditori” di

donazioni realizzano, quindi, una transazione diretta.

Tuttavia l’ammontare complessivo di queste donazioni dirette è molto ridotto.

(27) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle

fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, Il Mulino, Bologna, 2000, pagg. 141-144 e MARINO S., Il mercato delle donazioni, in SPAZZOLI F. - MATTEINI M. - MAURIELLO M. - MAGGIOLI R., Manuale di fund raising e comunicazione sociale, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2009, pagg. 45-52.

(28) La donazione è il «gesto di elargizione di una somma di denaro, di un bene o del proprio tempo, fatto da una persona a un’altra o a un’organizzazione non profit.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 129.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

57

7.2. Le donazioni indirette

In altre situazioni il donatore non sceglie personalmente il destinatario del proprio

dono, ma si serve di un intermediario.

In questa eventualità l’offerta di donazioni (da parte dei soggetti filantropici) non

incontra direttamente sul mercato la domanda di donazioni (da parte di soggetti

bisognosi), ma si avvale di un intermediario che può essere rappresentato da

un’organizzazione “operativa” o “finanziaria”. I “datori” e i “prenditori” di donazioni

realizzano, quindi, una transazione indiretta.

Sul mercato sono dunque presenti due tipologie diverse di strutture che

interfacciano donante e donatario, gli:

a) intermediari operativi;

b) intermediari finanziari filantropici.

7.2.1. Donazioni ad intermediari operativi

L’intermediario operativo è costituito da un’organizzazione che riceve la

donazione dal benefattore ed eroga direttamente beni e servizi ai soggetti in stato di

bisogno.

Rientrano in questa categoria le organizzazioni di soccorso umanitario, come la

Croce Rossa o la Caritas, che intervengono in situazioni di emergenza (ad esempio

guerre o calamità naturali) con proprie strutture (come ospedali, mense o centri di

accoglienza).

Le ragioni per cui un soggetto decide di avvalersi di un intermediario operativo

piuttosto che effettuare direttamente una donazione, possono essere ricondotte alle

seguenti:

− in primo luogo il donante potrebbe incontrare delle difficoltà ad individuare un

singolo soggetto bisognoso da beneficiare;

− in secondo luogo il donante potrebbe scegliere di offrire beni e servizi piuttosto che

denaro, trovandosi però nell’impossibilità di eseguire personalmente un trasferimento

specifico;

− in terzo luogo il donante potrebbe non essere in grado di selezionare il soggetto più

meritevole e bisognoso.

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CAPITOLO SECONDO

58

In tutti questi casi, pertanto, il beneficiante può trovare conveniente avvalersi di

un ente che, per suo conto, seleziona i soggetti meritevoli di assistenza e gli fornisce i

beni e servizi occorrenti.

7.2.2. Donazioni ad intermediari finanziari filantropici

L’intermediario filantropico è costituito da un’organizzazione che raccoglie le

donazioni dai vari benefattori e si impegna a finanziare altri soggetti che provvederanno

a erogare i beni e i servizi alle persone in stato di bisogno. Pertanto l’intermediario non

fornisce ne produce direttamente i servizi richiesti dalla collettività, ma effettua una

selezione dei vari progetti presentati dalle organizzazioni non profit che chiedono

finanziamenti e contributi.

Sono intermediari finanziari le fondazioni grant-making, le community

foundations e i chests.

8. LE CAUSE DI FORMAZIONE DEGLI INTERMEDIARI FILANTROPICI(29)

Le ragioni che spiegano l’origine degli intermediari finanziari filantropici, cioè

di soggetti che si interpongono tra donatore e beneficiario, possono essere fatte risalire

alle inefficienze che si determinano nel cosiddetto «mercato» delle donazioni. In

particolare facciamo riferimento alle asimmetrie informative, ai costi di transazione, alle

dimensioni delle donazioni e ai vantaggi fiscali.

8.1. Le asimmetrie informative(30

I rapporti tra donatore e beneficiario finale o intermediario operativo possono

essere assimilati ad un contratto di agenzia in cui il primo rivesta il ruolo di “principale”

e il secondo quello di “agente”. Nell’ambito di questo rapporto, possiamo ritenere che

colui che effettua la donazione soffra di asimmetrie informative nei confronti del

)

(29) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle

fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 144-151.

(30) Cfr. supra capitolo I, paragrafo 5.2.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

59

beneficiario sia prima di avere effettuato il dono cioè ex ante che successivamente cioè

ex post. Questi squilibri informativi aumentano i costi di agenzia del rapporto.

Le asimmetrie informative ex ante si manifestano quando il benefattore non è in

grado di selezionare un destinatario in quanto non ha la capacità tecnica o le

informazioni necessarie, per valutare prioritariamente la meritorietà dei potenziali

beneficiari. Nell’ipotesi in cui la donazione sia di entità modesta, il costo della raccolta

di informazioni da parte di un singolo donatore può risultare addirittura proibitivo.

Le asimmetrie informative ex post si manifestano quando il benefattore non è in

grado di osservare senza costi il risultato della propria donazione. Il donante, di

conseguenza, dovrà spendere delle consistenti risorse per controllare in che modo il

beneficiario ha utilizzato l’elargizione ricevuta. Il donatario, infatti, ha un notevole

margine di discrezionalità nell’impiego delle donazioni ricevute e proprio questa

circostanza determina la necessità del monitoraggio. Il contratto di donazione, pertanto,

si contraddistingue per un ampio grado di incompletezza.

I costi di monitoraggio del beneficiario sono spesso proibitivi per il singolo

donatore. L’intervento di un intermediario finanziario può consentire di ridurre gli oneri

generati dalle asimmetrie informative. L’intermediario, infatti, nella procedura di

raccolta delle informazioni, di selezione dei possibili beneficiari dei contribuiti e di

verifica delle modalità di effettivo impiego delle risorse, può sfruttare rilevanti

economie di scala.

Per questo motivo i donatori troverebbero vantaggioso delegare tutto il processo

di donazione all’intermediario filantropico che gli consentirebbe di ridurre i costi di

agenzia connessi alla relazione tra donatore e beneficiario.

8.2. I costi di transazione(31

I rapporti tra donatori e beneficiari sono disturbati anche dalla presenza dei

cosiddetti costi di transazione che sono particolarmente evidenti nel caso di donazioni di

ammontare non elevato.

)

In molti casi l’obiettivo del donatore non può essere perseguito a causa

dell’esiguità della sua donazione. In questa evenienza, le donazioni individuali

dovranno aggregarsi tra di loro per raggiungere una massa critica sufficiente

(31) Cfr. supra capitolo I, paragrafo 5.3.

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CAPITOLO SECONDO

60

all’attivazione del progetto. Tuttavia il processo di raccolta fondi o di sollecitazione di

donazioni, denominato fund raising(32

Un ulteriore problema è rappresentato dalla durata temporale del beneficio della

donazione, nel senso che un donatore potrebbe desiderare che il proprio atto di liberalità

non esaurisca il suo effetto nel momento presente ma continui a esplicare la sua utilità

anche in futuro. In questo caso il donatore si orienterà verso la costituzione di una

fondazione che gli consentirà, attraverso i redditi prodotti dall’investimento di un

patrimonio, di sostenere nel corso del tempo un’iniziativa benefica.

), può risultare estremamente oneroso per il

singolo donatore, mentre l’intermediario finanziario filantropico può sostenere costi di

transazione che un singolo donatore non potrebbe affrontare.

Questa strategia presuppone che i patrimoni donati siano investiti in modo da

produrre redditi adeguati. La gestione patrimoniale presenta, però, costi fissi di

transazione che potrebbero essere ridotti all’aumentare delle dimensioni delle masse

amministrate grazie alla realizzazione di consistenti economie di scala.

Un donatore che investa singolarmente il proprio patrimonio sarà meno efficiente

di un intermediario finanziario filantropico che amministri i patrimoni donati da una

pluralità di benefattori. Inoltre un intermediario finanziario potrà realizzare una

diversificazione del portafoglio investito irraggiungibile ai singoli donatori.

8.3. Le dimensioni delle donazioni

I problemi riguardanti la presenza di asimmetrie informative e di costi di

transazione sono amplificati dalle dimensioni dell’atto di liberalità. Nel caso di piccole

donazioni, infatti, i donatori difficilmente possono sopportare i costi connessi alla

(32) «Per sollecitazioni di donazioni si intendono tutte le richieste dirette o indirette di denaro, beni

mobili o immobili, crediti, servizi di volontariato o altre cose di valore, da erogarsi al momento oppure in modo dilazionato, dietro accordo che i beni donati saranno utilizzati senza scopo di lucro, a fini didattici, religiosi, benefici, patriottici, civici o altre cause non profit. Tra le sollecitazioni, figurano anche gli inviti ad aderire a un’organizzazione non profit e gli appelli a chi è già membro di organizzazioni che hanno tra i requisiti principali di appartenenza l’elargizione di una donazione. […] operativamente il fundraising si delinea come la sollecitazione di donazioni; le attività, gli eventi e i materiali che fanno parte integrante della pianificazione, creazione, produzione e comunicazione della sollecitazione; inoltre, la raccolta di fondi, beni immobili o altri beni di valore richiesti in qualità di donazione. Il fundraising comporta ma non si risolve nell’acquisizione e nel rinnovo delle donazioni, né nella raccolta di fondi o risorse, né nell’acquisizione di nuovi fundraiser, né nell’ottenimento di contratti o grant.»: MELANDRI V., Fund raising e accountability, in ZAMAGNI S. (a cura di), Il nonprofit italiano al bivio, Egea, Milano, 2002, pag. 193.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

61

selezione e al monitoraggio dei beneficiari, mentre nel caso di grandi donazioni questi

oneri diventano più sostenibili.

Nella realtà, pertanto, potremmo rilevare la presenza sia d’intermediari filantropici

che raccolgono piccole donazioni da una molteplicità di filantropi con scarse possibilità

economiche, sia di filantropi con elevate disponibilità finanziarie che sostengono

direttamente i costi del processo di donazione.

Nel panorama statunitense le community foundations e i chests sono esempi di

organizzazioni specializzate nella raccolta di piccole donazioni, mentre le private

foundations sono esempi di strutture che ricevono poche donazioni di grande entità a

volte un’unica grande donazione da parte di una sola persona.

In presenza di un patrimonio di dimensioni significative vengono meno le cause

che giustificano la presenza di un intermediario filantropico, infatti, in questa ipotesi i

donatori possono sopportare agevolmente sia i costi di agenzia che quelli dei sistemi di

selezione e monitoraggio. Pertanto la presenza di grandi fondazioni filantropiche,

originate dal patrimonio di un singolo donatore, deve essere interpretata facendo

riferimento a cause aggiuntive rispetto a quelle viste in precedenza.

Le grandi fondazioni private in realtà non sono assimilabili alla categoria degli

intermediari finanziari filantropici, ma rappresentano piuttosto l’esito ad una scelta

organizzativa del fondatore.

Il grande donatore potrebbe fare filantropia senza avvalersi di una struttura

specifica ma acquisendo volta per volta sul mercato i servizi di cui necessita. Ad

esempio potrebbe affidare la gestione del patrimonio ad una istituzione finanziaria e

remunerare un professionista per valutare le richieste di contributi. In pratica potrebbe

segmentare ed esternalizzare le varie fasi del processo di donazione. Oppure potrebbe

costituire un’organizzazione che esegua tutte queste operazioni. Quindi la preferenza tra

queste due possibilità dipenderà esclusivamente dal rapporto tra costi e benefici.

La decisione di un grande donatore di costituire una fondazione è legata, tuttavia,

anche a cause di natura psicologica e sociale. Il grande donatore, infatti, a differenza del

piccolo donatore che non è interessato ad ottenere un ritorno di notorietà dalla sua

donazione, persegue espressamente un obiettivo di «visibilità pubblica».

In questo caso la costituzione di una fondazione «personale», che non è una

struttura totalmente separata dal suo fondatore, ma è un’organizzazione che gli consente

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CAPITOLO SECONDO

62

di raggiungere meglio i suoi obiettivi filantropici, risponde a logiche di visibilità e

promozione sociale.

Occorre comunque rilevare che i problemi di asimmetria informativa colpiscono

anche le grandi fondazioni filantropiche private quando queste orientino le proprie

contribuzioni ad una molteplicità di piccoli beneficiari. In questo caso le fondazioni

filantropiche private valutano economicamente conveniente servirsi di un intermediario,

generalmente una community foundation, per le azioni di selezione e monitoraggio dei

beneficiari di una determinata area territoriale.

8.4. I vantaggi fiscali(33

In Italia l’affermarsi degli intermediari finanziari filantropici nella forma delle

community foundations, è stata determinata dall’art. 30, comma 4, del decreto legge 29

novembre 2008, n. 185, convertito nella legge 28 gennaio 2009, n. 2 che ha introdotto

nell’art. 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, il nuovo comma 2-bis che

dispone che si «considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a),

numero 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme

provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore

di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo

comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale.».

)

La modifica della normativa sulle ONLUS ha ricondotto nell’attività di

beneficienza(34

− le somme erogate provengano dalla gestione patrimoniale o da donazioni

appositamente raccolte;

), con la possibilità di usufruire del relativo regime fiscale agevolato,

anche la cosiddetta “beneficienza indiretta” cioè le erogazioni in denaro effettuate dalle

cosiddette “ONLUS erogative”, cioè dalle fondazioni di comunità, a favore di

organizzazioni del terzo settore (che possono rivestire la natura di soggetto ONLUS o

meno) ed enti pubblici a condizione però che:

(33) EUTEKNE (a cura di), Tuir, IPSOA, Assago (MI), 2010, pag. 1826 e VISCONTI G., Guida alle

organizzazioni non profit e all’imprenditoria sociale. Disciplina civilistica, fiscale e amministrativa, op. cit., pag. 68.

(34) Vds. sul punto anche AGENZIA DELLE ENTRATE, circolare n. 12/E “Art. 30 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 - Enti associativi e norme in materia di ONLUS”, Roma, 9 aprile 2009 e la risoluzione n. 192/E “Istanza di interpello – Art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 – Articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460”, Roma, 27 luglio 2009, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

63

− gli enti beneficiari devono operare prevalentemente nei settori della ONLUS

“erogante” e devono utilizzare “direttamente” i contributi ricevuti per la

realizzazione di progetti di utilità sociale.

Quest’ultima condizione comporta da un lato la necessità, prima di effettuare

l’erogazione, dell’esistenza di un progetto già definito nell’ambito del settore di attività

dell’ente destinatario, quindi non di un programma generico, e dall’altro lato l’obbligo

per le organizzazioni non profit beneficiarie di non ridistribuire le donazioni ricevute a

favore di altri enti.

Quindi le fondazioni aventi natura di ONLUS offrono un ulteriore beneficio fiscale

rispetto a chi dona direttamente a favore di singoli enti non profit e cioè la possibilità di

usufruire della deducibilità fiscale anche per il sostegno di progetti sociali promossi da

enti non iscritti nell’anagrafe delle ONLUS(35

È significativo precisare che la specifica previsione normativa sia stata promossa

dalle fondazioni di origine bancaria che volevano favorire l’attività delle neonate

fondazioni di comunità che rivestivano la qualifica di ONLUS ma che intendevano

erogare fondi anche a soggetti non ONLUS, come le parrocchie(

).

36

Inoltre l’Agenzia delle Entrate, modificando una precedente interpretazione

normativa, ha stabilito che anche i cosiddetti «“enti esclusi” dalla qualifica di ONLUS

possano costituire (o partecipare ad) un soggetto giuridico autonomo avente la qualifica

fiscale di ONLUS, a prescindere dalla circostanza che i medesimi “enti esclusi”

intervengano o meno nell’assunzione delle determinazioni della ONLUS stessa.»(

).

37

).

(35) «In Italia, infatti, la possibilità di dedurre la propria donazione dalla propria dichiarazione dei

redditi dipende dalla natura del soggetto che riceve il contributo. Ne consegue che esistono un numero consistente di iniziative di utilità sociale che non offrono benefici fiscali, in quanto gestite da enti che per diverse ragioni non sono iscritti nell’anagrafe delle onlus. Si pensi solo alle attività sociali delle parrocchie. Ne consegue che, se si dona direttamente a questi enti la donazione non è deducibile, se invece si utilizza per tale fine una fondazione o un ente d’erogazione aventi le caratteristiche onlus che abbia fra le sue finalità la beneficenza, questa potrà in un secondo momento erogare il contributo all’ente non profit per il progetto che si vuole sostenere, in questo modo il donante avrà goduto del beneficio fiscale, anche se il proprio contributo è poi stato destinato a finanziare un progetto gestito da un ente che, pur essendo senza finalità di lucro, non è iscritto nell’anagrafe delle onlus.»: CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, Relazione tenuta all’incontro organizzato dalla Fondazione CAB, Brescia, 13 ottobre 2011, pag. 3, sul sito www.assifero.org.

(36) MAZZINI C., Beneficienza indiretta da Onlus alle parrocchie? Atroci dubbi, 2 settembre 2009, in http://www.quinonprofit.it/?p=565.

(37) AGENZIA DELLE ENTRATE, circolare n. 38/E “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460. Indirizzi interpretativi su alcune tematiche rilevanti.”, Roma, 1 agosto 2011, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

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CAPITOLO SECONDO

64

9. I PROBLEMI DI AGENZIA TRA I DONATORI E L’INTERMEDIARIO FINANZIARIO

FILANTROPICO(38)

I problemi di agenzia non terminano quando il donatore ha effettuato la propria

donazione ad un intermediario finanziario filantropico. Il rapporto che si stabilisce tra

intermediario e donatore è assimilabile ad un rapporto di agenzia con i conseguenti

problemi di asimmetria informativa.

9.1. Intermediari finanziari filantropici nati da una sola grande donazione

Nell’ipotesi in cui il patrimonio della fondazione sia costituito da una sola grande

donazione, come nel caso delle private o delle corporate foundations nordamericane,

l’asimmetria informativa tra il donatore e gli amministratori dell’intermediario è

limitata. Infatti, il fondatore è sempre in grado di governare direttamente o

indirettamente l’intermediario in quanto nomina gli amministratori e attraverso di essi il

management.

A questo scopo gli statuti delle citate fondazioni attribuiscono il potere di nomina

degli amministratori al fondatore, alla sua famiglia, all’impresa fondatrice, a persone da

questi designate, alla cooptazione ovvero a mandati a vita.

Pertanto gli eventuali problemi di agenzia sarebbero superabili grazie alla

possibilità da parte del fondatore di intervenire direttamente sui manager o sul Consiglio

di Amministrazione. Questa situazione rappresenta il tipico caso di concentrated

ownership che consente di risolvere i problemi di agenzia tra coloro che apportano il

capitale di rischio, cioè gli azionisti nel caso dell’impresa e i donatori del patrimonio nel

caso della fondazione, e gli amministratori.

La fondazione che nasce da una sola grande donazione può quindi essere

equiparata a un’impresa ad azionariato concentrato in cui il possesso di una quota

rilevante del capitale sociale dà il diritto di sedere nel Consiglio di Amministrazione.

Tuttavia anche questo meccanismo di governo delle fondazioni può generare

problemi poiché il potere del fondatore o degli amministratori da lui nominati può

(38) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle

fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 150-160.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

65

indurre gli altri stakeholders non owners (i manager e i destinatari dei programmi) a non

effettuare investimenti specifici per il timore di un hold-up problem(39

In una struttura in cui il fondatore può influenzare la gestione dei manager, questi

non avranno incentivi a sviluppare competenze specifiche nella valutazione delle

organizzazioni che richiedono le donazioni. Infatti, le competenze specifiche acquisite

dai manager non sarebbero rivendibili sul mercato – i costi per acquisirle sarebbero dei

sunk costs(

).

40

Questo potrebbe contribuire a spiegare l’esistenza di fondazioni amministrate da

un management scadente, governate dal fondatore mediante un approccio familistico e

in cui gli amministratori (nominati dal fondatore) decidono le elargizioni sulla base di

metodologie non trasparenti e poco professionali.

) – mentre la circostanza che il fondatore possa decidere in ultima istanza

sull’assegnazione dei finanziamenti riduce l’utilità dei manager.

Parafrasando le linee di interpretazione della corporate governance, possiamo

sostenere che quando nella fondazione diminuisce il potere decisionale dei manager,

questi saranno spinti a massimizzare la propria funzione di utilità (che non include la

capacità di valutare le organizzazioni che chiedono i finanziamenti) invece che il

benessere della collettività.

9.2. Intermediari finanziari filantropici nati da molte piccole donazioni

Nell’ipotesi in cui il patrimonio della fondazione sia costituito da una molteplicità

di piccole donazioni, i problemi di agenzia tra donatore e amministratore sono analoghi

a quelli esistenti nelle aziende ad azionariato diffuso le cosiddette public companies.

(39) Il termine hold-up fa riferimento ad una situazione nella quale due parti stanno per effettuare una transazione che richiede investimenti specifici da una parte o dall’altra. «La specificità degli investimenti si riferisce al grado in cui una risorsa può essere riutilizzata in modi alternativi e da altri fruitori senza sacrificarne il valore produttivo. […] più una delle parti si impegna in una transazione, più ha da perdere a causa di eventi imprevisti o per la possibilità che l’altra parte possa avere interesse a rinegoziare termini più favorevoli del contratto. Infatti, la parte in questione si è impegnata con investimenti in risorse non più liberabili senza costi, neppure nel lungo termine, se l’impresa cessa la produzione (sunk cost). Anticipando questo possibile problema di ricatto (hold-up), la parte che diviene più vulnerabile alle azioni dell’altra preferirà rinunciare all’investimento per evitare che questo si possa svalutare o per non vedersi forzata ad accettare condizioni per lei svantaggiose. La tentazione dell’hold-up è particolarmente allettante quando i contratti sono fortemente incompleti, per cui è difficile dimostrarne la violazione. Il rischio di hold-up fa salire il costo della transazione di mercato»: LA BELLA A. - BATTISTONI E., Economia e organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2008, pagg. 121-122.

(40) La «specificità del capitale, sia umano che fisico, […] implica costi di addestramento, progettazione e adattamento per lo svolgimento di funzioni particolari; […] simili costi sono irrecuperabili (costi “affondati” o “sommersi”, sunk costs) in caso di una diversa destinazione di quei componenti del capitale che appaiono più fungibili.»: ACOCELLA N., Elementi di economia politica, op. cit., pag. 38.

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CAPITOLO SECONDO

66

Le public companies sono caratterizzate da quella che Berle A. e Means G.(41

1) da appositi comitati di nomina estranei ai donatori;

)

hanno definito “separazione tra proprietà e controllo” cioè la dissociazione tra il

possesso della società che è nelle mani di una pluralità di piccoli azionisti dispersi, e il

controllo che è il potere di scegliere gli amministratori.

Nelle fondazioni in cui il patrimonio è formato da tante donazioni di entità

modesta, i donatori non sono in grado di nominare direttamente gli amministratori. Gli

statuti delle community foundations prevedono infatti che gli amministratori siano

nominati:

2) sulla base del meccanismo della cooptazione.

In questa situazione emergono nella fondazione gli stessi problemi di agenzia

caratteristici delle public companies. Infatti, nelle società ad azionariato diffuso, il

frazionamento della proprietà azionaria attribuisce ai manager il controllo della società

pur non disponendo essi di capitale. La mancanza di controlli sul management da parte

degli stakeholders (i donatori, i beneficiari e la collettività) a causa degli elevati costi di

monitoraggio, farà sì che gli amministratori tenderanno a massimizzare i propri

benefici.

Negli intermediari finanziari filantropici, il superamento di questi problemi può

allora essere individuato nell’introduzione di un vincolo di non distribuzione dei

profitti.

9.3. Vincolo di non distribuzione dei profitti

I problemi di agenzia tra donatori e amministratori degli intermediari filantropici

possono trovare una soluzione nel “vincolo di non distribuzione dei profitti”(42

(41) BERLE A. - MEANS G., Società per azioni e proprietà privata, Einaudi, Torino, 1966, pagg. 69-

72 (ed. or. The Modern Corporation and Private Property, Macmillan, New York, 1932). (42) BARBETTA G. P. - TURATI G. (a cura di), Organizzazione industriale dei sistemi di welfare,

Vita & Pensiero, Milano, 2007, pagg. 35 e 46-47. Il vincolo di non distribuzione dei profitti significa che gli «eventuali avanzi di gestione che possono essere realizzati debbono essere necessariamente reinvestiti nell’attività» ed «è un segnale credibile del fatto che i manager del nonprofit non si approprieranno del risultato dello sforzo gratuito aggiuntivo per aumentare i profitti, ma lo utilizzeranno per produrre il servizio pubblico, per il quale si ipotizza non esistere alcun problema di asimmetria informativa».

) che

caratterizza questi enti. La natura non profit degli intermediari finanziari filantropici può

essere spiegata attraverso la teoria neo-istituzionalista dell’impresa.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

67

9.3.1. La teoria neo-istituzionalista dell’impresa

In base a questa teoria, le transazioni economiche possono realizzarsi attraverso:

relazioni di mercato

. In questo caso la transazione è regolata da un contratto che

vincola i comportamenti dei contraenti;

relazioni di autorità

Tuttavia i contratti di mercato possono non risultare completi poiché non è

possibile costruire ex ante degli accordi che limitino i comportamenti delle parti in tutte

le situazioni future. Questo potrebbe spingere una delle parti a ridurre il proprio

investimento, con la conseguenza che transazioni mutuamente convenienti non

sarebbero realizzate e la collettività subirebbe una perdita di benessere.

. In questo caso i contraenti stipulano un contratto ma una delle

parti attribuisce all’altra il potere di decidere ciò che non è fissato contrattualmente.

In questa ipotesi è allora vantaggioso fare ricorso alla relazione d’autorità cioè

all’impresa. Infatti l’attribuzione ad un unico soggetto dei diritti di proprietà

sull’impresa, consente di eliminare i comportamenti opportunistici degli altri contraenti.

Quindi l’impresa nasce come risultato del confronto tra il rapporto costi-benefici

della regolazione autoritaria delle relazioni di mercato e il rapporto costi-benefici della

regolazione attraverso i mercati. Inoltre questo meccanismo spiega anche perché i diritti

di proprietà sono attribuiti ad una specifica categoria di stakeholders in quanto si

riducono i costi di contrattazione tra questa classe e l’impresa.

Tuttavia l’assegnazione dei diritti di proprietà ad una categoria di stakeholders

se da un lato riduce i costi di contrattazione tra questi soggetti e l’impresa, dall’altro lato

fa sorgere «costi della proprietà» ad esempio il costo di prendere decisioni.

9.3.2. Il caso degli intermediari finanziari filantropici

Secondo Hansmann le organizzazioni non profit si sviluppano in quei mercati

dove la relazione di mercato determina consistenti problemi in quanto i clienti non sono

in grado di stabilire facilmente la qualità e la quantità dei servizi che ricevono dalle

aziende.

In questa ipotesi esisterà una categoria di stakeholders che sostiene costi di

contrattazione molto alti nei rapporti con l’impresa e per diminuire questi oneri, la

proprietà dell’impresa dovrebbe essere attribuita a questi soggetti.

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CAPITOLO SECONDO

68

Tuttavia può verificarsi che, nel caso di transazioni di modesta entità, anche i

«costi della proprietà» siano troppo elevati per questa classe di stakeholders. Quindi in

questa evenienza diventa impossibile assegnare la proprietà dell’organizzazione ad una

categoria di stakeholder senza gravi conseguenze in termini di efficienza.

Per questa ragione vengono costituite le organizzazioni non profit cioè strutture

senza proprietari, gestite dai manager al servizio degli stakeholders. Se prendiamo in

considerazione non transazioni di mercato ma donazioni ad intermediari finanziari

filantropici od operativi, questa spiegazione diventa altamente significativa. I piccoli

donatori che affidano le proprie elargizioni all’intermediario filantropico, sono soggetti

a forti asimmetrie informative poiché non possono controllare l’uso della donazione da

parte dell’intermediario se non con costi molto elevati.

Da ciò deriva che la modalità più efficiente di attribuzione dei diritti di proprietà,

sarebbe quella di assegnare ai piccoli donatori la proprietà e il connesso controllo

dell’intermediario, riducendo in questo modo i costi di contrattazione.

Tuttavia nel caso di tante piccole donazioni, i «costi della proprietà»

dell’organizzazione potrebbero risultare più elevati dei benefici. Per questo possono

nascere organizzazioni non profit.

9.4. Regolazione degli intermediari finanziari filantropici

In una fondazione governata dai manager, il vincolo di non distribuzione degli

utili non garantisce il perseguimento della sua funzione obiettivo che consiste nella

massimizzazione del flusso delle erogazioni nei confronti dei donatori e dei beneficiari.

Quindi in un’organizzazione non lucrativa se: a) le caratteristiche dei beni e dei

servizi prodotti dipendono dallo sforzo dei manager, b) le caratteristiche dei beni

prodotti non sono osservabili e c) i manager sono avversi al rischio; allora un contratto

non profit che stabilisca la loro remunerazione spingerà i manager a minimizzare gli

sforzi per massimizzare la propria utilità. Le azioni dei manager potrebbero, in qualche

occasione, portare a delle buone erogazioni filantropiche ma ciò non è garantito.

La natura di enti non profit degli intermediari finanziari filantropici rappresenta

quindi esclusivamente una “garanzia minima” per i donatori poiché non assicura il reale

perseguimento dei fini della fondazione.

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

69

Nel caso di una fondazione nata da molte piccole donazioni, questi «problemi di

agenzia» nei confronti dei manager e degli amministratori, accomunano tutte le

categorie di stakeholders cioè i donatori, i beneficiari e la collettività, rappresentata

dall’amministrazione tributaria che effettua le cosiddette “spese fiscali”(43

Pertanto tutti questi soggetti andrebbero tutelati dagli eventuali abusi degli

amministratori anche facendo ricorso ad appropriati interventi regolativi pubblici. La

legislazione americana ha effettuato interventi in questo settore nei confronti sia delle:

), che

subiscono una perdita ogni qual volta la fondazione non persegue i propri obiettivi.

− fondazioni nate da una sola grande donazione per le quali è previsto l’obbligo di

distribuire annualmente in erogazioni almeno il 5% del valore corrente del

patrimonio netto (minimum payout requirement) e questo allo scopo di tutelare i

beneficiari e la collettività e di spingere le organizzazioni a fare rendere al meglio il

patrimonio;

− fondazioni nate da molte piccole donazioni, cioè le community foundations, per le

quali è previsto l’obbligo di raccogliere annualmente da un vasto pubblico un certo

ammontare di contributi destinati ad incrementare il patrimonio o alimentare le

erogazioni (public support test). Questo vincolo consente di allineare gli interessi

degli amministratori con quelli dei donatori e dei beneficiari in quanto la raccolta di

donazioni rappresenta un buon indice dell’efficacia dell’azione erogativa.

(43) «Uno strumento meno ovvio di protezione sociale è l’uso delle cosiddette tax expenditures. Il

sistema tributario può essere associato alla protezione sociale, tramite (a) la generazione di gettito; (b) la struttura impositiva; e (c) i sussidi impliciti e mirati, che vanno sotto il nome di tax expenditures. […] Disposizioni mirate del codice tributario, specialmente quelle riguardanti deduzioni o crediti di imposta per spese individuali ritenute socialmente importanti - quelle per la sanità, l’istruzione, la formazione, l’abitazione - sono tax expenditures o spese fiscali. Per i contribuenti le varie agevolazioni riducono il costo di queste spese, aiutandoli così a far fronte a particolari rischi. In questo modo, per molti ma non per tutti i contribuenti, le tax expenditures mirano a produrre risultati, in termini di protezione sociale o obiettivi simili, analoghi a quelli che ottenibili direttamente dallo Stato con la spesa pubblica. I governi spesso considerano le tax expenditures come diretti sostituti dei programmi di spesa. […] Le tax expenditures sono particolarmente rilevanti quando sono collegate alle imposte sul reddito personale e quando queste ultime hanno aliquote elevate e livelli bassi di reddito esente. I difetti delle spese fiscali sono da ricercarsi nel fatto che non si prestano a fungere da strumento di selezione dei beneficiari e che, specie quando assumono la forma di deduzioni dal reddito invece che detrazioni di imposta, assumono un valore maggiore per i contribuenti più ricchi, soggetti alle aliquote più elevate. Inoltre, chi è troppo povero per pagare l’imposta sul reddito non trae alcun beneficio dalle tax expenditures. Le spese fiscali, quindi, possono finire con il fornire protezione sociale a molti individui ma non ad alcuni che hanno maggiormente bisogno di tale protezione.»: BOSCO B. - PISAURO G. (a cura di), Politiche pubbliche, sviluppo e crescita, FrancoAngeli, Milano, 2005, pagg. 49-50.

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CAPITOLO SECONDO

70

10. LE PROBLEMATICHE DI GOVERNANCE DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

FILANTROPICI(44)

Il principale problema di governance(45

I modelli di corporate governance delle organizzazioni non lucrative sono stati

analizzati dalla letteratura economica sulla base degli schemi concettuali propri

dell’economia aziendale.

) delle fondazioni è rappresentato dalla

costruzione di architetture in grado di assicurare che gli amministratori si comportino in

modo tale da tutelare tutte le categorie di stakeholders.

Il problema del disegno ottimale della struttura di governo e in particolare di

un’adeguata composizione degli organi di governo, del bilanciamento dei relativi poteri

e della trasparenza dei processi decisionali, è particolarmente rilevante anche nel caso

delle fondazioni cioè di organizzazioni prive di azionisti che sopportano il rischio

generico d’impresa.

Questi problemi riguardano tutte le fondazioni sia quelle nate da una sola grande

donazione (private e corporate foundations) sia quelle nate da una pluralità di piccole

donazioni (community foundations)(46

Nelle fondazioni nate da una sola grande donazione i problemi di agenzia tra

donatore e amministratori sono limitati in quanto il donatore può controllare

direttamente o indirettamente gli amministratori(

).

47

(44) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle

fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 160-164.

). Questa tipologia di enti sono

assimilabili alle imprese la cui struttura di controllo è in mano ad un singolo azionista.

(45) Il termine governance «indica un complesso di valori, principi, regole, strutture e strategie che sottendono la gestione di un’organizzazione, sia essa uno Stato, un’impresa, un’istituzione o un ente non profit.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 164.

(46) In merito alle fondazioni di intermediazione filantropica, i «problemi di governance più spiccati che contraddistinguono questa tipologia di fondazioni derivano dal rapporto di agenzia che si crea fra il donatore e gli amministratori della fondazione stessa. […] non in tutte le fondazioni filantropiche il problema dell’asimmetria informativa si presenta con la medesima intensità; è quindi bene distinguere fra intermediari filantropici nati da una sola grande donazione e intermediari filantropici nati da molte piccole donazioni.»: CODINI A., Strutture organizzative e assetti di governance del non-profit, in PROVASI G. (a cura di), Lo sviluppo locale: una nuova frontiera per il nonprofit, FrancoAngeli, Milano, 2004, pag. 62.

(47) In una struttura di questo tipo sorgono due questioni. «La prima è quella relativa al caso in cui il fondatore, […], non sia più in grado di soddisfare i bisogni specifici della collettività di riferimento. In questo caso, analogamente a quanto si verifica nel caso di aziende profit, si pone un problema di agenzia tra la fondazione e la collettività: il fondatore (agente) si pone obiettivi ed attua comportamenti diversi da

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

71

Invece nelle fondazioni nate da una pluralità di piccole donazioni che sono

equiparabili alle imprese ad azionariato diffuso, è necessaria la realizzazione di

meccanismi di governance in cui i poteri di decisione, implementazione e controllo

siano attribuiti a soggetti diversi e questo al fine di meglio tutelare i vari stakeholders.

Nelle imprese ad azionariato diffuso, la separazione tra organi di governo ed

organi di controllo deriva dalla separazione tra i soggetti che assumono il «rischio

residuale»(48

Anche nelle community foundations cioè nelle fondazioni create da una

molteplicità di piccole donazioni, si determina un’analoga separazione. Occorre tuttavia

precisare che in questa architettura non sono presenti soggetti che sopportano il «rischio

residuale» poiché essendo vietata la distribuzione degli utili, non ci sono soggetti che

detengono il diritto alla remunerazione residuale.

) e quelli che godono della direzione delle decisioni (Fama e Jensen 1983).

I manager della fondazione che sono titolari dell’implementazione delle

decisioni(49

quelli auspicati dalla collettività di riferimento che la fondazione si propone di servire (principale). Si pone, [quindi], la necessità di identificare adeguati meccanismi di convergenza tra le esigenze della collettività e quelle della fondazione, al fine di scongiurare il rischio di eventuali trasposizioni di fini. La seconda questione [riguarda] l’eventuale successione di discendenti alla figura del fondatore. Anche in tal caso, sembra riproporsi un problema di agenzia.». Questo problema può essere risolto attraverso «meccanismi che possano favorire i passaggi di generazione in generazione o di consiglio di amministrazione in consiglio di amministrazione, oltre all’opportunità di un coinvolgimento all’interno degli stessi organi istituzionali della società civile, destinataria dei servizi della fondazione.»: IBIDEM, op. cit., pagg. 61-62.

), non devono quindi sopportare i rischi finanziari dei propri provvedimenti.

In questa situazione è conveniente che il potere di controllo delle decisioni sia affidato a

soggetti diversi (come i boards of trustees) rispetto a coloro che detengono il potere di

(48) In sostanza, con l’avvento della public company «ha fatto la sua apparizione il processo di disintegrazione del diritto di proprietà nelle due componenti del «potere di disposizione», sottoposto ad una forza centripeta, e della «facoltà di godimento», viceversa in moto centrifugo: in altri termini, mentre il controllo tende sempre più a concentrarsi nelle mani dei managers, la proprietà intesa in senso stretto, cioè come diritto di godimento, si sta polverizzando. Ne discende un ruolo dell’azionista confinato ad un mero finanziatore che partecipa al rischio d’impresa in via residuale (si parla infatti di risk bearer e residual claimant), trasferendo le funzioni imprenditoriali – a livello sia decisionale sia di controllo – al management, il vero «padrone» in quanto baricentro di guida privo di un qualsiasi polo dialettico.»: BIRINDELLI G., Strutture proprietarie e sistemi di governance: Riflessioni sull’esperienza delle banche italiane, FrancoAngeli, Milano, 2003, pag. 28.

(49) «Fama e Jensen articolano il processo decisionale in quattro steps: iniziativa, ossia presentazione di proposte per l’impiego di risorse e la predisposizione delle relazioni

contrattuali, endogene ed esogene; ratifica, vale a dire scelta delle decisioni da eseguire; implementazione, cioè esecuzione delle decisioni formalizzate; monitoraggio, inteso sia come misurazione della performance di coloro che ricoprono la veste di

«agente delle decisioni» sia come predisposizione del sistema premiante. I quattro momenti sono a loro volta associabili in modo da enucleare le componenti del sistema decisionale, chiamate dagli Autori «gestione delle decisioni» e «controllo delle decisioni»: nella gestione confluiscono la prima e la terza fase, nel controllo la seconda e la quarta.»: IBIDEM, op. cit., pag. 29.

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CAPITOLO SECONDO

72

implementazione delle decisioni. La separazione tra questi due poteri impedisce che i

detentori del potere di implementazione delle decisioni, non essendo soggetti al «rischio

residuale», perseguano i propri interessi anziché quelli dei beneficiari

La struttura del Consiglio di Amministrazione dovrebbe rappresentare la

soluzione ai costi di agenzia del capitale proprio analogamente anche la formazione del

consiglio di una fondazione dovrebbe aiutare a risolvere i «problemi di agenzia».

Gli azionisti, che sostengono il rischio residuale nelle aziende ad azionariato

diffuso, delegano agli amministratori quindi a soggetti terzi l’implementazione ed il

controllo delle decisioni. Analogamente nelle fondazioni, la presenza nel Consiglio di

Amministrazione di soggetti esterni al fianco dei membri interni (manager) svolge due

importanti funzioni: a) limita la discrezionalità dei manager e b) apporta professionalità

specifiche nei settori di intervento sociale dell’ente. In particolare quindi dovrebbero

essere rappresentate nel consiglio della fondazione tutte le classi di stakeholders (i

donatori, i beneficiari e la collettività).

La conseguenza principale di questa impostazione è che nel Consiglio di

Amministrazione dovrebbe essere limitata la presenza dei manager poiché la

componente esterna apporta un concreto beneficio alle prestazioni dell’impresa solo se

essa è effettivamente indipendente dal management.

La composizione ottima del Consiglio di Amministrazione si ottiene dall’esame

del rapporto tra performances dell’impresa e composizione dell’organo.

Il Consiglio di Amministrazione dovrebbe essere composto da un’adeguata

combinazione di elementi:

interni (executive). Questa componente è costituita da soggetti di elevato profilo

professionale provenienti dall’interno dell’impresa e che hanno il compito di fornire

il punto di vista interno nel processo di valutazione del management;

esterni (monitoring). Questa componente è indipendente dal management ed ha la

funzione di controllare se il management agisce nell’interesse degli azionisti;

con competenze specifiche e legami con altre imprese (instrumental). Questa

componente è in grado di instaurare rapporti con i rappresentanti di altre imprese.

Questa tipologia di composizione del Consiglio di Amministrazione non

rispecchia quella adottata dalle fondazioni, in particolare dalle community foundations,

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L’INTERMEDIAZIONE FILANTROPICA

73

per la difficoltà di individuare l’azionista cioè il soggetto nel cui interesse dovrebbe

essere gestita l’istituzione.

I Consigli di Amministrazione delle fondazioni nate da una sola grande donazione

sono espressione della volontà del fondatore e pertanto il meccanismo di nomina dei

membri è rappresentato dalla cooptazione che assicura la perpetuazione nel tempo della

filosofia del fondatore(50

).

I Consigli di Amministrazione delle fondazioni nate da una pluralità di piccole

donazioni sono diversi e si basano sull’assunto che gli azionisti di riferimento di queste

fondazioni siano costituiti dai donatori e dai beneficiari. In questo caso i membri del

Consiglio di Amministrazione sono nominati da un insieme di organismi pubblici e

privati del territorio in cui operano gli enti, rappresentativi degli interessi dei donatori e

dei bisogni dei beneficiari. Questi amministratori hanno poi il potere di cooptare altri

membri che li affianchino nel governo della fondazione.

(50) «Gli organi di governo delle fondazioni, dunque, sono espressione, più o meno diretta, del

fondatore e dei suoi discendenti. Solitamente è proprio il fondatore stesso a designare, […], le persone alle quali spettano i compiti di governo. […] Gli amministratori possono essere nominati a vita, quindi l’incarico può avere durata illimitata. […] La rimozione dei membri a vita del consiglio di amministrazione dall’incarico avviene, solitamente, secondo il meccanismo dello svuotamento della carica di ogni potere effettivo e con il successivo conferimento di cariche onorarie.»: PROVASI G. (a cura di), Lo sviluppo locale: una nuova frontiera per il nonprofit, FrancoAngeli, Milano, 2004, pag. 61.

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CAPITOLO TERZO

LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

SOMMARIO: 1. La governance delle fondazioni di comunità – 1.1. Gli stakeholders delle

fondazioni di comunità locali – 2. I rapporti tra la fondazione di comunità e gli enti locali – 3. Gli organi istituzionali – 3.1. Il Presidente e il Vice Presidente – 3.2. Il Consiglio di Amministrazione – 3.3. Il Segretario Generale (o Direttore Generale) – 3.4. Il Collegio dei Revisori – 3.5. Il Comitato Esecutivo – 3.6. Il Collegio dei Probiviri – 3.7. Il Comitato dei Donatori – 4. Le erogazioni e le donazioni: aspetti introduttivi – 5. Gli strumenti delle donazioni – 5.1. I Benefici fiscali – 6. Le tipologie di fondi – 7. Le procedure di erogazione dei contributi – 7.1. L’erogazione “a sportello” – 7.2. Il bando “aperto” – 7.3. Il bando “chiuso” – 7.4 Il bando “con raccolta” – 7.5. L’erogazione “con risultato” – 7.6. L’attività erogativa sotto altre forme – 7.7. Il modello operativo dell’attività erogativa della Fondazione Comunitaria Nord Milano – 8. I problemi di governo delle fondazioni di comunità.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

75

1. LA GOVERNANCE DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

«Per corporate governance intendiamo il sistema delle istituzioni [e] delle regole,

sia formali sia informali, che governano il funzionamento dell’impresa.»(1

La «corporate governance fa appello alle competenze di economisti e giuristi per

gli aspetti normativi, ma la sua dinamica non può essere pienamente compresa senza

considerare i contributi della storia, della scienza politica e della sociologia.»(

) e in

particolare la dinamica fra proprietà e controllo.

2

Il concetto di corporate governance è nato nell’ambito delle teorie manageriali

delle imprese for profit ma si è successivamente esteso in diversi altri ambiti e questo

perché l’efficiente governo delle istituzioni pubbliche e private «è un fattore

fondamentale per la crescita e il buon funzionamento di tutto il sistema economico.»(

).

3

Da qui l’importanza di focalizzare l’attenzione sulla governance delle imprese

non profit che non è riconducibile ad un insieme di linee guida definite

aprioristicamente.

)

e potremmo aggiungere sociale.

Nelle imprese non profit «il sistema di governance potrebbe essere sia uno

strumento di controllo da parte degli associati e dei destinatari dell’attività istituzionale

e sia uno strumento competitivo, affinché l’impresa non profit sia gestita per realizzare

la mission attraverso gli obiettivi per cui è nata.»(4

Nelle «grandi fondazioni, bancarie e non bancarie, […] i problemi di governance

si focalizzano al più elevato livello dell’organizzazione aziendale, ossia quello della

selezione degli amministratori, […] dei rapporti tra gli stessi amministratori, i direttori e

gli staff professionalizzati interni»(

).

5

«Le aziende non profit si contraddistinguono per lo svolgimento di un’attività

svolta non nell’interesse della proprietà, bensì svolta direttamente nell’interesse dei

) nonché delle relazioni che si instaurano fra gli

organi di governo e gli stakeholders interni ed esterni.

(1) GOGLIO A. - GOLDSTEIN A., Corporate governance. Un cardine della crescita economica, op.

cit., pag. 11. (2) IBIDEM, op. cit., pag. 13. (3) IBIDEM, op. cit., pag. 7. (4) BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non

profit, op. cit., pag. 121. (5) IBIDEM, op. cit., pag. 154.

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CAPITOLO TERZO

76

beneficiari e indirettamente, in un’ottica di sistema, anche per la collettività di

riferimento. Quest’ultima è costituita da soggetti con esigenze, attese e interessi

differenti.»(6

L’implementazione di un adeguato assetto istituzionale e di un razionale

meccanismo di governance, in grado di stimolare continui rapporti di verifica e

controllo (checks and balances) e di soddisfare i bisogni di tutte le parti in causa,

richiede la conoscenza preliminare di quelli che sono i portatori di interessi, i cosiddetti

stakeholders, nell’ambito delle fondazioni di comunità.

).

Tuttavia il vero obiettivo di ogni modello di governance delle fondazioni di

comunità dovrebbe essere quello di creare le condizioni per ridurre la tendenza ad

utilizzare in modo strumentale la filantropia istituzionale(7

).

1.1. Gli stakeholders delle fondazioni di comunità locali(8

Se consideriamo la fondazione come «il centro di una comunità che si crea attorno

a uno specifico bisogno sociale o problema. Tutti i membri di questa comunità

condividono il medesimo fine, con ruoli e livelli di coinvolgimento diversi: la ONP

costituisce il catalizzatore delle risorse messe a disposizione dai vari soggetti.».

)

La capacità di una fondazione di comunità di perseguire i propri obiettivi è

connessa alla sua capacità di costruire e gestire al meglio i rapporti con la comunità di

riferimento. I soggetti che identificano gli stakeholders(9

(6) IBIDEM, op. cit., pag. 122.

) della fondazione di comunità

si possono suddividere in sette gruppi:

(7) CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 15. (8) SAVOLDELLI A. - BORGNA F. - LETTIERI E., La gestione della conoscenza nelle organizzazioni

non-profit, FrancoAngeli, Milano 2004, pagg. 22-25 e BUCCIONE C., Modelli di governance e prospettive di sviluppo manageriale nelle imprese non profit, op. cit., pagg. 122-123.

(9) Nell’approccio di Clarkons l’autore «distingue l’insieme degli stakeholder in: a) stakeholder primari definiti come l’insieme dei soggetti senza la cui continua partecipazione l’impresa

non può sopravvivere come complesso funzionante. Si tratta tipicamente dei conferenti capitale risparmio, dei conferenti lavoro, degli investitori, dei clienti, e dei fornitori, delle amministrazioni pubbliche e delle comunità locali che mettono a disposizione condizioni generali di ambiente quali le infrastrutture, i mercati, l’assetto normativo ecc.;

b) stakeholder secondari definiti come l’insieme dei soggetti che pur esercitando un’influenza sull’impresa ed essendo impegnati in processi di transazione con essa, non sono, tuttavia, essenziali per la sua sopravvivenza.

Nell’approccio della stakeholder theory, invece, si distingue tra stakeholder interni, individuati come coloro che sono parte integrante dell’assetto organizzativo ed istituzionale delle imprese (prestatori di capitale di risparmio, prestatori di lavoro), e stakeholder esterni soggetti che pur operando al di fuori dei confini organizzativi dell’azienda hanno, tuttavia, il potere di influenzarne direttamente o indirettamente la gestione.»: FRANCESCONI A., Comunicare il valore dell’azienda non profit, op. cit., pag. 40.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

77

− i promotori sono rappresentati da tutte quelle autorità locali (Prefetto, Vescovo, ecc.)

o soggetti in vista della comunità, i cosiddetti civic leader(10

), che impegnano il

proprio prestigio personale e la propria autorevolezza per la riuscita dell’iniziativa;

gli operatori interni

sono coloro che contribuiscono con la loro opera all’attività della

fondazione. In questa categoria rientrano gli amministratori della fondazione (cioè i

componenti del Consiglio di Amministrazione e degli eventuali comitati interni), i

collaboratori (ad esempio professionisti esterni), i dipendenti (ad esempio il

personale di segreteria) e gli eventuali volontari;

i donatori o sostenitori

sono coloro che attraverso i loro contributi o legati danno vita

alla fondazione di comunità e nel tempo ne sostengono l’attività consentendogli di

svolgere in modo duraturo la sua attività e di raggiungere i suoi obiettivi. I donatori

possono contribuire all’attività della fondazione non solamente mediante donazioni

di risorse di natura finanziaria, ma anche di natura patrimoniale o personale;

le altre organizzazioni non profit

sono costituite da tutti quegli enti non lucrativi che

gestiscono operativamente le strutture assistenziali o benefiche dirette al

perseguimento dello scopo sociale;

i destinatari

sono le persone a cui è diretta, in via mediata, l’attività filantropica della

fondazione;

i simpatizzanti

sono tutti coloro che non rientrano in nessuna delle categorie

precedenti ma che conoscono e condividono le finalità dell’ente e seppur senza un

coinvolgimento diretto e materiale, se ne possono fare promotori presso i terzi;

la pubblica amministrazione

(10) I civic leader sono «soggetti riconosciuti da tutta la comunità come rappresentanti genuini di

una sua parte o della sua interezza, in grado di esercitare un forte ascendente sulla popolazione in genere o su una determinata categoria economica o sociale. La presenza di civic leader è elemento chiave per la connessione con la comunità e finisce per essere il primo fattore di comunicazione per la legittimazione della fondazione.»: CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Seconda parte: struttura e attività, Quaderni di discussione delle fondazioni italiane, Fondazione Cariplo, n. 2, marzo 1998, pag. 6.

(locale e regionale) nutre un duplice interesse nei

confronti della fondazione di comunità. Da un lato l’ente locale si può fare

promotore diretto della costituzione di una fondazione di comunità come nel caso

della “Fondazione di Comunità della Sinistra Piave per la Qualità di Vita” nata su

input della Conferenza dei Sindaci del territorio dell’Azienda ULSS n. 7 di Pieve di

Soligo (TV), mentre dall’altro lato il finanziamento delle organizzazioni non profit

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CAPITOLO TERZO

78

del territorio consente all’ente locale di garantire un certo livello di servizi sociali

senza doverne sostenere i relativi costi.

2. I RAPPORTI TRA LA FONDAZIONE DI COMUNITÀ E GLI ENTI LOCALI(11)

I rapporti di collaborazione che possono instaurarsi tra gli enti locali territoriali e

la fondazione di comunità possono essere particolarmente intensi.

Le forme di collaborazione che possono concretizzarsi sono essenzialmente tre:

1) in primo luogo la fondazione di comunità può svolgere il ruolo di sostituto

dell’amministrazione locale

In questo caso l’ente locale potrebbe esternalizzare alla fondazione di comunità

alcuni segmenti dell’attività di selezione dei soggetti beneficiari di sovvenzioni,

contributi o sussidi pubblici. In particolare la fondazione potrebbe occuparsi della

valutazione dei progetti degli aspiranti beneficiari nell’ambito di procedure selettive

pubbliche di attribuzione di vantaggi economici a soggetti ed enti privati, disciplinate

dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. L’affidamento alla fondazione di comunità,

mediante accordi o convenzioni, di queste attività potrebbe trovare la sua

giustificazione nella necessità, da parte dell’ente pubblico, di avvalersi di specifiche

professionalità, non presenti al suo interno, e che se acquisite direttamente

comporterebbero il sostenimento di notevoli costi.

.

Un’altra attività che potrebbe essere esternalizzata alla fondazione è quella

riguardante il controllo degli standard qualitativi dei servizi sociali che l’ente locale

ha affidato con contratto a soggetti privati. Anche in questo caso la fondazione di

comunità potrebbe mettere in campo le proprie competenze tecniche sviluppate dai

comitati interni che selezionano i progetti cui erogare i contributi;

2) in secondo luogo la fondazione di comunità può divenire la beneficiaria diretta di

donazioni o atti di liberalità disposti dall’ente locale

Gli enti territoriali hanno piena capacità di diritto privato e quindi possono porre in

atto anche negozi di donazione purché ciò avvenga per ragioni d’interesse pubblico.

.

(11) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, in «Sanità Pubblica e Privata», Maggioli,

Rimini, giugno 6/2004, pagg. 273-281.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

79

In particolare la costituzione, mediante una donazione modale, di un fondo

patrimoniale destinato a realizzare nel tempo interventi di utilità sociale a beneficio

di una collettività (che già avrebbe usufruito di contributi), permetterebbe all’ente

locale di conseguire i medesimi fini d’interesse pubblico. Inoltre la donazione

modale rappresenta per la pubblica amministrazione uno strumento meno oneroso

rispetto ai diversi procedimenti amministrativi con cui l’amministrazione dovrebbe

periodicamente selezionare i beneficiari delle sovvenzioni;

3) in terzo luogo la fondazione di comunità e gli enti locali potrebbero individuare

idonee forme di coordinamento

Queste forme di coordinamento sono dirette a rendere complementari le attività

erogative degli enti locali e della fondazione di comunità nel settore dei servizi

sociali. Per quanto riguarda la fondazione di comunità, un’azione di coordinamento è

ipotizzabile solo relativamente a quei fondi che non abbiano una finalità già

determinata.

.

3. GLI ORGANI ISTITUZIONALI(12)

Secondo Bernardino Casadei è difficile parlare di governance e di modelli di

funzionamento delle fondazioni di comunità poiché ogni ente risponde ad esigenze e

principi specifici(13

(12) IBIDEM, op. cit., pagg. 258-262. (13) CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 2.

).

Il problema principale che deve essere affrontato nella costituzione di una

fondazione comunitaria è la definizione della composizione, dei poteri e del

funzionamento dell’organo di governo.

Un’altra decisione fondamentale riguarda i rapporti che devono essere instaurati

fra i vari organi che compongono la struttura e la dialettica all’interno di ciascun

organo.

Lo statuto è il documento che disciplina la struttura organizzativa, la governance e

lo scopo della fondazione di comunità.

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CAPITOLO TERZO

80

«Per quanto riguarda la governance delle fondazioni comunitarie italiane, è

possibile distinguere tra organi necessari e organi eventuali. Sono organi necessari: il

presidente, il consiglio di amministrazione; il comitato esecutivo; il collegio dei

revisori. Sono, invece, organi eventuali: il vicepresidente; il segretario generale; il

collegio dei probiviri; il comitato o assemblea dei sostenitori.»(14

Le fondazioni comunitarie adottano una governance di tipo tradizionale e, dal

punto di vista macrostrutturale, assumono una struttura semplice o elementare(

).

15

Lo statuto stabilirà la composizione e le competenze dei vari organi che

compongono la struttura organizzativa, in particolare il:

).

a) Presidente;

b) Vice Presidente;

c) Consiglio di Amministrazione;

d) Segretario Generale;

e) Collegio dei Revisori;

f) Comitato Esecutivo;

g) Collegio dei Probiviri;

h) Comitato dei Donatori.

(14) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello

americano nel sistema giuridico italiano, in «InDret. Revista para el analis del derecho», Barcellona, n. 2/2005, maggio 2005, pag. 9, in www.indret.com/pdf/282_it.pdf.

(15) «La (macro) struttura organizzativa semplice, presente di fatto solo in fondazioni di piccole dimensioni, è coerente con una scelta strategica orientata al grant making, anche se non in modo totalitario e proattivo. L’area geografica di riferimento è tipicamente locale. L’organico è ridotto […]. La struttura organizzativa elementare, pure prevalente nelle fondazioni di piccola dimensione, è coerente con una scelta strategica orientata al grant making. La differenza rispetto alla tipologia semplice è rappresentata da un organico maggiore, da una maggiore strutturazione degli organi interni […]»: ACRI, Sesto rapporto sulle Fondazioni bancarie, Roma, 2001, pagg. 116-117 e 122, sul sito www.acri.it e CIOCCORELLI G. - PREVITALI P., La community foundation, in Le fondazioni ex bancarie. Orientamento strategico, assetto organizzativo e competenze manageriali, Giuffré, Milano 2002, pag. 112.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

81

Comitato di Nomina Nomina parzialmente o nella sua interezza il Consiglio d’Amministrazione

Può comprendere: • Il Vescovo o altra autorità religiosa • Il Prefetto • Il Presidente della Provincia • Il Sindaco del Capoluogo • Il Presidente CCIAA • Il Presidente del Tribunale

• Presidenti ordini avvocati, notai, commercialisti • Il Rettore dell’Università • Rappresentante di altre fondazioni • Presidente centro servizi per il volontariato • Altre autorità e personaggi noti

Collegio dei Revisori Controlla l’amministrazione

Collegio dei Probiviri Dirime le controversie

Consiglio d’Amministrazione

Dirige la fondazione

Presidente

Rappresenta la Fondazione

Comitato Esecutivo

Garantisce l’ordinaria amministrazione

Segretario Generale Gestisce le attività della

Fondazione

Comitato Marketing Si preoccupa di preparare il piano di marketing e comunicazione e quindi di verificare che esso venga effettivamente applicato

Comitato di Gestione Supervisiona le attività della struttura operativa e si preoccupa di garantire la corretta tenuta dei verbali e dei libri contabili

Comitato Risorse

Responsabile della strategia per la raccolta fondi sia di natura patrimoniale che da erogare immediatamente

Comitato Erogazioni

Individua le attività di utilità sociale da finanziare Eventuali sottocomitati specializzati in specifiche aree d’interesse

Comitato Investimenti Responsabile di elaborare i criteri che devono guidare l’investimento del patrimonio e di verificare la loro realizzazione

Ogni comitato, tranne il Comitato di Nomina, è di norma, presieduto da un membro del Consiglio d’Amministrazione

FIG. 3.1 – Organigramma di una fondazione di comunità(16

)

(16) FONDAZIONE CARIPLO, Quaderni operativi – La Struttura, Milano, sul sito www.assifero.org.

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CAPITOLO TERZO

82

3.1. Il Presidente e il Vice Presidente

Il Presidente è nominato dal Consiglio di Amministrazione tra i suoi componenti

ed ha la rappresentanza legale della fondazione. Inoltre il Presidente:

− convoca e presiede il Consiglio di Amministrazione e il Comitato Esecutivo;

− cura l’esecuzione delle delibere adottate dagli organi collegiali;

− cura la corretta gestione amministrativa della fondazione e l’osservanza dello statuto;

− adotta, nei casi di necessità ed urgenza, ogni opportuno provvedimento che sarà

sottoposto alla ratifica del Consiglio di Amministrazione nella prima seduta

successiva all’assunzione.

Il Presidente può essere nominato a scrutinio segreto(17) ovvero a scrutinio palese

con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio(18

Analogamente il Vice Presidente o i Vice Presidenti sono nominati dal Consiglio

di Amministrazione fra i propri membri e sostituiscono il Presidente in caso di assenza

o impedimento.

).

Una determinazione molto importante riguarda il rapporto fra il Presidente ed il

resto del consiglio(19

primo la figura del presidente si identifica di fatto con quella del Direttore Generale

quindi è lui che comanda, mentre il resto dei consiglieri hanno un ruolo marginale e

spesso si limitano ad approvare o ad emendare quanto è loro proposto dal Presidente;

). In questo ambito sono possibili due modelli diversi nel:

secondo il Presidente è in realtà un primus inter pares perciò il suo compito è quello

di stimolare e coordinare il confronto all’interno del consiglio stesso e di valorizzare

il contributo di ciascun consigliere.

3.2. Il Consiglio di Amministrazione

Il «consiglio d’amministrazione di una fondazione non è il padrone della

fondazione e ciò neppure se fosse composto esclusivamente dai suoi fondatori. Il

consiglio d’amministrazione è infatti un organo al servizio della fondazione, il suo

(17) Art. 6 “Il Presidente” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DEL NOVARESE, Novara, 2008, sul sito www.fondazione.novara.it: «Il Presidente è nominato dal Consiglio di Amministrazione tra i propri membri a scrutinio segreto.».

(18) Art. 9 “Il Presidente” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it: «Il Presidente è nominato dal Consiglio di Indirizzo tra i propri membri a scrutinio palese con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio.».

(19) Cfr. sul punto CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 12.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

83

compito è quello di creare le condizioni affinché l’ente possa perseguire nel migliore dei

modi la propria missione.»(20

Il Consiglio di Amministrazione esercita l’ordinaria e la straordinaria

amministrazione della fondazione. In particolare rientrano tra le attribuzioni dell’organo

di amministrazione:

).

− l’elezione del Presidente, del Vice Presidente e dei componenti del Comitato

Esecutivo;

− le deliberazioni in ordine all’estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio;

− la redazione e l’approvazione del bilancio preventivo e consuntivo;

− l’elaborazione delle direttive concernenti la raccolta dei fondi necessari per

incrementare il patrimonio dell’ente, per finanziare progetti di utilità sociale e far

fronte alle spese operative della fondazione;

− la definizione delle direttive e l’adozione delle deliberazioni relative alle erogazioni

dell’ente;

− le decisioni in ordine ad eventuali modifiche dello statuto su proposta del Comitato

Esecutivo;

− la definizione delle linee concernenti gli investimenti del patrimonio della

fondazione;

− la nomina del Segretario Generale della fondazione;

− l’istituzione di comitati e commissioni.

In molte fondazioni di comunità il Consiglio di Amministrazione più che un

organo di governo è un organo di indirizzo in quanto: in primo luogo è composto da

volontari che non ricevono compensi e che quindi possono dedicare un tempo limitato

alla vita dell’ente e in secondo luogo si riunisce saltuariamente e concentra la propria

attività nella definizione di quelle che sono le scelte strategiche, lasciando di fatto la

gestione alla struttura operativa(21

In linea generale, lo statuto attribuisce il potere di designare i consiglieri ad alcune

autorità civili e religiose della comunità locale quali:

).

− il Prefetto;

− il Presidente della Provincia;

− i Sindaci dei Comuni interessati;

(20) IBIDEM, op. cit., pag. 11. (21) Cfr. sul punto IBIDEM, op. cit., pagg. 11-12.

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CAPITOLO TERZO

84

− il Rettore dell’Università;

− i Vescovi delle diocesi interessate;

− il Presidente della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura.

Al riguardo occorre precisare che il fondatore e i principali donatori non hanno

diritto di essere rappresentati nell’organo di governo proprio in virtù della particolare

struttura della fondazione di comunità.

Al fine di garantire gli interessi della comunità locale globalmente intesa, sarebbe

preferibile che lo statuto attribuisse il potere di nomina dei membri del consiglio, non

alle autorità civili e religiose singolarmente considerate, ma ad un organo collegiale, il

cosiddetto Comitato di Nomina. Il comitato sarebbe, quindi, chiamato ad eleggere

collegialmente il Consiglio di Amministrazione sulla base di un regolamento dallo

stesso approvato.

Questa procedura collettiva consentirebbe di evitare il rischio che i consiglieri,

designati direttamente dalle autorità civili e religiose, si sentano investiti della

rappresentanza dei loro elettori in seno alla fondazione.

Sarebbe comunque importante che nessuna autorità potesse designare la

maggioranza dei consiglieri e che i componenti del Comitato di Nomina non siano di

diritto i rappresentanti di alcune istituzioni, ma siano scelti tra i cittadini emeriti della

comunità locale.

Una procedura di nomina alternativa dei nuovi consiglieri potrebbe essere

rappresentata dalla cooptazione(22) ovvero dalla designazione da parte del collegio

uscente(23

Per quanto attiene, infine, alla durata in carica degli amministratori, sarebbe

opportuno che lo statuto la statuisse in tre anni rinnovabili una sola volta, con l’ulteriore

accortezza di non procedere al rinnovo dell’intero consiglio ma di operare annualmente

soltanto la sostituzione di alcuni componenti.

).

(22) La Cooptazione è un «Sistema d’integrazione di un corpo consultivo o comunque collegiale,

per cui il nuovo membro viene assunto su designazione di quelli già in carica.». Cooptazione, ad vocem, in La Piccola Treccani. Dizionario Enciclopedico, Istituto della Enciclopedia Italiana, volume III, Roma, 1995, pag. 377.

(23) La designazione da parte del consiglio uscente è una modalità particolarmente diffusa nelle community foundations degli Stati Uniti. Questa procedura di nomina è prevista per le società di capitali dall’art. 2386, comma 1, cod. civ. “Sostituzione degli amministratori”: «Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea.».

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

85

Possiamo osservare, quindi, che le fondazioni di comunità «selezionano e

traducono in pratica, sovrapponendoli, due modelli di rappresentanza: quello fiduciario

e soprattutto quello «sociologico», mentre si esclude quello della delega. Sulla base del

primo modello si presuppone che gli amministratori delle FC agiscano nell’interesse

della comunità, mentre il secondo specifica il criterio di rappresentanza che è di tipo

territoriale.»(24

).

3.3. Il Segretario Generale (o Direttore Generale)

Il Segretario Generale è nominato dal Consiglio di Amministrazione ed è il

responsabile della gestione operativa della fondazione. In particolare collabora:

− alla preparazione del programma dell’attività dell’ente;

− al controllo successivo sui risultati;

− alla predisposizione degli schemi di bilancio preventivo e consuntivo;

− all’attuazione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione.

Inoltre può essere incaricato dell’attuazione dei programmi di attività della

fondazione ed è il responsabile della loro buona amministrazione.

3.4. Il Collegio dei Revisori

Il Collegio dei Revisori è l’organo di controllo amministrativo dell’ente. In

particolare rientrano tra i suoi compiti: la vigilanza sull’osservanza della legge e dello

statuto e l’accertamento della regolare tenuta della contabilità.

I suoi componenti sono scelti dal Comitato di Nomina ovvero dagli ordini

professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili tra gli iscritti nel

registro dei revisori contabili.

I membri effettivi del collegio partecipano, senza diritto di voto, alle adunanze del

Consiglio di Amministrazione.

(24) FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, in DONATI P. e

COLOZZI I. (a cura di), Generare “il civile”: nuove esperienze nella società italiana, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 89.

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CAPITOLO TERZO

86

3.5. Il Comitato Esecutivo(25

Lo statuto può prevedere l’attribuzione al Consiglio di Amministrazione della

facoltà di delegare ad un Comitato Esecutivo l’esercizio dei poteri di ordinaria

amministrazione. Possono essere conferite al comitato anche le decisioni relative

all’investimento del patrimonio dell’ente e all’utilizzo dei beni strumentali di cui

dispone, sempre nel rispetto delle direttive del Consiglio di Amministrazione.

)

Il comitato è composto dal Presidente, dal Vice Presidente e da alcuni membri

designati dal consiglio stesso nel suo ambito.

3.6. Il Collegio dei Probiviri

Lo statuto della fondazione può anche prevedere la costituzione di un Collegio dei

Probiviri la cui nomina è attribuita al Comitato di Nomina(26

Il collegio ha il compito di:

).

− dirimere, secondo equità (pro bono et aequo) e senza formalità di procedura, le

controversie tra gli organi della fondazione, tra l’ente e i donatori e tra l’ente e i

beneficiari delle erogazioni;

− deliberare in ordine ad eventuali contestazioni circa la decadenza o l’esclusione dalla

carica di consigliere di amministrazione.

3.7. Il Comitato dei Donatori

L’art. 14 dello statuto della “Fondazione Comunità Mantovana”(27

(25) Art. 12 “Comitato Esecutivo” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA,

Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org:

) prevede che

ogni anno il Collegio dei Revisori rediga una graduatoria di coloro (enti o persone

fisiche) che al 31 dicembre dell’anno precedente hanno maggiormente contribuito ad

1. «Il Comitato Esecutivo è costituito dal Presidente, dal Vice Presidente e da cinque a sette altri membri nominati dal Consiglio di Amministrazione tra i suoi componenti.

2. Il Comitato Esecutivo si occupa, su delega e sotto il controllo del Consiglio di Amministrazione, della ordinaria amministrazione.

3. Il Comitato Esecutivo provvede all’investimento più sicuro e redditizio dei mezzi economici che pervengono direttamente alla Fondazione, così come cura il migliore utilizzo dei beni strumentali di cui dispone anche mediante l’esercizio delle corrispondenti attività economiche nell’ambito delle direttive e delle deleghe conferite dal Consiglio di Amministrazione.».

(26) L’art. 13 “Collegio dei Probiviri” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA prevede che il Collegio dei Probiviri sia nominato dal Presidente del Tribunale di Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.

(27) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Statuto, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

87

incrementare il patrimonio della fondazione dalla data della sua costituzione. I primi

venti soggetti di tale graduatoria costituiranno il Comitato dei Donatori per l’anno

successivo.

Il Comitato dei Donatori ha il compito di nominare alcuni membri del Consiglio

di Amministrazione della fondazione.

4. LE EROGAZIONI E LE DONAZIONI: ASPETTI INTRODUTTIVI(28)

Nell’esperienza comune le erogazioni sono normalmente qualificate e confuse con

le donazioni. È necessario, pertanto, indagare sul rapporto tra erogazioni e donazioni e

in particolare sulla natura giuridica delle donazioni effettuate a favore delle fondazioni

di comunità.

La donazione, secondo la definizione data dall’art. 769 cod. civ., è un contratto

con il quale una parte (donante), per spirito di liberalità, arricchisce l’altra (donatario), o

disponendo a favore di questa di un suo diritto ovvero assumendo verso la stessa

un’obbligazione. Gli elementi denotativi del contratto di donazione sono, pertanto, lo

spirito di liberalità (animus donandi) e l’arricchimento (cioè l’incremento del

patrimonio del donatario). La donazione deve essere fatta nella forma dell’atto pubblico,

sotto pena di nullità (art. 782, comma 1, cod. civ.). La forma solenne non è invece

richiesta per le donazioni di modico valore, da valutarsi anche in rapporto alle

condizioni economiche del donante, aventi per oggetto cose mobili (art. 783 cod. civ.),

in questo caso, che è definito anche donazione manuale, è necessario che sia avvenuta la

consegna della cosa(29

Tuttavia la qualificazione delle erogazioni come donazioni determinerebbe come

conseguenza che le erogazioni debbano essere fatte nella forma dell’atto pubblico, a

pena di nullità, a meno che non si tratti di donazioni manuali.

).

Pertanto le erogazioni non possono essere assimilate alle donazioni, ai sensi

dell’art. 769 cod. civ., ma devono essere ricondotte nell’ambito dello schema civilistico

(28) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 262-271 e MANCINI S., La

filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita e Ruolo, op. cit., pagg. 9-10.

(29) TORRENTE A. - SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, op. cit., pagg. 1343-1345.

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CAPITOLO TERZO

88

della donazione modale prevista dall’art. 793 cod. civ.(30) che si caratterizza in ragione

dell’apposizione di un onere all’atto di liberalità da parte del donatore cioè di «una

clausola accessoria, […], che limita l’arricchimento del donatario imponendogli un

obbligo.»(31

In tale figura «diversamente da quel che accade nella donazione c.d. pura,

l’onorato riveste al tempo stesso la qualità di onerato o, secondo una diversa, ma

sostanzialmente coincidente prospettazione, sulla gratuità si innesta un elemento di

onerosità.»(

).

32

L’onere è ravvisabile, negli atti di disposizione a favore della fondazione di

comunità, nella specifica finalità che il donatore imprime alla destinazione del proprio

atto di liberalità.

).

La fondazione, quindi, non effettua spontaneamente le erogazioni ma in

adempimento di un vincolo statutario che la obbliga ad operare per il perseguimento di

uno scopo. Pertanto sull’erogazione effettuata dalla fondazione di comunità, sussiste

una sorta di coazione all’atto che esclude lo spirito di liberalità del disponente. Infatti

mentre un atto di liberalità è compiuto senza alcun obbligo legale cioè nullo iure

cogente(33), un adempimento costituisce al contrario un atto dovuto(34

La discrezionalità della fondazione di comunità nella scelta dei beneficiari delle

erogazioni, non esclude il dovere di agire ma costituisce soltanto la conseguenza di un

dovere che ha contenuto indeterminato e che la libertà di scelta del soggetto onerato va

a colmare.

).

(30) Art. 793 cod. civ. “Donazione modale”:

«La donazione può essere gravata da un onere. Il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata. Per l’adempimento dell’onere può agire, oltre il donante, qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante stesso. La risoluzione per inadempimento dell’onere, se preveduta nell’atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi.».

(31) TRIMARCHI P., Istituzioni di diritto privato, op. cit., pag. 423. (32) MARINI A., Donazione modale, in PALAZZO A. (a cura di), I contratti di donazione, Utet

Giuridica, Torino, 2009, pag. 286. (33) «DONARI VIDETUR, QUOD NULLO IURE COGENTE, CONCEDITUR. Si considera che si doni, ciò che

viene dato senza alcun obbligo legale. Per mezzo di questa massima si mette in evidenza che si considera donazione quell’atto che una persona compie senza esservi costretta da un precedente obbligo, ma per spirito di liberalità. A tale modo di concepire la donazione, come risulta dall’art. 769 c.c., si è ispirato il nostro legislatore.»: ALBANESE U., Massime, enunciazioni e formule giuridiche latine, Hoepli, Milano, 1993, pag. 102.

(34) «DONATIO CUM ONERE. Donazione con onere. A questa espressione è demandato il compito di designare la donazione modale, cioè quella donazione che è accompagnata dall’obbligo del donatario di adempiere un onere. Tale tipo di donazione, come risulta dall’art. 793 c.c., è presente nella nostra legislazione.»: IBIDEM, op. cit., 1993, pag. 102.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

89

Le erogazioni delle fondazioni di comunità non costituiscono, quindi, donazioni

ex art. 769 cod. civ. e non sono sottoposte alla relativa disciplina.

Per l’adempimento dell’onere da parte del soggetto onerato (art. 793, comma 3,

cod. civ.), possono agire sia il donatore sia qualsiasi interessato (ad esempio un

organizzazione non profit che aspiri a ricevere contributi per realizzare determinati

progetti di utilità sociale).

Pertanto il rapporto giuridico che si instaura tra donatore e fondazione di

comunità, secondo le modalità dell’art. 793 cod. civ., è in grado di fornire adeguata

tutela all’interesse del donatore a che i beni donati siano effettivamente utilizzati per le

finalità specificamente indicate.

Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale per le obbligazioni contratte

dalla fondazione di comunità, occorre precisare che l’ente, a fronte delle pretese

creditorie versa nell’impossibilità di eccepire, ex art. 2740, comma 1, cod. civ.(35

), la

separazione tra il proprio patrimonio e i fondi nominativi costituiti per il perseguimento

di specifiche finalità. La conseguenza di questa presunzione giuridica è quella di

frustrare la volontà di coloro che hanno disposto a favore della fondazione, specificando

le finalità cui vincolare i frutti dei beni oggetto degli atti di liberalità.

5. GLI STRUMENTI DELLE DONAZIONI

Le fondazioni di comunità hanno elaborato diversi strumenti per agevolare il

donatore nella sua attività filantropica. Le entrate delle fondazioni di comunità possono

pervenire:

1) dai redditi del patrimonio

(35) Art. 2740 cod. civ. “Responsabilità patrimoniale”: «Il debitore risponde dell’adempimento

delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.».

. La rendita deriva dall’investimento del patrimonio della

fondazione in azioni, obbligazioni e titoli di stato di primari emittenti, generalmente,

con una vasta diversificazione geografica mondiale e settoriale e anche mediante

l’utilizzo di specifici fondi di investimento;

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CAPITOLO TERZO

90

2) da donazioni correnti

3)

. Queste elargizioni, non espressamente destinate all’incremento

del patrimonio, permettono di finanziare iniziative specifiche con interventi

pianificati nel tempo;

da donazioni a patrimonio

4)

. Le fondazioni di comunità danno la possibilità, con una

donazione di 25.000 euro o superiore, di costituire un proprio fondo patrimoniale, i

cui frutti sono destinati perennemente a finalità individuate dal donatore;

da lasciti testamentari

5)

. Con un lascito testamentario è possibile creare un fondo

patrimoniale e scegliere le finalità cui destinarne i frutti, lasciando così un segno

permanente nella comunità;

dal cinque per mille. La legge finanziaria prevede la possibilità di destinare il 5‰

dell’IRPEF a finalità di interesse sociale scelte secondo la sensibilità del

contribuente. In sede di dichiarazione dei redditi, quindi, si può donare, senza alcun

onere a proprio carico, indicando il codice fiscale dell’ente beneficiario(36

6)

);

dall’esercizio di attività accessorie

7)

. Le fondazioni di comunità possono svolgere

attività connesse o strumentali agli scopi dell’ente;

dalla sottoscrizione di una o più cosiddette «Buone Azioni» da 250 o 500 euro(37

8)

).

Le Fondazioni di Comunità di Mantova e Pavia danno la possibilità di donare anche

cifre più basse per incrementare il patrimonio dell’ente;

dalla stipula di polizze vita vincolate. Questa modalità permette di creare un capitale

a favore della fondazione, con l’eventuale indicazione delle organizzazioni o dei

settori beneficiari finali del reddito(38

La “Fondazione della Comunità di Monza e Brianza” è stata la prima fondazione

comunitaria a superare nel novembre 2010 la verifica di conformità ai principi etici

).

(36) Il «5 per mille, […] consente ai privati cittadini di destinare una parte dell’imposta sul reddito

alle Onlus, mediante l’indicazione del codice fiscale di una particolare Onlus nella propria dichiarazione dei redditi. Tali fonti di finanziamento costituiscono però una forma di sostentamento irregolare e per le quali occorre una particolare attenzione e capacità di gestione affinché sia mantenuta viva nel tempo l’attenzione dei soggetti target verso l’azienda non profit mediante un costante flusso di informazioni fornito ai propri sostenitori e stakeholders.»: BRONZETTI G., Le aziende non profit. Un esame degli strumenti di controllo di gestione, FrancoAngeli, Milano, 2007, pag. 95.

(37) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI PAVIA, Rapporto Annuale 2010, Pavia, pag. 17, sul sito www.fondazionepv.it. e FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, Mantova, pag. 7, sul sito www.fondazione.mantova.it.

(38) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI PAVIA, Rapporto Annuale 2010, op. cit., pag. 11.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

91

della Carta della Donazione(39

) e ad ottenere l’autorizzazione all’utilizzo del marchio

“Donare con fiducia”.

5.1. I Benefici fiscali(40

L’Art. 14, comma 1(

) 41), del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 “Disposizioni

urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e

territoriale”(42

Il sistema tributario prevede numerose agevolazioni fiscali per i contribuenti che

effettuano erogazioni liberali a favore di determinate categorie di enti di particolare

), nota come legge “più dai, meno versi”, ha modificato profondamente il

sistema delle agevolazioni fiscali concesse dallo Stato Italiano che, in questo modo, ha

riconosciuto l’importanza fondamentale degli enti non profit, quali motori di sviluppo e

coesione sociale.

(39) «La Carta della donazione nasce con l’intento di regolamentare il fund raising nel settore non

profit e conseguentemente incentivare la diffusione delle informazioni necessarie per conoscere e valutare tutte le attività poste in essere da un’azienda non profit a favore dei “donatori”, effettivi e potenziali, dei collaboratori, volontari e non, dei destinatari delle attività sociali, degli associati ed aderenti e comunque alla comunità. […] Aderendo alla Carta gli enti si assumono, di fronte ai soggetti richiamati, l’impegno di consolidare un contesto di fiducia e di trasparenza in cui possano moltiplicarsi le opportunità di donazione in campo sociale e possa pienamente realizzarsi la crescita del terzo settore. Si tratta di un codice di autoregolamentazione [presentato nel 1998] con il quale gli aderenti si impegnano a tutelare i diritti dei reciproci donatori, in particolare nel loro diritto ad una informazione precisa e trasparente che fornisca loro elementi per valutare l’efficacia delle attività poste in essere dall’ente e l’efficienza della gestione economica.»: BRONZETTI G., Le aziende non profit. Un esame degli strumenti di controllo di gestione, op. cit., pag. 96.

(40) AGENZIA DELLE ENTRATE, guida alle “Erogazioni liberali: le agevolazioni fiscali”, Roma, 2007, sul sito www.agenziaentrate.gov.it e AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, Linee guida per la raccolta dei fondi, Milano, 2011, sul sito www.agenziaterzosettore.it.

(41) Art. 14, comma 1, “ONLUS e terzo settore”: 1. «Le liberalità in denaro o in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti all’imposta sul reddito

delle società in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10, commi 1, 8 e 9, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, nonché quelle erogate in favore di associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale previsto dall'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, in favore di fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e in favore di fondazioni e associazioni riconosciute aventi per scopo statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogatore nel limite del dieci per cento del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui.».

(42) Convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 “Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”.

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CAPITOLO TERZO

92

rilevanza sociale, sia sotto forma di detrazioni d’imposta che come deduzioni(43) dal

reddito imponibile(44

Le persone fisiche che effettuano erogazioni liberali a favore delle ONLUS

(T.U.I.R. - art. 15, comma 1, lett. i-bis)), possono, alternativamente:

) IRPEF.

a) dedurre, in sede di dichiarazione dei redditi, le liberalità in denaro o in natura nel

limite del 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque fino all’importo

massimo di 70.000 euro annui(45

b)

);

detrarre dall’IRPEF, le sole liberalità in denaro, nella misura del 19% da calcolare su

un importo massimo di 2.065,83 euro(46

Gli enti soggetti all’IRES, in particolare società ed enti commerciali e non

commerciali, che effettuano erogazioni liberali a favore delle ONLUS (T.U.I.R. - art.

100, comma 2, lett. h)), possono, alternativamente:

).

a) dedurre, in sede di dichiarazione dei redditi, le liberalità in denaro o in natura nel

limite del 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque fino all’importo

massimo di 70.000 euro annui(47

b)

);

dedurre, ma solo per le erogazioni in denaro, dal reddito di impresa dichiarato un

importo non superiore a 2.065,83 euro ovvero fino al 2% del reddito di impresa

dichiarato senza alcun massimale(48

Le donazioni devono sempre essere eseguite attraverso sistemi di pagamento

documentabili (bollettino postale, bonifico bancario, assegno bancario, carta di credito o

domiciliazione bancaria).

);

Inoltre le fondazioni di comunità offrono ai donatori due ulteriori vantaggi:

il primo è di natura fiscale ed è rappresentato dalla possibilità, fornita dagli

intermediari finanziari, della separazione, in due momenti distinti e distanti nel

(43) «Le deduzioni sono oneri che possono essere scomputati dalla base imponibile del tributo,

diminuendola, mentre le detrazioni sono riduzioni che operano direttamente sull’imposta, permettendo di limitarne l’ammontare»: ORSI C., Manuale di diritto tributario, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2011, pag. 39.

(44) La «Base imponibile del tributo è il valore o la grandezza cui è commisurata l’imposta.»: IBIDEM, op. cit., pag. 39.

(45) EUTEKNE (a cura di), Tuir, op. cit., pagg. 181 e 184. (46) IBIDEM, op. cit., pagg. 294 e 296. (47) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, Linee guida per la raccolta dei fondi, op. cit., pag. 84. (48) EUTEKNE (a cura di), Tuir, op. cit., pag. 1194.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

93

tempo, tra l’atto di donazione e l’individuazione del progetto caritativo da

finanziare(49

il secondo è di natura cautelare ed è rappresentato dalla garanzia, fornita dagli

intermediari filantropici, contro qualunque contestazione da parte del fisco(

);

50

).

6. LE TIPOLOGIE DI FONDI(51)

Le fonti di finanziamento delle fondazioni di comunità sono rappresentate dalle

donazioni. Le risorse provenienti dai donatori (privati cittadini, enti pubblici o

organizzazioni non profit) possono accrescere genericamente il patrimonio dell’ente,

alimentare uno specifico “fondo patrimoniale” già esistente oppure costituire ex novo un

fondo.

Le fondazioni, infatti, possono istituire dei “fondi specifici” che costituiscono dei

patrimoni separati nella disponibilità dell’ente, ciascuno dei quali destinato al

perseguimento di una specifica finalità in conformità delle disposizioni dei donatori.

Nel caso della costituzione di un nuovo fondo il donatore può decidere(52

− la denominazione del fondo;

):

− le finalità filantropiche;

− la durata;

− come e quando donare;

(49) «Non sempre, infatti, il momento che è più conveniente per il donatore fare la propria

elargizione coincide con quello in cui l’ente non profit può ricevere i soldi, soprattutto in un regime come il nostro, in cui il fisco ragiona rigorosamente per cassa, mentre, di norma, il donatore opera per competenza. Così, se il donante decide solo alla fine dell’anno quante risorse può destinare a beneficenza, non è detto che possa individuare entro il 31 dicembre le iniziative che rispondono ai suoi interessi. Se però l’erogazione non avviene entro quella data, essa non potrà essere inserita nella dichiarazione dei redditi dell’anno, ma in quella successiva, quando magari le condizioni saranno cambiate, con il rischio di perdere il beneficio fiscale.»: CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, op. cit., pag. 3.

(50) «Da un lato la fondazione può svolgere il ruolo di schermo in grado di proteggere il donante da qualsiasi contestazione da parte del fisco. Una volta che l’ente è stato costituito nel rispetto della legge, le donazioni che gli vengono fatte sono deducibili o detraibili secondo quanto stabilito dalla normativa vigente. Se poi l’ente dovesse utilizzare tali somme in modo improprio, finanziando progetti che non sono d’utilità sociale, la responsabilità ricadrebbe solo sull’ente stesso e il donatore sarebbe esente da ogni responsabilità o sanzione.»: IBIDEM, op. cit., pag. 4.

(51) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 262-263 e MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita e Ruolo, op. cit., pagg. 6-7.

(52) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, op. cit., pag. 8.

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CAPITOLO TERZO

94

− il ruolo che desidera avere;

− i soggetti che possono donare;

− la destinazione delle donazioni;

− come devono essere erogate le disponibilità;

− la composizione e il ruolo di eventuali comitati;

− come deve essere investito l’eventuale patrimonio;

− quali informazioni devono essere rese pubbliche.

Tra i vari tipi di “fondi specifici” che possono essere creati dalle fondazioni, sul

modello di quelli costituiti dalle community foundations statunitensi, possiamo

menzionare i:

a) FONDI NOMINATIVI

b)

il cui reddito è destinato al finanziamento degli specifici progetti

indicati dal donatore;

FONDI PER LA COMUNITÀ

c)

che sono destinati genericamente a progetti di utilità sociale

nella comunità di riferimento dell’ente;

FONDI PER AREE D’INTERESSE

d)

le cui risorse sono indirizzate a favore di una

particolare area tematica o geografica stabilita dal donatore al momento della

costituzione;

FONDI CON DIRITTO DI INDIRIZZO

e)

nei quali il costituente si riserva la facoltà di

imprimere, con scelte più o meno vincolanti, un indirizzo nella scelta dei beneficiari

e dei progetti da finanziare. In questo caso il donatore partecipa sostanzialmente

all’attività di erogazione;

FONDI DESIGNATI

f)

le cui erogazioni sono stabilmente indirizzate a favore di una o più

organizzazioni non profit selezionate dal donatore al momento della costituzione;

FONDI PER AREE GEOGRAFICHE(53) che sono istituiti per favorire progetti in aree

territoriali specifiche e più ristrette di quella di interesse della fondazione. La

distribuzione dei «contributi avverrà sulla base delle indicazioni di un’apposita

commissione composta da cittadini che vivono e operano in quella particolare

comunità.»(54

(53) Le fondazioni di comunità locali possono «valorizzare il patrimonio di storia, identità,

tradizioni che caratterizzano anche la più piccola località nel nostro Paese, evitando che l’amore per la propria terra non degeneri in campanilismo, ma si trasformi in solidarietà.»: CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, Anno I, n. 4, luglio/agosto 2000, pag. 74.

);

(54) IBIDEM, op. cit., pagg. 74-75.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

95

g) FONDI DI CATEGORIA

h)

che sono costituiti ad esempio dagli ordini professionali

provinciali o da associazioni di categoria;

FONDI MEMORIALI

i)

che sono istituiti da persone fisiche a memoria del loro nome. In

questo caso la costituzione di un fondo presso una fondazione di comunità già

esistente, rappresenta una possibilità meno onerosa della creazione di una nuova

fondazione;

FONDI D’IMPRESA

j)

che sono costituiti da società commerciali secondo lo schema della

fondazione d’impresa, ma con modalità più semplici e meno onerose;

FONDI COSTITUITI DAL PATRIMONIO DI SINGOLE ORGANIZZAZIONI

Inoltre le fondazioni possono promuovere la costituzione dei cosiddetti «granelli

di senape» cioè di contributi di modestissima entità che il singolo donatore può

annualmente donare alla fondazione affinché essa li utilizzi per la costituzione di un

fondo patrimoniale(

in cui le

organizzazioni non profit possono trasferire le proprie dotazioni patrimoniali. In

questo caso la fondazione di comunità costituisce degli appositi fondi che vengono

gestiti professionalmente dalla stessa fondazione per garantire all’organizzazione non

profit una fonte perpetua di finanziamento.

55

Le Fondazioni di Comunità di Mantova e Pavia hanno adottato l’iniziativa delle

cosiddette «buone azioni» in base alla quale i donatori possono donare cifre più basse al

patrimonio della fondazione e ricevere un “certificato” di buona azione, entrando così

nel novero dei cofondatori e venendo iscritti in un apposito albo(

).

56

La gestione dei fondi patrimoniali costituiti presso la fondazione di comunità non

prevede nessun onere burocratico o costo iniziale per il donatore. La fondazione si

limita a prelevare lo 0,5% del valore dei fondi patrimoniali quale contributo alle spese

di gestione(

).

57

La situazione patrimoniale delle principali fondazioni di comunità è qui

sintetizzata in una tabella (i dati sono espressi in euro e sono estrapolati dal bilancio

d’esercizio 2010).

).

(55) IBIDEM, op. cit., pag. 76. (56) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, in «Queste

Istituzioni», Queste Istituzioni Ricerche, Roma, Anno XXXVII, n. 158-159, luglio-dicembre 2010, pag. 143.

(57) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento e linee guida per la costituzione di fondi patrimoniali, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

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CAPITOLO TERZO

96

Fondazione Mantovana Lodi Nord Milano Cremona (58 Bergamasca ) Bresciana

Patrimonio Netto (31.12.2010)

15.044.898 5.444.044 2.034.146 3.703.606 17.279.435 17.831.188

Fondazione Lecco Monza e Brianza ProValtellina Pavia Novarese Comasca

Patrimonio Netto (31.12.2010)

16.012.543 16.584.954 15.309.270(59 3.173.506 ) 20.505.457 16.586.733

Fondazione Clodiense (60 Varesotto )

Verbano Cusio Ossola

Ticino Olona

Riviera Miranese

Terra d’Acqua

Patrimonio Netto (31.12.2010)

1.283.511 15.439.829 3.055.434(61 1.704.745 ) 165.480(62 106.359() 63)

Fondazione Santo Stefano Mirafiori Ponente

Savonese Riviera dei Fiori

Centro Storico Napoli

Salernitana

Patrimonio Netto (31.12.2010)

637.381(64 312.790() 65 224.003() 66 445.569 ) 360.000(67 1.135.111 )

Fondazione Monnalisa Comunità Vicentina

del Territorio di Cerea

Comunità Veronese Treviglio Valle

d’Aosta

Patrimonio Netto (31.12.2010)

205.057(68 275.000() 69 243.149() 70 100.000 ) 2.054.015 55.820

(58) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione per le vie brevi il 27 febbraio 2012. (59) Il dato è stato estrapolato dal bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2011 in corso di

approvazione ed è stato fornito dalla Segreteria della fondazione tramite posta elettronica il 9 marzo 2012. (60) Il dato è stato fornito dalla Fondazione della Comunità Clodiense, Dott.ssa Sara Scarpa,

tramite posta elettronica il 2 marzo 2012. (61) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione tramite posta elettronica il 13 marzo

2012. (62) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione tramite posta elettronica il 9 marzo

2012. (63) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione per le vie brevi il 27 febbraio 2012. (64) Il Bilancio 2010 è stato fornito previa autorizzazione del Presidente della Fondazione di

Comunità Santo Stefano, tramite posta elettronica il 6 marzo 2012. (65) Il dato è stato fornito dal Segretario Generale della Fondazione della Comunità di Mirafiori,

Dott.ssa Silvia Cordero, tramite posta elettronica il 27 febbraio 2012. (66) Bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2009. (67) Il dato è stato fornito dalla Segreteria della fondazione nelle vie brevi il 27 febbraio 2012. (68) Bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2009. (69) Il dato è stato fornito dal Segretario Generale della Fondazione di Comunità Vicentina, Silvio

Fortuna, per le vie brevi il 1° marzo 2012. (70) Il dato relativo al bilancio 2009 è stato fornito dal Segretario Generale della Fondazione della

Comunità del Territorio di Cerea, Dott. Nicola Tomezzoli, per le vie brevi il 16 marzo 2012.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

97

7. LE PROCEDURE DI EROGAZIONE DEI CONTRIBUTI(71)

«L’erogazione di contributi (grantmaking) è il fulcro della attività di una

fondazione comunitaria intesa come istituzione filantropica che non gestisce in prima

persona progetti propri.»(72

Sono molteplici le modalità con cui una fondazione di comunità può: sollecitare le

richieste di contributi da parte delle organizzazioni non profit, procedere alla selezione

dei progetti più meritevoli ed erogare i relativi finanziamenti.

).

Una delle decisioni fondamentali della politica di erogazione è la scelta tra un

approccio reattivo o propositivo(73

In particolare le fondazioni di comunità possono utilizzare: l’erogazione “a

sportello”, il bando “aperto”, il bando “chiuso”, il bando “con raccolta”, l’erogazione

“con risultato” e altre modalità.

).

I bandi vengono deliberati dall’organo amministrativo e pubblicizzati con vari

mezzi.

«La procedura di selezione dei progetti prevede:

i. una prima istruttoria e classificazione da parte della Segreteria Generale che mette in

evidenza la completezza e regolarità della domanda e la coerenza con le finalità e le

linee guida(74

(71) MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita

e Ruolo, op. cit., pagg. 7-9.

) previste dal bando;

(72) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Seconda parte: struttura e attività, op. cit., pag. 31.

(73) «Si parla di grantmaking reattivo per indicare una politica di erogazione impostata sulle domande pervenute alla fondazione, che si preoccupa quindi di selezionare i migliori progetti fra quelli proposti e di finanziarli in tutto o in parte. Si tratta di una politica prevalentemente passiva di fronte alla comunità, che si fonda necessariamente su una intensa e trasparente comunicazione con tutte le componenti del settore nonprofit, in modo che tutte le organizzazioni siano in grado di conoscere i requisiti necessari per fare una domanda di contributo e siano messe nelle condizioni di competere. Attuare questa politica significa presupporre che i bisogni emergenti della comunità possano trovare espressione nelle domande presentate ed adoperarsi perché ciò possa di fatto realizzarsi. Il grantmaking reattivo è scelto di frequente dalle fondazioni comunitarie di nuova costituzione in quanto non hanno i mezzi necessari, né hanno maturato le capacità adatte per una politica di erogazione più attiva.»: IBIDEM, op. cit., pag. 33.

(74) Le linee guida a «differenza dei codici, sono strumenti normativi leggeri (soft law), ovvero codici di autoregolamentazione, utili per la corretta osservanza di una particolare disciplina legislativa. Vengono definiti strumenti normativi “leggeri”, perché funzionano come norme non vincolanti e sulla loro base sono poi regolati casi specifici.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 186.

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CAPITOLO TERZO

98

ii. una valutazione professionale da parte degli esperti di settore che esprimono il loro

parere sul progetto presentato;

iii. un esame approfondito di merito da parte del Comitato di Selezione che evidenzia

anche la suddivisione territoriale e settoriale [degli] interventi;

iv. la valutazione e la selezione finale del Consiglio di Amministrazione.»(75

).

7.1. L’erogazione “a sportello”

In questo caso l’ente eroga i contributi sulla base di richieste di finanziamento che

gli aspiranti beneficiari presentano a sostegno di un progetto ritenuto d’interesse per la

fondazione e rientrante tra le sue finalità istituzionali.

Ad intervalli regolari, il Consiglio di Amministrazione procede alla valutazione

dei progetti presentati e alla scelta di quelli ritenuti conformi agli obiettivi della

fondazione. L’organo amministrativo può essere sostituito in questa funzione da un

comitato di valutazione appositamente costituito.

7.2. Il bando “aperto”

Nell’erogazione “a sportello”, l’aspirante beneficiario conosce esclusivamente le

finalità della fondazione di comunità indicate nello statuto e sulla base di queste

presenta il suo progetto.

Nel bando “aperto”, invece, la fondazione rende pubblico(76

I bandi “aperti” si caratterizzano per la circostanza che non hanno una data di

scadenza (per questo si dicono “aperti”) e quindi rimangono attivi a tempo

indeterminato ovvero fino alla loro revoca.

) l’avvio di

un’erogazione specificando: le modalità di finanziamento, i settori di intervento, i criteri

di selezione dei progetti e altre informazioni.

(75) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2010, op. cit., pag. 12. (76) Il «bando pubblico dotato di un preciso regolamento, per selezionare i progetti da finanziare,

[è] lo strumento più idoneo a sollecitare il controllo di tutta la comunità, e nel contempo favorisc[e] anche i potenziali donatori nello scegliere le iniziative ritenute più meritevoli e rispondenti alle proprie sensibilità»: FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Rapporto annuale 2001, Mantova, pag. 2, sul sito www.fondazione.mantova.it.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

99

7.3. Il bando “chiuso”

I bandi “chiusi” si differenziano da quelli “aperti” perché presentano una data di

scadenza entro la quale gli aspiranti beneficiari devono far pervenire, a pena di

decadenza, i progetti per i quali richiedono il contributo.

Il sistema dei bandi “chiusi” da una parte richiede una dettagliata programmazione

dell’attività erogativa della fondazione che dovrà precisare l’ammontare delle risorse da

finalizzare a quel bando, mentre dall’altra parte stimola una maggiore competizione

concorsuale fra i diversi aspiranti.

7.4. Il bando “con raccolta”

In questo caso l’erogazione del finanziamento viene subordinata alla capacità

dell’aspirante beneficiario di raccogliere contributi anche da altri donatori. Queste altre

donazioni, che in genere corrispondono ad una certa percentuale dell’erogazione

richiesta, sono destinate specificatamente al progetto presentato e vengono versate

direttamente alla fondazione che ha emanato il bando(77

7.5. L’erogazione “con risultato”(

).

Questa modalità di erogazione consente alla fondazione di finanziare solo quei

progetti che sono in grado di suscitare il gradimento e quindi di conseguenza anche il

sostegno della comunità di riferimento.

78

(77) La fondazione di comunità «può erogare soltanto il 50% del totale di un progetto pre-

selezionato, mentre il restante 50% dovrà essere apportato dall’organizzazione no profit che realizzerà il progetto. Tuttavia, la FC darà il suo 50% soltanto se la comunità contribuirà al progetto pre-selezionato con un 25%, che verrà destinato ad incrementare il patrimonio della stessa FC.»: FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit., pag. 142.

(78) IBIDEM, op. cit., pag. 141.

)

La “Fondazione Comunità Mantovana” utilizza una strategia di erogazione

denominata erogazione “con risultato”. I beneficiari di un contributo devono prima

realizzare il loro progetto e in seguito la fondazione eroga il grant (per un massimo del

50% del totale necessario per la realizzazione del progetto) quando gli obiettivi del

progetto vengono raggiunti. Questa modalità di erogazione da un lato presuppone che le

organizzazioni non profit già dispongano di mezzi propri per poter operare e dall’altro

lato favorisce l’integrazione tra fondazione e volontariato.

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CAPITOLO TERZO

100

7.6. L’attività erogativa sotto altre forme

Le fondazioni di comunità possono erogare contributi, occasionalmente o

regolarmente, anche sotto forme diverse da quelle precedenti cioè fuori bando(79

). A

titolo di esempio possiamo indicare:

Microerogazioni derivanti nella maggior parte dei casi da richieste “a sportello”. Si

tratta di contributi, di modesta entità, concessi per far fronte con tempestività a

particolari situazioni di bisogno ovvero assegnati a favore di singoli progetti non

particolarmente onerosi(80

);

Sponsorizzazioni e patrocini di eventi e manifestazioni pubbliche. Il patrocinio

consiste in un sostegno organizzativo (non oneroso) o finanziario (oneroso) a

manifestazioni di carattere sociale, educativo, culturale, scientifico, economico e

sportivo subordinato al fatto che venga diffuso il logo della fondazione. Il logo della

fondazione rappresenta l’immagine della fondazione e dovrà essere sempre

accompagnato dalla formula “Con il contributo di”(81

). Sotto sono riportati i logo

designs di due fondazioni:

FIG. 3.2 – Logo ufficiale della Fondazione Comunitaria Nord Milano. Fonte: sul sito www.fondazionenordmilano.org.

FIG. 3.3 – Logo ufficiale della Fondazione Comunitaria del Ticino Olona Onlus. Fonte: sul sito www.fondazioneticinoolona.it.

(79) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa fuori

bando, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it. (80) Art. 11 “Le Minierogazioni” del Regolamento attività istituzionali della FONDAZIONE

COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it: «Le erogazioni di importo unitario inferiore 5.000 euro per singola iniziativa potranno essere deliberate da un Comitato composto dal Presidente o suo delegato e dal Vice Presidente incaricato; quindi comunicate al primo Consiglio d’Amministrazione successivo all’erogazione.».

(81) Vds. sul punto gli artt. 1 “Finalità del patrocinio” e 2 “Soggetti ammissibili” del Regolamento per la concessione del patrocinio della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org e del Regolamento per la concessione del patrocinio della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

101

Erogazioni emblematiche e progetti pluriennali consistono in erogazioni di entità più

consistente e assegnate su più esercizi, a favore di iniziative rilevanti(82

);

Contributi molto modesti a persone indigenti

;

Borse di studio e premi

a studenti meritevoli o ricercatori.

7.7. Il modello operativo dell’attività erogativa della Fondazione Comunitaria Nord

Milano(83

La “Fondazione Comunitaria Nord Milano” è stata il primo ente, seguito dalla

“Fondazione Comunitaria del Ticino Olona”(

)

84

Il processo di erogazione si suddivide in sei fasi:

), ad avere formalizzato un modello

operativo riguardante l’attività erogativa svolta con i bandi, al fine di garantire la

massima trasparenza nei rapporti con le organizzazioni non profit partecipanti ai bandi.

1) Pubblicazione del bando

2)

. La fondazione, su indicazione della “Commissione Analisi

dei Bisogni” e l’eventuale intervento del “Comitato Analisi dei Bisogni” del

territorio, periodicamente definisce i settori finanziabili (cioè i macro e i micro settori

in cui effettuare l’attività erogativa) e delibera i criteri generali per la selezione e la

valutazione delle richieste che vengono approvati dal Consiglio di Amministrazione.

Si procede, quindi, alla pubblicazione dei bandi sulla stampa locale e sul sito web

istituzionale;

Presentazione delle domande

3)

. Lo staff della fondazione raccoglie le domande

presentate e verifica che siano state istruite correttamente secondo le modalità

indicate dal regolamento;

Valutazione dei progetti presentati

(82) «Gli interventi emblematici si concretizzano in progetti caratterizzati da un alto grado di

complessità organizzativa, strutturale ed economica, ed affrontano problemi specifici di un territorio, sperimentano politiche innovative in campo sociale, culturale, ambientale, scientifico ed economico. Mirano ad un cambiamento specifico delle condizioni di vita delle persone, attraverso un processo di progettazione e sperimentazione, gestito congiuntamente con altri soggetti pubblici e privati. In questo senso, gli interventi emblematici rispondono ai requisiti di esemplarità per il territorio e di sussidiarietà di intervento.»: FONDAZIONE CARIPLO, Regolamento per le erogazioni emblematiche, Milano, gennaio 2010, pag. 2, sul sito www.fondazionecariplo.it.

. Una commissione di esperti valuta le domande

presentate, predispone i “piani di erogazione” e formula una proposta (giudizio di

(83) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Modello operativo dell’attività erogativa, Rho (MI), 2011, Regolamento per la valutazione degli enti e progetti, Rho (MI), 2011 e Relazione Sociale 2010, Rho (MI), pag. 14, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

(84) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa su bandi, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.

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CAPITOLO TERZO

102

merito e qualitativo) al Consiglio di Amministrazione che approva l’elenco definitivo

dei progetti selezionati;

4) Raccolta donazioni (procedura valida solo per i bandi “con raccolta”)

5)

. La

fondazione comunica l’esito della selezione e pubblica sul sito i progetti che hanno

ottenuto provvisoriamente il contributo che diventerà definitivo solo in seguito alla

conclusione positiva della raccolta di donazioni. Lo staff della fondazione aggiorna

quotidianamente lo stato della raccolta sul sito della fondazione. In caso di mancata

selezione dei progetti presentati, verrà inviata una “lettera di non selezione”

personalizzata che riporterà le motivazioni che hanno determinato l’esito negativo

della selezione;

Conferma stanziamento contributo

6)

. Il Consiglio di Amministrazione, se l’esito della

raccolta è positivo, accetta le donazioni a sostegno dei progetti e formalizza l’esito

positivo della raccolta con l’invio di una comunicazione nella quale viene altresì

richiesta la compilazione del “modulo di accettazione del contributo”;

Erogazione del contributo

. Lo staff della fondazione riceve la domanda di

rendicontazione ed esamina la richiesta di pagamento. Se la domanda è completa, la

segreteria, dopo l’autorizzazione del Presidente all’erogazione del contributo,

predispone la “lettera di comunicazione liquidazione progetto” e liquida il contributo

e le eventuali eccedenze derivanti dalla raccolta di donazioni.

8. I PROBLEMI DI GOVERNO DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ(85)

I problemi di governo delle fondazioni comunitarie sono sostanzialmente due:

1) la legittimazione degli organi di governo;

2) la capacità della collettività di controllare e indirizzare l’operato della fondazione.

Il superamento di queste criticità, richiede la costruzione di un’architettura di

governo che separi le responsabilità di direzione da quelle di controllo delle decisioni.

La realizzazione di una struttura di governo «tripartita» formata da distinti organi

di indirizzo (l’Assemblea della società), di governo (il Consiglio di Amministrazione) e

(85) BARBETTA G. - BELLAVITE PELLEGRINI C., Origine e problemi di «governance» delle

fondazioni, in FILIPPINI L. (a cura di), Economia delle fondazioni. Dalle «Piae causae» alle fondazioni bancarie, op. cit., pagg. 165-170.

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LE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

103

di controllo (il Collegio Sindacale); consentirebbe sia di creare dialettiche interne

all’istituzione sia di attribuire ai soggetti beneficiari degli interventi un ruolo di

controllo sull’attività della fondazione.

Il problema diventa quindi quello di riuscire ad identificare l’azionista di

riferimento delle fondazioni di comunità cioè il soggetto, assimilabile all’azionista di

una public company, che ha il diritto di nominare il Consiglio di Amministrazione.

In un intermediario finanziario filantropico, nato da una pluralità di piccole

donazioni, gli azionisti di riferimento sono rappresentati dai donatori e dai beneficiari in

quanto sono costoro che hanno diritto alla remunerazione residuale che in questo caso

non consiste nel diritto di appropriarsi di ciò che residua della gestione ma nel diritto in:

− primo luogo di vedere realizzate le finalità dell’organizzazione (donatori);

− secondo luogo di ricevere le erogazioni (beneficiari).

Nelle fondazioni di comunità il problema si semplifica poiché non essendo

individuabili i singoli donatori, gli azionisti si ridurrebbero ai soli beneficiari.

Perciò il problema diventa quello di capire da chi possa essere legittimamente

rappresentata la collettività di riferimento della fondazione. La collettività locale può

essere a buon diritto rappresentata dalle amministrazioni locali (gli enti pubblici

territoriali) e dalle organizzazioni della società civile. Quindi nell’organo di indirizzo,

che nelle fondazioni di comunità può essere assimilato al Comitato di Nomina,

dovrebbero trovare posto i soggetti designati da queste due categorie.

Tuttavia questa ipotesi può determinare alcuni problemi:

il primo inconveniente deriva dalla circostanza che i beneficiari-azionisti potrebbero

non riunire le competenze tecniche necessarie a svolgere le proprie funzioni di

indirizzo. In questo caso i soggetti designati dalla comunità potrebbero essere

affiancati da esperti indipendenti che potrebbero essere cooptati dall’organo di

indirizzo stesso ovvero essere proposti dalle altre categorie di soggetti che nominano

membri nell’organo di indirizzo;

il secondo inconveniente deriva dal fatto che i membri dell’organo di indirizzo, eletti

dalle amministrazioni pubbliche e dalle organizzazioni della società civile,

potrebbero essere spinti a favorire gli interessi di determinate amministrazioni

pubbliche od organizzazioni della società civile a danno di altri soggetti che

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CAPITOLO TERZO

104

rappresentano comunque bisogni rilevanti della collettività. Questo potenziale

conflitto di interesse potrebbe essere parzialmente eliminato:

stabilendo l’incompatibilità tra la carica di membro dell’organo di

amministrazione e la carica di componente degli organi di governo delle

organizzazioni beneficiarie degli interventi della fondazione;

determinando la separazione tra funzioni di indirizzo e funzioni amministrative da

realizzare attraverso l’incompatibilità tra l’appartenenza all’organo di indirizzo e

l’organo di amministrazione e l’autonomia operativa del Consiglio di

Amministrazione (che non sarebbe influenzabile nelle singole decisioni dal

collegio di indirizzo);

prescrivendo il divieto di ricoprire più di un mandato in consiglio e l’obbligo di

prestare l’incarico senza vincolo di mandato;

attribuendo la nomina degli amministratori alle “organizzazioni di secondo

livello” (ad esempio ai consorzi) ed agli “organi assembleari” delle singole

organizzazioni (ad esempio il consiglio comunale) invece che a singole autorità

(ad esempio il sindaco) od organizzazioni (ad esempio gli enti locali).

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CAPITOLO QUARTO

LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

SOMMARIO: 1. Il “progetto fondazioni di comunità” della Fondazione Cariplo – 1.1.

L’origine – 1.2. Le linee guida del progetto – 1.3. La mission – 1.4. L’«erogazione sfida» – 2. La procedura di costituzione di una fondazione comunitaria – 2.1. Il Comitato d’Onore – 2.2. Il Comitato Promotore – 3. I settori di intervento – 4. L’accountability – 4.1. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa civilistica – 4.2. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa fiscale – 4.3. La classificazione dei bilanci «etici» – 4.4. Il bilancio di missione – 4.5. Il “rapporto annuale” delle fondazioni di comunità – 5. Un modello italiano di community foundation? – 6. La procedura di nomina dei consiglieri amministrazione – 6.1. Il regolamento del Comitato di Nomina – 6.2. La procedura di evidenza pubblica per l’elezione dei consiglieri di diretta competenza delle diverse autorità pubbliche – 7. L’associazione italiana fondazioni ed enti di erogazione (Assifero) – 7.1. Le linee strategiche – 8. Le possibili direttrici di sviluppo.

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CAPITOLO QUARTO

106

1. IL “PROGETTO FONDAZIONI DI COMUNITÀ” DELLA FONDAZIONE CARIPLO(1)

Negli anni ’90 il processo di riforma delle fondazioni di origine bancaria aveva

comportato per questi enti sia la necessità di ripensare profondamente la propria identità

sia di elaborare una nuova strategia operativa che gli consentisse di generare

legittimazione sociale(2

Le fondazioni di origine bancaria, una volta reciso il cordone ombelicale che le

legava al gruppo creditizio, erano state chiamate dalla legge a intervenire in settori nei

quali non avevano competenze specifiche.

).

Per questi enti, quindi, era molto più semplice, anziché gestire direttamente propri

progetti, svolgere una funzione di fondazioni di erogazione che poteva giovarsi

dell’esperienza acquisita nella gestione delle attività di beneficenza che avevano

caratterizzato l’operato delle Casse di Risparmio fin dalla loro origine.

Le fondazioni di origine bancaria, per raggiungere questo scopo, dovevano

pervenire alla creazione di «network autonomi e indipendenti».

Il programma di riorganizzazione operativa della Fondazione Cassa di Risparmio

delle Provincie Lombarde (Cariplo), che avrebbe dato origine al “Progetto Fondazioni

di Comunità”, prende l’avvio da queste necessità.

1.1. L’origine

Dopo lo scorporo delle strutture della fondazione da quelle della banca, la

Fondazione Cariplo si era trovata ad affrontare tre problemi:

il primo era di carattere organizzativo in quanto la fondazione si era ritrovata senza

una propria articolazione territoriale. In precedenza, infatti, i soggetti che volevano

accedere ai contributi della fondazione potevano servirsi degli sportelli della banca,

mentre in seguito avrebbero dovuto rivolgersi direttamente agli uffici centrali di

Milano che, tuttavia, non avrebbero potuto servire un’area così vasta e complessa

come quella rappresentata da tutte le provincie lombarde e da quella di Novara;

(1) CASADEI B., Fondazioni di origine bancaria e società civile. Un progetto sulle fondazioni delle comunità locali, in «Queste Istituzioni», Queste Istituzioni Ricerche, Roma, Anno XXVII, n. 117-120, annale 1999, pagg. 73-91.

(2) Si trattava di volgere «in bene ciò che è nato male»: CLARICH M. - PISANESCHI A., Le fondazioni bancarie. Dalla holding creditizia all’ente non-profit, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 7.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

107

il secondo era di ordine informativo poiché con la separazione la fondazione non

poteva più contare su quel patrimonio di conoscenze, sia del territorio sia delle

esigenze specifiche della comunità, che gli erano garantite dai direttori delle filiali

della banca. Infatti, solo un’approfondita conoscenza della realtà locale può

consentire di verificare il reale impatto che un progetto avrà su un determinato

territorio, di stabilire priorità negli interventi o ancora di individuare i soggetti

effettivamente in grado di realizzare i progetti per cui chiedono sovvenzioni;

il terzo era di tipo quantitativo cioè la Fondazione Cariplo aveva sempre erogato una

grande quantità di contributi di modesta entità. Ma la gestione centralizzata di tutte

queste richieste si era rivelata estremamente antieconomica. I costi per analizzare e

processare una singola domanda erano superiori al contributo erogato.

Una delle possibili soluzioni a questi problemi era rappresentata dalla creazione di

un sistema di filiali decentrate della fondazione da affiancare a quelle della banca, ma

ciò avrebbe comportato il rischio di un appesantimento della struttura burocratica della

Fondazione Cariplo.

Così nel 1997 la Fondazione Cariplo decise di percorrere una via alternativa e

anticonvenzionale e, ispirandosi al modello nordamericano delle community

foundations, diede vita al “Progetto Fondazioni di Comunità” allo scopo di dotarsi di

una innovativa ed efficace articolazione territoriale(3

).

1.2. Le linee guida del progetto

L’obiettivo della Fondazione Cariplo era quello di dotarsi di una rete, un vero e

proprio network, di istituzioni tutte autonome e indipendenti(4

(3) La genesi del progetto è da «ricondurre ad un’iniziativa intrapresa dalla Fondazione Cariplo

con l’Istituto per la Transizione di Milano (Istra) che, nel 1996, organizzarono un master per manager nonprofit presso la Robert Wagner School della New York University. I partecipanti al master effettuarono degli stages presso varie organizzazioni nonprofit studiandone il funzionamento e traendo degli spunti per lo sviluppo del terzo settore in Italia.»: FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, op. cit., pag. 71.

) rispetto all’ente di

origine, ma che potessero costituirne i partner naturali.

(4) «Non una rete di filiali sul territorio, ma tanti soggetti giuridicamente autonomi, capaci di operare da moltiplicatori (secondo il modello anglosassone) per il reperimento di risorse da destinare alla crescita sociale delle singole realtà locali.»: NEGRI M. R., Fondazioni comunitarie: un modello vincente di fondazione di comunità locale italiana, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 3 - marzo 2002, pag. 28.

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CAPITOLO QUARTO

108

Questo avrebbe consentito di realizzare una più efficiente capacità di erogazione

della beneficienza sul territorio senza appesantire la struttura organizzativa della

Fondazione-madre e, allo stesso tempo, di mobilitare le energie e le risorse locali.

Nel 1999, pertanto, la Fondazione Cariplo avvia lo start up della prima

fondazione di comunità locale la “Fondazione della provincia di Lecco”(5

La scelta di localizzare le fondazioni a livello provinciale prendeva spunto da un

lato dalla constatazione che ogni provincia aveva un proprio rappresentante nell’organo

di indirizzo della Fondazione Cariplo, la “Commissione Centrale di Beneficienza”, e

dall’altro lato dalla necessità di individuare con precisione i singoli territori.

). Le

fondazioni di comunità promosse finora dalla Fondazione Cariplo sono quindici e

coprono l’intero territorio della Lombardia e, in Piemonte, le provincie di Novara e del

Verbano Cusio Ossola.

Le costituende fondazioni dovevano svolgere tre funzioni fondamentali:

1) sviluppare un’approfondita conoscenza dei bisogni e delle potenzialità della società

civile della comunità locale;

2) dotarsi di una struttura operativa in grado di erogare contributi alle organizzazioni

non profit del territorio e di monitorare l’effettiva realizzazione dei progetti

finanziati;

3) offrire servizi ai potenziali donatori.

Tuttavia, la caratteristica principale del progetto era quella di rappresentare una

sfida per la comunità. La Fondazione Cariplo, infatti, non obbligava le comunità a

partecipare al progetto ma offriva esclusivamente un’opportunità. Le comunità, che

erano interessate al programma, avrebbero dovuto attivare tutte le risorse necessarie per

la costituzione della fondazione.

La comunità avrebbe dovuto, quindi, presentare alla Cariplo un progetto che

contenesse:

uno statuto che permettesse di costituire una fondazione di comunità;

un piano strategico triennale, comprensivo di bilancio operativo, destinato ad

indirizzare l’attività dell’ente;

l’indicazione di un Consiglio d’Amministrazione autorevole e rappresentativo;

(5) AMIGONI E., La Fondazione della provincia di Lecco, in «Studi Zancan», Fondazione

«Emanuela Zancan», Padova, Anno I, n. 4, luglio/agosto 2000, pagg. 90-101.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

109

l’individuazione di un’aliquota di personale, volontario o retribuito, in grado di

realizzare gli obiettivi stabiliti nel piano;

l’attestazione della disponibilità di una sede adeguatamente arredata ed attrezzata;

l’impegno a sostenere tutti i costi relativi alla gestione della struttura.

Le fondazioni di comunità oggi presenti in Italia sono complessivamente

trentadue. In particolare di queste:

n. 15 sono nate nell’ambito del progetto Cariplo:

− Fondazione della Provincia di Lecco;

− Fondazione Provinciale della Comunità Comasca;

− Fondazione Comunità Mantovana;

− Fondazione della Comunità del Novarese;

− Fondazione della Comunità Bergamasca;

− Fondazione della Comunità di Monza e Brianza (con sede a Monza);

− Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona;

− Fondazione Comunitaria del Varesotto;

− Fondazione della Comunità Bresciana;

− Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia;

− Fondazione della Comunità Locale “Pro Valtellina” (con sede in Sondrio);

− Fondazione Comunitaria della Provincia di Lodi;

− Fondazione Comunitaria del Ticino Olona (con sede in Legnano – MI);

− Fondazione Comunitaria del Verbano Cusio Ossola (con sede in Verbania);

− Fondazione Comunitaria Nord Milano (con sede in Rho – MI);

n. 4 sono state promosse dalla Fondazione di Venezia nel 2000 nell’ambito del

territorio provinciale:

− Fondazione della Comunità Clodiense (con sede in Chioggia - VE);

− Fondazione Riviera Miranese (con sede in Dolo - VE);

− Fondazione di Comunità Santo Stefano (con sede in Portogruaro - VE);

− Fondazione Terra d’Acqua (con sede in San Donà di Piave - VE);

n. 4 sono state promosse dalla Compagnia di San Paolo:

− Fondazione Comunitaria della Riviera dei Fiori (con sede in Imperia);

− Fondazione della Comunità di Mirafiori (con sede in Torino);

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CAPITOLO QUARTO

110

− Fondazione Comunitaria del Verbano Cusio Ossola (in partenariato con la

Cariplo);

− Fondazione Comunitaria della Valle d’Aosta;

n. 3 sono state promosse dalla Fondazione con il Sud (un soggetto privato nato nel

2006 dall’alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e

del volontariato per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno):

− Fondazione della Comunità Salernitana;

− Fondazione di Comunità del Centro Storico di Napoli;

− Fondazione di Comunità di Messina – Distretto Sociale Evoluto(6

n. 1 è stata promossa dalla Banca di Credito Cooperativo di Treviglio (BG) e cioè

la Fondazione Cassa Rurale di Treviglio;

);

n. 1 è stata promossa dalla Banca Popolare di Verona e dalla Diocesi di Verona e

cioè la Fondazione della Comunità Veronese;

n. 4 sono state promosse da una pluralità di enti locali e istituzioni civili e religiose:

− Fondazione di Comunità Vicentina per la Qualità di Vita (con sede in Montecchio

Precalcino - VI);

− Fondazione di Comunità della Sinistra Piave per la Qualità di Vita (con sede in

Pieve di Soligo - TV);

− Fondazione Comunitaria del Ponente Savonese (con sede in Albenga - SV);

− Fondazione della Comunità del Territorio di Cerea (VR);

n. 1 è stata promossa da un’impresa (Monnalisa S.p.A.) e cioè la Fondazione

Monnalisa (con sede in Arezzo).

(6) L’Ente non dispone ancora di un proprio sito internet dove reperire le informazioni d’interesse.

Il Distretto Sociale evoluto «nasce per promuovere sviluppo umano innovando e favorendo la crescita di interconnessioni tra sistema educativo, sistema di welfare, sistema di produzione, dotazione di conoscenze (anche tecnologiche) e social capabilities.».

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

111

Monza e Brianza

Nord Milano

ProValtellina

Bergamasca

Comasca

Mantovana

Bresciana

Ticino Olona

Valle d’Aosta

Mirafiori

Centro Storico Napoli

Riviera dei Fiori

VerbanoCusioOssola

Novarese

Varesotto

Pavia

Fondazione di Comunità di Messina

Lecco

Cremona

Lodi

Riviera Miranese

Clodiense

Ponente Savonese

Territorio di Cerea

Santo Stefano

Comunità Veronese

della Sinistra Piave

Salernitana

Comunità Vicentina

Treviglio

Terra d’Acqua

Monnalisa

FIG. 4.1 – La dislocazione territoriale delle fondazioni di comunità italiane. LEGENDA (COLORE LINEA CASELLA DI TESTO): FdC promosse dalla Fondazione Cariplo (BLU); FdC promosse dalla Compagnia di San Paolo (ROSSO); FdC promosse dalla Fondazione di Venezia (ARANCIONE); FdC promosse dalla Fondazione con il Sud (VIOLA);

FdC promosse da Banche (VERDE); FdC promosse da enti locali e istituzioni civili e religiose

(GIALLO); FdC promossa dalla Monnalisa S.p.A. (INDACO).

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CAPITOLO QUARTO

112

Inoltre è stato avviato il processo di costituzione di diverse altre fondazioni di

comunità mediante la formazione del Comitato Promotore come nel caso della

Fondazione “Molise Comunità”(7), della Fondazione di Comunità di Crotone(8), della

Fondazione di Comunità del Canavese(9), della Fondazione di Comunità di Malnate

(VA)(10), della Fondazione di Comunità del Calatino “Don Luigi Sturzo”(11) e della

Fondazione della Comunità “Regionale dell’Economia Sociale e della Creatività per

l’Occupazione in Basilicata”(12

).

1.3. La mission

Le fondazioni di comunità promuovono la filantropia nei confronti del territorio di

riferimento attraverso lo sviluppo di una funzione di intermediazione tra potenziali

donatori/investitori e le organizzazioni non profit che realizzeranno concretamente i

programmi di assistenza in campo sociale. Infatti, il motto che descrive meglio la

funzione della fondazione di comunità è che “non si dona alla fondazione, ma attraverso

di essa”.

Tuttavia lo scopo di una fondazione comunitaria non è semplicemente quello di

finanziare progetti di utilità sociale, ma è quello:

in primo luogo di promuovere una cultura della donazione e quindi di accrescere le

donazioni, nella consapevolezza che «bisogna creare sinergie finanziarie per lo

sviluppo del Terzo Settore e, dunque, che è necessaria una maggiore mobilitazione di

risorse private e un’autonoma iniziativa della società civile per corrispondere alle

attese e ai bisogni della comunità.»(13

in secondo luogo di favorire la crescita delle organizzazioni del terzo settore del

territorio, stimolandone le capacità progettuali;

);

in terzo luogo di «migliorare la qualità della vita» di coloro che abitano in una

determinata area geografica. Il miglioramento della qualità della vita non è il risultato

(7) Vds. il sito www.molisecomunita.it. (8) Vds. il sito www.fondazionecomunitacrotone.it. (9) SIGNETTO E., La fondazione del Canavese, Il Canavese, 7 dicembre 2012, pag. 43 e VIGLIO E.,

Nasce la Fondazione di Comunità del Canavese, LaVallèe Notizie, 28 gennaio 2012, pag. 50. (10) (E.P.), Obiettivo: donare alla propria città. Al via l’iter per creare una Fondazione che

raccolga e distribuisca le offerte, La Prealpina, 26 gennaio 2012, pag. 18. (11) Vds. il sito www.fdcdonluigisturzo.it e M. M., Fondazione di comunità firmato il protocollo,

La Sicilia, Edizione di Catania, 25 gennaio 2012, pag. 40. (12) Vds. il sito www.visioniurbanebasilicata.net. (13) NEGRI M. R., Fondazioni comunitarie: un modello vincente di fondazione di comunità locale

italiana, op. cit., pag. 31.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

113

di un progetto definito ex ante dalla fondazione di comunità ma richiede l’impegno

di tutti i componenti di una collettività nel perseguimento del bene comune. La

fondazione quindi sostiene gli sforzi degli individui nella consapevolezza che le

modalità attraverso cui si può concorrere al bene comune sono molteplici e talora

confliggenti tra loro(14

In definitiva, secondo Bernardino Casadei(

). 15), l’autentica mission delle fondazioni

di comunità consiste nell’«individuare un bisogno che sia veramente comune a tutti e

alla cui soluzione tutti possano dare un reale e concreto contributo, così che ognuno si

senta contemporaneamente protagonista e beneficiario di questa attività.»(16

).

1.4. L’«erogazione sfida»(17

L’elemento più interessante nel progetto della Fondazione Cariplo era

rappresentato dalla cosiddetta «erogazione sfida».

)

La Fondazione Cariplo, una volta approvato il progetto presentato dal Comitato

Promotore, provvedeva a donare un primo contributo di 100 milioni di lire necessario

ad ottenere il riconoscimento dalla Regione e contemporaneamente istituiva un ulteriore

fondo di 9 miliardi e 900 milioni di lire il cui reddito era conferito alla fondazione di

comunità per finanziare progetti di utilità sociale. Questo fondo sarebbe diventato di

proprietà della nuova fondazione se questa avesse raggiunto gli obiettivi previsti nel

piano.

L’approvazione del piano strategico consentiva alla fondazione di comunità anche

di partecipare a due meccanismi sfida:

(14) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pag. 59.

(15) Segretario Generale di Assifero. (16) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pag.

61. (17) Le sfide legano il contributo della Fondazione Cariplo al raggiungimento di precisi risultati a

livello locale. «Prima sfida: dar vita alla fondazione, contenendo i costi di gestione del capitale disponibile. La sfida consiste nella possibilità di usufruire per tre anni del reddito di un fondo patrimoniale di 10 miliardi per ogni provincia da destinarsi al finanziamento di progetti d’utilità sociale da realizzarsi nel territorio della stessa. Seconda sfida: possibilità di raddoppiare il fondo disponibile. La seconda sfida consiste nella possibilità di raddoppiare il fondo patrimoniale di 10 miliardi qualora la fondazione locale sia in grado di raccoglierne almeno 5 per analoga finalità. L’obiettivo di questa seconda sfida non è semplicemente quello di aumentare il patrimonio della fondazione, ma piuttosto quello di dar vita a un meccanismo che permetta allo stesso di crescere anche quando le disponibilità della sfida si saranno esaurite. Terza sfida: un capitale che, se donato, può raddoppiare. La terza sfida consiste in un ulteriore contributo di 200 milioni da distribuire in progetti d’utilità sociale qualora se ne raccolgano altrettanti con analoga finalità.»: CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, op. cit., pagg. 82-84.

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CAPITOLO QUARTO

114

il primo avrebbe consentito di ottenere un ulteriore contributo di 200 milioni di lire,

da destinare a progetti di utilità sociale, qualora l’ente fosse riuscito a raccogliere

altri 200 milioni per scopi analoghi;

il secondo avrebbe permesso di incrementare il patrimonio della fondazione di altri

15 miliardi di lire. La Fondazione Cariplo, infatti, avrebbe raddoppiato ogni

contributo destinato ad aumentare il patrimonio della fondazione locale, fino ad un

massimo di 10 miliardi di lire (in pratica la Cariplo elargisce due lire per ogni lira

raccolta dalla fondazione di comunità). In definitiva, al termine dell’«erogazione

sfida», la fondazione di comunità avrebbe potuto contare su di un patrimonio

complessivo di 25 miliardi di lire cioè 10 + 10 da parte della Fondazione Cariplo e 5

da raccogliersi sul territorio(18

Inoltre lo strumento dell’«erogazione sfida» «asseconda […] dinamiche di

autodirezione che accrescono contemporaneamente libertà e responsabilità. Libertà nel

predisporre la strategia che più si adatta allo specifico contesto locale e responsabilità

nel render conto del proprio operato»(

).

19

).

2. LA PROCEDURA DI COSTITUZIONE DI UNA FONDAZIONE COMUNITARIA(20)

Prendendo come punto di riferimento l’esperienza maturata nell’ambito del

progetto della Fondazione Cariplo, si visto che il processo per la costituzione di una

fondazione comunitaria richiede un periodo di lavoro di 12-15 mesi.

Prima di avviare la procedura è essenziale procedere ad una serie di colloqui con i

rappresentanti delle più importanti istituzioni politiche, economiche, sociali,

amministrative, culturali e religiose presenti sul territorio e questo allo scopo di creare il

consenso necessario all’iniziativa ed evitare possibili veti incrociati.

(18) L’erogazione sfida della Fondazione Cariplo prevede attualmente:

il conseguimento di un primo «obiettivo sfida» di 516.000 euro; la raccolta, entro dieci anni dalla costituzione della fondazione di comunità, di un patrimonio pari a 5

milioni e 164.000 euro che saranno poi triplicati dalla Cariplo con il versamento di un premio di 10 milioni e 328.000 euro. Quindi al termine della sfida il patrimonio della fondazione ammonterà a 15 milioni e 492.000 euro.

(19) FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, op. cit., pagg. 74-75.

(20) NEGRI M. R., Fondazioni comunitarie: un modello vincente di fondazione di comunità locale italiana, op. cit., pag. 29.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

115

L’elemento più importante per la riuscita del progetto è l’esistenza di un gruppo di

cittadini che si faccia promotore dell’iniziativa e che sia disposto ad impegnarsi in

prima persona per il conseguimento del risultato.

Un errore da «evitare è quello di affidare la realizzazione del progetto

all’amministrazione provinciale. È indispensabile stabilire buoni rapporti con le

istituzioni politiche, ma è anche necessario assicurare l’indipendenza della fondazione

da ogni ingerenza da parte dei partiti.»(21

La procedura per l’istituzione di una fondazione di comunità locale prevede

dapprima la costituzione di un Comitato d’Onore e in seguito quella di un Comitato

Promotore.

).

2.1. Il Comitato d’Onore

Il primo step della procedura è la nomina di un Comitato d’Onore composto da

personaggi, particolarmente autorevoli e rappresentativi della comunità, disposti a

legare il proprio nome all’iniziativa e, quindi, in grado di farsi garanti della serietà del

progetto.

Di questo comitato fanno generalmente parte le autorità più importanti del

territorio come il Prefetto, il Rettore dell’Università, il Vescovo, ecc.. Nel caso della

prima fondazione comunitaria italiana istituita, quella di Lecco, il Comitato si insediò

nei locali della Prefettura.

La prima incombenza del Comitato d’Onore è quella di individuare i componenti

di un Comitato Promotore cioè di una struttura operativa che possa concretamente

procedere all’elaborazione del progetto in quanto è ipotizzabile che i componenti del

Comitato d’Onore essendo autorità pubbliche oberate da impegni ben difficilmente

avrebbero il tempo di lavorare alla preparazione del progetto.

Il Comitato d’Onore dovrà comunque fornire la massima assistenza al Comitato

Promotore anche mettendo a disposizione una segreteria che possa coordinare il lavoro

di tutti i componenti.

(21) CASADEI B., Fondazioni di origine bancaria e società civile. Un progetto sulle fondazioni delle comunità locali, op. cit., pag. 84.

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CAPITOLO QUARTO

116

2.2. Il Comitato Promotore

I membri del Comitato Promotore sono scelti sulla base dei seguenti requisiti:

− credibilità e probità personale

;

provenienza geografica

poiché i componenti dovrebbero farsi portatori delle istanze

provenienti dalle diverse comunità in cui si articola il territorio provinciale;

conoscenze tecnico-professionali possedute

I compiti del Comitato Promotore sono essenzialmente i seguenti:

in quanto si cerca di inserire all’interno

del collegio soggetti con differenti competenze lavorative (avvocati, notai, professori

universitari, ecc.).

1) elaborare lo statuto;

2) individuare il primo Consiglio d’Amministrazione della costituenda fondazione;

3) preparare il piano strategico triennale che dovrà essere strutturato in almeno cinque

sezioni che sviluppino i seguenti temi:

• marketing e comunicazione;

• raccolta fondi;

• modalità di investimento del patrimonio raccolto(22

• politiche di erogazione dei contributi;

);

• problemi relativi alla gestione complessiva della fondazione locale.

4) predisporre un bilancio triennale delle spese operative della fondazione riportante

sia le entrate che le uscite;

5) individuare una sede opportunamente arredata e il personale sia volontario sia

retribuito.

Alla luce dell’evidente complessità del progetto, è opportuno che il Comitato

Promotore crei delle sottocommissioni cioè dei gruppi di lavoro in grado di assisterlo

nell’elaborazione delle diverse parti del piano strategico. Questo sia per favorire il

(22) Al raggiungimento dell’«erogazione sfida», le fondazioni di comunità hanno provveduto a delineare i principi di fondo in base ai quali effettuare la gestione del patrimonio e degli investimenti. L’obiettivo principale è quello di gestire il patrimonio per incrementarlo e preservarne il valore di mercato. Le fondazioni hanno pertanto definito una assett allocation di medio/lungo termine ed introdotto un benchmark di riferimento per il rendimento degli impieghi. I criteri fondamentali cui fare riferimento nella scelta degli investimento sono i seguenti: 1) orizzonte temporale del proprio investimento; 2) tolleranza per il rischio di perdita: quanto e su quale orizzonte; 3) osservanza ai dettami statutari o regolamenti interni; 4) obiettivi di liquidità dell’investimento per le necessità di erogazione. Vds. sul punto il Regolamento per gli impieghi del patrimonio della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

117

coinvolgimento più ampio possibile della società civile, che è il requisito principale del

successo dell’operazione, sia perché questi gruppi di lavoro potranno successivamente

continuare la loro opera di assistenza anche dopo la costituzione dell’ente.

Il piano predisposto dal Comitato Promotore dovrà essere fatto proprio dal

Comitato d’Onore e approvato dalla Fondazione-madre, e il relativo contenuto dovrà

essere portato a conoscenza della comunità locale attraverso seminari e convegni.

Al termine della procedura di costituzione, il Comitato Promotore si trasforma nel

primo Consiglio d’Amministrazione della fondazione.

Nel caso della “Fondazione della provincia di Lecco”, il Comitato d’Onore ha

proposto i nominativi dei membri del Comitato Promotore alla Fondazione Cariplo che

ha proceduto alla designazione, quali consiglieri d’amministrazione, in sede di

costituzione della fondazione.

Alla scadenza del mandato triennale, alla Fondazione Cariplo si è sostituito nella

designazione dei consiglieri il Comitato d’Onore, ridenominato Comitato di Nomina.

L’ultima fase è la costituzione formale della fondazione, da iscriversi presso il

registro regionale e rientrante nella categoria delle ONLUS.

3. I SETTORI DI INTERVENTO(23)

I due terzi delle fondazioni di comunità italiane sono state costituite come ONLUS.

Il quadro normativo di riferimento è definito dal decreto legislativo 4 dicembre 1997, n.

460 “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle

organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.

L’appartenenza alla categoria delle ONLUS garantisce precisi vantaggi di ordine

fiscale sia all’ente non profit sia a chi esegue donazioni in suo favore, tuttavia, questo

implica che i settori di intervento dell’organizzazione sono limitati ex art. 10

“Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, comma 1, lettera a), esclusivamente ai

seguenti:

1) assistenza sociale e socio-sanitaria(24

(23) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit.,

pagg. 139 e 154.

);

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CAPITOLO QUARTO

118

2) assistenza sanitaria;

3) beneficenza;

4) istruzione;

5) formazione;

6) sport dilettantistico;

7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico(25

8) tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente,

);

9) promozione della cultura e dell’arte(26

10) tutela dei diritti civili;

);

11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni

ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni.

Le ONLUS devono, inoltre, rispettare anche i sottoindicati vincoli:

− l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale;

− il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione;

− l’uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione

rivolta al pubblico, della locuzione «organizzazione non lucrativa di utilità sociale» o

dell’acronimo «ONLUS».

(24) In questo settore ad esempio «sono state sostenute iniziative a favore di famiglie in difficoltà

(percorsi di sostegno ed accompagnamento, la creazione di reti solidali tra nuclei affini, sussidi scolastici) e progetti rivolti alle problematiche connesse alla disabilità (inserimento lavorativo, attività per il tempo libero, momenti di sollievo per le famiglie, sviluppo di percorsi di vita autonoma, laboratori di artiterapia). È stato dedicato un bando all’assistenza domiciliare ed alle dimissioni protette col quale sono state individuate iniziative volte ad agevolare la cura di persone malate o non autosufficienti presso il proprio domicilio attraverso la fornitura di attrezzature specifiche, l’assistenza nella somministrazione di cibo, spazi di ascolto ed orientamento per i familiari, la promozione di reti solidali.»: FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Relazione sociale 2010, Monza, pag. 7, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org.

(25) La fondazione ha contribuito a progetti di «valorizzazione del patrimonio storico ed artistico quali attività di catalogazione ed archivio di documenti storici; visite guidate nel territorio rivolte ai giovani; interventi di restauro conservativo.»: IBIDEM, op. cit., pag. 8.

(26) Per quanto riguarda il settore cultura «sono state sostenute iniziative volte a favorire coesione sociale ed occasioni di aggregazione della Comunità: festival di musica antica, blues, jazz e da camera; un concorso pianistico di respiro internazionale; laboratori vocali e teatrali per i più giovani.»: IBIDEM, op. cit., pag. 8.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

119

4. L’ACCOUNTABILITY(27)

Nelle aziende non profit è di fondamentale importanza il concetto di

accountability con il quale si indica «l’esigenza, sentita da chi governa le aziende non

profit, di dover render conto delle performance ottenute nel caso in cui si utilizzano

risorse non proprie. Più precisamente, il focus è sull’importanza che assume un

comportamento orientato alla trasparenza, alla rendicontabilità degli obiettivi e dei

risultati realizzati sotto il profilo economico-sociale.»(28

L’oggetto dell’accountability nelle organizzazioni non profit attiene al «valore

sociale creato» e alle modalità con cui viene perseguita la mission per cui l’ente è stato

costituito.

).

Il termine accountability(29

) richiama l’attenzione degli amministratori delle

aziende non profit all’adozione, nella gestione, di comportamenti:

responsabili

− accountability obbligatoria che fa riferimento a puntuali disposizioni normative

che impongono determinate forme di comunicazione;

e questo esige la necessità di dover rendere conto all’esterno

sull’utilizzo delle risorse e sui risultati conseguiti. In quest’ottica l’accountability si

può suddividere in due categorie:

− accountability volontaria che fa riferimento a documenti informativi che vengono

predisposti, autonomamente e volontariamente, dalle aziende non profit per

comunicare con i propri stakeholders;

informativi

(27) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto,

Giappichelli, Torino, 2007, pagg. 66-69.

che trovano il loro fondamento in un sistema di comunicazione interna ed

esterna. In quest’ottica l’accountability si può suddividere in due tipologie:

(28) Per Matacena l’accountability «esprime la responsabilità informativa dell’azienda medesima e sostanzia quel sistema di comunicazioni, interne ed esterne, che nella trasparenza e nel controllo d’esito trovano la loro piena conformazione; accountability da intendersi sinteticamente come esigenza […] del dover render conto dei risultati ottenuti nel caso si utilizzino risorse non proprie»: MATACENA A., La responsabilità sociale e la comunicazione sociale nelle aziende non profit, in HINNA L. (a cura di), Il Bilancio sociale, Il Sole 24 Ore, Milano, 2002, pag. 146.

(29) Per creare «un clima di fiducia all’interno della collettività/comunità di riferimento […] occorre che l’attività dell’Enp sia trasparente e coerente con le decisioni intraprese (accountable). Nella […] Relazione di missione, l’Enp deve dare prova della propria attenzione alle regole di responsabilità nei confronti della collettività di riferimento (responsibility), indicando, laddove utile ai fini informativi e comunicativi, i livelli di efficacia ed efficienza raggiunti.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI e ORGANISMO ITALIANO DI CONTABILITÀ, Principi Contabili per gli Enti non profit, Principio n. 1: Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio degli enti non profit, 20 maggio 2011, pagg. 11-12.

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CAPITOLO QUARTO

120

− accountability esterna che è diretta a produrre le informazioni da destinare alle

diverse categorie di stakeholders affinché possa attuarsi un controllo sulle

decisioni di impiego delle risorse, sui risultati conseguiti e sul conseguimento

della mission;

− accountability interna che è diretta a supportare il management aziendale nelle

decisioni sull’allocazione e sull’impiego delle risorse;

trasparenti

− trasparenza istituzionale cioè la possibilità di controllare l’efficacia delle azioni

svolte rispetto alle finalità perseguite;

che si realizzano mediante adeguate forme e strumenti di comunicazione.

In quest’ottica le informazioni dovrebbero assicurare la:

− trasparenza gestionale cioè la possibilità di controllare l’osservanza dei vincoli

economici;

− trasparenza amministrativa cioè la possibilità di controllare l’osservanza delle

disposizioni di legge.

La comunicazione riveste, quindi, per le organizzazioni non profit un ruolo

strategico essenziale per favorire la legittimazione sociale, la fiducia degli stakeholders

di riferimento e la raccolta delle risorse finanziare.

Anzi dovrebbe essere proprio la natura etica delle aziende non profit «ad

implicare un’informativa esterna volta ad illustrare, in modo trasparente ed esaustivo,

quale uso gli amministratori abbiano fatto delle risorse a vario titolo gestite e quali

risultati istituzionali essi abbiano così raggiunto»(30

).

4.1. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa civilistica(31

Il codice civile non prevede per le organizzazioni non profit di cui al libro I

particolari obblighi contabili, come è invece previsto per le imprese commerciali ex art.

2214 cod. civ..

)

La normativa civilistica non impone alle fondazioni di redigere il bilancio

d’esercizio. Tuttavia, questo vincolo emerge implicitamente dagli artt. 25(32) e 28(33

(30) TIEGHI M., Le fondazioni. Obiettivi finalizzanti, sistema informativo e bilancio di esercizio, op.

cit., pag. 183.

)

(31) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit., pagg. 83-86.

(32) Art. 25 cod. civ. “Controllo sull’amministrazione delle fondazioni”:

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

121

cod. civ. poiché l’autorità governativa per poter effettuare il controllo e la vigilanza

sugli enti deve potersi avvalere di atti formali.

Per le fondazioni la redazione del bilancio d’esercizio può essere resa obbligatoria

dalle norme statutarie. Queste disposizioni, però, richiedono esclusivamente che siano

predisposti e approvati un bilancio preventivo e un bilancio consuntivo(34

Le fondazioni sono tenute alla redazione delle scritture contabili limitatamente

allo svolgimento di attività strumentali di tipo commerciale.

).

Determinati obblighi contabili sono previsti esclusivamente per particolari

tipologie di aziende non profit disciplinate da leggi speciali.

Ad esempio le fondazioni bancarie, ai sensi del D.Lgs. 153/1999, sono tenute alla

redazione del bilancio d’esercizio costituito dai documenti previsti dall’art. 2423 cod.

civ.(35

«L’autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull’amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge.

) e seguenti. Inoltre il decreto Ciampi ha imposto alle fondazioni bancarie di

L’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima. Le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità devono essere autorizzate dall’autorità governativa e sono esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori.».

(33) Art. 28 cod. civ. “Trasformazione delle fondazioni”: «Quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l’autorità governativa, anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore. La trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone. Le disposizioni del primo comma di questo articolo e dell’articolo 26 non si applicano alle fondazioni destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate.».

(34) A titolo di esempio possiamo fare riferimento alle seguenti norme dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, sul sito www.fondazione.mantova.it: − art. 10 “Poteri”: «Spetta al Consiglio di Amministrazione: […] redigere ed approvare, entro il mese

di novembre, il bilancio preventivo dell’anno successivo, ed entro il mese di aprile il bilancio consuntivo dell’anno precedente»;

− art. 16 “Bilancio”: «Gli esercizi decorrono dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Il Bilancio dovrà rispondere ai requisiti della chiarezza e della completezza e dovrà essere accompagnato da Relazioni del Consiglio di Amministrazione e del Collegio dei Revisori.».

(35) Art. 2423 cod. civ. “Redazione del bilancio”: «Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio.».

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CAPITOLO QUARTO

122

illustrare, in un’apposita sezione della relazione sulla gestione, gli obiettivi sociali

perseguiti dall’ente e gli interventi realizzati.

4.2. La rendicontazione economico-finanziaria nella normativa fiscale(36

L’art. 25-bis(

) 37

− redigere le scritture contabili, finalizzate a rilevare le operazioni della gestione, che

costituiranno le informazioni su cui costruire il bilancio di esercizio;

) del D.P.R. 600/1973, introdotto dal D.Lgs. 460/1997, ha

apportato rilevanti modifiche nella rendicontazione delle ONLUS che è la forma assunta

dalla maggior parte delle fondazioni di comunità.

Il nuovo articolo stabilisce che le ONLUS debbano:

− sottoporre il bilancio d’esercizio a controllo esterno qualora i proventi dell’ente

superino per due anni consecutivi l’ammontare di due miliardi di lire.

Inoltre l’art. 14, comma 2(38

(36) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit.,

pagg. 86-89. (37) Art. 20-bis “Scritture contabili delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”:

), del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, stabilisce,

ai fini della deducibilità fiscale delle donazioni effettuate a loro favore, che le ONLUS

tengano un sistema di scritture contabili e redigano il bilancio d’esercizio.

1. «Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) […], a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, devono: a) in relazione all’attività complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e

sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in apposito documento, […], la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali, con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall’articolo 22;

b) in relazione alle attività direttamente connesse tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli articoli 14, 15, 16 e 18; […].

2. Gli obblighi di cui al comma 1, lettera a), si considerano assolti qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro degli inventari, […].

5. Qualora i proventi superino per due anni consecutivi l’ammontare di due miliardi di lire, […], il bilancio deve recare una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori contabili.».

(38) Art. 14, comma 2, “ONLUS e terzo settore”: «Costituisce in ogni caso presupposto per l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 la tenuta, da parte del soggetto che riceve le erogazioni, di scritture contabili atte a rappresentare con completezza e analiticità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione, nonché la redazione, entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio, di un apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale, economica e finanziaria.».

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

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4.3. La classificazione dei bilanci «etici»(39

I principali modelli di rendicontazione sociale si ricollegano alle diverse

macrocategorie in cui sono suddivisi i settori economici: profit, non profit e pubblica

amministrazione.

)

I documenti per la rendicontazione sociale variano per forma, contenuto e finalità,

in funzione delle caratteristiche dei settori economici, della forma e dello scopo di ogni

organizzazione che vi opera in quanto si modificano da categoria a categoria, le

esigenze, gli orientamenti e gli strumenti.

L’azione socialmente responsabile si colloca nello «spazio del comportamento

etico» cioè quello spazio che accoglie le azioni delle organizzazioni e degli individui

che si rifanno a principi etici non espressamente richiesti dalle norme giuridiche.

Tuttavia, il significato di spazio etico si perde quando vengono presi in

considerazione i settori del non profit e della pubblica amministrazione che sono etici

per definizione e in cui «l’opzione etica» diventa un «dovere etico».

profit non profit pubblica amministrazione

esigenza dimostrare il proprio livello di responsabilità sociale

legittimazione sociale ri-legittimazione politica presso i cittadini

orientamento alla RSI(40 misurare la coerenza tra risultati e missione

) nuova accountability (RSP)(41)

strumento bilancio sociale bilancio di missione bilancio di ricaduta sociale

FIG. 4.2 – La coniugazione della rendicontazione sociale nei tre settori economici.

(39) DI GIANDOMENICO M. E., Il bilancio sociale e il modulo aziendale etico, Giuffrè, Milano,

2008, pagg. 293-296. (40) Responsabilità Sociale di Impresa. (41) Rendicontazione Sociale Pubblica.

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CAPITOLO QUARTO

124

La ragione di ciò è da ricercarsi nel fatto che in queste organizzazioni il fine

sociale coincide con lo scopo istituzionale (pubblica amministrazione) o statutario (non

profit). Quindi le loro azioni sono comunque etiche a prescindere che gli sia richiesto

per legge o meno.

Le organizzazioni non profit e quelle pubbliche non utilizzano la rendicontazione

sociale per dimostrare il livello di responsabilità sociale raggiunto, ma ai fini della loro

legittimazione sociale presso i soggetti con cui vengono in contatto o a cui fanno

riferimento.

Gestione caratteristica

Gestione extra-caratteristica

società

Bilancio di missione

dipendenti-soci azienda

azionisti società

Bilancio sociale

Bilancio d’esercizio

dipendenti impresa

FIG. 4.3 – Il posizionamento della rendicontazione sociale in una struttura non profit e in una for profit e i soggetti destinatari del valore creato.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

125

Quello della pubblica amministrazione è specificatamente un tentativo di

riavvicinamento alla collettività (ri-legittimazione) dopo la crisi politica degli anni

novanta. Nel settore non profit invece l’asimmetria informativa che esiste tra produttori

ed erogatori di servizi, determina la necessità per le organizzazioni non lucrative di

essere trasparenti attraverso l’impiego di sistemi di accountability che misurino la

coerenza tra la mission e l’operatività della gestione.

Sulla base di questi elementi possiamo quindi suddividere i bilanci in tre

categorie:

BILANCIO SOCIALE. Il bilancio sociale(42) è il documento redatto dall’azienda for

profit che vuole sviluppare «l’opzione etica» e che accanto ai risultati economico-

finanziari rendicontati nel bilancio vuole illustrare anche gli outcome(43

) sociali della

gestione;

BILANCIO DI MISSIONE

. Il bilancio di missione è il documento redatto dall’azienda

non profit che deve dimostrare come sia stata perseguita la mission prevista dallo

statuto;

BILANCIO DI RICADUTA SOCIALE

. Il bilancio di ricaduta sociale è il documento redatto

dalle pubbliche amministrazioni che devono documentare oltre all’efficienza anche

l’efficacia della loro gestione cioè misurare l’outcome che devono produrre.

(42) Il bilancio sociale è un «dispositivo di rendicontazione che, oltre ai numeri contenuti nel

classico bilancio d’esercizio, illustra le responsabilità, i comportamenti e i benefici diretti e indiretti (risultati sociali, ambientali ecc.) conseguenti alle attività svolte da un’organizzazione nel periodo di riferimento.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 62.

(43) «Il valore aggiunto, quale sintesi dei flussi patrimoniali economici, da solo non basta a dar conto della complessità delle aziende no profit nei termini più volte ripetuti di molteplicità e di eterogeneità di relazioni con i sistemi ambientali. […] L’insufficienza espressiva dei flussi patrimoniali economici riguarda, in prima approssimazione, le relazioni tra le aziende no profit e gli utenti finali dei beni e/o servizi prodotti, alle quali sono sottesi interessi più direttamente economici, e, in seconda approssimazione, le relazioni tra le predette aziende e tutti i soggetti esterni coinvolti dalla loro attività amministrativa, compresa la collettività in generale, alle quali sono sottesi interessi meno direttamente economici. […] nelle aziende no profit assumono maggiore rilievo le consistenze di risorse non patrimoniali rispetto a quelle patrimoniali perché tali aziende finalizzano la gestione economica di servizi al benessere di soggetti esterni. Le variazioni della consistenza di benessere economico e sociale costituiscono i flussi non patrimoniali che originano dagli svolgimenti delle attività aziendali […] è possibile trattare distintamente i flussi delle esternalità […] I primi di tali flussi, denominabili appunto benefici e sacrifici sociali esterni, esprimono in sintesi l’outcome economico, cioè gli effetti sull’ambiente che derivano da quelli patrimoniali omonimi, ancorché non siano sempre coincidenti con essi, e sono passibili di quantificazione monetaria; i secondi, denominabili allo stesso modo, invece, esprimono in sintesi l’outcome sociale, cioè gli omonimi effetti sull’ambiente dell’attività amministrativa delle aziende no profit, e sono prevalentemente passibili di quantificazione non monetaria e di varia qualificazione.»: GUZZO G., Le aziende no profit, FrancoAngeli, Milano, 2010, pagg. 174-176.

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CAPITOLO QUARTO

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4.4. Il bilancio di missione(44

Il bilancio è quel «documento che, attraverso una visione d’insieme

dell’andamento gestionale, si pone la finalità di soddisfare le legittime esigenze

informative dei portatori di interessi aziendali rispetto all’attività dell’organizzazione,

mettendoli in grado […] di assumere delle decisioni razionali nei confronti

dell’organizzazione stessa.»(

)

45

Il bilancio d’esercizio presenta un elevato grado di sinteticità e unitarietà che lo

rendono idoneo a svolgere la funzione di «vettore di informazioni» nei riguardi di

numerosi soggetti, direttamente o indirettamente, collegati all’azienda. Tuttavia, il

bilancio contabile è uno strumento d’analisi monodimensionale cioè basato

esclusivamente su valori economico-finanziari (dati quantitativi) e non è in grado,

perciò, di rappresentare la complessità dell’azione aziendale e allo stesso tempo di

soddisfare le esigenze informative di tutti gli stakeholders(

).

46

Poiché nel contesto moderno sono aumentate le relazioni informative che le

organizzazioni intrattengono con l’ambiente, è emersa la necessità di costruire uno

strumento d’analisi multidimensionale(

).

47) cioè basato su dati qualitativi, quantitativi e

descrittivi. Il rendiconto sociale o «rendiconto “istituzionale” o “etico” o “bilancio di

missione” […] costituisce un documento che, pur avendo una propria autonomia

informativa, va ad integrare il sistema informativo di bilancio»(48

Il bilancio di missione (o rendiconto «istituzionale») è il bilancio sociale delle

aziende non profit ed è «il documento cui spetta il compito di illustrare come sia stata

perseguita la mission indicata nello statuto e la performance conseguita

dall’organizzazione sotto il profilo istituzionale.».

), ed è lo strumento

che consente di comunicare quali sono i risultati conseguiti da una istituzione dal punto

di vista dell’utilità sociale.

In particolare il bilancio di missione svolge una duplice funzione:

(44) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit., pagg. 135-138.

(45) GIORDANO F., Il bilancio sociale come strumento di accountability delle aziende non profit, in BANDINI F., Economia e management delle aziende non profit e delle imprese sociali, Cedam, Padova, 2009, pag. 159.

(46) MAGGI D. - GIORDANO F., Il Bilancio di missione, in MAGGI D., Il Bilancio di missione delle aziende non profit, Giuffrè, Milano, 2008, pag. 50.

(47) GIORDANO F., Il bilancio sociale come strumento di accountability delle aziende non profit, op. cit., pag. 160.

(48) MONTANINI L., L’accountability nelle aziende non profit. Teoria e prassi a confronto, op. cit., pag. 126.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

127

strumento informativo esterno

. In questo caso il documento di missione informa gli

stakeholders sulle modalità con cui sono state impiegate le risorse nelle attività

istituzionali e sui benefici sociali prodotti in termini di beni e servizi erogati e

progetti realizzati. Di conseguenza consente la riduzione dei differenziali informativi

tra gli stakeholders favorendo il consenso e la legittimazione sociale;

strumento organizzativo e gestionale

consente agli amministratori di controllare se gli obiettivi dichiarati sono stati

effettivamente realizzati;

. In questo ruolo il documento sociale:

migliora lo scambio informativo tra le diverse aree organizzative;

permette di controllare il posizionamento dell’organizzazione rispetto alle attese

dei portatori di interessi;

favorisce la coesione delle persone all’interno dell’azienda(49

è di grande utilità nei processi di adattamento organizzativo(

); 50

Il bilancio di missione, secondo la proposta di autorevole dottrina (Luciano

Hinna), è suddiviso in due sezioni:

).

nella prima sezione è indicato «cosa vuole fare» l’organizzazione e «come intende

operare» per raggiungere i suoi scopi. Sono chiarite in modo particolare:

la mission aziendale. Le informazioni che vengono fornite riguardano l’identità

aziendale cioè i settori d’intervento, le linee di azione, i valori, l’assetto giuridico

e gli organi istituzionali;

i principi e i valori che orientano le scelte e la gestione. Le informazioni che

vengono fornite attengono alla gestione cioè al modello operativo, all’assetto

organizzativo, ai processi e alle attività;

nella seconda sezione sono illustrati i «fatti intesi come risultati ottenuti». In questa

parte vengono rappresentate le iniziative e i progetti realizzati e sono identificati i

portatori d’interessi di riferimento. Inoltre per ogni progetto vengono fornite

informazioni sui risultati ottenuti in relazione agli stakeholders coinvolti.

Il documento di missione è quindi indirizzato a dimostrare la coerenza delle scelte

relative alla governance, ai progetti intrapresi e ai risultati conseguiti, con la mission

dichiarata.

Il bilancio di missione deve garantire:

(49) MAGGI D. - GIORDANO F., Il Bilancio di missione, op. cit., pag. 67. (50) IBIDEM, op. cit., pag. 66.

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CAPITOLO QUARTO

128

in primo luogo: la trasparenza dell’operato dell’organizzazione e quindi deve

rappresentare uno strumento di comunicazione con cui creare un rapporto duraturo

con la comunità di riferimento;

in secondo luogo: il controllo sociale da parte delle diverse categorie di stakeholders

che possono anche interagire con l’organizzazione attraverso processi di feedback e

proposte di miglioramento.

4.5. Il “rapporto annuale” delle fondazioni di comunità

Le norme statutarie stabiliscono che le fondazioni di comunità redigano il bilancio

d’esercizio che «deve essere accompagnato da una relazione che illustri l’attività nel suo

complesso e l’andamento della gestione nei vari settori in cui la fondazione ha operato,

anche con riferimento alle singole erogazioni effettuate nell’esercizio. La relazione deve

anche esplicitare la politica degli investimenti e accantonamenti. Alla relazione deve

essere allegato l’elenco completo dei soggetti che hanno beneficiato dei contributi e

delle erogazioni effettuate in qualsiasi forma dalla Fondazione con l’indicazione

dell’importo delle singole erogazioni.»(51

L’attività erogativa effettuata dalle fondazioni di comunità è quindi rendicontata

in un documento che prende il nome di “rapporto annuale” e che è la versione

divulgativa del bilancio di missione. Il “rapporto annuale” che è denominato anche

“relazione sociale” rappresenta il principale strumento per illustrare l’operato delle

fondazioni comunitarie.

).

5. UN MODELLO ITALIANO DI COMMUNITY FOUNDATION?(52)

La fondazione di comunità è un’organizzazione grant-making che:

1) «mira a migliorare la qualità della vita di tutte le persone presenti in una determinata

area geografica;

2) è indipendente da controlli o influenze di altre organizzazioni, governi o donatori;

(51) Art. 16, comma 3, “Bilancio” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA,

Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org. (52) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit.,

pagg. 137-144.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

129

3) fa donazioni ad altre organizzazioni no profit per soddisfare una varietà di bisogni

emergenti nella comunità di riferimento;

4) cerca di costituire delle risorse permanenti per la comunità, molto spesso attraverso

la creazione di fondi sovvenzionati da differenti donatori, cittadini, imprese, governi,

altre fondazioni e soggetti no profit;

5) fornisce servizi ai donatori per aiutarli a raggiungere i loro fini filantropici;

6) intreccia collaborazioni e agisce quale mediatore per risolvere problemi ed elaborare

soluzioni alle questioni più importanti per la comunità;

7) opera con politiche aperte e pratiche trasparenti;

8) informa regolarmente la comunità circa le sue proposte, le attività e la sua situazione

finanziaria.».

In conformità a questi standard internazionali di riferimento, la domanda alla

quale dobbiamo rispondere è se le fondazioni di comunità italiane presentino dei

caratteri specifici che ci possano far parlare di un modello italiano di community

foundations.

A) AREA DI INTERVENTO. Le fondazioni di comunità operano in un’area geografica

delimitata, rappresentata dalla regione o dalla provincia in cui sono state fondate e

la loro denominazione e il logo identificano la città e/o la regione che sono oggetto

dei loro interventi. La maggior parte di esse ha assunto la qualifica di ONLUS e

quindi le loro attività sono quelle previste dal decreto legislativo 4 dicembre 1997,

n. 460(53

B) ATTIVITÀ EROGATIVA. Le fondazioni di comunità erogano principalmente alle

organizzazioni non profit locali e cercano di individuare i settori di intervento in

base ad una analisi precisa delle esigenze del territorio. Tuttavia anche gli enti

ecclesiastici e gli enti pubblici possono beneficiare di erogazioni(

) anche se alcune di esse individuano alcuni settori prioritari d’intervento.

Le fondazioni comunitarie generalmente non effettuano un’attività di verifica

dell’attuazione dei progetti finanziati e il controllo si limita all’analisi della

rendicontazione delle spese sostenute.

54

(53) Cfr. supra capitolo IV, paragrafo 3.

). La

(54) Art. 2 “Scopo” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org: «L’attività di beneficenza sarà attuata: − direttamente a favore di soggetti svantaggiati;

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CAPITOLO QUARTO

130

“Fondazione Comunitaria della Riviera dei Fiori”(55) e la “Fondazione della

Comunità di Mirafiori”(56

C)

) realizzano anche progetti propri secondo un modello di

operating community foundation che è diffuso soprattutto in Germania.

SERVIZI AI DONATORI

D)

. Tutte le fondazioni offrono diversi servizi ai donatori idonei

ad agevolare la raccolta di risorse in particolare mediante la costituzione di una

molteplicità di fondi.

INDIPENDENZA. Le fondazioni di comunità presentano un rapporto forte con i

soggetti promotori sia dal punto di vista economico sia per la presenza di

rappresentanti negli organi direttivi. Questi elementi si riscontrano in modo

particolare in quelle realtà che sono nate per gemmazione dalle fondazioni di

origine bancaria. Per quanto riguarda, invece, la presenza di rappresentanti delle

istituzioni pubbliche, locali e nazionali, all’interno degli organi delle fondazioni;

diversi enti tra cui quelli di Lodi(57), Mantova(58), Riviera dei Fiori(59), Ponente

Ligure(60) e Centro Storico di Napoli(61

− indirettamente, tramite l’erogazione di fondi, a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale

(ONLUS) ed Enti pubblici che operano nei settori previsti dalla lett. a), art. 10, del D. Lgs. n. 460/97.».

), prevedono delle forme di incompatibilità.

(55) Art. 4 “Modalità di intervento” del Regolamento attività istituzionali della FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it: «Nell’ambito delle attività istituzionali, la Fondazione opera attraverso: 1. la concezione e la realizzazione di iniziative e progetti propri;».

(56) Art. 2 “Scopo” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it: «Per il perseguimento del proprio scopo, la Fondazione può realizzare progetti ed iniziative gestiti direttamente o indirettamente».

(57) Art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI LODI, Lodi, sul sito www.fondazionelodi.org: «Non possono essere nominati membri del Consiglio di Amministrazione coloro che: − si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile; − siano dipendenti in servizio della Fondazione o abbiano con essa un rapporto di collaborazione

remunerato; − ricoprano la carica di Parlamentare Europeo, Parlamentare Nazionale, membro del Governo o della

Corte Costituzionale; − siano membri di altri organi costituzionali o di rilevanza costituzionale o di organi dell’Unione

Europea e della Magistratura ordinaria o speciale; − ricoprano la carica di Consigliere Regionale della Lombardia, Consigliere Provinciale della Provincia

di Lodi ovvero siano componenti delle giunte regionali, provinciali, comunali o amministratori di altri enti locali territoriali.».

(58) Art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it: «L’incarico di membro del Consiglio di Amministrazione è incompatibile con qualsiasi altra carica pubblica o politico-associativa rivestita al momento della nomina o da meno di tre anni. La candidatura a ricoprire dette cariche produrrà immediata decadenza dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione.».

(59) Art. 10 “Ineleggibilità, decadenza ed esclusione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it: «Non possono far parte del Consiglio di Amministrazione coloro che:

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

131

E) STRATEGIE DI INCREMENTO DEL PATRIMONIO. Le fondazioni di comunità hanno

elaborato diverse strategie di incremento del patrimonio in particolare attraverso

l’istituzione di fondi o il cosiddetto bando “con raccolta”(62

F) CAPACITÀ DI LEADERSHIP. La creazione di una rete sociale duratura dipende dalle

capacità di leadership delle fondazioni di comunità. Le fondazioni di comunità

italiane pur esercitando un’azione di coordinamento dei soggetti sociali presenti

nella comunità, di fatto non hanno ancora assunto un ruolo di leadership

consistente. Inoltre non esiste una rete nazionale delle fondazioni comunitarie né

uno scambio consolidato di informazioni ed esperienze tra le stesse.

). Una tecnica

particolare per ampliare il patrimonio è stata elaborata dalla fondazione di Pavia

che procede all’assorbimento di altre fondazioni operanti sul territorio che non

hanno più capacità operativa, mentre in altri casi si è fatto riferimento a soggetti del

luogo particolarmente ricchi come le banche.

G) ATTIVITÀ INFORMATIVA. Tutte le fondazioni di comunità informano regolarmente la

comunità, prevalentemente attraverso il proprio sito web istituzionale, in ordine alle − si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile; − siano dipendenti in servizio della Fondazione o abbiano con essa un rapporto di collaborazione

remunerato; − ricoprano il ruolo di Parlamentare Europeo, Parlamentare Nazionale, di membro del Governo o della

Corte Costituzionale; − siano membri di altri Organi costituzionali o di rilevanza costituzionale o di Organi della Unione

Europea e della Magistratura ordinaria e speciale; − ricoprano il ruolo di Consigliere Regionale, Consigliere Provinciale e Consigliere dei Comuni della

provincia di Imperia con oltre 500 residenti, ovvero siano componenti delle Giunte Regionali, Provinciali o dei Comuni della provincia di Imperia con oltre 500 residenti.».

(60) Art. 17 “Ineleggibilità, decadenza ed esclusione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org: «Non possono far parte del Consiglio di Indirizzo coloro che: − si trovino in una delle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile; − siano dipendenti in servizio della Fondazione o abbiano con essa un rapporto di collaborazione

remunerato; − ricoprano il ruolo di Parlamentare Europeo, Parlamentare Nazionale, di membro del Governo o della

Corte Costituzionale; − siano membri di altri Organi costituzionali o di rilevanza costituzionale o di Organi della Unione

Europea e della Magistratura ordinaria e speciale; − ricoprano il ruolo di Consigliere Regionale, Consigliere Provinciale e Consigliere dei Comuni della

provincia di Savona con oltre 500 residenti, ovvero siano componenti delle Giunte Regionali, Provinciali o dei Comuni della provincia di Savona con oltre 500 residenti.».

(61) Art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE DI COMUNITÀ DEL CENTRO STORICO DI NAPOLI, Napoli, sul sito www.fondcomnapoli.it: «Non possono ricoprire l’incarico di membro del Consiglio di Amministrazione i Parlamentari, i Presidenti della Regione e della Provincia, i Consiglieri Regionali, Provinciali e Comunali, i Sindaci e i componenti delle Giunte Regionale e Comunale e i Segretari dei partiti politici. Ogni candidatura o nomina a ricoprire dette cariche comporterà immediata decadenza dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione.».

(62) Cfr. supra capitolo III, paragrafo 7.4.

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CAPITOLO QUARTO

132

erogazioni effettuate, ai progetti intrapresi e alla situazione finanziaria. Tutte

mettono a disposizione il proprio statuto e i regolamenti e la maggior parte pubblica

anche i propri bilanci e il rapporto annuale.

Dall’esame effettuato emerge chiaramente che i soggetti promotori, in generale le

fondazioni di origine bancaria, hanno sviluppato un modello ben determinato di

fondazione di comunità tanto da poter parlare di uno specifico “modello italiano”.

Questa struttura presenta tre elementi caratterizzanti:

in primo luogo il forte radicamento territoriale. L’ambito geografico di intervento è

circoscritto al livello provinciale o infraprovinciale in quanto un’area più estesa

rischierebbe di inglobare comunità non omogenee;

in secondo luogo il collegamento con l’entità sorgente. Nonostante i geni

dell’indipendenza e dell’autonomia facciano parte del codice genetico delle

fondazioni di comunità, il collegamento tra soggetto promotore ed entità promosse

non viene mai meno. Questo legame può essere diretto, con la presenza nel Consiglio

d’Amministrazione o nel Comitato di Nomina, o indiretto, attraverso il sostegno

economico alle erogazioni;

in terzo luogo la tipologia di attività svolta. Le fondazioni di comunità svolgono

nella maggior parte dei casi esclusivamente attività granting.

6. LA PROCEDURA DI NOMINA DEI CONSIGLIERI DI AMMINISTRAZIONE

Le fondazioni di comunità hanno in media 14 consiglieri nel Consiglio di

Amministrazione o nel Consiglio di Indirizzo. I consiglieri sono nominati senza vincolo

di mandato e la carica è esercitata a titolo gratuito.

I componenti dell’organo di governo delle fondazioni sono eletti, ordinariamente,

da un Comitato di Nomina costituito dalle personalità civili e religiose di rilievo della

comunità.

Il funzionamento del Comitato di Nomina è disciplinato da un regolamento

emanato dal comitato stesso o dal Consiglio di Amministrazione(63

(63) Vds. ad esempio l’art. 9, comma 5, “Comitato di Nomina” dello Statuto della FONDAZIONE

DELLA COMUNITÀ SALERNITANA, Salerno, sul sito

).

www.fondazionecomunitasalernitana.it: «Il Comitato

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

133

Fondazione Mantovana Lodi Nord Milano Lecco Bergamasca Bresciana

№ membri CdA 11 da 9 a 21 da 7 a 15 9 da 11 a 19 27

Fondazione Cremona Monza e Brianza ProValtellina Pavia Novarese Comasca

№ membri CdA 9 da 9 a 15 15 da 9 a 15 da 11 a 15 11

Fondazione Ticino Olona Varesotto Verbano

Cusio Ossola Clodiense Riviera Miranese

Terra d’Acqua

№ membri CdA da 7 a 16 da 11 a 19 da 9 a 15 da 5 a 15 da 3 a 7 da 4 a 11

Fondazione Santo Stefano

Mirafiori (64

Riviera dei Fiori )

Savonese (65

Centro Storico Napoli ) Salernitana

№ membri CdA da 7 a 11 da 9 a 15 11 da 11 a 15 da 9 a 15 da 7 a 11

Fondazione Territorio di Cerea

Comunità Veronese

della Sinistra Piave

Comunità Vicentina Treviglio Valle

d’Aosta

№ membri CdA 7 da 15 a 18 10 da 9 a 15 da 7 a 11 da 11 a 21

Tuttavia, in alcuni casi, la nomina di un determinato numero di consiglieri è

attribuita direttamente ad alcune autorità pubbliche locali (Sindaco, Vescovo, Rettore

dell’Università, ecc.).

6.1. Il regolamento del Comitato di Nomina(66

Nel caso della “Fondazione della Comunità di Mirafiori”, il Comitato di Nomina,

in base all’art. 1, è composto dal Sindaco di Torino, dal Rettore dell’Università di

)

di Nomina opera sulla base di un regolamento predisposto dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione.», l’art. 8 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Monza, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org: «Il Comitato di Nomina opera sulla base di un regolamento elaborato dal Consiglio di Amministrazione.» e l’art. 10, comma 4, “Il Comitato di Nomina” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Legnano (MI), sul sito www.fondazioneticinoolona.it: «Il Comitato di Nomina opera secondo un regolamento approvato dal Comitato stesso, sentito il Consiglio di Amministrazione della Fondazione.».

(64) Art. 11 “Consiglio di Indirizzo” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it.

(65) Art. 15 “Consiglio di Indirizzo” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org.

(66) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Regolamento del Comitato di Nomina, Torino, 2008.

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CAPITOLO QUARTO

134

Torino, dal Rettore del Politecnico di Torino, dal Presidente della Compagnia di San

Paolo, dall’Arcivescovo della Diocesi di Torino, dal Presidente della Camera di

Commercio di Torino e da un rappresentante del Comitato dei Fondatori.

Il Comitato di Nomina provvede a designare un Coordinatore dei lavori che

modera la riunione e redige il verbale della stessa che è conservato, in forma riservata,

presso la sede della Fondazione (art. 8).

La selezione dei membri del Consiglio di Indirizzo avviene tra persone

maggiorenni, senza pregiudizi penali, che siano state indicate:

dall’Associazione Miravolante (nel numero di 3);

dal Comune di Torino (nel numero di 3);

dalla Compagnia di San Paolo (nel numero di 2).

I citati enti predispongono delle rose di candidati in numero superiore di almeno

uno rispetto a quello dei membri in designazione.

Il Comitato di Nomina provvede inoltre, attraverso selezione diretta, alla nomina

dei sette consiglieri di sua competenza.

Il Comitato di Nomina non rende pubbliche le motivazioni delle proprie decisioni,

che sono insindacabili (art. 9).

Il Coordinatore, al termine della selezione dei candidati, comunica le designazioni

effettuate al Presidente del Consiglio di Indirizzo che ne dà proclamazione in apertura

della successiva riunione del Consiglio di Indirizzo medesimo.

6.2. La procedura di evidenza pubblica per l’elezione dei consiglieri di diretta

competenza delle diverse autorità pubbliche

Nell’ambito del Consiglio di Amministrazione o del Consiglio di Indirizzo delle

fondazioni di comunità, la nomina di un determinato numero di consiglieri è attribuita

direttamente ad alcune autorità pubbliche locali (Sindaco, Vescovo, Rettore

dell’Università, ecc.).

In particolare nel caso della fondazione:

Mantovana: 5 membri sono nominati dal Comitato dei Donatori mentre i rimanenti

sono designati nel numero di 1 dall’Ordinario Diocesano di Mantova, 1

dall’Associazione Industriali di Mantova, 1 dalla Fondazione Cariplo, 1 dai Rettori

dell’Università di Pavia e del Politecnico di Milano (d’intesa tra loro o, qualora

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

135

dovesse istituirsi un’Università in Mantova, dal Rettore di questa), 1 dal Presidente

dell’Ordine dei Medici della Provincia di Mantova (sentiti i Presidenti degli Ordini

Professionali della Provincia maggiormente interessati all’attività della Fondazione)

e 1 dal Presidente del Collegamento del Volontariato della Provincia di Mantova;

Bresciana: 19 consiglieri sono nominati dal Consiglio uscente, che ne sceglie almeno

dieci fra gli iscritti all’Albo dei Donatori(67

), e altri 8 sono designati nel numero di 1

dal Presidente della Fondazione Cariplo, 2 dal Presidente della Provincia di Brescia,

1 dal Vescovo della Diocesi di Brescia, 1 dal Sindaco del Comune di Brescia, 1 dal

Presidente dell’Associazione dei Comuni Bresciani, 1 dal Rettore dell’Università

degli Studi di Brescia e 1 dal Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;

Nord Milano: un terzo dei componenti del Consiglio di Amministrazione è nominato

dal Comitato dei Donatori(68) fra coloro che sono stati attivi nell’Associazione Amici

della Fondazione del Nord Milano. A questi si aggiunge di diritto il Presidente

dell’Associazione Amici della Fondazione del Nord Milano a decorrere dal momento

in cui la stessa abbia almeno 250 soci(69

);

del Ticino Olona: fino ad un massimo di 4 Consiglieri sono nominati dal Comitato

degli Enti Locali(70

);

del Varesotto: il 30% dei consiglieri è designato dell’Assemblea dei Soci

Sostenitori(71

(67) Art. 17, comma 1, “Albo dei donatori” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ

BRESCIANA, Brescia, sul sito

);

www.fondazionebresciana.org: «Le finalità specifiche dei fondi e delle donazioni vengono trascritte in un apposito Albo unitamente alle generalità dei donatori che non intendono conservare l’anonimato nei modi e alle condizioni previste da specifico regolamento.».

(68) Art. 9, comma 1, “Il Comitato dei Donatori” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org: «Il Comitato dei Donatori è composto fino ad un massimo di 20 soggetti composto fra le persone fisiche viventi o le persone giuridiche esistenti, diverse dai Fondatori, che hanno maggiormente contribuito attraverso le loro donazioni alla vita della Fondazione.».

(69) Art. 10 “Consiglio di Amministrazione” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org.

(70) Art. 9 “Il Comitato degli Enti Locali” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Legnano (MI), sul sito www.fondazioneticinoolona.it: «1. Membri del Comitato degli Enti Locali sono quelle amministrazioni, non aventi la qualifica di Fondatori, che, entro il 30 settembre di ogni anno, abbiano donato o deliberato di donare, senza vincoli di destinazione, un contributo pari ad un importo fissato periodicamente dal Consiglio di Amministrazione e che per il primo triennio di attività della Fondazione sarà pari a 33 centesimi per ogni cittadino residente sul territorio di riferimento di ciascuna amministrazione.».

(71) Art. 12 “Assemblea dei Sostenitori” dello Statuto della FONDAZIONE COMUNITARIA DEL VARESOTTO, Varese, sul sito www.fondazionevaresotto.it: «Sono sostenitori tutti quei soggetti pubblici e privati che hanno partecipato con almeno € 25.822,84 all’incremento del patrimonio della Fondazione Comunitaria, e che non facciano parte del Comitato di Nomina di cui all’art. 8.».

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CAPITOLO QUARTO

136

Salernitana: un consigliere è nominato dal Comitato dei Fondatori(72

);

della Riviera Miranese: 1 membro è eletto dall’Assemblea di Partecipazione(73

);

della Riviera dei Fiori

: i consiglieri sono designati nel numero di 1 dalla Provincia di

Imperia, 1 dal Vescovo della Diocesi di Albenga-Imperia, 1 dal Vescovo della

Diocesi di Ventimiglia-Sanremo, 1 dalla Camera di Commercio della Provincia di

Imperia, 1 dal Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Imperia, 1 dalla

Compagnia di San Paolo, 1 dalla Fondazione Carige (Fondazione Cassa di Risparmio

di Genova e Imperia), 1 dalla persona fisica privata che ha più donato alla

Fondazione nel periodo della Consigliatura in scadenza e 3 dal Consiglio di

Amministrazione, che li individua fra persone in possesso dei requisiti di onorabilità

e professionalità confacenti ai fini statutari;

del Ponente Savonese

: i consiglieri sono designati nel numero di 1 dal Presidente

della Provincia di Savona, 2 dai Sindaci dei Comuni membri della Fondazione, da un

minimo di 1 fino ad un massimo di 2 dal Vescovo della Diocesi di Savona-Noli, da

un minimo di 1 fino ad un massimo di 2 dal Vescovo della Diocesi di Albenga-

Imperia, 1 dalla Fondazione A. De Mari di Savona, 1 dalla Fondazione Carige, da un

minimo di 4 fino ad un massimo di 6 dalle persone giuridiche e fisiche private che

hanno contribuito al patrimonio e al fondo di gestione della Fondazione, con propria

deliberazione collegiale adottata a maggioranza;

della Valle d’Aosta

(72) Art. 9, comma 1, “Comitato dei Fondatori” dello Statuto della FONDAZIONE DELLA

COMUNITÀ SALERNITANA, Salerno, sul sito

: un consigliere ciascuno è nominato dal Vescovo della Diocesi di

Aosta, dal Sindaco di Aosta, dal Presidente del Consorzio Enti Locali della Valle

d’Aosta, dal Presidente della Camera di Commercio valdostana delle imprese e delle

professioni, dal Rettore dell’Università della Valle d’Aosta, dalla Compagnia di San

www.fondazionecomunitasalernitana.it: «Il Comitato dei Fondatori è composto: a) da tutti i soggetti, pubblici e privati, che hanno costituito la Fondazione con la sottoscrizione di una

quota del fondo di dotazione iniziale (“Fondatori iniziali”); b) da tutti i soggetti, pubblici e privati, cui sia successivamente attribuita, dal Consiglio

d’Amministrazione, la qualifica di Fondatore (“Fondatori successivi”), che si impegnano a contribuire alla realizzazione degli scopi della Fondazione, costituendo, entro cinque anni, un fondo patrimoniale senza vincoli di destinazione, del valore minimo di 60.000 euro.».

(73) Art. 17 “Assemblea di Partecipazione” dello Statuto della FONDAZIONE RIVIERA MIRANESE, Dolo (VE), sul sito www.fondazionerm.org: «L’assemblea di partecipazione è costituita dagli aderenti e dall’Organo di Sorveglianza». Gli “aderenti” sono le persone fisiche o giuridiche, pubbliche o private che, condividendo le finalità della Fondazione, contribuiscono al fondo di dotazione (patrimonio) oppure a quello di gestione mediante contributi in denaro. Mentre l’Organo di sorveglianza riunisce gli enti pubblici, territoriali e non, che hanno aderito alla Fondazione versando un contributo al fondo di dotazione (patrimonio) o di gestione.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

137

Paolo, dal Presidente dell’Ordine dei notai della Valle d’Aosta e dal Presidente

dell’Associazione per la Filantropia in Valle d’Aosta;

di Mirafiori: i consiglieri sono designati nel numero di 3 dall’Associazione

Miravolante, 3 dal Comune di Torino e 2 dalla Compagnia di San Paolo. Le norme

sull’elezione del Consiglio di Indirizzo sono in fase di aggiornamento/modifica(74

);

del Verbano Cusio Ossola

: i consiglieri sono scelti nel numero di 2 tra i dieci soggetti

viventi ed operanti che hanno maggiormente contribuito al patrimonio della

Fondazione e 2 sulla base delle candidature avanzate dalle organizzazioni del

Verbano Cusio Ossola più rappresentative nei settori di attività della fondazione

comunitaria;

del Centro Storico di Napoli

: la “Fondazione con il Sud” potrà nominare un suo

membro nel Consiglio di Amministrazione a partire dall’anno successivo al

completamento della raccolta fondi prevista nel Bando della stessa fondazione;

del Territorio di Cerea

: i consiglieri sono designati nel numero di 3 dal Consiglio

Comunale di Cerea (tra cui uno espressione della minoranza consigliare), 1

congiuntamente dal Terzo Settore (Istituto per Anziani Casa de Battisti, Cooperativa

Sociale Anderlini, Istituto Sacra famiglia, Associazione Piccola Fraternità), 1

congiuntamente dalle Associazioni di Cerea impegnate nel volontariato sociale, 1

espresso congiuntamente dalle rappresentanze dei quartieri ed 1 dal Comitato dei

Sostenitori;

Vicentina per la Qualità di Vita

La procedura di nomina richiede l’avvio di una selezione ad evidenza pubblica

che rispetti i criteri di trasparenza e pubblicità.

: i consiglieri sono nominati nel numero di 4

dall’Azienda ULSS N. 4 Alto Vicentino congiuntamente alla Conferenza dei Sindaci

del territorio della ULSS N. 4, 3 dalla Provincia di Vicenza e 2 dalla Camera di

Commercio di Vicenza;

(74) Il Segretario Generale della Fondazione della Comunità di Mirafiori, Dott.ssa Silvia Cordero,

ha rappresentato – nelle vie brevi il 13 gennaio 2012 e tramite posta elettronica – che lo statuto della fondazione è in corso di aggiornamento in particolare per quanto riguarda le norme sulla nomina del Consiglio di Indirizzo. La modifica si è resa necessaria per superare i problemi riscontrati nella nomina dei consiglieri derivanti in: − primo luogo dalla difficoltà di fare incontrare tutte le autorità che compongono il Comitato di Nomina

allo scopo di procedere alla designazione dei consiglieri; − secondo luogo dalla circostanza che le rimanenti nomine di diretta competenza delle diverse autorità

(Vescovo, Rettore dell’Università, ecc.) richiedono l’avvio di una procedura di selezione ad evidenza pubblica (presentazione e raccolta di candidature) che determina un rilevante allungamento dei tempi del procedimento di nomina.

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CAPITOLO QUARTO

138

Il Sindaco ha la facoltà di nominare, designare e revocare i rappresentanti del

Comune presso altri enti, aziende e istituzioni in base all’art. 50, comma 8, decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti

locali”(75

Nel caso della “Fondazione della Comunità di Mirafiori” al Sindaco di Torino

compete la nomina di 3 consiglieri. La procedura è disciplinata anche dall’art. 51 dello

statuto della Città di Torino(

).

76), dall’art. 82 del regolamento del Consiglio Comunale(77)

e dalla delibera di indirizzo nomine del Consiglio Comunale (78

(75) Art. 50, comma 8, “Competenze del sindaco e del presidente della provincia”: «Sulla base

degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni.».

).

(76) Art. 51, commi 1 e 3, “Nomine dei rappresentanti del Comune”. CITTÀ DI TORINO, Statuto, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/amm_com/statuto: 1. «Le nomine e la revoca dei rappresentanti del Comune presso enti, istituzioni e aziende e società

spettano al Sindaco, che provvede con l'osservanza degli indirizzi deliberati dal Consiglio Comunale. Il Sindaco, nell'esercizio del proprio potere di nomina, deve tener conto delle disposizioni di legge per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle Amministrazioni.

3. Le nomine sono effettuate nel rispetto di criteri di trasparenza e pubblicità delle procedure, di competenza ed esperienza dei nominati, nonché di garanzia della rappresentanza degli interessi della Città.».

(77) Art. 82 “Nomina, designazione e revoca da parte del Sindaco dei rappresentanti del Comune”. CITTÀ DI TORINO, Regolamento del Consiglio Comunale, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/consiglio/regolamento: 1. «Il Sindaco nomina, designa e revoca i rappresentanti del Comune sulla base delle disposizioni

statutarie e regolamentari, e secondo gli indirizzi deliberati dal Consiglio Comunale a norma di legge. 2. Le nomine da effettuare nelle aziende speciali, istituzioni, società di capitali e consortili, istituti di

credito e loro enti di controllo o fondazioni, università, Politecnico, Teatro Stabile, musei, istituzioni culturali a rilevanza internazionale, fondazioni culturali, devono avvenire nel rispetto delle procedure di cui al comma successivo. Il Consiglio Comunale, con la deliberazione d’indirizzo di cui al comma 1, può stabilire l’applicazione della stessa procedura alle nomine in altri enti.

3. Il Sindaco deposita, almeno dieci giorni prima di procedere alla nomina, la dichiarazione di disponibilità ed il curriculum dei soggetti che intende nominare, dandone notizia scritta al Presidente del Consiglio Comunale ed ai capigruppo. Qualora il Presidente lo decida o capigruppo che rappresentino almeno un quarto dei consiglieri comunali lo richiedano entro i cinque giorni successivi alla comunicazione, la Conferenza dei Capigruppo, eventualmente integrata dalla commissione consiliare competente per materia, procede all’audizione pubblica dei candidati proposti dal Sindaco. Il verbale sintetico, o la registrazione delle eventuali audizioni ed ogni eventuale memoria scritta sulle candidature, devono essere rimessi al Sindaco almeno 48 ore prima della scadenza del termine per la nomina.

4. Per le nomine da effettuare in altri enti, il Sindaco deposita almeno cinque giorni prima della nomina il curriculum dei soggetti che intende nominare, dandone informazione scritta al Presidente del Consiglio Comunale ed ai capigruppo consiliari.

5. Quando il Sindaco procede ad una revoca, ne informa contestualmente il Presidente del Consiglio Comunale e i capigruppo.

6. Quando un rappresentante della Città rassegna le dimissioni, ne viene data immediata informazione al Presidente del Consiglio Comunale e ai capigruppo.».

(78) CITTÀ DI TORINO, Delibera di indirizzo nomine, Torino, 4 ottobre 1993, in http://www.comune.torino.it/amm_com/nomine/delibnomine.htm: «Annualmente, anche a mezzo stampa verrà pubblicato l’elenco di tutte le nomine da effettuare nell’anno seguente. Gli interessati potranno

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

139

Ogni anno il Comune pubblica, sui quotidiani locali e sul sito internet

istituzionale, l’elenco di tutte le nomine da effettuare nell’anno successivo.

Gli interessati possono presentare al Gabinetto del Sindaco una “dichiarazione di

disponibilità” alla nomina accompagnata da un curriculum vitae che contenga

l’indicazione dei requisiti professionali e scientifici relativi alla carica da ricoprire, le

esperienze lavorative pregresse, l’eventuale iscrizione ad albi professionali.

I rappresentanti del Comune dovranno essere in possesso di competenze tecniche,

giuridiche o amministrative, adeguate all’incarico da ricoprire e inoltre dovranno

assicurare la rappresentanza degli interessi della Città.

7. L’ASSOCIAZIONE ITALIANA FONDAZIONI ED ENTI DI EROGAZIONE (ASSIFERO)(79)

Una delle possibili linee di sviluppo delle fondazioni di comunità italiane è

rappresentata dalla creazione di una rete nel settore della filantropia istituzionale

analogamente a quanto realizzato negli Stati Uniti(80

Nel Regno Unito, nel 1991, è stata creata un’associazione delle fondazioni di

comunità denominata Association of Community Trust and Foundation successivamente

) e in Gran Bretagna, dove

l’esperienza delle community foundations è maggiormente diffusa e sviluppata.

presentare al Settore I Gabinetto del Sindaco una dichiarazione di disponibilità alla nomina unitamente all’indicazione dell’Ente al quale si riferisce, accompagnata da un curriculum redatto secondo un modello predisposto dal Comune e dalla eventuale proposta di Enti, Associazioni ed Organismi. […] I rappresentanti del Comune nei vari Enti dovranno possedere comprovata competenza tecnica, giuridica o amministrativa adeguata alle caratteristiche specifiche dell’attività che dovrà essere svolta. Essi dovranno essere scelti considerando a tal fine, ed in relazione agli obiettivi del Comune e degli Enti, i requisiti emergenti dall’iscrizione in albi professionali, dagli incarichi accademici ed in Istituzioni di Ricerca, dall’esperienza amministrativa o di direzione di strutture pubbliche e private, dall’impegno sociale e civile.».

(79) Le informazioni sull’Associazione Italiana Fondazioni ed Enti di Erogazione sono state reperite sul sito internet istituzionale www.assifero.org e nei seguenti documenti Brochure istituzionale e Rapporto Annuale 2010 sempre disponibili sul sito.

(80) Le associazioni di fondazioni svolgono «un ruolo essenziale […] per lo sviluppo dei soggetti di cui finiscono per essere uno specchio. Attraverso i servizi da esse offerti, […], influenzano in misura a volte determinante la qualità, e, con questa, i risultati raggiunti dall’attività dei propri associati, costituendo uno dei fattori determinanti per lo sviluppo del settore» e «la prima e più importante distinzione all’interno delle organizzazioni non profit va tracciata fra le organizzazioni cui i grantmakers aderiscono come membri, attraverso un’iscrizione rinnovata periodicamente (membership organizations); e quelle, invece, a cui le fondazioni partecipano come finanziatori, senza che il loro contributo assuma i contorni della creazione di un vincolo associativo (non membership organizations).»: BUSIA G., Le associazioni di fondazioni negli Stati Uniti e in Italia: un’applicazione della teoria del vantaggio istituzionale comparato, in AA.VV, Fondazioni e organizzazioni non profit in USA, Maggioli, Rimini, 1997, pagg. 259-260 e 267.

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CAPITOLO QUARTO

140

rinominata, nel 2000, Community Foundation Network (CFN). Grazie a questa iniziativa

il settore dell’intermediazione comunitaria ha vissuto negli anni novanta un’ulteriore

forte crescita. Inoltre la CFN ha stabilito un sistema di certificazione della qualità

(Quality Accreditation) che ha reso più professionale il settore dell’intermediazione

comunitaria e ha stimolato l’adozione di best practises(81

Gli obiettivi del CFN sono(

). 82

dare maggiore credibilità alle fondazioni di comunità davanti agli occhi dei donatori

e dell’opinione pubblica;

):

promuovere gli interessi, l’immagine e la diffusione delle fondazioni di comunità in

ambito nazionale;

fornire consulenza e formazione alle fondazioni di comunità per il miglioramento dei

processi erogativi;

favorire lo scambio di esperienze all’interno della rete.

In questa direzione si sta muovendo l’Associazione Italiana Fondazioni ed Enti di

Erogazione (ASSIFERO), nata il 14 luglio 2003, con lo scopo di raggruppare tutti i

soggetti che operano nel settore dell’intermediazione filantropica (fondazioni private o

di famiglia, fondazioni d’impresa, fondazioni di comunità e altri enti erogativi).

I soci di ASSIFERO sono attualmente 77 e di questi circa la metà sono fondazioni

di comunità.

FIG. 4.4 – Logo ufficiale dell’associazione. Fonte: sul sito www.assifero.org.

(81) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit., pagg. 149-150.

(82) IBIDEM, op. cit., pag. 153.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

141

7.1. Le linee strategiche

La mission principale di ASSIFERO è quella di diventare il punto di riferimento nel

settore della filantropia istituzionale in Italia.

Per perseguire questo obiettivo l’associazione ha elaborato le sotto indicate linee

strategiche:

1) il miglioramento del contesto in cui opera la filantropia istituzionale

2)

. L’impegno di

ASSIFERO si manifesta nel diffondere, attraverso l’organizzazione di seminari,

convegni e gruppi di lavoro, la conoscenza del ruolo e delle potenzialità della

filantropia istituzionale e nel promuovere l’approvazione di norme di specifico

interesse del settore;

la nascita di nuove fondazioni di comunità

3)

. A questo scopo ASSIFERO mette a

disposizione di coloro che vogliono dare vita ad una fondazione di comunità, le

proprie competenze e conoscenze. In particolare sul sito internet istituzionale è

possibile consultare uno statuto tipo di una fondazione di comunità locale e i

quaderni operativi per la costituzione di una fondazione di comunità (elaborati dalla

Fondazione Cariplo). Inoltre ASSIFERO ha reso disponibile un nuovo sistema

informativo on line per la gestione integrata di tutte le attività di una fondazione di

comunità;

l’assistenza agli enti d’erogazione

4)

. In questo campo ASSIFERO predispone strumenti

che possano coadiuvare gli enti di erogazione nell’attività di fund raising, offre agli

aderenti una rete di professionisti cui fare riferimento per risolvere problematiche

specifiche e collabora all’elaborazione di standard comuni in ordine agli schemi di

bilancio per gli enti d’erogazione;

lo sviluppo della rete fra le fondazioni d’erogazione

5)

. In questo caso l’azione di

ASSIFERO è diretta a favorire lo scambio di esperienze fra i soci;

l’approfondimento delle relazioni internazionali

6)

. In campo internazionale ASSIFERO

monitora l’evoluzione delle normative di settore e facilita lo scambio di esperienze a

livello internazionale;

il rafforzamento della propria struttura interna

.

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CAPITOLO QUARTO

142

8. LE POSSIBILI DIRETTRICI DI SVILUPPO(83)

Il modello delle fondazioni di comunità che è nato nelle regioni dell’Italia

settentrionale, si sta rapidamente diffondendo nel resto della penisola, ma soprattutto

molte comunità dimostrano interesse per questo strumento filantropico.

Il consolidamento delle prime esperienze consente di tracciare un bilancio di

quella che è l’efficacia del modello:

nell’implementare l’infrastrutturazione sociale del territorio;

nell’incrementare il radicamento e la legittimazione sociale nella comunità di

riferimento.

Ma, soprattutto, permette di ipotizzare alcune possibili direttrici di sviluppo per

rendere maggiormente efficiente la struttura.

Le possibili azioni da intraprendere per superare alcune criticità dell’architettura

fondazionale e contribuire al suo ulteriore sviluppo sono le seguenti:

a) sviluppare il livello organizzativo e professionale delle fondazioni di comunità

In Italia il personale che presta la propria opera a favore delle fondazioni di comunità

è tutto volontario ad eccezione di qualche dipendente che svolge mansioni di

segreteria a tempo pieno. Nelle fondazioni di comunità britanniche, invece, ci sono

ben 383 lavoratori retribuiti a tempo pieno.

.

Questa circostanza denota l’alto livello di professionalità raggiunta dalle fondazioni

d’oltremanica che possono contare stabilmente su personale in possesso di

consolidata esperienza in un settore che richiede l’utilizzo di raffinate tecniche

economico-giuridiche. La realtà italiana è completamente diversa sia a causa della

mancanza di risorse sia a causa di una radicata cultura che prevede che tutto ciò che

riguarda il “terzo settore” debba essere fatto a titolo gratuito.

Una modifica di questo stato di cose con l’inserimento nelle fondazioni italiane di

figure stabili di alto profilo, consentirebbe di elevare il livello complessivo della

gestione;

b) creare un network in grado di svolgere attività di coordinamento e che fornisca

servizi di formazione e consulenza alle fondazioni di comunità

(83) IBIDEM, op. cit., pagg. 152-153.

.

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LE FONDAZIONI COMUNITARIE IN ITALIA

143

In questa direzione si sta muovendo l’Associazione Italiana Fondazioni ed Enti di

Erogazione (ASSIFERO) già esaminata nel precedente paragrafo 7 a cui si rimanda;

c) offrire rappresentanza agli interessi sociali(84

Le fondazioni di comunità sono caratterizzate da una forma di governance verticale

che nel modello italiano emerge con ancora più forza data la presenza di un Comitato

Promotore e di un Comitato di Nomina. Le decisioni, quindi, non sempre riescono a

coinvolgere l’intera comunità.

Nel quadro di un’allocazione più efficiente delle risorse, sarebbe opportuna

l’adozione di un modello di governance orizzontale che, senza giungere all’ingresso

automatico negli organi di gestione della fondazione, consentisse di coinvolgere nella

fase di decisione i rappresentanti delle diverse componenti sociali.

Quindi nella fattispecie, l’introduzione di meccanismi di consultazione obbligatori

per il Consiglio di Amministrazione, diretti ad indagare i reali bisogni della

comunità;

).

d) erogare contributi a favore di enti pubblici

Nel capitolo III, paragrafo 2, abbiamo già dibattuto della possibilità che la

fondazione di comunità riceva contributi dall’ente locale e arrivi fino al punto di

sostituirsi a quest’ultimo nelle procedure di erogazione di sua competenza.

Adesso possiamo provare a ipotizzare che sia la fondazione di comunità ad erogare

contributi a favore dell’ente pubblico. Questa eventualità è tacitamente ammessa

dalla maggior parte delle fondazioni di comunità italiane. In questo caso le risorse

dei privati finirebbero per finanziare servizi pubblici, i cui costi dovrebbero essere

già assicurati dalla fiscalità generale. Se da una parte questa circostanza potrebbe

snaturare il ruolo delle fondazioni di comunità, dall’altra, però, sarebbe in grado di

aprire la strada a interessanti forme di collaborazione;

.

e) istituzionalizzare forme di contribuzione continuativa da parte delle imprese(85

Il tessuto industriale italiano è formato per oltre il 90% da piccole e medie imprese.

La ridotta dimensione impedisce a queste aziende di dedicarsi, in maniera strutturale,

ad attività solidali, se non come conseguenza della sensibilità personale

).

(84) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello

americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pagg. 11-12. (85) CASADEI B., Imprese solidali e intermediari filantropici, in AA.VV., La responsabilità sociale

nelle piccole e medie imprese, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003, pag. 152.

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CAPITOLO QUARTO

144

dell’imprenditore. Un’azione proattiva nei confronti del settore delle PMI

consentirebbe alle fondazioni di comunità di diventare il catalizzatore delle ingenti

risorse che collettivamente il sistema delle piccole e medie aziende potrebbe mettere

a disposizione della comunità, ma che rischiano invece di non essere utilizzate o di

venire disperse in sterili rivoli;

f) sviluppare forme di imprenditorialità locale

Il sistema italiano delle fondazioni di comunità si limita all’erogazione di risorse a

favore di opere ed attività circoscritte nel tempo. Sarebbe, invece, auspicabile che le

fondazione comunitarie finanziassero anche forme di imprenditorialità locale, nei

settori di intervento, in grado di autosostenersi nel lungo periodo(

.

86

In questa ipotesi sarebbe possibile utilizzare non solo i rendimenti ma lo stesso

patrimonio, per il finanziamento di iniziative avviate nella forma dell’impresa sociale

che sarebbero potenzialmente in grado di restituirlo e remunerarlo(

).

87

).

(86) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello

americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pag. 11. (87) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Rapporto Annuale 2011, op. cit., pag. 3.

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CAPITOLO QUINTO

I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

SOMMARIO: 1. L’adattabilità del modello ai diversi contesti sociali, culturali ed

economici – 2. Le community foundations negli Stati Uniti – 1.1. La Cleveland Foundation – 1.2. Lineamenti generali – 3. Le community foundations in Gran Bretagna – 4. Le Bürgerstiftung in Germania – 4.1. La Stadt Stiftung Gütersloh – 5. La Fondation de France.

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CAPITOLO QUINTO

146

1. L’ADATTABILITÀ DEL MODELLO AI DIVERSI CONTESTI SOCIALI, CULTURALI ED

ECONOMICI(1)

Le community foundations costituiscono un modello di fondazione di erogazione

che dagli Stati Uniti si è successivamente diffuso in molti altri paesi anche fuori

dell’area della common law(2). Strutture analoghe sono oggi presenti in Canada,

Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Messico, Giappone, Russia, Costa Rica, Gran

Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca(3

Le community foundations rappresentano la frontiera più avanzata del terzo

settore in cui ricoprono un ruolo di leadership. Le fondazioni di comunità hanno avuto

origine per rispondere ai bisogni di una specifica comunità di riferimento, ma la loro

caratteristica più importante è quella di unire nella stessa struttura l’attività di fund

raising e quella di grant-making.

) e

Slovacchia.

Tuttavia il requisito che ha consentito a queste organizzazioni di raggiungere una

diffusione planetaria è costituito dalla loro estrema flessibilità e neutralità che gli hanno

permesso di adeguarsi alle esigenze specifiche delle realtà più diverse. Questa

flessibilità permette loro di raccogliere doni nelle forme più diverse: contante, proprietà

reali, titoli, assicurazioni sulla vita, testamenti. Inoltre i donatori possono partecipare al

processo di erogazione dei contributi o lasciare tutto alla discrezionalità della

fondazione.

(1) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e

cenni storici, in Quaderni di discussione delle fondazioni italiane, Fondazione Cariplo, n. 1, novembre 1997, pag. 1 e pagg. 36-38 e CASADEI B., Le community foundations: una scelta strategia per le fondazioni delle casse di risparmio, op. cit., pagg. 182-183.

(2) Le fondazioni di comunità «stanno dimostrando di essere in grado di svilupparsi, anche in realtà caratterizzate da una forte tradizione latina e cattolica come […] il Messico ed altri Paesi dell’America centrale. È perciò probabile che quel che ha favorito la nascita di queste istituzioni in Paesi di tradizione anglosassone non deve essere cercato nei principi della riforma protestante, ma piuttosto in quel diritto consuetudinario d’origine medioevale che, a differenza di quello continentale, ha conservato e venerato quei corpi intermedi, che la furia iconoclastica della Rivoluzione francese prima e del Codice Napoleone poi, avevano distrutto nel continente europeo.»: CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e cenni storici, op. cit., pag. 38.

(3) Vds. SZANTON J. E., Iniziative a beneficio delle comunità. Il caso della Repubblica Ceca, in «Queste Istituzioni», Queste Istituzioni Ricerche, Roma, Anno XXVII, n. 117-120, annale 1999, pagg. 92-112.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

147

Queste entità presentano delle caratteristiche comuni che sono riscontrabili in tutti

gli specifici modelli nazionali cioè:

a) operano in un determinato territorio;

b) sono dotate di un patrimonio indipendente;

c) sono amministrate da un organo di governo autonomo e rappresentativo dei vari

settori della comunità;

d) danno l’opportunità di fare filantropia anche ai piccoli donatori;

e) mettono a disposizione dei potenziali donatori servizi filantropici professionali.

Le diversificazioni del modello avvengono sul piano dei metodi di finanziamento

e della struttura organizzativa.

Per verificare l’estrema adattabilità dello schema ai vari contesti sociali, culturali

ed economici procederemo ad un’analisi comparativa dei modelli di fondazione di

comunità di quattro paesi:

1) Stati Uniti;

2) Gran Bretagna;

3) Germania, dove «la costituzione di fondazioni comunitarie appare come uno

strumento in grado di contrastare fenomeni di nazionalismo»(4

4) Francia, dove le fondazioni di comunità sono state costituite «sulla base di un preciso

disegno politico da parte del potere centrale. Esse, più che essere espressione delle

singole comunità, servono l’intera nazione nella quale sono costituite.»(

);

5

Per quanto riguarda gli stati europei occorre subito rilevare che, nonostante un

certo processo di convergenza in atto nei diversi campi: sociale, economico e giuridico,

in questo settore nei citati paesi «si è chiaramente sviluppato un concetto autonomo di

fondazione comunitaria che dipende da molti fattori come il contesto in cui essa viene

istituita o tradizioni e circostanze sociali specifiche. Ciò rende difficile identificare per

le fondazioni comunitarie un unico modello europeo.»(

).

6

).

(4) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e

cenni storici, op. cit., pag. 37. (5) IBIDEM, op. cit., pag. 36. (6) HOELSCHER P., Le fondazioni comunitarie tedesche in Europa/Deutsche Bürgerstiftungen in

Europa, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pag. 24.

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CAPITOLO QUINTO

148

2. LE COMMUNITY FOUNDATIONS NEGLI STATI UNITI(7)

Le community foundations nascono negli Stati Uniti agli inizi del novecento

quando lo sviluppo del capitalismo industriale consente a diversi imprenditori di

accumulare immense fortune. Questa impetuosa crescita economica si accompagnava,

però, ad un incremento della massa dei diseredati che popolavano i grandi centri urbani

americani. La situazione spinse alcuni grandi miliardari a promuovere i principi che

Andrew Carnegie aveva affermato nel suo libro, scritto nel 1889, “The Gospel of

Wealth” (Il Vangelo della ricchezza)(8

Tuttavia, in quel periodo, la filantropia americana si trovava ad affrontare due

grandi problemi:

). Carnegie, magnate delle ferrovie americane,

dopo una vita da capitano d’industria divenne un apostolo della beneficenza e sviluppo

un’intensa attività filantropica. Così diversi notabili costituirono grandi fondazioni

private che avevano lo scopo di aiutare quelle comunità che gli avevano consentito di

raggiungere il successo economico. Furono fondate, in questo modo, alcune grandi

fondazioni: la Carnegie Corporation (1911) e la Rockefeller Foundation (1913).

• da un lato c’era l’esigenza di una certa “professionalizzazione” degli istituti

caritatevoli che portasse più razionalità ed efficienza negli interventi;

• dall’altro lato si cercava uno spazio comune che avrebbe consentito alle diverse

organizzazioni religiose (chiesa cattolica, sette protestanti e associazioni ebraiche) di

collaborare tra loro.

Il terreno era ormai maturo per la creazione del primo intermediario filantropico

che avrebbe permesso alle diverse organizzazioni caritatevoli di collaborare

indipendentemente dalle divisioni religiose o ideologiche.

(7) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e

cenni storici, op. cit., pagg. 27-28. (8) MAGRIS F., La filantropia, arma a doppio taglio, in CARNEGIE A., Il Vangelo della ricchezza,

Garzanti, Milano, 2007: «È una filantropia che risulta fortemente personalizzata, perché il processo di trasferimento della ricchezza che dal donor giunge ai beneficiari è verticale e diretto, non passa per altri intermediari istituzionali, ma giunge direttamente dalla persona fisica del filantropo, con la conseguenza che la visibilità di quest’ultimo è massima».

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

149

2.1. La Cleveland Foundation(9

La prima fondazione di comunità fu fondata a Cleveland nell’Ohio nel 1914 su

iniziativa del banchiere, Frederick Harris Goff. Sull’esempio della Cleveland

Foundation furono istituite numerose altre fondazioni nelle principali città degli Stati

Uniti (Chicago, Los Angeles, Detroit, Milwaukee). Nel 1920 fu fondata la New York

Community Trust che diventerà la fondazione di comunità più grande del mondo con un

patrimonio gestito, alla fine del 2010, di 1,9 miliari di dollari ed erogazioni effettuate

per 141 milioni di dollari(

)

10

1) combattere la manomorta(

).

Gli scopi che Goff si prefiggeva, nel costituire questo nuovo tipo di fondazioni,

erano sostanzialmente tre: 11

2) permettere anche a persone con mezzi modesti di fare filantropia;

);

3) ottenere vantaggi gestionali per la propria banca.

Nel diritto anglosassone i legati per fini d’utilità generale erano istituiti nella forma

del trust(12

(9) CASADEI B. - GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e

cenni storici, op. cit., pagg. 28-29. (10) THE NEW YORK COMMUNITY TRUST, annual report 2010, New York, NY, pag. 3, sul sito

www.nycommunitytrust.org. (11) Il termine Manomorta designo i beni che, per il fatto di appartenere a enti perpetui (p.e. chiese

e conventi), «sfuggivano alla tassa di trasferimento per causa di morte e si consideravano stretti nella mano di un morto senza la possibilità di uscirne. Diverse erano le specie di m.; la più importante storicamente ed economicamente è la m. ecclesiastica, che si cominciò a formare da quando le comunità cristiane, dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, poterono, come i templi pagani, ricevere per testamento. Contribuirono a svilupparla i molti privilegi che le furono concessi in materia di successione, di testamenti, di legati, di esecutori testamentari e di prescrizioni; […] Le frequenti donazioni di privati e di principi, congiunte a questi privilegi, contribuirono a formare della Chiesa la maggiore proprietaria di beni immobili. I danni derivati da questi accumulamenti non furono rilevati fino a quando le vendite relative furono destinate a scopi di beneficienza, di culto e di educazione; quando però la Chiesa trascurò queste finalità si trovò di fronte lo Stato, il quale rilevando il danno delle pubbliche finanze e dell’economia generale, intervenne per limitare gli acquisti degli enti ecclesiastici e privare questi ultimi dei loro privilegi.». Quindi Manomorta indica il patrimonio immobiliare degli enti, civili o ecclesiastici, la cui esistenza è perpetua e che per tale ragione riduce la capacità impositiva dello Stato perché non dà luogo né al pagamento di imposte sulla vendita né a imposte di successione. Manomorta, ad vocem, in La Piccola Treccani. Dizionario Enciclopedico, Istituto della Enciclopedia Italiana, volume VII, Roma, 1995, pagg. 140-141.

). Questi lasciti venivano gestiti dalle banche che si occupavano anche della

distribuzione dei modesti redditi prodotti. Inoltre ognuno di questi legati era costruito

(12) Il Trust (letteralmente “affidamento”) è un istituto giuridico nato in Inghilterra nel Medioevo e quindi diffusosi nel mondo anglosassone, in base al quale uno o più beni sono affidati a un soggetto fiduciario (trustee) affinché li gestisca per un determinato scopo ovvero in favore di uno o più beneficiari. Il trust ha trovato applicazione anche in Italia dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 (legge 364/1989, in vigore dal 1° gennaio 1992). LUPOI M., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Cedam, Milano, 2011.

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CAPITOLO QUINTO

150

con caratteristiche peculiari che determinavano sia problemi di gestione sia un elevato

spreco di risorse. I problemi più gravi, però, erano rappresentati:

a) in primo luogo dal fatto che una volta che gli scopi, fissati originariamente dal

testatore, fossero divenuti obsoleti non era possibile modificarli se non mediante la

sentenza di una corte di giustizia, attraverso un procedimento lungo e costoso, in

base alla dottrina del cy-près(13

b) in secondo luogo dalla constatazione che i banchieri non si sarebbero dovuti

occupare della selezione degli enti meritevoli di beneficienza poiché non avevano le

competenze necessarie, ma il loro ruolo doveva essere limitato esclusivamente alla

gestione dei patrimoni.

);

Goff pensò, quindi, di istituire una nuova organizzazione che accanto alle strutture

proprie del trust avesse un comitato che si occupasse della distribuzione del reddito e

fosse dotato del potere di utilizzare la clausola del cy-près senza passare attraverso le

Corti di giustizia. Questo nuovo ente avrebbe gestito tutti i lasciti come se si trattasse di

un unico fondo con evidenti economie di scala e recuperi di efficienza. Infine i cittadini

avrebbero avuto la garanzia che le elargizioni sarebbero state gestite da soggetti

competenti che conoscevano le reali esigenze della comunità, mentre i donatori

avrebbero avuto la sicurezza che gli scopi, da loro stabiliti, non sarebbero mai divenuti

obsoleti, in quanto il comitato avrebbe provveduto ad adeguarli alle mutate esigenze

sociali.

(13) La dottrina del cy-près ebbe origine nella legge sulle “Charitable trust”. Essa stabilisce che

quando l’obiettivo originale del disponente o del testatore è diventato impossibile, impraticabile o illegale da perseguire, ad esempio perché il patrimonio del “Charitable trust” è diventato troppo modesto per far fronte agli impegni ovvero perché gli scopi sono esauriti, allora questa charity potrà su istanza dei trustes e provvedimento del giudice di equity, essere convertita ad altri scopi, purché il più vicini possibili a quelli originari. «Affinché la cy-près doctrine possa trovare applicazione, è innanzi tutto necessario che dall’atto istitutivo del trust risulti un generale intento caritatevole del disponente. Tanto nel caso del trust testamentario, quanto nel caso del trust inter vivos, deve emergere la volontà di perseguire finalità benefiche […]. L’altro elemento ritenuto necessario affinché la cy-près doctrine possa operare, come è emerso, è l’impossibilità di conseguire lo scopo caritatevole descritto dal disponente. Cosa si intenda per impossibilità va ricercato nei precedenti giurisprudenziali […]. In linea generale, la case law consente la seguente elencazione: la disposizione caritatevole è stata effettuata in favore di enti o istituzioni in realtà mai esistiti, o comunque cessati; lo scopo è stato raggiunto senza che fossero impiegati tutti i beni a ciò destinati […]; non è più necessario perseguire lo scopo in quanto venuto meno il bisogno che lo aveva determinato; i beni in trust non sono sufficienti a perseguire lo scopo; i beni (immobili) in trust non sono idonei o utili per perseguire lo scopo; […]; l’ente caritatevole, in favore del quale il disponente ha disposto, rifiuta la donazione; lo scopo rappresenta un modo illegale per perseguire scopi comunque legittimi; lo scopo è divenuto illegale o impraticabile o non corrisponde più ad alcun bisogno; coloro che possono trarre vantaggio dal trust sono venuti a mancare»: BARLA DE GUGLIELMI E., Charitable Trust e Trust di Scopo Non-Charitable, in BARLA DE GUGLIELMI E. - PANICO P. - PIGHI F., La legge di Jersey sul trust, Trust e attività fiduciarie, Quaderni n. 8, IPSOA, Milano, 2007, pagg. 173 e 175.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

151

Negli anni successivi questa struttura subì delle importanti modifiche. In

particolare con l’introduzione nel 1931 dei primi donor-advised fund (fondi consigliati

dal donatore) che consentivano al donatore di perseguire finalità filantropiche anche in

vita in quanto il donatore forniva periodicamente indicazioni su come distribuire il

reddito prodotto da questi fondi patrimoniali; e con la riforma fiscale del 1969 in

seguito alla quale molte fondazioni di comunità abbandonarono la forma del trust per

acquisire la personalità giuridica.

2.2. Lineamenti generali(14

Nella legislazione statunitense non esiste una definizione generale di community

foundations, tuttavia, il Council on Foundations(

)

15) definisce la fondazione di

comunità(16) come «un’organizzazione non profit: che, perseguendo un public benefit

[…] è una public foundation, [cioè] una public charity, e, in quanto tale, esente da

imposte; che ha un organo di amministrazione indipendente, ampiamente

rappresentativo degli interessi della comunità locale; che opera principalmente come

istituzione grantmaking, […] che è radicata in un ben determinato territorio (negli

U.S.A. solitamente coincide con quello di una municipality, o di una county o di una

multi-county region o di una metropolitan area); che riceve un ampio sostegno

finanziario a livello locale sotto forma di donazioni e contribuzioni da parte di individui

singoli e di enti che non hanno alcun rapporto tra loro e mirano spesso al perseguimento

di differenti scopi charitable; la cui attività erogativa è ad ampio spettro, non risultando

limitata né per campi di interesse né per segmenti di popolazione ricompresi nel

territorio di riferimento; che ha come obiettivo di lungo periodo la crescita del proprio

patrimonio, al fine di poter soddisfare le esigenze future della comunità locale.»(17

(14) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 241-251 e CASADEI B. -

GAMBA A., Le fondazioni comunitarie. Prima parte: principi fondamentali e cenni storici, op. cit., pagg. 15-19.

).

(15) Il Council on Foundations è la più importante associazione di fondazioni grantmaking degli USA, a cui possono aderire soltanto enti fondazionali riconosciuti dall’Internal Revenue Service (IRS), agenzia federale del Dipartimento del Tesoro, sulla base delle previsioni dell’Internal Revenue Code (cioè del codice tributario).

(16) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, Arlington, VA, pagina consultata il 9 dicembre 2011, in http://www.cfstandards.org/standards, par. I, lett. a): «A community foundation is a tax-exempt, nonprofit, autonomous, publicly supported, nonsectarian philanthropic institution with a long-term goal of building permanent, named component funds established by many separate donors to carry out their charitable interests and for the broad-based charitable interest of and for the benefit of residents of a defined geographic area.».

(17) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pagg. 242-243.

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CAPITOLO QUINTO

152

Il Council on Foundations ha elaborato anche degli standard nazionali, i

“National Standards for U.S. Community Foundations”(18

In particolare le fondazioni comunitarie:

), che hanno l’obiettivo di

rendere omogenee l’organizzazione e le funzioni degli enti associati. Queste norme di

autoregolamentazione sono indirizzate a rendere l’attività delle community foundations

più trasparente e controllabile da parte dei donatori, del Governo e dei mass-media; a

comunicare pubblicamente l’impegno verso la comunità locale e ad accrescere la

capacità delle fondazioni di realizzare la propria mission. Questi standard si suddividono

in sei classi: a) missione, struttura e governance; b) risorse e sviluppo; c)

amministrazione e responsabilità; d) erogazioni e ruolo guida della comunità; e)

rapporto con i donatori/contribuenti ed f) comunicazioni.

a) sono riconosciute come enti fiscalmente esenti in base alle norme dell’Internal

Revenue Code(19). Le fondazioni di comunità rientrano nella categoria delle

charities, tuttavia, per ottenere tale qualifica devono soddisfare alcuni requisiti(20

divieto di distribuzione degli utili sia in forma diretta che indiretta (non

distribution constraint principle);

):

obbligo, inserito nello statuto o nell’atto costitutivo, di agire esclusivamente per

scopi altruistici (organizational test);

divieto assoluto di partecipare a campagne politiche;

b) agiscono prioritariamente come organizzazioni grant-making;

c) operano in una determinata area geografica;

d) devono superare un test diretto a dimostrare che ricevono un ampio sostegno

pubblico (public support test)(21

(18) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.

) e di conseguenza perseguono scopi a beneficio

della collettività. Il public support test serve per dimostrare che l’ente non persegue

fini privati. Le modalità per superare il test e ottenere lo status di public charities

sono due:

(19) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. b): «A community foundation is recognized by the Internal Revenue Service (IRS) as tax-exempt under Internal Revenue Code Section 501(c)(3) and organized and operated exclusively for charitable purposes.».

(20) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pagg. 4-5.

(21) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit., par. II, lett. c): «A community foundation meets the public support test set forth in Internal Revenue Code Section 170(b)(1)(A)(vi) as modified by Treasury Regulation Section 170A-9(e)(10).».

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

153

il test “meccanico” in base al quale è sufficiente che il public support cioè il

reddito che proviene dal pubblico in generale, sia almeno pari ad un terzo del

reddito totale della fondazione. Sono considerati redditi che provengono dal

pubblico: le quote associative, gli apporti degli enti pubblici e i contributi dei

donatori che tuttavia non devono superare singolarmente il 2% del reddito

complessivo della fondazione;

il test dei “fatti e delle circostanze” che è riservato agli enti che hanno un public

support che supera il 10% del proprio reddito. In questo caso vengono prese in

considerazione: le fonti di finanziamento, la rappresentanza degli interessi della

collettività di riferimento nell’organo di amministrazione, la presenza di pubblici

servizi e il grado di partecipazione del pubblico nella definizione delle politiche

della fondazione;

e) sono dotate di un Consiglio di Amministrazione (board of directors o board of

trustee) largamente rappresentativo della comunità locale di riferimento(22) e i cui

membri sono generalmente non remunerati. L’organo di governo non deve essere

controllato da altre organizzazioni non profit o da una determinata famiglia o da un

ente non commerciale o governativo o da altro ristretto gruppo sociale della

comunità locale(23). Inoltre il consiglio è responsabile della specifica missione e

direzione strategica della fondazione di comunità(24), dell’erogazione dei contributi

finanziari(25) e dell’approvazione del bilancio(26

(22) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.,

par. II, lett. d): «A community foundation has an independent governing body broadly representative of the community it serves.».

(23) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. f.5): «A community foundation’s governing body is not controlled by any other nonprofit organization, or by any single family, business, or governmental entity or any narrow group within the community.».

(24) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. f.1): «A community foundation’s governing body is responsible for the mission, strategic direction, and policies of the organization.».

(25) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. f.10): «A community foundation’s governing body approves all grants.».

(26) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pag. 249. I fondi che possono essere costituiti sono di cinque tipologie:

);

unrestricted funds cioè fondi che non hanno alcun vincolo di destinazione; restricted funds cioè fondi il cui reddito deve avere una determinata utilizzazione; designed funds cioè fondi vincolati in cui i beneficiari delle erogazioni sono definiti dai donatori; discretionary funds cioè fondi il cui reddito è impiegato per effettuare erogazioni la cui destinazione è

determinata secondo il libero apprezzamento di uno o più trustees; donor advised funds cioè fondi istituti e gestiti da una fondazione di comunità che effettua le

erogazioni tenendo conto dei suggerimenti del donatore che però non sono vincolanti;

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CAPITOLO QUINTO

154

f) sono costituite da un aggregato di fondi patrimoniali nominativi(27) diretti al

perseguimento di fini caritatevoli stabiliti dal donatore. Le donazioni sono destinate

alla costituzione di fondi patrimoniali, finalizzati a rispondere alle esigenze della

comunità locale(28). Inoltre le fondazioni di comunità devono amministrare i fondi di

cui hanno il controllo legale e fiduciario (legal and fiduciary control) con

prudenza(29

g) assicurano la trasparenza degli investimenti e della spending policy(

); 30

h) sono dotate del cosiddetto “variance power”(

); 31) che è il potere assegnato al

Consiglio di Amministrazione di modificare la destinazione degli assets dell’ente.

Questo istituto differenzia le fondazioni di comunità dal trust in quanto mentre nel

trust per modificare lo scopo del fondo è necessario fare ricorso al meccanismo del

cy-près, nelle fondazioni comunitarie il board of directors può esercitare

autonomamente il variance power e cambiare la destinazione di un fondo nel caso in

cui lo scopo è stato raggiunto o il beneficiario ha cessato di esistere. Tale possibilità

significa una maggiore rapidità e flessibilità nell’utilizzo dei fondi residui(32

donor designed funds cioè fondi istituti e gestiti da una fondazione di comunità ma con riferimento ai

quali i donatori abbiano stabilito che il reddito prodotto deve essere destinato a determinate organizzazioni caritatevoli;

);

field of interest funds cioè fondi istituti e gestiti da una fondazione di comunità per il perseguimento di uno specifico scopo caritatevole.

(27) MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pag. 246. (28) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.,

par. III, lett. d): «A community foundation accepts and administers a diversity of gift and fund types to meet the varied philanthropic objectives of donors and the needs of the community it serves.».

(29) IBIDEM, op. cit., par. IV, lett. a): «A community foundation is a steward of charitable funds, investing and prudently managing funds and maintaining accurate financial records.».

(30) IBIDEM, op. cit., par. IV, lett. h): «A community foundation ensures sound oversight and transparency of its investment and spending policies.». Per spending policy si intende «un piano d’azione concordato con cui si determini la percentuale di un certo patrimonio che deve essere utilizzata per coprire sia i costi di gestione sia le erogazioni di un’istituzione non profit.»: MALTONI A., La fondazione della comunità locale, op. cit., pag. 249.

(31) IBIDEM, op. cit., par. II, lett. e): «A community foundation's governing body retains variance power by which it may modify any restriction or condition on the distribution of assets, if circumstances warrant. Further, with respect to assets held in trust, the governing body must have the power to replace any participating trustee for breach of fiduciary duty under state law or for failure to produce a reasonable return of net income.».

(32) RICCIO G. M., Filantropia locale e community foundations: la circolazione del modello americano nel sistema giuridico italiano, op. cit., pagg. 5-6.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

155

i) comunicano all’esterno con trasparenza e regolarità (mediante un report annuale) le

attività svolte, le erogazioni effettuate, i programmi realizzati, le operazioni

finanziarie effettuate e il resoconto della gestione patrimoniale(33

).

3. LE COMMUNITY FOUNDATION IN GRAN BRETAGNA(34)

La Gran Bretagna ha un settore filantropico molto sviluppato che affonda le sue

radici nel Preamble of the Charities Act del 1601.

Nel 2006 il Charities Act ha aggiornato la disciplina precedente in due punti: I)

specificando puntualmente gli obiettivi sociali perseguibili dalle organizzazioni non

profit e II) richiedendo la verifica che il loro operato persegua “il bene comune”.

La politica della “terza via”, portata al governo negli anni novanta dal “New

Labour” di Tony Blair, ha determinato una maggiore autonomia delle autorità

pubbliche locali che hanno aumentato i finanziamenti al “terzo settore”. Questo ha

comportato l’aumento del numero delle organizzazioni non profit nel Regno Unito e il

loro ruolo nell’erogazione dei servizi pubblici.

Il modello delle community foundations si inserisce perfettamente in questa linea

di sviluppo e infatti il loro numero è cresciuto notevolmente negli ultimi anni nel Regno

Unito. Tuttavia, le community foundations si trovano a dover risolvere tre problemi:

la riduzione della dipendenza dai finanziamenti pubblici;

il conseguimento di una maggiore visibilità a livello nazionale;

la consapevolezza di una maggiore responsabilità sia rispetto ai donatori che ai

fruitori dei servizi.

La prima fondazione di comunità fu fondata in Gran Bretagna nel 1976 con il

nome di “Dacorum Community Trust”, tuttavia, le community foundations trovarono il

terreno ideale per la loro espansione nella metà degli anni ottanta, un periodo

caratterizzato da una pesante recessione e da un elevato numero di disoccupati che

(33) COUNCIL ON FOUNDATIONS, National Standards for U.S. Community Foundations, op. cit.,

par. VII, lett. a): «A community foundation communicates openly and transparently on a regular basis.». (34) FRANZON M. - PEZZI E., Le Fondazioni Comunitarie in Italia: sviluppo e tendenze, op. cit.,

pagg. 148-151.

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CAPITOLO QUINTO

156

rendevano necessaria la ricerca di nuove fonti di finanziamento per il settore del

volontariato e per le attività delle comunità locali.

Nel 1991 con la creazione dell’Association of Community Trust and

Foundation(35

Attualmente lo Stato invece che finanziare direttamente le organizzazioni che

erogano i servizi pubblici, preferisce affidare le proprie risorse a degli intermediari

filantropici che provvedono successivamente ad erogare i fondi agli enti non profit che

forniscono i servizi. E le fondazioni comunitarie sono le istituzioni maggiormente prese

in considerazione a questo fine.

) il movimento delle fondazioni di comunità ha conosciuto un’ulteriore

forte crescita che è stata favorita anche dall’adozione dei programmi di «endowment

challenge» cioè la cosiddetta “dotazione sfida”. In pratica alcune fondazioni di

comunità hanno sostenuto una campagna di raccolta fondi nei loro territori allo scopo di

raccogliere il doppio di quanto hanno in seguito ricevuto dall’ente promotore della sfida

ad incremento del loro patrimonio (un meccanismo simile a quello sperimentato dalla

Fondazione Cariplo in Italia).

Un altro potente motore per lo sviluppo del settore non profit in Gran Bretagna è

stato la riforma del sistema delle agevolazioni fiscali che ha previsto misure più

generose. In particolare i contribuenti possono ora beneficiare di tre incentivi fiscali:

il “gift aid”: in questa ipotesi le persone fisiche e le imprese possono donare una sola

volta o regolarmente ad un’organizzazione non profit e questo ente può chiedere una

deduzione delle tasse per questa donazione. L’agevolazione fiscale è data sia al

donatore sia all’organizzazione;

il “payroll giving”: in questo caso la donazione è fatta direttamente sullo stipendio,

prima che sullo stesso incidano le tasse e l’agevolazione fiscale è data al

donatore(36

(35) Questa associazione, che è essa stessa una fondazione di comunità, coordina e supporta le

community foundations nell’attività di raccolta fondi e nel 2000 è stata rinominata Community Foundation Network. Vds. IBIDEM, op. cit., pag. 156.

);

(36) «Sta crescendo anche in Italia e apre nuovi canali di sostegno alla solidarietà il Payroll Giving, un meccanismo pratico e con regole precise che consente al lavoratore dipendente di donare in beneficienza anche una sola ora del proprio lavoro, direttamente con una trattenuta mensile sulla propria busta paga. […] il dipendente, principale sostenitore dell’iniziativa, […] compilando il modulo di adesione che trova negli uffici del personale o allegato alla busta paga, sceglie di destinare mensilmente una somma definita a favore di un’associazione benefica. […] La donazione è deducibile e si può ricevere il rimborso fiscale direttamente dal datore di lavoro nel conguaglio di fine anno.»: ORSI R., Payroll Giving, il sostegno sociale “trattenuto” nella busta paga, La Repubblica, Economia&Finanza, 31 gennaio 2012, in http://www.repubblica.it/economia/2012/01/31/news/non_solo_profitto_45-29078020/.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

157

il “tax relief”: in questa ipotesi è possibile usufruire di sgravi fiscali sul reddito nel

caso di donazione o vendita di azioni alle organizzazioni non profit. La fondazione

fornisce al donatore una ricevuta che riporta il valore di mercato delle azioni del

giorno in cui la donazione è stata effettuata. Il donatore può quindi utilizzare questa

quietanza per ridurre il reddito imponibile.

Una delle caratteristiche peculiari delle fondazioni di comunità del Regno Unito è

la presenza di Consigli di Amministrazione notevolmente impegnati nel fund raising.

Tuttavia gli investimenti nelle attività di raccolta fondi, marketing e comunicazione

sono insufficienti a causa dei costi di gestione.

Le fondazioni comunitarie del Regno Unito effettuano normalmente erogazioni di

importo modesto, tuttavia, quelle più affermate stanno cominciando anche a finanziarie

progetti più grandi e pluriennali. Le organizzazioni di volontariato, che beneficiano di

finanziamenti a lungo termine, sono in grado di sviluppare capacità organizzative che

altrimenti non avrebbero.

Lo Stato riveste in Gran Bretagna un ruolo fondamentale nello sviluppo del

settore non profit, tuttavia, questo fattore potrebbe determinare da un lato una forma di

dipendenza dai finanziamenti pubblici e dall’altro un’ingerenza nella gestione delle

fondazioni che sarebbero spinte a favorire interessi politici. Il rischio principale per le

community foundations e le altre organizzazioni del terzo settore, è rappresentato dal

venir meno del supporto finanziario statale che avrebbe conseguenze drammatiche.

La popolazione britannica manifesta ancora serie perplessità sulla capacità delle

organizzazioni non profit di erogare servizi pubblici efficienti, tuttavia, questo giudizio

si sta modificando e l’effetto principale di ciò è rappresentato dall’aumento delle

donazioni private.

Da quanto detto emerge con chiarezza che le potenzialità delle community

foundations ne fanno l’elemento centrale nello sviluppo del settore non profit in Gran

Bretagna.

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CAPITOLO QUINTO

158

4. LE BÜRGERSTIFTUNG IN GERMANIA(37)

In Germania l’istituto delle fondazioni, intese come la destinazione di determinati

patrimoni per scopi non lucrativi, è un fenomeno molto antico che, tuttavia, dagli anni

novanta ha conosciuto una nuova fase di espansione.

La materia delle fondazioni in Germania è disciplinata da alcune sezioni

normative della legge federale, mentre è molto regolata dalle leggi dei singoli Länder.

Inoltre non esiste nel codice civile tedesco una definizione di fondazione. La fondazione

è caratterizzata dalla presenza di un fondo patrimoniale e dall’attribuzione ad esso di

uno scopo specifico, ma soprattutto dall’assenza di membri (associati). Nella

Repubblica Federale Tedesca esistono diverse tipologie di fondazioni: le fondazioni

familiari, le fondazioni municipali e le fondazioni collegate alle imprese(38

In Germania «regna un concetto peculiare di fondazione comunitaria. E questo

emerge già dall’etimologia del termine tedesco: nella Bürgerstiftung (letteralmente:

‘fondazione di cittadini’) il Bürger tedesco, cioè il singolo cittadino, riveste un ruolo più

importante rispetto a quello che gioca un cittadino italiano in una fondazione

comunitaria italiana.».

).

Le fondazioni comunitarie tedesche si differenziano da quelle italiane per:

il capitale di dotazione iniziale

. Il patrimonio delle Bürgerstiftung è molto inferiore a

quello delle fondazioni italiane (la maggior parte delle fondazioni ha un capitale che

non supera i 100.000 euro);

le modalità di costituzione

(37) HOELSCHER P., Le fondazioni comunitarie tedesche in Europa/Deutsche Bürgerstiftungen in

Europa, op. cit., pagg. 11-24.

. Le fondazioni comunitarie italiane sono state costituite

secondo il modello top-down al contrario di quelle tedesche, dove è prevalente la

modalità bottom-up cioè le Bürgerstiftung sono state create per l’iniziativa privata di

singoli o più cittadini e soprattutto «nell’assemblea dei fondatori si riflette la forte

posizione del singolo cittadino: le fondazioni comunitarie britanniche, italiane e

russe, […], non hanno un organo corrispondente.»;

(38) RAINER WALZ W., Organizzazioni non profit: l’esperienza tedesca, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 2 - febbraio 2003, pag. 64.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

159

l’opera molto consistente dei volontari

. Nelle Bürgerstiftung l’esiguità delle risorse

non consente l’utilizzo di personale in forma stabile e pertanto è forte la presenza di

volontari;

l’offerta di servizi ai donatori

. I donor services e l’amministrazione di patrimoni,

destinati ad uno scopo specifico, sono ancora molto limitati presso le fondazioni

comunitarie tedesche;

la tipologia di attività svolta

. Le Bürgerstiftung danno maggiore rilevanza all’attività

operativa rispetto a quella di erogazione, circostanza che le porta a non perseguire

con sufficiente determinazione il reperimento di fondi;

i rapporti con la politica e l’amministrazione

. In Italia, al contrario della Germania,

gli enti pubblici hanno un ruolo significativo nella nomina del consiglio direttivo

delle fondazioni di comunità e da questo nasce un contatto stabile che accresce il

prestigio della fondazione;

la trasparenza

. Le fondazioni comunitarie tedesche hanno più difficoltà, rispetto a

quelle italiane, a fornire pubblicamente informazioni dettagliate sulle loro attività;

la rappresentanza degli interessi sociali

. Le fondazioni di comunità dovrebbero

rispecchiare la composizione della società civile. Le Bürgerstiftung grazie

all’assemblea dei fondatori potrebbero essere particolarmente agevolate nel

perseguire questa funzione, anche se nella realtà le fondazioni comunitarie tedesche

sono dominate da gruppi omogenei;

la cultura del dono. Bernardino Casadei evidenzia come nella «cultura delle

Bürgerstiftung tedesche, il dono abbia un ruolo tutto sommato marginale. In Italia,

invece, esso è l’essenza stessa di tutto il nostro lavoro. Nelle esperienze che ci

vengono descritte, il dono ha una funzione meramente strumentale. […] Il principio

che invece stiamo elaborando, seppur lentamente e con difficoltà, qui in Lombardia è

che il dono può assurgere a fine in sé. Il dono è infatti un valore che viene perseguito

per il suo significato intrinseco. […] In altri termini, le fondazioni comunitarie

italiane non promuovono il dono perché hanno bisogno di soldi per sostenere progetti

d’utilità sociale, […], promuovono il dono in quanto fondamento di civiltà.»(39

(39) CASADEI B., L’esperienza italiana/Die italienische Erfahrung, in HOELSCHER P. - CASADEI B.

(a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pagg. 25-26.

).

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CAPITOLO QUINTO

160

Le fondazioni comunitarie in Germania operano soprattutto nel settore giovanile

in quanto i «progetti-giovani» hanno un ampia visibilità e consentono un reperimento

più facile delle risorse.

In modo speculare alla situazione italiana (dicotomia nord-sud), anche in

Germania la condizione delle fondazioni di comunità presenta delle differenze a

seconda della localizzazione macroregionale est-ovest degli enti. In particolare le

fondazioni di comunità tedesco-orientali possono contare su elargizioni e donazioni

d’importo molto contenuto e l’esiguità del capitale spesso le porta ad eseguire progetti

propri a differenza invece di quanto avviene nelle fondazioni dell’area tedesco-

occidentale che sono più orientate ad attività grant-making. Inoltre mentre le fondazioni

di comunità tedesco-occidentali nascono nell’ambito di élite locali, quelle tedesco-

orientali sorgono in un paesaggio locale di organizzazioni non statali; differenza questa

che si manifesta in un più forte orientamento verso la base delle fondazioni comunitarie

orientali e in un maggiore potere dell’assemblea dei fondatori.

4.1. La Stadt Stiftung Gütersloh(40

La prima fondazione di comunità fu fondata in Germania nel 1996 su iniziativa

del magnate dei media Reinhard Mohn, già fondatore della Fondazione Bertelsmann,

che mise a disposizione il patrimonio iniziale. La “Stadt Stiftung Gütersloh” cioè la

“Fondazione cittadina di Gütersloh” si richiama espressamente al modello americano di

fondazione di comunità. Il principio guida della Stadt Stiftung Gütersloh è racchiuso

nello slogan: “Wir für unsere Stadt” (Noi per la nostra città). La cittadina di Gütersloh

è situata nella parte nord-occidentale della Germania (regione Renania Settentrionale-

Vestfalia).

)

La fondazione è diretta da un Consiglio di Amministrazione indipendente mentre

un comitato di cittadini di Gütersloh, rappresentativo delle diverse categorie sociali e

professionali, promuove le sue attività. La fondazione comunitaria di Gütersloh, come

recita lo statuto, è una fondazione di cittadini per i cittadini(41

(40) ACRI, Rapporto sulle Community Foundations. Principi generali e aspetti operativi, Roma,

1998, pagg. 79-84 e SPALLEK N., Germany’s first community foundation: Stadt Stiftung Gütersloh (City Foundation of Gütersloh), pagina consultata il 6 dicembre 2011, in http://www.bertelsmann-stiftung.de/cps/rde/xchg/SID-AEE0F80E-E6798F24/bst_engl/hs.xsl/11242.htm.

).

(41) STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, Stiftungssatzung, Gütersloh, 2001, pag. 1, sul sito www.bertelsmann-stiftung.de.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

161

La fondazione non è in concorrenza con le amministrazioni pubbliche locali o con

il governo statale, ma lavora per integrare i propri servizi con iniziative pilota efficaci in

campo sociale. La Stadt Stiftung Gütersloh seleziona i suoi progetti concentrandosi

soprattutto sulle questioni sociali e culturali più importanti per i residenti della città.

Lo scopo della fondazione è quello di promuovere, nella regione di Gütersloh,

l’educazione, l’istruzione, lo sport, la scienza, la ricerca, la tutela dell’arte, della cultura,

della salute pubblica, dell’ambiente, del paesaggio e la comprensione tra persone di

nazioni e culture diverse(42

Gli organi della fondazione sono il “Consiglio di fondazione” (Kuratorium) e il

“Comitato consultivo” (Beirat)(

).

43). Il “Consiglio di fondazione” è formato da 5 a 12

membri che sono individuati tra personalità che soddisfano i seguenti criteri: a) legami

con la città di Gütersloh; b) capacità di leadership e c) qualificazione per la raccolta di

fondi(44

Il “Comitato consultivo”, composto da 10 a 30 membri, svolge funzioni di

rappresentanza della cittadinanza di Gütersloh e di consulenza nei confronti del

consiglio in merito alla realizzazione dei programmi e all’utilizzo dei fondi. È formato

da personalità che soddisfano i seguenti requisiti: a) attaccamento alla città di

Gütersloh; b) possesso di competenze sociali; c) disponibilità al volontariato o

all’impegno finanziario e d) essere degni rappresentanti della comunità(

).

45

).

5. LA FONDATION DE FRANCE(46)

La Fondation de France è stata creata nel 1969, su impulso del Generale De

Gaulle, prendendo come modello le community foundations degli Stati Uniti. Lo scopo

era quello di costituire un organismo che aiutasse i soggetti privati (cittadini o imprese)

nella realizzazione di progetti filantropici.

(42) Art. 2 “Zweck und Aufgaben der Stiftung” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (43) Art. 5 “Organe der Stiftung” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (44) Art. 7 “Zusammensetzung des Kuratoriums” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (45) Art. 16 “Zusammensetzung des Beirats” del STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, op. cit.. (46) ACRI, Rapporto sulle Community Foundations. Principi generali e aspetti operativi, op. cit.,

pagg. 70-78.

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CAPITOLO QUINTO

162

In particolare la fondation avrebbe dovuto incoraggiare il «mecenatismo» privato

in vari settori d’interesse generale e sostenere quelle iniziative in grado di rispondere ai

nuovi bisogni della collettività.

L’iniziativa per la concreta realizzazione della fondation fu affidata alla Caisse

des Dépôts e a 17 banche che dotarono l’ente del patrimonio iniziale.

In seguito la fondation, attraverso la raccolta di fondi, divenne autonoma e

indipendente e oggi rappresenta uno strumento unico a disposizione di tutti i soggetti

che vogliono compiere interventi di solidarietà.

La Fondation de France è un ente privato non lucrativo, riconosciuto di pubblica

utilità, apolitico e aconfessionale. Il diritto francese distingue le fondazioni in tre

tipologie:

1) fondations reconnues d’utilité publique (fondazioni riconosciute di pubblica utilità)

sono create con decreto del Ministro dell’Interno previo parere del Consiglio di

Stato. La dotazione iniziale non è fissata per legge ma in pratica varia da 750.000

euro a 1 milione di euro a seconda del progetto(47

2) fondations d’entreprise (fondazione d’impresa) è un regime giuridico riservato alle

imprese e agli enti pubblici a carattere imprenditoriale o economico. Il prefetto del

dipartimento in cui è situata la sede della fondazione è competente a rilasciare

l’autorizzazione amministrativa. Le fondazioni d’impresa devono avere un obiettivo

di carattere generale. Le imprese fondatrici devono impegnarsi a rispettare un

programma d’azione pluriennale, il cui ammontare dovrà essere superiore o uguale a

150.000 euro (articolo 7 del decreto 91-1005 del 30 settembre 1991). Questo importo

potrà essere versato a rate per un periodo di cinque anni;

). Questi enti devono perseguire

obiettivi d’interesse generale, possono raccogliere fondi dal pubblico e ricevere legati

e donazioni;

(47) La Fondation Reconnue d’Utilité Publique (Loi n° 87-571 du 23 juillet 1987) «est créée par un

décret en Conseil d’Etat, selon une procédure administrée par le ministère de l’Intérieur dans les mêmes conditions que pour les associations. […] L’un des critères habituellement d’une fondation celui de la viabilité économique de l’entité, c’est-à-dire le montant de la dotation qui lui est affectée pour financier ses missions, qui doit être d’au moins 800 000 euros.». «Créée pour une durée illimitée, La Fondation Reconnue d’Utilité Publique (FRUP) doit avoir: − un objet d’intérêt général à but non lucratif, − une dotation suffisante pour accomplir son objet, − un conseil d’administration ou un conseil de surveillance avec directoire pour assurer sa

gouvernance.»: SAINT-MARS M. - RONZANI L., Fondation et Optimisation Patrimoniale, Emerit Publishing, Paris, 2009, pagg. 44 e 62.

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I MODELLI FONDAZIONALI: UN CONFRONTO TRA ESPERIENZE INTERNAZIONALI

163

3) fondations abritées (fondazioni protette) sono create, per testamento o da uno o più

fondatori viventi, nell’ambito di una fondazione di pubblica utilità e pertanto non

costituiscono un’autonoma entità giuridica. Queste fondazioni possono perseguire un

obiettivo generico o specifico.

La Fondation de France ha lo scopo di creare e gestire le fondazioni “protette”

che però devono avere un capitale iniziale di almeno 200.000 euro(48

). Queste

fondazioni “protette” hanno piena autonomia decisionale in ordine all’oggetto della loro

attività che tuttavia si rivolge ai problemi concreti di una comunità territoriale.

Quello che differenzia la Fondation de France dalle community foundations è che

quello francese è un intermediario filantropico nazionale e, pertanto, alcuni servizi

vengono spostati dalla periferia al centro a differenza di quello che accade nel modello

nordamericano in cui queste funzioni sono svolte a livello locale.

Questo elemento potrebbe rappresentare un vantaggio per le fondazioni “protette”

che tuttavia è controbilanciato dal fatto che le fondations abritées non sono strutture

pienamente autonome. La Fondation de France, pur non potendo interferire nelle scelte

gestionali delle fondazioni “figlie”, è giuridicamente responsabile delle loro iniziative e

questo determina un potere di veto motivato da parte del presidente della Fondation de

France.

La Fondation de France rappresenta quindi un modello francese di community

foundations.

(48) FONDATION DE FRANCE, Créer une fondation sous l’égide de la Fondation de France, Paris,

2009, pag. 6, sul sito www.fondationdefrance.org. All’interno della Fondation de France possono essere creati tre tipi di fondazioni: 1) «Les fondations sans dotation qui fonctionnent grâce à des versements réguliers effectués par le

fondateur ou par des tiers sollicités par lui. Les donateurs doivent s’engager à verser un montant minimum de 200 000 euros dans un délai maximum de 5 ans.

2) Les fondations, avec dotation, à durée limitée dont les ressources sont constituées des revenus et de la consommation progressive de la dotation.

3) Les fondations, avec dotation, pérennes dont seuls les revenus excédant l’inflation seront utilisés chaque année au bénéfice de la cause choisie. […] Les montants minimum pour créer une fondation avec dotation s’élèvent à 200 000 euros pour les fondations à durée limitée et à 500 000 euros pour les fondations pérennes. […] Toutefois, il est possible de créer un fonds individualisé à partir de 10 000 euros, si ce fonds possède un objet suffisamment général pour rejoindre un fonds de regroupement dont les interventions seront rattachées aux programmes collectifs de la Fondation de France.».

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CONCLUSIONI

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CONCLUSIONI

165

La decisione di affrontare un tema così complesso come quello delle “fondazioni

di comunità”(1

L’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di sviluppare un’analisi critico-

descrittiva del modello delle fondazioni di comunità per valutare se e a quali condizioni

esso si sia adattato al contesto italiano e se sia stato in grado di sviluppare nuove

modalità d’intervento in ambito locale.

) ha rappresentato da subito una sfida sia per la novità dello strumento nel

panorama italiano sia per la raccolta del materiale bibliografico. Tuttavia, devo

ringraziare la Professoressa Antonietta Cosentino che ha saputo orientare la mia scelta

su un argomento così stimolante.

Il nostro tentativo, in pratica, ha avuto come scopo di “indagare” se le nuove

tendenze o pratiche filantropiche in atto siano state in grado di avviare, a livello locale,

un nuovo corso che potremmo quasi definire “Rinascimento filantropico”.

Analogamente a quel movimento che influenzò profondamente la storia dell’Italia

del Quattrocento(2

(1) Il tema del presente lavoro (eccetto gli accenni necessari a spiegare) è focalizzato sulle

fondazioni di comunità originate da fondazioni di origine bancaria.

), portando a un profondo rinnovamento dell’arte e della cultura, così

la filantropia comunitaria rappresenta la rigenerazione, in forma moderna, della

tradizione della filantropia.

(2) Il termine Rinascimento «si riferisce a un movimento intellettuale e artistico che cominciò in Italia nel XIV secolo, ebbe il suo culmine nel XVI secolo e influenzò il resto dell’Europa in modi molto diversi. La nozione di rinascita si riferisce al ritorno dei valori del mondo classico; questo concetto iniziò a essere usato all’inizio del XV secolo negli ambienti culturali italiani, in cui si riteneva di vivere in un periodo in cui le qualità dell’arte e della letteratura antiche stessero rifiorendo dopo secoli di barbarie. Nel secolo successivo Vasari diede forma compiuta all’idea di questa rinascita: riteneva infatti che l’arte avesse subito un declino nel medioevo, fosse stata riportata sulla retta via da Giotto e avesse raggiunto il suo apice con il suo amico ed eroe Michelangelo. […] Michelet vedeva il rinascimento come antitesi del medioevo, e anche se Burckhardt non condivideva questa visione, anche lui aveva una concezione del movimento piuttosto romantica, considerandolo come un’eccezionale fioritura dello spirito umano: “la scoperta del mondo e dell’uomo”. Nelle parole di Gombrich, “il XIX secolo considerava il rinascimento come un movimento di liberazione dal dogmatismo monacale del medioevo, che esprimeva il gusto ritrovato del piacere dei sensi nella celebrazione artistica della bellezza fisica”. […] Masaccio, come i suoi amici Brunelleschi e Donatello, viveva a Firenze, ed è quindi ragionevole considerare Firenze la culla del rinascimento, e il periodo intorno al 1425, a cui risalgono alcune delle loro opere più innovative, il momento di svolta fondamentale per l’arte europea. Firenze continuò a essere di importanza primaria per tutto il XV secolo, ma nel XVI secolo Roma e Venezia divennero centri artistici altrettanto significativi. L’apice del rinascimento fu raggiunto all’incirca tra il 1500 e il 1520, un periodo che oggi viene chiamato pieno rinascimento. Durante questo periodo i tre più famosi artisti del tempo - Leonardo, Michelangelo e Raffaello - realizzarono opere che per secoli sono state considerate esempi di impareggiabile perfezione e compimento di tutti gli ideali che gli artisti avevano perseguito da Giotto in poi. In architettura Bramante rappresenta un simile apice, e i suoi contemporanei ritenevano che i suoi progetti nobili e solenni avessero ricatturato la maestà degli edifici romani.»: “Rinascimento”, in CHILVERS I. (a cura di), Dizionario dell’Arte, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008, pagg. 714-715.

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CONCLUSIONI

166

Ripercorrendo sinteticamente le fasi storiche della filantropia, vediamo che essa,

sempre presente fin dal medioevo, era stata relegata in un ruolo subalterno a partire

dall’avvento della Rivoluzione Francese che aveva posto il diritto soggettivo alla base

del soddisfacimento dei bisogni(3

Tuttavia «l’assolutizzarsi del diritto soggettivo favorisce l’isolamento

dell’individuo nei confronti della comunità.»(

).

4

La filantropia comunitaria consente, prima di tutto, di rompere questo schema e di

ricollocare la persona al centro della comunità.

).

La crisi del welfare state e l’esplodere di problemi sociali, molteplici e

diversificati, richiede un approccio pragmatico per individuare soluzioni e strumenti

d’intervento innovativi.

In linea generale i punti di forza di una fondazione sono rappresentati dalla sua

«stabilità e permanenza nel tempo: esse sono dei veri e propri monumenti destinati a

lasciare un perpetuo ricordo del fondatore o di persone a lui care e, nel contempo, in

grado di garantire un futuro ai suoi sogni e ideali. Infine esse non corrono i rischi di

degenerazioni assembleari e, non dovendo sottostare ai principi della democraticità

interna e della porta aperta, possono dotarsi di una struttura più agile ed efficiente

rispetto alle associazioni.»(5

Le fondazioni possono essere declinate attraverso due modelli di intervento

diversi: operativo ed erogativo.

).

Tuttavia la superiorità del modello erogativo emerge chiaramente in quanto le

fondazioni di erogazione «godono di interessanti vantaggi rispetto alle fondazioni

operative. Esse possono infatti usufruire al meglio del principio della divisione del

lavoro, potendo concentrare le proprie competenze nella gestione del patrimonio e

nell’individuazione delle iniziative più interessanti. Non dovendo gestire in proprio i

progetti, godono poi di tutti i benefici dell’outsourcing e quindi possono dotarsi di una

(3) «L’ipotesi era che l’azione della pubblica amministrazione e quella dei principi del libero mercato, ormai svincolate da ogni vestigia feudale, avrebbero potuto generare una valida soluzione a tutti i problemi sociali. […] L’attività caritatevole che superava la mera dimensione privata del singolo rischiava, da un lato, di distogliere risorse dai meccanismi del libero mercato generando la cosiddetta manomorta e, dall’altro, di creare centri di potere svincolati dal controllo del parlamento e dei partiti politici, che soli avevano una legittimazione democratica.»: CASADEI B., La filantropia comunitaria: uno strumento per vivere la solidarietà, in «Sociologia e Politiche Sociali», FrancoAngeli, Milano, volume 8, fascicolo 3, 2005, pag. 115.

(4) CASADEI B., Filantropia istituzionale e dignità della persona, op. cit., pag. 118. (5) CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, op.

cit., pag. 70.

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CONCLUSIONI

167

struttura più snella e flessibile. Grazie a questa flessibilità sono poi in grado di

rispondere con maggiore efficacia e rapidità alle mutevoli sfide e ai bisogni emergenti

di una realtà in perpetuo cambiamento.»(6

Nel panorama italiano da alcuni anni stanno assumendo un’importanza crescente,

le fondazioni di comunità, che dopo l’iniziale incertezza dovuta sia alla “novità” che

alla lacunosità della normativa, che non ha favorito un ricorso sistematico a tale istituto,

appaiono sempre più come strumenti idonei alla riqualificazione della filantropia.

).

Nel nostro paese, quindi, si sta progressivamente assistendo all’abbandono

dell’impostazione precedente, in cui gli interventi caritatevoli erano lasciati alla

benevolenza individuale, per abbracciare quella in cui gli interventi filantropici sono

effettuati in forma scientifica e programmata. Questo cambiamento di prospettiva è stato

attuato prendendo come punto di riferimento i paesi più avanzati nel settore della

filantropia.

La rapidità con cui le fondazioni di comunità si stanno «diffondendo è un

indicatore della pervasività dei processi di globalizzazione, i quali accentuano su scala

locale il bisogno di appartenenza»(7

Le fondazioni di comunità, sotto l’aspetto economico, sono assimilabili alle

banche o agli intermediari finanziari in quanto operano in base alle stesse logiche di

funzionamento. In maniera analoga agli istituti creditizi attuano l’intermediazione

finanziaria tra i donatori e le organizzazioni del “terzo settore”. Esse effettuano la

selezione preventiva dei progetti da finanziare e il controllo successivo sulla

realizzazione degli interventi.

).

La data di nascita delle fondazioni di comunità, sebbene il progetto della

“Fondazione Cariplo” risalga al 1998, coincide con l’introduzione del comma 2-bis

all’art. 10 della legge sulle ONLUS che di fatto «legittima e promuove l’intermediazione

filantropica in Italia.»(8

La modifica legislativa ha rappresentato un «cambiamento radicale della

prospettiva» con cui erano stati gestiti, fino a quel momento, gli incentivi fiscali sia

).

(6) IBIDEM, op. cit., pag. 71. (7) FERRUCCI F., Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, op. cit., pag. 71. (8) «Grazie alla nuova definizione di beneficienza introdotta con questa modifica, i cittadini e le

imprese potranno utilizzare l’intermediazione di fondazioni d’erogazione per sostenere progetti d’utilità sociale, usufruendo degli incentivi fiscali previsti dalla cosiddetta “più dai, meno versi”.»: CASADEI B., Intermediazione filantropica e fondazioni di comunità, in «Non Profit», Maggioli, Rimini, n. 2.2009, anno XV, aprile/giugno 2009, pag. 11.

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CONCLUSIONI

168

perché tali «incentivi non sono più in funzione della soggettività dell’ente, ma

dell’attività svolta» sia perché in questo modo si «valorizza il ruolo del terzo settore,

nell’assicurarsi che le risorse vengano effettivamente utilizzate per finalità d’utilità

sociale.»(9

Il primo dato che emerge con forza dall’analisi effettuata è rappresentato da una

disomogenea diffusione territoriale del fenomeno.

).

Le fondazioni di comunità sono riuscite ad adattarsi ai diversi contesti locali

tuttavia risultano localizzate principalmente nell’Italia Settentrionale e in piccola parte

in quella Meridionale. Esse sono, invece, completamente assenti dal Centro Italia.

Questa anomalia è particolarmente significativa in primo luogo perché il tessuto

socioeconomico e culturale dell’Italia Centrale è molto simile a quello del Nord Italia e

in secondo luogo perché il Centritalia vede la presenza di molte fondazioni di origine

bancaria.

A titolo di esempio possiamo citare la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la

Fondazione Tercas (Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo), la Fondazione

Cassa di Risparmio di Perugia e la Fondazione Roma (ideale continuazione della Cassa

di Risparmio di Roma).

La Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia aveva predisposto un viaggio negli

Stati Uniti per studiare le community foundations locali, ma non sono poi seguiti passi

concreti per realizzarne in Italia(10

Perché queste fondazioni hanno scelto di non implementare progetti simili a

quello della Fondazione Cariplo privando il loro territorio del motore principale per lo

sviluppo di fondazioni di comunità?

).

La ragione principale di questa scelta va ricondotta a tre ordini di fattori: l’ambito

territoriale d’intervento della fondazione di origine bancaria, la caratteristica

dell’indipendenza delle fondazioni di comunità e il problema della concorrenza con gli

altri soggetti del “terzo settore”.

Per quanto riguarda il primo punto, la Fondazione Cariplo(11

(9) IBIDEM, op. cit., pag. 12.

) e la Compagnia di

San Paolo svolgono la propria attività nell’intero territorio regionale, mentre le

(10) CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, op. cit., pag. 86.

(11) Art. 3, comma 3, “Finalità e settori d’intervento” dello Statuto della FONDAZIONE CARIPLO, Milano, 2007, sul sito www.fondazionecariplo.it: «La Fondazione svolge la propria attività

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CONCLUSIONI

169

fondazioni dell’Italia Centrale, anche a causa delle ridotte dimensioni, hanno un ambito

d’intervento limitato alla provincia di insediamento(12

Nondimeno una realtà grande e articolata come la città di Roma, richiederebbe la

creazione di fondazioni di comunità a livello di quartiere/circoscrizione analogamente a

quanto realizzato nel quartiere Mirafiori di Torino(

). Quindi mentre nel primo caso la

demoltiplicazione della struttura della fondazione originaria ha consentito un

avvicinamento alle diverse realtà locali, nel secondo caso la struttura della fondazione

già coincide con la comunità provinciale e pertanto non vi è la necessità di una

maggiore prossimità.

13

prevalentemente nel territorio e per le Comunità delle province della Lombardia, di Novara e di Verbania, nonché in ogni altra parte del territorio e della Comunità nazionale».

(12) Art. 2, comma 2, “Ambito territoriale e sede”. FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI PERUGIA, Statuto, Perugia, sul sito www.fondazionecrpg.it: «La Fondazione svolge la sua attività prevalentemente nell’ambito della provincia di Perugia.» e art. 3 “Ambito territoriale” dello Statuto della FONDAZIONE ROMA, Roma, www.fondazioneroma.it: «La Fondazione svolge le proprie attività istituzionali in Italia, con particolare riguardo al territorio della Provincia di Roma ed a quello della Regione Lazio».

(13) Considerazioni di carattere personale, basate su materiale esaminato, notizie acquisite o colloqui intercorsi con i responsabili delle strutture.

).

Per quanto riguarda il secondo punto, il blocco delle regioni dell’Italia Centrale è

caratterizzato dalla presenza di una forte infrastruttura sociale di impronta laica che

priva il contesto ambientale di uno degli attori necessari alla promozione delle

fondazioni di comunità.

In Toscana vi è un robusto associazionismo laico che presumibilmente considera

le fondazioni di comunità come potenziali concorrenti. Per questa ragione, pur in

presenza di una fondazione bancaria importante come quella di Siena, non si è andati

nella direzione della costituzione di fondazioni di comunità.

Invece in un contesto socialmente più destrutturato come quello del Molise si è

riusciti a ricondurre ad unità le diverse anime della solidarietà avvicinandole al progetto

della fondazione di comunità.

Inoltre le fondazioni di comunità per essere efficienti devono essere indipendenti

sia dai fondatori sia dalle organizzazioni del “terzo settore”, ma questa caratteristica mal

si coniuga con una certa cultura politica che mira a controllare le erogazioni.

Per quanto riguarda l’offerta di servizi ai donatori questa novità non è stata ancora

adeguatamente pubblicizzata risultando di fatto confinata all’ambito degli addetti ai

lavori.

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CONCLUSIONI

170

Se sorretta da campagne di stampa e di marketing sociale(14

Il patrimonio delle famiglie che si estingueranno per mancanza di eredi diretti,

nella sola Lombardia, nei prossimi anni sarà di oltre venti miliardi di euro. In particolare

«Il valore economico dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti ad istituzioni di

beneficenza nel periodo 2004-2020 si può stimare in circa € 105 miliardi, con

riferimento all’intero Paese»(

) adeguate,

l’intermediazione filantropica potrebbe vedere crescere esponenzialmente la propria

importanza nei prossimi venti anni in quanto in quel periodo si verificherà il più grande

passaggio generazionale di ricchezza della storia.

15

Le fondazioni di comunità potrebbero intercettare una parte considerevole di quei

lasciti testamentari re-immettendoli nel circuito della solidarietà ed evitando il rischio

che vadano ad aumentare gestioni improduttive.

).

Anche altre tipologie di fondazione si stanno strutturando per poter offrire servizi

di intermediazione filantropica come nel caso della Fondazione Talenti(16) a Roma e

della Fondazione Paideia a Torino(17

Le fondazioni di comunità «sono nelle condizioni migliori per poter investire le

proprie risorse in progetti interessanti, ma in cui il rischio di fallimento è elevato o i cui

benefici potranno farsi sentire solo nel lungo se non nel lunghissimo periodo.»(

).

18

(14) Il marketing sociale è una «strategia del marketing utilizzata per influenzare un gruppo di

soggetti o target ad accettare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, allo scopo di ottenere un vantaggio per i singoli individui o per la società nel suo complesso. […] Nella pratica, il marketing sociale crea opportunità concrete affinché gli individui e le collettività scelgano in modo responsabile e consapevole comportamenti favorevoli alla tutela del benessere fisico, sociale e psicologico.»: AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, op. cit., pag. 188.

).

(15) BARBETTA G. P. - CANINO P. - CIMA S., Il valore potenziale dei lasciti di beneficienza, Collana Quaderni dell’Osservatorio n. 2, Fondazione Cariplo, Milano, 2009, pag. 14, sul sito www.fondazionecariplo.it/osservatorio.

(16) La Fondazione Talenti, il cui Presidente è il Prof. Pellegrino Capaldo, ha lo scopo di promuovere la cultura e la prassi dell’uso sociale dei beni, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa e ai principi universali della solidarietà e del bene comune. L’Ente non eroga contributi ma mette a disposizione di quanti desiderano condividere i propri “talenti” servizi di consulenza e assistenza progettuale. Alle congregazioni, agli ordini religiosi e agli enti ecclesiastici, in possesso di beni immobili inutilizzati o sottoutilizzati, la Fondazione offre gratuitamente la propria collaborazione al fine di valutare le caratteristiche della struttura e il possibile riutilizzo a fini sociali. Agli enti, alle istituzioni e alle imprese pubbliche e private, che guardano con sempre maggiore attenzione alla valorizzazione del proprio ruolo sociale, la Fondazione offre la possibilità di valutare ed individuare iniziative meritevoli di essere sostenute attraverso la disponibilità di conoscenze, professionalità e contributi finanziari. Notizie acquisite il 2 febbraio 2012 sul sito www.fondazionetalenti.it.

(17) CASADEI B., Filantropia istituzionale e intermediazione filantropica, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia civile e crescita locale: l’emergere di nuove opportunità imprenditoriali e professionali”, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Economia “Richard M. Goodwin”, Polo di Arezzo, 8 aprile 2011, pag. 16, sul sito www.assifero.org.

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CONCLUSIONI

171

In prospettiva gli strumenti più importanti per promuovere lo sviluppo delle

fondazioni di comunità sono rappresentati dalla leva fiscale e dall’investimento nelle

risorse umane.

La fiscalità di vantaggio dovrebbe prevedere il «meccanismo del credito

d’imposta»(19) a favore dei soggetti che contribuiscono ad attività sociali (ma anche

culturali, scientifiche, ecc.). «Il credito d’imposta può variare a seconda dell’attività

svolta dall’Istituzione destinataria del contributo e potrebbe raggiungere anche il 90 -

95% delle erogazioni se queste sono dirette ad attività di grandissima rilevanza sociale.

Per essere veramente efficace, il credito d’imposta dovrebbe essere disciplinato dal

«principio della cassa»(20) e non dal consueto «principio della competenza»(21). Ciò

significa che il credito matura immediatamente al momento della donazione e da quel

momento può essere portato in detrazione delle imposte da pagare.»(22

(18) CASADEI B., Donazioni, erogazioni e sostenibilità: una nuova strategia per gli enti

d’erogazione, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 3 - marzo 2004, pag. 52. (19) «Il credito d’imposta è un istituto del diritto tributario che può essere relativo a più vicende

rispetto alle quali la legge tributaria produce l’effetto del sorgere d’un debito dell’ente impositore verso determinati soggetti.»: DE MITA E., Principi di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 223. ORSI C., Manuale di diritto tributario, op. cit., 2011, pag. 123: «Il contribuente che si trovi a credito di imposta può scegliere fra una delle seguenti quattro opzioni:

).

Il personale che opera nelle fondazioni è fondamentalmente volontario questo se

da un lato consente di ridurre i costi della struttura dall’altro lato priva gli enti

dell’apporto di professionalità importanti.

− chiedere il rimborso dell’imposta a credito all’Ufficio territorialmente competente. […]; − riportare il credito nella dichiarazione annuale d’imposta successiva; − compensare il credito riferito a quell’imposta con i debiti relativi ad altri tributi e/o contributi, […]; − cedere il credito.».

(20) In base al criterio di cassa le scritture contabili tengono conto dei proventi e degli oneri effettivamente incassati e pagati nell’esercizio. Quindi l’azienda è tenuta a registrare solo le entrate effettive e le spese realmente sostenute.

(21) In base al criterio di competenza «i costi e i ricavi si considerano conseguiti nel momento in cui hanno luogo i fatti e le operazioni aziendali che li originano, indipendentemente dall’effettiva entrata o uscita monetaria. Infatti, spesso costi e ricavi non danno luogo ad immediate variazioni monetarie». Quindi l’azienda è tenuta a registrare le entrate e le uscite quando queste siano maturate, essendo irrilevante che la percezione o l’erogazione sia realmente avvenuta: DE MITA E., Principi di diritto tributario, op. cit., pag. 243.

(22) «Così, ad esempio, se il 10 giugno del 2011 un cittadino dona 1.000 euro ad una Istituzione sociale, iscritta in apposito elenco, diventa subito titolare di un credito d’imposta di 900 e lo può utilizzare immediatamente. Sicché, poniamo, se in quello stesso giorno egli deve pagare 4.000 euro di imposte (a seguito della dichiarazione dei redditi del 2010) ne verserà solo 3.100. Insomma occorre fare in modo che, per il cittadino, la riduzione delle imposte sia semplice e immediata. Per ottenere questo risultato anche in capo ai percettori di reddito fisso, non tenuti alla dichiarazione dei redditi, occorrerà la collaborazione dei «sostituti d’imposta», ai quali sarà chiesto di tener immediatamente conto – nel calcolo delle trattenute fiscali – degli eventuali crediti d’imposta maturati dai propri dipendenti.»: CAPALDO P., Filantropia istituzionale: forma di una moderna responsabilità civile, op. cit., pagg. 1-2.

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CONCLUSIONI

172

Le fondazioni di comunità dovrebbero fare affidamento su «personale che curi in

modo particolare i rapporti con le OTS (ad esempio approfondendo la conoscenza e i

risultati della loro azione e curandone la sistematica diffusione), e con i donatori

intenzionati a sostenere specifiche finalità sociali (ai quali fornire servizi innovativi e

differenziati rispetto ad altri possibili fornitori). L’acquisizione di tali informazioni e la

loro circolazione, così come l’offerta di servizi ai donatori, potenzierebbe la funzione di

broker sociale delle FdC: favorendo la circolazione delle buone idee e suscitando forme

di collaborazione stabile fra una pluralità di attori.»(23

«Il ruolo che le FdC sapranno svolgere nel welfare locale dipenderà dalla loro

capacità di diffondere assieme alla cultura del dono anche un’autentica cultura

associazionale, e dal concepire il proprio capitale umano non soltanto come un costo,

ma come un investimento per valorizzare il capitale sociale della propria comunità.»(

).

24

Le nuove strategie d’intervento che potrebbero essere sviluppate dalle fondazioni

di comunità sono rappresentate dalla:

).

«venture philanthropy» in base alla quale la fondazione, invece di «limitarsi a

finanziare un progetto dell’organizzazione non profit, stabilisce con quest’ultima

una relazione molto più stretta, finanziandone per alcuni anni la stessa struttura

amministrativa, con l’obiettivo di creare le condizioni affinché essa possa, una volta

concluso il rapporto con la fondazione, essere pienamente autonoma, indipendente

ed economicamente sostenibile. Il rapporto fra la fondazione e l’organizzazione

beneficiaria è quindi molto stretto, con un coinvolgimento diretto di quella nella

vita di questa.»(25

«impatto collettivo». Questa modalità operativa, nata negli Stati Uniti e applicata in

Italia dalla Fondazione Comunitaria della Provincia Comasca, si basa sullo

sviluppo di una strategia comune che possa coinvolgere una pluralità di entità

provenienti da tutti i settori e disponibili a contribuire al miglioramento del bene

comune. Questa metodologia parte dalla necessità di individuare un’esigenza

comune, sufficientemente ampia per attirare l’interesse di una pluralità di soggetti,

e quindi di promuovere una riflessione partecipata che abbia come obiettivo quello

);

(23) FERRUCCI F., Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore, op. cit., pagg.

243-244. (24) IBIDEM, op. cit., pag. 244. (25) CASADEI B., Donazioni, erogazioni e sostenibilità: una nuova strategia per gli enti

d’erogazione, op. cit., pag. 53.

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CONCLUSIONI

173

di articolare e definire tale esigenza, così che possa essere condivisa dai vari

soggetti coinvolti. Quest’elaborazione deve diventare la cornice di riferimento

nell’ambito della quale sia poi possibile elaborare diverse strategie in cui ciascuno

possa svolgere un ruolo che ne valorizzi le proprie specificità. In questo modo ogni

soggetto può inserire il proprio sforzo in un obiettivo più ampio e nel contempo

essere a conoscenza di quanto altre entità stanno svolgendo così da poter più

facilmente individuare sinergie o evitare frizioni(26

Un altro elemento molto importante su cui puntare, che non è stato ancora

sufficientemente sviluppato, è la diffusione della conoscenza del modello delle

fondazioni di comunità nell’ambito delle categorie professionali dei commercialisti e

dei notai. Queste categorie potrebbero utilizzare le fondazioni comunitarie per offrire

nuovi e interessanti servizi ai loro clienti. In questo caso il problema principale da

superare è rappresentato dalla difficoltà di far comprendere a questi soggetti la

differenza fra le fondazioni di comunità, che sono uno strumento al servizio dei

donatori, e gli altri enti non profit, che invece perseguono un loro scopo particolare.

Solamente una conoscenza più approfondita del fenomeno da parte di questi

professionisti, gli consentirebbe di coglierne tutte le opportunità offerte.

).

Anche le banche e gli altri intermediari finanziari, che stanno scoprendo

l’importanza che i servizi filantropici possono avere per la gestione dei rapporti con i

clienti e soprattutto per la loro fidelizzazione, potrebbero dare vita a interessanti e

convenienti partnership con le fondazioni di comunità.

Il progetto delle fondazioni di comunità rappresenta il migliore esempio di

filantropia strategica a livello continentale, ma deve confrontarsi con alcune importanti

sfide. La più importante è rappresentata dal cambiamento culturale che deve investire la

classe dirigente ai diversi livelli di governo.

«Le classi dirigenti da cui di norma vengono scelti gli amministratori degli enti di

filantropia comunitaria, si sono necessariamente formate in una cultura che faceva fatica

a concepire il significato sociale del dono.»(27

(26) CASADEI B., La filantropia prossima ventura, Relazione tenuta alla tavola rotonda sul tema

“La filantropia prossima ventura: esperienze di frontiera tra grant-making ed investimento sociale” organizzata nell’ambito del Master in Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative, SDA Bocconi, Milano, 21 settembre 2011, sul sito www.assifero.org.

).

(27) CASADEI B., La filantropia comunitaria: uno strumento per vivere la solidarietà, op. cit., pag. 130.

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CONCLUSIONI

174

L’Establishment ha spesso dimenticato la propria responsabilità sociale e, mentre

la cultura del dono è molto diffusa fra le persone comuni, lo è molto meno fra chi è stato

abituato a credere che il bene comune dovesse essere perseguito unicamente con le

risorse pubbliche. Solo se le élite sapranno riscoprire il piacere di contribuire

personalmente alla realizzazione del bene comune, sarà possibile dotare questi enti di

Consigli d’Amministrazione che ne comprendano il loro vero significato e ne

valorizzino pienamente le grandi potenzialità.

La deriva sociale della nostra società potrà essere arrestata solo se saremo capaci

di «sostituire lo stato sociale con una società solidale»(28

Le fondazioni di comunità, il cui modello è stato importato dagli Stati Uniti,

affondano le loro radici nella cultura caritatevole e nell’operosità delle genti italiche di

cui vogliono diventare uno strumento d’azione.

) e lo strumento della

fondazione di comunità è l’unico in grado di far rinascere una vera solidarietà e

riannodare i fili spezzati delle nostre comunità.

Forse questa persona giuridica non ha un’“anima”, di sicuro, però, finora ha

dimostrato di avere una “testa” e a dimostrazione di ciò vi sono gli interventi realizzati

in molte situazioni sociali difficili.

La nostra ricerca ha messo in evidenza che alle fondazioni e agli strumenti

d’intervento “tradizionali” se ne è aggiunto uno nuovo.

L’attuale crisi dello stato sociale sta disgregando il tessuto comunitario e a tale

proposito, riteniamo che sia definitivamente concluso il tempo della pianificazione

dall’alto, fallita per l’assenza di una visione d’insieme e di confronto sulle scelte da fare,

e sia giunto il momento dell’iniziativa dal basso che coinvolga i singoli e le comunità.

Le fondazioni di comunità potrebbero davvero costituire un’arma in più per

vincere la sfida della solidarietà.

Siamo davanti a uno strumento nuovo e potenzialmente “esplosivo” che

nonostante alcune perplessità, che sicuramente la prassi contribuirà a chiarire, può

rappresentare un “catalizzatore” per i processi di intervento in campo sociale.

Potenzialità queste che sono state colte dalle fondazioni di origine bancaria, in

primis dalla Cariplo, la cui opera va perciò ulteriormente apprezzata ma soprattutto

studiata.

(28) IBIDEM, op. cit., pag. 131.

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CONCLUSIONI

175

In generale, il successo di iniziative come quella delle fondazioni di comunità, ma

l’osservazione vale per tutti i casi analoghi, poggia sulla consapevolezza che la

riqualificazione dello Stato Sociale debba diventare centrale nell’ambito della nuova

cultura del dono e che tali interventi, per la quantità di risorse che richiedono, debbano

coinvolgere sempre di più gli individui. Anche se ciò, ovviamente, non significa per le

amministrazioni pubbliche di rinunciare a svolgere il proprio ruolo. La più grave

carenza dei piani e dei programmi che si sono succeduti nel corso degli anni, infatti, è

stata soprattutto la mancanza di una complessiva e organica visione di lungo periodo, in

grado di affrontare le molteplici problematiche delle comunità.

A nostro parere, i principi di solidarietà e sussidiarietà che presuppongono la

responsabilità sociale di ogni persona stanno gradualmente attuando un passaggio

fondamentale: da un “governo delle emergenze” a una “politica della solidarietà”, in

quanto non è più possibile, specialmente negli ambiti comunitari, redigere piani

d’intervento privi di qualsiasi visione strategica, in grado cioè di realizzarsi nella

semplice erogazione dei contributi. In questo panorama, le fondazioni di comunità si

propongono come uno strumento di ingegneria filantropica veramente innovativo, in

grado di contemperare e garantire gli elementi essenziali di un moderno piano d’azione

sociale: strategia, concertazione e sostenibilità.

Le fondazioni di comunità rappresentano una storia di successo e speriamo che lo

rimangano a lungo.

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BIBLIOGRAFIA

SOMMARIO: 1. Agenzia per il terzo settore – 2. Agenzia delle entrate – 3. Associazione

di fondazioni e di casse di risparmio – 4. Monografie – 5. Saggi – 6. Articoli, riviste e periodici – 7. Atti di convegni e seminari – 8. Rapporti e ricerche – 9. Encicliche papali – 10. Altre fonti – 11. Statuti, regolamenti e rapporti annuali – 12. Siti internet istituzionali delle fondazioni di comunità.

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BIBLIOGRAFIA

177

«Farsi una bibliografia significa

cercare quello di cui non si

conosce ancora l’esistenza.»(1

)

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1) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE (a cura di), Il Terzo settore dalla A alla Z. Parole e volti del non profit, Editrice San Raffaele, Milano, 2011.

2) AGENZIA PER IL TERZO SETTORE, Linee guida per la raccolta dei fondi, Milano, 2011, sul sito www.agenziaterzosettore.it.

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2) AGENZIA DELLE ENTRATE, circolare n. 38/E “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460. Indirizzi interpretativi su alcune tematiche rilevanti.”, Roma, 1 agosto 2011, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

3) AGENZIA DELLE ENTRATE, guida alle “Erogazioni liberali: le agevolazioni fiscali”, Roma, 2007, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

4) AGENZIA DELLE ENTRATE, risoluzione n. 192/E “Istanza di interpello – Art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 – Articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460”, Roma, 27 luglio 2009, sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

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22) HOELSCHER P., Le fondazioni comunitarie tedesche in Europa/Deutsche Bürgerstiftungen in Europa, in HOELSCHER P. - CASADEI B. (a cura di), Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania/Bürgerstiftungen in Italien und Deutschland, Berlin, Maecenata Verlag, 2006, pagg. 11-24.

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24) PERRONE A., Regulating and Promoting. Italian Discipline of Foundation, in ANHEIER H. K. - ROSSI G. - BOCCACIN L. (eds.), The Social Generative Action of the Third Sector: Comparing International Experiences, Vita & Pensiero, Milano, 2008, pagg. 195-201.

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68) ZANDA G., Lineamenti di economia aziendale, Kappa, Roma, 2006.

6. ARTICOLI, RIVISTE E PERIODICI

1) (E.P.), Obiettivo: donare alla propria città. Al via l’iter per creare una Fondazione che raccolga e distribuisca le offerte, La Prealpina, 26 gennaio 2012.

2) AMIGONI E., La Fondazione della provincia di Lecco, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, Anno I, n. 4, luglio/agosto 2000, pagg. 90-101.

3) ANHEIER H. K. - LEAT D., La gestione delle fondazioni filantropiche: la sfida della creatività, in «Politiche sociali e servizi», Vita & Pensiero, Milano, anno IX, n. 1, gennaio-giugno 2007, pagg. 43-61.

4) BERTOZZI L., Lo sviluppo locale del Mezzogiorno promosso dalla Fondazione per il Sud, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 1 - gennaio 2011, pagg. 47-50.

5) CALAMANDREI M., Community foundations: un’esperienza internazionale di successo, in «Ca’ de Sass», Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, Milano, N° 148, dicembre 2000, pagg. 50-55.

6) CAPALDO P., E in Italia le fondazioni devono destatalizzare il sociale, in Non Profit Magazine, Società editoriale Vita, Milano, 10 giugno 2011, pag. 3.

7) CASADEI B., «Concretizzano la cultura del dono», Fondazioni, Gennaio - Febbraio 2012, Anno XIII, sul sito www.acri.it.

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8) CASADEI B., Comuni e fondazioni di comunità, «Communitas», Vita Altra idea, Milano, volume 3/4, giugno 2005, pagg. 87-92.

9) CASADEI B., Donazioni, erogazioni e sostenibilità: una nuova strategia per gli enti d’erogazione, in «Terzo Settore», Il Sole 24 Ore, Milano, N° 3 - marzo 2004, pagg. 52-57.

10) CASADEI B., Filantropia istituzionale e dignità della persona, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, n. 6, novembre/dicembre 2011, pagg. 117-123.

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13) CASADEI B., La banca della donazione: nascita e sviluppo delle fondazioni delle comunità locali in Italia, in «Non Profit», Maggioli, Rimini, n. 2.2001, anno VII, aprile/giugno 2001, pagg. 123-154.

14) CASADEI B., La filantropia comunitaria: uno strumento per vivere la solidarietà, in «Sociologia e Politiche Sociali», FrancoAngeli, Milano, volume 8, fascicolo 3, 2005, pagg. 115-131.

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16) CASADEI B., Un nuovo intermediario della solidarietà: le fondazioni delle comunità locali, in «Studi Zancan», Fondazione «Emanuela Zancan», Padova, Anno I, n. 4, luglio/agosto 2000, pagg. 64-89.

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21) EVERETT J. - EVERETT S. & ASSOCIATES, Community Foundations: An Introductory Report on International Experience and Irish Potential, Combat Poverty Agency, Dublin, 1998.

22) FERRUCCI F., Come pensano (e agiscono) le fondazioni italiane? Morfogenesi e morfostasi delle culture filantropiche, in «Politiche sociali e servizi», Vita & Pensiero, Milano, anno IX, n. 1, gennaio-giugno 2007, pagg. 63-83.

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7. ATTI DI CONVEGNI E SEMINARI

1) CAPALDO P., Filantropia istituzionale: forma di una moderna responsabilità civile, Relazione tenuta al 2° Convegno Nazionale delle Fondazioni e degli Enti d’Erogazione sul tema “Oltre i progetti: responsabilità, potenzialità e strategie della filantropia istituzionale per lo sviluppo del Paese”, Roma, 11 marzo 2011, sul sito www.assifero.org.

2) CASADEI B., Dono e sussidiarietà: le fondazioni di comunità, Relazione tenuta al “Seminario di introduzione alla sussidiarietà come principio di regolazione e governance sociale”, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, Bologna, 19 gennaio 2012, sul sito www.assifero.org.

3) CASADEI B., Filantropia istituzionale e intermediazione filantropica, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia civile e crescita locale: l’emergere di nuove opportunità imprenditoriali e professionali”, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Economia “Richard M. Goodwin”, Polo di Arezzo, 8 aprile 2011, sul sito www.assifero.org.

4) CASADEI B., Fondazioni di comunità: novità e problematiche, Il Sole 24 Ore, Milano, in «I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato», Atti del Convegno Non profit: le sfide dell’oggi e il ruolo del notariato, (Milano, 5 novembre 2010), pagg. 86-93.

5) CASADEI B., Governance e modelli di funzionamento delle fondazioni, Relazione tenuta all’incontro organizzato dalla Fondazione CAB, Brescia, 13 ottobre 2011, sul sito www.assifero.org.

6) CASADEI B., Le fondazioni di comunità come intermediario filantropico, Relazione tenuta al convegno su “Fondazioni di Comunità, società civile e bene comune” organizzato dalla Fondazione Riviera-Miranese, Salzano (VE), 26 novembre 2011, sul sito www.assifero.org.

7) CASELLI L., La produzione e distribuzione del valore, in AA.VV., Le aziende nonprofit tra Stato e mercato, Accademia Italiana di Economia Aziendale, Atti del XVIII convegno annuale, CLUEB, Bologna, 1996.

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8) MANCINI S., La filantropia istituzionale in Italia. Le fondazioni private di erogazione: Crescita e Ruolo, Relazione tenuta al ciclo di seminari su “Economia delle aziende non profit”, Università degli Studi di Roma “Sapienza”, Facoltà di Economia, Dipartimento di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, 9 dicembre 2010, sul sito www.assifero.org.

9) CASADEI B., La filantropia prossima ventura, Relazione tenuta alla tavola rotonda sul tema “La filantropia prossima ventura: esperienze di frontiera tra grant-making ed investimento sociale” organizzata nell’ambito del Master in Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative, SDA Bocconi, Milano, 21 settembre 2011, sul sito www.assifero.org.

8. RAPPORTI E RICERCHE

1) BARBETTA G. P. - CANINO P. - CIMA S., Il valore potenziale dei lasciti di beneficienza, Collana Quaderni dell’Osservatorio n. 2, Fondazione Cariplo, Milano, 2009, sul sito www.fondazionecariplo.it/osservatorio.

2) BORZAGA C., Sull’impresa sociale, Working Paper n. 19, ISSAN, Università degli Studi di Trento, 2005.

3) PRELE C., Le fondazioni di comunità nell’ambito del terzo settore in Piemonte, Torino, IRES, 2010, in http://213.254.4.222/cataloghi/pdfires/785.pdf.

4) SACCO P. L. - ZARRI L., Perché esiste il settore non profit?, Working Paper n. 29, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Economia di Forlì, Febbraio 2006.

9. ENCICLICHE PAPALI

1) BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, sul sito www.chiesacattolica.it.

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6) GALGANO F., Trattato di diritto civile, volume I, Cedam, Padova, 2010.

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9) ORSI C., Manuale di diritto tributario, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2011.

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2) CITTÀ DI TORINO, Regolamento del Consiglio Comunale, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/consiglio/regolamento.

3) CITTÀ DI TORINO, Statuto, Torino, 2011, in http://www.comune.torino.it/amm_com/statuto.

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12) FONDAZIONE COMUNITÀ MANTOVANA, Statuto, Mantova, sul sito www.fondazione.mantova.it.

13) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Regolamento dell’attività erogativa su bandi, Legnano (MI), 2011, sul sito www.fondazioneticinoolona.it.

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16) FONDAZIONE COMUNITARIA DEL TICINO OLONA, Statuto, Legnano (MI), sul sito www.fondazioneticinoolona.it.

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18) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI LODI, Statuto, Lodi, sul sito www.fondazionelodi.org.

19) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA PROVINCIA DI PAVIA, Rapporto Annuale 2010, Pavia, sul sito www.fondazionepv.it.

20) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Regolamento attività istituzionali, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it.

21) FONDAZIONE COMUNITARIA DELLA RIVIERA DEI FIORI, Statuto, Imperia, sul sito www.fondazionerdf.it.

22) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Modello operativo dell’attività erogativa, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

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BIBLIOGRAFIA

196

23) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento e linee guida per la costituzione di fondi patrimoniali, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

24) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento per gli impieghi del patrimonio, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

25) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento per la concessione del patrocinio, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

26) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Regolamento per la valutazione degli enti e progetti, Rho (MI), 2011, sul sito www.fondazionenordmilano.org.

27) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Relazione Sociale 2010, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org.

28) FONDAZIONE COMUNITARIA NORD MILANO, Statuto, Rho (MI), sul sito www.fondazionenordmilano.org.

29) FONDAZIONE COMUNITARIA SAVONESE, Statuto, Albenga (SV), sul sito www.fondazioneponentesavonese.org.

30) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Rapporto Annuale 2011, Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org:

31) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ BRESCIANA, Statuto, Brescia, sul sito www.fondazionebresciana.org.

32) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DEL NOVARESE, Statuto, Novara, 2008, sul sito www.fondazione.novara.it.

33) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Regolamento del Comitato di Nomina, Torino, 2008.

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BIBLIOGRAFIA

197

34) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Statuto, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it.

35) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MIRAFIORI, Statuto, Torino, 2008, sul sito www.fondazionemirafiori.it.

36) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Relazione sociale 2010, Monza, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org.

37) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ DI MONZA E BRIANZA, Statuto, Monza, sul sito www.fondazionemonzabrianza.org.

38) FONDAZIONE DELLA COMUNITÀ SALERNITANA, Statuto, Salerno, sul sito www.fondazionecomunitasalernitana.it.

39) FONDAZIONE DI COMUNITÀ DEL CENTRO STORICO DI NAPOLI, Statuto, Napoli, sul sito www.fondcomnapoli.it.

40) FONDAZIONE RIVIERA MIRANESE, Statuto, Dolo (VE), sul sito www.fondazionerm.org.

41) FONDAZIONE ROMA, Statuto, Roma, sul sito www.fondazioneroma.it.

42) STADT STIFTUNG GÜTERSLOH, Stiftungssatzung, Gütersloh, 2001, sul sito www.bertelsmann-stiftung.de.

43) THE NEW YORK COMMUNITY TRUST, annual report 2010, New York, NY, sul sito www.nycommunitytrust.org.

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BIBLIOGRAFIA

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12. SITI INTERNET ISTITUZIONALI DELLE FONDAZIONI DI COMUNITÀ

1) www.fdcdonluigisturzo.it.

2) www.fondazione.mantova.it.

3) www.fondazione.novara.it.

4) www.fondazionebergamo.it.

5) www.fondazionebresciana.org.

6) www.fondazionecerea.it.

7) www.fondazioneclodiense.it.

8) www.fondazione-comasca.it.

9) www.fondazionecomunitasalernitana.it.

10) www.fondazionecrtreviglio.it.

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BIBLIOGRAFIA

199

11) www.fondazionelodi.org.

12) www.fondazionemirafiori.it.

13) www.fondazionemonnalisa.org.

14) www.fondazionemonzabrianza.org.

15) www.fondazionenordmilano.org.

16) www.fondazioneponentesavonese.org.

17) www.fondazioneprovcremona.it.

18) www.fondazionepv.it.

19) www.fondazionerdf.it.

20) www.fondazionerdf.it.

21) www.fondazionerm.org.

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BIBLIOGRAFIA

200

22) www.fondazionesantostefano.it.

23) www.fondazionesinistrapiave.it.

24) www.fondazioneterradacqua.it.

25) www.fondazioneticinoolona.it.

26) www.fondazionevaresotto.it.

27) www.fondazionevco.it.

28) www.fondazionevda.it.

29) www.fondazioneveronese.org.

30) www.fondazionevicentina.it.

31) www.fondcomnapoli.it.

32) www.fondprovlecco.org.

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BIBLIOGRAFIA

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33) www.molisecomunita.it.

34) www.provaltellina.org.

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L’autore, per quanto è stato possibile, ha sempre citato la

provenienza delle opere e dei testi. Con riferimento al

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che il presente lavoro è una pubblicazione di carattere

scientifico, destinata a essere utilizzata esclusivamente in

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