Fabio sandri incontro a centrale fotografia 2014

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CENTRALE FOTOGRAFIA 2014 a cura di Luca Panaro e Marcello Sparaventi. Incontro con FABIO SANDRI Fano, 7 giugno 2014 . ………. Fabio Sandri - Volevo partire dai lavori.. proprio dai tempi dell’Accademia ..forse per chiarire le ragioni che stanno sotto alla scelta e all’uso del materiale fotografico, mi piace chiamarlo materiale, appunto. La prima immagine.. questo qui è un lavoro (“Punta ” 1984) che ho fatto nel mio studio ed è una specie di quadro aggettante, un monocromo nero, ..pittura su carta su un telaio che diviene tridimensionale, una sorta di prospettiva rovesciata, di elemento che invade lo spazio. Io ho fatto l’accademia a Venezia , negli anni in cui insegnava Emilio Vedova, e il clima era quello dell’empatia col lavoro, cioè il fatto che l’immagine, la pittura, avesse un ruolo di coinvolgimento e di empatia con l’essere, con il fisico, col corpo,.. l’immagine non fosse solamente un’immagine, ma fosse in qualche maniera… un’immagine che trabordava il fatto iconografico, che diventava qualcosa di coinvolgente e di empatico a livello anche… spaziale in questo caso.. allora, se pensiamo al grande insegnamento dei plurimi di Vedova, dove la pittura diventa spazio, diventa ambiente.. e siccome non mi interessava una ricerca su un particolare segno o una particolare forma o figura, nemmeno su una certa gestualità… soggettiva.., ho fatto semplicemente un monocromo che diventava una punta che puntava lo spettatore. E questa è una fotografia che documenta quel lavoro, però quella successiva, “Punta” 1984, invece è concepita come fotografia, la fotografia di questo lavoro in studio,.. cioè dove mi sembrava che questo problema e questo dubbio sul che segno, che materia utilizzare e su che dimensione dare al lavoro, venisse in qualche modo detto tramite il materiale della fotografia. E allora in questo caso il lavoro è appunto la fotografia dell’opera, che rappresenta un piccolo spazio , un piccolo ambiente, in cui c’è un rapporto, un confronto, un “a tu per tu” con questo elemento che ti punta.

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CENTRALE FOTOGRAFIA 2014 – a cura di Luca Panaro e Marcello Sparaventi. Incontro con FABIO SANDRI Fano, 7 giugno 2014 .

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CENTRALE FOTOGRAFIA 2014 – a cura di Luca Panaro e Marcello Sparaventi.

Incontro con FABIO SANDRI

Fano, 7 giugno 2014 .

……….

Fabio Sandri -

Volevo partire dai lavori.. proprio dai tempi dell’Accademia ..forse per chiarire le ragioni che stanno sotto

alla scelta e all’uso del materiale fotografico, mi piace chiamarlo materiale, appunto.

La prima immagine.. questo qui è un lavoro (“Punta ” 1984)

che ho fatto nel mio studio ed è una specie di quadro aggettante, un monocromo nero, ..pittura su carta su

un telaio che diviene tridimensionale, una sorta di prospettiva rovesciata, di elemento che invade lo spazio.

Io ho fatto l’accademia a Venezia , negli anni in cui insegnava Emilio Vedova, e il clima era quello

dell’empatia col lavoro, cioè il fatto che l’immagine, la pittura, avesse un ruolo di coinvolgimento e di

empatia con l’essere, con il fisico, col corpo,.. l’immagine non fosse solamente un’immagine, ma fosse in

qualche maniera… un’immagine che trabordava il fatto iconografico, che diventava qualcosa di

coinvolgente e di empatico a livello anche… spaziale in questo caso.. allora, se pensiamo al grande

insegnamento dei plurimi di Vedova, dove la pittura diventa spazio, diventa ambiente.. e siccome non mi

interessava una ricerca su un particolare segno o una particolare forma o figura, nemmeno su una certa

gestualità… soggettiva.., ho fatto semplicemente un monocromo che diventava una punta che puntava lo

spettatore. E questa è una fotografia che documenta quel lavoro, però quella successiva, “Punta” 1984,

invece è concepita come fotografia, la fotografia di questo lavoro in studio,.. cioè dove mi sembrava che

questo problema e questo dubbio sul che segno, che materia utilizzare e su che dimensione dare al lavoro,

venisse in qualche modo detto tramite il materiale della fotografia. E allora in questo caso il lavoro è

appunto la fotografia dell’opera, che rappresenta un piccolo spazio , un piccolo ambiente, in cui c’è un

rapporto, un confronto, un “a tu per tu” con questo elemento che ti punta.

Quella successiva, “casa”1985 , appartiene ad una serie di immagini fatte con un mix di fotografia, di

installazione fatta in studio e poi continuato con una pittura acquerellata, diciamo cosi, proprio e appunto

per significare questo modo di rappresentare una empatia con uno spazio e con una forma, ..una specie di

casa dentro alla casa, ..tramite un materiale, un materiale che non è più solo pittorico …o installazione con

altri materiali, ma è anche e soprattutto quello fotografico. Come se il materiale della fotografia potesse

contenere tutte le qualità e le complessità che appunto hanno i materiali, che ha la pittura stessa, mi

sembrava che la fotografia bastasse a questo e dunque potesse quasi sostituire quei materiali .

Questi sono dei lavori dell’86, sono dei “nuclei” realizzati ripiegando su se stesse delle lamiere in ferro o in

piombo.., attorno a un centro, una forma-nucleo che poi dipingevo di nero…creando all’interno una sorta di

vuoto, ..quasi uno specchio nero.. un nucleo che aveva la potenzialità di assumere qualsiasi forma . Il

perimetro, la “forma” di quel nucleo era la conseguenza un po’ casuale e sempre diversa delle piegature

della lamiera. Dunque una domanda sul perimetro in questo caso, ma anche su un’immagine interna,

sempre sospesa tra il familiare e l’imprevedibile.

Questi sono altri interventi, che sono interventi appunto fatti nel mio studio a casa mia e sono una serie di

lavori che chiamo “ferri-ombra”(1988),

sono delle lamiere un po’ a tubo, piegate su se stesse che creano delle nicchie d’ombra. E appunto l’ombra

mi sembrava che potesse essere un materiale, un corpo significante, e appunto un modo di dare corpo

all’immagine.. questi erano dei dispositivi che dovevano creare delle nicchie d’ombra, vengono avanti verso

lo spettatore.. lo coinvolgono ..invadono lo spazio ..però la materia di cui sono costituite è l’ombra, almeno

il centro, il nucleo di questi lavori.

Come invece qui , in queste altre lamiere ,”senza titolo” del ‘89, … specie di volumi aperti.. di luce/lamiera,..

erano lavori che oscillavano tra la negazione ,.. e possibilità di generare immagini.

Luca Panaro - Si quindi diciamo che la tua fase iniziale è una fase di passaggio nel senso che c’è ancora la

scultura che è presente..

F.S. - … c’è una domanda su quale può essere il materiale, un materiale che può avere un significato, un

senso.. all’inizio è appunto stato questo, cioè il creare dei “ferri-ombra”, in questo caso.

Questi… sono dei lavori che vengono dopo (“Fotogrammi”), sono dell’89,

e appunto, sono i primi lavori in cui utilizzo il materiale fotografico inteso proprio come fotogramma, cioè

vuol dire l’impronta diretta della luce su carta fotosensibile. In questo caso usavo dei grandi fogli di carta

fotosensibile piegata su se stessa in maniera.. a volte a nucleo centrale, a volte a struttura verticale, ed

erano delle forme iniziali che appunto mettevano in forma la materia della luce in sé .

Questa è un’installazione, in primo piano ci sono le vasche, che ho utilizzato per sviluppare questi

fotogrammi , le vasche stesse sono diventate come dei corpi.. messi lì.. mezzi crocefissi …chiamiamoli così.

L.P. - diciamo che , così giusto per sottolineare gli aspetti , che sono molto interessanti, anche abbastanza

anomali diciamo pur nel tuo percorso artistico …anziché guardare all’immagine, che è quello che

solitamente uno si aspetta dalla fotografia ..tu guardi intorno, quello che sta intorno all’immagine, i

materiali che sono lì per produrre l’immagine .. quindi la carta ,e quindi poi alle attrezzature come queste

grandi vasche che poi dovrebbero consentire alla carta stessa di far uscire qualcosa, di far emergere

l’immagine latente..

F.S. - Si ...diciamo che il procedimento fotografico, che va appunto dall’accensione della luce, alla carta

fotosensibile, allo sviluppo, sostituiva gli altri materiali, era in sè un materiale plastico che mi interessava

evidenziare.. in sè, appunto, mostrarlo come elemento plastico, come corpo di una possibile scultura.

L.P. - Avevi altri esempi… o è nata come naturale evoluzione del tuo percorso di ricerca plastica..

F.S. – No, non avevo particolari autori di riferimento.. anche se un autore che mi ha sempre appassionato è

stato, è tuttora, Paolo Gioli, perchè riduce il principio fotografico agli elementi essenziali.. Però a parte lui

.. sì, i fotogrammi rimandano inevitabilmente a Man Ray e alle avanguardie, però mi interessava più

l’aspetto scultoreo che l’aspetto astratto, simbolico o surreale, insomma mi interessava più l’aspetto

materico –plastico..

L.P. - Rilevo adesso una cosa che notavo.... già fin da subito lavoravi su grandi dimensioni… anche se qui in

questa prima fase non c’era la necessità…

F.S. - Si .. la dimensione è importante perché implica un rapporto corpo a corpo, uno a uno, con il lavoro, e

l’idea dell’uno a uno, della scala 1 : 1 è importante, perchè esclude tutto quello che ha a che fare con una

rappresentazione che punta più il valore sull’iconicità, mentre la scala 1 : 1 indica e ti confronta e ti mette in

gioco più a livello di impatto, anche fisico.. c’è un aspetto fisico che secondo me è fondamentale perché

forse è la parte che sfugge alla previsione del lavoro..

L.P. - Un argomento che abbiamo toccato anche con Davide Tranchina ..e abbiamo visto con lui come,

nonostante nei suoi ultimi lavori ci sia un interesse che va verso una ricerca su un linguaggio indicale, come

ci sia però da parte sua mantenere sempre viva una dimensione iconica ..Mentre mi sembra dalle tue

parole, ma anche dalle tue immagini, che non ci sia mai stata da parte tua un interesse i questa direzione.

F.S. - No.. mi piace l’effettività, cioè il fatto fisico effettivo dell’opera. Cioè nel senso che l’opera sta nel

luogo, sta davanti a te, è una presenza, è, in questo senso, una possibile scultura, cioè nel senso che

determina un fatto concreto, in qualche modo, in maniera anche contraddittoria, ..perché appunto una

cosa interessante del materiale fotografico è che da un lato ha questa.. come dire.. fenomenologia

presente, necessita di un fatto presente, è un fatto,.. e dall’altra parte è un deposito inevitabile di memoria

storica, …la fotografia in fondo è proprio la materia storica per eccellenza.. e mi è sempre piaciuta questa

apparente contraddizione. Perché comunque e dentro a questo problema della presenza, ..la fotografia

mette in gioco invece la distanza inevitabile che c’è sempre in qualsiasi atto di presenza. Ecco,.. anche

questa è una ragione che mi ha fatto scegliere il materiale fotografico.

Le forme iniziali che usavo erano dei nuclei, mettere al centro dell’immagine un nucleo, un nucleo che non

è altro che una partenza di una forma.. io piegavo su se stessa la carta fotografica ripiegata su se stessa

attorno ad un centro.. e questo centro è sempre diverso.. è il modo per risolvere il perimetro di una forma,

risolvere il limite il contorno ..che limite do a questa forma ?..è un nucleo, per cui all’inizio ho risolto

..risolto !?.. il problema del perimetro in questo modo.

Poi ad un certo punto ho cominciato a dare tridimensionalità a questi fotogrammi, li ho montati su dei

volumi di legno, su delle strutture di legno, questi lavori qua sono del ‘89 …

L.P. - Ma, diciamo.., il pubblico, comunque l’interesse, il consenso che potevi avere in quegli anni su opere di

questo tipo era legato a un mondo più della scultura ..o comunque di chi apprezzava la forma, oppure c’era

già un interesse.. diciamo specifico fotografico?

F.S. - ..quelli erano gli anni ancora un po’ nel clima della Transavanguardia.. diciamo così… la mia ricerca era

più rivolta alla riduzione, alla fisicità. Nel lavoro c’era anche una volontà di reazione a quelle immagini

rigiocate, a quel vuoto “fisico” …anche con un senso di negazione – il nero e i materiali, anche poveristi,

certo, ma mi interessava una certa crudezza, essenziale, …erano materiali di crollo storico … Questi lavori li

ho mostrati solamente alla Bevilacqua La Masa a Venezia, dove da sempre c’è una sensibilità legata alla

pittura.. allo spazialismo.. all’informale.. per cui io credo che allora siano stati intesi in questo senso,.. come

dire… come derivazione fotografica di un lavoro che poteva avere echi spazialisti, ma secondo me non è il

caso.. insomma..

L.P. - Non era quella la tua intenzione , come sarà poi evidente in altri tuoi lavori successivi.

F.S. - Mi piacciono queste foto qua.. (1991)

perché ho collocato i fotogrammi dentro ad un edificio che prima era stato uno studio collettivo con altri

miei amici ..e che a un certo punto è stato distrutto, ..ecco.. io credo che qui , magari nella sua ingenuità,…

però dentro c’è l’idea che il materiale fotografico è un “precipitato”, cioè un qualcosa che viene dopo una

caduta.. in questo caso viene dopo una storia, una storia forte dei materiali, ecco, ..io credo che la scelta,

oppure una delle ragioni forti per cui lavoro con la fotografia, con il materiale fotografico, è questa, cioè mi

sembra che possa rappresentare una verità simbolica forte nel contemporaneo.. proprio perché lo intendo

come “ precipitato storico” .

L.P. - Trovo che questa definizione sia bellissima, l’ho anche già citata nelle scorse serate perché è proprio

rappresentativa, difficilmente si usano questi termini nel parlare di fotografia.. quindi tu dici un precipitato

storico, un precipitato di realtà..

F.S. - Si , ..ma anche un precipitato degli altri materiali, come dire.. cioè non possiamo affidarci ad un

materiale che ha una valenza simbolica forte.. penso alle lamiere per Kounellis, al grasso per Beujs.., cioè

dentro a quei materiali là c’era una valenza simbolica forte, cioè rappresentavano una ideologia o un valore

simbolico importante.. ecco, io credo che il valore simbolico importante possa essere quello che c’è dentro

al materiale fotografico, proprio perché è una materia, io lo considero un materiale, dunque una

corporeità, una fisicità, che viene dopo i materiali, che è legata sì alle immagini, dunque all’era delle

immagini, però è, si porta dietro, la memoria dei materiali,.. in questo senso, per me una fotografia è anche

una memoria dei materiali, non solamente un fatto iconografico, narrativo o documentativo, ..è questo

“precipitato” .

L.P. - Si , questa definizione spazza via , anche ,un po’ quella visione autoriale classica, perchè nel momento

in cui tu dici che una fotografia è un precipitato di realtà ..evidentemente è la realtà che precipita da sola..

sulla materia fotografica, quasi in assenza o quasi, ovviamente non si può mai dire in assoluto in assenza

dell’autore.. però comunque dove la tua figura autoriale viene ridimensionata o comunque modificata

rispetto alla concezione classica..

F.S. - Si.. è un fenomeno..

L.P. - Un fenomeno che prescinde anche al tuo intervento…

F.S. - Si,.. ma noi lo usiamo in maniera dialettica…

Questa è la foto del mio studio, nel ‘91 , e ci sono fotogrammi,.. materiali.. quello al centro è un volume un

po’ a cubo.. di vetro affumicato all’interno in modo tale che diventasse specchiante, …

Questi sono altri lavori dove ho attaccato delle foto di sculture, molto solarizzate, quasi in via di scomparsa

diciamo, sopra a delle casse, delle casse di legno, aggettanti dal muro ..e il titolo del lavoro è

“ingombro”(1990) ..

Ecco questo altro è un lavoro (del ’95) che considero importante, ed è, diciamo così, uno dei miei primi

lavori dove allo spettatore viene chiesto di compiere un gesto, in questo caso il gesto è quello di sollevare il

proprio corpo, il titolo del lavoro è “sollevare gli occhi”,

e non è altro che un dispositivo, una specie di carrucola, chiamiamola così, tramite la quale lo spettatore

solleva il suo punto di vista, ..l’idea era quella di far collegare in questa, chiamiamola ginnastica, la visione

allo sforzo fisico, cioè sollevare gli occhi vuol dire sostenere con le mani il proprio sguardo, il proprio

sguardo che cambia il punto di vista sollevando il peso, il corpo ..e dunque avendo in mano il peso del

proprio corpo, avendo in mano il peso di questo punto di vista più alto, ecco.. è un lavoro che ha a che fare

sì con la fisicità, con la visione, con l’immagine, però da un punto di vista interno, cioè lo spettatore

percepisce questa idea di immagine collegata al peso dall’interno, cioè, non è che noi la vediamo, la vede

lui e la sente lui mentre la fa, ecco.. questo è importante perché mi interessa questa visione interna, ad

esempio, ..questa percezione del lavoro… far riflettere lo spettatore sul suo punto di vista, sul suo

sostenimento del corpo e del punto di vista.. dall’interno.

L.P. - e qui la fotografia non c’è, ma c’è semplicemente come atteggiamento…non c’è nemmeno come

materiale..

F.S. - ..esatto, questa foto, questa immagine che vedete è solo una documentazione, questo è un lavoro che

non ha immagine, non è altro che ... il senso di questo lavoro viene percepito nel momento in cui lo

spettatore solleva il proprio sguardo.

L.P. - un’immagine che l’ha vista solo chi ha partecipato a questa cosa ..e soprattutto in questo lavoro, mi

sembra di capire che interviene un altro elemento che è quello appunto della partecipazione.., che fino

adesso non era così esibito e che poi lo sarà anche nei lavori successivi.. quindi tu ci tieni ad instaurare un

rapporto di partecipazione ..

F.S. - si.. mi piace far riflettere sullo sguardo in questo modo, cioè qui il lavoro serve a far riflettere lo

sguardo, .. chi guarda o ha un esempio di sguardo da parte dell’autore oppure pensa al suo sguardo .. ecco,

in questo caso è il suo sguardo che lavora, lo sguardo proprio dello spettatore che lavora.

Questi sono dei fotogrammi del 2001, (“Fotogrammi-scultura” )

e sono un po’ lo sviluppo, la prosecuzione di principi dei lavori che avete visto prima.. e sono questi grandi

fotogrammi, sono delle immagini ottenute strappando la parte alta dei fogli e piegando su se stesso il foglio

stesso, dunque una semplice, una piccola scala di grigi, generata da una piega e da un bordo strappato. Qui

sono importanti le dimensioni perchè sono 4 metri x 3, 5 , altri 6.5 x 3.5, ecc. ,.. qui il materiale fotografico

ha una presenza e una invadenza nello spazio di tipo .., chiamiamolo scultoreo, e qui il materiale

fotografico, della fotografia, il nero fotografico, viene mostrato in maniera così eclatante… Poi le forme

ricordano dei paesaggi evidentemente, perchè basta fare una linea orizzontale, uno strappo orizzontale e

subito diviene un orizzonte, un paesaggio,... però non è questo il tema del lavoro, il tema del lavoro è il

fatto che, casomai, il materiale fotografico per quanto astratto è figurativo, nel senso che proprio perchè

noi ne abbiamo, come dire,.. una cultura di tipo figurativo e anche il tipo di materiale è collegato alla nostra

cultura della fotografia che è quella figurativa.. , subito diviene figura, ecco … e poi l’idea di questo tipo di

lavori era anche quella di usare il materiale fotografico considerando che in qualche modo è un nero,.. un

materiale,.. che non ha superficie, ma è un deposito continuo di un determinato tempo, e dunque non è

una cosa (.. una pittura), come dire, un colore che noi diamo sopra ad una superficie, ma è un deposito di

un tempo, ..e per cui questo fatto mi piaceva che diventasse anche uno degli elementi di questa specie di

scultura.

L.P. - Si , quindi la dimensione temporale che comunque solitamente si associa alla fotografia, in questo

caso poi esce in una forma completamente diversa, come stratificazione , come raccolta, sedimentazione,..

F.S. - ..Si , come identità di quel nero.., come identità di quel materiale.

L.P. - anche dal punto di vista dell’allestimento comunque giochi molto sullo spazio, non solo l’opera di per

sè risente della spazialità ma poi, si vede anche in queste fotografie di allestimento che respira molto

all’interno di un ambiente, di un altro ambiente, ..

F.S. - si, come dicevo prima, mi piace che il lavoro crei una situazione, un coinvolgimento, dunque.. essere

dentro a quella situazione,.. e le dimensioni servono a questo, non per gigantismo o monumentalismo, non

c’è niente di monumentale secondo me, è un fatto invece di coinvolgimento sensoriale casomai, fisico..

L.P. - Un elemento che abbiamo toccato anche nelle scorse serate , che trovo molto interessante perché nel

tuo lavoro è molto evidente, è, come dire, un discorso di scoperta, che sembra favorito dal linguaggio

fotografico, cioè tu non ci mostri con il materiale fotografico qualcosa che già il nostro occhio vede,

normalmente,.. solitamente la fotografia fa questo, … replica la mia visione retinica…., tu invece ci mostri

qualcosa di diverso, cioè noi scopriamo qualcosa attraverso queste immagini..

F.S. - Si, mi piace usare l’idea che il lavoro deve innescare dei piccoli fenomeni di senso, nel senso che

scopre, appunto, come dici tu, e fa scoprire dei fenomeni di senso.. dei fenomeni, cioè qualcosa che si

danno completamente..

L.P. - Qualcosa che avviene comunque, di cui noi però non abbiamo l’esperienza ottica.. ma una

strumentazione come quella del materiale fotografico, cosi.. in assenza della macchina fotografica.. invece

ci può restituire…

F.S. - Si!

Questo è un altro “ferro-ombra” ,

io li chiamo così, un lavoro che avevo rifatto, dopo quelli di prima.., mi piaceva associarlo in questa

installazione con i fotogrammi, ….questo è un grande angolo ,

un lavoro che è di 10 metri, di strisce di carta fotosensibile, alto 3 metri, ..è il discorso che facevo prima,

cioè questo mostrare quel tipo di materiale li fino a farlo diventare ambiente .. una situazione..

Questo è un altro lavoro a cui tengo molto (“io”, 2003),

e che mi ha permesso di indicare un’idea di tridimensionalità che può avere l’impronta fotografica,.. questo

qui è,.. non è altro che il mio corpo, fotogrammato ,.. nel senso che è proiettato sulla carta fotografica stesa

a terra, tramite una luce posta esattamente sullo zenit della mia testa, .. e quello che vedete, ..l’alone

chiaro attorno, è il profilo della schiena e della testa, le macchie più chiare al centro sono i piedi che

toccano la superficie della carta fotografica, ecco… mi piaceva rappresentare la figura umana in quel modo

lì, cioè da un punto di vista zenitale, verticale, e dunque mostrarla .... precipitata, mostrarla dentro alla

spazialità sua propria del materiale fotosensibile.

L.P. - È qualcosa che ti attraversa, sembra quasi una radiografia , in un certo senso,..

F.S. - Si, in realtà quelle differenze tonali lì son dovute al fatto che dove la carta è completamente coperta,

cioè sotto ai piedi, rimane appunto protetta, bianca, e dove invece è nera riceve completamente la luce, i

grigi sono le rifrazioni dello spazio che fa entrare luce anche dentro l’ombra, ma questa articolazione di grigi

comunque da un’idea di profondità pur nella riduzione al piano del fotogramma .., ecco , per cui lo trovo

interessante, o per me è stato un lavoro importante, perché mi ha dato la possibilità di poter dire meglio

l’idea di plasticità che può avere l’impronta diretta .

L.P. - E questa è la grande differenza sostanzialmente poi tra il tuo lavoro e quella che sono gli esperimenti

off-camera noti già alla storia della fotografia, insomma, questa dimensione non di silouette, non di pura

impronta, ma di registrazione di spazialità, che mancava, diciamo, alla sperimentazione già compiuta dalla

storia della fotografia, dagli inizi ma anche in seconda battuta intorno agli anni 40 50 del secolo scorso.

F.S. - … o almeno viene indicata in maniera più precisa.., insomma viene indicata….Perché se noi guardiamo

un fotogramma di Moholy Nagj , vediamo delle forme, ..tridimensionali, o che hanno comunque un che di

tridimensionale, anche in Man Ray, ..però mi piaceva indicare espressamente questo tema,.. dello spazio,

tramite anche il corpo, il corpo umano,.. dandone un’idea, dandone una rappresentazione appunto che non

è quella solita della silouette, ma è quella invece della verticalità, e dunque della presenza, dello stare nello

spazio, e questo è un fatto che appartiene alla scultura.. è un fatto plastico,.. di presenza.

L.P. - Si quella plasticità che come dici tu si nota nei lavori più storici come quelli è una plasticità che

comunque, concedimi il termine è “da tavolo” in un certo senso, dove si ci sono degli oggetti tridimensionali,

che però vengono registrati comunque su una superficie limitata, nel tuo caso invece ce proprio un

coinvolgimento ambientale.

F S. - Si… Quello successivo a questi qui, sono dei fotogrammi (“Stanze”, 2003-2008),

questa volta, rispetto a quelli che avete visto finora, che sono comunque dei fotogrammi classici cioè dove

la parte emulsionata della carta fotosensibile è rivolta verso la fonte luminosa, in questo caso invece sono

dei rilevamenti di ambienti, di stanze d’abitazione, realizzati stendendo la carta sul pavimento, però

rovescia, cioè con la parte emulsionata fotosensibile a contatto diretto del pavimento, questo permette

una rappresentazione dello spazio nelle due direzioni, ..della gravità, che sta sopra, e della rifrazione, che

sta sotto, e, in qualche modo, è una possibilità appunto di rappresentare la spazialità tramite un principio

che non è più quello dello schermo dove si deposita una proiezione o una impronta, ma è quello della

sezione, cioè il foglio fotosensibile diventa una sezione dello spazio, …come un elemento fotosensibile,

come una retina doppia che rileva lo spazio sia da sopra che da sotto contemporaneamente, e questo è una

possibilità di oltrepassare i limiti di quella rappresentazione li.

Ad es . ..Questo qui è un frammento di corridoio,

i bianchi che vedete sono i muri divisori tra due stanze, i fasci che vedete sono le luci che arrivano dalle

diverse stanze, quegli aloni che vedete sono io che corro da una stanza all’altra ad accendere e spegnere le

luci, e sotto vedete il pavimento, la trama delle mattonelle… Ecco, per cui si rileva il sotto e il sopra

contemporaneamente e la fotografia è questa sezione che taglia i muri, diciamo così, o che viene tagliata

dai muri , in questo caso.

Qui.. sono io in bagno, la luce sopra la testa,… il pavimento sotto che concentra, che si concentra sul foglio

fotosensibile .

L.P. - Provo soltanto un attimo a riassumere a scanso di equivoci quella che è la tua tecnica, allora tu entri

in un luogo, la stanza , srotoli la carta fotografica ..

F.S. -...prima c’è il lavoro di oscuramento , si oscura la stanza in modo che diventi come una camera oscura ,

e poi svolgo i fogli in modo tale da ricoprire tutto il pavimento, e poi, a volte riposiziono i mobili, a volte

no, comunque, ripeto, i fogli sono svolti con la parte fotosensibile, con l’emulsione verso il pavimento,

dunque ricevono per proiezione le ombre dei tavoli o degli oggetti dal retro, dal dorso della carta , e per

rifrazione quello che sta sotto, ecco , è, come dire , un principio tecnico, però mi permette di indicare, di

indicare un punto di vista, che poi è il punto di vista della carta , non è neanche il mio punto di vista..

L.P. - Ecco questa è la cosa interessante che accennavamo anche prima, cioè non è più il punto di vista

dell’autore, ma è il punto di vista della carta, il punto di vista del pavimento stesso.. anche..

F.S. - Si.. della materia fotosensibile, di quel foglio fotosensibile che diviene occhio indagatore, occhio che

guarda sopra e sotto, che rileva, che raccoglie, appunto, le due direzioni ..

L.P. - La fonte di luce rimane quella della stanza stessa..

F.S. - La fonte di luce sono le lampadine che ci sono ..

L.P. - Che sono già preesistenti..

F.S. - Chiaramente se una stanza ha quattro lampadari ne uso uno..

L.P. - Certo..

F.S. - Però non è che io direziono, compongo ..

L.P. - La luce cade dall’alto , attraversa la carta, rimbalza sul pavimento, registra , come qua si vede molto

bene, quella che è la texture del pavimento stesso, per poi ritornare su e registrare anche poi tutta la

spazialità ..o in questo caso il tuo corpo..

F.S. - Si.. quello che è interessante è che, per quanto poco, la carta, che tocca evidentemente 1 : 1 il

pavimento ….però registra anche la lontananza, è questo che è interessante, dunque diviene quello che

dicevo prima, l’idea del precipitato dello spazio.. come se veramente lo spazio, il volume della stanza

..precipitasse, ..e questo, per me è scultura.. nel senso che è un principio plastico, non è solamente un fatto

legato all’immagine, .. è qualcosa che ha a che fare con lo spazio, con la materia, e dunque una specie di

forma scultorea .

Questi sono altri…. Questo è un particolare.. dove si vede.. il bianco è dove l’oggetto tocca il foglio, i grigi

sono le lontananze delle cose da quel foglio lì..

L.P. - Anche , diciamo la dimensione prospettica,.. anche questo è un punto interessante.., che solitamente

contraddistingue la percezione ottica , qui viene meno o comunque si moltiplica..

F.S. - Be’… c’è la prospettiva della fonte luminosa, … le rifrazioni e le impronte degli oggetti seguono la

direzione della fonte luminosa, …se vogliamo è una prospettiva, si, ma non è la prospettiva del nostro

occhio, è la prospettiva dell’occhio della carta ..

L.P. - Una prospettiva centrale..

F.S. - Dipende .. da quante fonti luminose si utilizzano..

Sono molto grandi, …questo qui ad esempio è il soggiorno di casa mia, e sono circa 8 metri x 5… , hanno

dimensioni in scala 1:1, e dunque quando le mostro hanno il loro ingombro, e si adagiano sul luogo cosi

come possono starci.. ,

questo è un intero appartamento (2006),

il mio appartamento, dove avevo prima lo studio,… e se guardate la prima stanza a sinistra, quell’alone che

vedete, è il bulbo della lampadina che era quasi sul soffitto, dunque è interessante come c’è questa

profondità pur nella bidimensionalità del foglio..

L.P. - Una scansione.. quasi , dello spazio, che arriva anche nel punto più alto, insomma.. il più lontano dalla

fonte..

F.S. - ..e nello stesso tempo nella direzione opposta.

L.P. - Le parti bianche in questo caso sono i perimetri..

F.S. - ..sono i muri divisori, con le porte che si aprono.

L.P. - Parlavamo proprio l’altra sera nell’incontro inaugurale, …ci ponevamo delle domande , anche

assurde.. una di queste era ..ma chi l’ha detto che una fotografia debba essere una versione rimpicciolita

della realtà? .. ecco tu neghi perfettamente, ci offri subito una risposta di questo perchè.. la tua fotografia

rimane esattamente nella stessa scala della realtà stessa ..

F.S. - Si , mi interessa l’1 a 1, cioè il fatto della presenza 1 a 1 ..con l’immagine,

ecco, per cui quell’appartamento lì… dopo l’ho esposto in una galleria e appunto là si articola nella nuova

situazione espositiva, si appoggia ai muri… trovo interessante che questo 1 a 1 sia anche questo confronto

tra questi due spazi che si evidenziano a vicenda ..diciamo,

L.P. - Questa caduta dell’immagine, in questo caso nel senso di allestimento, è dovuta ad un limite dello

spazio che non la conteneva diciamo verticale e oppure è una cosa che comunque ti piace, anche al di là ..

F.S. - mi piace che ci sia, che avvenga, non è che per forza il risultato finale deve stare sulla parete.. essendo

un luogo trasportato in un altro luogo avrà il suo ingombro e si confronterà con quel luogo lì, appunto

sconfinando, anche sul pavimento in questo caso…

..questa è una stanza (2008) che ho fatto su commissione, questa era una abitazione che aveva una

veneziana,

dunque è molto bella da punto di vista tonale, ha dei giochi di grigio…

L.P. - Questo elemento, appunto proprio della commissione può essere interessante, un lavoro di questo

tipo che ragiona sullo spazio può far venire anche questa esigenza da parte di una committenza diversa che

può essere interessata a una impronta del proprio ambiente, ..

F.S. - si … questo lavoro è stato esposto nella stessa stanza fotogrammata, dunque era pensato anche sul

fatto che comunque c’era un confronto diretto, un confronto in questo caso gemellare…, sul posto..

L.P. - si offre una possibilità di verificare, ..di una verifica, di confrontare quello che è stato registrato da

quello che è percepito da noi.

F.S. - Questa è una stanza, …è sempre la stessa stanza con due impressioni che sono state fatte

semplicemente variando il tempo, cioè nella prima ci sono 12 secondi, nell’altra ce ne sono 8, volevo

mostrarne 2 della stessa solo per mostrare che poi il risultato è anche relativo, non è che ci sia una buona

forma finale., può essere più scuro o più chiaro, in realtà io mostro un tempo e posso mostrarne anche un

altro tempo, posso mostrare una soluzione, ma posso mostrarne anche un’altra quello che è importante è il

calco di quello spazio-tempo lì, con la tonalità che assume,

L.P. - potrebbero essere due registrazioni diverse, non è più importante essere esposta meno, esposta

male…

F.S. - si

L.P. - Una pura curiosità,… per quello che riguarda il tempo di esposizione tu parlavi di qualche secondo ,

ma.. è una abilità che hai acquisito, quella di percepire quale può essere la durata di esposizione?

F.S. - Non ho mai .. diciamo che ho escluso i neri, quelli troppo scuri e quelli troppo deboli troppo chiari.. e

ho tenuto quelli in mezzo, ma questa scelta è sempre stata molto intuitiva, non sono mai stato lì a misurare

con esposimetri.., decido in base al tipo di luce che c’è, al tipo di materiale.. una scelta fatta in base

all’esperienza,… ma non c’è comunque una soluzione privilegiata, non mi interessa quando si eccede in

effettismi, o quando è troppo scarica, diciamo così.... mi interessa che sia descritto il luogo, che si veda, ma

può essere appunto più chiaro e più scuro,… il tempo è intuitivo, non è troppo determinato..

L.P. - una provinatura, visto l’uso copioso dei materiali ? immagino di si…

F.S. – si.. ho fatto provinature qualche volta , ma anche i provini sono sempre relativi , ..perchè è piccolo e

cambia l’incidenza della massa di luce… se c’è il bianco del resto della carta cambia la situazione di luce….

Anche la carta stessa influenza la condizione..

…questi sono dei lavori abbastanza recenti (“Fotogrammi”2014) ,

è ancora in corso una mostra nella mia città d’origine che è Valdagno, … dove ho fatto delle impronte

dentro a degli edifici storici che conservano nei pavimenti delle tracce del regime fascista.. questa qui per

es. è l’ex casa del fascio, attuale ufficio imposte, ..quello che mi interessava è come poi i muri sono stati

costruiti sopra, indifferentemente anche a questi simboli ….sia nell’ufficio imposte, dove sotto al tavolo

dell’ufficio c’è questa immagine dell’Italia fascista e anche quello successivo,.. questo è il pavimento di un

atrio di una scuola media e in questa scuola media ci sono questi segni forti di quel periodo che, come dire,

sono stati .. ci hanno costruito sopra,.. ad es. le bandiere dell’Italia, te le ritrovi nell’antibagno, o il fascio

littorio lo trovi che spunta fuori da sotto le scale,.. anche questa indifferenza rispetto a questi segni che

comunque sono lì, …ogni giorno, per cui questa è una chiave non più da appartamento, di quel lavoro lì, ma

legato invece a un edificio pubblico e ad una memoria civile di quella città....

L.P. - in questo caso non hai sentito l’esigenza di registrare una spazialità dell’ambiente, ma ti interessava

proprio la superficie del pavimento…

F.S. - si… solo la superficie… l’unico elemento che giocava era il ritaglio dei muri, questi muri che sono stati

costruiti sopra dopo, indifferentemente a quello che c’era prima, giustamente magari.. forse

L.P. - una domanda che ti ho già fatto privatamente, ma che credo possa essere interessante anche

condividere con il pubblico e che credo possa sorgere anche spontanea dopo aver visto una buona dose di

materiale è perché bianco e nero, e solo bianco e nero?

F.S. - Si. ..Perché credo che il bianco e nero contenga già.. o meglio indichi in maniera più precisa una

problematica plastica. Probabilmente se ci fosse il colore ci sarebbe un cromatismo e un’espressività di

quel cromatismo che forse porterebbe fuori, secondo me, dall’intenzione plastica che ha il mio lavoro.

L.P. - cioè hai paura di ricadere in una dimensione estetizzante che ti è completamente estranea.

F.S. - Si, ..dirò che non l’ho mai provato,… istintivamente lo sento come una cosa in più, ecco … ho visto dei

fotogrammi fatti da altri con la carta colore, e assumono colori molto vari ..imprevedibili.. trovo in più

questa faccenda, per il momento non ne sento l’esigenza, credo che il bianco e nero sia più adatto a questa

questione di riduzione che poi mi interessa, … anche.

L.P. - È interessante questa scelta, insomma, radicale , anche difficile credo da sostenere, perché

effettivamente una parte del tuo lavoro che io apprezzo molto è proprio questo disinteresse per tutta quella

dimensione estetica un po’ leziosa, un po’ che strizza l’occhio al mercato, che invece nel tuo caso è

completamente estranea , sei proprio focalizzato sulla tua ricerca, solo su quello, cosa rarissima .

F.S. - Questo è un lavoro invece , il cui titolo è “Incarnato” (2005),..

e si tratta di un foglio di carta fotosensibile, vergine, che riceve una videoproiezione di un ritorno a casa

fatto in macchina, è un filmato che riprende dall’auto, dal mio punto di vista mentre guido, la strada verso

casa. Comunque, aldilà del tema del filmato, c’era il tema del paesaggio portato all’interno di una galleria .

Questa è la galleria Neon di Bologna dove ho fatto questa mostra nel 2006 dal titolo “Fotosensibilità”, e

appunto, nel muro che divide la galleria ho installato questo grande foglio di carta fotografica vergine in

situazione di camera oscura ;.. nel momento in cui la mostra è estata aperta al pubblico ha cominciato ad

impressionarsi,…e dove viene colpita dal filmato, evidentemente , si forma un’impronta più scura, e il resto

del foglio, il resto della parete, ..perché l’idea era quella di rendere fotosensibile una parete, e dunque un

interno,.. con l’andare dei giorni, diviene sempre più scura, ..e la cosa curiosa della carta fotografica in

bianco e nero è che da ..bianca. ..se esposta alla luce, non diventa grigia, ma diventa.. assume colori della

pelle .. ..diviene prima rosa, ocra, poi un po’ più scura …vinaccia, e prosegue, così all’infinito, perché non si

ferma mai, …e appunto mi piaceva la corrispondenza tra l’ossidazione, chiamiamola così, tra l’impressione

della carta esposta alla luce naturale e la pelle, ..dunque ho messo il titolo “Incarnato”, ma che sta anche

per compenetrazione del foglio con lo spazio, ..e col tempo. Questo è il foglio dopo 15 giorni, ad es. ,

.. ed ha questa abbronzatura, chiamiamola così, …e dove viene proiettato il film è sempre un po’ più scura..

perché c’è un accumulo maggiore di luce evidentemente... Appunto c’era questo lavoro sulla narrazione,

questo ricordo del viaggio nel paesaggio che viene portato all’interno della galleria, e la galleria stessa e le

cose che succedono in galleria impressionano questa superficie fotosensibile che diviene appunto scultura,

che diviene una somma di immagini latenti,…una materia fatta di latenza .

L.P. - Il concetto di storia di cui accennavi prima, ha registrato la storia di quel tempo, di quell’esposizione,

..il passaggio delle persone..

F.S. - E che è in continuo divenire, non è fissata qui la carta, cioè la carta è lasciata andare e non viene

fissata.

L.P. - Ma questo anche dopo la fine dell’esposizione?

F.S. - Anche dopo la fine dell’esposizione, sì, certo, se la arrotolo e la metto al buio si ferma, però non viene

fissata, ..io ho delle carte che hanno anche qualche anno e se tu le esponi alla luce e gli lasci sopra un

oggetto per un pò di tempo, vedi che è viva, oscilla, un po’ come un ferro arrugginito che continua

inesorabilmente a procedere.. e appunto è un materiale fotosensibile, mi piaceva che l’immagine fosse il

materiale fotosensibile, prima di tutto.

questo è un intervento che ho fatto a Reggio Emilia nel 2009 (Fotografia Europea), e qui il titolo è

“Panoramica”.

Il principio è simile all’altro, solo che in questo caso il proiettore non è fermo, ma ruota continuamente su

se stesso riproducendo il movimento di una ripresa che io avevo fatto, appunto una panoramica, sul paese,

sulla periferia del paese dove vivo, insomma vicino a dove vivo, …e quello che è interessante è che se la

videocamera “raccoglie”, nel momento della ripresa, raccoglie il paesaggio, ..in questo caso la

videoproiezione restituiva il paesaggio, lo “svolgeva”, per cui sul foglio fotosensibile a parete si ricrea un

paesaggio ulteriore, come dire.. sbobinare un paesaggio che noi abbiamo catturato e avvolto nel momento

della ripresa.. Qui veniva ripetuto in loop e si ripeteva questo brano anche fuori registro.. dunque con

l’andare del tempo poi queste impronte non mostravano più la fisionomia del paesaggio ma diventavano

una traccia continua, un orizzonte molto semplice..

..altri lavori invece, sono fatti sviluppando la carta mediante un lavoro… non di vasca…ma di scansione…

sviluppando quello svolgimento del paesaggio. Questi sono degli ambienti, il titolo è “Officine”(2012),

perché sono ambienti di lavoro, magazzini che cambiano continuamente col lavoro dell’uomo .. sono stati

ripresi per un’ora da questa videocamera rotante e proiettati su un foglio fotosensibile-- e l’immagine

risultante di questo svolgimento del “paesaggio” è proprio questa .. questa immagine un po’ fuori registro

che non è altro che l’accumulo di questo tempo lungo che ha ripreso per un’ora quel luogo.. vengono

esposti cosi ad angolo proprio perchè l’impronta di quella proiezione l’ho presa sull’angolo…

Questo altro lavoro si chiama “Ingombrocavo” (2010)

ed è un lavoro sulla stratificazione del tempo rappresentata materialmente, ancora dal materiale

fotografico. E’ composto da un filtro/dispositivo che non è altro che una serie di scatole di cartone una

dentro l’altra a formare un filtro, ..(una specie di omaggio a Lo Savio....), e sul fondo di quel filtro,

chiamiamolo così, viene posto il foglio fotosensibile, ..che viene lasciato ad impressionarsi per un giorno,

intero. Poi questo foglio, non fissato, viene estratto,….e coperto, protetto, messo impilato, ... in una pila di

cartoni …in questo caso quella più bassa…, ogni foglio contiene un giorno.. e così via per tutta la durata

della mostra. La pila più grande contiene la carta vergine, la pila più piccola contiene i giorni ,.. e il lavoro

non è altro che una rappresentazione del deposito dei giorni e della loro sussistenza materica sotto forma

di carta fotografica ..

L.P. - Quello che tu chiami filtro a tutti gli effetti diventa una macchina fotografica..

F.S. - Si. Però non ha l’otturatore, ma è un filtro perché tra le fessure di quelle varie scatole passa un po’ di

luce e mi piace l’idea della stratificazione di più scatole, di più perimetri.. come dire.. è un perimetro

relativo anche questo,…potrebbe continuare…, non è detto che debba avere quello spessore lì per forza..

può essere più piccolo o più grande..

L.P. - Quindi contiene quegli elementi di cui abbiamo già parlato, il tempo che diviene evidente per forza di

cose..

F.S. - Si questa qui è una specie di,.. chiamiamola clessidra, di accumulo, cambia solamente in altezza ..

dall’esterno non cambia quasi niente, ..cambia la nostra connotazione di quel volume lì, sappiamo che

dentro ad un volume c’è carta vergine e dentro ad un altro volume ci sono i giorni.. registrati, per cui è

anche un fatto psicologico che ci rapporta in maniera diversa a quel volume lì..

L.P. - Però diciamo che il pubblico non può vedere l’immagine, può solo percepire dall’esterno il suo volume,

il suo farsi scultura..

F.S. - Si , ma anche si può verificare che effettivamente ci sono dei giorni, che però vanno conservati,

vengono protetti dalla luce per che sono non fissati, …questo è uno ad es. , e che sono tutti diversi perchè

le condizioni di luce cambiano ogni giorno ovviamente.

Questo è un altro lavoro , dal titolo “Garage” (2010)

e non è altro che un dispositivo, e un processo, ..un dispositivo che prevede il lavoro del pubblico e produce

degli “autoritratti di tempi lunghi”, li ho chiamati così, ..che non sono altro che delle fotografie, solo che

queste fotografie non sono fatte con la macchina fotografica, ma sono fatte grazie alla impressione su carta

fotosensibile di una videoripresa. Al centro del Garage è installata una videocamera e un videproiettore , la

videocamera riprende la persona che si affaccia a questo luogo e si proietta la sua immagine sullo sfondo di

quel luogo lì … e lo spettatore si vede ed ha una specie di colloquio a tu per tu con la propria immagine,

con il proprio sdoppiamento, perché poi l’immagine non è speculare, ma è esattamente uno sdoppiamento,

.. cioè non come nello specchio che destra e sinistra si invertono, ma in questo caso è come se noi ci

vedessimo da fuori, ..questo è un dispositivo che fa sì che la persona che si vede abbia questo suo

sdoppiamento, ..solo che sotto a quella proiezione c’è un foglio di carta fotosensibile che continua ad

impressionarsi, …e però, perché si impressioni in maniera precisa ed efficace, servono almeno 20 minuti di

stasi, cioè la persona deve stare lì almeno 20 minuti ferma,.. e in questo lavoro di dover star fermi .. mi

interessava appunto questo fatto che lo spettatore o meglio dire l’autore dell’autoritratto, deve star fermo

di fronte alla sua immagine, ..si vede, ma deve anche star fermo, per cui deve controllare il proprio corpo e

controllare la sua immagine da dentro, mi piaceva questa costruzione interna, questa percezione interna,

prolungata, ..che va a finire col condizionare anche la parte retinica, cioè quello che .. l’immagine che lui

vede.. è condizionata dallo sforzo che lui sta facendo, ..e per cui c’è una doppia concentrazione, c’è una

doppia partecipazione, l’una visiva, l’immagine, l’altra interna, sensoriale.

Ecco, mi piaceva che nell’immagine finale, perché poi c’è un’immagine finale che si produce, ci fosse questo

atteggiamento, ..questo procedimento.

Ecco, diverse persone che stanno li, un artista (Danilo Balestro) si è portato una pietra, ad es. , ed è stato di

fronte alla sua immagine con la pietra in mano, per cui ha fatto un lavoro molto intenso su questa idea

dello sforzo, e della volontà..

L.P. - sì , qui la componente partecipativa e di relazione è fortissima, effettivamente e può far scaturire da

parte del partecipante una sorta di micro azione performativa , autonoma..

F.S. – sì, mi piace che ci sia questo lavoro sulla volontà, ad es. , perchè per fare l’immagine c’è la necessità

di questa volontà.. bisogna star lì 20 minuti.. e dunque bisogna costruirla,.. e bisogna parteciparci in

maniera ..appunto con una volontà.. come dire.. un’intenzione costruttiva, plastica, ..ecco, questo mi

interessava…, non è un fatto masochistico oppure sadico di far star lì le persone perché devono ..che ne so..

esperire.. no.. è anche un’idea di volontà di formalizzare.

L.P. - un’esperienza

F.S. - si ..un’esperienza, si.. però non è un’esperienza scanzonata, si ..può esserlo anche, ma insomma, è un

atto di intenzione, di decisione, che mi piaceva che ci fosse.

L.P. - questa idea di sostenere il proprio sguardo..

F.S. - si , di sostenere la propria immagine, cioè, come dire, ..il costruirla.

L.P. - sei tu che la costruisci… lo stai facendo tu, tu soggetto diventi colui che costruisce l’immagine stessa..

F.S. - e il supportarla,… cioè il sentirla in quel modo lì insomma…

mi vengono in mente le tantissime forme di autoscatto, gli autoritratti che ci possono essere, ad es. coi

cellulari oggi, quotidiane… in questo caso invece, a parte che non si vede il risultato subito, o meglio si vede

solo la propria proiezione continua.. ci si vede mentre lo si fa, .. ma c’è un lavoro e una durata lunga, e

un’intenzione dicevo prima, ..un’intenzione di provare a formalizzare.. perché tanti falliscono ad esempio..

tanti autoritratti.. non tutti ce la fanno, non tutti riescono, ..perché il tempo è lungo, perché.. il

movimento.. insomma non riescono, ..non è così automatico voglio dire, …ma c’è invece un coinvolgimento

secondo me maggiore proprio perché c’è questo sforzo..

L.P. - mi sentirei di scomodare una figura come quella di Franco Vaccari , per quanto le modalità siano

molto diverse , però insomma immagino che ci possa essere un relazione, questa idea di sostenere il proprio

sguardo di autoprodursi l’immagine, certo qui l’automatismo non è così automatico anzi è piuttosto

impegnativo, però c’è un intento che può essere sovrapponibile..

F.S. - si, io credo che ci sono delle relazioni, ma la differenza credo sia anche questa qua, cioè che forse

questo lavoro sulla costruzione.. è qualcosa di arcaico, qualcosa che ha a che fare appunto con la scultura

secondo me, con la materia e con la volontà .. non è un dispositivo automatico, così automatico, non è che

uno entra e comunque succede qualcosa, come un po’ una piccola giostra, .. o un gioco, ma il tipo di

formalizzazione implica un altro tipo di partecipazione in questo caso..

infatti i risultati .. sono diversi, questo è il negativo che si forma dopo 15- 20 minuti

L.P. - si , giustamente l’immagine è in negativo però dopo tu la vai a ….ribaltare.

F.S. - Ecco.. , a volte, quando ho mostrato questo lavoro, ho mostrato anche il negativo.. perché già il

negativo è un lavoro, è interessante anche, perché ha quei colori lì tra l’altro.. dell’incarnato, e il negativo

l’ho anche esposto subito dopo non fissato e lasciato che coi giorni scomparisse.

L.P. - Quindi hai salvato solo delle riflessioni..

F.S. - In alcuni casi ho salvato il negativo, in alcuni casi ho fatto la controstampa, in alcuni casi il negativo,

esso stesso, proprio come elemento, come forma fotografica, è stato lasciato andare quindi ha continuato il

suo lavoro, ha continuato coi giorni ad assumere luce dunque a spianarsi e scomparire.

Queste sono le controstampe positive,

perché poi per contatto.. faccio il positivo. Ed è interessante il positivo perchè ha questa materia secondo

me curiosa, che è fatta della trama dei pixel della videocamera che finiscono dentro all’emulsione

fotosensibile, e dunque quasi tornano ad essere analogici, ..diciamo, tornano ad essere materici, emulsione

appunto. E dunque, anche se possono sembrare .. cosi.. delle proto fotografie, dei dagherrotipi, ..degli

albori… in realtà sono fatti di una trama particolare che è la cosa interessante, ..che appunto questa

proiezione ha o ritorna ad avere , ..come dire, una sua matericità, ecco.

L.P. - Al contrario di una tecnica originaria che tu utilizzi , lavorando sul principio fotografico degli albori ,

appunto , viene contaminata da un elemento di contemporaneità qual è la trama della proiezione..

F.S. – Si.. e anche se in questo caso forse può identificare bene il senso ..come dire.. organico di quel tipo di

immagine, il senso di identità di quel tipo di immagine, che è un’immagine… materica strutturale, un

po’…mi viene in mente Giacometti, Giacometti lavora sulla figura, “cerca” la figura tramite una riduzione e

gli dà un corpo che è un corpo fatto di sottrazione e di dubbio... che è una materia di riduzione, ma è una

materia,.. in questo senso qui.. questo trovare una materia, tramite questo percorso …

Questo per esempio è un autoritratto, autoritratto non vuol dire che è il mio autoritratto, ma è

l’autoritratto di chi si affaccia a questa porta, …che non è riuscito, c’è comunque un alone, qualcosa, …

Questo è un bimbo e i bimbi non stanno fermi.. ecco poi questa ragazza si è spostata.. ad esempio…

comunque come dicevo prima, c’è la possibilità di interpretare questo luogo, le persone si confrontano con

quel luogo lì in maniera soggettiva , partecipata.

L.P. - Quest’idea della porta aperta comunque è il dialogo anche con l’ambiente dentro cui si trova in quel

momento la persona

F.S. - Si.. la macchina fotografica/garage, ..quel dispositivo lì, è uno spazio, un luogo…c’è un vuoto tra te e

l’immagine e quel vuoto li è comunque un dato sensibile.. quello spazio lì… e poi per forza di cose è una

nicchia d’ombra che deve crearsi, una nicchia, per cui non può essere spalancata , per cui c’è questa porta

che si apre e che illumina la persona .

L.P. - Un autoritratto di gruppo..

F.S. - Si , una classe che è venuta a vedere la mostra e..

Questo è il mio amico che aveva una pietra per cui vedete un alone davanti ai piedi, .. poi l’ha tenuta in

braccio, ..era una pietra proprio grossa, non ce l’ha fatta a tenerla tutto il tempo, ed è curiosa la sua

impronta sospesa, ..magrittiana…

Due compari..

Questo è uno nudo, ed è interessante , ..mi piace molto questa perché da l’idea anche dell’arcaico, mi piace

che questo lavoro produca ..come dire, una riduzione, ma anche un’immagine che è un po’ primitiva se

vogliamo, qualcosa che non è così descrittiva..

Come dicevo prima non è che riescano tutte le foto, è curiosa secondo me questa cosa, che ci sia questo

fallimento..

L.P. - C’è comunque una cosa di cui ancora non abbiamo parlato, una forte componente del caso, la

casualità entra liberamente all’interno del tuo lavoro.. in questo caso c’è una predisposizione.. però il

controllo non c’è..

F.S. - È impossibile il controllo.. però forse c’è più volontà che caso.. qua, mi piace sottolineare di più

l’aspetto della volontà che della casualità, perchè quella è inevitabile, mentre questa decisione di costruire

un’immagine la trovo più significativa .

Questo è un altro lavoro che ha a che fare con quello precedente.. solo che in questo caso non si

producono immagini, .. è una parete fatta di pannelli per stands , con sopra dei resti di pittura da stands

appunto, ha delle tracce.. di pittura, se vogliamo, .. ed è staccata dalla parete della sala espositiva, ..dal

muro, di 30 cm ; 30 cm sarebbe lo spessore del mio corpo e questa parete spostata in avanti è chiusa sul

fondo, dall’altra parte, all’interno c’è sempre un dispositivo come quello che abbiamo visto prima, che

ritrae le persone che si affacciano su quella fessura, il titolo del lavoro è “essereombra”(2012),

…uno per fruire il lavoro deve accostarsi alla parete, va fruito così, il lavoro prevede questo avvicinamento

alla parete e lo spessore del corpo è lo spessore di quell’ombra lì dentro la quale uno può vedersi, per cui

c’è questa identificazione tra spessore, ombra e autoritratto. Un lavoro che avviene su un retro, cioè si

instaura una relazione tra la frontalità della parete, che di solito è il luogo dell’immagine e invece

l’immagine che avviene nel retro, nello spessore, una indicazione di superare quella frontalità, guardando

dentro a quello spessore...

Questo è un altro che si chiama invece “Verticalità”(2013)

dove il principio è simile al precedente però è più improntato sulla percezione oltre che dello spessore, sì,

ma anche del peso, e nel momento in cui noi siamo distesi per terra non abbiamo più la verticalità intesa

come equilibrio, ma abbiamo la verticalità intesa come gravità e in quell’atto lì il nostro sguardo è associato

all’attività del respirare, all’attività del percepire il proprio peso disteso per terra e nient’altro. Quello che

vediamo sotto è la nostra immagine rovesciata, rovesciata !?.., non è rovesciata, ma semplicemente

proiettata e sdoppiata come dev’essere, cioè la destra e sinistra non si invertono ma vengono viste da fuori

dal dispositivo fotografico, ..e la vediamo con la gravità verso l’alto. Mi piaceva, appunto, che l’idea di

gravità e di verticalità, nella fotografia fosse qualcosa di metafisico, in fondo, non è una gravità fisica , ma è

la gravità dell’immagine .

L.P. - Anche in questo caso c’è comunque questa, …al di là dell’immagine che si vede o che si impressiona,

c’è proprio questa, chiamiamola sempre esperienza che ognuno fa con se stesso, perché io ho provato nel

tuo studio quest’opera e ho sentito il mio respiro, ho sentito il mio cuore, cioè ho avuto una percezione di

cose banali che riguardano il mio organismo proprio in virtù di quella posizione che tu mi hai fatto

assumere.

F.S. - Si ..ecco.. questo lavoro, come quello di “sollevare gli occhi”, è proprio giocato su una percezione

interna, sul riflettere da dentro sull’immagine .

L.P. - Parliamo di quest’ultimo la voro che è uno dei più attuali che si è visto anche in alcune esposizioni

recenti..

F.S. - Si.. questo è un lavoro (“Persona”, 2013)

che ha preso spunto da un film di Bergman dallo stesso titolo, “Persona”, nel quale mi ha colpito il fatto che

tutto il film è giocato sul dialogo continuo tra due attrici e c’è un momento in cui c’è questo primo piano

fisso di una delle due attrici che recita un monologo, che racconta una storia, dice qualcosa all’altra, e poi lo

stesso dialogo, lo stesso testo, viene ripetuto però inquadrando l’altra attrice anch’essa sempre in primo

piano da vicino, ..è un lavoro sul volto, sul ritratto insomma e sulla reiterazione di un tempo, lo stesso

tempo, è lo stesso dialogo che viene ripetuto nel film due volte, ma viene detto nella storia una volta, ..

allora ho provato a rappresentare questa idea di stratificazione, di sguardo interno sul tempo, proiettando

questi due episodi distintamente su fogli di carta fotosensibile e poi scansionando l’impronta e facendo

l’inversione digitale e il risultato è stato questo qua, questa è la prima attrice che è quella che ascolta

(Elisabeth), poi la seconda impronta è di quella che parla (Alma). Il ritratto delle protagoniste non era fisso,

ma zoomato per cui una volta era più piccolo una volta più grande e per cui c’era questo avvicinarsi e

allontanarsi,… Nell’impronta, questo fatto delle diverse inquadrature nel corso del tempo si traduceva

come una sorta di profondità dell’immagine, c’è come l’idea del volto vicino, del volto lontano, per cui mi

piaceva che l’andamento “orizzontale” del film, lo scorrimento orizzontale del tempo del film, in questo

caso fosse un tempo verso una direzione di profondità o spessore…. un modo altro di guardare dentro a

questo accumulo, dentro al materiale stesso dell’immagine e a questa dimensione latente della

identificazione tra le due donne.

Infatti nel film i loro volti alla fine del dialogo si fondono solo per un attimo in un’unica faccia. Questo tema

prende forma nella terza immagine, che somma tutta la durata dei due monologhi in un’unica impronta,

più informe o astratta se si preferisce, che è poi la dimensione stessa della latenza … una altra figura

(persona) latente, che si genera dentro a questo materiale.

C’è una considerazione da fare in questo caso rispetto al colore, che è automatico e dunque relativo. Il film

di Bergman è in B/N, proiettato su carta fotosensibile produce un’impronta negativa che assume i colori

dell’incarnato. Anziché fare una stampa a contatto analogica per ottenere il positivo, ho portato in digitale

quell’impronta con lo scanner e cliccato il tasto di inversione.