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F. Ricci Appunti per il corso Analisi Armonica su gruppi di Lie: nozioni fondamentali ed esempi A.A. 2014-15

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F. Ricci

Appunti per il corso

Analisi Armonica su gruppi di Lie:

nozioni fondamentali ed esempi

A.A. 2014-15

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Indice

Capitolo 1. Gruppi localmente compatti 11. Prime proprieta 12. Misure di Haar 33. La funzione modulare 104. Convoluzione di misure e funzioni 135. Identita approssimate 17

Capitolo 2. Elementi di analisi di Fouriersu gruppi abeliani localmente compatti 19

1. Gruppo duale e trasformata di Fourier 192. I teoremi fondamentali sulla trasformata di Fourier 243. Operatori invarianti per traslazioni e sottospazi invarianti di L2(G) 26

Capitolo 3. Elementi di teoria delle rappresentazioni 291. Rappresentazioni di gruppi 292. Rappresentazioni di L1(G) 333. Rappresentazioni unitarie e funzioni di tipo positivo 364. Rappresentazioni irriducibili e funzioni di tipo positivo 39

Capitolo 4. Analisi su gruppi compatti 431. Rappresentazioni irriducibili di gruppi compatti 432. Il teorema di Peter-Weyl 453. Trasformata di Fourier 524. Caratteri e funzioni centrali 555. Analisi di Fourier su SU(2) 57

Capitolo 5. Gruppi e algebre di Lie 631. Gruppi di Lie 632. Algebre di Lie 653. La mappa esponenziale 664. Il gruppo lineare 675. Omomorfismi, automorfismi e sottoalgebre di Lie 686. Strutture analitiche su gruppi di Lie 697. Gruppi con una data algebra di Lie 698. Sottogruppi e sottoalgebre di Lie 719. Esempi significativi 7210. Algebra universale inviluppante 7411. Operatori differenziali invarianti a sinistra su gruppi di Lie 78

Capitolo 6. Rappresentazioni di gruppi e algebre di Lie 811. Vettori C∞ e differenziale di una rappresentazione unitaria 812. Cenni sull’esistenza di analoghi della Proposizione 1.3 84

2.1. Un esempio 84

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4 INDICE

2.1.1. Ω = Rn 842.1.2. Ω = B(0, 1) 85

2.2. Il teorema di Nelson 86

Appendice A. Il teorema di interpolazione di Riesz-Thorin 87

Appendice B. Integrazione di funzioni a valori in spazi di Banach 911. Funzioni misurabili 912. Integrale di Bochner 91

Appendice C. Risoluzione spettrale di operatori autoaggiunti su spazi di Hilbert 951. Spettro e raggio spettrale di un operatore lineare limitato 952. Calcolo funzionale continuo su un operatore autoaggiunto limitato 973. Decomposizione spettrale di un operatore autoaggiunto limitato 994. Operatori non limitati simmetrici e autoaggiunti 1015. Risoluzioni dell’identita e operatori autoaggiunti 1026. Il Teorema di Stone 105

Appendice D. Campi vettoriali, flussi e loro composizione 1071. Varieta differenziabili 1072. Campi vettoriali su varieta differenziabili 1093. Flusso generato da campi vettoriali 1104. La formula di Baker-Campbell-Hausdorff 114

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CAPITOLO 1

Gruppi localmente compatti

1. Prime proprieta

Definizione. Un gruppo topologico e un gruppo G dotato di una topologia tale che l’applicazione (x, y) 7→xy−1 da G×G in G sia continua.

Lemma 1.1. L’applicazione (x, y) 7→ xy−1 da G ×G in G e continua se solo se sono continue le funzioni(x, y) 7→ xy da G×G in G e x 7→ x−1 da G in se.

La dimostrazione e lasciata per esercizio.Introduciamo ora alcune notazioni. Se A,B sono sottoinsiemi di G, poniamo

AB = xy : x ∈ A, y ∈ B .Scriviamo aB e Ba invece di aB e Ba rispettivamente. Se A = B, scriviamo A2 invece di AA.

Poniamo inoltreA−1 = x−1 : x ∈ A .

A si dice simmetrico se A = A−1.Dato a ∈ G, definiamo le applicazioni `a e ra di G in se, dette rispettivamente traslazioni sinistra e

destra per a, come`a(x) = ax , ra(x) = xa−1 .

Cosı definite, esse soddisfano le regole di composizione

`ab = `a`b , rab = rarb .

Lemma 1.2. Sia G un gruppo topologico.

(1) Dato a ∈ G, le applicazioni `a e ra sono omeomorfismi di G in se.(2) Se Uα e un sistema fondamentale di intorni dell’identita e di G, allora, per ogni a ∈ G, aUα,Uαa, aU−1

α , U−1α a, sono sistemi fondamentali di intorni di a.

(3) Dato un intorno U di e, esiste un intorno simmetrico V di e tale che V 2 ⊂ U .

Dimostrazione. (1) `a e la restrizione dell’applicazione prodotto (x, y) 7→ xy ad a × G, compostacon l’immersione naturale di G in a×G. Dunque `a e continua. Poiche `−1

a = `a−1 , `a e un omeomorfismo.Analogamente per ra.

La (2) e conseguenza immediata della (1) e della continuita dell’inversione.(3) Per la continuita dell’applicazione prodotto in (e, e), dato U intorno di e, esiste W intorno di e tale

che W 2 ⊂ U . Se W non e simmetrico, si prenda V = W ∩W−1, che pure e un intorno di e.

Corollario 1.3. Sia G un gruppo topologico.

(1) Se A e aperto, AB e aperto per ogni sottoinsieme B di G.(2) Se A e B sono compatti, anche AB e compatto.(3) Un sottogruppo aperto e anche chiuso.(4) Se H e un sottogruppo di G, anche H e un sottogruppo; se H e normale, anche H e normale.(5) Sia H un sottogruppo di G e sia π : G −→ G/H la proiezione canonica. Se G/H e dotato della

topologia quoziente, π e una funzione aperta.(6) Un sottogruppo H e chiuso se e solo se G/H e T2.

1

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2 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

(7) Se H e un sottogruppo normale, G/H e un gruppo topologico.(8) Sono equivalenti:

• G e di Hausdorff,• G e T0,• e e chiuso.

Dimostrazione. (1) Poiche

AB =⋃b∈B

Ab ,

AB e aperto.La (2) segue dalla continuita dell’applicazione prodotto.(3) Se H e un sottogruppo aperto, allora

cH =⋃x 6∈H

xH

e pure aperto, per cui H e chiuso.(4) Siano x, y ∈ H, e sia U un intorno di xy−1. Per la continuita del prodotto, esistono intorni V,W di

x e y rispettivamente tali che VW−1 ⊂ U . Se x′ ∈ H ∩ V e y′ ∈ H ∩W , allora x′y′−1 ∈ H ∩U . Si conclude

che xy−1 ∈ H.Se H e normale, xHx−1 = H per ogni x ∈ G. Essendo `x, rx omeomorfismi, si ha

xHx−1 = xHx−1 = H .

(5) Sia A aperto in G. Per definizione di topologia quoziente, la sua immagine π(A) e aperta in G/H see solo se π−1

(π(A)

)e aperto in G. Ma π−1

(π(A)

)= AH, che e aperto per il punto (1).

(6) Supponiamo che H sia chiuso, e sia π la proiezione canonica di G su G/H. Siano poi x, y ∈ G taliche π(x) 6= π(y). Allora y 6∈ xH, e dunque e 6∈ xHy−1. Per il Lemma 1.2 (1), xHy−1 e chiuso. Usando ilLemma 1.2 (3), esiste un intorno simmetrico V di e tale che V 2 ∩ xHy−1 = ∅.

Verifichiamo che π(V x) e π(V y) sono disgiunti. Se non lo fossero, esisterebbe z ∈ V xH ∩ V yH, per cuiavremmo v1xh = v2y per qualche v1, v2 ∈ V e h ∈ H. Ma allora sarebbe xhy−1 = v−1

1 v2 ∈ V 2 ∩ xHy−1, ilche e assurdo. Poiche π(V x) e π(V y) sono intorni di π(x) e π(y) rispettivamente, concludiamo che G/H edi Hausdorff.

Viceversa, se G/H e di Hausdorff, il singoletto H e chiuso in G/H, per cui H = π−1(H

)e chiuso

in G.(7) Siano x, y ∈ G e sia U un intorno di π(x)π(y)−1 = π(xy−1) in G/H. Allora π−1(U) e un intorno di

xy−1 in G. Esistono dunque intorni V,W di x, y rispettivamente, tali che VW−1 ⊂ π−1(U). Allora π(V ) eπ(W ) sono intorni di π(x) e π(y) rispettivamente, e si verifica facilmente che π(V )π(W )−1 ⊂ U .

(8) Se G e T0, dati x 6= y in G, uno dei due punti ha un intorno che non contiene l’altro. A meno di unatraslazione, possiamo supporre che x = e e che un suo intorno U non contenga y. Se V 2 ⊂ U , con V intornosimmetrico di e, questo implica che V ∩ yV = ∅. Quindi e e y hanno due intorni disgiunti. Lo stesso valeper una generica coppia di elementi di G. Quindi G e T2. Il resto e ovvio.

Definizione. Un gruppo localmente compatto e un gruppo topologico, di Hausdorff e localmente compatto.

Poiche uno spazio localmente compatto di Hausdorff e anche completamente regolare, vale la seguenteproprieta.

Lemma 1.4. Sia G un gruppo localmente compatto. Dati un compatto K e un suo intorno U , esiste unafunzione continua f su G a valori in [0, 1], tale che f(x) = 1 per x ∈ K e f(x) = 0 per x 6∈ U .

Data una funzione f su G, poniamo

Laf(x) = f `a−1(x) = f(a−1x) , Raf(x) = f ra−1(x) = f(xa) .

Anche qui le definizioni sono date in modo che Lab = LaLb e Rab = RaRb.

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2. MISURE DI HAAR 3

Definizione. Una funzione f su G a valori complessi si dice uniformemente continua a sinistra (risp. adestra) se per ogni ε > 0 esiste un intorno U di e tale che per ogni x ∈ G e ogni h ∈ U risulti

∣∣f(hx)−f(x)∣∣ <

ε (risp.∣∣f(xh)− f(x)

∣∣ < ε).

Si osservi che f e uniformemente continua a sinistra se e solo se

limh→e‖Lhf − f‖∞ = 0 ,

e analogamente per la continuita uniforme a destra.

Lemma 1.5. Se f ∈ C0(G), allora f e uniformemente continua sia a sinistra che a destra.

Questo e un corollario del Teorema di Heine-Cantor, e la dimostrazione e lasciata per esercizio.

2. Misure di Haar

Sia G un gruppo localmente compatto. Se B(G) indica la σ-algebra dei Boreliani di G, e evidente cheAx e xA sono in B(G) per ogni A ∈ B(G) e ogni x ∈ G.

Definizione. Si chiama misura di Haar sinistra (risp. destra) una misura di Radon1 positiva µ su G taleche µ(gA) = µ(A) (risp. tale che µ(Ag) = µ(A)) per ogni A ∈ B(G) e ogni g ∈ G.

La seguente caratterizzazione delle misure di Haar e diretta conseguenza del Teorema di rappresentazionedi Riesz2.

Proposizione 2.1. Una misura di Radon positiva µ su G e una misura di Haar sinistra (risp. destra) se esolo se ˆ

G

f(gx) dµ(x) =

ˆG

f(x) dµ(x) ,(

risp.

ˆG

f(xg) dµ(x) =

ˆG

f(x) dµ(x)),

per ogni f ∈ Cc(G) e ogni g ∈ G.

In altri termini, il cambiamento di variabile x′ = gx comporta che dµ(x′) = dµ(x) se µ e una misura diHaar sinistra, mentre se x′ = xg e µ e una misura di Haar destra, allora dµ(x′) = dµ(x).

Si dice anche che una misura di Haar (per es. sinistra) e invariante per traslazioni sinistre. Non e pernulla evidente che misure di Haar esistano su ogni gruppo localmente compatto.

Teorema 2.2. Ogni gruppo localmente compatto ha una misura di Haar sinistra.

Dimostrazione. Per il Teorema di rappresentazione di Riesz, l’asserto equivale alla esistenza di unfunzionale lineare I su Cc(G) positivo, non nullo e tale che I(Lgf) = I(f) per ogni f ∈ Cc(G) e ogni g ∈ G.

Indichiamo con C+c (G) l’insieme delle funzioni non negative e non identicamente nulle in Cc(G).

Fissata ϕ ∈ C+c (G), poniamo, per f ∈ C+

c (G),

(f : ϕ) = inf∑

j

cj : f ≤∑j

cjLgjϕ,

dove le somme si intendono finite. Si vede facilmente che l’insieme a secondo membro non e mai vuoto, percui (f : ϕ) < +∞. Valgono le seguenti proprieta, la cui verifica e lasciata per esercizio:

(1) (f : ϕ) = (Lgf : ϕ) per ogni g ∈ G;

1Una misura di Borel positiva µ su uno spazio topologico T2 localmente compatto si dice di Radon se

• µ(K) <∞ per ogni K compatto;• per ogni boreliano B, µ(B) = inf

µ(A) : A aperto, B ⊆ A

;

• per ogni aperto A, µ(A) = supµ(K) : K compatto, K ⊆ A

.

2Teorema di Riesz: Sia X uno spazio topologico T2 localmente compatto e sia Cc(X) lo spazio vettoriale delle funzioni reali

continue a supporto compatto su X. Dato un funzionale lineare Λ : Cc(X) −→ R positivo, tale cioe che f ≥ 0 =⇒ Λ(f) ≥ 0,esiste una e una sola misura di Radon positiva µ su X tale che Λ(f) =

´X f dµ per ogni f ∈ Cc(X).

Viceversa, data una misura di Radon positiva µ su X, il funzionale Λ(f) =´X f dµ e lineare e positivo su Cc(X).

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4 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

(2) (f1 + f2 : ϕ) ≤ (f1 : ϕ) + (f2 : ϕ);(3) (cf : g) = c(f : ϕ) per ogni c > 0;(4) (f1 : ϕ) ≤ (f2 : ϕ) se f1 ≤ f2;(5) (f : ϕ) ≥ ‖f‖∞/‖ϕ‖∞;(6) (f : ϕ) ≤ (f : ψ)(ψ : ϕ).

L’applicazione f 7→ (f : ϕ) e dunque invariante per traslazioni sinistre, monotona e sublineare. Questestesse proprieta, cioe (1)–(4), continuano a essere soddisfatte dalle applicazioni “normalizzate” rispetto auna fissata ϕ0:

Iϕ(f) =(f : ϕ)

(ϕ0 : ϕ).

Per la (6), si ha inoltre

(2.1)1

(ϕ0 : f)≤ Iϕ(f) ≤ (f : ϕ0) .

La (2) non e in generale migliorabile, nel senso che non si ha additivita nella prima componente. Valetuttavia la seguente proprieta:

date f1, f2 ∈ C+c (G) e dato ε > 0, esiste un intorno V di e tale che,

se suppϕ ⊂ V , allora Iϕ(f1 + f2) ≥ Iϕ(f1) + Iϕ(f2)− ε .

Sia infatti η ∈ C+c (G) tale che η = 1 in un intorno di (supp f1) ∪ (supp f2), e sia u = f1 + f2 + δη, con

δ > 0 da determinarsi. Essendo

fi =fiu∈ C+

c (G) , (i = 1, 2) ,

per il Lemma 1.5 esiste V un intorno di e tale che |fi(xh)− fi(x)| < δ per ogni x ∈ G e h ∈ V .Fissiamo ϕ con suppϕ ⊂ V . Se u ≤

∑j cjLgjϕ, si ha

f1(x) = f1(x)u(x) ≤∑j

cjϕ(g−1j x)

(f1(x)− f1(gj)

)+∑j

cjϕ(g−1j x)f1(gj) ,

e analogamente per f2.Se ϕ(g−1

j x) 6= 0, allora g−1j x ∈ V e dunque∣∣f1(x)− f1(gj)

∣∣ =∣∣f1(gjg

−1j x)− f1(gj)

∣∣ < δ .

Quindi

f1(x) <∑j

cjϕ(g−1j x)

(f1(gj) + δ

),

da cui

(f1 : ϕ) ≤∑j

cj(f1(gj) + δ

).

Sommando con l’analoga disuguaglianza per f2, si ottiene

(f1 : ϕ) + (f2 : ϕ) ≤ (1 + 2δ)∑j

cj .

Prendendo l’estremo inferiore al variare dei cj , si ha

(f1 : ϕ) + (f2 : ϕ) ≤ (1 + 2δ)(f1 + f2 + δη : ϕ)

≤ (1 + 2δ)(f1 + f2 : ϕ) + δ(1 + 2δ)(η : ϕ)

= (f1 + f2 : ϕ) + δ[2(f1 + f2 : ϕ) + (1 + 2δ)(η : ϕ)

].

Dividendo ora per (ϕ0 : ϕ), si ha

Iϕ(f1) + Iϕ(f2) ≤ Iϕ(f1 + f2) + δ[2Iϕ(f1 + f2) + (1 + 2δ)Iϕ(η)

].

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2. MISURE DI HAAR 5

L’espressione in parentesi quadra e limitata indipendentemente da ϕ per la (2.1), per cui, prendendo δsufficientemente piccolo, l’ultimo termine puo essere reso minore di ε.

Riprendiamo la dimostrazione del teorema. Sia

X =∏

f∈C+c (G)

[(ϕ0 : f)−1, (f : ϕ0)

].

Con la topologia prodotto, X e compatto. Per ogni intorno V di e, si ponga

FV =(Iϕ(f)

)f∈C+

c (G): suppϕ ⊂ V

.

I chiusi FV hanno la proprieta dell’intersezione finita, in quanto

n⋂j=1

FVj ⊃ F∩Vj .

Quindi esiste I ∈⋂V FV . Si verifica facilmente che, per ogni f, f1, f2 ∈ C+

c (G),

(1) I(Lgf) = I(f) per ogni g ∈ G;(2) I(cf) = cI(f) per ogni c > 0;(3) I(f1 + f2) = I(f1) + I(f2).

Passando a una generica funzione f ∈ Cc(G) reale di segno arbitrario, si scomponga f = h − k, conh, k ∈ C+

c (G), e si ponga

I(f) = I(h)− I(k) .

Questa definizione non dipende dalla scomposizione di f , perche se f = h− k e un’altra scomposizionedello stesso tipo, dall’uguaglianza h+ k = h+ k segue che I(h)− I(k) = I(h)− I(k).

Allora I e lineare ed e il funzionale cercato.

Se µ e una misura di Haar sinistra, allora la misura µ definita come

(2.2) µ(A) = µ(A−1) ,(

equivalentemente dalla condizione

ˆG

f(x) dµ(x) =

ˆG

f(x−1) dµ(x))

e una misura di Haar destra. Quindi ogni gruppo localmente compatto ha anche una misura di Haar destra.In generale le misure di Haar destre e sinistre non coincidono. Vedremo tra poco vari esempi, ma primadimostriamo che la misura di Haar (sinistra o destra) su un gruppo e essenzialmente unica.

Lemma 2.3. Sia µ una misura di Haar sinistra (o destra). Per ogni aperto A non vuoto, µ(A) > 0. Inoltreµ(G) < +∞ se e solo se G e compatto.

Dimostrazione. Sia µ una misura di Haar sinistra, e sia A un aperto non vuoto con µ(A) = 0. Alloraµ(gA) = 0 per ogni g ∈ G. Dato un compatto K, esiste un ricoprimento finito gjA di K. Allora µ(K) = 0.Per la regolarita di µ, µ(B) = 0 per ogni Boreliano B, il che e assurdo.

Se G e compatto, ovviamente µ(G) < +∞. Sia G non compatto, e sia V un intorno simmetrico compattodi e. Costruiamo induttivamente una successione infinita gj di elementi di G tali che i gjV siano a due adue disgiunti. Essendo µ(gjV ) = µ(V ) > 0, questo implica che µ(G) = +∞.

Poniamo g0 = e. Poiche V 2 e compatto, esiste g1 6∈ V 2. Allora V ∩g1V = ∅. Supponendo di aver trovato

g1, . . . , gn tali che giV ∩ gjV = ∅ per 0 ≤ i, j ≤ n, basta prendere gn+1 6∈ V(⋃n

i=0 giV)

.

Teorema 2.4. Se µ e λ sono due misure di Haar sinistre, esiste c > 0 tale che µ = cλ.

Dimostrazione. Sia f ∈ Cc(G). Per il Lemma 1.5, dato ε > 0, esiste un intorno simmetrico V di etale che

|f(xy)− f(yx)| < ε

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6 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

per ogni y ∈ V e x ∈ G. Sia ϕ ∈ C+c (G) con supporto in V , tale che ϕ(x−1) = ϕ(x). Allora∣∣∣∣ˆ

G

f(xy)ϕ(y) dλ(y)−ˆG

f(yx)ϕ(y) dλ(y)

∣∣∣∣ ≤ ˆG

∣∣f(xy)− f(yx)|ϕ(y) dλ(y)

< ε

ˆG

ϕdλ .

Consideriamo la funzione u(x) =´Gf(xy)ϕ(y) dλ(y). Per il Lemma 1.5, u e continua. Condizione

necessaria affinche u(x) 6= 0 e che esista y ∈ Kϕ = suppϕ tale che xy ∈ Kf = supp f . Deve quindi esserex = xyy−1 ∈ KfK

−1ϕ = KfKϕ. Poiche KfKϕ e compatto, suppu ⊂ KfKϕ, e u ∈ Cc(G). In modo analogo,

si vede che v(x) =´Gf(yx)ϕ(y) dλ(y) ∈ Cc(G) e supp v ⊂ KϕKf .

Sia K ′ = KfKϕ ∪KϕKf . Allora∣∣∣∣ˆG

(u(x)− v(x)

)dµ(x)

∣∣∣∣ =

∣∣∣∣ˆK′

(u(x)− v(x)

)dµ(x)

∣∣∣∣ < µ(K ′)ε

ˆG

ϕdλ .

Ma, sostituendo y′ = xy, e usando la simmetria di ϕ,ˆG

u dµ =

ˆG

ˆG

f(xy)ϕ(y) dλ(y) dµ(x)

=

ˆG

ˆG

f(y′)ϕ(y′−1x) dλ(y) dµ(x)

=

ˆG

(ˆG

ϕ(y′−1x) dµ(x)

)f(y′) dλ(y′)

=

(ˆG

ϕdµ

)( ˆG

f dλ

).

In modo analogo, scambiando direttamente l’ordine di integrazione,ˆG

v dµ =

ˆG

ˆG

f(yx)ϕ(y) dλ(y) dµ(x) =

(ˆG

f dµ

)( ˆG

ϕdλ

).

Per comodita di notazione, scriviamo µ(f) in luogo di´Gf dµ ecc. Abbiamo dunque∣∣µ(ϕ)λ(f)− λ(ϕ)µ(f)

∣∣ < µ(K ′)λ(ϕ)ε .

Se g e un’altra funzione in Cc(G), vale l’analoga disuguaglianza∣∣µ(ϕ)λ(g)− λ(ϕ)µ(g)∣∣ < µ(K ′′)λ(ϕ)ε .

Moltiplicando la prima per |λ(g)|, la seconda per |λ(f)| e sommando, si ottiene che

λ(ϕ)∣∣µ(f)λ(g)− λ(f)µ(g)

∣∣ < (µ(K ′)|λ(g)|+ µ(K ′′)|λ(f)|)λ(ϕ)ε .

Poiche λ(ϕ) > 0, per l’arbitrarieta di ε segue che

λ(f)µ(g) = µ(f)λ(g) .

Per l’arbitrarieta di f e g, si ha la tesi.

Proposizione 2.5. Valgono le seguenti proprieta:

• Le misure di Haar di G sono finite se e solo se G e compatto.• Le misure di Haar di G sono discrete se e solo se G ha la topologia discreta.

Dimostrazione. Sia µ una misura di Haar sinistra su G. Se G e compatto, deve essere necessariamenteµ(G) <∞.

Viceversa, sia G non compatto e si fissi U intorno compatto e simmetrico di e. Poiche U contieneun aperto, deve essere µ(U) > 0. Si consideri una famiglia massimale xiUi∈I di traslati sinistri di U adue a due disgiunti. Allora la famiglia xiU2i∈I e un ricoprimento di G. Infatti, se per assurdo esistessey 6∈

⋃i xiU

2, yU sarebbe disgiunto da tutti gli xiU contro l’ipotesi di massimalita. Essendo U2 compatto eG non compatto, l’insieme I deve essere infinito. Quindi µ(G) ≥

∑i µ(xiU) =∞.

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2. MISURE DI HAAR 7

Se G e discreto, la misura del conteggio e una misura di Haar (sia destra che sinistra). Viceversa, seesiste x con µ

(x)

= m > 0, lo stesso vale per ogni altro elemento di G. Quindi gli insiemi compatti devononecessariamente essere finiti. Segue che ogni punto ha un intorno finito. Essendo la topologia T2, i singolettisno aperti.

Quando G e compatto, e abituale normalizzare la misura di Haar3 ponendo µ(G) = 1. Quando G ediscreto, e abituale normalizzarla assegnando misura 1 a ogni punto.

Un criterio utile per trovare le misure di Haar su un gruppo passa attraverso l’individuazione di misurequasi-invarianti.

Definizione. Una misura di Radon non nulla µ su G si dice quasi invariante a sinistra se per ogni x ∈ Gesiste una costante ϕ(x) > 0 tale che

(2.3) µ(xA) = ϕ(x)µ(A)

per ogni Boreliano A.

Una misura µ e quasi invariante a sinistra se e solo se, per ogni f ∈ Cc(G),ˆG

f(x−1y) dµ(y) = ϕ(x)

ˆG

f(y) dµ(y) ,

(formalmente, se dµ(xz) = ϕ(x) dµ(z)).

Lemma 2.6. La funzione ϕ e un omomorfismo continuo di G in R+.

Dimostrazione. Per ogni Boreliano A,

ϕ(xy)µ(A) = µ(xyA) = ϕ(x)µ(yA) = ϕ(x)ϕ(y)µ(A) ,

per cui ϕ e un omomorfismo. Si fissino ora f ∈ Cc(G) con´Gf dµ = 1 e un intorno compatto U0 di e. Dato

ε > 0, sia U ⊂ U0 un intorno di e tale che, per ogni h ∈ U , ‖Lhf − f‖∞ < ε. Allora, se h ∈ U ,∣∣ϕ(h)− 1∣∣ =

∣∣∣ ˆG

(f(h−1x)− f(x)

)dµ(x)

∣∣∣ < εµ(supp f ∪ (h supp f)

)≤ εµ(U0supp f) .

Questo dimostra la continuita di ϕ in e. La continuita negli altri punti di G segue facilmente dallaproprieta di omomorfismo.

Proposizione 2.7. Sia µ una misura quasi-invariante a sinistra soddisfacente (2.3). Allora 1ϕµ e una

misura di Haar sinistra.

Dimostrazione. Col cambio di variabile y = xz si ottieneˆG

f(x−1y)1

ϕ(y)dµ(y) = ϕ(x)

ˆG

f(z)1

ϕ(xz)dµ(z) =

ˆG

f(z)1

ϕ(z)dµ(z) .

Esempi.

(2.a) La misura di Lebesgue e (a meno di fattori moltiplicativi) la misura di Haar su Rn e sul toro T. Poichesono gruppi abeliani, non c’e distinzione tra misura destra e sinistra.

(2.b) Sia G = R+ = (0,+∞) come gruppo moltiplicativo. La misura di Lebesgue λ1 su R+ e quasi invariante,essendo λ1(xA) = xλ1(A) per ogni Boreliano A e ogni x > 0. Quindi dµ(x) = dx

x e una misura di Haar.In modo analogo si dimostra che una misura di Haar su G = R \ 0, come gruppo moltiplicativo con la

topologia euclidea, e dµ(x) = dx|x| e che, su G = C\0 come gruppo moltiplicativo con la topologia euclidea,

una misura di Haar e dµ(x+ iy) = dx dyx2+y2 .

(2.c) Se G e il prodotto diretto G1 ×G2 di due gruppi localmente compatti, si ottiene una misura di Haarsinistra di G prendendo il prodotto tensoriale di due misure di Haar sinistre sui due fattori.

3Come si vedra piu avanti, sui gruppi compatti le misure di Haar destre e sinistre coincidono.

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8 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

(2.d) Sia G = GL(n,R) il gruppo delle matrici X reali, n×n e invertibili, con n ≥ 2. Allora G e un aperto di

Rn2

(essendo caratterizzato dalla condizione detX 6= 0) e, con la topologia indotta dalla topologia euclidea,e un gruppo localmente compatto non commutativo.

La misura di Lebesgue su G e quasi-invariante sia a sinistra che a destra. Per la quasi-invarianza asinistra, si osservi che la moltiplicazione da sinistra di un elemento Y ∈ G per X corrisponde ad applicare lamatrice X agli n vettori colonna Y 1, . . . , Y n di Y . Fattorizzando corrispondentemente la misura di Lebesgueλn2 come λn×· · ·×λn, ogni misura fattore viene moltiplicata per |detX|. Abbiamo quindi ϕ(x) = |detX|n.

Per la quasi-invarianza a destra bisogna scomporre la matrice Y per righe anziche per colonne, ma laconclusione e la stessa. Si conclude che dX/|detX|n e una misura di Haar sia sinistra che destra.

(2.e) Sia G il gruppo affine della retta, costituito dalle applicazioni di R in se ϕa,b(x) = ax + b, con a 6= 0,dotato del prodotto di composizione. G si chiama anche il gruppo “ax+ b”. Poiche

ϕa,b ϕa′,b′(x) = aa′x+ ab′ + b = ϕaa′,ab′+b(x) ,

possiamo vedere G come(R \ 0

)× R con il prodotto

(a, b)(a′, b′) = (aa′, ab′ + b) .

L’elemento neutro e (1, 0) e (a, b)−1 = (a−1,−a−1b). Si noti che G e isomorfo al gruppo delle matrici

reali invertibili 2× 2 della forma

(a b0 1

).

Procedendo come nell’Esempio precedente, osserviamo che la moltiplicazione a sinistra per (a, b) agiscein modo affine su (a′, b′) con determinante a2. Quindi la misura

dµ(a, b) =da db

a2

e una misura di Haar sinistra.Moltiplicando a destra per (a′, b′) si ottiene invece una trasformazione lineare in (a, b) con determinante

a′. In modo analogo si deduce che

dν(a, b) =da db

|a|e una misura di Haar destra. In questo caso, dunque, misure di Haar destre e sinistre non coincidono.

(2.f) Piu in generale, siano H,K due gruppi localmente compatti. Indicando con Aut(H) il gruppo degliautomorfismi di H, sia ψ : K −→ Aut(H) un’azione continua di K su H. Con questo si intende che ψ e unomomorfismo di gruppi e che l’applicazione

(k, h) 7−→ ψ(k)h

da K ×H in H sia continua. Per comodita di notazioni, scriviamo

k · h = ψ(k)h .

Valgono quindi le formule

k · (hh′) = (k · h)(k · h′) k · h−1 = (k · h)−1

(kk′) · h = k · (k′ · h) k−1 · (k · h) = h .

La composizione dell’azione di k ∈ K su H con la traslazione sinistra `h da luogo all’applicazione di Hin se

x 7−→ `h ψ(k)x = h(k · x) , x ∈ H .

Presi altri due elementi k′ ∈ K e h′ ∈ H, si ha

`h ψ(k) `h′ ψ(k′)x = `h ψ(k)(h′(k′ · x)

)= h

(k ·(h′(k′ · x)

))= h(k · h′)

((kk′) · x

)= `h(k·h′)ψ(kk′)x .

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2. MISURE DI HAAR 9

Inoltre, essendo `eHψ(eK) l’applicazione identica su H, si ricava che(`h ψ(k)

)−1= `k−1·h−1 ψ(k−1) .

Si ottiene quindi una struttura di gruppo sul prodotto cartesiano K ×H ponendo

(k, h)(k′, h′) =(kk′, h(k · h′)

).

Questo gruppo si chiama il prodotto semidiretto K nψ H ed e chiaramente localmente compatto4. Lanotazione accentua il fatto che eK × H ∼= H e un sottogruppo normale, mentre K × eh ∼= K, e unsemplice sottogruppo, in generale non normale.

Nel caso H = Rn e K e un sottogruppo chiuso di GL(n,R) fatto agire in modo canonico su Rn, ilprodotto semidiretto KnRn e il gruppo di trasformazioni affini generato da K e dalle traslazioni. Il gruppoaffine della retta dell’esempio precedente e dunque R∗ nR.

Siano allora µ, ν misure di Haar sinistre su K e H rispettivamente e si consideri la misura prodotto suK ×H. Se A×B e un rettangolo Boreliano di K ×H, si ha

(µ× ν)((k, h)(A×B)

)= µ(kA)ν

(h(k ·B)

)= µ(A)ν(k ·B) .

Consideriamo allora la misura di Borel su H

νk(B) = ν(k−1 ·B) .

Essa e una misura di Haar sinistra, per cui esiste una costante δ(k) > 0 tale che

ν(k−1 ·B) = δ(k)(B) , ossia

ˆH

f(k · x) dν(x) = δ(k)

ˆH

f(x) dν(x) .

La misura µ×ν e dunque quasi-invariante a sinistra su KnH e pertanto la misura ρ tale che dρ(k, h) =dµ(k) dν(h)

δ(k) e invariante a sinistra.

Una misura di Haar destra su G = K nH e la misura ρ data dalla (2.2). Concretamente, col cambio divariabile h′ = k · h, ˆ

G

f(k, h) dρ(k, h) =

ˆG

f((k, h)−1

)dρ(k, h)

=

ˆK

ˆH

f(k−1, k−1 · h−1)1

δ(k)dµ(k) dν(h)

=

ˆK

ˆH

f(k−1, h′−1

) dµ(k) dν(h′)

=

ˆK

ˆH

f(k, h′) dµ(k) dν(h′) .

Quindi ρ = µ× ν.

(2.g) Sia G un gruppo localmente compatto con misura di Haar sinistra µ, e sia H un sottogruppo chiusonormale con misura di Haar sinistra ν. Anche il gruppo quoziente G/H ha una sua misura di Haar sinistraλ. Descriviamo le relazioni tra le tre misure.

Conveniamo di indicare con.x l’elemento xH ∈ G/H. Data f ∈ Cc(G), sia

f(.x) =

ˆH

f(xh) dν(h) .

Si noti che, se.x =

.y, allora y = xh0 e, per l’invarianza di ν,ˆ

H

f(yh) dν(h) =

ˆH

f(xh0h) dν(h) =

ˆH

f(xh) dν(h) ,

per cui f e ben definita.

4Quando non c’e ambiguita o l’azione ψ e del tutto naturale, il pedice viene omesso. Si usa anche la notazione H oK.

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10 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

Quindi f e ben definita su G/H, ed e chiaramente continua con supporto compatto. Poniamo allora

Φ(f) =

ˆG/H

f(.x) dλ(

.x) .

Φ e un funzionale lineare su Cc(G), positivo, e invariante per traslazioni sinistre. Infatti

Lgf(.x) =

ˆH

Lgf(xh) dν(h) =

ˆH

f(g−1xh) dν(h) = f((g−1x).

),

per cui

Φ(Lgf) =

ˆG/H

f((g−1x).

)dλ(

.x) =

ˆG/H

f( .g−1 .x)dλ(

.x) = Φ(f) .

Esiste dunque una costante c > 0 tale che Φ(f) = c´Gf dµ, ossia

(2.4)

ˆG/H

(ˆH

f(xh) dν(h)

)dλ(

.x) = c

ˆG

f(x) dµ(x) .

In particolare, fissate misure di Haar sinistre su due dei tre gruppi, e possibile normaizzare la misura diHaar sinistra sul terzo, in modo che valga la (2.2) con c = 1.

Quando H e compatto, si puo procedere molto piu semplicemente ed esplicitamente come segue.La proiezione canonica π di G su G/H e in questo caso un’applicazione propria. Infatti l’immagine

inversa di.x ∈ G/H e xH, che e compatto. Inoltre π e chiusa.

Sia infatti F chiuso in G. Dato.x 6∈ π(F ), Si ha F ∩ xH = ∅. Per ogni y ∈ xH esiste un intorno Uy

di e tale che Uyy sia disgiunto da F . Si prenda Vy intorno aperto di e tale che V 2y ⊂ Uy e si consideri il

ricoprimento aperto Vyyy∈xH di xH. Esiste un sottoricoprimento finito Vy1y1, . . . , Vynyn.

Posto V = Vy1 ∩ · · ·Vyn , si prenda z = vy ∈ V (xH). Esiste k ≤ n tale che y = v′yk con v′ ∈ Vyk , per cuiz = vv′yk ∈ Uykyk. Quindi V (xH) e disgiunto da F e, proiettando su G/H, π(V xH) = π(V )

.x e disgiunto

da π(F ). Ma π(V ).x e un intorno di

.x, dunque π(F ) e chiuso.

Sia ora µ una misura di Haar sinistra su G. Essendo π propria, se C ⊆ G/H e compatto, π−1(C) ecompatto in G. Quindi, se f ∈ Cc(G/H), allora f π ∈ Cc(G) e possiamo definire il funzionale

Λ(f) =

ˆG

(f π)(x) dx .

La proprieta di invarianza per traslazioni sinistre, Λ(L .xf) = Λ(f) per ogni

.x ∈ G/H, e verificata, per

cui Λ definisce una misura di Haar sinistra λ. Questo equivale a porre

λ(B) = µ(π−1(B)

),

per ogni Boreliano B in G/H.

3. La funzione modulare

La funzione modulare di un gruppo localmente compatto G esprime la relazione tra misure di Haarsinistre e destre.

Lemma 3.1. Una misura di Haar sinistra su G e quasi-invariante a destra.

Dimostrazione. Sia m` una misura di Haar sinistra. Dato g ∈ G, poniamo, per ogni Boreliano A,

µg(A) = m`(Ag) .

Allora µg e pure una misura di Haar sinistra, in quanto

µg(hA) = m`(hAg) = m`(Ag) = µg(A) ,

per ogni h ∈ G. Esiste dunque una costante ∆(g) > 0 tale che µg = ∆(g)m`.

Chiaramente il valore di ∆(g) non dipende dalla scelta di m`.

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3. LA FUNZIONE MODULARE 11

Definizione. La funzione ∆ : G→ R+ si chiama la funzione modulare di G. Se ∆(g) = 1 per ogni g ∈ G,ossia se le misure di Haar sinistre sono anche destre, si dice che G e unimodulare.

Teorema 3.2. Valgono le seguenti proprieta:

(1) per ogni g ∈ G e f ∈ Cc(G),´GRgf dm` = ∆(g−1)

´Gf dm`;

(2) la funzione modulare e un omomorfismo continuo di G in R+;(3) dmr(x) = ∆(x)−1 dm`(x) e una misura di Haar destra;(4) per ogni f ∈ Cc(G),

´Gf(x−1) dm`(x) =

´Gf(x)∆(x)−1 dm`(x).

Dimostrazione. (1) Se f = χA, con A Boreliano, Rgf = χAg−1 , per cuiˆG

Rgf dm` = m`(Ag−1) = ∆(g−1)

ˆG

f dm` .

Per linearita, l’uguaglianza si estende a funzioni semplici e, per continuita, a funzioni continue a supportocompatto.

(2) e conseguenza diretta del Lemma 2.6.(3) segue dai seguenti passaggi:ˆ

G

Rgf(x)∆(x)−1 dm`(x) = ∆(g)

ˆG

f(xg)∆(xg)−1 dm`(x)

= ∆(g)

ˆG

Rg(f∆−1)(x) dm`(x)

=

ˆG

f(x)∆(x)−1 dm`(x) .

(4) Il funzionale ϕ(f) =´Gf(x−1) dm`(x) e invariante per traslazioni destre. Per la (3), esiste dunque

c > 0 tale che ˆG

f(x−1) dm`(x) = c

ˆG

f(x)∆(x)−1 dm`(x) ,

per ogni f ∈ Cc(G). Applicando questa identita a f(x−1), si haˆG

f(x) dm`(x) = c

ˆG

f(x−1)∆(x)−1 dm`(x)

= c2ˆG

f(x)∆(x)∆(x)−1 dm`(x) ,

da cui c = 1.

Corollario 3.3. Sono unimodulari i gruppi localmente compatti nelle seguenti classi:

(1) i gruppi abeliani;(2) i gruppi compatti;(3) i gruppi privi di sottogruppi chiusi normali non banali;(4) i gruppi discreti.

Dimostrazione. la (1) e ovvia.(2) Si osservi che l’immagine ∆(G) in R+ e un sottogruppo compatto, per cui necessariemente ∆(x) = 1

per ogni x ∈ G.(3) Possiamo supporre che G non sia abeliano. Poiche ker ∆ e un sottogruppo chiuso normale di G e

G/ ker ∆ e abeliano, non puo essere ker ∆ = e. Allora ker ∆ = G e G e unimodulare.(4) segue dalla Proposizione 2.5.

Esempi.

(3.a) La funzione modulare del gruppo “ax+ b” e ∆(a, b) = |a|−1.

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12 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

(3.b) Sia H un sottogruppo chiuso normale di G. Indichiamo con mG` , mH

` , mG/H` misure di Haar sinistre fis-

sate sui rispettivi gruppi, tali che valga la (2.2) con c = 1. Per f ∈ Cc(G), poniamo f(.g) =

´Hf(gh) dmH

` (h).Siano poi ∆G, ∆H ecc. le funzioni modulari sui rispettivi gruppi.

Dato g ∈ G,

Rgf(.x) =

ˆH

Rgf(xh) dmH` (h)

=

ˆH

f(xhg) dmH` (h)

=

ˆH

f((xg(g−1hg)

)dmH

` (h) .

Essendo H normale in G, G agisce su H per automorfismi interni,

ϕ(g)h = ghg−1 .

Consideriamo la misura µg(A) = mH` (g−1Ag) su H. Essa e invariante a sinistra, perche, essendo

g−1hg ∈ H per ogni h ∈ H, si ha

µg(hA) = mH` (g−1hAg) = mH

`

((g−1hg)g−1Ag

)= mH

` (g−1Ag) = µg(A) .

Esiste dunque δ(g) > 0 tale che µg = δ(g)mH` . La sostituzione h′ = g−1hg fa sı che dmH

` (h′) =δ(g) dmH

` (h), e dunque

Rgf(.x) = δ(g)−1

ˆH

f(xgh′) dmH` (h′) = δ(g)−1f(

.x.g) = δ(g)−1R .

g f(.x) .

Di conseguenza,ˆG

Rgf dmG` = δ(g)−1

ˆG/H

R .g f dm

G/H` = δ(g)−1∆G/H(

.g)−1

ˆG

f dmG` ,

da cui

∆(g) = δ(g)∆G/H(.g) .

Si noti che la funzione δ, definita su G, coincide con ∆H su H. Infatti, se h ∈ H,

δ(h)mH` (A) = mH

` (h−1Ah) = ∆H(h)mH` (A) ,

per ogni Boreliano A di H.In particolare, se G/H e unimodulare e δ(g) = 1 per ogni g ∈ G, allora anche G e unimodulare.

(3.c) Un caso particolare della situazione descritta nell’Esempio precedente e costituita dai gruppi di trasfor-mazioni affini di Rn. Sia G0 un sottogruppo chiuso di GL(n,R), e si consideri il gruppo G delle applicazioniaffini da Rn in se

ϕg,v(x) = gx+ v

con g ∈ G0 e v ∈ Rn. Essendo ϕg,v ϕg′,v′ = ϕgg′,gv′+v, possiamo identificare G con G0×Rn con il prodotto

(g, v)(g′, v′) = (gg′, gv′ + v) .

L’elemento neutro e (e, 0), dove e e l’identita di G0. Inoltre

(g, v)−1 = (g−1,−g−1v) .

Si verifica facilmente che H = e × Rn e un sottogruppo normale.La funzione modulare su G e allora ∆G(g, v) = δ(g, v), calcolata considerando l’applicazione

(e, x) 7−→ (g, v)−1(e, x)(g, v) = (g−1,−g−1v)(g, x+ v) = (e, g−1x) .

Poiche la misura di Haar su H non e altro che la misura di Lebesgue su Rn,

δ(g, v) = |det g|−1 .

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4. CONVOLUZIONE DI MISURE E FUNZIONI 13

4. Convoluzione di misure e funzioni

Sia G un gruppo localmente compatto. Indichiamo conM(G) lo spazio di Banach delle misure di Borelregolari su G, con la norma ‖µ‖1 = |µ|(G).

Definizione. Siano µ, ν ∈M(G). La convoluzione µ ∗ ν e la misura definita ponendo

(4.1)

ˆG

f d(µ ∗ ν) =

¨G×G

f(xy) dµ(x) dν(y) ,

per f ∈ C0(G).

Proposizione 4.1. La convoluzione µ ∗ ν e ben definita in M(G). Inoltre,

(1) ‖µ ∗ ν‖1 ≤ ‖µ‖1‖ν‖1 ;(2) la convoluzione rende M(G) un’algebra di Banach;(3) l’applicazione µ 7→ µ∗, ove

ˆG

f dµ∗ =

ˆG

f(x−1) dµ(x) ,

e un’involuzione su M(G);(4) M(G) e commutativa se e solo se G e commutativo.

Dimostrazione. Sia ϕ(f) =˜G×G f(xy) dµ(x) dν(y). Allora∣∣ϕ(f)

∣∣ ≤ ¨G×G

|f(xy)| d|µ|(x) d|ν|(y) ≤ ‖f‖∞|µ|(G)|ν|(G) .

Per il Teorema di rappresentazione di Riesz esiste una e una sola misura di Radon finita σ tale cheϕ(f) =

´Gf dσ. Questo dimostra che µ ∗ ν e ben definita come elemento di M(G). Inoltre

‖µ ∗ ν‖1 = ‖ϕ‖ ≤ |µ|(G)|ν|(G) = ‖µ‖1‖ν‖1 .

(2) L’unica verifica non banale e quella dell’associativita. MaˆG

f d((µ ∗ ν) ∗ σ

)=

¨G×G

f(xy) d(µ ∗ ν)(x) dσ(y)

=

˚G×G×G

f(uvy) dµ(u) dν(v) dσ(y) .

Lo sviluppo di´Gf d(µ ∗ (ν ∗ σ)

)porta allo stesso risultato.

(3) Chiaramente l’applicazione e antilineare e involutiva. InoltreˆG

f d(µ ∗ ν)∗ =

¨G×G

f(x−1) d(µ ∗ ν)(x)

=

¨G×G

f((uv)−1

)dµ(u) dν(v)

=

¨G×G

f(v−1u−1) dµ(u) dν(v)

=

¨G×G

f(vu) dµ∗(u) dν∗(v)

=

ˆG

f d(ν∗ ∗ µ∗) ,

per cui (µ ∗ ν)∗ = ν∗ ∗ µ∗.

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14 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

(4) Se G e commutativo, ˆG

f d(µ ∗ ν) =

¨G×G

f(xy) dµ(x) dν(y)

=

¨G×G

f(yx) dµ(x) dν(y)

=

ˆG

f d(ν ∗ µ) ,

da cui µ ∗ ν = ν ∗ µ.Per dimostrare l’altra implicazione, osserviamo che, se g, h ∈ G,ˆ

f d(δg ∗ δh) =

¨G×G

f(xy) dδg(x) dδh(y) = f(gh) ,

per cui δg ∗ δh = δgh. Se M(G) e commutativo, δgh = δhg, e quindi gh = hg per ogni g, h ∈ G.

Data una misura di Borel µ su G, indichiamo con Lgµ e con Rgµ le misure tali che Lgµ(A) = µ(g−1A)e Rgµ(A) = µ(Ag) rispettivamente, per ogni Boreliano A. Se f ∈ Cc(G),ˆ

G

f d(Lgµ) =

ˆG

Lg−1f dµ ,

ˆG

f d(Rgµ) =

ˆG

Rg−1f dµ .

Proposizione 4.2. Se µ, ν ∈M(G),

supp (µ ∗ ν) ⊆ (suppµ)(supp ν) .

Inoltre, se g ∈ G, δg ∗ µ = Lgµ e µ ∗ δg = Rg−1µ. In particolare δe e l’unita di M(G).

Dimostrazione. Sia f ∈ C0(G) con (supp f)∩ (suppµ)(supp ν) = ∅. In particolare f(xy) = 0 per ognix ∈ suppµ e y ∈ supp ν. Quindi

´Gf d(µ ∗ ν) = 0.

Inoltre, ˆG

f d(δg ∗ µ) =

ˆG

f(gy) dµ(y) =

ˆG

Lg−1f dµ =

ˆG

f d(Lgµ) ,

e analogamente per µ ∗ δg.

Sia ora G un gruppo unimodulare5. Fissiamo una misura di Haar m su G e scriviamo dx in luogo didm(x).

Data una funzione f ∈ L1(G) = L1(G,m), identifichiamo f con la misura µf = fm ∈M(G).

Proposizione 4.3. Siano f ∈ L1(G) e ν ∈ M(G). Per quasi ogni x ∈ G, la funzione y 7→ f(xy−1) eintegrabile rispetto a d|ν|, la funzione

(4.2) f ∗ ν(x) =

ˆG

f(xy−1) dν(y)

e in L1(G), ‖f ∗ ν‖1 ≤ ‖f‖1‖ν‖1 e µf ∗ ν = µf∗ν . Analogamente, ponendo

(4.3) ν ∗ f(x) =

ˆG

f(y−1x) dν(y) ,

si ha ‖ν ∗ f‖1 ≤ ‖f‖1‖ν‖1 ν ∗ µf = µν∗f .Se poi f, g ∈ L1(G), l’integrale

(4.4) f ∗ g(x) =

ˆG

f(xy−1)g(y) dy

5Ci limitiamo a gruppi unimodulari per semplicita. L’estensione di definizioni e risultati che seguono a gruppi nonunimodulari richiede modifiche e precisazioni che preferiamo tralasciare.

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4. CONVOLUZIONE DI MISURE E FUNZIONI 15

e assolutamente convergente per quasi ogni x, f ∗ g ∈ L1(G) e

(4.5) ‖f ∗ g‖1 ≤ ‖f‖1‖g‖1 .

Inoltre µf ∗ µg = µf∗g.

Dimostrazione. Data h ∈ Cc(G),ˆG

h(x) d(µf ∗ ν)(x) =

¨G×G

h(xy)f(x) dx dν(y) ,

e l’integrale a secondo membro e assolutamente convergente. Applicando il Teorema di Fubini,ˆG

h(x) d(µf ∗ ν)(x) =

ˆG

(ˆG

h(xy)f(x) dx

)dν(y)

=

ˆG

(ˆG

h(x)f(xy−1) dx

)dν(y)

=

ˆG

(ˆG

f(xy−1) dν(y)

)h(x) dx

=

ˆG

h(x)f ∗ ν(x) dx .

Questo dimostra la prima parte. La seconda si dimostra in modo analogo e la terza ne e una sempliceconseguenza.

La funzione f ∗ g si chiama la convoluzione di f e g. La scelta della misura di Haar influisce nelladefinizione per un fattore moltiplicativo.

Corollario 4.4. L1(G) e un ideale bilatero di M(G). In particolare, e un’algebra di Banach con involuzione

f∗(x) = f(x−1). Essa ammette unita se e solo se G e discreto, nel qual caso L1(G) =M(G). Inoltre L1(G)e commutativa se e solo se G e commutativo.

Dimostrazione. La prima parte e un’ovvia conseguenza delle Proposizione 4.1 e 4.3.Sia ora u ∈ L1(G) tale che f ∗ u = f per ogni f ∈ L1(G). In particolare,ˆ

G

f(xy−1)u(y) dy = f(x)

per quasi ogni x. Se f ∈ Cc(G), ambo i membri sono continui, e l’identita vale per ogni x. In particolare,ˆG

f(y)u(y−1) dy = f(e) .

Per continuita, l’uguaglianza si estende a ogni f ∈ C0(G). Per il Teorema di rappresentazione di Riesz,la misura um coincide con δe. Questo implica che suppu = e e m

(e)

= c > 0. Per l’invarianza di m,

m(g)

= c per ogni g. Poiche i compatti devono avere misura finita, gli unici compatti sono gli insiemifiniti. Ma allora ogni punto ha un intorno costituito da un numero finito di punti; essendo G di Hausdorff,la topologia deve essere quella discreta.

Se G e discreto, ogni misura di Borel finita ha la forma

µ =∑j∈N

ajδgj ,

con gj punti distinti di G e∑|aj | <∞. Allora l’identificazione di M(G) con L1(G) = `1(G) e ovvia.

Se G e abeliano, L1(G) e ovviamente abeliana. Se G non e abeliano, siano x, y ∈ G tali che xy 6= yx.Esistono allora intorni disgiunti Uxy e Uyx di xy e di yx rispettivamente. Per la continuita del prodotto,esistono intorni Vx e Vy di x e y rispettivamente, tali che VxVy ⊂ Uxy e VyVx ⊂ Uyx.

Supponendo, come possiamo, che Vx e Vy siano compatti, poniamo f = χVx , g = χVy . Allora f, g ∈ L1(G)e f ∗ g e g ∗ f hanno supporti disgiunti. Basta allora far vedere che una di esse e diversa da 0.

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16 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

Mostriamo dunque che f ∗ g(xz) > 0 se z ∈ Vy. Osserviamo che

f ∗ g(xz) =

ˆG

χVx(u)χVy (u−1xz) du

= m(Vx ∩ xzV −1

y

)= m

(x−1Vx ∩ zV −1

y

).

Ma x−1Vx ∩ zV −1y e un intorno di e. Per il Lemma 2.5, ha misura positiva e dunque f ∗ g(xz) > 0.

Ci sono altri modi di scrivere la convoluzione di due funzioni integrabili:

f ∗ g(x) =

ˆG

f(y)g(y−1x) dy =

ˆG

f(xy−1)g(y) dy = · · · ,

come si verifica con semplici cambiamenti di variabile6. Occorre tuttavia un po’ di cautela in modo da nonconfondere f ∗ g con g ∗ f .

Vedremo ora che la convoluzione si estende ad altri spazi funzionali. Premettiamo un lemma di interesseindipendente.

Lemma 4.5. Sia f ∈ Lp(G), con 1 ≤ p < ∞. Le applicazioni g 7→ Lgf e g 7→ Rgf sono continue da G inLp(G). Lo stesso vale sostituendo C0(G) a Lp(G).

Dimostrazione. Che Lgf e Rgf siano in Lp(G) e ovvio. Dato ε > 0, sia h ∈ Cc(G) tale che ‖f−h‖p <ε. Sia K = supph. Per il Lemma 1.5, esiste un intorno simmetrico V di e tale che per ogni g ∈ V e ognix ∈ G,

|f(xg)− f(x)∣∣ < ε

m(K)1/p, |f(gx)− f(x)

∣∣ < ε

m(K)1/p.

Allora, se g ∈ V ,

‖Lgf − f‖p ≤ ‖Lg(f − h)‖p + ‖Lgh− h‖p + ‖h− f‖p

= 2‖f − h‖p +

(ˆG

∣∣f(g−1x)− f(x)∣∣p dx)1/p

< 2ε+

( ˆK∪gK

εp

m(K)dx

)1/p

≤ (2 + 21/p)ε .

Questo dimostra la continuita della funzione f 7→ Lgf in e. Per la continuita in un punto g0 generico,basta notare che

‖Lgf − Lg0f‖p =∥∥Lg0(Lg−1

0 gf − f)∥∥p

= ‖Lg−10 gf − f‖p .

La continuita dell’altra funzione e il caso f ∈ C0(G) si dimostrano in modo analogo.

E’ molto utile interpretare la convoluzione di due funzioni integrabili f, g come integrale di Bochner(v. Appendice, par. C) di una funzione su G a valori in L1(G),

f ∗ g =

ˆG

f(y)Lyg dy =

ˆG

g(y)Ry−1f dy .

6Se G non e unimodulare, alcune di queste espressioni vanno modificate introducendo la funzione modulare.

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5. IDENTITA APPROSSIMATE 17

Per i punti (1), (2) in Appendice, le due funzioni integrande sono Bochner-integrabili. Per verificare chei due integrali danno effettivamente f ∗ g, basta considerare che, per h ∈ L∞(G),⟨ˆ

G

f(y)Lyg dy , h⟩

=

ˆG

f(y)〈Lyg, h〉 dy

=

ˆG

f(y)

ˆG

g(y−1x)h(x) dx dy

=

ˆG

(f ∗ g)(x)h(x) dx ,

e analogamente per l’altro integrale. Lo stesso argomento si applica, in base al Lemma 4.5, alla convoluzionecon uno dei due fattori in Lp(G) con 1 ≤ p <∞ e l’altro in M(G). Si ha precisamente quanto segue.

Proposizione 4.6. Siano µ ∈ M(G) e f ∈ Lp(G). Le convoluzioni µ ∗ f e f ∗ µ sono ben definite comeintegrali di Bochner,

µ ∗ f =

ˆG

Lyf dµ , f ∗ µ =

ˆG

Ry−1f dµ .

Nell’enunciato che segue incorporiamo i vari casi in cui la convoluzione di una funzione in Lp(G) conuna in Lq(G) e ben definita e le proprieta della loro convoluzione. La dimostrazione si svolge in modo deltutto analogo al caso classico in cui G = Rn o T (v. E.M. Stein, G. Weiss, Introduction to Fourier analysison Euclidean spaces, Cap. 5). L’ultimo punto e basato sul Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin.

Teorema 4.7. (1) Se f ∈ L1(G) e g ∈ L∞(G), allora f ∗ g e g ∗ f sono continue7 e limitate, e

‖f ∗ g‖∞ ≤ ‖f‖1‖g‖∞ , ‖g ∗ f‖∞ ≤ ‖f‖1‖g‖∞ .

(2) Se f ∈ Lp(G), con 1 < p <∞ e g ∈ Lp′(G), allora f ∗ g ∈ C0(G) e

‖f ∗ g‖∞ ≤ ‖f‖p‖g‖p′ .

(3) Se f ∈ Lp(G) e g ∈ Lq(G), con 1p + 1

q = 1 + 1r > 1, allora f ∗ g ∈ Lr(G) e vale la disuguaglianza

di Young

‖f ∗ g‖r ≤ ‖f‖p‖g‖q .

5. Identita approssimate

Abbiamo visto che, se G non e discreto, L1(G) non ha unita. Esiste sempre, tuttavia, una famiglia difunzioni che costituiscono una unita approssimata (o anche identita approssimata).

Definizione. Sia A un’algebra di Banach. Una famiglia yii∈I di elementi di A, con I insieme parzialmenteordinato filtrante, si dice una unita approssimata se

(1) esiste C > 0 tale che ‖yi‖ ≤ C per ogni i ∈ I;(2) per ogni x ∈ A, limi xyi = limi yix = x.

Proposizione 5.1. Sia G un gruppo localmente compatto e sia Uii∈I un sistema fondamentale di intornidi e, ordinato per inclusione. Per ogni i ∈ I, sia ϕi ∈ L1(G) tale che

(1) suppϕi ⊂ Ui;(2) esiste una costante C > 0 tale che ‖ϕi‖1 ≤ C per ogni i;(3)´Gϕi = 1 per ogni i.

Allora ϕi e un’identita approssimata.

7Piu precisamente, f ∗ g e uniformemente continua a destra e g ∗ f a sinistra.

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18 1. GRUPPI LOCALMENTE COMPATTI

Dimostrazione. Sia f ∈ L1(G). Osserviamo che, per la (3),

ϕi ∗ f(x)− f(x) =

ˆG

ϕi(y)(f(y−1x)− f(x)

)dy .

Dato ε > 0, per il Lemma 4.5, esiste un intorno V di e tale che ‖Lyf − f‖1 < ε per ogni y ∈ V . SeUi ⊂ V , si ha

‖ϕi ∗ f − f‖1 ≤ˆG

ˆG

|ϕi(y)|∣∣f(y−1x)− f(x)

∣∣ dy dx=

ˆUi

|ϕi(y)|‖Lyf − f‖1 dy

< Cε .

In modo analogo si dimostra che limi f ∗ ϕi = f .

La dimostrazione del seguente enunciato e lasciata per esercizio.

Corollario 5.2. Nell’enunciato della Proposizione 5.1, la (1) puo essere sostituita da

(1) (1’) per ogni intorno V di e, limi

´G\V |ϕi| = 0,

e la (3) da

(1) (3’) limi

´Gϕi = 1.

Per una tale identita approssimata, se p <∞ e f ∈ Lp(G),

limi‖f ∗ ϕi − f‖p = lim

i‖ϕi ∗ f − f‖p = 0 .

Se f ∈ C0(G),limi‖f ∗ ϕi − f‖∞ = lim

i‖ϕi ∗ f − f‖∞ = 0 .

Un esempio di identita approssimata e dato da

ϕi(x) =1

m(Ui)χUi(x) ,

con Ui un sistema fondamentale di intorni compatti di e. Inoltre le funzioni

ψi = ϕi ∗ ϕipure formano un’identita approssimata e in piu sono continue.

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CAPITOLO 2

Elementi di analisi di Fouriersu gruppi abeliani localmente compatti

In questo capitolo presentiamo, in modo sintetico e con molti enunciati non dimostrati, nozioni e proprietadella trasformata di Fourier per gruppi abeliani localmente compatti. Per una trattazione completa rinviamoai testi di W. Rudin, Fourier analysis on groups e di J. Folland, A course in abstract harmonic analysis.

1. Gruppo duale e trasformata di Fourier

Sia G un abeliano localmente compatto Indicando l’operazione di gruppo in forma additiva e l’elementoneutro con 0, denoteremo la traslazione La di una funzione f come τaf(x) = f(x − a). Con m indichiamouna misura di Haar fissata e con dx is suo elemento di volume.

Con T indichiamo il toro unidimensionale

T = eit : t ∈ R/2πZ .

Definizione. Si chiama carattere di G un omomorfismo continuo ξ : G −→ T.

Dati due caratteri ξ, ξ′, il loro prodotto ξξ′ e pure un carattere, cosı come il reciproco 1/ξ = ξ. I caratteri

di G formano quindi un gruppo abeliano, detto il gruppo duale di G e indicato con G. Su di esso preferiamomantenere la notazione moltiplicativa. In particolare l’elemento neutro sara indicato come 1 e ξ−1 indicherail carattere 1/ξ = ξ.

Su G introduciamo la topologia compatto-aperto in cui un insieme A e aperto se per ogni ξ0 ∈ A esistonoun compatto K ⊆ G e δ > 0 tali che

UK,δ(ξ0) =ξ :∣∣ξ(x)− ξ0(x)

∣∣ < δ ∀x ∈ K⊆ A .

Chiaramente gli insiemi UK,δ(ξ0) formano, al variare di K e δ, un sistema fondamentale di intornisimmetrici aperti di ξ0.

Lemma 1.1. G e un gruppo topologico T2.

Dimostrazione. Per la continuita del prodotto, sia ξ0 = ξ1ξ2. Dato un intorno UK,δ(ξ0) di ξ0, siverifica facilmente che

UK,δ/2(ξ1)UK,δ/2(ξ2) ⊆ UK,δ(ξ0) .

Per l’inverso, si ha

UK,δ(ξ0)−1 = UK,δ(ξ−10 ) .

Sia ora ξ ∈ G diverso dal carattere banale 1. Esiste allora x ∈ G tale che ξ(x) 6= 1. Se δ < |1 − ξ(x)|,allora 1 6∈ Ux,δ(ξ). Quindi 1 e chiuso e dunque G e T2.

Prima di poter dimostrare che G e localmente compatto dobbiamo introdurre la nozione di trasformata

di Fourier. Indichiamo con Cb(G) lo spazio delle funzioni continue e limitate su G con la norma ‖ ‖∞.

19

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20 2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI

Definizione. Sia f ∈ L1(G). Si chiama trasformata di Fourier di f la funzione f definita su G come

f(ξ) =

ˆG

f(x)ξ(x) dx .

Proposizione 1.2. La funzione f e continua e limitata su G e ‖f‖∞ ≤ ‖f‖1. Inoltre

f ∗ g = f g .

L’operatore F : L1(G) −→ Cb(G) che applica f in f e dunque continuo come operatore lineare ed e unomomorfismo di algebre.

Dimostrazione. Chiaramente, se f ∈ L1(G),∣∣f(ξ)∣∣ ≤ ˆ

G

∣∣f(x)∣∣ dx = ‖f‖1 ,

per cui f e limitata e ‖f‖∞ ≤ ‖f‖1.

Dato ε > 0 sia g ∈ Cc(G) tale che ‖f − g‖1 < ε e sia K = supp g. Dato ξ0 ∈ G, si prenda ξ ∈ UK,δ(ξ0).Allora ∣∣f(ξ)− f(ξ0)

∣∣ ≤ 2‖f − g‖∞ +

ˆK

∣∣g(x)∣∣∣∣ξ(x)− ξ0(x)

∣∣ dx < 2ε+ δ‖g‖1 ,

e, per δ sufficientemente piccolo,∣∣f(ξ)− f(ξ0)

∣∣ < 3ε.Infine

f ∗ g(ξ) =

ˆG

ˆG

f(x− y)g(y)ξ(x) dy dx

=

ˆG

ˆG

f(x)g(y)ξ(x+ y) dy dx

=

ˆG

ˆG

f(x)ξ(x)g(y)ξ(y) dy dx

= f(ξ)g(ξ) .

Vogliamo ora considerare G come sottoinsieme di L∞(G) e dimostrare che la topologia compatto-aperto

coincide con la topologia debole* di L∞(G) ristretta a G. A questo scopo occorre premettere alcuni lemmi.

Lemma 1.3. Ogni omomorfismo misurabile γ : G −→ T e continuo.

Dimostrazione. Per f ∈ L1(G),

(1.1) f ∗ γ(x) =

ˆG

f(y)γ(x− y) dy =(ˆ

G

f(y)γ(y) dy)γ(x) .

Essendo f ∗ γ continua, basta scegliere f in modo che´Gf(y)γ(y) dy 6= 0.

Data una funzione γ ∈ L∞(G), indichiamo con λγ il funzionale lineare continuo

λγ(f) =

ˆG

f(x)γ(x) dx

su L1(G). Si dice che λγ e moltiplicativo se vale l’identita

λγ(f ∗ g) = λγ(f)λγ(g) .

Lemma 1.4.

• Per f ∈ L1(G) e ξ ∈ G,

(1.2) f ∗ ξ = f(ξ)ξ .

• Ogni funzione non nulla γ ∈ L∞(G) che determini un funzionale lineare moltiplicativo su L1(G) eun carattere.

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1. GRUPPO DUALE E TRASFORMATA DI FOURIER 21

• Sia γ ∈ L∞(G) non nulla tale che f ∗ γ = µ(f)γ, con µ(f) ∈ C per ogni f ∈ L1(G); allora esistono

ξ ∈ G tale che µ(f) = f(ξ) e c ∈ C \ 0 tale che γ = cξ.

Dimostrazione. Il primo punto non e altro che la (1.1).Passando al secondo punto, supponiamo che λγ sia moltiplicativo. Allora, per ogni f, g ∈ L1(G),

λγ(f ∗ g) =

ˆG

ˆG

f(x)g(y)γ(x+ y) dy dx

= λγ(f)

ˆG

g(y)γ(y) dy .

Per l’arbitrarieta di g, ˆG

f(x)γ(x+ y) dx = λγ(f)γ(y)

=

ˆG

f(x)γ(x)γ(y) dx ,

per quasi ogni y ∈ G. Poiche il primo membro non e altro che f ∗ γ(−y), segue dalla prima uguaglianza cheγ e (equivalente a) una funzione continua. Per l’arbitrarieta di f , vale l’identita γ(x + y) = γ(x)γ(y) perquasi ogni (x, y) ∈ G×G. Per continuita essa vale per ogni (x, y).

Per il terzo punto, si osservi che, essendo γ 6= 0, esiste f0 ∈ L1(G) tale che

(1.3) µ(f0)γ(0) = f0 ∗ γ(0) =

ˆG

f0(−y)γ(y) dy 6= 0 .

Quindi µ(f0) 6= 0 e pertanto γ e continua. Essendo inoltre

(1.4) µ(τxf0)γ(x) = (τxf0) ∗ γ(x) =

ˆG

τxf0(x− y)γ(y) dy =

ˆG

f0(−y)γ(y) dy 6= 0 ,

e γ(x) 6= 0 per ogni x ∈ G.Essendo dunque γ 6= 0 come elemento di L∞(G), la disuguaglianza∣∣µ(f)

∥∥‖γ‖∞ =∥∥f ∗ γ∥∥∞ ≤ ‖f‖1‖γ‖∞ ,

per ogni f ∈ L1(G), implica che µ e un funzionale lineare continuo. Ma dall’ipotesi segue che

µ(f ∗ g)γ = f ∗ g ∗ γ = µ(g)f ∗ γ = µ(f)µ(g)γ ,

per cui µ e moltiplicativo. Sia ξ ∈ G tale che µ = λξ. La (1.2) diventa

f ∗ γ = f(ξ)γ .

Le uguaglianze in (1.3) e (1.4) mostrano che, per ogni f ∈ L1(G),

f(ξ)γ(0) = τxf(ξ)γ(x) = ξ(x)f(ξ)γ(x) .

Per l’arbitrarieta di f , si ricava che γ(x) = γ(0)ξ(x).

Nella topologia debole* un sistema fondamentale di intorni di ϕ0 ∈ L∞(G) e dato dagli insiemi

Vf1,...,fn,ε(ϕ0) =ϕ :∣∣λϕ(fj)− λϕ0(fj)

∣∣ < ε , ∀ j = 1, . . . , n,

al variare di ε, n e f1, . . . , fn ∈ L1(G).

Lemma 1.5.

• G ∪ 0 e compatto in L∞(G) rispetto alla topologia debole*, e dunque G e localmente compattorispetto a tale topologia.

• Ponendo su G la topologia indotta dalla topologia debole* di L∞(G), l’applicazione (x, ξ) 7−→ ξ(x)

da G× G in T e continua.

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22 2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI

Dimostrazione. Per il primo punto, si osservi che la proprieta di moltiplicativita di λϕ e chiusa per

la topologia debole* (ma non quella di non essere identicamente nullo). Quindi G ∪ 0 e chiuso. Essendocontenuto nella palla ϕ : ‖ϕ‖∞ ≤ 1, che e compatta per il Teorema di Banach-Alaoglu, e anche compatto.

Essendo la topologia debole* T2, segue che G e localmente compatto.

Per il secondo punto, dimostriamo preliminarmente che, dati f ∈ L1(G) e x0 ∈ G, ξ0 ∈ G, l’applicazione

(x, ξ) 7−→ f ∗ ξ(x) e continua in (x0, ξ0), considerando la topologia debole* su G. Si ha∣∣f ∗ ξ(x)−f ∗ ξ0(x0)∣∣ =

∣∣∣ˆG

f(x− y)ξ(y) dy −ˆG

f(x0 − y)ξ0(y) dy∣∣∣

=∣∣∣ˆG

f(x+ y)ξ(y) dy −ˆG

f(x0 + y)ξ0(y) dy∣∣∣

≤∣∣∣ˆG

f(x+ y)ξ(y) dy −ˆG

f(x0 + y)ξ(y) dy∣∣∣+∣∣∣ˆG

f(x0 + y)ξ(y) dy −ˆG

f(x0 + y)ξ0(y) dy∣∣∣

≤ˆG

∣∣f(y + x)− f(y + x0)∣∣ dy +

∣∣∣ ˆG

f(y + x0)(ξ(y)− ξ0(y)

)dy∣∣∣

= ‖τ−xf − τ−x0f‖1 +∣∣λξ(τ−x0f)− λξ0(τ−x0f)

∣∣ .Dato ε > 0, esiste un intorno U di x0 tale che, se x ∈ U , ‖τ−xf − τ−x0

f‖1 < ε. Se poi ξ ∈ Vτ−x0f,ε(ξ0),

si ha∣∣λξ(τ−x0f)− λξ0(τ−x0f)

∣∣ < ε. Dunque∣∣f ∗ ξ(x)− f ∗ ξ0(x0)

∣∣ < 2ε, cioe∣∣f(ξ)ξ(x)− f(ξ0)ξ0(x0)∣∣ < 2ε ,

per il Lemma 1.4.

Si prenda allora f tale che f(ξ0) = 1. Allora, se ξ ∈ Vf,ε(ξ0) ∩ Vτ−x0f,ε(ξ0) = Vf,τ−x0

f,ε(ξ0), si ha anche∣∣f(ξ)− 1∣∣ =

∣∣λξ(f)− λξ0(f)∣∣ < ε ,

da cui segue che∣∣ξ(x)− ξ0(x0)

∣∣ < 3ε per x ∈ U e ξ ∈ Vf,τ−x0f,ε(ξ0).

Teorema 1.6. La topologia compatto-aperto e quella indotta dalla topologia debole* di L∞(G) coincidono

su G. Quindi G e un gruppo topologico localmente compatto.

Dimostrazione. Si fissi ξ0 ∈ G. Dato un intorno nella topologia debole* Vf1,...,fn,ε(ξ0), sia K compattoin G tale che ˆ

G\K|fj(x)| dx < ε

4

per j = 1, . . . , n. Sia inoltre M = maxj ‖fj‖1. Se ξ ∈ UK,ε/2M (1), si ha∣∣∣ ˆG

fj(x)(ξ(x)− ξ0(x)

)dx∣∣∣ ≤ ˆ

K

|fj(x)|∣∣ξ(x)− ξ0(x)

∣∣ dx+ 2

ˆG\K|fj(x)| dx < ε .

Quindi UK,ε/2M (1) ⊆ Vf1,...,fn,ε(1).Viceversa, sia dato un intorno UK,ε(ξ0) nella topologia compatto-aperto. Dato y ∈ K, per il Lemma 1.5,

secondo punto, esistono un intorno S(y) di y in G e un intorno Vy di 1 in G nella topologia debole*, tali che∣∣ξ(x)− ξ0(y)∣∣ < ε/2 per ogni x ∈ S(y) e ξ ∈ Vy.

Siano x1, . . . , xn ∈ K tali che S(x1), . . . , S(xn) formino un ricoprimento di K, e sia V =⋂nj=1 Vxj . Se

ξ ∈ V , la disuguaglianza∣∣ξ(x)− ξ0(xj)

∣∣ < ε vale per ogni x ∈ K ∩ S(xj). Quindi la disuguaglianza∣∣ξ(x)− ξ0(x)∣∣ ≤ ∣∣ξ(x)− ξ0(xj)

∣∣+∣∣ξ0(xj)− ξ0(x)

∣∣ < ε ,

valida per ogni x ∈ K ∩ S(xj) implica che V ⊆ UK,ε.

La tabelle mostra alcune coppie G, G. Notazioni:

• per H < G, H⊥ = ξ ∈ G : ξ|H = 1;

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1. GRUPPO DUALE E TRASFORMATA DI FOURIER 23

G R T Z Zn Z∞2 G1 ×G2 H < G G/H

G R Z T Zn Z2,∞ G1 × G2 G/H⊥ H⊥

dualita eixξ einx einξ e2πipq/n∏n ξ

xnn

Tabella 1. Esempi di gruppi duali

• Zn = Z/nZ;• Z∞2 = ZN

2 con la topologia prodotto (gruppo di Cantor): x = (xn)n∈N, xn = 0, 1;• Z2,∞ =

⊕n∈N Z2 somma diretta di ℵ0 copie di Z2: ξ = (ξn)n∈N, ξn = ±1, definitivamente ξn = 1.

Essendo G localmente compatto, esso ammette a sua volta un gruppo dualeG. Esiste un omomorfismo

naturale di G inG che fa corrispondere a x ∈ G il carattere x(ξ) = ξ(x). Diamo senza dimostrazione il

fondamentale teorema seguente.

Teorema 1.7 (Teorema di dualita di Pontryagin). L’omomorfismo x 7−→ x e un isomorfismo e omeomor-

fismo di G suG.

Una volta stabilito che G ha un’unica topologia naturale e che questa e localmente compatta, possiamoprecisare meglio le proprieta della trasformata di Fourier di una funzione integrabile.

Corollario 1.8 (Teorema di Riemann-Lebesgue). Per ogni f ∈ L1(G), f ∈ C0(G).

Dimostrazione. Se G e compatto, non c’e niente da dimostrare. Se non e compatto, segue dal Lemma

1.5, secondo punto, che 0 e punto di accumulazione di G in L∞(G) rispetto alla topologia debole* e rappre-

senta il “punto all’infinito” nella compattificazione di Alexandrov di G. Data una funzione f ∈ L1(G), perdefinizione di topologia debole*, la funzione definita su L∞(G) da

u(ϕ) = λϕ(f) =

ˆG

f(x)ϕ(x) dx

e continua e la sua restrizione a G∪0 coincide con f su G e vale 0 in 0. Essendo gli intorni di 0 in G∪0i complementari dei compatti di G, ne consegue che, dato ε > 0, esiste un compatto K ⊂ G tale che, per

ogni ξ 6∈ K,∣∣f(ξ)

∣∣ < ε.

Teorema 1.9.

• G e compatto se e solo se G e discreto.• Se G e compatto, i suoi caratteri formano una base ortonormale di L2(G), rispetto alla misura di

Haar normalizzata.

Dimostrazione. Sia G compatto. Se ξ non e il carattere 1, ξ(G) e un sottogruppo compatto non banaledi T. Le possibilita sono: (a) ξ(G) = T, (b) ξ(G) e il sottogruppo delle radici n-esime dell’unita per qualche

n > 1. In tutti i casi esiste ζ ∈ ξ(G) tale che |1 − ζ| ≥√

3. Quindi l’intorno UG,√

3(1) e un singoletto. Per

invarianza per traslazioni, ogni elemento di G e isolato.

Se G e discreto, δ0 ∈ L1(G) e δ0(ξ) = 1 per ogni ξ ∈ G. Per il Corollario 1.8, G e compatto.Per il secondo punto, supponiamo G compatto. Allora caratteri e loro prodotti sono integrabili. Per il

Lemma 1.4, primo punto, dati due caratteri distinti ξ, ξ′, si ha

ξ ∗ ξ′ = ξ(ξ′)ξ′ = ξ′(ξ)ξ ,

per cui deve essere

ξ(ξ′) =

ˆG

ξ(x)ξ′(x) dx = 0 .

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24 2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI

Questo da l’ortogonalita dei caratteri. La normalizzazione e ovvia. Per dimostrare la completezzasi consideri il sottospazio P di L2(G) generato dai caratteri (spazio dei polinomi trigonometrici). Si puoapplicare il Teorema di Stone-Weierstrass in quanto

• P e chiuso rispetto al prodotto e alla coniugazione,• contiene le costanti,• separa i punti di G.

Il terzo punto richiede una dimostrazione. Per il Teorema di Pontryagin, dati x 6= y in G, il carattere xy−1

non e identicamente uguale a 1 su G. Quindi esiste ξ ∈ G tale che ξ(xy−1) 6= 1, da cui ξ(x) 6= ξ(y).Quindi P e uniformemente denso in C(G) e dunque denso in L2(G).

2. I teoremi fondamentali sulla trasformata di Fourier

Come teoremi fondamentali della trasformata di Fourier intendiamo i seguenti.

Teorema 2.1 (Formula di Plancherel). Sia f ∈ (L1∩L2)(G). Allora f ∈ L2(G). Inoltre, fissata una misura

di Haar su G, esiste una misura di Haar su G tale che, rispetto a tali misure,

(2.1) ‖f‖2 = ‖f‖2 ,

e l’operatore F : f 7−→ f si estende da (L1 ∩L2)(G) a un operatore unitario (isometria suriettiva) da L2(G)

a L2(G).

Si noti che questo consente di estendere l’operatore F a (L1 + L2)(G).

Teorema 2.2 (Formula di inversione). Sia f ∈ (L1 + L2)(G) e si supponga che f ∈ L1(G). Se le misure di

Haar su G e G sono tali che valga la (2.1), allora

f(x) =

ˆG

f(ξ)x(ξ) dξ =

ˆG

f(ξ)ξ(x) dξ .

Osserviamo che nel caso di G compatto, essi sono banali conseguenze dell’identita di Parseval e delleproprieta delle basi ortonormali in spazi di Hilbert (si tenga anche presente che L2 ⊆ L1). Nel caso G = Rn,ci sono molti modi semplici per dimostrare i due teoremi, per esempio utilizzando la densita dello spazio diSchwartz e le formule di trasformazione di funzioni Gaussiane.

Non dimostreremo questi teoremi nel caso generale. Diciamo solo che la dimostrazione che si trovacomunemente in letteratura e basata sul Teorema di Bochner, la cui enunciazione richiede alcune nozionipreliminari, che saranno riprese nel seguito.

Per prima cosa, osserviamo che la definizione di trasformata di Fourier si estende in modo naturale amisure di Radon finite su G. Per µ ∈M(G), poniamo

µ(ξ) =

ˆG

ξ(x) dµ(x) .

Lemma 2.3. La funzione µ e continua e limitata e ‖µ‖∞ ≤ ‖µ‖1.

La dimostrazione e analoga a quella della Proposizione 1.2, il cui intero enunciato si estende senza

sostanziali modifiche. Si noti che in generale µ 6∈ C0(G): per esempio, δ0 = 1.

Introduciamo quindi la nozione di funzione di tipo positivo (chiamata anche, un po’ impropriamente,definita positiva).

Definizione. Una funzione ϕ ∈ L∞(G) si dice di tipo positivo se, per ogni f ∈ Cc(G),

(2.2)

ˆG

(ϕ ∗ f)(x)f(x) dx ≥ 0 .

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2. I TEOREMI FONDAMENTALI SULLA TRASFORMATA DI FOURIER 25

La condizione f ∈ Cc(G) puo essere sostituita equivalentemente dalla condizione f ∈ L1(G). Se ϕe continua (e vedremo tra poco che coincide quasi ovunque con una funzione continua), un’altra condi-zione equivalente e che, per ogni scelta di punti x1, . . . , xn ∈ G e di numeri complessi ζ1, . . . , ζn, vale ladisuguaglianza

n∑j,k=1

ϕ(xk − xj)ζjζk ≥ 0 ,

ossia la matrice(ϕ(xk − xj)

)j,k

e semidefinita positiva.

Esempi di funzioni di tipo positivo su G sono

• i caratteri,

• le trasformate di Fourier di misure positive µ ∈M(G),

• le funzioni f ∗ f∗ con f ∈ L2(G), dove f∗(x) = f(−x).

Enunciamo il teorema che caratterizza le funzioni di tipo positivo come trasformate di Fourier di misurepositive.

Teorema 2.4 (Teorema di Bochner). Una funzione ϕ ∈ L∞(G) e di tipo positivo se e solo se esiste µ ∈M(G), µ ≥ 0, tale che ϕ = µ.

Passiamo a elencare alcune conseguenze dei teoremi enunciati.

Corollario 2.5.

• Per ogni f, g ∈ L2(G) vale l’identitaˆG

f(x)g(x) dx =

ˆG

f(ξ)g(ξ) dξ .

• Lo spazio F(L1(G)

)delle trasformate di Fourier di funzioni integrabili e denso in C0(G).

• (Teorema di unicita) Sia µ ∈M(G) tale che µ(ξ) = 0 per ogni ξ ∈ G. Allora µ = 0.

• (Teorema di Hausdorff-Young) Se p ∈ (1, 2) e f ∈ Lp(G), la trasformata di Fourier f e in Lp′(G) e

‖f‖p′ ≤ ‖f‖p .

Dimostrazione. Il primo punto segue direttamente dalla (2.1) per polarizzazione.Per il secondo, si applica la versione del Teorema di Stone-Weierstrass per spazi C0 su spazi topologici

T2 localmente compatti:

• F(L1) e chiuso per prodotti puntuali e per coniugazione, essendo f = f∗.

• Per ogni ξ ∈ G, esiste f ∈ L1(G) tale che f(ξ) 6= 0: basta prendere f = gξ, con g ≥ 0 integrabile enon identicamente nulla.• Per ogni ξ 6= ξ′ in G, esiste f ∈ L1(G) tale che f(ξ) 6= f(ξ′): a meno di sostituire f con fξ′,

possiamo supporre ξ′ = 1. Sia U un intorno aperto relativamente compatto di 0 in G abbastanza

grande perche esista x ∈ U per cui ξ(x) 6= 1. Se f = χU , si ha f(1) = m(U), mentre, essendo

<e ξ < 1 in un intorno di x, si avra <e f(ξ) < m(U).

Per il terzo punto, si prenda g ∈ L1(G) e si consideri la sua trasformata di Fourier, definita su G

g(x) =

ˆG

g(ξ)x(ξ) dξ .

Si ha ˆG

g(x) dµ(x) =

ˆG

ˆG

g(ξ)x(ξ) dξ dµ(x)

=

ˆG

g(ξ)

ˆG

ξ(x) dµ(x) dξ

=

ˆG

g(ξ)µ(ξ) dξ = 0 .

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26 2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI

Quindi µ annulla tutte le funzioni in F(L1(G)

), che e denso in C0(G). Dunque µ = 0.

Per il quarto punto, si osservi che, se 1 < p < 2, Lp(G) ⊂ (L1 +L2)(G), per cui la trasformata di Fourierdi f e ben definita: data f ∈ Lp(G), basta scomporre G nell’unione dell’insieme E+ dove |f | ≥ 1 ed E− dove|f | < 1. Allora fχE+ ∈ L1(G) e fχE− ∈ L2(G). Poiche

F :

L1(G) −→ L∞(G)

L2(G) −→ L2(G) ,

in entrambi i casi con norma ≤ 1, la conclusione segue dal Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin 0.2 inAppendice A.

3. Operatori invarianti per traslazioni e sottospazi invarianti di L2(G)

Un operatore lineare T che applica funzioni su G in funzioni su G si dice invariante per traslazioni secommuta con gli operatori τx, x ∈ G. Questo presuppone che T sia definito su uno spazio B che sia essostesso invariante per traslazioni:

f ∈ B , x ∈ G =⇒ τxf ∈ B .

Ci interessa considerare il caso in cui B e uno spazio di Banach invariante per traslazioni tale che

• ‖τxf‖B = ‖f‖B per ogni f ∈ B, x ∈ G;• l’applicazione x 7−→ fx da G in B sia continua.

In tal caso si dice che B e omogeneo. Questo e il caso di C0(G), Lp(G) per p <∞, M(G), ecc.Sono invarianti per traslazioni, purche ben definiti sullo spazio considerato, gli operatori di convoluzione

Tf = k ∗ f , dove il nucleo k e una funzione o una misura. Sono anche invarianti per traslazioni, semprepurche ben definiti, gli operatori della forma

(3.1) T = F−1MϕF ,

dove ϕ e una funzione su G (detta moltiplicatore di Fourier) e Mϕ e l’operatore di moltiplicazione per ϕ.Questo presuppone che la trasformata di Fourier sia ben definita sul dominio di T , o almeno su un suo

sottospazio denso. In linea di principio, gli operatori di convoluzione sono anche del tipo (3.1), con ϕ = k;questa affermazione e certamente corretta se i tre fattori nella (3.1) sono ben definiti e la loro composizionee fattibile1.

Solo in pochi casi si possono caratterizzare tutti gli operatori invarianti per traslazioni limitati tra duespazi di Banach B1, B2 di funzioni su G. I casi piu rilevanti sono i seguenti.

Teorema 3.1.

• Gli operatori invarianti per traslazioni e limitati da L1(G) in se sono tutti e soli gli operatori diconvoluzione Tf = µ ∗ f con µ ∈M(G), e ‖T‖ = ‖µ‖1.• Gli operatori invarianti per traslazioni e limitati da L2(G) in se sono tutti e soli gli operatori

Tf = F−1MϕF con ϕ ∈ L∞(G), e ‖T‖ = ‖ϕ‖∞.

Premettiamo due lemmi.

Lemma 3.2. Sia T un operatore invariante per traslazioni limitato da L1(G) in se. Per ogni coppia difunzioni u, v ∈ L1(G) vale l’identita

T (u ∗ v) = u ∗ T (v) .

1Su G = Rn o un suo quoziente, si ha molta piu duttilita che nel caso generale, potendosi utilizzare la classe di Schwartze la teoria delle distribuzioni.

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3. OPERATORI INVARIANTI PER TRASLAZIONI E SOTTOSPAZI INVARIANTI DI L2(G) 27

Dimostrazione. Interpretando u∗v come integrale di Bochner, u∗v =´Gu(y)τyv dy, per la continuita

di T si ha

T (u ∗ v) = T(ˆ

G

u(y)τyv dy)

=

ˆG

u(y)T (τyv) dy

=

ˆG

u(y)τyT (v) dy

= u ∗ T (v) .

Lemma 3.3. Sia T un operatore limitato da L2(G) in se che commuta con la moltiplicazione Mx per ogni

x ∈ G. Allora T commuta con la moltiplicazione Mψ per ogni ψ ∈ C0(G).

Dimostrazione. Consideriamo il caso ψ = u, con u ∈ Cc(G). Per f ∈ L2(G), la funzione

x 7−→ xf

di G in L2(G) e continua, per cui vale la formula

ψf =

ˆG

u(x)xf dx ,

come integrale di Bochner a valori in L2(G). Per la continuita di T ,

T (ψf) =

ˆG

u(x)T (xf) dx =

ˆG

u(x)xT (f) dx = ψT (f) .

Sia ora ψ una generica funzione in C0(G). Essendo Cc(G) denso in L1(G), segue che F(Cc(G)

)e

uniformemente denso in F(L1(G)

), e dunque in C0(G). Sia allora ψ limite uniforme di ψn = hn, con

hn ∈ Cc(G). Allora, per f ∈ L2(G),∥∥T (ψf)− ψ(Tf)∥∥

2≤∥∥T (ψf − ψnf)

∥∥2

+∥∥(ψn − ψ)Tf

∥∥2,

dove entrambi i termini tendono a 0.

Dimostrazione del Teorema 3.1. Se µ ∈ M(G), la disuguaglianza ‖µ ∗ f‖1 ≤ ‖µ‖1‖f‖1, v. (3.2)del Cap. 1, implica che l’operatore Tf = µ ∗ f e limitato su L1(G) con ‖T‖ ≤ ‖µ‖1.

Viceversa, sia T limitato su L1(G) e invariante per traslazioni, e si consideri l’identita approssimatacostituita dalle funzioni gU =

(1/m(U)

)χU , al variare di U in un sistema fondamentale di intorni di 0.

Essendo ‖gU‖1 = 1, le funzioni hU = T (gU ) ∈ L1(G) ⊂ M(G) hanno ‖hU‖1 ≤ ‖T‖. Per il Teorema diBanach-Alaoglu, la successione generalizzata delle hU ammente un punto limite (nella topologia debole*)µ ∈M(G) con ‖µ‖1 ≤ ‖T‖.

Sia allora f ∈ L1(G). Essendo f = limU f ∗ gU in norma L1, si ha anche

Tf = limUT (f ∗ gU ) = lim

Uf ∗ T (gU ) = f ∗ µ .

Passando al caso p = 2, osserviamo che, per la formula di Plancherel, un operatore T e limitato da L2(G)in se se e solo se l’operatore

T = FTF−1

e limitato da L2(G) in se. La formula

τxf(ξ) = ξ(x)f(ξ) ,

valida puntualmente per f ∈ L1(G), si estende a un’identita quasi ovunque per f ∈ L2(G). Quindi T

commuta con le traslazioni di G se e solo se T commuta con gli operatori di moltiplicazione per i caratteri

di G, Mx, con x ∈ G.

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28 2. ELEMENTI DI ANALISI DI FOURIER SU GRUPPI ABELIANI LOCALMENTE COMPATTI

Quindi, data ϕ ∈ L∞(G), l’operatore Mϕ su L2(G) commuta con le moltiplicazioni per caratteri e‖Mϕ‖ ≤ ‖ϕ‖∞, per cui T = F−1MϕF commuta con le traslazioni di G, e limitato su L2(G) e ‖T‖ =‖Mϕ‖ ≤ ‖ϕ‖∞.

Viceversa, sia T limitato su L2(G) e invariante per traslazioni. Allora T soddisfa le ipotesi del Lemma

3.3, per cui commuta con tutti gli operatori di moltiplicazione Mψ con ψ ∈ C0(G).

Dato un aperto relativamente compatto A in G, poniamo ϕA = TχA ∈ L2(G). Se f ∈ Cc(G) ha supportocontenuto in A, allora f = fχA per cui

Tf = T (fχA) = fϕA .

Siano ora A,A′ aperti relativamente compatti non disgiunti. Se f ∈ Cc(G) con supporto in A ∩A′,Tf = fϕA = fϕA′ .

Poiche per ogni compatto K ⊂ A ∩ A′ esiste una tale f con f(x) = 1 su K, segue che ϕA = ϕA′ quasiovunque su A∩A′. E’ dunque ben definita, unica a meno di insiemi di misura nulla, una funzione ϕ su tutto

G che coincide quasi ovunque con ϕA su ogni aperto A ed e tale che Tf = ϕf per ogni f ∈ Cc(G).Dato δ > 0, sia Eδ l’insieme misurabile su cui |ϕ| ≥ ‖T‖+ δ. Se fosse m(Eδ) > 0, esisterebbe E′δ ⊂ Eδ

con misura positiva e finita. Ma avremmo allora

‖T (χE′δ)‖2 = ‖ϕχE′δ‖2 ≥(‖T‖+ δ

)‖χE′δ‖2 ,

che e assurdo. Segue che m(Eδ) > 0 e, per l’arbitrarieta di δ, che |ϕ| ≤ ‖T‖ quasi ovunque.

Dalla seconda parte di questo teorema si ricava la caratterizzazione dei sottospazi chiusi di L2(G)invarianti per traslazioni.

Corollario 3.4. Sia V ⊂ L2(G) un sottospazio chiuso invariante per traslazioni. Allora esiste E Boreliano

in G tale che

(3.2) V = VE =f ∈ L2(G) : f = fχE

.

Viceversa, per ogni Boreliano E, lo spazio VE definito dalla (3.2) e chiuso e invariante per traslazioni.VE = VE′ se e solo se E ed E′ differiscono per un insieme di misura nulla.

Dimostrazione. Sia P il proiettore ortogonale su V , sottospazio chiuso invariante per traslazioni. Dataf ∈ L2(G), Pf e caratterizzato dalla condizione

‖f − Pf‖2 = min‖f − g‖2 : g ∈ V

.

Ma allora, per ogni x ∈ G,∥∥τxf − τx(Pf)∥∥

2= min

∥∥τxf − τxg‖2 : g ∈ V

= min∥∥τxf − g‖2 : g ∈ V

,

per cui P (τxf) = τx(Pf).

Se P commuta con le traslazioni, P e un operatore di moltiplicazione per una funzione ϕ ∈ L∞(G).Essendo un operatore idempotente, deve essere ϕ = χE per qualche Boreliano E. Il resto e ovvio.

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CAPITOLO 3

Elementi di teoria delle rappresentazioni

1. Rappresentazioni di gruppi

Nel Capitolo precedente abbiamo visto che l’analisi di Fourier su un gruppo abeliano localmente compattoG si svolge a partire dal gruppo degli omomorfismi continui di G nel toro T. Questi non sono piu sufficienti seG non e commutativo: ogni omomorfismo di G in T e infatti banale sul sottogruppo chiuso [G,G] generatodai commutatori xyx−1y−1 al variare di x, y ∈ G. Pertanto essi consentono solo l’analisi di funzioni suG/[G,G], che e commutativo.

Per gruppi non abeliani, occorre dunque, quanto meno, sostituire a T un gruppo altrettanto naturale,che sia a sua volta non abeliano. Questo conduce a considerare gli omomorfismi continui di un gruppo G sulgruppo U(n) delle matrici unitarie n × n, o, piu generalmente, sul gruppo U(H) degli operatori unitari suuno spazio di Hilbert H.

Ricordiamo che U ∈ L(H) si dice unitario se UU∗ = I e U∗U = I. In dimensione finita ciascuna delledue uguaglianze implica l’altra.

Definizione. Sia G un gruppo localmente compatto, e sia V uno spazio di Banach complesso non banale. Sichiama rappresentazione di G in V un omomorfismo π : G −→ L(V ) che sia continuo rispetto alla topologiaforte di L(V ).

Se V e uno spazio di Hilbert e π(x) e un operatore unitario per ogni x ∈ G, la rappresentazione π si diceunitaria.

La condizione di continuita imposta su π consiste nel richiedere che per ogni v ∈ V l’applicazionex 7−→ π(x)v sia continua da G in V . Essa implica la continuita congiunta in x e v.

Lemma 1.1. Sia π una rappresentazione di G in V . L’applicazione F (x, v) = π(x)v e continua da G× Vin V .

Dimostrazione. Sia x0 ∈ G e sia U un intorno compatto di x0. Per ogni v ∈ V ,

supx∈U‖π(x)v‖ <∞ .

Per il Teorema di Banach-Steinhaus, esiste una costante C tale che ‖π(x)‖ ≤ C per ogni x ∈ U .Fissiamo ora anche v0 ∈ V . Dato ε > 0, sia U ′ ⊂ U un intorno di x0 tale che

∥∥π(x)v0 − π(x0)v0

∥∥ < εper x ∈ U ′. Allora, se x ∈ U ′,∥∥π(x)v − π(x0)v0

∥∥ ≤ ∥∥π(x)v − π(x)v0

∥∥+∥∥π(x)v0 − π(x0)v0

∥∥ < C‖v − v0‖+ ε ,

da cui segue la tesi.

Per rappresentazioni unitarie, e sufficiente avere la continuita di π rispetto alla topologia debole peravere automaticamente la continuita forte.

29

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30 3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI

Lemma 1.2. Sia H uno spazio di Hilbert, e sia π un omomorfismo di G in U(H) debolmente continuo,tale cioe che, per ogni u, v ∈ H, l’applicazione x 7−→ 〈π(x)u, v〉 sia continua da G in C. Allora π e unarappresentazione.

Dimostrazione. Basta dimostrare la continuita forte di π in x0 = e. Sia v ∈ H. Dato ε > 0,esiste un intorno U di e tale che

∣∣〈π(x)v, v〉 − 〈v, v〉∣∣ < ε per ogni x ∈ U . In particolare, se x ∈ U ,

‖v‖2 −<e 〈π(x)v, v〉 < ε. Essendo anche∥∥π(x)v

∥∥ = ‖v‖, si ha∥∥π(x)v − v∥∥2

=∥∥π(x)v

∥∥2+ ‖v‖2 − 2<e 〈π(x)v, v〉 < 2ε .

Dati due elementi u, v ∈ H, la funzione continua x 7→ 〈π(x)u, v〉 di G in C si chiama un coefficientedella rappresentazione π; se u = v essa si chiama un coefficiente diagonale. La terminologia proviene dalcaso finito dimensionale, e dalla abituale rappresentazione di operatori lineari attraverso matrici.

Se lo spazio H su cui agisce la rappresentazione π ha dimensione d ≤ ∞, si dice che π ha dimensione d.

Definizione. Un sottospazio V di H si dice π-invariante (o semplicemente invariante) se π(x)V ⊆ V perogni x ∈ G.

Si verifica facilmente che, se V e invariante, anche V e invariante.

Definizione. Una rappresentazione π di G su H si dice irriducibile se gli unici sottospazi invarianti chiusidi H sono 0 e H stesso.

Se V e un sottospazio chiuso π-invariante, si ottiene una rappresentazione di G su V restringendo a Vciascuno degli operatori π(x). Si parla in tal caso di sottorappresentazione della rappresentazione data.

Lemma 1.3. Sia π una rappresentazione unitaria di G su uno spazio di Hilbert H. Se V ⊂ H e unsottospazio invariante, anche V ⊥ e invariante.

Dimostrazione. Sia u ∈ V ⊥. Per ogni x ∈ G e ogni v ∈ V si ha

〈π(x)u, v〉 = 〈u, π(x)∗v〉 = 〈u, π(x)−1v〉 = 〈u, π(x−1)v〉 = 0 ,

per cui π(x)u ∈ V ⊥.

Per rappresentazioni non unitarie, non e detto che ogni sottospazio invariante abbia un complementareche sia invariante. Si consideri per esempio la rappresentazione di R in C2 data da

π(t) =

(1 t0 1

).

Si verifica facilmente che il sottospazio V generato da t(1, 0) e l’unico sottospazio invariante proprio nonbanale.

Definizione. Sia π una rappresentazione di G su H. Un vettore v ∈ H si dice ciclico se il sottospaziogenerato da π(x)v : x ∈ G e denso in H.

Lemma 1.4. Una rappresentazione π su H e irriducibile se e solo se ogni elemento non nullo di H e ciclico.

Dimostrazione. Dato un vettore v ∈ H, sia V la chiusura del sottospazio generato da π(x)v : x ∈ G.Allora V e invariante. Quindi, se π e irriducibile, ogni v 6= 0 e ciclico.

Viceversa, se V e un sottospazio proprio non banale invariante, e v ∈ V e non nullo, il sottospaziogenerato da π(x)v : x ∈ G e contenuto in V e non e banale. Quindi v non e ciclico.

Da questo momento in poi consideriamo solo rappresentazioni unitarie su spazi di Hilbert.

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1. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI 31

Definizione. Siano π1, π2 due rappresentazioni unitarie di G su H1, H2 rispettivamente. Un operatoreA ∈ L(H1, H2) si dice un operatore di intrallacciamento da π1 a π2 se vale l’identita

(1.1) Aπ1(x) = π2(x)A , ∀x ∈ G .

Se esiste un operatore di intrallacciamento che sia unitario, le due rappresentazioni si dicono unitaria-mente equivalenti, o semplicemente equivalenti1.

In altri termini, due rappresentazioni equivalenti si ottengono l’una dall’altra per coniugazione con unoperatore unitario. Indichiamo con I(π1, π2) lo spazio degli operatori di intrallacciamento da π1 a π2.

Si vede facilmente che:

• se A ∈ I(π1, π2), A∗ ∈ I(π2, π1);• se A ∈ I(π1, π2) e B ∈ I(π2, π3), allora BA ∈ I(π1, π3).

Pertanto, se π1 = π2 = π, I(π, π) e una C∗-sottoalgebra di L(H). Essa consiste degli operatori checommutano con ogni π(x).

Teorema 1.5 (Lemma di Schur).

• Una rappresentazione unitaria π e irriducibile se e solo se I(π, π) e costituita dai soli multipliscalari dell’identita.

• Siano π1 e π2 due rappresentazioni unitarie irriducibili. Se esse sono equivalenti, e U ∈ I(π1, π2)e un particolare operatore unitario di intrallacciamento, allora I(π1, π2) = CU . Se π1 e π2 nonsono equivalenti, I(π1, π2) = 0.

Dimostrazione. Primo punto. Se π e riducibile, sia V un sottospazio invariante chiuso, proprio enon banale di H. Se P e il proiettore ortogonale di H su V , allora, dato v ∈ H, si ha π(x)Pv ∈ V eπ(x)(v − Pv) ∈ V ⊥ per il Lemma 1.3. Quindi la scomposizione

π(x)v = π(x)Pv + π(x)(v − Pv)

e ortogonale e dunque Pπ(x)v = πxPv, da cui P ∈ I(π, π). Quindi I(π, π) contiene operatori che non sonomultipli scalari dell’identita.

Viceversa, supponiamo che I(π, π) contenga un operatore A 6= cI. Esso contiene allora anche A + A∗

e i(A − A∗), che sono autoaggiunti. Almeno uno dei due, che chiameremo B, non e un multiplo scalaredell’identita.

Sia E la misura spettrale di B. Per il Teorema spettrale, lo spettro σ(B) di B contiene piu di unpunto, perche, se fosse σ(B) = λ0, avremmo B =

´σ(B)

λ dE(λ) = λ0I, contro l’ipotesi. Esistono allora

due Boreliani disgiunti ω1, ω2 ⊂ σ(B) tali che E(ω1), E(ω2) 6= 0. Essendo E(ω1)E(ω2) = 0, segue cheE(ω1), E(ω2) 6= I.

Sempre per il Teorema spettrale, il fatto che π(x) commuta con B implica che E(ω1), E(ω2) ∈ I(π, π).Se Vj = E(ωj)H e v ∈ Vj ,

π(x)v = π(x)E(ωj)v = E(ωj)π(x)v ,

per cui π(x)v ∈ V . Quindi π ammette un sottospazio invariante proprio non banale.Secondo punto. Siano ora π1, π2 irriducibili e tra loro equivalenti. Sia U unitario in I(π1, π2). Se A ∈I(π1, π2), allora U−1A ∈ I(π1, π1). Per la prima parte della dimostrazione, U−1A = cI, da cui A = cU .

Se π1, π2 sono irriducibili ma non equivalenti, sia A ∈ I(π1, π2). Allora A∗ ∈ I(π2, π1) e dunqueA∗A ∈ I(π1, π1), AA∗ ∈ I(π2, π2).

Per la prima parte della dimostrazione, A∗A = c1IH1 e AA∗ = c2IH2 . Deve essere c1 = c2 = c ≥ 0,perche A∗A e AA∗ sono entrambi semidefiniti positivi e ‖A∗A‖ = ‖AA∗‖ = ‖A‖2. Se fosse c > 0, allora

U = c−12A sarebbe unitario, ma questo e assurdo perche π1 e π2 non sono equivalenti. Quindi c = 0, da cui

A = 0.

1Questa semplificazione del linguaggio ci e comoda, ma non e del tutto corretta. Si dice infatti che due rappresentazionitra generici spazi di Banach sono equivalenti se esiste un operatore A invertibile per cui vale (1.1). Per rappresentazioni suspazi di Hilbert occorrerebbe quindi distinguere tra le nozioni di “equivalenza” e di “equivalenza unitaria”.

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32 3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI

Corollario 1.6. Sia G abeliano. Le rappresentazioni unitarie irriducibili di G hanno dimensione 1 e, ameno di equivalenza, sono in corrispondenza biunivoca con i caratteri di G.

Dimostrazione. Sia π una rappresentazione unitaria irriducibile di G su uno spazio di Hilbert H.Poiche G e abeliano, dato x ∈ G, l’operatore π(x) commuta con π(y) per ogni y ∈ G. Per il Lemma diSchur, π(x) = γ(x)I, con γ(x) ∈ C. Se fosse dimH > 1, ogni sottospazio di dimensione 1 sarebbe invariante.Quindi dimH = 1.

Essendo π unitaria, |γ(x)| = 1. Fissato v ∈ H non nullo, l’applicazione x 7→ π(x)v e continua, per cui γe continua. Poiche π(x+ y) = π(x)π(y), γ e un carattere.

Siano ora π1, π2 due rappresentazioni di dimensione 1 su due spazi di Hilbert H1 e H2, e siano γ1, γ2 icaratteri corrispondenti. Se γ1 = γ2, basta fissare vj ∈ Hj di norma 1, per j = 1, 2, e porre Uv1 = v2 peravere un operatore unitario U ∈ I(π1, π2).

Se invece γ1 e γ2 sono distinti, sia A ∈ I(π1, π2). Allora Aπ1(x) = γ1(x)A, mentre π2(x)A = γ2(x)A.Per avere uguaglianza per ogni x, deve essere A = 0. Quindi π1 e π2 non sono equivalenti.

Esempi.

(1.a) Sia G = U(n) il gruppo unitario di ordine n, costituito dalle matrici n× n tali che UU∗ = I. Sia π larappresentazione unitaria di G su H = Cn data dal prodotto matrice per vettore

π(g)v = gv .

Siano u, v ∈ Cn con ‖u‖ = ‖v‖ = 1. Se u1, . . . , un e v1, . . . , vn sono basi ortonormali di Cn conu1 = u e v1 = v, l’applicazione lineare T tale che Tuj = vj per ogni j e unitaria. Se g e la matrice cherappresenta T nella base canonica, gu = v.

Questo implica che V un sottospazio proprio non banale non puo essere invariante. Dunque π eirriducibile.

Il Lemma di Schur implica che ogni applicazione A ∈ I(π, π) e un multiplo scalare dell’identita. Daquesto segue che il centro di G e costituito dalle matrici λI con |λ| = 1.

Consideriamo ora la rappresentazione

π(g)v = gv ,

sempre di G su Cn. Sarebbe sbagliato concludere che π e π sono equivalenti sulla base del fatto che l’operatoreUv = v soddisfa la condizione Uπ(g) = π(g)U : infatti U non e lineare, ma antilineare.

In realta le due rappresentazioni non sono equivalenti. Si prenda ad esempio una matrice g ∈ U(n)diagonale con coefficienti eiθj sulla diagonale principale, j = 1, . . . , n. Se A ∈ I(π, π), si ha

Aπ(g)ej = Agej = eiθjAej = π(g)Aej = gAej .

Se Aej 6= 0, segue che g ammette eiθj come autovalore, e dunque g ammette e−iθj come autovalore.Scegliendo g diagonale in modo che nessuna coppia eiθ, e−iθ compaia sulla diagonale, si vede che devenecessariamente essere A = 0.

(1.b) Sia sempre G = U(n), sia H lo spazio delle matrici n× n, e sia σ la rappresentazione di G su H datada

σ(g)A = gAg−1

(si verifichi che questa e effettivamente una rappresentazione). Su H introduciamo il prodotto scalare diHilbert-Schmidt

〈A,B〉 = tr (AB∗) .

Allora

〈σ(g)A,B〉 = tr (gAg−1B∗) = tr (Ag−1B∗g) = tr(A(g−1Bg)∗

)= 〈A, σ(g−1)B〉 ,

per cui σ e unitaria. Si vede facilmente che il sottospazio V = CI e invariante, per cui σ e riducibile.

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2. RAPPRESENTAZIONI DI L1(G) 33

(1.c) Sia G un gruppo localmente compatto con una misura di Haar sinistra m` fissata, e sia H = L2(G,m`).Si chiama rappresentazione regolare sinistra di G la rappresentazione L su L2(G,m`) data da

(L(g)f

)(x) =

f(g−1x).La rappresentazione regolare destra R su L2(G,mr) si definisce in modo analogo (v. Capitolo II, paragrafo

1).Le due rappresentazioni sono equivalenti. Per verificare cio, basta considerare il caso in cui dmr(x) =

∆(x)−1 dm`(x). Allora l’operatore U dato da (Uf)(x) = f(x−1) e unitario e in I(L,R).

(1.d) Sia ora G un gruppo abeliano localmente compatto. La rappresentazione regolare L e equivalente alla

rappresentazione π su L2(G) data da (π(x)f

)(ξ) = ξ(x)f(ξ) .

Un operatore di intrallacciamento e dato dalla trasformata di Fourier.

(1.e) (si veda il par. 3 del Cap. 2) Sia G abeliano compatto, e sia L la rappresentazione regolare2 di

G su L2(G). Dato un carattere ξ ∈ G, il sottospazio unidimensionale Cγ e invariante. Si ha quindi ladecomposizione

(1.2) L2(G) =∑ξ∈G

⊕Cξ ,

in somma diretta di sottospazi invarianti minimali.Se G e abeliano, ma non compatto, non si ha una simile decomposizione. In luogo di L, si consideri la

rappresentazione equivalente π dell’Esempio (1.d). Dato un Boreliano E ⊂ G con misura di Haar positiva,sia

VE = f ∈ L2(G) : supp f ⊆ E .Essendo la topologia di G non discreta, si puo costruire una successione Ej di intorni del carattere 1 G

tali che Ej+1 ⊂ Ej e 0 < m(Ej) < 2−j per ogni j. I corrispondenti sottospazi invarianti VEj sono allorainclusi l’uno nell’altro e la loro intersezione e banale.

2. Rappresentazioni di L1(G)

Definizione. Sia A un’algebra di Banach con involuzione, e sia H uno spazio di Hilbert. Si chiama *-rappresentazione di A su H uno *-omomorfismo continuo3 di A in L(H). Una *-rappresentazione π si dicenon degenere se l’unico vettore v ∈ H tale che π(a)v = 0 per ogni a ∈ A e v = 0.

Sia ora π una rappresentazione unitaria di un gruppo localmente compatto G su uno spazio di HilbertH. Supporremo per semplicita G unimodulare, anche se molti risultati si estendono al caso non unimodularecon opportune modifiche nelle dimostrazioni o negli enunciati.

Fissiamo una misura di Haar su G. Data f ∈ L1(G), poniamo

(2.1) π(f) =

ˆG

f(x)π(x) dx .

L’integrale (2.1) converge nella topologia forte di L(H), in quanto, per ogni v ∈ H, la funzione cheapplica x in π(x)v e continua. Inoltre∥∥π(f)v

∥∥ ≤ ˆG

|f(x)|∥∥π(x)v

∥∥ dx = ‖v‖‖f‖1 ,

da cui

(2.2)∥∥π(f)

∥∥ ≤ ‖f‖1 .2Non ha senso distinguere tra destra e sinistra.3Rispetto alla topologia indotta dalla norma su L(H).

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34 3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI

Proposizione 2.1. Ogni rappresentazione unitaria π di G su H induce, attraverso la (2.1), una *-rappresentazione,ancora indicata con π, da L1(G) in L(H) non degenere.

Viceversa, se π e una *-rappresentazione non degenere da L1(G) in L(H), esiste una e una solarappresentazione unitaria, che pure indichiamo con π, di G su H per cui valga la (2.1).

Dimostrazione. Sia π una rappresentazione unitaria di G su H. Chiaramente l’applicazione f 7→ π(f)data dalla (2.1) e lineare. Inoltre

π(f ∗ g)v =

¨G×G

f(y)g(y−1x)π(x)v dy dx

=

¨G×G

f(y)g(z)π(yz) dy dz

=

¨G×G

f(y)g(z)π(y)π(z) dy dz

= π(f)π(g)v .

Per quanto riguarda l’involuzione (v. Corollario 4.4 del Capitolo II), si ha

〈π(f∗)u, v〉 =

ˆG

f(x−1)〈π(x)u, v〉 dx

=

ˆG

f(x)〈π(x−1)u, v〉 dx

=

ˆG

f(x)〈v, π(x)∗u〉 dx

=

ˆG

f(x)〈π(x)v, u〉 dx

= 〈π(f)v, u〉= 〈π(f)∗u, v〉 .

Quindi π e uno *-omomorfismo. Esso e continuo per la (2.2). Per vedere che e non degenere, sia v taleche π(f)v = 0 per ogni f ∈ L1(G). Allora, se ϕi e un’identita approssimata, per ogni w ∈ H,

0 = limi〈π(ϕi)v, w〉 = lim

i

ˆG

ϕi(x)〈π(x)v, w〉 dx = 〈π(e)v, w〉 ,

da cui v = 0.Viceversa, sia π una *-rappresentazione non degenere di L1(G) in L(H). Per poter procedere con la

dimostrazione, premettiamo un paio di considerazioni.La prima considerazione riguarda il comportamento di π rispetto alla convoluzione. Siano f ∈ L1(G) e

g ∈ Cc(G). Allora

(2.3) π(g ∗ f) =

ˆG

g(y)π(Lyf) dy .

La seconda considerazione riguarda la densita in H del sottospazio generato dagli elementi π(f)v alvariare di f ∈ L1(G) e di v ∈ H. Sia

H0 = span π(f)v : f ∈ L1(G) , v ∈ H ⊆ H .

Se u ⊥ H0, allora 〈u, π(f)v〉 = 0 per ogni f e ogni v. Ma allora 〈π(f∗)u, v〉 = 0, da cui π(f∗)u = 0 perogni f . Poiche π e non degenere, u = 0. Dunque H0 e denso in H.

Sia ora u =∑j π(fj)vj ∈ H0. Definiamo

(2.4) π(x)u =∑j

π(Lxfj)vj .

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2. RAPPRESENTAZIONI DI L1(G) 35

Mostriamo che questa e una buona definizione. Dobbiamo far vedere che, se∑j

π(fj)vj =∑k

π(f ′k)v′k ,

allora ∑j

π(Lxfj)vj =∑k

π(Lxf′k)v′k .

Sia ϕi un’identita approssimata con ϕi ∈ Cc(G). Allora

limi

(Lxϕi) ∗ fj = limiδx ∗ ϕi ∗ fj = lim

iLx(ϕi ∗ fj) = Lxf

in L1(G), e analogamente per le f ′k. Per ogni i,∑j

π(Lx(ϕi ∗ fj)

)vj =

∑j

π(Lxϕi)π(fj)vj = π(Lxϕi)π(f ′k)v′k = π(Lx(ϕi ∗ f ′k)

)v′k .

Passando al limite rispetto a i, si ottiene l’uguaglianza richiesta.La (2.4) definisce dunque un’applicazione lineare π(x) da H0 in se. Per la (2.4), essa ha la proprieta che

π(x)π(f)v = π(Lxf)v ,

per ogni v ∈ H e ogni f ∈ L1(G).Chiaramente π(e) = I e π(xy) = π(x)π(y). Inoltre,dati

u =∑j

π(fj)vj , u′ =∑k

π(f ′k)v′k

in H0,

〈π(x)u, u′〉 =∑j,k

〈π(Lxfj)vj , π(f ′k)v′k〉

=∑j,k

limi〈π((Lxϕi) ∗ fj

)vj , π(f ′k)v′k〉

=∑j,k

limi〈π(fj)vj , π(Lxϕi)

∗π(f ′k)v′k〉

=∑j,k

limi〈π(fj)vj , π

((Lxϕi)

∗ ∗ f ′k)v′k〉

=∑j,k

limi〈π(fj)vj , π

((Rxϕ

∗i ) ∗ f ′k

)v′k〉 .

Ma(Rxϕ

∗i ) ∗ f ′ = ϕ∗i ∗ δx−1 ∗ f ′

= ϕ∗i ∗ (Lx−1f ′) ,

per cui

〈π(x)u, u′〉 =∑j,k

limi〈π(fj)vj , π

(ϕ∗i ∗ (Lx−1f ′k)

)v′k〉

= 〈π(fj)vj , π(Lx−1f ′k)v′k〉= 〈u, π(x−1)u′〉 .

Quindi π(x)∗π(x) = π(x)π(x)∗ = I su H0. In particolare, ‖π(x)‖ = 1 e π(x) si estende per continuita aun operatore unitario, che chiamiamo π(x), su H. Per la (2.4), π(x)u e funzione continua di x per u ∈ H0.Un semplice argomento di approssimazione mostra che cio vale per un generico u ∈ H.

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36 3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI

Infine, se f ∈ Cc(G) e u = π(g)v ∈ H0, per la (2.3)

π(f)u = π(f ∗ g)v

=

ˆG

f(x)π(Lxg)v dx

=

ˆG

f(x)π(x)u dx .

Per densita, la (2.1) vale per ogni u ∈ H, e quindi anche per ogni f ∈ L1(G).

3. Rappresentazioni unitarie e funzioni di tipo positivo

La nozione di funzione di tipo positivo e stata data per gruppi abeliani nel Capitolo 2. La definizione siestende a gruppi non abeliani imponendo che ϕ sia continua e che, per ogni scelta dei punti x1, . . . , xn ∈ Ge dei numeri ξ1, . . . , ξn ∈ C, si abbia

(3.1)

n∑j,k=1

ϕ(x−1k xj)ξjξk ≥ 0 .

Analogamente a quanto visto nel Capitolo 2, una funzione di tipo positivo e limitata e ‖ϕ‖∞ = ϕ(e).Vale inoltre l’identita

ϕ(x−1) = ϕ(x) .

Come per i gruppi abeliani, la (0.4) equivale a ciascuna delle due condizioni

(3.2)

ˆG

(ϕ ∗ f)(x)f(x) dx ≥ 0 ,

ˆG

(f ∗ ϕ)(x)f(x) dx ≥ 0 ,

per ogni f ∈ Cc(G). L’integrale nella (4.2) e fatto rispetto a una misura di Haar destra o sinistra. Nelseguito supporremo G unimodulare.

In questo paragrafo vogliamo analizzare le relazioni tra rappresentazioni unitarie e funzioni di tipopositivo.

Lemma 3.1. Sia π una rappresentazione unitaria di un gruppo localmente compatto G su H e sia v ∈ H.Il coefficiente diagonale ϕ(x) = 〈π(x)v, v〉 e di tipo positivo.

Dimostrazione. Chiaramente ϕ e continua. dati x1, . . . , xn ∈ G e ξ1, . . . , ξn ∈ C,n∑

j,k=1

ϕ(x−1k xj)ξjξk =

n∑j,k=1

ξjξk〈π(xk)−1π(xj)v, v〉

=

n∑j,k=1

ξjξk〈π(xj)v, π(xk)v〉

=

⟨∑j

ξjπ(xj)v,∑k

ξkπ(xk)v

⟩≥ 0 .

Corollario 3.2. Se h ∈ L2(G), la funzione ϕ = h ∗ h∗ e di tipo positivo.

Dimostrazione. Sia L la rappresentazione regolare sinistra di G su L2(G) (v. Esempio 1.c). Allora

〈Lxh, h〉 =

ˆG

h(x−1y)h(y) dy =

ˆG

h(y)h∗(y−1x) dy = h ∗ h∗(x) .

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3. RAPPRESENTAZIONI UNITARIE E FUNZIONI DI TIPO POSITIVO 37

Il Lemma 0.3 ammette un inverso. Nell’enunciato che segue inglobiamo anche un importante teoremadi continuita per funzioni limitate che soddisfino la (4.2).

Teorema 3.3. Sia ϕ una funzione in L∞(G) \ 0 che soddisfi la (4.2) per ogni f ∈ Cc(G). Esistonoallora una rappresentazione unitaria π di G su uno spazio di Hilbert H e un elemento v ∈ H tali cheϕ(x) = 〈π(x)v, v〉 quasi ovunque. In particolare, ϕ coincide quasi ovunque con una funzione continua di tipopositivo.

Dimostrazione. Su Cc(G) introduciamo la forma sesquilineare

(3.3) 〈f, g〉ϕ =

ˆG×G

f(x)g(y)ϕ(y−1x) dx dy .

Per la (4.2) essa e semidefinita positiva. Essendo ϕ(x−1) = ϕ(x), essa e Hermitiana.Indichiamo con ψi un’identita approssimata in Cc(G). Allora, se ϕ(x) = ϕ(x−1),

(3.4)

limi〈f, ψi〉ϕ = lim

i

ˆG×G

f(x)ψi(y)ϕ(y−1x) dx dy

= limi

ˆG

(f ∗ ϕ)(y)ψi(y) dy

= f ∗ ϕ(e)

=

ˆG

f(x)ϕ(x) dx .

Quindi la forma non e identicamente nulla. Per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz,

(3.5)∣∣〈f, g〉ϕ∣∣2 ≤ 〈f, f〉ϕ〈g, g〉ϕ .

Quindi N = f : 〈f, f〉ϕ = 0 e un sottospazio vettoriale di Cc(G). Il quoziente Cc(G)/N non ebanale e la forma (3.3) induce su di esso una struttura di spazio pre-Hilbertiano. Indichiamo con H il suocompletamento e con 〈 , 〉 il prodotto scalare su H.

Dati x ∈ G e f, g ∈ Cc(G), si ha

〈Lxf, Lxg〉ϕ =

ˆG×G

f(x−1y)g(x−1z)ϕ(z−1y) dy dz

=

ˆG×G

f(y)g(z)ϕ(z−1y) dy dz

= 〈f, g〉ϕ .

In particolare, se f ∈ N , anche Lxf ∈ N , per cui Lx passa al quoziente, dando luogo a un operatoreunitario su Cc(G)/N . Indichiamo con π(x) l’estensione continua di tale operatore ad H. Allora π e unarappresentazione unitaria di G su H.

Per la (3.4), ∣∣∣∣ˆG

f(x)ϕ(x) dx

∣∣∣∣2 ≤ 〈f, f〉ϕ supi〈ψi, ψi〉ϕ

≤ 〈f, f〉ϕ supi‖ψi‖21‖ϕ‖∞

≤ C〈f, f〉ϕ .

Quindi il funzionale che applica f in´Gf(x)ϕ(x) dx passa al quoziente modulo N e induce un funzionale

continuo su H. Esiste allora un elemento v ∈ H non nullo e tale che, indicando con f la proiezione di f suCc(G)/N ⊂ H,

〈f , v〉 =

ˆG

f(x)ϕ(x) dx .

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38 3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI

Per la (3.4), v e il limite debole in H dei ψi. Quindi

〈π(x)v, f〉 = 〈v, π(x−1)f〉= lim

i〈ψi, Lx−1f〉ϕ

= limi

ˆG×G

ψi(y)f(xz)ϕ(z−1y) dy dz

= limi

ˆG

ψi(y)

(ˆG

f(xz)ϕ(z−1y) dz

)dy

=

ˆG

f(xz)ϕ(z−1) dz .

Infine

〈π(x)v, v〉 = limi〈π(x)v, ψi〉

= limi

ˆG

ψi(xz)ϕ(z−1) dz

= limi

(ψi ∗ ϕ)(x) .

Nella topologia debole* di L∞(G), limi ψi ∗ ϕ = ϕ. Ma essendo∣∣(ψi ∗ ϕ)(x)

∣∣ ≤ C‖ϕ‖∞, il criterio di

convergenza dominata implica che per ogni h ∈ L1(G)

limi

ˆG

h(x)(ψi ∗ ϕ)(x) dx =

ˆG

h(x)〈π(x)v, v〉 dx .

Quindi ϕ(x) = 〈π(x)v, v〉 quasi ovunque.

Data una funzione di tipo positivo ϕ, ci si puo chiedere se e unica la rappresentazione di cui ϕ ecoefficiente diagonale. Semplici considerazioni mostrano che questo non puo essere vero. Infatti se π e π′

sono due rappresentazioni equivalenti, esse hanno gli stessi coefficienti: se U e un operatore unitario diintrallacciamento tra di esse, allora

(3.6) 〈π(x)u, v〉 = 〈U−1π′(x)Uu, v〉 = 〈π′(x)Uu,Uv〉 .

Occorre quindi domandarsi se la rappresentazione e unica a meno di equivalenza. Ma anche cosı larisposta e negativa. Sia ϕ(x) = 〈π(x)v0, v0〉, con π rappresentazione unitaria su uno spazio di Hilbert H.

Sia H = H ⊕H ′, dove H ′ e un altro spazio di Hilbert, e sia π(x)(v + v′) = π(x)v, se v ∈ H, v′ ∈ H ′. Allora〈π(x)(v0 + 0), v0 + 0〉 = ϕ(x).

Bisogna quindi imporre una condizione di minimalita su H. Richiediamo allora che H sia generato dav, ossia che v sia ciclico.

Teorema 3.4. Siano π, π′ due rappresentazioni unitarie di G su H e H ′ rispettivamente, e siano v ∈ H,v′ ∈ H ′ vettori ciclici tali che 〈π(x)v, v〉 = 〈π′(x)v′, v′〉 per ogni x ∈ G. Allora π e π′ sono equivalenti, edesiste un operatore unitario di intrallacciamento U da H in H ′ tale che Uv = v′.

Dimostrazione. Sia H0 il sottospazio denso di H costituito dalle combinazioni lineari finite dei vettoriπ(x)v. Se w =

∑j cjπ(xj)v, definiamo

Uw =∑j

cjπ′(xj)v

′.

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4. RAPPRESENTAZIONI IRRIDUCIBILI E FUNZIONI DI TIPO POSITIVO 39

Questa e una buona definizione, perche se∑j cjπ(xj)v = 0, allora∥∥∥∥∑

j

cjπ′(xj)v

′∥∥∥∥2

=∑j,k

cjck〈π′(xj)v′, π′(xk)v′〉

=∑j,k

cjckϕ(x−1k xj)

=∑j,k

cjck〈π(xj)v, π(xk)v〉

=

∥∥∥∥∑j

cjπ(xj)v

∥∥∥∥2

= 0 .

Lo stesso calcolo mostra che U e un’isometria. Poiche v′ e ciclico, UH0 e denso in H ′, quindi U eunitario. Che U sia un operatore di intrallacciamento e ovvio.

Consideriamo ora le coppie (π, v), dove π e una rappresentazione unitaria di G su uno spazio di HilbertH e v ∈ H ha norma unitaria ed e π-ciclico. Stabiliamo tra tali coppie la relazione di equivalenza per cui(π, v) ∼ (π′, v′) se esiste un operatore unitario di intrallacciamento U tra π e π′ tale che Uv = v′. Indichiamocon E l’insieme di tali classi di equivalenza.

Corollario 3.5. L’applicazione che associa alla classe di equivalenza di (π, v) il coefficiente ϕ(x) = 〈π(x)v, v〉stabilisce una corrispondenza biunivoca tra E e l’insieme delle funzioni di tipo positivo su G non identica-mente nulle.

Dimostrazione. L’applicazione e ben definita per la (3.6). Per il Teorema 4.4 essa e iniettiva. Pervedere che e suriettiva, data ϕ di tipo positivo non identicamente nulla, si costruiscano H, π e v come nelTeorema 4.3. Se H0 e il sottospazio chiuso di H generato dai vettori π(x)v al variare di x ∈ G, la coppia(π|H0

, v) e quanto richiesto per concludere la dimostrazione.

4. Rappresentazioni irriducibili e funzioni di tipo positivo

Per comprendere piu a fondo i legami tra rappresentazioni unitarie di G e funzioni di tipo positivo,discutiamo l’irriducibilita della rappresentazione associata a una data funzione di tipo positivo sulla base delCorollario 3.5.

Le funzioni di tipo positivo su G formano un cono convesso in L∞(G): se ϕ1, ϕ2 sono di tipo positivo ec1, c2 ≥ 0, anche c1ϕ1 + c2ϕ2 e di tipo positivo. Questo segue facilmente dalla (0.4).

Indichiamo con P tale cono, e sia P1 il sottoinsieme di P costituito dalle ϕ tali che ‖ϕ‖∞ ≤ 1. AlloraP1 e convesso. Si noti che P1 coincide con l’insieme delle ϕ ∈ P tali che ϕ(e) ≤ 1.

Nella topologia debole* di L∞(G), P1 e chiuso. Questo segue dal fatto che se una successione genera-lizzata ϕi ⊂ P1 converge a ϕ ∈ L∞(G), allora ϕ soddisfa la (4.2) e ‖ϕ‖∞ ≤ 1. Per il Teorema 4.3, ϕ e ditipo positivo.

Per il Teorema di Banach-Alaoglu, P1 e compatto nella topologia debole*. Il Teorema di Krein-Milmanimplica allora che P1 e l’inviluppo convesso chiuso dell’insieme dei suoi punti estremali, e di conseguenza ognifunzione di tipo positivo e approssimabile con combinazioni lineari a coefficienti positivi di punti estremalidi P1.

Teorema 4.1. Gli elementi estremali di P1 sono ϕ(x) = 0 e le funzioni ϕ(x) = 〈π(x)v, v〉, con π unitariairriducibile e ‖v‖ = 1.

Dimostrazione. Chiaramente l’origine e estremale, perche se ϕ e −ϕ sono entrambe di tipo positivo,allora ϕ = 0.

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40 3. ELEMENTI DI TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI

Se ϕ 6= 0, per il Teorema 4.3 ϕ(x) = 〈π(x)v, v〉, con π unitaria e v ciclico. Poiche ‖ϕ‖∞ = ϕ(e) = ‖v‖2,perche ϕ sia estremale e necessario che ‖v‖ = 1. Supponiamo quindi che tale condizione sia soddisfatta.

Se π e riducibile, siano H1, H2 sottospazi chiusi invarianti non banali, con H2 = H⊥1 . Indichiamo conPj il proettore ortogonale di H su Hj , e con πj la restrizione di π a Hj . Decomponiamo v nella sommav = v1 + v2, con vj = Pjv ∈ Hj .

Il proiettore Pj e in I(π, πj) (v. la dimostrazione del Teorema 1.5). Inoltre le combinazioni linearidei vettori π(x)v, al variare di x ∈ G, sono dense in H. Di consguenza, le combinazioni lineari dei vettoriπj(x)vj = Pjπ(x)v sono dense in Hj , ossia vj e πj-ciclico.

Sia ϕj(x) = ‖vj‖−2〈πj(x)vj , vj〉. Allora ϕj ∈ P1 e ϕ = ‖v1‖2ϕ1 + ‖v2‖2ϕ2 e combinazione convessa diϕ1 e ϕ2.

Se ϕ fosse estremale, sarebbe ϕ1 = ϕ2 = ϕ. Ma allora, per il Teorema 4.4, π1 e π2 sarebbero equivalenti,ed esisterebbe un operatore di intrallacciamento unitario U da H1 in H2 tale che Uv1/‖v1‖ = v2/‖v2‖. Postoc = ‖v2‖/‖v1‖, si avrebbe allora, per ogni x ∈ G,

π(x)v = π1(x)v1 + π2(x)v2 = π1(x)v1 + cUπ1(x)v1 ,

per cui i vettori π(x)v, al variare di x ∈ G, sarebbero contenuti nel sottospazio chiuso proprio H ′ = w+cUw :w ∈ H1, contro l’ipotesi che v sia ciclico.

Supponiamo ora π irriducible. Se ϕ non fosse estremale, sarebbe ϕ = αϕ1 + (1− α)ϕ2, con ϕ1, ϕ2 6= ϕe 0 < α < 1. Allora necessariamente ϕ1(e) = ϕ2(e) = 1. Sia ϕj(x) = 〈πj(x)vj , vj〉, dove, per j = 1, 2, πj euna rappresentazione unitaria su uno spazio di Hilbert Hj e vj e un vettore ciclico in Hj di norma unitaria.

Consideriamo allora la rappresentazione π1 ⊕ π2 di G su H1 ⊕H2, data da(π1 ⊕ π2(x)

)(u,w) =

(π1(x)u, π2(x)w

),

per u ∈ H1, w ∈ H2. Rispetto al prodotto scalare⟨(u,w), (u′, w′)

⟩= 〈u, u′〉+ 〈w,w′〉 ,

su H1 ⊕H2, π1 ⊕ π2 e unitaria. Se u0 = α12 v1, w0 = (1− α)

12 v2,⟨(

π1 ⊕ π2(x))(u0, w0), (u0, w0)

⟩= ϕ(x) .

Sia H0 il sottospazio chiuso di H1 ⊕H2 generato dai vettori(π1 ⊕ π2(x)

)(u0, w0) al variare di x ∈ G, e

sia π0 la restrizione di π1 ⊕ π2 a H0. Per il Teorema 4.4, π0 e equivalente a π, in particolare e irriducibile.Sia P1 la restrizione ad H0 della proiezione canonica di H1 ⊕H2 su H1. Allora P1π0(x) = π1(x)P1 per

ogni x ∈ G, ossia P1 ∈ I(π0, π1). Per la ciclicita di v1 rispetto a π1, P1 e suriettiva. Se V e un sottospaziochiuso π1-invariante di H1, allora P−1

1 V e un sottospazio chiuso π0-invariante di H0. Questo mostra cheP1 e iniettiva e che π1 e irriducibile. Per il Lemma di Schur, π0 e π1 sono equivalenti e P1 = c1U1 con U1

unitario.Ma P1(u0, w0) = u0, per cui c1 = α

12 e dunque P ∗1 = αP−1

1 . Ma allora

ϕ1(x) = α−1〈π1(x)u0, u0〉= α−1

⟨π1(x)P1(u0, w0), u0

⟩= α−1

⟨P1π0(x)(u0, w0), u0

⟩=⟨π0(x)(u0, w0), P−1

1 u0

⟩= ϕ(x) .

in contrasto con l’ipotesi.

Esempio.

(4.a) Sia G abeliano. Per il Corollario 1.6, le sue rappresentazioni unitarie irriducibili hanno dimensione

1 e sono in corrispondenza biunivoca, a meno di equivalenza, con i caratteri di G. Se γ ∈ G, sia πγ la

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4. RAPPRESENTAZIONI IRRIDUCIBILI E FUNZIONI DI TIPO POSITIVO 41

rappresentazione di G su C data da πγ(x)z = γ(x)z. Allora

〈πγ(x)1, 1〉 = γ(x)

e, a meno di coefficienti scalari positivi, l’unica funzione di tipo positivo associata a πγ .I punti estremali di P1 sono dunque l’origine e i caratteri di G. Ogni funzione di tipo positivo e dunque

approssimabile nella topologia debole* di L∞(G) con combinazioni lineari a coefficienti finiti di caratteri.Questa e in realta una formulazione equivalente del Teorema di Bochner (v. Capitolo 2).

Corollario 4.2 (Teorema di Gelfand-Raikov). Siano x, y due elementi distinti di G. Esiste una rappresen-tazione unitaria irriducibile π di G tale che π(x) 6= π(y).

Dimostrazione. Possiamo supporre che x = e. Supponiamo per assurdo che π(y) = π(e) = I per ognirappresentazione irriducibile π. Allora sarebbe anche π(xy) = π(x) per ogni x ∈ G. Questo implicherebbeche ϕ(xy) = ϕ(x) per ogni elemento estremale ϕ ∈ P1 e per ogni x. L’uguaglianza Ryϕ = ϕ varrebbe alloraper tutte le ϕ di un sottoinsieme denso di P. Poiche questa identita e chiusa nella topologia debole* diL∞(G), essa varrebbe per ogni ϕ ∈ P.

Sia ora V un intorno compatto simmetrico di e tale che y 6∈ V 2. Allora ϕ = χV ∗ χV e di tipo positivo,tuttavia ϕ(e) > 0 ma ϕ(y) = 0, da cui l‘assurdo.

Dal Teorema 3.2 segue anche il seguente teorema di unicita.

Corollario 4.3. Sia f ∈ L1(G) tale che π(f) = 0 per ogni rappresentazione unitaria irriducibile π di G.Allora f = 0.

Dimostrazione. se π(f) = 0, anche

π(Lxf) =

ˆG

f(x−1y)π(y) dy = π(x)π(f) = 0 .

Se ϕ e un elemento estremale di P1, ϕ(x) = 〈π(x)v, v〉 con π unitaria irriducibile, si ha allora

ϕ ∗ f(x)

ˆG

Lxf(y)ϕ(y) dy = 〈π(Lxf)v, v〉 = 0 .

Quindi ϕ ∗ f = 0 per ogni ϕ in un sottoinsieme denso di P, nella topologia debole-* di L∞(G). Perdensita, l’uguaglianza vale per ogni ϕ ∈ P.

Sia ψi una identita approssimata con ψi ∈ L1(G) ∩ L2(G) per ogni i. Allora ψi ∗ ψ∗i ∈ P, per cui

(ψi ∗ ψ∗i ) ∗ f = 0. Quindi f = 0.

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CAPITOLO 4

Analisi su gruppi compatti

1. Rappresentazioni irriducibili di gruppi compatti

Sia G un gruppo compatto e sia dx la misura di Haar normalizzata su G.

Teorema 1.1. Sia π una rappresentazione di G su uno spazio di Hilbert H con prodotto scalare 〈 , 〉. Se

(1.1) 〈〈v, w〉〉 =

ˆG

〈π(x)v, π(x)w〉 dx ,

allora 〈〈 , 〉〉 e pure un prodotto scalare su H, induce su H una norma equivalente a quella originaria erispetto ad esso π e unitaria.

Dimostrazione. Chiaramente il nuovo prodotto scalare e Hermitiano. Se 〈〈v, v〉〉 = 0, allora 〈π(x)v, π(x)v〉 =0 per ogni x ∈ G, perche l’applicazione ϕv(x) = π(x)v e continua da G in H. Ponendo x = e, si deduce chev = 0.

Indichiamo ora con ‖ ‖ e ‖ ‖′ le norme indotte rispettivamente dal prodotto scalare originario e dalprodotto (1.1).

Per la continuita di ϕv e la compattezza di G, supx∈G ‖π(x)v‖ ≤ Cv. Per il teorema di Banach-Steinhaus,

supx∈G‖π(x)‖ ≤ C .

Allora

‖v‖′ =

(ˆG

‖π(x)v‖2 dx) 1

2

≤ C‖v‖ .

D’altra parte, ‖v‖ = ‖π(x−1)π(x)v‖ ≤ C‖π(x)v‖, per cui si ha anche la disuguaglianza

‖v‖ ≤ C‖v‖′ .Infine, fissato g ∈ G,

〈〈π(g)v, π(g)w〉〉 =

ˆG

〈π(x)π(g)v, π(x)π(g)w〉 dx

=

ˆG

〈π(xg)v, π(xg)w〉 dx

= 〈〈v, w〉〉 ,per cui π(g) e unitario rispetto al prodotto scalare (1.1).

Questo appena visto e il primo esempio in cui si utilizza l’integrazione su G per guadagnare l’invarianzarispetto all’azione di G. Un altro esempio e il seguente.

Lemma 1.2. Siano π1 e π2 due rappresentazioni unitarie di G sugli spazi di Hilbert H1 e H2 rispettivamente.Dato T ∈ L(H1, H2), l’operatore

(1.2) T =

ˆG

π2(x)−1Tπ1(x) dx ,

43

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44 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

dove l’integrale converge nella topologia forte di L(H1, H2), e in I(π1, π2).

Inoltre, se T e compatto, anche T e compatto e, se T e autoaggiunto, anche T e autoaggiunto.

Dimostrazione. La convergenza forte dell’integrale segue dal fatto che, dato v ∈ H1, l’applicazionex 7→ π2(x)−1Tπ1(x)v e continua da G in H (e la composizione di due applicazioni continue in virtu delLemma 1.1 del Cap. IV). Per lo stesso motivo, se U e un operatore in L(H1) e V ∈ L(H2), si hanno leidentita

V T =

ˆG

V π2(x)−1Tπ1(x) dx , TU =

ˆG

π2(x)−1Tπ1(x)U dx .

Quindi, cambiando variabile nell’integrale,

π2(g)T =

ˆG

π2(xg−1)−1Tπ1(x) dx

=

ˆG

π2(x)−1Tπ1(xg) dx

=

ˆG

π2(x)−1Tπ1(x)π1(g) dx

= T π1(g) .

Supponiamo ora che T sia compatto. Data una successione vn in H1 convergente debolmente a 0, siha

‖T vn‖ ≤ˆG

‖π2(x)−1Tπ1(x)vn‖ dx =

ˆG

‖Tπ1(x)vn‖ dx .

Per ogni x ∈ G, limn→∞ ‖Tπ1(x)vn‖ = 0. Inoltre, ‖Tπ1(x)vn‖ ≤ ‖T‖ supn ‖vn‖. Per convergenzadominata, Tvn converge a 0 in norma.

Se T e autoaggiunto, si ha

〈v, Tw〉 =

ˆG

〈v, π(x)−1Tπ(x)w〉 dx

=

ˆG

〈π(x)−1Tπ(x)−1v, w〉 dx

= 〈T v, w〉 .

Lemma 1.3. Ogni rappresentazione unitaria di G ammette un sottospazio invariante non banale di dimen-sione finita.

Dimostrazione. Sia π una rappresentazione unitaria di G in H. Dato v0 ∈ H con ‖v0‖ = 1, si consideriil proiettore ortogonale di H su Cv0,

Pv = 〈v, v0〉v0 .

Allora P e compatto e autoaggiunto per il Lemma 1.2. Si ha inoltre

〈P v0, v0〉 =

ˆG

〈π(x)−1Pπ(x)v0, v0〉 dx

=

ˆG

‖Pπ(x)v0‖2 dx .

La funzione integranda e continua e vale 1 per x = e. Quindi P 6= 0.Sia

P =

ˆσ(P )

λ dE(λ)

la sua risoluzione spettrale. Poiche P 6= 0, il suo spettro σ(P ) non e ridotto al solo punto 0. Allora

E(σ(P ) \ 0

)6= 0. Dalla (ii) della Proposizione 3.2 in Appendice segue che esiste δ > 0 tale che, posto

Bδ = λ ∈ σ(P ) : |λ| ≥ δ, sia E(Bδ) 6= 0.

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2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL 45

Poiche P commuta con π(x) per ogni x ∈ G, lo stesso vale per E(Bδ). Quindi E(Bδ) ∈ I(π, π).La dimostrazione e conclusa se dimostriamo che l’immagine V = E(Bδ)H del proiettore E(Bδ) ha

dimensione finita, in quanto V e un sottospazio invariante.Supponiamo per assurdo che V ammetta un sistema ortonormale infinito en. Allora en tende

debolmente a zero, per cui P en tende fortemente a zero. Ma

‖P en‖2 = 〈P ∗P en, en〉

=

ˆσ(P )

|λ|2 dµen,en(λ)

≥ˆBδ

|λ|2 dµen,en(λ)

= δ2〈E(Bδ)en, en〉= δ2 .

Il seguente risultato segue immediatamente.

Teorema 1.4. Se π e irriducibile, allora H ha dimensione finita.

Infine dimostriamo il terzo risultato annunciato.

Corollario 1.5. Sia π una rappresentazione unitaria di G su H. Allora π e la somma diretta di sottorap-presentazioni irriducibili di dimensione finita, con i sottospazi di H su cui agisce ciascuna di esse a due adue ortogonali.

Dimostrazione. Consideriamo la classe C delle famiglie Vii∈I , dove i Vi sono sottospazi π-invariantidi H di dimensione finita, irriducibili e a due a due ortogonali.

La classe C non e vuota perche, per il Lemma 1.3, π ammette un sottospazio invariante non banale Wdi dimensione finita. Se la restrizione di π a W e riducibile, si sostituisca W con un sottospazio proprio nonbanale invariante. Con un numero finito di iterazioni, si giunge a un sottospazio non banale, invariante, etale che la restrizione di π a tale sottospazio sia irriducibile.

Ordinando gli elementi di C per inclusione, e applicando il Lemma di Zorn, si ottiene l’esistenza di unafamiglia Vi massimale.

Supponiamo per assurdo che V =∑⊕i Vi sia propriamente contenuta1 in H. Poiche V e invariante, per

il Lemma 1.3 del Cap. 3 anche V ⊥ e invariante. Sia π′ la restrizione di π a V ⊥. Sempre per il Lemma 1.3,esiste un sottospazio invariante W di V ⊥ di dimensione finita. Ma cio contrasta con la massimalita dellafamiglia Vi.

2. Il teorema di Peter-Weyl

Consideriamo ora le rappresentazioni regolari di un gruppo compatto G su L2(G), precisamente larappresentazione regolare sinistra

(Lgf)(x) = f(g−1x) ,

e la rappresentazione regolare destra(Rgf)(x) = f(xg) .

Conviene anche tener conto della rappresentazione di G×G su L2(G) data da

(S(g,h)f)(x) = f(g−1xh) = (LgRhf)(x) = (RhLgf)(x) .

Oserviamo he un sottospazio di L2(G) e S-invariante se e solo se e sia L- che R-invariante. Ha ancheinteresse la restrizione di S alla diagonale

∆(G) =

(g, g) : g ∈ G ∼= G ,

1La somma diretta va intesa come il piu piccolo sottospazio chiuso contenente i Vi.

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46 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

in cui gli elementi di G agiscono sulle funzioni per automorfismi interni.Sia π una rappresentazione unitaria irriducibile di G su uno spazio di Hilbert Hπ di dimensione dπ

(necessariamente finita), e sia ei, . . . , edπ una base ortonormale di Hπ. Rispetto a tale base, ogni operatoreπ(x), con x ∈ G, si rappresenta tramite la matrice

(2.1) π(x) =

ϕπ1,1(x) · · · ϕπ1,dπ (x)...

. . ....

ϕπdπ,1(x) · · · ϕπdπ,dπ (x)

,

dove

(2.2) ϕπj,k(x) = 〈π(x)ek, ej〉

e il coefficiente della rappresentazione relativo ai due elementi indicati della base di Hπ.Dimostreremo in questo paragrafo che questi coefficienti, opportunamente normalizzati, formano, al

variare di π, una base ortonormale di L2(G) con notevoli proprieta di invarianza rispetto all’azione sia destrache sinistra di G.

Alcune proprieta dei coefficienti ϕπj,k sono immediate.

Lemma 2.1. Valgono le seguenti proprieta:

(1) le funzioni ϕπj,k sono continue;

(2) ϕπj,k(x−1) = ϕπk,j(x);

(3) ϕπj,k(xy) =∑dπ`=1 ϕ

πj,`(x)ϕπ`,k(y);

(4)∑dπj=1

∣∣ϕπj,k(x)∣∣2 = 1 per ogni x e ogni k, e

∑dπk=1

∣∣ϕπj,k(x)∣∣2 = 1 per ogni x e ogni j;

(5) se k 6= k′,∑dπj=1 ϕ

πj,k(x)ϕπj,k′(x) = 0, e se j 6= j′,

∑dπk=1 ϕ

πj,k(x)ϕπj′,k(x) = 0;

(6) se v, w ∈ H, il coefficiente

ϕπv,w(x) = 〈π(x)w, v〉e combinazione lineare dei ϕπj,k.

Dimostrazione. La (1) e evidente. La (2) segue dall’identita π(x−1) = π(x)∗, la (3) dall’identitaπ(xy) = π(x)π(y); la (4) e la (5) seguono dall’identita

π(x)π(x)∗ = π(x)∗π(x) = I ,

e infine la (6) e ovvia.

Indichiamo con Mπ il sottospazio di L2(G) generato dai coefficienti ϕπj,k.

Due rappresentazioni unitarie equivalenti π e π′ determinano gli stessi coefficienti: infatti se U ∈ I(π, π′)e unitario, allora, dati v, w ∈ Hπ,

〈π(x)w, v〉 = 〈U−1π′(x)Uv,w〉 = 〈π′(x)Uv,Uw〉 .

Per questo motivo selezioniamo una famiglia P di rappresentazioni unitarie irriducibili di G a due adue inequivalenti, e tale che per ogni rappresentazione unitaria irriducibile di G ne esista una e una solaequivalente in P.

Le combinazioni lineari finite di elementi presi dagli spazi Mπ con π ∈ P si chiamano polinomi trigono-metrici su G. Ci proponiamo di dimostrare che, come i veri e propri polinomi trigonometrici su T, quelli suG formano un sottospazio uniformemente denso in C(G).

La dimostrazione richiede le nozioni di prodotto tensoriale di due rappresentazioni, e di rappresentazionecontrogradiente di una rappresentazione data. Diamo una breve presentazione di queste nozioni.

Siano H1, H2 spazi di Hilbert complessi, con basi ortonormali ej e fk rispettivamente. Sul prodottotensoriale H1 ⊗H2 introduciamo il prodotto scalare rispetto al quale la base ej ⊗ fk sia ortonormale. Siverifica facilmente l’identita

‖v ⊗ w‖ = ‖v‖‖w‖ ,

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2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL 47

e dunque, per polarizzazione,

〈v ⊗ w, v′ ⊗ w′〉 = 〈v, v′〉〈w,w′〉 .Siano S ∈ L(H1), T ∈ L(H2). Si consideri l’applicazione lineare S⊗T diH in se data da (S⊗T )(ej⊗fk) =

Sej ⊗ Tfk. Essa e ben definita e S ⊗ T (v ⊗ w) = Sv ⊗ Tw.Si verifica allora facilmente che (S1⊗T1)(S2⊗T2) = S1S2⊗T1T2, e che, se S e T sono entrambe unitarie,

anche S ⊗ T e unitaria.

Definizione. Siano π1, π2 rappresentazioni unitarie di due gruppi localmente compatti G1, G2, agenti suH1 e H2 rispettivamente. Il loro prodotto tensoriale esterno e la rappresentazione unitaria π = π1 π2 suH1 ⊗H2, ottenuta ponendo π(x1, x2) = π1(x1)⊗ π2(x2) per ogni x ∈ G.

Se G1 = G2 = G, si chiama prodotto tensoriale di π1 e π2 la rappresentazione π1 ⊗ π2 di G ottenutarestringendo π1 π2 alla diagonale.

Lemma 2.2. Il prodotto tensoriale esterno di due rappresentazioni unitarie irriducibili e irriducibile. Ognirappresentazione unitaria e irriducibile di G1 × G2 e equivalente a un prodotto tensoriale π1 ⊗ π2, con πjrappresentazione unitariea e irriducibile di Gj.

Dimostrazione. . Sia T ∈ I(π1 π2, π1 π2). Per ogni w ∈ H2, poniamo Twv = T (v ⊗ w). Allora,per x1 ∈ G1,

Tw(π1(x1)v

)= T

((π1 π2)(x1, e2)

)(v ⊗ w) =

((π1 π2)(x1, e2)

) T (v ⊗ w) = π(x1)Twv .

Per il Lemma di Schur, Tw = λ(w)I, cioe T (v ⊗ w) = λ(w)v ⊗ w. Scambiando i due fattori, si concludeche λ non dipende da w. Sempre per il Lemma di Schur, π1 π2 e irriducibile.

Viceversa, data σ una rappresentazione unitaria e irriducibile di G1×G2, siano σ1, σ2 le restrizioni di σa G1 × e2, e1 ×G2 rispettivamente.

Vogliamo dimostrare che esiste v ∈ Hσ non nullo, tale che i due sottospazi

V1(v) = span σ1(x)v : x ∈ G1 , V2(v) = span σ2(y)v : y ∈ G2 ,che sono invarianti rispetto a σ1, σ2 rispettivamente, siano entrambi irriducibili.

Partiamo da v0 6= 0 che minimizzi dimV1(v). Allora V1(v0) e necessariamente irriducibile rispetto a σ1.Se V2(v0) e irriducibile, abbiamo finito. Se no, sia V ′ ⊂ V2(v0) irriducibile rispetto a σ2. Sia

v =∑

µkσ2(yk)v0 ∈ V ′ , v 6= 0 .

Per x ∈ G1, ∑µkσ2(yk)σ1(x)v0 =

∑µkσ(x, yk)v0 = σ1(x)v ,

e, per linearita, l’applicazione A =∑µkσ2(yk) applica V1(v0) su tutto V1(v). Per la minimalita di dimV1(v0),

A e un isomorfismo lineare e V1(v) e irriducibile2.Ponendo Vj = Vj(v), πj = σj |Vj

, consideriamo l’applicazione bilineare Φ da V1 × V2 in Hσ

Φ(∑

j

λjπ1(xj)v,∑k

µkπ2(yk)v)

=∑j,k

λjµkσ(xj , yk)v

=∑j

λjσ1(xj)(∑

k

µkσ2(yk))v

=∑k

µkσ2(yk)(∑

j

λjσ1(xj))v .

L’applicazione e ben definita. Se∑j λjπ1(xj)v0 =

∑` λ′`π1(x′`)v0, si ha

Φ(∑

j

λjπ1(xj)v0,∑k

µkπ2(yk)w0

)=

2Notare che A commuta con σ1, per cui le restrizioni di σ1 a V1(v0) e V1(v) sono equivalenti.

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48 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

Per ogni y ∈ G2, π(e1, y) ∈ I(σ1, σ1), essendo

π(e1, y)σ1(x) = π(e1, y)π(x, e2) = π(x, y) = π(x, e2)π(e1, y) = σ1(x)π(e1, y) .

Analogamente, se σ2 e la restrizione di σ a e1 ×G2, π(x, e2) ∈ I(σ2, σ2) per ogni x ∈ G1.Siano π1, π2 sottorappresentazioni irriducibili di σ1, σ2 rispettivamente, su sottospazi V1, V2 ⊆ Hπ. Si

osservi che

• il sottospazio σ2(y)V1 = V1,y e σ1-invariante per ogni y ∈ G2 e σ1|V1,y∼ π1,

•∑y∈G2

V1,y = Hπ,

• σ1(x)V2 = V2,x e σ2-invariante per ogni x ∈ G1 e σ2|V2,x∼ π2,

•∑x∈G1

V2,x = Hπ,

Sia ora H uno spazio di Hilbert e H ′ il suo duale. Consideriamo l’applicazione antilineare θ : H ′ → Hche a λ ∈ H ′ associa l’elemento wλ = θλ ∈ H tale che λ(v) = 〈v, wλ〉. Poiche ‖λ‖ = ‖wλ‖, la norma dualesu H ′ e indotta da un prodotto scalare tale che, per polarizzazione,

〈λ, λ′〉 = 〈wλ′ , wλ〉 = λ(wλ′) = λ′(wλ) .

Data una rappresentazione unitaria π di G su H, si defiscono gli operatori π′(x) su H ′ come(π′(x)λ

)(v) = λ

(π(x−1)v

),

ossia π′(x) = tπ(x−1).Quindi i π′(x) sono lineari e definiscono una rappresentazione unitaria di G su H ′. Essa si chiama

la rappresentazione controgradiente di π. In generale π e π′ non sono equivalenti (si osservi che θ e soloR-lineare). Tuttavia, si vede facilmente che π′ e irriducibile se e solo se lo e π.

Lemma 2.3. Vale la relazione ⟨π′(x)λ, λ′

⟩=⟨π(x)wλ, wλ′

⟩.

Dimostrazione. Si ha ⟨π′(x)λ, λ′

⟩=(π′(x)λ

)(wλ′)

= λ(π(x−1)wλ′

)=⟨π(x−1)wλ′ , wλ

⟩=⟨wλ′ , π(x)wλ

⟩.

Teorema 2.4. I polinomi trigonometrici sono uniformemente densi in C(G).

Dimostrazione. Per il Teorema di Stone-Weierstrass, e sufficiente dimostrare che lo spazio X deipolinomi trigonometrici e un’algebra per il prodotto puntuale, e invariante per coniugazione, separa i punti,e contiene le costanti.

Considerando la rappresentazione banale π0, data da π0(x) = I per ogni x ∈ G, su uno spaziounidimensionale, si ottiene che le funzioni costanti sono in X.

Verifichiamo ora che il prodotto di due funzioni in X e pure in X. Siano ϕ1 = ϕπ1v1,w1

e ϕ2 = ϕπ2v2,w2

due coefficienti di due rappresentazioni (non necessariamente distinte). Considerando la rappresentazioneπ = π1 ⊗ π2, si ha ⟨

π(x)(v1 ⊗ v2), w1 ⊗ w2

⟩=⟨π1(x)v1 ⊗ π2(x)v2, w1 ⊗ w2

⟩= 〈π1(x)v1, w1〉〈π2(x)v2, w2〉= ϕ1(x)ϕ2(x) .

Quindi ϕ1ϕ2 e il coefficiente di una rappresentazione di dimensione finita, che pero non sara in generaleirriducibile. Tuttavia, in base al Lemma 1.5, π si decompone nella somma diretta di rappresentazioniirriducibili, π = σ1 ⊕ · · · ⊕ σν . Corrispondentemente, v1 ⊗ v2 = ξ1 + · · ·+ ξν , w1 ⊗ w2 = ω1 + · · ·+ ων , con

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2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL 49

ξi, ωi nel sottospazio su cui agisce σi. I sottospazi su cui agiscono le varie σi sono a due a due ortogonali,per cui

ϕ1(x)ϕ2(x) =⟨π(x)(v1 ⊗ v2), w1 ⊗ w2

⟩=∑i,j

〈σi(x)ξi, ωj〉

=∑i

〈σi(x)ξi, ωi〉

=∑i

ϕσiξi,ωi(x) .

Ogni σi e equivalente a una rappresentazione π′i ∈ P, per cui ϕσiξi,ωi(x) ∈Mπ′i ⊂ X.In conclusione ϕ1ϕ2 ∈ X e dunque X e un’algebra.Per il Teorema di Gelfand-Raikov (Corollario 3.2 del Cap. 3), dati due elementi distinti x, y ∈ G esiste

π ∈ P tale che π(x) 6= π(y). Esisteranno allora v, w ∈ Hπ tali che 〈π(x)v, w〉 6= 〈π(y)v, w〉. Quindi X separai punti.

Per il Lemma 2.3, X e invariante per coniugazione e questo completa la dimostrazione.

Corollario 2.5. Per ogni π ∈ P esiste π ∈ P (della stessa dimensione) equivalente alla controgradiente π′

di π. L’applicazione π 7→ π e una biiezione di P in se e M π = Mπ.

Vediamo ora le proprieta degli spazi Mπ come sottospazi di L2(G).

Lemma 2.6. I coefficienti ϕπj,k sono a due a due ortogonali in L2(G) e ‖ϕπj,k‖2 = 1√dπ

. In particolare Mπ

ha dimensione d2π.

Dimostrazione. Sia Ep,q l’operatore lineare di H in se tale che

Ep,qej =

eq se j = p0 se j 6= p ,

rappresentato, nella base fissata, dalla matrice avente 1 nel posto (q, p) e 0 altrove.

Poiche π e irriducibile, per il Lemma 1.2 e il Lemma di Schur, Ep,q = cI per qualche scalare c. Osserviamoche, essendo trA lineare in A, ed essendo tr (A−1BA) = tr (B),

tr (Ep,q) = tr

(ˆG

π(x)−1Ep,qπ(x) dx

)=

ˆG

tr(π(x)−1Ep,qπ(x)

)dx

= tr (Ep,q) .

Se p 6= q, tr (Ep,q) = 0, per cui 0 = tr (Ep,q) = cdπ, e dunque Ep,q = 0.

Se p = q, cdπ = tr (Ep,p) = 1, per cui Ep,p = 1dπI.

Osserviamo anche che il termine di posto (j, k) della matrice Ep,q e

(Ep,q)j,k =

ˆG

(π(x−1)Ep,qπ(x)

)j,kdx

=

ˆG

∑r,s

ϕπj,r(x−1)(Ep,q)r,sϕ

πs,k(x) dx

=

ˆG

ϕπj,q(x−1)ϕπp,k(x) dx

=

ˆG

ϕπq,j(x)ϕπp,k(x) dx .

Questo integrale e dunque nullo, tranne quando p = q e j = k, nel qual caso e uguale a 1/dπ.

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50 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

Dato v ∈ H, v 6= 0, poniamoMπv =

ϕπv,w : w ∈ H

wM

π =ϕπv,w : w ∈ H

.

Chiaramente Mπv e wM

π sono sottospazi di Mπ. Inoltre, se e1, . . . , edπ e una base di H, allora

(2.3)

dπ∑j=1

Mπej =

dπ∑j=1

ejMπ = Mπ .

Lemma 2.7. Valgono le seguenti proprieta:

(1) ‖ϕπv,w‖2 = ‖v‖‖w‖√dπ

;

(2) Mπv e Mπ

v′ sono ortogonali se e solo se v e v′ sono ortogonali;(3) per ogni v ∈ Hπ, Mπ

v e R-invariante, e la restrizione di R a Mπv e equivalente a π;

(4) i sottospazi R-invarianti di Mπ sono tutti e soli quelli della forma

k∑j=1

Mπfj ,

con f1, . . . , fk sistema ortonormale;(5) analogamente, wM

π e w′Mπ sono ortogonali se e solo se w e w′ sono ortogonali; per ogni w ∈ Hπ,

wMπ e L-invariante, e la restrizione di L a wM

π e equivalente a π′, la controgradiente di π; i

sottospazi L-invarianti di Mπ sono tutti e soli quelli della forma∑kj=1 fjM

π, con f1, . . . , fksistema ortonormale;

(6) la restrizione di S a Mπ e irriducibile ed equivalente a π ⊗ π′.

Dimostrazione. Dato v ∈ Hπ, v 6= 0, sia v1, . . . , vdπ una base ortonormale di Hπ con v1 = v/‖v‖.Se w =

∑dπj=1 ajvj , per il Lemma 2.6,

∥∥〈π(x)w, v〉∥∥2

= ‖v‖2∥∥∥∥ dπ∑j=1

aj〈π(x)vj , v1〉∥∥∥∥2

=‖v‖2

dπ∑j=1

|aj |2

=‖v‖2‖w‖2

dπ.

Questo dimostra la (1).Per polarizzazione rispetto a v, si ricava che

〈ϕπv,w, ϕπv′,w〉L2 =〈v′, v〉Hπ‖w‖2

dπ.

Da cio segue che se Mπv e Mπ

v′ sono ortogonali, allora v e v′ sono ortogonali. Polarizzando ora rispettoa w, si ha

〈ϕπv,w, ϕπv′,w′〉L2 =〈v′, v〉Hπ 〈w,w′〉Hπ

dπ,

per cui, se 〈v, v′〉 = 0, Mπv e Mπ

v′ sono ortogonali. Questo dimostra la (2).Dati v, w ∈ Hπ, si ha

(Rgϕπv,w)(x) = 〈π(xg)w, v〉

= 〈π(x)π(g)w, v〉= ϕπv,π(g)w(x) .

Quindi l’operatore A : Hπ →Mπv tale che Aw = ϕπv,w e in I

(π,R|Mπv

). Per la (1),

√dπ‖v‖ A e unitario.

Questo dimostra la (3). Passando alla (4), e evidente che i sottospazi indicati di Mπ sono R-invarianti.

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2. IL TEOREMA DI PETER-WEYL 51

Viceversa, sia E un sottospazio R-invariante di Mπ, e sia

f(x) =

dπ∑j,k=1

cj,kϕπj,k(x) ∈ E .

Applicando la (3) del Lemma 2.1, si ha allora che, per ogni g ∈ G,

f(xg) =

dπ∑j,k=1

cj,kϕπj,k(xg)

=

dπ∑j,k,`=1

cj,kϕπj,`(x)ϕπ`,k(g)

e in E. Se f 6= 0, esistono p, q tali che cp,q 6= 0. Consideriamo allora la funzione

h(x) =

ˆG

f(xg)ϕπq,q(g) dg .

Essa e pure in E, e, per il Lemma 2.4,

h(x) =1

dπ∑j=1

cj,qϕπj,q(x) 6= 0 .

Se v = 1dπ

∑dπj=1 cj,qej ,

h(x) =1

dπ∑j=1

cj,q〈π(x)eq, ej〉 = ϕπv,eq .

Quindi h ∈ Mπv ∩ E. Allora anche tutte le traslate destre Rgh sono in Mπ

v ∩ E. Ma π e irriducibile, etale e anche la rappresentazione equivalente R|Mπv

. Quindi h e R-ciclico in Mπv . Ne segue che Mπ

v ⊆ E.

Se l’inclusione e propria, consideriamo il complemento ortogonale E′ di Mπv in E. Procedendo come

sopra, si dimostra l’esistenza di v′ ∈ Hπ tale che Mπv′ ⊂ E′. Per la (2) v e v′ sono ortogonali in Hπ.

Iterando questo procedimento, dopo un numero finito di passi si decompone E come somma diretta disottospazi Mπ

vj con i vj a due a due ortogonali. Questi spazi rimangono invariati se si normalizzano i vj , ecosı si conclude questa parte della dimostrazione.

La (5) si dimostra in modo analogo. Bisogna pero sostituire A con l’operatore A : H ′π → wMπ dato da

Aλ = ϕπθλ,w. Allora

Lg(Aλ)(x) = ϕπθλ,w(g−1x) = 〈π(x)w, π(g)θλ〉 =⟨π(x)w, θ

(π′(g)λ

)⟩= (Aπ′(g)λ)(x) .

Infine, passando alla (6), sia E un sottospazio di Mπ S-invariante, Se E non e banale, esso contiene unMπv , essendo R-invariante. Possiamo supporre che ‖v‖ = 1. Se e1, . . . , en e una base ortonormale di H on

e1 = v, usando l’invarianza di E sia rispetto a R che a L, si conclude che E contiene tutte le ϕπj,k relative atale base. Dunque E = Mπ.

Con riferimento alla matrice (2.1), si noti che in particolare le funzioni in ogni riga generano unsottospazio R-invariante, e le funzioni in ogni colonna un sottospazio L-invariante di Mπ.

Teorema 2.8 (Teorema di Peter-Weyl). Allora

L2(G) =∑π∈P

Mπ ,

in cui gli addendi sono ortogonali a due a due.Per ogni π ∈ P, si fissi una base ortonormale eπ1 , . . . , eπdπ di Hπ, con dπ = dimHπ. Posto

ϕπj,k(x) = 〈π(x)eπk , eπj 〉 ,

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52 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

il sistema √dπϕ

πj,k

π∈P , 1≤j,k≤dπ

e una base ortonormale di L2(G).

Dimostrazione. Dimostriamo che se π1, π2 ∈ P sono distinte, e dunque non equivalenti, allora Mπ1 eMπ2 sono ortogonali. Siano e1, . . . ed1 e f1, . . . , fd2 basi ortonormali degli spazi Hπ1 e Hπ2 rispettiva-mente. Sia Ep,q ∈ L(H1, H2) definito da

Ep,qej =

eq se j = p0 se j 6= p ,

per 1 ≤ p ≤ d1, 1 ≤ q ≤ d2. Per il Lemma di Schur, Ep,q = 0. Ripetendo il procedimento usato nelladimostrazione del Lemma 2.4, si dimostra cheˆ

G

ϕπ1p,j(x)ϕπ2

q,k(x) dx = 0 ,

per ogni j ≤ d1 e k ≤ d2.

3. Trasformata di Fourier

Nei paragrafi precedenti abbiamo inizialmente considerato generiche rappresentazioni unitarie irriducibilidi G, e abbiamo indicato con P un insieme di tali rappresentazioni in cui ogni elemento appartenga a unadistinta classe di equivalenza. Quindi P si identifica con l’oggetto duale di G (v. paragrafo 5 del CapitoloIV).

Abbiamo poi visto (Lemma 2.7 e Teorema 2.8) che ogni rappresentazione in P appare come sotto-rappresentazione della rappresentazione regolare sinistra L (o della destra R), con molteciplita uguale alladimensione della rappresentazione stessa. Questo vuol dire che se π ∈ P ha dimensione dπ, esistono in L2(G)dπ sottospazi L-invarianti, a due a due ortogonali, tali che la restrizione di L a ciascuno di essi sia equivalentea π.

In questo paragrafo riformuliamo i risultati dei due paragrafi precedenti in modo diverso, con riferimentoalla trasformata di Fourier non commutativa descritta in modo generale alla fine del Cap. IV. Otterremo cosıestensioni non commutative del teorema di Riemann-Lebesgue e delle formule di Plancherel e di inversione.

Ricordiamo che, data f ∈ L1(G), si chiama trasformata di Fourier di f la famiglia di operatoriπ(f)

π∈P , dove

π(f) =

ˆG

f(x)π(x) dx .

Il teorema che segue estende il Teorema di Riemann-Lebesgue.

Teorema 3.1. Sia f ∈ L1(G). Dato ε > 0, si ha ‖π(f)‖ < ε per tutte le π ∈ P tranne al massimo unnumero finito.

Dimostrazione. Consideriamo inizialmente f ∈Mπ, con π ∈ P e sia σ ∈ P. Se v, w ∈ Hσ,

〈σ(f)v, w〉 =

ˆG

f(x)〈σ(x)v, w〉 dx

=

ˆG

f(x)ϕσw,v(x) dx

= 〈f, ϕσ′

w′,v′〉L2 ,

dove σ′ e la rappresentazione controgradiente di σ e v′, w′ sono opportuni elementi in H ′σ. Ma f ⊥ Mσ′ , ameno che non sia σ′ ≡ π. Quindi σ(f) = 0 tranne per al piu un’unico elemento di P.

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3. TRASFORMATA DI FOURIER 53

Lo spazio X dei polinomi trigonometrici (v. paragrafo 2), costituito dalle combinazioni lineari finite dielementi dei vari Mπ, con π ∈ P, e denso in L1(G). Per quanto appena visto, la tesi e vera banalmente perf ∈ X.

Data una generica f ∈ L1(G) e dato ε > 0, sia g ∈ X tale che ‖f − g‖1 < ε. Allora

‖π(f)− π(g)‖ = ‖π(f − g)‖ ≤ ‖f − g‖1 < ε

per ogni π ∈ P. La conclusione segue facilmente.

Ricordiamo ora la nozione di operatore di Hilbert-Schmidt su uno spazio di Hilbert H.

Definizione. Un operatore T ∈ L(H) si dice di Hilbert-Schmidt se, data un base ortonormale eii∈I di H,si ha

(3.1)∑i∈I‖Tei‖2

def= ‖T‖2HS <∞ .

Un altro modo per esprimere la norma di Hilbert-Schmidt e ovviamente il seguente:

‖T‖2HS =∑i,j∈I

∣∣〈Tei, ej〉∣∣2 .Lemma 3.2. Se ‖T‖op indica la norma di T in L(H), si ha ‖T‖op ≤ ‖T‖HS; inoltre la somma (4.1) nondipende dalla scelta della base ortonormale.

Lo spazio HS(H) degli operatori di Hilbert-Schmidt su H e uno spazio di Hilbert rispetto al prodottoscalare

(3.2) 〈T, S〉 = tr (TS∗) = tr (S∗T ) =∑i

〈Tei, Sei〉 .

Dimostrazione. Se v =∑αiei,

‖Tv‖ ≤∑i

|αi|‖Tei‖ ≤ ‖T‖HS‖v‖ .

Sia poi fj un’altra base ortonormale, e sia fj =∑i ci,jei. Allora∑

j

‖Tfj‖2 =∑j

〈T ∗Tfj , fj〉

=∑i,j,k

ci,jck,j〈T ∗Tei, ek〉 .

Ma ∑j

ci,jck,j =∑j

〈fj , ei〉〈fj , ek〉

= 〈ei, ek〉 = δi,k .

Quindi ∑j

‖Tfj‖2 =∑i

〈T ∗Tei, ei〉 =∑i

‖Tei‖2 .

Che HS(H) sia uno spazio pre-Hilbertiano e abbastanza evidente. La sua completezza segue facilmentedal fatto che, se I indicizza gli elementi di una base ortonormale di H, l’operatore che manda T ∈ HS(H)nella funzione

‖Tei‖

e unitario da HS(H) su `2(I).

Naturalmente in dimensione finita tutti gli operatori lineari sono di Hilbert-Schmidt.

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54 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

Teorema 3.3. Se f ∈ L2(G),

‖f‖22 =∑π∈P

dπ‖π(f)‖2HS .

Viceversa, data una famiglia di operatori Tππ∈P , con Tπ ∈ L(Hπ) tale che∑π∈P

dπ‖Tπ‖2HS <∞ ,

esiste f ∈ L2(G) tale che π(f) = Tπ per ogni π.

Dimostrazione. Siano π ∈ P e ej una base ortonormale di Hπ. Allora

‖π(f)‖2HS =

dπ∑i,j=1

∣∣〈π(f)ej , ei〉∣∣2

=∑i,j

∣∣∣∣ ˆG

f(x)∑j

ϕπi,j(x) dx

∣∣∣∣2=∑i,j

∣∣〈ϕπi,j , f〉L2

∣∣2=

1

dπ‖Pπ f‖22 .

Quindi ∑π∈P

dπ‖π(f)‖2HS =∑π∈P‖Pπ f‖22 = ‖f‖22 = ‖f‖22 .

Per dimostrare la seconda parte dell’enunciato, per ogni π ∈ P, sia eπj 1≤j≤dπ una base ortonormale diHπ.

Vogliamo trovare f ∈ L2(G) tale che 〈π(f)ek, ej〉 = 〈Tπek, ej〉 per ogni π e ogni j, k. Ma

〈π(f)ek, ej〉 =

ˆG

f(x)ϕπj,k(x) dx = 〈ϕπj,k, f〉L2 ,

per cui si richiede alla funzione f di avere coefficienti uguali a√dπ〈ej , Tπek〉 nella base ortonormale di L2(G)

data dal Teorema di Peter-Weyl.Una tale funzione esiste in L2(G) a condizione che∑

π∈Pdπ

dπ∑j,k=1

∣∣〈ej , Tπek〉∣∣2 <∞ .

Ma questa e esattamente la condizione imposta ai Tπ.

Passiamo infine alla formula di inversione. Partiamo dalla formula implicita nel Teorema di Peter-Weyl,ossia

(3.3) f(x) =∑π∈P

dπ∑j,k=1

〈f, ϕπj,k〉L2ϕπj,k(x) ,

dove la convergenza e in norma L2. Si tratta di riformulare tale identita in termini degli operatori π(f).

Teorema 3.4 (Formula di inversione). Se f ∈ L2(G), allora

(3.4) f(x) =∑π∈P

dπtr(π(f)π(x)∗

),

dove la serie converge in norma L2.

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4. CARATTERI E FUNZIONI CENTRALI 55

Dimostrazione. Sia π ∈ P la rappresentazione equivalente alla controgradiente di π ∈ P. Per laProposizione 2.8 e con le stesse notazioni,

〈f, ϕπj,k〉L2 =

ˆG

f(x)ϕπj,k(x) dx = 〈π(f)ek, ej〉 .

Quindi, essendo anche ϕπj,k(x) = ϕπj,k(x) = ϕπk,j(x−1),

dπ∑j,k=1

〈f, ϕπj,k〉L2ϕπj,k(x) =

dπ∑j,k=1

〈π(f)ek, ej〉ϕπk,j(x−1)

= tr(π(f)π(x−1)

)= tr

(π(f)π(x)∗

).

Sempre per la Proposizione 2.8, la somma su π puo essere sostituita dalla somma su π, e la tesi seguefacilmente.

Come per le serie di Fourier sul toro, viene naturale chiedersi che tipo di convergenza si ha per la serie(4.3), o equivalentemente per la serie (4.4), supponendo che f sia in altri spazi funzionali.

Posta in questa generalita, la domanda non ha una risposta, neanche se si suppone G abeliano. Sonodisponibili risposte specifiche per gruppi specifici. Nel paragrafo seguente discuteremo un caso semplice marilevante, quello del gruppo SU(2).

4. Caratteri e funzioni centrali

Definizione. Sia π una rappresentazione unitaria di G di dimensione finita. Si chiama carattere di π lafunzione

(4.1) χπ(x) = trπ(x)

I caratteri sono funzioni di tipo positivo (per il Lemma 3.1 del Cap. IV, e la somma di funzioni di tipo

positivo), in particolare sono funzioni continue, soddisfano l’identita χπ(x−1) = χπ(x), e la relazione

|χπ(x)| ≤ χπ(e) = dπ ,

dove dπ e la dimensione della rappresentazione.

Teorema 4.1. Il proiettore ortogonale Pπ di L2(G) su Mπ e dato da

(4.2) Pπf(x) = f ∗ (dπχπ)(x) = (dπχπ) ∗ f(x) .

Dimostrazione. Per il Lemma 2.7, una base ortonormale di Mπ e costituita dalle funzioni√dπϕ

πj,k

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56 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

associate a una base ortonormale ej di Hπ. Quindi, se f ∈ L2(G),

Pπf(x) = dπ

dπ∑j,k=1

〈f, ϕπj,k〉L2ϕπj,k(x)

= dπ

dπ∑j,k=1

ϕπj,k(x)

ˆG

f(y)ϕπj,k(y) dy

= dπ

ˆG

f(y)

dπ∑j,k=1

ϕπj,k(x)ϕπk,j(y−1) dy

= dπ

ˆG

f(y)

dπ∑j=1

ϕπj,j(xy−1) dy

= dπ

ˆG

f(y)trπ(xy−1) dy

= (dπχπ) ∗ f(x) .

Poiche χπ e centrale, si ha anche Pπf(x) = f ∗ (dπχπ)(x).

Corollario 4.2. Ogni sottospazio R-invariante (risp. L-invariante) di L2(G) e la somma diretta, al variaredi π ∈ P, di sottospazi R-invarianti (risp. L-invarianti) di Mπ.

Ogni sottospazio S-invariante di L2(G) e la somma diretta di sottospazi Mπ.

Dimostrazione. Sia V un sottospazio R-invariante. Se f ∈ V e π ∈ P,

Pπf = f ∗ (dπχπ) = dπ

ˆG

χπ(y)Ry−1f dy

e pure in V . Quindi∑π∈P P

πV ⊆ V . Se l’inclusione fosse propria, il complemento ortogonale in V di talesomma sarebbe ortogonale a ogni Mπ, in contrasto con il Teorema di Peter-Weyl.

Si ha inoltre, per f ∈ V ,Rg(P

πf)(x) = (Pπf)(xg)

= dπ

ˆG

f(y)χπ(y−1xg) dy

= dπ

ˆG

f(y)χπ(gy−1x) dy

= dπ

ˆG

f(yg)χπ(y−1x) dy

= Pπ(Rgf) ,

per cui PπV e R-invariante.Il resto della dimostrazione segue facilmente.

Definizione. Una funzione f su G si dice centrale se f(xy) = f(yx) per ogni x, y ∈ G (equivalentementese f(xyx−1) = f(y) per ogni x, y ∈ G).

Lemma 4.3.

(1) I caratteri delle rappresentazioni di dimensione finita sono funzioni centrali.(2) Le funzioni centrali integrabili costituiscono il centro di L1(G).(3) Una funzione integrabile f e centrale se e solo se, per ogni π ∈ P, π(f) e un multiplo scalare

dell’identita.

Dimostrazione. Si ha

χπ(xy) = trπ(xy) = tr(π(x)π(y)

)= tr

(π(y)π(x)

)= trπ(yx) = χπ(yx) .

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5. ANALISI DI FOURIER SU SU(2) 57

Se f ∈ L1(G) e centrale e g ∈ L1(G),

f ∗ g(x) =

ˆG

f(xy−1)g(y) dy

=

ˆG

f(y−1x)g(y) dy

= g ∗ f(x) .

Viceversa, se f ∈ L1(G) soddisfa la condizione f ∗ g = g ∗ f per ogni g ∈ L1(G), deve essere f(xy−1)−f(y−1x) = 0 per quasi ogni x, y. Quindi f e centrale.

Infine, sia f ∈ L1c(G). Allora, per ogni y ∈ G,

π(f) =

ˆG

f(x)π(x) dx

=

ˆG

f(yxy−1)π(x) dx

=

ˆG

f(x)π(y−1xy) dx

= π(y)π(f)π(y)−1 ,

per cui π(f) ∈ I(π, π). Per il Lemma di Schur, π(f) e un multiplo scalare dell’identita.Per il viceversa, supponiamo inizialmente che f ∈ L2(G) e π(f) = cπI per ogni π ∈ P. Per la formula

di inversione (3.4),

f(x) =∑π∈P

dπtr(π(f)π(x)∗

)=∑π∈P

dπcπχπ(x) ,

ed e dunque centrale.L’estensione a f ∈ L1 segue dall’esistenza di identita approssimate centrali e continue. Infatti, per la

compattezza di G e la continuita della funzione (x, y) 7−→ yxy−1, si dimostra che, per ogni intorno U di e,esiste un intorno compatto U ′ tale che

⋃y∈G yU

′y−1 ⊂ U , dove V =⋃y∈G yU

′y e un compatto invariante

per automorfismi interni. Preso allora un sistema forndamentale di intorni Vi siffatti, si ponga

ϕi =(m(Vi)

−11Vi)∗(m(Vi)

−11Vi),

dove m e la misura di Haar normalizzata.Ponendo fi = f ∗ϕi, si ha fi ∈ L2(G) e π(fi) = π(f)π(ϕi) e ancora un multiplo scalare dell’identita per

l’ implicazione inversa dimostrata prima. Dunque fi e centrale e l’identita fi = RyLyfi si trasmette a f percontinuita.

Corollario 4.4. Il proiettore ortogonale C di L2(G) sullo spazio L2c(G) delle funzioni centrali e dato da

Cf(x) =

ˆG

f(y−1xy) dy =

ˆG

LyRyf(x) dy .

Per ogni π ∈ P, il carattere χπ e, a meno di multipli scalari, l’unica funzione centrale in Mπ. Al variaredi π ∈ P, i caratteri χπ formano una base ortonormale di L2

c(G).

5. Analisi di Fourier su SU(2)

Il gruppo SU(n) (la lettera S sta per “speciale”) consiste delle matrici complesse n × n unitarie e condeterminante uguale a 1. Dall’identita xx∗ = I per x ∈ U(n), si ricava che |detx| = 1. Si vede facilmenteche SU(n) e un sottogruppo proprio di U(n). L’applicazione ϕ di SU(n)×T in U(n) che alla coppia (x, eiθ)associa eiθx e chiaramente suriettiva, e il suo nucleo e costituito dalle coppie (eiθI, e−iθ), con eiθI ∈ SU(n).Questo richiede che eiθ sia una radice n-esima dell’unita. Possiamo quindi dire che

U(n) ∼(SU(n)× T

)/ kerϕ ,

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58 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

dove kerϕ ∼ Zn.Limitiamoci ora al caso n = 2. Un generico elemento di SU(2) e una matrice complessa

x =

(α γβ δ

),

su cui imponiamo innanzitutto la condizione x∗x = I, per cui deve essere|α|2 + |β|2 = 1

|γ|2 + |δ|2 = 1αγ + βδ = 0 .

Quindi i due vettori (α, β) e (γ, δ) sono unitari e ortogonali in C2. Poiche (−β, α) e, a meno di multipliscalari, l’unico vettore ortogonale a (α, β), deve essere, tenuto anche conto delle normalizzazioni, (γ, δ) =eit(−β, α).

Imponendo ora la condizione sul detrminante, si ottiene eit = 1. In conclusione, il generico elemento diSU(2) e

xα,β =

(α −ββ α

),

con |α|2 + |β|2 = 1. Come insieme, SU(2) si identifica in modo naturale con la sfera unitaria S3 in C2.Poiniamo quindi su SU(2) la topologia indotta dalla topologia euclidea di C2. Il prodotto su SU(2) e

xα,βxα′,β′ = xαα′−ββ′,βα′+αβ′ ,

per cui il prodotto e continuo. Lo stesso vale per l’inversione, in quanto

x−1α,β = x∗α,β = xα,−β .

E utile analizzare le classi di coniugazione in SU(2),

Cx = y−1xy : y ∈ SU(2) ,essendo questi gli insiemi su cui le funzioni centrali sono costanti.

Lemma 5.1. Ogni elemento x ∈ SU(2) e coniugato con un elemento diagonale

tθ =

(eiθ 00 e−iθ

);

due elementi diagonali tθ e tθ′ sono coniugati tra loro se e solo se θ = ±θ′ mod (2π). Le classi diconiugazione in SU(2) sono dunque in corrispondenza biunivoca con gli elementi θ ∈ [0, π], essendo

Cθ = xα,β : <eα = cos θ.

Dimostrazione. Dato x = xα,β ∈ SU(2), la sua equazione caratteristica e

λ2 − 2λ<eα+ 1 = 0 .

Ponendo <eα = cos θ, con θ ∈ [0, π], gli autovalori sono e±iθ. Se θ = 0, necessariamente α = 1, β = 0, edunque x = I e gia diagonale. Analogamente, se θ = π, x = −I.

Se 0 < θ < π, gli autovalori e±iθ sono distinti e per ognuno di essi c’e un autovettore v± ∈ C2 di normaunitaria. Ma

〈v+, v−〉 = 〈xv+, xv−〉 = e2iθ〈v+, v−〉 ,per cui 〈v+, v−〉 = 0. Se y ∈ U(2) e la matrice avente v+ e v− come colonne, allora x = y−1tθy. Sia ω ∈ Ttale che ω2 = det y; allora y = e−iωy ∈ SU(2) e x = y−1tθy. Dunque x e coniugato con tθ.

Poiche due elementi coniugati hanno gli stessi autovalori, due elementi diagonali distinti tθ e tθ′ possonoessere diagonali solo se θ = −θ′. D’altra parte, se

w =

(0 1−1 0

)∈ SU(2) ,

si verifica facilmente che t−θ = w−1tθw. L’ultima affermazione e ora evidente.

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5. ANALISI DI FOURIER SU SU(2) 59

Introducendo in S3 coordinate reali (x1, x2, x3, x4) con x1+ix2 = α, x3+ix4 = β, la classe di coniugazioneCθ corrisponde al “parallelo” x1 = cos θ relativo al “polo” e = (1, 0, 0, 0).

Si noti anche che una traslazione destra

Rxγ,δxα,β = xαγ−βδ,βγ+αδ

e un’applicazione R-lineare di C2 ∼ R4 in se, ed e ortogonale, in quanto∥∥(αγ − βδ, βγ + αδ)∥∥2

= |αγ − βδ|2 + |βγ + αδ|2 = |α|2 + |β|2 .

Quindi le traslazioni destre lasciano invariata la misura di Hausdorff 3-dimensionale su S3, e questarisulta essere una misura di Haar su SU(2). Nel seguito indicheremo con dx la misura di Haar normalizzatasu SU(2).

Ci proponiamo ora di descrivere le rappresentazioni unitarie irriducibili. Vi e innanzitutto una naturalerappresentazione τ di SU(2) in C2, detta anche rappresentazione tautologica, data da

τ(x)v = xv .

Questa induce un’altrettanto naturale azione di SU(2) sullo spazio C[z1, z2] (per ora dotato della solastruttura algebrica) dei polinomi in due variabili,(

σ(x)P)(z) = P (x−1z) .

Indichiamo con Hn il sottospazio di C[z1, z2] costituito dai polinomi omogenei di grado n:

P (z1, z2) =

n∑k=0

akzn−k1 zk2 .

Ogni Hn e σ-invariante, e indichiamo con πn la restrizione di σ a Hn. Avendo Hn dimensione finita,uguale a n + 1, norme diverse su di esso sono equivalenti, e si vede facilmente che πn : SU(2) → L(Hn) econtinua. Se introduciamo su Hn il prodotto scalare di L2(S3) rispetto alla misura di Hausdorff normalizzatadz,

〈P,Q〉 =

ˆS3

P (z)Q(z) dz ,

si ha d(xz) = dz per ogni x ∈ SU(2), e dunque

〈π(x)P, π(x)Q〉 = 〈P,Q〉 ,

per cui πn e unitaria.

Teorema 5.2. Le rappresentazioni πn sono irriducibili. Ogni rappresentazione irriducibile di SU(2) eequivalente a una e una sola delle πn.

Dimostrazione. Sia V ⊆ Hn un sottospazio invariante non banale. Se

P (z) =

n∑k=0

akzn−k1 zk2

e in V e non nullo, allora anche

Pθ(z) = P (t−1θ z) =

n∑k=0

e−i(n−2k)θakzn−k1 zk2

e in V . Sia ak 6= 0. Allora appartiene pure a V il monomio

1

2πak

ˆ 2π

0

Pθ(z)ei(n−2k)θ dθ = zn−k1 zk2 .

Quindi V contiene almeno un monomio e, se contiene un polinomio, contiene anche tutti i monomi chelo compongono.

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60 4. ANALISI SU GRUPPI COMPATTI

Consideriamo ora gli elementi di SU(2) della forma

uϕ =

(cosϕ − sinϕsinϕ cosϕ

).

Se V contiene un polinomio P , contiene anche

Pϕ(z) = P (u−1ϕ z) = P (cosϕz1 + sinϕz2,− sinϕz1 + cosϕz2) .

Ma allora anche il polinomio

limϕ→0

1

ϕ(Pϕ − P ) =

d

dϕ |ϕ=0

= z2∂P

∂z1− z1

∂P

∂z2

e in V .Sia quindi zn−k1 zk2 un monomio in V . Allora(

z2∂

∂z1− z1

∂z2

)(zn−k1 zk2 ) = (n− k)zn−k−1

1 zk+12 − kzn−k+1

1 zk−12

e in V . Questo implica che anche i monomi “adiacenti” zn−k−11 zk+1

2 e zn−k+11 zk−1

2 sono in V (finche gliesponenti sono non negativi). Iterando questo argomento si conclude che V contiene tutti i monomi di gradon, e dunque V = Hn.

Quindi le rappresentazioni πn sono irriducibili. Chiaramente esse sono tra loro non equivalenti, avendodimensioni diverse.

Per dimostrare che, a meno di equivalenza, queste sono tutte le rappresentazioni irriducibili, ne calcoliamoi caratteri e dimostriamo che essi generano un sottospazio denso in Cc(G). Per il Corollario 4.4 e la densitadi Cc(G) in L2

c(G), si ha allora la conclusione.Poiche i caratteri sono funzioni centrali, e sufficiente calcolarli sugli elementi diagonali tθ. Osserviamo

che

πn(tθ)(zn−k1 zk2 ) = (e−iθz1)n−k(eiθz2)k = e−i(n−2k)θzn−k1 zk2 .

Rispetto alla base di Hn costituita dai monomi, πn(tθ) e rappresentato dunque dalla matrice diagonale

πn(tθ) =

e−inθ 0 · · · 0

0 e−i(n−2)θ · · · 0...

.... . .

...0 0 · · · einθ

.

Quindi

χn(tθ) = tr(πn(tθ)

)=

n∑k=0

e−i(n−2k)θ .

Diamo due espressioni diverse per questa somma. La prima consiste nel sommare i termini con esponentiopposti, per cui

(5.1) χn(tθ) =

2 cosnθ + 2 cos(n− 2)θ + · · ·+ 1 se n e pari

2 cosnθ + 2 cos(n− 2)θ + · · ·+ 2 cos θ se n e dispari .

La seconda usa la formula per la somma di una progressione geometrica:

(5.2) χn(tθ) = e−inθei(2n+2)θ − 1

e2iθ − 1=

sin(n+ 1)θ

sin θ.

Indichiamo ora con Cc(G) l’algebra (rispetto al prodotto puntuale) delle funzioni continue centrali su G.

L’applicazione di Cc(G) in C([0, π]

)che associa a f la funzione f(θ) = f(tθ) e chiaramente un isomorfismo.

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5. ANALISI DI FOURIER SU SU(2) 61

Basta allora far vedere che le funzioni χn(θ) = χn(tθ) generano un sottospazio uniformemente denso inC([0, π]

).

Per la (5.1), χn(tθ)− χn−2(tθ) = 2 cosnθ, e χ0(tθ) = 1, per cui ci riduciamo a mostrare che le funzionicosnθ, al variare di n ∈ N, generano un sottospazio denso di C

([0, π]

).

Possiamo applicare il Teorema di Stone-Weierstrass: abbiamo un sottospazio che separa i punti, contienele costanti ed e invariante per coniugazione. Infine esso e un’algebra, come conseguenza della formula2 cosnθ cosmθ = cos(n+m)θ + cos(n−m)θ.

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CAPITOLO 5

Gruppi e algebre di Lie

1. Gruppi di Lie

Definizione. Un gruppo di Lie e una varieta differenziabile G dotata di una struttura di gruppo, tale chel’applicazione

(x, y) 7−→ xy−1 ,

sia C∞ da G×G a G.

Si ottiene facilmente dalla definizione che le seguenti applicazioni sono diffeomorfismi1 di G:

• le traslazioni sinistre `x(y) = xy;• le traslazioni destre rx(y) = yx−1;• l’inversione x 7−→ x−1.

Proposizione 1.1. Sia X campo vettoriale su G. Le seguenti condizioni sono equivalenti:

(i) per ogni x ∈ G, (`x)∗X = X, cioe

X(f `x) = (Xf) `x ,per ogni f ∈ C∞(G);

(ii) detta e l’identita di G,Xx = de`x(Xe) ,

per ogni x ∈ G.

Un campo vettoriale si dice invariante a sinistra se valgono le proprieta (i), (ii). I campi vettorialiinvarianti a destra si defiscono in modo analogo, con rx al posto di `x.

Dimostrazione. Per la (2.5), la condizione (i) equivale a

(1.1) Xxy = (dy`x)Xy ,

per ogni x, y ∈ G. Con y = e, si ha (ii).Se vale invece la (ii), presi x, y ∈ G, si ha

Xxy = (de`xy)Xe

= (de`xy)(de`y)−1Xy

= (de`xy)(dy`y−1)Xy

= dy(`xy`y−1)Xy

= (dy`x)Xy ,

per la regola di derivazione in catena.

Corollario 1.2. Dato un vettore tangente a G nell’identita, v ∈ TeG, esiste un unico campo vettorialeinvariante a sinistra X tale che Xe = v.

I campi vettoriali invarianti a sinistra su G formano uno spaxio vettoriale di dimensione n = dimG.Inoltre, se X,Y sono invarianti a sinistra, lo e anche [X,Y ].

1La presenza dell’inverso di x in rx e non in `x consente di avere le identita rxx′ = rxrx′ , `xx′ = `x`x′ .

63

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64 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Dimostrazione. Dato v ∈ TeG, si definisca X ponendo

Xf(x) = v(f `x) ,

per f ∈ C∞(G). Essendo F (x, y) = f(xy) = f `x(y) una funzione C∞ su G×G, segue dalla Proposizione2.2 che Xf ∈ C∞(G). Inoltre

X(fg)(x) = f `x(e)v(g `x) + g `x(e)v(f `x) = f(x)Xg(x) + g(x)Xf(x) .

Considerando l’applicazione lineare λ che al campo vettoriale invariante a sinistra X associa Xe ∈ TeG,quanto visto sopra mostra che λ e suriettiva. Se Xe = 0, si ha Xx = 0 per ogni x ∈ G in base alla Proposizione1.1. Questo dimostra che λ e iniettiva.

L’ultima affermazione dell’enunciato e evidente.

Definizione. Sia G un gruppo di Lie. Si chiama gruppo a un parametro in G un omomorfismo C∞

γ : R −→ G, dove si considera R come gruppo additivo.

Si noti che un gruppo a un parametro e una curva parametrica con sostegno in G, e non un suosottoinsieme.

Per una curva parametrica γ in una varieta M , il differenziale dtγ in t ∈ R si identifica in modo naturalecon il vettore tangente γ′(t) ∈ Tγ(t)M .

Teorema 1.3. Sia γ un gruppo a un parametro in G. Allora l’applicazione Φ : G× R −→ G data da

(1.2) Φ(x, t) = xγ(t) = rγ(−t)x ,

e il flusso generato dal campo vettoriale invariante a sinistra X tale che Xe = γ′(0).Viceversa, dato un campo vettoriale X su G invariante a sinistra, la curva integrale γe(t) del problema

di Cauchy (3.2) con x0 = e e un gruppo a un parametro in G (in particolare definita su tutto R) e il flussogenerato da X e dato dalla (1.2) con γ = γe.

Dimostrazione. Sia γ un gruppo a un parametro. Si verifica facilmente, per la regolarita di γ e larelazione γ(t+t′) = γ(t)γ(t′), che la funzione Φ in (1.2) soddisfa le ipotesi della Proposizione 3.2 in Appendicecon A = G× R, ed e dunque il flusso generato dal campo vettoriale

(1.3) Xf =d

dt |t=0

f rγ(−t) .

Inoltre,

X(f `x)(y) =d

dt |t=0

f `x rγ(−t)(y)

=d

dt |t=0

f(xyγ(t)

)= Xf(xy)

= (Xf) `x(y) ,

cioe X e invariante a sinistra.Sia ora X un campo vettoriale invariante a sinistra, e sia γe(t) la curva integrale del problema di Cauchy

(3.2) con x0 = e, definita su un intervallo aperto I contenente l’origine, che prendiamo massimale. Dato ungenerico x ∈ G la curva γx(t) = xγ(t) = `xγe(t), con t ∈ I, e la soluzione massimale del problema di Cauchy(3.2) con x0 = x, in quanto

γ′x(t) = (dγe(t)`x)γ′e(t) = (dγe(t)`x)Xγe(t) = Xxγe(t) ,

per la (1.1). In particolare, per x = γe(t′), con t′ ∈ I, le due funzioni di t, γe(t

′)γe(t) e γe(t + t′) sonoentrambe soluzioni massimali del problema di Cauchy, e devono pertanto coincidere, con i rispettivi intervallidi definizione. Questo implica che I = R e che γe e un gruppo a un parametro.

Corollario 1.4. I seguenti insiemi sono in corrispondenza biunivoca tra loro:

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2. ALGEBRE DI LIE 65

• l’insieme dei gruppi a un parametro in G,• lo spazio g dei campi vettoriali invarianti a sinistra su G,• lo spazio tangente TeG nell’identita di G,

attraverso le mappe che al gruppo a un parametro γ associano rispettivamente il campo (1.3) e il vettoreγ′(0).

Conclusioni analoghe valgono per campi vettoriali invarianti a destra. Riassumiamo le conclusioni nelseguente enunciato.

Proposizione 1.5. Sia γ un gruppo a un parametro in G. Allora il campo vettoriale

(1.4) Y f =d

dt |t=0

f `γ(t) ,

e invariante a destra e genera il flusso

(1.5) Φ(x, t) = γ(t)x .

Inoltre, il vettore tangente Ye = γ′(e) ∈ TeG determina univocamente γ e Y .

Si noti che un vettore tangente v ∈ TeG determina univocamente un gruppo a un parametro e duecampi vettoriali, uno invariante a sinistra e uno invariante a destra. Naturalmente questi due campi possonocoincidere, per esempio se γ(t) e nel centro di G per ogni t.

In generale, se indichiamo con X`v e Xr

v i due campi vettoriali, risp. sinistro e destro, individuati da unostesso v ∈ TeG, si ha la seguente relazione, dove f(x) = f(x−1):

(1.6) (Xrvf ) = −X`

v f .

2. Algebre di Lie

Con riferimento all’enunciato del Corollario 1.4, osserviamo che lo spazio tangente TeG ha una strutturadi spazio vettoriale, cosı come lo spazio g dei campi vettoriali invarianti a sinistra, ma quest’ultimo ha unapiu ricca struttura algebrica, in quanto il commutatore

[X,Y ] = XY − Y X ,

di due campi vettoriali invarianti a sinistra e ancora invariante a sinistra. In altri termini, g ha una strutturadi algebra di Lie, detta l’algebra di Lie del gruppo G, e a volte indicata anche come Lie(G).

La definizione astratta di algebra di Lie e la seguente.

Definizione. Si chiama algebra di Lie su un campo F di caratteristica 0 uno spazio vettoriale g su F dotatodi un’operazione [ , ] : g× g −→ g, detta parentesi di Lie, che

• sia bilineare e antisimmetrica,• soddisfi l’identita di Jacobi[

x, [y, z]]

+[y, [z, x]

]+[z, [x, y]

]= 0

per ogni x, y, z ∈ g.

Ogni algebra associativa su un campo F ha una struttura di algebra di Lie su F rispetto al commutatore[x, y] = xy − yx. Lo spazio dei campi vettoriali su una varieta differenziabile ha una struttura di algebra diLie su R, cosı come lo spazio dei campi vettoriali invarianti a sinistra (o a destra) su un gruppo di Lie.

Naturalmente la complessificazione gC di un’algebra di Lie reale (cioe su R) ammette un’unica strutturadi algebra di Lie complessa che estende quella data su g.

Se [ , ] e una parentesi di Lie, anche −[ , ] e una parentesi di Lie sullo stesso spazio vettoriale el’applicazione x 7−→ −x e un isomorfismo tra le due strutture di algebra di Lie.

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66 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Si osservi che, nelle notazioni della (1.6), le corrispondenze biunivoche v 7−→ X`v e v 7−→ Xr

v consentonodi dotare TeG di due strutture di algebra di Lie reale, le cui parentesi di Lie, per la (1.6), sono opposte.

Introduciamo alcuni termini e notazioni di uso comune per un’algebra di Lie g.

• Si dice che due elementi x, y ∈ g commutano se [x, y] = 0.• g si dice abeliana se la sua parentesi di Lie e identicamente nulla.• Se V, V ′ sono sottospazi vettoriali di g, si pone [V, V ′] = span

[x, y] : x ∈ V , y ∈ V ′

.

• Un sottospazio vettoriale h di g si dice una sottoalgebra se [h, h] ⊆ h.• Un sottospazio vettoriale h di g si dice un ideale se [g, h] ⊆ h.• Il centro di g e l’insieme z = x : [x, y] = 0 ∀ y ∈ g.• Per x ∈ g, l’applicazione ad(x) : g −→ g e data da ad(x)y = [x, y].• Se V e uno spazio vettoriale su F di dimensione finita, l’algebra End(V ) degli endomorfismi lineari

di V , dotato della parentesi di Lie data dal commutatore, si indica con gl(V ).

Siano g, h algebre di Lie sullo stesso campo e sia T : g −→ h un’applicazione lineare.

• T si dice un omomorfismo di algebre di Lie se T([x, y]g

)= [Tx, Ty]h per ogni x, y ∈ g (e i termini

isomorfismo, automorfismo, ecc. vengono di conseguenza).• se h = g, T si dice una derivazione di g se T

([x, y]

)= [Tx, y] + [x, Ty] per ogni x, y ∈ g.

La verifica delle seguenti proprieta e lasciata per esercizio.

Proposizione 2.1.

(i) Il centro di un’algebra di Lie e un ideale.(ii) Se h e un’ideale di g, lo spazio vettoriale quoziente g/h eredita una struttura di algebra di Lie

ponendo[x+ h, y + h] = [x, y]g + h .

(iii) Per ogni x ∈ g, ad(x) e una derivazione di g (detta derivazione interna).(iv) L’applicazione ad : g −→ gl(g) che manda x in ad(x) e un omomorfismo di algebre di Lie con

nucleo z.

L’algebra di Lie delle matrici quadrate n×n a coefficienti in F si indica con gln(F ), oppure con gl(n, F ).Il centro di gln(F ) e costituito ai multipli scalari dell’identita.

Assumeremo per noto il seguente teorema, di cui tralasciamo la dimostrazione.

Teorema 2.2 (Teorema di Ado). Sia F un campo di caratteristica 0 e sia g un’algebra di Lie su F didimensione finita. Esiste allora un intero n tale che g sia isomorfa a una sottoalgebra di Lie di gln(F ).

Si noti che, se g ha centro banale, l’applicazione ad fornisce un esempio concreto di isomorfismo di g suuna sottoalgebra di gl(g).

3. La mappa esponenziale

Sia G un gruppo di Lie. Converremo di identificare la sua algebra di Lie g = Lie(G) con lo spaziotangente nell’identita TeG. Questo vuol dire che poniamo [v, v′] = w, con v, v′, w ∈ TeG se i campi vettorialiinvarianti a sinistra X,X ′, Y tali che Xe = v, X ′e = v′, Ye = w soddisfano la relazione [X,X ′] = Y .

Dato v ∈ TeG, indichiamo con γv il gruppo a un parametro con γ′(0) = v e con X il campo vettorialeinvariante a sinistra per cui Xe = v. Definiamo quindi la mappa exp : g −→ G ponendo

exp(v) = γv(1) .

Si ha quindiγv(t) = exp(tv) ,

per ogni t ∈ R, e, data f ∈ C∞(G),

exp(tX)f(x) = f(x exp(tv)

).

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4. IL GRUPPO LINEARE 67

Si noti pero che abitualmente si evita la doppia notazione X, v per lo stesso elemento dell’algebra diLie, preferendo il simbolo X. Questo da origine a formule come

Xf(x) =d

dt |t=0

f(x exp(tX)

),

(e all’ambiguita tra exp(tX) inteso come elemento di G oppure come operatore).

Proposizione 3.1. La mappa esponenziale e C∞. Inoltre esistono un intorno V di 0 ∈ g e un intorno Udi e ∈ G tali che exp sia un diffeomorfismo di V su U .

Dimostrazione. La prima affermazione segue dal punto (iv) del Teorema 3.1. Per la seconda, bastaosservare che d0 exp : g −→ TeG ∼= g e l’applicazione identica.

4. Il gruppo lineare

Per gli sviluppi successivi, sara importante aver presente il seguente esempio.

Il gruppo delle matrici n × n invertibili a coefficienti reali2 si indica con GLn(R) e si chiama il gruppolineare di ordine n su R. Siccome la condizione detx 6= 0 definisce un aperto dello spazio End(Rn) di tuttele matrici n× n, GLn(R) ha una naturale struttura di varieta analitica di dimensione n2.

Il prodotto matriciale (x, y) 7−→ xy e certamente C∞ da GLn(R)×GLn(R) in GLn(R), essendo espressoda polinomi nelle varie coordinate. Quindi GLn(R) e un gruppo di Lie.

Lo spazio tangente TeGLn(R) (con e = I, la matrice identica) si identifica in modo naturale con End(Rn).Data una qualunque matrice A ∈ End(Rn), la curva

γA(t) = etA =

∞∑k=0

tk

k!Ak ,

definisce il gruppo a un parametro in GLn(R) con vettore tangente nell’origine uguale ad A. Quindi tutti igruppi a un parametro hanno questa forma e

(4.1) Lie(GLn(R)) = End(Rn) ,

almeno come spazio vettoriale.Coniugando il gruppo a un parametro γA(t) per un elemento x ∈ GLn(R), si ottiene

(4.2) xetAx−1 =

∞∑k=0

tk

k!xAkx−1 = exAx

−1

.

Quindi

Ad(x)A = xAx−1 .

Ponendo x = etB e derivando in t = 0, risulta

ad(B)A = BA−AB = [B,A] .

Quindi il bracket in Lie(GL

n(R))

coincide con il commutatore in End(Rn) e l’identificazione (4.1) e

anche come algebre di Lie. Si usa il simbolo gln(R) per indicare tale algebra di Lie.I campi vettoriali invarianti a sinistra su GLn(R) assumono forma esplicita, sulla base del Corollario 1.4,

nel modo seguente. Data A ∈ gln(R),

XAf(x) =d

dt |t=0

f(xetA) .

2Lo stesso vale senza modifiche con C al posto di R.

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68 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Essendo etA = I + tA+O(t2), si ha anche, per f ∈ C∞(GLn(R)),

f(xetA) = f(x(I + tA)

)+O(t2) ,

per t→ 0, e dunque

XAf(x) =d

dt |t=0

f(x+ txA) .

Esplicitando le coordinate (xij) della matrice x e chiamando ∂ij la corrispondente derivata parziale, siha quindi

(4.3) XAf(x) =

n∑i,j=1

(xA)ij∂ijf(x) .

Si puo verificare che, calcolando esplicitamente il commutatore [XA, XB ] di due campi di questa forma,si ritrova la struttura di algebra di Lie di GLn(R).

5. Omomorfismi, automorfismi e sottoalgebre di Lie

Sia ψ un omomorfismo differenziabile di un gruppo di Lie G in un gruppo di Lie G′. Allora ψ(e) = e′ edeψ : TeG −→ Te′G

′ (abitualmente indicato come dψ) e lineare.

Proposizione 5.1. Attraverso l’identificazione tra spazi tangenti in e e algebre di Lie, dψ e un omomorfismodi algebre di Lie da g a g′, cioe, oltre ad essere lineare, vale l’identita3

dψ([X,Y ]g

)=[dψ(X), dψ(Y )

]g′.

Dimostrazione. Siano v = Xe, w = Ye in TeG.Per il Teorema 1.2, i relativi flussi in G sono

ΦX(x, t) = x exp(tv) , ΦY (x, t) = x exp(tw) .

L’omomorfismo ψ applica il gruppo a un parametro γv(t) in un gruppo a un parametro in G′, diciamoγv′(t). Chiaramente v′ = dψ(v), cioe

(5.1) ψ(

exp(tv))

= exp(t dψ(v)

).

Quindi,Φdψ(X)(x, t) = x exp

(t dψ(v)

), Φdψ(Y )(x

′, t) = x′ exp(t dψ(w)

).

Per le (3.6) e (3.7) in Appendice,[dψ(X), dψ(Y )

]g′f(e′) = ∂s|s=0

∂t|t=0exp

(s dψ(X)

)exp

(t dψ(Y )

)exp

(− s dψ(X)

)f(e′)

= ∂s|s=0∂t|t=0

f(

exp(s dψ(v)

)exp

(t dψ(w)

)exp

(− s dψ(v)

))= ∂s|s=0

∂t|t=0f(ψ(

exp(sv))ψ(

exp(tw))ψ(

exp(−sv)))

= ∂s|s=0∂t|t=0

f ψ(

exp(sX) exp(tY ) exp(−sX))

= [X,Y ]g(f ψ)(e) .

Definizione. Per x ∈ G, si indica con Ad(x) : g −→ g il differenziale dell’automorfismo interno ψx(y) =xyx−1.

Si ha allora

(5.2) x exp(v)x−1 = exp(Ad(x)v

),

per x ∈ G e v ∈ g.

Proposizione 5.2. Sia G un gruppo di Lie.

3Questa e l’identita (2.6) in Appendice, ma qui non si richiede che ψ sia un diffeomorfismo.

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7. GRUPPI CON UNA DATA ALGEBRA DI LIE 69

(i) L’applicazione Ad : G −→ GL(g) e un omomorfismo C∞.(ii) Il differenziale ad = dAd : g −→ gl(g) e l’omomorfismo di algebre di Lie

ad(X) : Y 7−→ [X,Y ] ,

introdotto nella Proposizione 2.1.

Dimostrazione. Indichiamo con ψx l’automorfismo interno y 7−→ xyx−1. Essendo ψxx′ = ψx ψx′ perogni x, x′ ∈ G, lo stesso vale per i differenziali in e. La funzione u(x, y) = xyx−1 da G×G in G e C∞, quindilo e anche deu(x, ·) come funzione di x. Il punto (ii) segue dalla (3.7) in Appendice.

6. Strutture analitiche su gruppi di Lie

Teorema 6.1. Su ogni gruppo di Lie esiste una e una sola struttura analitica tale che

(i) sia compatibile con la struttura di gruppo, cioe l’applicazione (x, y) 7−→ xy−1 sia analitica;(ii) l’applicazione esponenziale e analitica su un intorno di 0 ∈ g.

Dimostrazione. Sia V ⊂ g come nella Proposizione 3.1, e sia V ′ ⊂ V un intorno simmetrico di 0 taleche la serie di Baker-Campbell-Hausdorff (4.1) converga totalmente su V ′× V ′ e i corrispondenti valori di usiano in V (cf. Esempio 1 del paragrafo 4).

Posto U = expV e U ′ = expV ′, si ha allora U ′2 ⊂ U . Sia U ′′ un intorno simmetrico4 di e tale che

U ′′2 ⊂ U ′. Definiamo l’atlante A =

(xU ′′, ξx)

x∈G, dove ξx(y) = exp−1(x−1y).

Supponiamo che xU ′′ ∩ yU ′′ 6= ∅. Allora y−1x ∈ U ′ e dunque y−1x = exp(v0) con v0 ∈ V ′. Siaz ∈ xU ′′ ∩ yU ′′, da cui z = x exp(v) = y exp(v′) con v, v′ ∈ V ′′. Segue dalla definizione che

v′ = ξy ξ−1x (v) = exp−1

(exp(v0) exp(v)

)= u(v0, v) .

Essendo v0, v ∈ V ′, u(v0, v) dipende analiticamente da v, essendo la somma di una serie di potenzeconvergente totalmente. Quindi A definisce una struttura analitica su G. L’applicazione esponenziale eanalitica su V ′′ in quanto inversa della carta locale ξe.

Per verificare la compatibilita col prodotto, osserviamo che, dati x exp(v) ∈ xU ′′, y exp(v′) ∈ yU ′′, si ha,per la (5.2),

x exp(v)(y exp(v′)

)−1= x exp

(u(v,−v′)

)y−1 = xy−1 exp

(Ad(y)u(v,−v′)

).

Questo mostra l’analiticita dell’operazione di gruppo.Infine, in ogni struttura analitica che soddisfi (i) e (ii) le funzioni ξx devono essere analitiche, e questo

implica l’unicita.

7. Gruppi con una data algebra di Lie

Teorema 7.1. Sia g un’algebra di Lie reale di dimensione finita. Esiste un gruppo di Lie G connesso taleche Lie(G) sia isomorfa a g.

Dimostrazione. Per il Teorema di Ado (Teorema 2.2) possiamo supporre che g sia una sottoalgebradi Lie di gln(R) per qualche n.

Siano V0 = V ∩ g, V ′0 = V ′ ∩ g, W0 = W ∩ g. Osserviamo che se A,B ∈ g e u(A,B) e definito, allorau(A,B) ∈ g. In particolare exp(W0) exp(W0) ⊂ exp(V ′0) ed exp(V ′0) exp(V ′0) ⊂ exp(V0).

Per ogni x ∈ GLn(R), sia Sx = x exp(W0). Allora Sx e una varieta di dimensione m = dim g.Sia G il sottogruppo di GLn(R) generato da Se, e si consideri l’unione disgiunta

M =⊔x∈G

Sx ,

4Cioe U ′′ = U ′′−1.

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70 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

con la topologia τ tale che, per ogni x ∈ G, Sx sia chiuso e aperto e RSx sia la topologia indotta da End(Rn).La struttura di varieta differenziabile so ogni Sx induce una struttura differenziabile su M in modo naturale.

Sia Π : M −→ G l’applicazione di incollamento che identifica gli elementi di M , distinti in M in quantoappartenenti a distinti Sx, ma che coincidono come elementi di G.

Chiaramente, Π e C∞. Mostriamo che essa e aperta. Per far cio, dobbiamo mostrare che, se E e apertoin M , anche E = Π−1

(Π(E)

)e aperto in M . Basta supporre E ⊆ Sx per qualche x ∈ G. Allora

E =⊔y∈G

(E ∩ Sy) .

Traslando a sinistra, se necessario, per x, possiamo anche supporre che x = e. Osserviamo che, sez ∈ E ∩Sy, esistono A,B ∈W0 tali che z = eA = yeB , per cui y = eu(A,−B) ∈ exp(V ′0). Inoltre, E e Sy sonovarieta di dimensione m contenute in exp(V0), che pure e una varieta di dimensione m. Ne consegue che E

e Sy sono aperti in exp(V0). Dunque E ∩ Sy e aperto in Sy e si conclude che E e aperto in M .Lo spazio topologico quoziente M/Π si identifica con G come insieme, ma eredita da M una struttura

differenziabile. Infatti gli insiemi Ux = Π(Sx) costituiscono un ricoprimento aperto di M/Π. Poniamo alloraf ∈ E(Ux) se la funzione A 7−→ f

(Π(xeA) e C∞ su W0.

Le proprieta (i), (ii) della Definizione 1 sono ovviamente verificate. Per verificare la (iii) basta mostrareche, se f e definita su Ux ∩ Uy 6= ∅, allora A 7−→ f

(Π(xeA)

)e C∞ se e solo se B 7−→ f

(Π(yeB)

)e C∞ (su

opportuni aperti di W0).Conviene osservare subito che, per definizione, f ∈ E(Ux) implica che f `y ∈ E(Uy−1x) per ogni

y ∈ G. Quindi basta dimostrare che, se A 7−→ f(Π(eA)

)e C∞ su un aperto di W0 e Uy ∩ Ue 6= ∅, allora

B 7−→ f(Π(yeB)

)e C∞ (su un opportuno aperto di W0).

Per quanto visto sopra, esiste C ∈ V ′0 tale che y = eC , per cui yeB = eu(C,B). Ma allora, per C fissato,u(C,B) e funzione analitica di B.

Infine, le funzioni ξx : Ux 3 Π(xeA) 7−→ A sono carte locali che soddisfano la (iv).Si vede facilmente che l’immersione di M/Π in GLn(R) e differenziabile.Rimane da dimostrare che l’applicazione (x, y) 7−→ xy−1 e C∞ su (M/Π)2 ∼= G2 e che Lie(G) ∼= g.

Basta restringersi al prodotto cartesiano di due aperti coordinati, Π(Sx0) e Π(Sy0

), cioe supporre x = x0eA,

y = y0eB con A,B ∈W0. Allora

xy−1 = x0eu(A,−B)y−1

0 = x0y−10 eAd(y−1

0 )(u(A,−B)

),

per la (4.2). Questo mostra che, nelle coordinate locali ξx, il prodotto e analitico.Sia ora γ(t) un gruppo a un parametro in M/Π. Siccome l’immersione ι di M/Π in GLn(R) e analitica e

un isomorfismo algebrico con la sua immagine G, l’immagine ιγ(t) e un gruppo a un parametro di GLn(R),dunque ιγ(t) = etA con A ∈ gln(R). Ma esiste δ > 0 tale che ιγ(t) ∈ Se per |t| < δ, per cui ιγ(t) = γ(t),e dunque tA ∈W0. Quindi A ∈ g.

Viceversa, data A ∈ g, i suoi esponenziali etA sono elementi di G ed e dunque definita γ(t) = ι−1(etA) ∈M/Π. Se δ > 0 e tale che tA ∈ W0 per |t| < δ, si ha γ(t0 + h) = γ(t0)γ(h) ∈ Sγt0 per |h| < δ, e quindi γ eC∞.

Si ha cosı l’identificazione Lie(G) ∼= g.

Dimostriamo alcuni lemmi che aiutano a comprendere il succesivo Teorema 7.4, di cui salteremo pero ladimostrazione, rinviando a C. Chevalley, Theory of Lie Groups, Vol. 1.

Lemma 7.2.

(i) Sia G un gruppo di Lie. La componente connessa dell’identita Ge e un sottogruppo normale di Gavente la stessa algebra di Lie.

(ii) Sia U un intorno connesso di e. Allora il sottogruppo di G generato da U e Ge.

Dimostrazione. Attraverso l’applicazione (x, y) 7−→ xy−1, Ge × Ge viene mandato in un connessocontenente e. Quindi Ge e un sottogruppo.

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8. SOTTOGRUPPI E SOTTOALGEBRE DI LIE 71

Dato x ∈ G, l’automorfismo interno ψx(y) = xyx−1 e un diffeomorfismo di G che fissa e. Quindiψx(Ge) = Ge.

Infine, si osservi che i gruppi a un parametro di G hanno sostegno in Ge. Quindi la restrizione a Ge eun isomorfismo tra campi vettoriali invarianti a sinistra su G e campi vettoriali invarianti a sinistra su Ge.

Passando al punto (ii), possiamo supporre che U e aperto e che U = U−1. Basta allora dimostrare che⋃n≥1 U

n = Ge. Essendo U connesso, anche U2, l’immagine di U ×U nell’applicazione prodotto, e connesso.

Per induzione, Un e connesso per ogni n, e tale e anche l’unione, perche Un ⊂ Un+1. Inoltre Un e apertoper ogni n e tale e l’unione. Mostriamo che

⋃n≥1 U

n e anche chiusa. Se x e nella chiusura, esiste n per cui

xU ∩ Un 6= ∅. Ma allora x ∈ Un+1.

Due gruppi di Lie G,G′ si dicono localmente isomorfi se esiste un diffeomorfismo η tra due intorni U,U ′

delle rispettive identita tale che η(xy−1) = η(x)η(y)−1 per ogni coppia di elementi x, y ∈ U tali che xy−1 ∈ U .Si noti che η e automaticamente analitico.

Lemma 7.3.

(i) Due gruppi di Lie sono localmente isomorfi se e solo se hanno algebre di Lie isomorfe.(iii) Sia Z un sottogruppo normale e discreto Z di un gruppo di Lie connesso G. Allora Z e contenuto

nel centro di G e il gruppo quoziente G/Z ha una struttura di gruppo di Lie localmente isomorfoa G.

Dimostrazione. Sia η : U ⊂ G −→ U ′ ⊂ G′ un diffeomorfismo locale di gruppi di Lie. Allora ηapplica archi di gruppi a un parametro in G in archi di gruppi a un parametro in G′. Questo stabilisceuna corrispondenza biunivoca tra campi vettoriali invariani a sinistra sui due gruppi, che e coerente conl’isomorfismo lineare deη : g −→ g′. Questo mostra che deη e un isomorfismo di algebre di Lie.

Viceversa, sia λ : g −→ g′ un isomorfismo tra le algebre di Lie di G e G′. Sia V un intorno dell’originein g tale che expG : V −→ expG(V ) = U e expG′ : λ(V ) −→ expG′

(λ(V )

)= U ′ siano diffeomorfismi. Allora

expG′ exp−1G e un isomorfismo locale.

Per il punto (ii), dato z ∈ Z, l’applicazione x 7−→ xzx−1 e continua da G a Z. Essendo G connesso, essae costantemente uguale a z, valore assunto per x = e.

Sia ora U un intorno di e che non contenga altri elementi di Z, e sia V = expW un altro intorno taleche V = V −1 e V 2 ⊂ U . Allora V interseca ogni classe laterale di Z in al massimo un punto. Sia π e lamappa quoziente. Al variare di x ∈ G, le funzioni ξx : π(xV ) −→W , ξx = (π `x exp)−1, costituiscono unatlante di una struttura di varieta differenziabile. Rispetto ad essa, G e G/Z sono localmente isomorfi.

Teorema 7.4. Sia G un gruppo di Lie connesso, Il suo rivestimento universale G ha pure una struttura digruppo di Lie, localmente isomorfo a G. In particolare, G e G hanno la stessa algebra di Lie g.

Ogni gruppo connesso G′ con Lie(G′) ∼= g e isomorfo a G/Z, dove Z e un sottogruppo discreto del centro

di G. In particolare, G e, a meno di isomorfismi, l’unico gruppo connesso e semplicemente connesso, conalgebra di Lie isomorfa a g.

Per completezza, enunciamo senza dimostrazione un risultato piu generale, di cui il Lemma 7.3 (i) e ilTeorema 7.4 sono conseguenze.

Teorema 7.5. Siano g, g′ algebre di Lie e ψ : g −→ g′ un omomorfismo di algebre di Lie. Se G e il gruppoconnesso e semplicemente connesso con Lie(G) = g e G′ e un gruppo connesso con Lie(G′) = g′, allora esisteun unico omomorfismo C∞ ϕ : G −→ G′ tale che dϕ = ψ.

8. Sottogruppi e sottoalgebre di Lie

Definizione. Un sottogruppo di Lie di un gruppo di Lie G e una coppia (H,ϕ), dove H e un gruppo di Liee ϕ : H −→ G e un omomorfismo analitico iniettivo.

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72 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

La definizione e data in questo modo per tener conto di sottogruppi che sono sottovarieta di G ma nonsono chiusi. L’esempio significativo e quello in cui G = T2, dove T e il toro R/(2πZ) ∼= S1. Per ogni α ∈ R,

Hα =

(eit, eiαt) : t ∈ R

e un sottogruppo algebrico di T2, topologicamente denso se α 6∈ Q. Tuttavia ogni Hα ha una strutturadifferenziabile e diventa un sottogruppo di Lie se rappresentato dalla coppia (R, ϕα), con ϕα(t) = (eit, eiαt).

Si noti che questa definizione e coerente con la definizione di gruppo a un parametro.

Se i sottogruppi di Lie non sono necessariamente chiusi, si ha invece il seguente enunciato. Per ladimostrazione, si veda S. Helgason, Differential Geometry, Lie Groups and Symmetric Spaces, Ch. II, Th.2.3.

Teorema 8.1. Sia H un sottogruppo algebrico di G, chiuso nella topologia di G. Allora H e una sottovarietadi G e, detta ι l’immersione, (H, ι) e un sottogruppo di Lie.

Se (H,ϕ) e un sottogruppo di Lie di G, allora dϕ : h −→ g e un isomorfismo di h con una sottoalgebra diLie di g. Quindi, se V ⊂ h e un intorno sufficientemente piccolo di 0, U = ϕ(V ) e una sottovarieta localmentechiusa di G e TeU = dϕ(h) e una sottoalgebra di Lie di g isomorfa a h.

Un semplice adattamento della dimostrazione del Teorema 7.1 porta alla seguente conclusione.

Teorema 8.2. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Data una sottoalgebra di Lie h di g, esiste unoe un solo (a meno di isomorfismi) sottogruppo di Lie connesso (H,ϕ) tale che dϕ

(Lie(H)

)= h.

Questo teorema stabilisce dunque una corrispondenza biunivoca tra sottogruppi di Lie di G e sottoalgebredi Lie di g.

Teorema 8.3. Siano (H,ϕ) un sottogruppo di Lie connesso di G, pure connesso, e h la corrispondentesottoalgebra di Lie di g. Allora ϕ(H) e normale in G se e solo se h e un ideale di g.

Dimostrazione. Dato x ∈ G si consideri l’automorfismo interno ψx(y) = xyx−1. Se ϕ(H) e normalein G, ogni ψx e un isomorfismo analitico di ϕ(H) come sottovarieta di G. Allora deψx = Ad(x) applica h inse. Ponendo x = exp(tv) con v ∈ g e derivando in t = 0, si ottiene che ad(v)h ⊂ h, cioe che h e un ideale.

Viceversa, se ad(v)h ⊂ h per ogni v ∈ g, anche Ad(

exp(tv))

= exp(t ad(v)

)applica h in se. Essendo G

connesso, exp(g) genera G, e dunque h e Ad(x)-invariante per ogni x ∈ G.Dato w ∈ h, ψx

(exp(tw)

)= exp

(tAd(x)w

)e il gruppo a un parametro generato da Ad(x)w, dunque e

contenuto in ϕ(H). Siccome exp(h) genera ϕ(H), si conclude che ogni ψx applica ϕ(H) in se, cioe ϕ(H) enormale in G.

9. Esempi significativi

Elenchiamo alcuni importanti sottogruppi di GLn(R).

1. Attraverso l’identificazione naturale di Cn con R2n, il gruppo GLn(C) puo essere identificato con unsototgruppo di GL2n(R), sostituendo la matrice complessa A+ iB con la matrice reale

(9.1)

(A −BB A

).

Questa realizzazione di GLn(C) da un sottogruppo chiuso in GL2n(R), e pertanto e un suo sottogruppodi Lie, per il Teorema 8.1.

L’algebra di Lie gln(C) si identifica, attraverso il normale esponenziale di matrici complesse, con Cn×n,oppure con la sottoalgebra di Lie di gl2n(R) delle matrici della forma (9.1).

2. I sottogruppi SLn(R), SLn(C) del corrispondente GLn consistono delle matrici con determinante uno.

Lemma 9.1. Sia A una matrice complessa n× n. Allora det eA = etrA.

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9. ESEMPI SIGNIFICATIVI 73

Dimostrazione. Supponiamo che A sia in forma canonica di Jordan, di modo che

Ak =

λk1

. . . *

0 . . .

λkn

, eA =

eλ1

. . . *

0 . . .

eλn .

La conclusione e dunque evidente. Per il caso generale, ogni matrice A e uguale a PA′P−1, con A′ in

forma canonica di Jordan. Basta dunque osservare che eA = PeA′P−1 e che tr A = tr A′.

Segue facilmente che l’algebra di Lie sln(C) di SLn(C) consiste delle matrici complesse a traccia nulla,e analogamente per sln(R).

3. Il gruppo ortogonale On ⊂ GLn(R) consiste delle matrici U tali che tUU = I. Un gruppo a un parametro

etA in GLn e contenuto in On se e solo se ettAetA = I per ogni t. Derivando in t = 0, questa condizione

implica chetA+A = 0 ,

cioe che A a antisimmetrica. Viceversa, se A e antisimmetrica,

d

dtettAetA = et

tA tAetA + ettAAetA = 0 ,

per cui ettAetA = I per ogni t.

Gli elementi di On hanno determinante uguale a ±1, in particolare On non e connesso, e la componenteconnessa dell’identita e il gruppo SOn delle matrici ortogonali con determinante 1. In conclusione,

on = son = A ∈ Rn×n : tA = −A .

4. In modo analogo si tratta gruppo unitario Un ⊂ GLn(C), che consiste delle matrici U tali che U∗U = I.Si ha allora

un = A ∈ Cn×n : A∗ = −A ,cioe l’algebra delle matrici antihermitiane.

Le matrici unitarie con determinante 1 formano un sottogruppo, SUn. Siccome il determinante di unamatrice unitaria puo essere qualunque numero complesso di modulo 1, SUn ha codimensione 1 in Un, e lostesso vale per la sua algebra di Lie sun in un. Esplicitamente,

sun = A ∈ Cn×n : A∗ = −A , trA = 0 ,(si noti che una matrice antisimmetrica ha termini diagonali nulli per cui automaticamente ha traccia nulla,mentre una matrice antihermitiana ha termini diagonali puramente immaginari).

5. Le matrici triangolari superiori

A =

λ1

. . . *

0 . . .

λn

,

a coefficienti reali5 e invertibili (cioe con λ1λ2 · · ·λn 6= 0) formano un gruppo di Lie, che indichiamo conTn(R). La sua algebra di Lie tn(R) consiste di tutte le matrici triangolari superiori.

Il sottogruppoT+n (R) = A ∈ Tn(R) : λ1 = · · ·λn = 1

ha algebra di Liet+n (R) = A ∈ tn(R) : λ1 = · · · = λn = 0 ,

5Si ha anche il caso complesso, che tralasciamo.

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74 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

(matrici strettamente triangolari superiori).

10. Algebra universale inviluppante

Sia g un’algebra di Lie di dimensione finita su R. Indichiamo con T (g) l’algebra tensoriale (associativa)

(10.1) T (g) = R⊕ g⊕∑⊕

k≥2

g⊗k =∑⊕

k∈NT k(g) ,

dove g⊗k e il prodotto tensoriale di k copie di g. Se e1, . . . , en e una base di g, gli elementi di T k(g) sono lecombinazioni lineari finite dei tensori elementari

ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ eik , k ∈ N , (i1, . . . , ik) ∈ 1, . . . , nk .

Quindi T (g) e l’algebra su R liberamente generata da e1, . . . , en, v. Sezione 4.L’algebra simmetrica S(g) e il quoziente di T (g) modulo l’ideale Isimm generato dagli elementi

x⊗ y − y ⊗ x , x, y ∈ g .

Essa si identifica con l’algebra R[e1, . . . , en] dei polinomi in n indeterminate, o anche con l’algebra P(g)dei polinomi su g.

Introduciamo ora l’algebra universale inviluppante U(g), data dal quoziente di T (g) modulo l’ideale Iui

generato dagli elementi

x⊗ y − y ⊗ x− [x, y] , x, y ∈ g .

Si noti che U(g) e un’algebra associativa.

Vedremo nel paragrafo successivo che, se g = Lie(G), allora U(g) e isomorfa all’algebra degli operato-ri differenziali invarianti a sinistra su G. In questo paragrafo svolgiamo invece considerazioni puramentealgebriche.

La scomposizione (10.1) fornisce una gradazione di T (g), nel senso che

T k ⊗ T h ⊂ T k+h .

Questa gradazione si proietta a una gradazione su S(g) attraverso la proiezione canonica πsimm. Posto

Sk(g) = πsimmT k ,

valgono infatti le due proprieta

• S(g) =∑⊕

k∈N Sk(g),

• Sk(g)Sh(g) ⊂ Sk+h(g).

La situazione e diversa con U(g) se g non e abeliana. Se [x, y] = z 6= 0, si ha

πui(x⊗ y − y ⊗ x) = πui(z) ,

per cui le proiezioni dei vari g⊗k non sono a due a due disgiunte. Tuttavia, considerando su T (g) la filtrazione

0 ⊂ T 0 ⊂ (T 0 ⊕ T 1) ⊂ (T 0 ⊕ T 1 ⊕ T 2) ⊂ · · · ⊂ (T 0 ⊕ · · · ⊕ T k) ⊂ · · · ,

e ponendo

Uk(g) = πui(T 0 ⊕ · · · ⊕ T k) ,

si ottiene una filtrazione su U(g) con

Uk(g)Uh(g) ⊂ Uk+h(g) .

Quindi in U(g) non ha senso parlare di elementi “omogenei di grado k”, ma si puo parlare di “elementidi grado ≤ k”. E’ tuttavia possibile separare i termini di grado 0, cioe la componente in U0 ∼= R.

Infatti, siccome T (g) =∑⊕k≥1 T k e un ideale di T (g) e Iui ⊂ T (g),

U(g) = πui

(T (g)

)

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10. ALGEBRA UNIVERSALE INVILUPPANTE 75

e un ideale di U(g) e

U(g) = U0 ⊕ U(g) .

La notazione Uk(g) e posta in modo analogo e da luogo alla scomposizione

Uk(g) = U0 ⊕ Uk(g) .

Lemma 10.1. Su U(g) si consideri la struttura di algebra di Lie data dal commutatore [u, v]U = uv − vu.Allora

(i)[Uk(g),Uh(g)

]=[Uk(g), Uh(g)

]⊂ Uk+h−1(g);

(ii) in particolare U1(g) e una sottoalgebra di Lie e πui : g −→ U1(g) e un omomorfismo.

Conveniamo di indicare con x1x2 · · ·xk l’elemento πui(x1 ⊗ x2 ⊗ · · · ⊗ xk).

Dimostrazione. Per cominciare, e ovvio che[U(g),U(g)

]⊂ U(g) e che [U0(g),U(g)] = 0.

Per la (i), con un argomento induttivo, possiamo limitarci a considerare il commutatore tra u =

x1x2 · · ·xk ∈ Uk(g) e v = y1y2 · · · yh ∈ Uh(g). Allora, trasponendo uno alla volta gli yi a sinistra degli xj ,

[u, v]U = x1x2 · · ·xky1y2 · · · yh − y1y2 · · · yhx1x2 · · ·xk= x1x2 · · · [xk, y1]y2 · · · yh + x1x2 · · · y1xky2 · · · yh − y1y2 · · · yhx1x2 · · ·xk= x1x2 · · · y1xky2 · · · yh − y1y2 · · · yhx1x2 · · ·xk (modUk+h−1)

= · · ·

= 0 (modUk+h−1) .

Se poi x, y ∈ g,[πui(x), πui(y)

]U

= πui(x)πui(y)− πui(y)πui(x) = πui(x⊗ y − y ⊗ x) = πui

([x, y]

),

e questo dimostra la (ii).

Poniamo

Ek =I = (i1, i2, . . . , ik) ∈ 1, . . . , nk : i1 ≤ i2 ≤ · · · ≤ ik

, Ek =

⋃k′≤k

Ek′ .

Con un argomento induttivo piuttosto complesso, che qui tralasciamo, si dimostra il seguente fondamen-tale teorema.

Teorema 10.2 (Teorema di Poincare-Birchoff-Witt). Sia (e1, e2, . . . , en) una base ordinata di g. Per ognik ∈ N, i “monomi”

ei1ei2 · · · eik′ ,con I ∈ Ek formano una base di Uk(g).

Il Teorema di Poincare-Birchoff-Witt ha alcune importanti conseguenze. In primo luogo:

Corollario 10.3. πui e un isomorfismo di algebre di Lie di g su U1(g).

Una seconda conseguenza riguarda l’esistenza di una base di U(g) costituita da elementi “simmetrici”.Tornando per un momento all’algebra tensoriale, fissiamo un elemento uI = ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ eik della

base canonica di T k(g) e simmetrizziamo la sua espressione rispetto alle premutazioni degli indici:

(10.2) u′I =1

k!

∑σ∈Sk

eiσ(1)⊗ eiσ(2)

⊗ · · · ⊗ eiσ(k).

Indichiamo con T ks (g) il sottospazio generato da tali u′I con |I| = k. Chiaramente, limitandosi aimultiindici

(10.3) I = (i1, i2, . . . , ik) con 1 ≤ i1 ≤ i2 ≤ · · · ≤ ik ≤ n ,si ottiene una base di T ks (g).

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76 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Se Ts(g) =∑⊕k≥0 T ks (g), si ha chiaramente

(10.4) Ts(g) ∩ Isimm = 0 , Ts(g)⊕ Isimm = T (g) .

Si noti tuttavia che Ts(g) non e chiuso rispetto al prodotto, per cui l’isomorfismo conseguente a (10.4),

S(g) ∼= Ts(g) ,

e solo un isomorfismo di spazi vettoriali.Una forma parziale di compatibilita con i prodotti e data dalla relazione seguente: dato x =

∑nj=1 cjej ∈

g, i prodotti tensoriali

x⊗k = (c1e1 + · · ·+ cnen)⊗ (c1e1 + · · ·+ cnen)⊗ · · · (k volte)

sono in T ks (g) e

πsimm(x⊗k) = (c1e1 + · · ·+ cnen)k ∈ Sk(g) .

Un analogo della scomposizione (10.4) vale per l’ideale Iui, come mostra il lemma seguente.

Lemma 10.4. Si ha

Ts(g) ∩ Iui = 0 , Ts(g)⊕ Iui = T (g) .

Dimostrazione. Sia

u ∈ Iui ∩∑⊕

k≤k

T ks (g) .

Dimostriamo per induzione su k che u = 0. Per k = 1 la conclusione segue dal Corollario 10.3, in baseal quale (T 0 ⊕ T 1) ∩ Iui = 0.

Per k ≥ 2, si ha

u =∑`

c`uI` ⊗(ei` ⊗ ei′` − ei′` ⊗ ei` − [ei` , ei′` ]

)⊗ uJ` ,

con uI` , uJ` ∈ T (g).Ma

(uI` ⊗ ei` ⊗ ei′` ⊗ uJ`)′ = (uI` ⊗ ei′` ⊗ ei` ⊗ uJ`)

′ ,

per ogni `, per cui

u = u′ = −∑`

c`(uI` ⊗ [ei` , ei′` ]⊗ uJ`

)′ ∈ ∑⊕

k≤k−1

T ks (g) .

Ammessa vera la tesi per k − 1, si ottiene che u = 0, e questo dimostra la prima affermazione.Per la seconda, in base al Teorema 10.2, ogni u ∈

∑⊕k≤k T

k(g) si scompone in modo unico come

(10.5) u =∑I∈Ek

cIuI + v ,

dove cI ∈ R e v ∈ Iui.La dimostrazione del lemma e conclusa se proviamo che u ammette una simile rappresentazione,

u =∑I∈Ek

dIu′I + w ,

dove gli u′I sono dati da (10.2) e w ∈ Iui. Applichiamo l’induzione su k.Questo e banalmente vero per gli u per cui si ha la scomposizione (10.5) con k = 1. Per k ≥ 2, si prenda

un tensore uI di grado k. Se σ ∈ Sk e la trasposizione di due indici consecutivi, j e j + 1,

uI − uσ(I) = ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ (eij ⊗ eij+1− eij+1

⊗ eij )⊗ · · · ⊗ eik∼= ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ [eij , eij+1

]⊗ · · · ⊗ eik (mod Iui) .

Applicando il Teorema 10.2 a

πui

(ei1 ⊗ ei2 ⊗ · · · ⊗ [eij , eij+1

]⊗ · · · ⊗ eik)∈ Uk−1(g) ,

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10. ALGEBRA UNIVERSALE INVILUPPANTE 77

segue che

uI − uσ(I)∼=

∑deg (J)≤k−1

aJuJ (mod Iui) .

Essendo ogni permutazione la composizione di trasposizioni di termini adiacenti, lo stesso vale per ogniσ ∈ Sk, e dunque per uI − u′I . Si ottiene cosı per l’elemento u in (10.5) che

u =∑I∈Ek

cIu′I +

∑I∈Ek−1

αIuI + v ,

con v ∈ Iui. In modo induttivo si giunge alla conclusione.

Corollario 10.5.

(i) Gli elementi

πui(u′I) =

1

k!

∑σ∈Sk

eiσ(1)eiσ(2)

· · · eiσ(k)

con I ∈ Ek formano una base di Uk(g).(ii) L’applicazione lineare

λ : S(g) −→ U(g) ,

detta simmetrizzazione, tale che

λ(ei1ei2 · · · eik) =1

k!

∑σ∈Sk

eiσ(1)eiσ(2)

· · · eiσ(k),

e l’unica applicazione lineare che soddisfi la condizione

(10.6) λ : (c1e1 + · · ·+ cnen)k ∈ S(g) 7−→ (c1e1 + · · ·+ cnen)k ∈ U(g) ,

per ogni c1e1 + · · ·+ cnen ∈ g.In particolare, la simmetrizzazione λ non dipende dalla scelta della base di g.

Dimostrazione. Per il punto (i), segue dal Lemma 10.4 che lo spazio span uII∈⋃k Ek e complementare

a Iui e che gli uI ne formano una base. Quindi l’applicazione che manda ogni uI nel corrispondente u′I siestende a un isomorfismo di spazi vettoriali da span uI su Ts(g). Sissome entrambi questi spazi sonoisomorfi a U(g) attraverso la proiezione πui, si ha la conclusione.

Per il punto (ii), si osservi che in T (g),

(10.7) (c1e1 + · · ·+ cnen)⊗k =∑I∈Ek

( k∏ν=1

ciν

)(kI

)u′I ∈ T k(g) ,

dove, se αi e il numero di ripetizioni di uno stesso termine i ∈ 1, . . . , n in I, si e posto(k

I

)=

(k

α

)=

k!

α1! · · ·αn!.

Quindi

λ(

(c1e1 + · · ·+ cnen)k︸ ︷︷ ︸∈S(g)

)= πui

((c1e1 + · · ·+ cnen)⊗k︸ ︷︷ ︸

∈T (g)

)=(πui(c1e1 + · · ·+ cnen)

)k= (c1e1 + · · ·+ cnen︸ ︷︷ ︸

∈U(g)

)k ,

e λ soddisfa la condizione (10.6).

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78 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Si ora λ′ una qualunque applicazione lineare di S(g) in U(g) soddisfacente (10.6). Fissato k, per ogniI ∈ Ek si ha, per la (10.7),∑

I∈Ek

( k∏ν=1

ciν

)(kI

)λ′(πsimm(u′I)

)=∑I∈Ek

( k∏ν=1

ciν

)(kI

)πui(u

′I) .

Gli indici I ∈ Ek sono in corrispondenza biunivoca con i multiindici α = (α1, . . . , αn) con |α| = k,

ponendo αi uguale al numero di ripetizioni di i in I. Se poniamo poi cα = cα1

1 · · · cαnn , si ha∑|α|=k

(k

α

)cαλ′

(πsimm(u′I(α))

)=∑|α|=k

(k

α

)cαπui(u

′I(α)) .

Riguardando i due membri come polinomi in c con coefficienti in U(g), si ricava che λ′(πsimm(u′I)

)=

πui(u′I) per ogni I ∈ Ek. Quindi λ′ = λ.

11. Operatori differenziali invarianti a sinistra su gruppi di Lie

Sia M una varieta differenziabile.

Definizione. Un operatore differenziale lineare su M di ordine minore o uguale a m e un operatore D :C∞(M) −→ C∞(M) che, fissato un atlante Ui, ξii∈I , si abbia per x ∈ Ui,

Df(x) =∑|α|≤m

aα(t)∂α(f ξ−1i )(t) ,

con aα ∈ C∞(ξi(Ui)

).

L’ordine di D e il minimo m per cui valga tale condizione.

Si noti che la condizione non dipende dalla scelta dell’atlante, perche, componendo f ξ−1i con un

diffeomorfismo, l’ordine massimo di derivazione non cambia.Siano G un gruppo di Lie e g la sua algebra di Lie (che qui identifichiamo per comodita di notazione con

TeG). Un operatore differenziale invariante a sinistra su G e un operatore differenziale lineare che commuticon le traslazioni sinistre. Tali operatori formano un’algebra associativa per composizione, che indichiamocon D(G).

Ovviamente le composizioni X1X2 · · ·Xm di campi vettoriali invarianti a sinistra sono in D(G), e si hadunque un unico omomorfismo di algebre

ϕ : T (g) −→ D(G) ,

tale che, per ogni v ∈ g, si abbia

ϕ(v) = Xv ,

il campo vettoriale associato al vettore tangente v nell’identita. Sui tensori semplici v1 ⊗ · · · ⊗ vm,

ϕ(v1 ⊗ · · · ⊗ vm) = Xv1· · ·Xvm .

L’omomorfismo ϕ passa al quoziente modulo Iui, in quanto

ϕ(v ⊗ w − w ⊗ v − [v, w]

)= XvXw −XwXv −X[v,w] = 0 ,

e da luogo a un omomorfismo

Φ : U(g) −→ D(G) .

Teorema 11.1. Φ e un isomorfismo.

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11. OPERATORI DIFFERENZIALI INVARIANTI A SINISTRA SU GRUPPI DI LIE 79

Dimostrazione. Fissiamo una base ordinata (e1, e2, . . . , en) di g e indichiamo con X1, X2, . . . , Xn icorrispondenti campi vettoriali invarianti a sinistra. Per α ∈ Nn, poniamo

eα = eα11 eα2

2 · · · eαnn ∈ U(g) , Xα = Xα11 Xα2

2 · · ·Xαnn ∈ D(G) .

Indicando con (t1, . . . , tn) le coordinate lineari su g associate alla base (e1, e2, . . . , en) e usando ξ = exp−1

come carta locale su un intorno di e, i campi Xj hanno la forma

(11.1) Xjf(

exp(t))

= ∂tj (f exp)(t) +∑k 6=j

ajk(t)∂tk(f exp)(t) ,

con ajk(0) = 0.Dimostriamo allora che Φ e iniettivo.Sia

(11.2) u =∑|α|≤m

cαeα ∈ U(g) ,

tale cheΦ(u) =

∑|α|≤m

cαXα = 0 .

Per la (11.1),

Xαf(e) =(∂t1 +

∑k 6=1

a1k∂tk

)α1(∂t2 +

∑k 6=2

a2k∂tk

)α2

· · ·(∂tn +

∑k 6=n

ank∂tk

)αn(f exp)(0) .

Siccome gli ajk si annullano in 0, quello che rimane dallo svolgimento del prodotto e

(11.3) Xα(e) = ∂αt (f exp)(0) + termini con derivate di ordine minore di m .

Allora, per ogni f ,

0 = Φ(u)f(e) =∑|α|=m

cα∂αt (f exp)(0) + termini con derivate di ordine minore di m .

Prendendo f tale che f exp(t) = tα, per un dato α con |α| = m e per t vicino a 0, si trova che cα = 0.Quindi la massima lunghezza m in (11.2) puo essere ridotta, e induttivamente si conclude che u = 0.

Per dimostrare che Φ e suriettiva, procediamo per induzione sull’ordine m dell’operatore differenzialeD ∈ D(G). Chiaramente non c’e niente da dimostrare se m = 0, nel qual caso D e semplicemente l’operatoredi moltiplicazione per una costante.

Supposto vero che ogni operatore in D(G) di ordine strettamente minore di m sia nell’immagine di Φ,prendiamo D di ordine m.

Sia U intorno di 0 in g tale che exp sia un diffeomorfismo da U su V intorno di e. Allora, per t ∈ U ex = exp(t) ∈ V ,

(11.4) Df(x) =∑|α|≤m

cα(t)∂α(f ξ−1)(t) .

Dimostriamo cheD′f = Df −

∑|α|=m

cα(0)Xα ,

ha ordine al massimo m−1. Per la (11.3), D′f(e) si esprime nelle coordinate esponenziali come combinazionelineare di derivate di ordine al massimo m− 1.

Essendo D′ invariante per traslazioni sinistre, per ogni x ∈ G, lo stesso vale per D′f(x) nella cartaξx(y) = exp−1(x−1y). Per l’indipendenza dalla carta locale dell’ordine massimo di derivazione, per ognix = exp(t) ∈ V , i coefficienti cα(t) in (11.4) con |α| = m sono nulli. Quindi D ha ordine minore di m su V .Ancora per invarianza per traslazioni, lo stesso vale su tutto G.

Quindi D′ ∈ Φ(U(g)

)per l’ipotesi induttiva, e allora anche D ∈ Φ

(U(g)

).

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80 5. GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Corollario 11.2. I seguenti insiemi sono basi di D(G):

(i)Xα = Xα1

1 Xα22 · · ·Xαn

n : α ∈ Nn

;

(ii)

1k!

∑σ∈Sk Xσ(i1)Xσ(i2) · · ·Xσ(ik) : k ∈ N , (i1, . . . , ik) ∈ Ek

.

Attraverso i due isomorfismi, Ψ : S(g) −→ P(g) che applica eα nel monomio xα, e Φ : U(g) −→ D(G),l’operatore di simmetrizzazione λ introdotto nel Corollario 10.5 da luogo all’operatore

λ = Φ λ Ψ−1 : P(g) −→ D(G) ,

pure chiamato simmetrizzazione.

Teorema 11.3. Sia p ∈ P(g). L’operatore Dp = λ(p) ∈ D(G) e dato da

(11.5) Dpf(x) = p(∂t)|t=0f(x exp(t1e1 + · · ·+ tnen)

).

Dimostrazione. Indichiamo con µ l’operatore

µ : p 7−→ Dp ,

con Dp dato dalla (11.5). Chiaramente Dp ∈ D(G) e µ e lineare.Se p e un monomio puro, p = tki , si ha

Dpf(x) = (∂ti)k|t=0

f(x exp(t1e1 + · · ·+ tnen)

)= (∂ti)

k|t=0

f(x exp(tiei)

)= Xk

i f(x) .

Sia ora (e′1, . . . , e′n) un’altra base di g, e sia A = (ajk) la matrice per cui

ek =∑j

ajke′j .

Il cambio di base induce la trasformazione t′ = At delle rispettive coordinate. Allora, posto u(t′) =f(x exp(t′1e

′1 + · · ·+ t′ne

′n)), si ha

(11.6)Dpf(x) = p(∂t)|t=0

(u A) = (p tA)(∂′t)|t′=0u

= (p tA)(∂′t)|t′=0f(x exp(t′1e

′1 + · · ·+ t′ne

′n)).

Prendiamo allora p = (c1t1 + · · ·+ cntn)k. Scegliendo una base avente e′1 = c1e1 + · · ·+ cnen, si ricava

che (p tA)(t′) = t′k1 e, per la (11.6),

Dpf(x) = (∂t′1)k|t′=0f(x exp

(t′1(c1e1 + · · ·+ cnen)

))= (c1X1 + · · ·+ cnXn)kf(x) .

Dall Corollario 10.5 (ii) segue che Φ−1 µ Ψ = λ, e dunque µ = λ.

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CAPITOLO 6

Rappresentazioni di gruppi e algebre di Lie

1. Vettori C∞ e differenziale di una rappresentazione unitaria

Sia G un gruppo di Lie unimodulare e π una rappresentazione unitaria di G su H.

Definizione. Un vettore v ∈ H si dice un vettore C∞ per π se l’applicazione uv(x) = π(x)v da G a H eC∞. Lo spazio dei vettori C∞ si indica con H∞π .

Teorema 1.1. H∞π e denso in H e π(x) : H∞π −→ H∞π per ogni x ∈ G.

Dimostrazione. La seconda affermazione e ovvia: se v e C∞, la funzione uπ(x)v(y) = π(y)π(x)v =uv(yx) e chiaramente C∞.

Per la prima, basta dimostrare che, per ogni v ∈ H e ogni ϕ ∈ C∞c (G), il vettore

(1.1) v′ = π(ϕ)v =

ˆG

ϕ(y)π(y)v dy

e C∞. Fatto questo, basta prendere un’identita approssimata ψεε>0 su g con ψε(t) = ε−dψ(t/ε) (d =dimG) e ψ ∈ C∞c (g),

´gψ = 1. Per ε sufficientemente piccolo e ben definita ϕε = ψ exp−1

G su G e

limε→0

π(ϕε)v = limε→0

ˆG

ϕε(y)π(y)v dy = v .

Dimostriamo che uv′ ammette derivate prime usando i campi vettoriali invarianti a sinistra X ∈ g. Siha

(1.2)

Xuv′(x) =d

dt |t=0

π(x expG(tX)

)v′

= π(x)d

dt |t=0

π(

expG(tX)) ˆ

G

ϕ(y)π(y)v dy

= π(x)d

dt |t=0

ˆG

ϕ(y)π(

expG(tX)y)v dy

= π(x)d

dt |t=0

ˆG

ϕ(

expG(−tX)y′)π(y′)v dy′

= −π(x)

ˆG

(X(r)ϕ)(y′)π(y′)v dy′

= u−π(X(r)ϕ)v(x) .

Quindi Xuv′ = uv′′ con v′′ della forma (1.1). Iterando si ottiene che uv′ ∈ C∞(G).

Corollario 1.2. Sia π una rappresentazione unitaria di G di dimensione finita, che possiamo supporre sullospazio H = Cn. Allora π : G −→ Un e C∞.

Dimostrazione. Per densita in Cn, H∞π = Cn. Quindi ogni coefficiente di π,⟨π(x)v, w

⟩=⟨uv(x), w

⟩, v, w ∈ Cn ,

81

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82 6. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

e C∞. Se e1, . . . , en e la base canonica di Cn,

π(x) =(⟨π(x)ek, ej

⟩)j,k

e C∞ a valori in Un ⊂ Cn2

.

Quindi, se π ha dimensione finita, si puo differenziare π nell’identita, cf. Proposizione 5.1 del Cap. 5,ottenendo un omomorfismo di algebre di Lie

dπ : g −→ un = A ∈Mn,n : A∗ = −A ,

Per il Teorema 7.5 del Cap. 5 si ha il seguente enunciato.

Proposizione 1.3. Sia ρ un omomorfismo di un’algebra di Lie g a valori in un e sia G il gruppo connessoe semplicemente connesso con Lie(G) = g. Esiste allora un’unica rappresentazione unitaria π di G su Cntale che dπ = ρ. Essa e tale che

π(

exp(X))

= eρ(X)

per ogni X ∈ g.

Quanto detto ora non puo estendersi banalmente a rappresentazioni di dimessione infinita perche U(H)non ha una struttura di gruppo di Lie.

Partiamo da queste due osservazioni:

• dato X ∈ g, si puo definire, per v ∈ H∞π ,

dπ(X)v =d

dt |t=0

π(

exp(tX))v .

• applicando il Teorema di Stone (Teorema 6.1 dell’Appendice C) al gruppo a un parametro dioperatori unitari π

(exp(tX)

), esiste un operatore autoaggiunto TX su H con dominio D(TX) tale

che

π(

exp(tX))

= eitTX .

Proposizione 1.4. Per ogni X ∈ g, H∞π ⊂ D(TX) e dπ(X) = iTX su H∞π . Inoltre

dπ(X) : H∞π −→ H∞π

e, sempre su H∞π ,

(1.3) dπ([X,Y ]

)=[dπ(X), dπ(Y )

]= dπ(X)dπ(Y )− dπ(Y )dπ(X) .

Dimostrazione. Dalla dimostrazione del Teorema di Stone segue che il dominio di TX contiene i vettoriv ∈ H tali che (d/dt)|t=0

π(

exp(tX))v esiste in H. In particolare, H∞π ⊂ D(TX) e tale derivata e uguale a

iTXv. Inoltre, per v ∈ H∞π ,

π(x)dπ(X)v = limt→0

1

t

(π(x exp(tX)

)v − π(x)v

)= Xuv(x) ,

per cui dπ(X)v ∈ H∞π . Il resto segue facilmente.

Si noti che gli operatori dπ(X) sono antisimmetrici su H∞π , soddisfacendo l’identita⟨dπ(X)v, w

⟩= −

⟨v, dπ(X)w

⟩, v, w ∈ H∞π .

Si noti anche che la (1.3) rende possibile estendere dπ a composizioni di campi vettoriali in g. Abbiamoprecisamente quanto segue.

Proposizione 1.5. Sia X1, . . . , Xd una base di g. Ponendo

dπ(Xi1Xi2 · · ·Xim) = dπ(Xi1)dπ(Xi2) · · · dπ(Xim) ,

si ottiene per linearita un’estensione di dπ a U(g), a valori negli operatori lineari di H∞π in se.

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1. VETTORI C∞ E DIFFERENZIALE DI UNA RAPPRESENTAZIONE UNITARIA 83

Dimostrazione. La posizione fatta consente certamente un’estensione lineare di dπ all’algebra ten-soriale T (g). L’identita (1.3) implica che tale estensione e nulla sull’ideale generato dalle relazioni dig.

EsempioSia π = R la rappresentazione regolare destra di un gruppo di Lie G su1 H = L2(G). Conveniamo

di indicare gli elementi di G con x, y, . . . quando operano su H e con g, h, . . . quando sono variabili dellefunzioni g, h, . . . in L2(G). Quindi (

π(x)v)(g) = v(gx) = Rxv(g) .

Proposizione 1.6. I vettori C∞ per R sono le funzioni v di L2(G) tali che, per ogni operatore differenzialeinvariante a sinistra D ∈ D(G), la distribuzione Dv e in L2(G). Per X ∈ g,

dR(X)v = Xv ,

dove X indica il campo vettoriale invariante a sinistra.

Dimostrazione. Sia v un vettore C∞. Dato X ∈ g (come campo invariante a sinistra), esiste in normaL2 il limite

limt→0

1

t(Rexp(tX)v − v) = dR(X)v .

Data ϕ ∈ C∞c (G), indicando questa volta con 〈 , 〉 la dualita tra distribuzioni e funzioni test,⟨dR(X)v, ϕ

⟩= limt→0

ˆG

1

t

(v(g exp(tX))− v(g)

)ϕ(g) dg

= limt→0

ˆG

v(g)1

t

(ϕ(g exp(−tX))− ϕ(g)

)dg

= −〈v,Xϕ〉= 〈Xv,ϕ〉 .

L’ultimo passaggio e giustificato dall’analoga uguaglianza nell’accoppiamento di due funzioni test. Quindila derivata distribuzionale Xv e in L2 e, per la Proposizione 1.4, e un vettore C∞. Iterando l’operazione eusando il Teorema 11.1 del Cap. 5, si conclude che Dv ∈ L2 per ogni D ∈ D(G).

Viceversa, si supponga che, per ogni D ∈ D(G), Dv sia in L2. Fissata una base X1, . . . , Xd di g si

ponga ∆ =∑dj=1X

2j . Per verificare che ∆ e un operatore ellittico, basta osservare che, introducendo in un

intorno di e le coordinate esponenziali,

∆ =

d∑j=1

∂2tj + termini che si annullano per t = 0 .

Quindi ∆nv ∈ L2 per ogni n, da cui v ∈ C∞(G) e le funzioni Dv sono definite nel senso ordinario.Dobbiamo dimostrare che la funzione uv(x) = Rxv e C∞ come funzione a valori in L2(G).

Per D = X ∈ g, si ha

Xuv(x) =d

dt |t=0

uv(x exp(tX)

)=

d

dt |t=0

Rx exp(tX)v ,

che, calcolato in g ∈ G, valed

dt |t=0

v((gx exp(tX)

).

Si ha lo sviluppo di Taylor

v(gx exp(tX)

)= v(gx) + tXv(gx) +

ˆ t

0

(t− s)X2v(gx exp(sX)

)ds ,

1Ricordiamo che ci stiamo limitando a gruppi unimodulari.

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84 6. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

per cui ∥∥∥1

t

(Rx exp(tX)v −Rxv

)−RxXv

∥∥∥2

=∥∥∥1

t

ˆ t

0

(t− s)Rx exp((sX)(X2v) ds

∥∥∥2

≤ 1

t

ˆ t

0

(t− s)∥∥X2v

∥∥2ds

= O(t) .

Questo dimostra che Xuv(x) e ben definita per ogni x e vale RxXv = uXv(x). Poiche anche Xv soddisfala proprieta che DXv ∈ L2 per ogni D ∈ D(G), si puo per iterazione concludere che uv e C∞.

2. Cenni sull’esistenza di analoghi della Proposizione 1.3

Supponiamo di avere un omomorfismo ρ di un’algebra di Lie g a valori in operatori su uno spazio diHilbert complesso H e con le seguenti proprieta:

(i) gli operatori ρ(X), X ∈ g, sono definiti su un comune dominio denso H0;(ii) ρ(X)H0 ⊂ H0 per ogni X;

(iii) ρ(X) e antisimmetrico per ogni X, cioe ρ(X) ⊆ −ρ(X)∗;(iv) ρ

([X,Y ]

)= ρ(X)ρ(Y )− ρ(Y )ρ(X) per ogni X,Y .

Il problema e riconoscere sotto quali condizioni esiste una rappresentazione unitaria π del gruppo Gconnesso e semplicemente connesso con algebra di Lie g tale che

(i’) H0 ⊆ H∞π ;(ii’) per ogni X ∈ g, dπ(X)|H0

= ρ(X);

(iii’) dπ(X) = ρ(X).

Per rappresentazioni di dimensione finita, questo dipende dall’esistenza di strutture analitiche su G e Une dall’analiticita delle due mappe esponenziali. In dimensione infinita si recupera una forma di analiticitaconsiderando lo spazio Hω

π dei vettori analitici rispetto a π. La densita di Hωπ in H e molto meno evidente

che per H∞π , ma comunque vera. Tuttavia si pongono problemi che non esistono in dimensione finita, comerisulta dal seguente esempio.

2.1. Un esempio.

Siano Ω ⊆ Rn aperto, H = L2(Ω), H0 = C∞c (Ω) e, per t ∈ g = Rn e f ∈ H0,

(2.1) ρ(t)f = t · ∇f .

Le proprieta (i)-(iv) elencate sopra sono facilmente verificate qualunque sia Ω. Vedremo nei due casiΩ = Rn e Ω = B(0, 1) che le risposte alla domanda posta sull’esistenza di π che soddisfi (i’)-(iii’) sonodifferenti.

2.1.1. Ω = Rn.

Sulla base dell’esempio precedente, si riconosce che ρ si ottiene differenziando la rappresentazione regolare“destra” R di Rn,

R(t)f(x) = f(x+ t) ,

i cui vettori C∞ sono le funzioni f ∈ C∞(Rn) tali che ∂αf ∈ L2(Rn) per ogni multiindice α.Le proprieta (i’) e (ii’) si verificano facilmente. Per (iii’), occorre identificare le chiusure degli operatori

ρ(t) e dR(t) tenendo conto dei rispettivi domini.

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2. CENNI SULL’ESISTENZA DI ANALOGHI DELLA PROPOSIZIONE ?? 85

Conviene inizialmente sostituire H0 con H ′0 = S(Rn) e coniugare ρ e R rispetto alla trasformata diFourier F , definendo

H ′0 = F(H ′0) = S(Rn)

ρ(t)ϕ = (F ρ(t) F−1)ϕ = i(t · ξ)ϕ

R(x)ϕ = (F R(x) F−1)ϕ = eit·ξϕ .

A meno di un multiplo scalare (che scompare nella coniugazione), F e un operatore unitario. Tuttele proprieta spettrali di operatori su uno spazio H (l’essere simmetrico, autoaggiunto ecc., la risoluzionedell’identita, il calcolo funzionale ecc.) sono invarianti modulo trasformazioni unitarie di H, per cui possiamodire che

H∞R

=ϕ(ξ) : ξαϕ ∈ L2 ∀α

=ϕ(ξ) : |ξ|kϕ ∈ L2 ∀ k

⊃ H0 .

Si verifica facilmente che, dato t ∈ g, le chiusure di ρ(t) e dR(t) hanno entrambe dominio

Dt = ϕ ∈ L2 : (t · ξ)ϕ ∈ L2 ,e, ritornando a ρ(t) e dπ(t),

Dt = F−1(Dt) = f ∈ L2 : t · ∇f ∈ L2 ,dove la derivata direzionale t · ∇ϕ e intesa nel senso delle distribuzioni.

Tornando a H0 = C∞c (Rn), la conclusione e la stessa. L’unica differenza sta nella verifica che si ottienela stessa chiusura di ρ(t). Infatti, data f ∈ S(Rn), esiste una successione fn in C∞c (Rn) tale che limn fn = fe limn t · ∇fn = t · ∇f in norma L2 (basta porre fn(x) = f(x)χ(x/n), dove χ ∈ C∞c (Rn) e uguale a 1 in 0).

2.1.2. Ω = B(0, 1).

Supponiamo che esista una rappresentazione π di Rn su L2(Ω) che verifichi le tre proprieta richieste.Fissati f ∈ C∞c (Ω) e (per comodita) l’n-esimo elemento en nella base canonica di Rn, avremmo, per

ogni s ∈ R una funzione fs = π(sen)f ∈ H∞π con la proprieta

(2.2)d

dsfs = dπ(en)fs .

Sappiamo che fs ∈ H∞π e, per la condizione dπ(en) = ρ(en), possiamo dire che fs ∈ Dn, il dominio

di ρ(en).Per determinare Dn, consideriamo un successione fk ∈ C∞c (Ω) tale che

limkfk = f , lim

k∂xnfk = g ,

con entrambi i limiti in norma L2. A meno di restringerci a una sottosuccessione, abbiamo allora che, perquasi ogni x′ nella palla unitaria di Rn−1, fk(x′, ·) e ∂xnfk(x′, ·) convergano nella norma di L2(R) a f(x′, ·)e g(x′, ·) rispettivamente. Per tali x′, vale allora la formula

f(x′, xn) =

ˆ xn

−∞g(x′, u) du ,

per cui f(x′, ·) e assolutamente continua in xn e g e la sua derivata quasi ovunque. Inoltre, se (ax′ , bx′) =u : (x′, u) ∈ Ω, si ha

f(x′, ax′) = f(x′, bx′) = 0 .

Quindi

(2.3) Dn ⊆f ∈ L2(Ω) : f(x′, ·) ass. cont. per quasi ogni x′, f|∂Ω

= 0 , ∂xnf ∈ L2(Ω).

D’altra parte, presa f ∈ L2(Ω), con f(x′, ·) assolutamente continua per quasi ogni x′, f|∂Ω= 0 e

∂xnf ∈ L2(Ω), si puo costruire2 una successione di funzioni fk ∈ C∞c (Ω) tali che fk → f e ∂xnfk → ∂xnf innorma L2. Si ha allora uguaglianza in (2.3).

2Sia ψε un’identita approssimata C∞c con suppψε ⊂ B(0, ε). Posto Eε = B(0, 1−2ε), sia fε = (χEε ∗ψε)f . Allora f1/ksoddisfa le condizioni indicate.

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86 6. RAPPRESENTAZIONI DI GRUPPI E ALGEBRE DI LIE

Chiaramente, per f ∈ Dn, si ha ρ(en)f = ∂xnf . Quindi la (2.2) diventa

d

dsfs(x

′, xn) = ∂xnfs(x′, xn)

per quasi ogni x′, cioefs(x

′, xn) = f(x′, xn + s) = R(sen)f(x′, xn) .

Sostituendo en con un qualunque vettore t ∈ Rn, si conclude che π(t) = R(t)|L2(Ω), il che e assurdo,

perche le traslazioni di Rn non lasciano Ω invariato.

2.2. Il teorema di Nelson. La giustificazione della differenza tra i due casi si trova nel seguenteteorema generale, in cui si fa riferimento all’operatore simmetrico

∆ρ =

d∑j=1

ρ(Xj)2

sullo spazio H0, dove X1, . . . , Xd e una base di g.

Teorema 2.1 (Teorema di Nelson). Siano H0 e ρ come in (i)-(iv). Esiste una rappresentazione unitaria πper cui valgono le proprieta (i’)-(iii’) se e solo se ∆ρ e essenzialmente autoaggiunto su H0. In tal caso talerappresentazione e unica3.

Per la dimostrazione rinviamo all’articolo originale di E. Nelson, Analytic vectors, Annals of Mathematics,vol. 70, pp. 572-615, oppure al libro4 di G. Warner, Harmonic Analysis on Semi-Simple Lie Groups I, p. 297.

Nell’esempio precedente, il Laplaciano e essenzialmente autoaggiunto su L2(Rn) con dominio C∞c (Rn),ma non lo e su L2(Ω) con dominio C∞c (Ω) (il dominio della chiusura e lo spazio di Sobolev H2

0 (Ω), mentreil dominio dell’aggiunto e H2(Ω), se Ω e la palla).

3Piu precisamente, se ∆ρ e essenzialmente autoaggiunto su H0, le condizioni (i’), (ii’) sono sufficienti per l’unicita.4Che pero ha un errore nell’enunciato.

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APPENDICE A

Il teorema di interpolazione di Riesz-Thorin

Teorema 0.2 (Teorema di interpolazione di Riesz-Thorin). Siano X,Y spazi di misura e siano 1 ≤p0, p1, q0, q1 ≤ ∞. Sia dato T un operatore lineare definito su un sottospazio V denso in Lp0(X) e inLp1(X), a valori nelle funzioni misurabili su Y , e si supponga che esistano costanti M0,M1 > 0 tali che, perogni f ∈ V ,

‖Tf‖q0 ≤M0‖f‖p0 , ‖Tf‖q1 ≤M1‖f‖p1 .

Allora, dato t ∈ [0, 1] e posto

1

pt=

1− tp0

+t

p1

1

qt=

1− tq0

+t

q1,

T si estende a un operatore continuo da Lpt a Lqt e

‖T‖ptqt ≤M1−t0 M t

1 .

La dimostrazione e basata su un teorema di analisi complessa, detto il Teorema delle tre linee (Lemma0.3), che a sua volta rientra in una famiglia di teoremi, noti come Teoremi di Phragmen-Lindelof.

Lemma 0.3. Sia F (z) una funzione continua e limitata sulla striscia chiusa S = z : 0 ≤ <e z ≤ 1 ⊂ C, eolomorfa nella striscia aperta. Se

|F (iy)| ≤ c0 , |F (1 + iy)| ≤ c1per ogni y ∈ R, allora, per ogni x ∈ (0, 1),

|F (x+ iy)| ≤ c1−x0 cx1 .

Dimostrazione. Supponiamo inizialmente che c0 = c1 = 1. Si tratta allora di dimostrare che |F (x +iy)| ≤ 1 su tutta la striscia.

Dato ε > 0, sia Fε(z) = F (z)eεz(z−1). Allora

|Fε(z)| = |F (z)|eε<e (z2−z) = |F (z)|eε(x2−y2−x) ≤ |F (z)|e−εy

2

.

Poiche F e limitata, limz→∞ Fε(z) = 0 su S. Sia R = x + iy : 0 ≤ x ≤ 1, |y| < ρ un rettangoloal di fuori del quale |Fε(z)| ≤ 1. Per il principio del massimo, poiche |Fε(z)| ≤ 1 sulla frontiera di R, ladisuguaglianza vale anche all’interno.

Dunque |Fε(z)| ≤ 1 su S. Passando al limite per ε→ 0, si ricava che |F (z)| ≤ 1 su S.Siano ora c0, c1 > 0. Consideriamo la funzione

F (z) = F (z)cz−10 c−z1 .

Poiche|cz−1

0 | = c<e z−10 ≤ max

0≤x≤1cx−10 ,

|c−z1 | = c−<e z1 ≤ max

0≤x≤1c−x1 ,

F e limitata sulla striscia. Inoltre essa si estende per continuita alla frontiera e

|F (iy)| ≤ 1 , |F (1 + iy)| ≤ 1

per ogni y ∈ R. Per quanto visto sopra, |F (x+ iy)| ≤ 1 su S, e quindi

|F (x+ iy)| = |F (x+ iy)||c1−z0 ||cz1| ≤ c1−x0 cx1 .

87

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88 A. IL TEOREMA DI INTERPOLAZIONE DI RIESZ-THORIN

Infine, supponiamo che c0 = 0. Per ogni ε > 0 vale la disuguaglianza |F (x + iy)| ≤ ε1−xcx1 da cuiF (x+ iy) = 0 se x < 1. Per continuita, F e identicamente nulla.

Dimostrazione del Teorema di Riesz-Thorin. La densita di V in Lp0 e Lp1 implica che T am-mette estensioni continue T0 : Lp0 −→ Lq0 e T1 : Lp1 −→ Lq1 . Dimostriamo che T0 = T1 su Lp0 ∩Lp1 .

Lo spazio V e denso in Lp0 ∩ Lp1 , dotato della norma ‖f‖p0+ ‖f‖p1

e, per ipotesi, T e continuo daV ⊂ Lp0∩Lp1 a Lq0∩Lq1 . Sia T01 l’estensione continua di T a Lp0∩Lp1 . Essendo l’inclusione Lp0∩Lp1 −→ Lp0

continua, deve essere

T01 = T0|Lp0∩Lp1,

per la densita di V . Lo stesso vale per T1 e dunque T0 = T1 su Lp0 ∩ Lp1 .Osserviamo ora che, per p compreso tra p0 e p1, V e contenuto e denso anche in Lp (si veda la dimo-

strazione del Corollario ??). Quindi, non appena avremo dimostrato che T ammette un’estensione continuaa Lp, potremo affermate che tale estensione coincide con T0 su Lp ∩ Lp0 e con T1 su Lp ∩ Lp1 .

Per questo motivo sopprimiamo gli indici e chiamiamo T qualunque estensione continua prodotta dalladimostrazione.

Per comodita di notazioni, supponiamo t ∈ (0, 1) fissato e poniamo pt = p, qt = q. Supponiamoinizialmente p < ∞. Allora le funzioni semplici f(x) =

∑ajχEj (x), dove la somma e finita e µ(Ej) < ∞

per ogni j, sono dense in Lp(X). Quindi

‖T‖p,q = supf semplice

‖Tf‖q‖f‖p

.

Inoltre,

‖Tf‖q = supg semplice

|〈Tf, g〉|‖g‖q′

,

per cui

‖T‖p,q = supf,g semplici

|〈Tf, g〉|‖f‖p‖g‖q′

.

Basta allora dimostrare che vale la disuguaglianza

(0.4)

∣∣∣∣ˆY

Tf(y)g(y) dν(y)

∣∣∣∣ ≤M1−t0 M t

1‖f‖p‖g‖q′

quando f e g sono funzioni semplici (su X e Y rispettivamente):

f(x) =∑

ajχEj (x) , g(y) =∑

bkχFk(y) .

Per 0 ≤ <e z ≤ 1 si definiscano pz, q′z in modo che

1

pz=

1− zp0

+z

p1,

1

q′z=

1− zq′0

+z

q′1,

Se aj = |aj |eiθj , bk = |bk|eiϕk , si ponga

fz(x) =∑j

|aj |p/pzeiθjχEj (x) , gz(y) =∑k

|bk|q′/q′zeiϕkχFk(y) .

La funzione gz e ben definita se q′ < ∞. Se q′ = ∞, allora q′0 = q′1 = ∞, e quindi 1/q′z = 0 per ogni z.In questo caso poniamo q′/q′z = 1 per ogni z.

Infine si definisca la funzione

F (z) =

ˆY

Tfz(y)gz(y) dν(y) =∑j,k

cjk|aj |p/pz |bk|q′/q′z ,

dove

cjk = eiθjeiϕkˆY

TχEj (y)χFk(y) dν(y) .

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A. IL TEOREMA DI INTERPOLAZIONE DI RIESZ-THORIN 89

Verifichiamo che F soddisfa le ipotesi del Lemma 0.3.Essa e una funzione intera, dunque continua sulla striscia chiusa. Inoltre,

|F (z)| ≤∑j,k

|cjk||aj |<e (p/pz)|bk|<e (q′/q′z) ,

per cui F e limitata sulla striscia chiusa. Poi, se u ∈ R,

|F (iu)| ≤M0‖fiu‖p0‖giu‖q′0 .

Se p0 <∞,

‖fiu‖p0 =

∑j

|aj |pµ(Ej)

1/p0

= ‖f‖p/p0p ,

mentre, se p0 =∞, il primo e il terzo membro sono comunque uguali a 1. Allo stesso modo si vede che

‖giu‖q′0 = ‖g‖q′/q′0q′ ,

per cui

|F (iu)| ≤M0‖f‖p/p0p ‖g‖q

′/q′0q′ .

Analogamente,

|F (1 + iu)| ≤M1‖f‖p/p1p ‖g‖q

′/q′1q′ .

Per il Lemma 0.3,

|F (t)| ≤M1−t0 M t

1‖f‖p(

1−tp0

+ tp1

)p ‖g‖

q′(

1−tq′0

+ tq′1

)q′

= M1−t0 M t

1‖f‖p‖g‖q′ .Ma ft = f e gt = g, per cui

F (t) =

ˆY

Tf(y)g(y) dν(y) ,

cosı che la (0.4) e dimostrata nel caso p <∞, q > 1.Se p =∞, vuol dire che p0 = p1 =∞. Per la disuguaglianza di Holder,

‖Tf‖q ≤ ‖Tf‖1−tq0 ‖Tf‖tq1 ≤M

1−t0 M t

1‖f‖∞ .

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APPENDICE B

Integrazione di funzioni a valori in spazi di Banach

1. Funzioni misurabili

Sia f una funzione a valori in uno spazio di Banach, definita su uno spazio di misura (X,M,m) con mcompleta. Si danno due nozioni di misurabilita:

• misurabilita debole: per ogni u ∈ V ′, la funzione a valori scalari x 7−→ 〈u, f(x)〉 e misurabile;• misurabilita forte: esiste una successione (fn)n∈N di funzioni semplici a valori in V tale che, per

quasi1 ogni x ∈ X, limn ‖fn(x)− f(x)‖ = 0.

Per funzione semplice si intende ovviamente una funzione

g =∑i

viχEi ,

dove la somma e finita e, per ogni i, Ei ∈M e vi ∈ V .

Proposizione 1.1. Se f e fortemente misurabile, essa e anche debolmente misurabile. Inoltre la funzione‖f(·)‖ e misurabile.

Dimostrazione. Segue immediatamente dal fatto che le funzioni scalari 〈u, f(·)〉 e ‖f(·)‖ sono limitiquasi ovunque delle funzioni semplici 〈u, fn(·)〉 e ‖fn(·)‖ rispettivamente.

Diamo senza dimostrazione il seguente teorema (v. K. Yosida, Functional Analysis, p. 130).

Teorema 1.2 (Teorema di Pettis). Una funzione a valori in V e fortemente misurabile se e solo se e debol-mente misurabile ed esiste un insieme E di misura nulla tale che f(X \E) sia separabile (equivalentemente,sia contenuto in un sottospazio separabile).

In particolare, se V stesso e separabile, le due nozioni di misurabilita sono equivalenti.

2. Integrale di Bochner

Siano V e (X,M,m) come sopra. Per una funzione semplice su X a valori in V , g =∑i viχEi con

m(Ei) <∞ per ogni i, si pone ˆX

g(x) dm(x) =∑i

m(Ei)vi .

Una funzione f definita su X a valori in V si dice Bochner-integrabile se esiste una successione di funzionisemplici integrabili fn convergente m-quasi ovunque a f e tale che

(2.1) limn

ˆX

∥∥f(x)− fn(x)∥∥ dm(x) = 0

1Se V ha dimensione infinita, non e detto che una funzione fortemente misurabile sia limite ovunque di una successione didi funzioni semplici. La dimostrazione per funzioni scalari usa la locale compattezza del codominio. Questo rende la nozione dimisurabilita dipendente dalla scelta della misura (o piu esattamente, dell’ideale degli insiemi di misura nulla).

91

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92 B. INTEGRAZIONE DI FUNZIONI A VALORI IN SPAZI DI BANACH

(per la Proposizione 1.1 le funzioni integrande sono misurabili).

Lemma 2.1. Una funzione f Bochner-integrabile e fortemente misurabile. Inoltre, data una successione difunzioni semplici integrabili fn convergente quasi ovunque a f e tale che valga (2.1), il limite

(2.2) limn

ˆX

fn(x) dm(x)

esiste nella norma di V ed e indipendente dalla scelta della successione.

Dimostrazione. La prima affermazione e ovvia. Se poi (fn) e (gn) sono due successioni convergentiquasi ovunque a f per cui valga (2.1), dato ε > 0 esiste n0 tale che, per ogni n, k > n0,ˆ

X

∥∥fn(x)− gk(x)∥∥ dm(x) < ε .

Questo implica entrambe le affermazioni rimanenti.

Se f e Bochner-integrabile, il suo integrale di Bochner´Xf(x) dm(x) si pone uguale al limite (2.2).

Teorema 2.2 (Teorema di Bochner). Una funzione f e Bochner-integrabile se e solo se e fortementemisurabile e ‖f(·)‖ e integrabile.

Dimostrazione. Abbiamo gia osservato che, una funzione Bochner-integrabile e fortemente misurabile.Per la (2.1), gli integrali

´X

∥∥fn(x)− fm(x)∥∥ dm(x) sono limitati al variare di n,m. Ne consegue che anche

gli integrali´X

∥∥fn(x)∥∥ dm(x) sono limitati al variare di n. Per il Lemma di Fatou segue l’integrabilita di

‖f(·)‖.Supponiamo ora che f sia fortemente misurabile e con ‖f(x)‖ integrabile. Sia (fn) una successione di

funzioni semplici convergente a f quasi ovunque. Si ponga

gn(x) =

fn(x) se ‖fn(x)‖ < (1 + 2−n)‖f(x)‖0 altrimenti.

Le gn sono funzioni semplici e tendono a f quasi ovunque, con ‖gn‖ ≤ ‖f‖. Per convergenza dominata,

limn

ˆX

∥∥f(x)− gn(x)∥∥ dm(x) = 0

e dunque f e Bochner-integrabile.

Casi comuni di misurabilita/integrabilita:

(1) Una funzione prodotto f(x) = a(x)g(x), di a misurabile a valori scalari e g fortemente misurabile avalori in V e fortemente misurabile. Essa e Bochner-integrabile se e solo se

´X|a(x)|‖g(x)‖ dm(x) <

∞.(2) Se m e una misura di Borel su uno spazio topologico X, ogni funzione continua f su X con immagine

separabile in V e fortemente misurabile.

Si verifica facilmente che, per f Bochner-integrabile,

•∥∥∥ ´X f(x) dm(x)

∥∥∥ ≤ ´X ∥∥f(x)∥∥ dm(x),

• per ogni u ∈ V ′,⟨u,´Xf(x) dm(x)

⟩=´X〈u, f(x)〉 dm(x),

• piu in generale, se W e un altro spazio di Banach e T : V −→W e lineare e continua, allora T fe Bochner integrabile e

T( ˆ

X

f(x) dm(x))

=

ˆX

T(f(x)

)dm(x) .

Inoltre, se µ e una misura complessa, l’integrale di Bochner di una funzione f a valori in V , fortementemisurabile e con funzione norma integrabile, si definisce comeˆ

X

f(x)h(x) d|µ|(x) ,

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2. INTEGRALE DI BOCHNER 93

dove µ = h|µ| e la decomposizione polare di µ.

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APPENDICE C

Risoluzione spettrale di operatori autoaggiunti su spazi di Hilbert

1. Spettro e raggio spettrale di un operatore lineare limitato

Per tutto qunto non e dimostrato e per una trattazione piu articolata, rinviamo al libro di M. Reed, B.Simon, Methods of Modern Mathematical Physics. I, Funtional Analysis, Academic Press.

Definizione. Siano H uno spazio di Hilbert e T ∈ L(H). Lo spettro di T e l’insieme σ(T ) dei λ ∈ C taliche T − λI non ha inverso in L(H). Il complementare di σ(T ), indicato con ρ(T ) si chiama il risolvente diT .

La funzione R(λ) = (λI−T )−1, definita su C\σ(T ) e a valori in L(H), si chiama la funzione risolventedi T .

Lemma 1.1.

• Lo spettro di T e compatto e non vuoto.• La funzione risolvente R e analitica su ρ(T ) ∪ ∞.• Sia

r(T ) = max|λ| : λ ∈ σ(T )

,

detto il raggio spettrale di T , il raggio del piu piccolo disco chiuso di centro 0 e contenente σ(T ).Allora

r(T ) = infn‖Tn‖1/n = lim

n‖Tn‖1/n .

In particolare, r(T ) ≤ ‖T‖.

Dimostrazione. Se |λ| > ‖T‖, la serie di Neumann

(1.1)∑n

λ−n−1Tn

converge in L(H) e da l’inverso di λI − T . Quindi σ(T ) ⊆λ : |λ| ≤ ‖T‖

ed e dunque limitato.

Sia λ0 6∈ σ(T ). Sostituendo T con T − λ0I possiamo supporre λ0 = 0. Quindi T e invertibile eT−1 ∈ L(T ). Se |λ| < ‖T−1‖−1, la serie di Neumann

(1.2)∑n

λnT−n−1

converge in L(H) e da l’inverso di T − λI. Quindi il risolvente di T e aperto e σ(T ) chiuso.Supponiamo per assurdo σ(T ) vuoto. La (1.2) implica, con un cambiamento di variabili, che nell’intorno

di un qualunque λ0 ∈ CR(λ) = −

∑n

(λ− λ0)n(T − λ0I)−n−1 ,

e dunque, per ogni v, w ∈ H, la funzione

Rv,w(λ) = 〈R(λ)v, w〉

95

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96 C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT

e intera. La (1.1) fornisce, per |λ| > ‖T‖, la disuguaglianza

‖R(λ)‖ ≤∑n

|λ|−n−1‖T‖n =(|λ| − ‖T‖

)−1,

e dunque limλ→∞ ρv,w(λ) = 0. Per il Teorema di Liouville, Rv,w sarebbe identicamente nulla, da cui(T − λI)−1 = 0, che e assurdo.

Abbiamo dunque dimostrato i primi due punti e che r(T ) ≤ ‖T‖.Piu in generale, supponiamo che |λ| > ‖T k‖1/k per qualche k intero positivo. Per quanto detto sopra,

la serie ∑m

λ−kmT km

e convergente in L(H) a λk(λkI − T k)−1. Allora

(λI − T )∑n

λ−n−1Tn = (λI − T )

k−1∑j=0

λ−j−1T j(∑

m

λ−kmT km)

= (λkI − T k)−1(λI − T )

k−1∑j=0

λk−j−1T j

= (λkI − T k)−1(λkI − T k)

= I .

Questo dimostra che r(T ) ≤ infn ‖Tn‖1/n.La formula integrale di Cauchy implica, come nel caso scalare, che la serie di Laurent di R(λ), cioe la

serie di Neumann (1.1), converge normalmente per ogni λ con |λ| > r(T ). In particolare

limn|λ|−n‖Tn‖ = 0 ,

e dunque

lim supn‖Tn‖1/n ≤ |λ| ,

per il criterio della radice. Abbiamo dunque

lim supn‖Tn‖1/n ≤ r(T ) ≤ inf

n‖Tn‖1/n .

I tre termini devono essere dunque uguali, e uguali anche a lim infn ‖Tn‖1/n.

Un operatore in L(H) tale che T ∗ = T si dice autoaggiunto o simmetrico.

Lemma 1.2. Sia T ∈ L(H) autoaggiunto. Allora σ(T ) ⊂ R e r(T ) = ‖T‖.

Dimostrazione. Sia λ = µ+iν 6∈ R. Sostituendo T con T −µI e dividendo T per ν, possiamo supporreλ = i. Essendo 〈Tv, v〉 = 〈v, Tv〉 = 〈Tv, v〉 ∈ R, si ha

(1.3)∥∥(T ± iI)v

∥∥2= ‖Tv‖2 + ‖v‖2 ± 2<e 〈Tv, iv〉 = ‖Tv‖2 + ‖v‖2 .

In particolare,∥∥(T − iI)v

∥∥ ≥ ‖v‖ per cui T − iI e iniettivo. Esiste allora un inverso continuo

(T − iI)−1 : Ran(T − iI) −→ H .

Dunque Ran(T−iI) e completo e dunque chiuso in H. D’altra parte, esso e denso in H perche altrimenti(T − iI)∗ = T + iI avrebbe nucleo non banale, in contrasto con (1.3). Quindi i ∈ ρ(T ).

Infine, vale l’uguaglianza ‖T 2‖ = ‖T‖2, essendo ovvia la disuguaglianza ‖T 2‖ ≤ ‖T‖2, e avendosi inoltre

‖Tv‖2 = 〈Tv, Tv〉 = 〈T 2v, v〉 ≤ ‖T 2‖‖v‖2 .

Induttivamente si ottiene che ‖T 2k‖ = ‖T‖2k per ogni k, da cui r(T ) = ‖T‖.

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2. CALCOLO FUNZIONALE CONTINUO SU UN OPERATORE AUTOAGGIUNTO LIMITATO 97

2. Calcolo funzionale continuo su un operatore autoaggiunto limitato

Per calcolo funzionale su un operatore lineare T di uno spazio in se si intende una regola che associ afunzioni f : C −→ C in una determinata classe un operatore f(T ) secondo certe regole, per es. che l’operatore(fg)(T ) sia la composizione f(T )g(T ) ecc. Il punto di partenza e la condizione che per f = 1 sia f(T ) = Ie che per f(λ) = λ sia f(T ) = T . Da questo segue ovviamente che, per un polinomio p(λ) =

∑k akλ

k, ep(T ) =

∑k akT

k.Se p, q sono due polinomi, l’uguaglianza (pq)(T ) = p(T )q(T ), cosı come (pq)(T ) = q(T )p(T ), e ovvia.

Lemma 2.1. Siano T ∈ L(H) e p ∈ C[λ]. Allora σ(p(T )

)= p(σ(T )

).

Dimostrazione. Sia λ0 ∈ σ(T ). Allora il polinomio p(λ)− p(λ0) si annulla in λ0 per cui si fattorizza

p(λ)− p(λ0) = (λ− λ0)q(λ) ,

per cui

p(T )− p(λ0)I = (T − λ0I)q(T ) = q(T )(T − λ0I) .

Se p(T )− p(λ0)I avesse inverso S in L(H), si avrebbe

(T − λ0I)q(T )S = Sq(T )(T − λ0I) = I ,

per cui T − λ0I avrebbe inversi destro e sinistro in L(H). Questo implicherebbe che T − λ0I e biiettivo e idue inversi coinciderebbero, contro l’ipotesi che λ0 ∈ σ(T ). Quindi p

(σ(T )

)⊆ σ

(p(T )

).

Viceversa, sia µ ∈ σ(p(T )

). Allora p(T )− µI non ha inverso in L(H). Fattorizzando il polinomio

p(λ)− µ = a(λ− λ1) · · · (λ− λn) ,

si ottiene che

p(T )− µI = a(T − λ1I) · · · (T − λnI)

non e invertibile in L(H), per cui uno almeno dei fattori deve essere non invertibile in L(H). Esiste quindiλj ∈ σ(T ). Ovviamente p(λj) = µ, per cui µ ∈ p

(σ(T )

), e questo da l’inclusione opposta.

Osserviamo ora che, se p(λ) =∑k akλ

k e T ∈ L(H), si ha

(2.1) p(T )∗ =(∑

k

akTk)∗

=∑k

ak(T ∗)k = p∗(T ∗) ,

dove abbiamo definito

p∗(λ) =∑k

akλk .

Corollario 2.2. Sia T autoaggiunto e sia p ∈ C[λ]. Allora

‖p(T )‖ = maxp(λ) : λ ∈ σ(T )

.

Dimostrazione. Consideriamo prima il caso in cui p ha coefficienti reali. In tal caso p∗ = p e dunque

p(T )∗ = p(T ) .

Pertanto

‖p(T )‖ = r(p(T )

)= max

|µ| : µ ∈ σ

(p(T )

)= max

|µ| : µ ∈ p

(σ(T )

)= max

∣∣p(λ)∣∣ : λ ∈ σ(T )

.

Se p non e reale, abbiamo ∥∥p(T )∥∥2

=∥∥p(T )p(T )∗

∥∥ .

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98 C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT

Ma p(T )p(T )∗ e autoaggiunto, per cui, usando la (2.1),∥∥p(T )p(T )∗∥∥ = r

(p(T )p(T )∗

)= r((pp∗)(T )

)= max

|µ| : µ ∈ σ

((pp∗)(T )

)= max

∣∣p(λ)p∗(λ)∣∣ : λ ∈ σ(T )

.

Essendo σ(T ) ⊂ R, p∗(λ) = p(λ) per λ ∈ σ(T ), dunque∥∥p(T )∥∥2

= max∣∣p(λ)

∣∣2 : λ ∈ σ(T )

=(

max∣∣p(λ)

∣∣ : λ ∈ σ(T ))2

.

Teorema 2.3. Sia T ∈ L(H) autoaggiunto. Esiste un unica applicazione lineare

Φ : C(σ(T )

)−→ L(H)

con le seguenti proprieta:

• e continua rispetto alla norma su L(H);• e un omomorfismo di algebre: Φ(fg) = Φ(f)Φ(g), Φ(1) = I;• Φ(f) = Φ(f)∗;• se f(λ) = λ, Φ(f) = T .

Dimostrazione. Sul sottospazio dei polinomi Φ e univocamente definita come Φ(p) = p(T ). Il Corol-lario 2.2 implica che

∥∥Φ(p)∥∥L(H)

= ‖p‖∞,σ(T ). Dunque Φ si estende per continuita a tutto C(σ(T )

)in modo

unico. Le proprieta algebriche sono conservate dall’estensione.

Si adotta la notazionef(T ) = Φ(f) , f ∈ C

(σ(T )

).

In realta il Corollario 2.2 fornisce proprieta di Φ piu forti di quelle richieste nell’enunciato.Un operatore autoaggiunto T si dice semidefinito

Corollario 2.4. Sia f ∈ C(σ(T )

). Valgono le seguenti proprieta:

• ‖f(T )‖L(H) = ‖f‖∞;

• σ(f(T )

)= f

(σ(T )

);

• se v e autovettore di T con autovalore λ, allora v e autovettore di f(T ) con autovalore f(λ);• T (f) e autoaggiunto se e solo se f e reale;• T (f) ≥ 0 se e solo se f ≥ 0.1

Inoltre

• l’immagine di Φ e la sottoalgebra chiusa, nella topologia della norma, di L(H) generata da T ;• se S ∈ L(H) commuta con T , esso commuta con ogni f(T ).

Dimostrazione. La prima proprieta segue direttamente dal Corollario 2.2.Per la seconda, sia µ 6∈ f

(σ(T )

). Allora g = 1/(f − µ) ∈ C

(σ(T )

)e g(f − µ) = 1. Dunque g(T ) e

l’inverso di f(T )− µI, da cui segue l’inclusione σ(f(T )

)⊆ f

(σ(T )

).

Viceversa, sia µ ∈ f(σ(T )

), diciamo µ = f(λ). Dato ε > 0 sia p un polinomio tale che ‖f−p‖∞ < ε. Per

il Lemma 2.1, p(T )− p(λ)I non ha inverso in L(T ), per cui esiste v ∈ H con ‖v‖ = 1 e∥∥p(T )v− p(λ)v

∥∥ < ε.Allora ∥∥f(T )v − f(λ)v

∥∥ ≤ ∥∥f(T )v − p(T )v∥∥+

∥∥p(T )v − p(λ)v∥∥+

∥∥p(λ)v − f(λ)v∥∥ < 3ε

e, per l’arbitrarieta di ε, µ ∈ σ(f(T )

).

La terza proprieta si prova approssimando f con polinomi. Per la quarta, se f e reale, f(T )∗ = f(T ) =f(T ). L’altra implicazione segue dall’iniettivita di Φ.

Per l’ultima proprieta, se f ≥ 0, sia g =√f . Allora f(T ) = g(T )2 = g(T )g(T )∗ ≥ 0. Viceversa, sia

f(T ) ≥ 0. Allora T e autoaggiunto e f e reale. Supponiamo f < 0 su un aperto non vuoto A di σ(T ).

1T ≥ 0 vuol dire che T e autoaggiunto e semidefinito positivo: 〈Tv, v〉 ≥ 0 per ogni v ∈ H.

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3. DECOMPOSIZIONE SPETTRALE DI UN OPERATORE AUTOAGGIUNTO LIMITATO 99

Prendiamo allora ϕ non identicamente nulla e con supporto contenuto in A, in modo che g = −fϕ2 ≥ 0 sianon nulla. Esiste allora v ∈ H tale che 〈g(T )v, v〉 > 0. Se w = ϕ(T )v, si ha⟨

f(T )w,w⟩

=⟨f(T )ϕ(T )v, ϕ(T )v

⟩= −

⟨g(T )v, v

⟩< 0 .

Le ultime due proprieta sono evidenti.

3. Decomposizione spettrale di un operatore autoaggiunto limitato

Sia T ∈ L(H) autoaggiunto. Poniamo Σ = σ(T ) ⊂ R. Dati v, w ∈ H, consideriamo il funzionale linearesu C(Σ),

χv,w(f) =⟨f(T )v, w

⟩.

Si ha ∣∣χv,w(f)∣∣ ≤ ∥∥f(T )

∥∥‖v‖‖w‖ = ‖f‖∞‖v‖‖w‖ .Per il Teorema di rappresentazione di Riesz, esiste quindi una misura di Radon µv,w ∈M(Σ) tale che⟨

f(T )v, w⟩

=

ˆΣ

f dµv,w ∀ f ∈ C(Σ) , ‖µv,w‖1 ≤ ‖v‖‖w‖ .

Le seguenti proprieta sono di semplice verifica:

• l’applicazione (v, w) 7−→ µv,w e sesquilineare;• µv,v ≥ 0 e ‖µv,v‖1 = ‖v‖2;• per ogni f, g ∈ C(Σ),

(3.1)∣∣∣ ˆ

Σ

fg dµv,w

∣∣∣ ≤ (ˆΣ

|f |2 dµv,v) 1

2(ˆ

Σ

|g|2 dµw,w) 1

2

.

Sia ora B(Σ) lo spazio delle funzioni Boreliane limitate su Σ con la norma ‖ ‖∞, come sup puntuale.Data f ∈ B(Σ), la forma sesquilineare su H,

Af (v, w) =

ˆΣ

f dµv,w ,

soddisfa la disuguaglianza ∣∣Af (v, w)∣∣ ≤ ‖f‖∞‖v‖‖w‖ ,

per cui esiste f(T ) ∈ L(H) tale che

Af (v, w) =⟨f(T )v, w

⟩,

∥∥f(T )∥∥ ≤ ‖f‖∞ .

Teorema 3.1 (Teorema spettrale). L’applicazione Ψ(f) = f(T ) e l’unica applicazione lineare da B(Σ) inL(H) tale che

• e continua rispetto alla norma su L(H);• e un omomorfismo di algebre: Ψ(fg) = Ψ(f)Φ(g), Ψ(1) = I;• Ψ(f) = Ψ(f)∗;• se f(λ) = λ, Ψ(f) = T ;• se una successione (fn)n e limitata in norma e converge puntualmente a f , allora la successione(

Ψ(fn))n

converge a Ψ(f) nella topologia forte di L(H).

In particolare, se f = χB e la funzione caratteristica di un Boreliano B ⊆ Σ, l’operatore

E(B) = χB(T )

e autoaggiunto e idempotente, dunque un proiettore ortogonale.

Proposizione 3.2. La funzione E che associa a un Boreliano B ⊆ Σ il proiettore E(B) soddisfa le seguentiprorieta:

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100 C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT

(i) E(∅) = 0, E(Σ) = I;(ii) e fortemente σ-additiva: data una successione (Bn) di Boreliani a due a due disgiunti,

E(⋃

n

Bn

)=∑n

E(Bn) ,

dove la serie converge nella topologia forte;(iii) E(B1)E(B2) = E(B1∩B2) (in particolare, se B1∩B2 = ∅, le immagini di B1 e B2 sono ortogonali);(iv) per ogni v, w ∈ H,

⟨E(B)v, w

⟩= µv,w(B).

La funzione E ha dunque le proprieta formali di una “misura a valori proiettori” e si chiama la misuraspettrale di T . Si dice anche che E e la risoluzione dell’identita di H associata a T . Si scrive

f(T ) =

ˆΣ

f(λ) dE(λ) ,

e anche

dµv,w(λ) =⟨dE(λ)v, w

⟩.

Piu in generale:

Definizione. Siano X uno spazio topologico T2 localmente compatto e H uno spazio di Hilbert. Una funzioneE definita sui Boreliani di X a valori nei proiettori ortogonali su H si dice una risoluzione dell’identita suH con base X se soddisfa le proprieta (i)-(iii) della Proposizione 3.2 e, per ogni v, w ∈ H, la funzioneB 7−→

⟨E(B)v, w

⟩e una misura di Radon su X.

E’ possibile applicare a E parte della terminologia di teoria della misura, per esempio:

• una proprieta vale E-quasi ovunque su X se vale al di fuori di un B con E(B) = 0;• L∞(X,E) e il quoziente di B(X) modulo la relazione di equivalenza f ∼ g se e solo se f = g E-quasi

ovunque;• il supporto di E e il complementare del piu grande aperto su cui E = 0.

Tornando agli operatori autoaggiunti, completiamo il Teorema spettrale con le ulteriori proprieta di cuigode la misura spettrale di T .

Corollario 3.3. Siano T autoaggiunto e f ∈ B(Σ). Allora

• la norma di f(T ) in L(H) e uguale a ‖f‖L∞(E);

• σ(f(T )

)coincide con il rango essenziale2 di f ;

• se v e autovettore di T con autovalore λ, allora E(λ)6= 0 e v e autovettore di f(T ) con autovalore

f(λ);• f(T ) e autoaggiunto se e solo se f e reale E-quasi ovunque;• f(T ) ≥ 0 se e solo se f ≥ 0 E-quasi ovunque.

Inoltre

• il supporto di E e tutto Σ, cioe, se A e aperto in Σ, E(A) 6= 0;• l’immagine di Φ e la sottoalgebra chiusa, nella topologia forte, di L(H) generata da T ;• se S ∈ L(H) commuta con T , esso commuta con ogni f(T );• S ∈ L(H) commuta con T se e solo se commuta con ogni proiettore E(B);• data E risoluzione dell’identita su H con base R e supporto compatto, l’operatore

T =

ˆRλ dE(λ) =

ˆsuppE

λ dE(λ)

e limitato, autoaggiunto, σ(T ) = suppE e la misura spettrale di T e la restrizione di E a σ(T ).

2Il rango essenziale di f e l’insieme degli z ∈ C tali che, per ogni intorno U di z, E(f−1(U)

)6= 0.

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4. OPERATORI NON LIMITATI SIMMETRICI E AUTOAGGIUNTI 101

4. Operatori non limitati simmetrici e autoaggiunti

Sia T un operatore lineare, definito su un sottospazio denso D di uno spazio di Hilbert H e valori inH. Diamo alcune definizioni preliminari. Supporremo sempre che i domini degli operatori considerati sianodensi in H.

• Si dice che T e chiuso se il suo grafico

Γ(T ) =

(v, Tv) : v ∈ D

e chiuso in H ×H.• Si dice che T : D −→ H e chiudibile se la chiusura Γ(T ) del suo grafico in H × H e ancora un

grafico. In tal caso l’operatore lineare T definito su D = π1

(Γ(T )

)(dove ovviamente D ⊆ D ⊆ H)

si chiama la chiusura di T .• Se T1 : D1 −→ H, T2 : D2 −→ H, si scrive T1 ⊂ T2 se T2 e un’estensione di T1.

Si verifica facilmente che

• T : D −→ H e chiuso se e solo se, per ogni successione di elementi vn ∈ D tali che

limnvn = v ∈ H , lim

nTvn = w ∈ H ,

si ha v ∈ D e w = Tv.• T : D −→ H e chiudibile se e solo se, per ogni successione di elementi vn ∈ D tali che

limnvn = 0 , lim

nTvn = w ∈ H ,

si ha w = 0.• Un operatore T : D −→ H e chiudibile con T definito su tutto H se e solo se T (e dunque anche T )

e limitato (teorema del grafico chiuso).

Dato T : D −→ H, chiamiamo D′ l’insieme degli elementi w ∈ H tali che il funzionale lineare

(4.1) λw : v 7−→ 〈Tv,w〉 , λw : D −→ C ,

si estende a un funzionale continuo su H. Per w ∈ D′ e dunque univocamente determinato un elementoT ∗w ∈ H tale che, per ogni v ∈ D,

〈Tv,w〉 = 〈v, T ∗w〉 .L’operatore T ∗ si chiama l’aggiunto di T .

Lemma 4.1.

• D′ e un sottospazio vettoriale di H e T ∗ : D′ −→ H e lineare e Γ(T ) e chiuso in H ×H.• T e chiudibile se e solo se D′ e denso in H.• In tal caso, T ∗ e chiuso, (T )′ = T ∗ e T ∗∗ = (T ∗)∗ coincide con T .

Dimostrazione. Se w,w′ ∈ D′, il funzionale λaw+bw′ = aλw + bλw′ si estende con continuita a H, percui aw+ bw′ ∈ D′. Si osservi poi che il sottospazio Γ(T )⊥ di H ×H e costituito dalle coppie (u, u′′) tali che,per ogni v ∈ D,

〈v, u〉+ 〈Tv, u′〉 = 0 .

Ma questo equivale a dire che u′ ∈ D′ e u = −T ∗u′. Quindi

Γ(T )⊥ = Γ(T ∗) =

(−T ∗w,w) : w ∈ D′.

In particolare, Γ(T ∗), e dunque anche Γ(T ∗), e chiuso.

Per il secondo punto, supponiamo che D′ non sia denso in H. Allora D′⊥ 6= 0 e (0×D′⊥) ⊥ Γ(T ∗),

da cui0 ×D′⊥ ⊂ Γ(T )⊥⊥ = Γ(T ) .

Dunque Γ(T ) non e un grafico. L’implicazione inversa e il terzo punto seguono facilmente.

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102 C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT

Definizione. Si dice che T e simmetrico se T ⊆ T ∗ e che T e autoaggiunto se T = T ∗.

Si hanno le seguenti proprieta:

• un operatore simmetrico e chiudibile;• T e simmetrico se e solo se

(4.2) 〈Tv, v′〉 = 〈v, Tv′〉 , ∀v, v′ ∈ D ;

• se T e simmetrico, anche T = T ∗∗ e simmetrico;• un operatore autoaggiunto e chiuso;• se T1 ⊆ T2 e T2 e simmetrico, anche T1 e simmetrico e

(4.3) T1 ⊆ T2 ⊆ T ∗2 ⊆ T ∗1 .

Si noti che, se T e chiuso, simmetrico, ma non autoaggiunto, allora T ∗ non e simmetrico.In generale, e piuttosto facile verificare attraverso la (4.2) se un operatore e simmetrico. Molto meno

facile e verificare se un operatore simmetrico e anche autoaggiunto, oppure, tenuto conto delle inclusioni(4.3), discutere l’esistenza di una sua estensione autoaggiunta. Enunciamo senza dimostrazione il seguenteenunciato.

Teorema 4.2. Sia T : D −→ H un operatore simmetrico.

(i) Le seguenti proprieta sono equivalenti:• T e autoaggiunto,• (T ± iI)D = H,• T e chiuso e ker(T ∗ ± iI) = 0.

(ii) T ammette estensioni autoaggiunte se e solo se i due spazi immagine (T ± iI)D hanno la stessacodimensione in H.

Un caso importante di esistenza di estensioni autoaggiunte e dato dal seguente teorema.

Teorema 4.3 (Friedrichs). Sia T un operatore simmetrico positivo, tale cioe che

〈Tv, v〉 ≥ 0 , ∀ v ∈ D .

Allora T ammette un’estensione autoaggiunta.

Definizione. Un operatore simmetrico si dice essenzialmente autoaggiunto se ammette un’unica estensioneautoaggiunta.

5. Risoluzioni dell’identita e operatori autoaggiunti

Sia E una risoluzione dell’identita su H con base R. Non supponiamo che il supporto di E sia compatto.Vogliamo costruire a partire da E un operatore autoaggiunto T con dominio D tale che, per ogni v ∈ D,

〈Tv,w〉 =

ˆRλ dµv,w(λ) .

Cominciamo con alcune premesse sulle misure µv,w che saranno usate in piu punti.

Lemma 5.1. Per B ⊂ R Boreliano, sia

VB = E(B)H ⊂ H .

• Se v ∈ VB e w ∈ H, le misure µv,w e µw,v sono concentrate in B.• Se v ∈ VB e w ∈ V ⊥B , allora µv,w = 0.• per ogni v, w ∈ H e B′ ⊆ B, µv,w(B′) = µE(B)v,w(B′) = µv,E(B)w(B′) = µE(B)v,E(B)w(B′).

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5. RISOLUZIONI DELL’IDENTITA E OPERATORI AUTOAGGIUNTI 103

Dimostrazione. Se v ∈ VB e B′ ∩ B = ∅, allora E(B′)E(B) = 0, per cui E(B′)v = 0 e quindiµv,w(B′) = 〈E(B′)v, w〉 = 0 per ogni w.

Il resto segue facilmente.

Poniamo

En = E([−n, n]

), Vn = V[−n,n] .

Proposizione 5.2. Sia D l’insieme dei vettori v ∈ H tali cheˆRλ2 dµv,v(λ) <∞ .

Allora D e un sottospazio denso di H.

Dimostrazione. Dalla disuguaglianza

µv+w,v+w(B) =⟨E(B)(v+w), v+w

⟩=∥∥E(B)(v+w)

∥∥2 ≤ 2(∥∥E(B)v

∥∥2+∥∥E(B)w

∥∥2)= 2(µv,v(B)+µw,w(B)

)per ogni Boreliano B, segue che v, w ∈ D implica v +w ∈ D. In modo piu semplice si verifica che i multipliscalari di v ∈ D sono in D.

Per il Lemma 5.1, se v ∈ Vn, ˆRλ2 dµv,v(λ) =

ˆ n

−nλ2 dµv,v(λ) <∞ .

Dunque⋃n Vn ⊂ D. D’altra parte, per la condizione (ii) nella Proposizione 3.2,

I = E(R) = limnEn

nella topologia forte. Quindi ogni v ∈ H e limite in norma dei vn = Env ∈ D.

Per v ∈ D, si consideri l’espressione

χv(w) =

ˆRλ dµv,w(λ) .

Osservando che la disuguaglianza (3.1) vale per risoluzioni dell’identita con base R e funzioni f, gBoreliane, si ha, per w ∈ D,∣∣χv(w)

∣∣ ≤ ( ˆRλ2 dµv,v(λ)

) 12(ˆ

Rdµw,w(λ)

) 12

=(ˆ

Rλ2 dµv,v(λ)

) 12 ‖w‖ .

Quindi χv si estende per continuita a H ed esiste dunque Tv ∈ H tale che, per ogni w ∈ H,ˆRλ dµv,w(λ) = 〈Tv,w〉 .

Teorema 5.3. L’operatore T : D −→ H e autoaggiunto.

Dimostrazione. Dimostriamo la (4.2) per provare che T e simmetrico. Se v, v′ ∈ D,

〈Tv, v′〉 =

ˆRλ dµv,v′(λ)

=

ˆRλ dµv′,v(λ)

= 〈Tv′, v〉= 〈v, Tv′〉 .

Per dimostrare che T e anche autoaggiunto, osserviamo che, per il Lemma 5.1, se v.w ∈ H e B unBoreliano,

〈TEBv, w〉 =

ˆRλ dµEBv,w(λ) =

ˆRλ dµEBv,EBw(λ) = 〈EBTEBv, w〉 .

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104 C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT

Quindi TEB = EBTEB . In particolare, T : VB −→ VB . Per v ∈ VB e B′ ⊂ B Boreliano si ha poi

µTv,w(B′) = 〈E(B′)Tv,w〉 = 〈Tv,E(B′)w〉 =

ˆB′λ dµv,E(B′)w(λ) =

ˆB′λ dµv,w(λ) ,

cioe dµTv,w(λ) = λ dµv,w(λ).In particolare, con B = [−n, n] e v ∈ Vn, si ha

‖Tv‖2 = 〈T 2v, v〉 =

ˆ n

−nλ dµTv,v(λ) =

ˆ n

−nλ2 dµv,v(λ) .

Sia ora w nel dominio di T ∗. Per la (4.1), questo vuol dire che esiste una costante C > 0 tale che∣∣〈Tv,w〉∣∣ ≤ C‖v‖per ogni v ∈ D. Dunque

‖TEnw‖2 = 〈EnT 2Enw,w〉 = 〈T 2Enw,w〉 ≤ C‖TEnw‖ ,

da cui ‖TEnw‖ ≤ C per ogni n. Ma

‖TEnw‖2 =

ˆ n

−nλ2 dµEnw,Enw(λ) =

ˆ n

−nλ2 dµw,w(λ) ≤ C2

per ogni n, per cui w ∈ D.

Si scrive

T =

ˆRλ dE(λ) ,

e E si chiama la misura spettrale di T . Diamo senza dimostrazione il Teorema spettrale e le basi del calcolofunzionale per operatori autoaggiunti.

Teorema 5.4. Dato un operatore autoaggiunto T su uno spazio di Hilbert H, esiste una e una sola risoluzionedell’identita E su H con base R tale che T =

´R λ dE(λ). Valgono le seguenti proprieta:

• T e limitato se e solo se suppE e limitato,• T e positivo se e solo se suppE ⊆ [0,+∞).

Sia T autoaggiunto e sia E la sua misura spettrale. Data una funzione Boreliana f su R, si ponga

Df =v ∈ H :

ˆR

∣∣f(λ)∣∣2 dµv,v(λ) <∞

,

La (3.1) implica che, per ogni v ∈ Df e ogni w ∈ H e ben definito f(T )v ∈ H tale che⟨f(T )v, w

⟩=

ˆRf(λ) dµv,w(λ) .

Teorema 5.5. Df e denso in H se e solo se f e finita E-quasi ovunque. In tal caso f(T ) e chiuso. Inoltre

•∥∥f(T )v

∥∥2=´R∣∣f(λ)

∣∣2 dµv,v(λ);• f(T ) e limitato se e solo se f e essenzialmente limitata (modulo insiemi di E-misura nulla);• f(T ) e unitario se e solo se |f | = 1 E-quasi ovunque.

Inoltre, date f, g Boreliane, fg(T )v = f(T )g(T )v per ogni v ∈ D(g(T )

)tale che g(T )v ∈ D

(f(T )

).

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6. IL TEOREMA DI STONE 105

6. Il Teorema di Stone

Sia T un operatore autoaggiunto su H con misura spettrale E. Poniamo allora, per t ∈ R,

eitT =

ˆReitλ dE(λ) .

Per il Teorema 5.5, gli operatori eitT sono unitari e vale l’identita

ei(t+s)T = eitT eisT .

Inoltre, per ogni v, w ∈ H l’applicazione t 7−→ 〈eitT v, w〉 e continua. Infatti∣∣〈eitT v, w〉 − 〈eit0T v, w〉∣∣ =∣∣∣ ˆ

R(eitλ − eit0λ) dµv,w

∣∣∣≤ˆR|eitλ − eit0λ| d|µv,w| ,

che tende a 0 per t→ t0 per convergenza dominata. Quindi l’applicazione π : t 7−→ eitT e un omomorfismodebolmente continuo di R in U(H). Per il Lemma 1.2 del Cap. 3, essa e fortemente continua e dunque π euna rappresentazione unitaria di R su H.

Si dice anche che π e un gruppo a un parametro di operatori unitari su H.

Teorema 6.1 (Teorema di Stone). Sia π un gruppo a un parametro di operatori unitari su H. Esiste alloraun unico operatore autoaggiunto T su H tale che π(t) = eitT .

Dimostrazione. Sia D0 il sottospazio dei vettori v ∈ H per cui esiste

(6.1)d

dt |t=0

π(t)v = limt→0

1

t

(π(t)v − v

)∈ H .

Dimostriamo che D0 e denso in H. Per far questo, osserviamo che, per ogni funzione ϕ ∈ C∞c (R) e ogniv ∈ H, il vettore

v′ = π(ϕ)v =

ˆRϕ(s)π(s)v ds

e in D0. Infatti:

(6.2)d

dt |t=0

π(t)v′ =d

dt |t=0

ˆRϕ(s)π(s+ t)v ds =

d

dt |t=0

ˆRϕ(s− t)π(s)v ds = −

ˆRϕ′(s)π(s)v ds .

Allora, se ϕεε>0 ⊂ C∞c e un’identita approssimata, si verifica facilmente che limε→0 π(ϕε)v = v.Per v ∈ D0, poniamo T0v = −i ddt |t=0

π(t)v. Dall’identita⟨1

t

(π(t)v − v

), w⟩

=⟨v,

1

t

(π(−t)w − w

)⟩segue che, se v, w ∈ D0,

〈iT0v, w〉 = 〈v,−iT0w〉 ,per cui T0 e simmetrico. Quindi T0 e chiudibile. Dimostriamo che T = T 0 e autoaggiunto provando cheT ∗ ± iI = T ∗0 ± iI sono iniettivi.

Sia w ∈ D(T ∗) (il dominio di T ∗) tale che T ∗w = iw. Per ogni v ∈ D0,

d

dt

⟨π(t)v, w

⟩=

d

dh |h=0

⟨π(t+ h)v, w

⟩=⟨iT0π(t)v, w

⟩= i⟨π(t)v, T ∗w

⟩=⟨π(t)v, w

⟩.

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106 C. RISOLUZIONE SPETTRALE DI OPERATORI AUTOAGGIUNTI SU SPAZI DI HILBERT

Quindi ⟨π(t)v, w

⟩= 〈v, w〉et .

Essendo∣∣⟨π(t)v, w

⟩∣∣ ≤ ‖v‖‖w‖, deve essere 〈v, w〉 = 0 per ogni v ∈ D0. Per la densita di D0, w = 0. Inmodo analogo si tratta il caso in cui T0w = −iw.

Dimostriamo ora che π(t) = eitT .Dato v ∈ D0, segue dalla (6.1) che

d

dt |t=t0π(t)v = lim

h→0

1

h

(π(t0 + h)v − π(t0)v

)=

π(t0) limh→0

π(t0) 1h

(π(h)− I

)v = iπ(t0)T0v

limh→0

1h

(π(h)− I

)π(t0)v

Questo dimostra che π(t)v ∈ D0 e che

d

dtπ(t)v = iT0π(t)v = iπ(t)T0v .

D’altro canto, se E e la misura spettrale di T , per v nel dominio D ⊃ D0 di T , si ha

limt→0

∥∥∥1

t(eitT v − v)− Tv

∥∥2= limt→0

ˆR

∣∣∣eitλ − 1

t− iλ

∣∣∣2 dµv,v(λ) = 0 ,

per convergenza dominata, essendo∣∣(eitλ − 1)/t − λ|2 ≤ C(1 + λ2) e inoltre

´R(1 + λ2) dµv,v(λ) < ∞. Da

questo segue ched

dteitT v = iTeitT v = ieitTTv .

Si consideri la funzione F (t) = π(t)v − eitT v, con v ∈ D0. Si ha

F ′(t) = iTF (t) ,

per cui, essendo F (t) ∈ D,

d

dt‖F (t)‖2 =

⟨iTF (t), F (t)

⟩+⟨F (t), iTF (t)

⟩= 0 .

Quindi ‖F (t)‖2 = ‖F (0)‖2 = 0 e la tesi segue facilmente.

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APPENDICE D

Campi vettoriali, flussi e loro composizione

1. Varieta differenziabili

Definizione. Sia (M,R) uno spazio topologico di Hausdorff. Una struttura differenziabile su M e unafamiglia

E(U)

U∈τ dove

(i) per ogni aperto U di M , E(U) e un’algebra di funzioni a valori reali su U ;(ii) per ogni U , la funzione costante 1 e in E(U);

(iii) se U =⋃i∈I Ui, f ∈ E(U) se e solo se, per ogni i ∈ I, f|Ui ∈ E(Ui);

(iv) esistono un intero m, un ricoprimento aperto Uii∈I e, per ogni i ∈ I, elementi ξi1, . . . , ξim di E(Ui)

tali che• ξi = (ξi1, . . . , ξ

im) sia un omeomorfismo di U sull’aperto ξ(Ui) di Rm;

• se U ′ ⊆ Ui, f ∈ E(U ′) se e solo se f ξi−1 ∈ C∞(ξi(U ′)

).

Uno spazio M , dotato di una struttura differenziabile, si dice una varieta differenziabile, e l’intero min (iv) la sua dimensione. Le funzioni ξi si chiamano carte locali e il loro insieme un atlante.

D’ora in poi indicheremo con C∞(U) le algebre E(U) della Definizione 1.Segue immediatamente dalla definizione che ogni aperto di M eredita da M una struttura differenziabile.

Definizione. Siano M,N due varieta differenziabili. Un’applicazione Φ : M −→ N si dice C∞, o differen-ziabile se, per ogni U aperto in N e ogni f ∈ C∞(U), f Φ ∈ C∞

(f−1(U)

).

In modo equivalente, Φ e C∞ se, per ogni x ∈ M , dette ξ e η carte locali su intorni di x e Φ(x)rispettivamente, η Φ ξ−1 e C∞ come funzione tra spazi euclidei.

Se anche Φ−1 e C∞ da N a M , f si dice un diffeomorfismo di M su N .

Definizione. Sia M una varieta differenziabile. Si chiama vettore tangente a M in x un funzionale linearev su C∞(M) tale che, per ogni f, g ∈ C∞(M),

(1.1) v(fg) = f(x)v(g) + g(x)v(f) .

I vettori tangenti a M in x formano uno spazio vettoriale TxM , detto spazio tangente a M in x.

Proposizione 1.1. Sia v ∈ TxM e sia ξ = (ξ1, . . . , ξm) una carta locale su un intorno di x ∈ M , e siav ∈ TxM . Sono univocamente determinati a1, . . . , am ∈ R tali che, per ogni f ∈ C∞(M),

(1.2) v(f) =

m∑j=1

aj∂j(f ξ−1)(ξ(x)

).

Viceversa, dati a1, . . . , am ∈ R, la (1.2) definisce un elemento di TxM .

Dimostrazione. Svolgiamo la dimostrazione in piu passi. Senza perdere in generalita, possiamosupporre che ξ(x) = 0 ∈ Rm.Passo 1: Se f = 0 in un intorno di x, allora v(f) = 0.

107

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108 D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE

In queste ipotesi, f ξ−1 e nulla su un intorno V di 0. Si prenda η ∈ C∞c (V ) uguale a 1 in un intorno di0. La composizione η ξ si prolunga a una funzione g ∈ C∞(M) tale che g = 1 in un intorno di x e fg = 0identicamente. Quindi

0 = v(fg) = f(x)v(g) + g(x)v(f) = v(f) .

Passo 2: Per ogni intorno U di x, esiste un unico funzionale lineare vU su C∞(U) per cui valga la (1.1) etale che vU

(f|U)

= v(f) per ogni f ∈ C∞(M).Basta prendere la funzione g del passo 1 e porre, per f ∈ C∞(U), vU (f) = v(fg).

Passo 3: Se f e costante in un intorno di x, allora v(f) = 0.Per il passo 1, se f = c in un intorno di x, v(f) = v(c) = cv(1). Ma v(1) = 2v(1) = 0.

Passo 4: Se u = f ξ−1(t) = O(|t|2) per t→ 0, allora v(f) = 0.

Usiamo qui il seguente Lemma di Hadamard: sia u una funzione C∞ su un intorno V dell’origine in Rmtale che u(t) = O(|t|2). Esistono allora ρij ∈ C∞(V ), con i ≤ j ≤ m, tali che, per t ∈ V ,

u(t) =∑i≤j

titjρij(t) .

Siano allora τi = ti ξ−1, hij = ρij ξ−1, di modo che f =∑i≤j τiτjhij in un intorno U di x. Essendo

τi(x) = 0 per ogni i, si ha vU (f) = 0, e dunque v(f) = 0.

Passo 5: Conclusione.Sia f una generica funzione in C∞(M). Applicando la formula di Taylor a u = f ξ−1, si ottiene che

f = f(x) +

m∑j=1

∂j(f ξ−1)(0)τj +∑i≤j

τiτjhij

su un intorno U di x. Allora

v(f) = vU(f|U)

=

m∑j=1

∂j(f ξ−1)(0)vU (τj) .

Per i passi 1 e 2, i coefficienti aj = vU (τj) non dipendono dalle scelte fatte.

Siano Φ : M −→ N un’applicazione C∞, x ∈M e v ∈ TxM . Per f ∈ C∞(N) si ponga

w(f) = v(f Φ) .

Si vede facilmente che w ∈ TΦ(x)N . Si pone w = dxΦ(v). Allora

(1.3) dxΦ : TxM −→ TΦ(x)N ,

e un’applicazione lineare, detta il differenziale di Φ in x.Il differenziale di una carta locale ξ su un aperto U in un punto x ∈ U e l’applicazione v 7−→ (a1, . . . , am)

secondo la (1.2), avendo identificato Tξ(x)Rm con Rm stesso.Valendo la regola della catena

dx(Φ Ψ) = dΨ(x)Φ dxΨ ,

la composizionedΦ(x)η dxΦ (dxξ)

−1 = dξ(x)(η Φ ξ−1) : Rm −→ Rn

(con n = dimN), fornisce la rappresentazione di dxΦ nelle coordinate locali ξ in un intorno di x e η in unintorno di Φ(x).

Definizione. Una struttura analitica su una varieta differenziabile M e un atlante A =

(Ui, ξi)i∈I tale

che, per ogni scelta di i, i′ ∈ I tali che Ui ∩ Ui′ 6= ∅, ξ ξ−1i′ sia analitica. Con l’assegnazione dell’atlante A,

M si dice una varieta analitica.

Date due varieta analitiche (M,A), (N,A′), una funzione Φ : M −→ N si dice analitica se, per ognicarta locale (Ui, ξ) ∈ A e (U ′j , ηj) ∈ A′, la composizione η Φ ξ−1, se definita, e analitica.

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2. CAMPI VETTORIALI SU VARIETA DIFFERENZIABILI 109

2. Campi vettoriali su varieta differenziabili

Definizione. Sia M una varieta differenziabile. Si chiama campo vettoriale su M una derivazione suC∞(M), cioe un operatore lineare X : C∞(M) −→ C∞(M) per cui valga la formula di Leibniz

X(fg)(x) = f(x)(Xg)(x) + g(x)(Xf)(x) .

Lemma 2.1. Dato un campo vettoriale X su M , per ogni x ∈M , il funzionale

(2.1) Xx : f 7−→ (Xf)(x) ,

e un vettore tangente a M in x.

Proposizione 2.2. Un operatore lineare X : C∞(M) −→ C∞(M) e un campo vettoriale se e solo se, datacomunque una carta locale ξ su un aperto U , esistono funzioni a1, . . . , am ∈ C∞

(ξ(U)

), con m = dimM ,

tali che, per ogni x ∈ U ,

(2.2) Xf(x) =

m∑j=1

aj(ξ(x)

)∂j(f ξ−1)

(ξ(x)

).

Dimostrazione. Sia X un campo vettoriale su M e ξ una carta locale su U . per ogni x ∈ U , sia Xx

il vettore tangente in x dato dalla (2.1). Allora, per la Proposizione 1.1, esistono α1(x), . . . , αm(x) reali taliche

Xx(f) =

m∑j=1

αj(x)∂j(f ξ−1)(ξ(x)

).

Ponendo aj = αj ξ−1, si ha la (2.2). Per dimostrare che le aj sono C∞ su ξ(U), basta prendere f taleche f ξ−1(t) = tj .

Siano ora X,Y due campi vettoriali su M , e sia ξ una carta locale su U . Siano

Xf(x) =

m∑j=1

aj(ξ(x)

)∂j(f ξ−1)

(ξ(x)

), Y f(x) =

m∑j=1

bj(ξ(x)

)∂j(f ξ−1)

(ξ(x)

),

le rappresentazioni di X e Y nella carta locale ξ. Allora la composizione XY si rappresenta nella forma

XY f(x) =

m∑j=1

aj(ξ(x)

)∂j

( m∑k=1

bk(ξ(x)

)∂k(f ξ−1)

)(ξ(x)

)=

m∑j,k=1

aj(ξ(x)

)bk(ξ(x)

)∂j∂k(f ξ−1)

)(ξ(x)

)+

m∑j,k=1

aj(ξ(x)

)∂jbk

(ξ(x)

)∂k(f ξ−1)

(ξ(x)

).

Analogamente,

Y Xf(x) =

m∑j,k=1

bj(ξ(x)

)ak(ξ(x)

)∂j∂k(f ξ−1)

)(ξ(x)

)+

m∑j,k=1

bj(ξ(x)

)∂jak

(ξ(x)

)∂k(f ξ−1)

(ξ(x)

).

Quindi il commutatore [X,Y ] = XY − Y X di X e Y e uguale a

[X,Y ]f(x) =

m∑k=1

ck(ξ(x)

)∂k(f ξ−1)

(ξ(x)

),

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110 D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE

dove

(2.3) ck =

m∑j=1

(aj∂jbk − bj∂jak) .

Proposizione 2.3. Sia u : M −→ N un diffeomorfismo tra varieta differenziabili. Dato un campo vettorialeX su M , si indica con u∗X il campo vettoriale su N definito da ciascuna delle due condizioni equivalenti:

(i) per ogni f ∈ C∞(N),

(2.4) (u∗X)f(y) = X(f u)(u−1(y)

);

(ii) per ogni x ∈M ,

(2.5) (u∗X)u(x) = (dxu)Xx .

L’applicazione u∗ e lineare e vale l’uguaglianza

(2.6) [u∗X,u∗X′] = u∗[X,X

′] ,

per ogni coppia di campi X,X ′ su M .

Dimostrazione. La prima parte segue facilmente dalla definizione di campo vettoriale e dalla defini-zione di dxu in (1.3). Per la seconda, basta osservare che la (2.4) consente di definire u∗(XX

′) con X,X ′

campi vettoriali, e vale l’uguaglianza u∗(XX′) = (u∗X)(u∗X

′).

3. Flusso generato da campi vettoriali

Il flusso generato da un campo vettoriale viene qui studiato su un aperto Ω di Rn. I risultati sarannofacilmente estendibili a flussi su varieta, utilizzando carte locali.

Un campo vettoriale X su Ω ha la forma

(3.1) X =

n∑j=1

aj(x)∂xj .

con le funzioni a(x) reali e C∞ su Ω.Il vettore Xx =

(a1(x), . . . , an(x)

)indica la derivata direzionale che il campo calcola nel punto x.

Fissatot x0 ∈ Ω, consideriamo il problema di Cauchy

(3.2)

γ′(t) = Xγ(t)

γ(0) = x0 ,.

di cui cerchiamo una soluzione γ : (−ε, ε)→ Ω. Il seguente risultato e ben noto.

Teorema 3.1.

(i) Per ogni x0 ∈ Ω il problema (3.2) ha un’unica soluzione γx0(t) definita su un massimo intervalloaperto Ix0 contenente 0.

(ii) Dato K ⊂ Ω compatto, esiste εK > 0 tale che γx sia definita per |t| < εK , qualunque sia x ∈ K.(iii) L’applicazione

ΦX(x, t) = γx(t)

e C∞ sul suo dominio.

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3. FLUSSO GENERATO DA CAMPI VETTORIALI 111

(iv) Piu in generale, se

Xy =

n∑j=1

aj(x, y)∂xj

e una famiglia di campi vettoriali con coefficienti C∞ in x e y, e γy,x0(t) e la soluzione del problema(3.2) relativa a Xy, allora l’applicazione (x, y, t) 7−→ γy,x(t) e C∞.

PoniamoAX =

(x, t) : t ∈ Ix

= dom ΦX .

Per t fissato, sia Ωt = x : (x, t) ∈ AX ⊆ Ω, cioe l’insieme degli x tali che γx(t) sia definita, e siaϕX,t : Ωt → Ω data da

ϕX,t(x) = γx(t) .

Allora Ωt e aperto,⋃t>0 Ωt =

⋃t<0 Ωt = Ω, e ϕX,t e C∞ su Ωt.

Segue dal Teorema 3.2(i) che vale l’identita

γγx(s)(t) = γx(t+ s) , Iγx(s) = Ix − s ,per cui

ΦX(ΦX(x, t), s

)= ΦX(x, t+ s) , ϕX,t ϕX,s = ϕX,s ϕX,t = ϕX,t+s .

Ovviamente, ϕX,0 = Id.

Definizione. La funzione ΦX si chiama il flusso generato da X su Ω.

Il Teorema 3.1 consente la seguente caratterizzazione dei flussi di campi vettoriali.

Proposizione 3.2. Sia A ⊂ Ω×R un aperto contenente Ω×0 e verticalmente connesso, e sia Φ : A −→ Ωuna funzione C∞ tale che, posto ϕt(x) = Φ(x, t), si abbia ϕ0 = Id e ϕt ϕt′ = ϕt+t′ quando la composizioneha senso.

Ponendo

(3.3) Xf =d

dt |t=0

f ϕt ,

X e un campo vettoriale su Ω e Φ e la restrizione ad A del flusso generato da X.

Dimostrazione. Chiaramente X applica C∞(Ω) in se e soddisfa la formula di Leibniz.Inoltre, dato x0 ∈ Ω, sia γx0(t) = ϕt(x0). Per la (3.3)

Xx0= γ′x0

(0) .

Inoltre,

γ′x0(t) = lim

h→0

1

h

(ϕt+h(x0)− ϕt(x0)

)=

d

dh |h=0

ϕh(ϕt(x0)

)= Xγx0

(t) .

Poiche γx0(0) = x0, la conclusione segue dal Teorema 3.1 (i).

Definizione. Sia ΦX il flusso generato dal campo vettoriale x, e sia t0 ∈ R tale che Ωt0 6= ∅.Data f ∈ C∞(Ω), la funzione f

(Φ(x, t0)

), definita su Ωt0 , si chiama esponenziale di X in t0 e si indica

con exp(t0X)f(x).

Si noti che la notazione e consistente, perche vale l’identita, desumibile dal Teorema 3.1,

ΦX(st, x) = ΦsX(t, x) .

Lemma 3.3. L’esponenziale di X soddisfa le seguenti proprieta:

(i) exp(0X) = I;

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112 D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE

(ii) exp(−tX) = exp(tX)−1;(iii) exp

((t+ s)X

)= exp(tX) exp(sX);

(iv) ddt exp(tX) = X exp(tX) = exp(tX)X;

(v) per f ∈ C∞c (Ω) e k ∈ N,

(3.4) exp(tX)f(x) =

k∑j=0

tj

j!Xjf(x) +O(tk+1) ,

dove il resto Rkf(x, t) = exp(tX)f(x)−∑kj=0

tj

j!Xjf(x) ∈ C∞(AX), dipende in modo continuo da

f e X;(vi) Se u : Ω −→ Ω′ e un diffeomorfismo, allora

Φ′(y, t) =(u Φ(·, t) u−1

)(y)

e il flusso generato dal campo X ′ = u∗X su Ω′.

Dimostrazione. I punti (i) e (iii) seguono direttamente dalle corrispondenti proprieta del flusso gene-rato da X, e (ii) ne discende per conseguenza.

Per provare (iv), osserviamo che per ogni x nel dominio di ϕX,t e per ogni f ,

Xf(x) =d

ds |s=0

f(ϕX,s(x)

).

Quindid

dtexp(tX)f(x) =

d

ds |s=0

exp((s+ t)X

)f(x)

=d

ds |s=0

exp(sX) exp(tX)f(x)

= X(

exp(tX)f)(x) ,

ma anched

dtexp(tX)(x) =

d

ds |s=0

exp(tX) exp(sX)f(x)

= exp(tX)Xf(x) .

La (3.4) segue da (iv) per iterazione e la continuita di Rk si verifica facilmente. Infine la (vi) seguefacilmente dalla Proposizione 3.2.

Consideriamo ora due campi vettoriali su Ω,

X =

n∑j=1

aj(x)∂xj , Y =

n∑j=1

bj(x)∂xj ,

con mappe esponenziali exp(sX), exp(tY ).Fissato s, consideriamo la coniugazione

exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) ,

di exp(tY ) per exp(sX), data da

exp(sX) exp(tY ) exp(−sX)f(x) = f(ϕX,−s ϕY,t ϕX,s(x)

).

Poniamo

Ψ(x, t) = ϕX,−s ϕY,t ϕX,s(x) .

Per la (vi) del Lemma 3.3, esiste un campo vettoriale Ys su Ωs tale che Ψ = ΦYs , cioe.

exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) = exp(tYs) .

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3. FLUSSO GENERATO DA CAMPI VETTORIALI 113

Chiamiamo Ys l’aggiunto di Y per exp(sX) e scriviamo

Ys = Ad(

exp(sX))Y .

L’espressione di Ys si ottiene derivando in t = 0:

(3.5)

Ysf(x) =d

dt |t=0

Ztf(x)

=d

dt |t=0

(exp(tY )(f ϕX,−s)

)(ϕX,s(x)

)= Y (f ϕX,−s)

(ϕX,s(x)

)= exp(sX)Y exp(−sX)f(x) .

Ora, l’applicazione

(s, x) 7−→ Y (f ϕX,−s)(ϕX,s(x)

)e C∞, e dunque possiamo definire un nuovo campo vettoriale derivando in s = 0:

ad(X)Y =d

ds |s=0

Ad(

exp(sX))Y =

d

ds |s=0

d

dt |t=0

exp(sX) exp(tY ) exp(−sX)f(x) .

Poiche al tendere di s a 0, gli aperti Ωs invadono Ω, ad(X)Y e definito su tutto Ω. Dalla (3.5) si ottieneche

(3.6)ad(X)Y f(x) =

d

ds |s=0

exp(sX)Y exp(−sX)f(x)

= XY f(x)− Y Xf(x) .

Quindi

(3.7) ad(X)Y = XY − Y X = [X,Y ] .

L’importanza del commutatore di X e Y sta nel fatto che contiene in se “a livello infinitesimale” leinformazioni sulle prorieta di commutazione tra i relativi esponenziali.

Proposizione 3.4. Le seguenti proprieta sono equivalenti:

(i) esiste δ > 0 tale che exp(sX) exp(tY ) = exp(tY ) exp(sX) per ogni s, t con |s|, |t| < δ;(ii) esiste δ > 0 tale che Y exp(sX) = exp(sX)Y per ogni s con |s| < δ;

(iii) XY = Y X;(iv) esiste δ > 0 tale che exp(sX) exp(tY ) = exp(sX + tY ) per ogni s, t con |s|, |t| < δ.

Inoltre, se tali proprieta valgono, le identita in (i), (ii), (iv) si estendono a tutti i valori di s, t per cui lecomposizioni hanno senso, sugli opportuni sottoinsiemi di Ω.

Dimostrazione. Se vale (i) e |s| < δ,

exp(tYs) = exp(tY )

for |t| < δ. Derivando per t = 0, si ottiene che Ys = Y , da cui segue la (ii).Dalla (ii), si ottiene (iii) derivando in s = 0.Viceversa, se vale la (iii), derivando in s per ogni s,

d

dsAd(

exp(sX))Y =

d

dsexp(sX)Y exp(−sX)

= exp(sX)XY exp(−sX)− exp(sX)Y X exp(−sX)

= exp(sX)[X,Y ] exp(−sX)

= 0 .

Quindi Ad(

exp(sX))Y non dipende da s, ed e dunque costantemente uguale a Y . Questo formisce la

(ii), per tutti i valori di s per cui la composizione ha senso.

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114 D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE

Se vale la (ii), Ys = Y , e dunque exp(tYs) = exp(tY ), il che da la (i), per tutti i valori di s, t per cui lacomposizione ha senso.

Mostriamo ora che, se vale la (iii), vale anche la (iv), ponendo t = αs. Essendo [X,αY ] = [X,X+αY ] =[Y,X+αY ] = 0, per la (i) il prodotto T (s) = exp(−sX) exp

(s(X+αY )

)exp(−sαY ) non dipende dall’ordine

dei tre fattori. Quindi,

T ′(s) = (X + αY −X − αY )T (s) = 0 ,

e dunque T (s) = Id, cioe

exp(s(X + αY )

)= exp(sX) exp(sαY ) ,

che da la (iv).Viceversa, se vale la (iv), T (s) e costante, e dunque

T ′(s) = − exp(−sX)X exp(s(X + αY )

)exp(−sαY )

+ exp(−sX) exp(s(X + αY )

)(X + Y ) exp(−sαY )

− exp(−sX) exp(s(X + αY )

)Y exp(−sαY )

= − exp(−sX)X exp(s(X + αY )

)exp(−sαY )

+ exp(−sX) exp(s(X + αY )

)X exp(−sαY )

= 0 .

Quindi X exp(s(X + αY )

)= exp

(s(X + αY )

)X, da cui [X,X + αY ] = [X,Y ] = 0. Questo da la

(iii).

4. La formula di Baker-Campbell-Hausdorff

La formula di Baker-Campbell-Hausdorff consente di sviluppare, nei parametri s, t, prodotti exp sX exp tYdi esponenziali di due campi vettoriali X e Y su Ω. Dal punto di vista formale, queste composizioni si com-portano come i prodotti esAetB di esponenziali di matrici quadrate, definiti dalla serie esponenziale (sempreconvergente)

eA =

∞∑k=0

1

k!Ak .

Il motivo sta nell’identita generale che presentiamo (senza dimostrazione) in un contesto astratto.Indichiamo con A[x, y] l’algebra su R con unita, liberamente generata da due elementi x, y. Questa

si rappresenta come l’algebra dei “polinomi non commutativi” (nel senso che non si assume xy = yx) acoefficienti reali in x e y, per i cui i monomi di grado k sono

xk, xk−1y , xk−2yx , · · · , yxk−1 , . . . , xi1yj1xi2yj2 · · ·xi`yj` , . . .con i1 + j1 + · · ·+ i` + j` = k.

Sia poi A[[x, y]] l’algebra delle serie formali “non commutative” in x, y, ossia delle espressioni del tipoprecedente, ma anche di lunghezza infinita:

u =

∞∑k=0

pk(x, y) ,

dove i pk sono polinomi (non commutativi) omogenei di grado k.La struttura di algebra e quella ovvia, con il prodotto dato dalle giustapposizioni, a due a due, dei

monomi di ciascun fattore.Trattandosi di un’algebra non commutativa, assumono un ruolo particolare i commutatori

[u, v] = uv − vu ,

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4. LA FORMULA DI BAKER-CAMPBELL-HAUSDORFF 115

di coppie di elementi di A[[x, y]]. In particolare, ci interessano il commutatore [x, y] e i loro “commutatoriiterati”.

Per k1, k2 ≥ 1, chiamiamo commutatori di bi-grado (k1, k2) di x, y gli elementi ottenuti iterativamentecome segue:

• [x, y] ha bi-grado (1, 1);• hanno bi-grado (k1, k2) gli elementi della forma [x, u] con u di bi-grado (k1 − 1, k2) e [y, v], con v

di bi-grado (k1, k2 − 1).

Si noti che in base alle due proprieta fondamentali dei commutatori in un’algebra associativa,

• [a, b] = −[b, a];•[a, [b, c]

]+[b, [c, a]

]+[c, [a, b]

]= 0 (identita di Jacobi),

si puo dimostrare per induzione che il commutatore di un commutatore di x, y di bi-grado (k1, k2) e uncommutatore di bi-grado (k′1, k

′2) e combinazione lineare dei commutatori di bi-grado (k1 + k′1, k2 + k′2), per

es.[[x, [x, y]

], [x, y]

]= −

[x,[y,[x, [x, y]

]]]−[y,[[x, [x, y]

], x]]

= −[x,[y,[x, [x, y]

]]]+[y,[x,[x, [x, y]

]]].

Dato u =∑∞k=1 pk(x, y) (cioe mancante del termine di grado 0) in A[[x, y]] e ben definita in A[[x, y]]

l’espressione

eu =

∞∑k=0

1

k!uk .

In particolare, sono ben definiti ex ed ey.

Teorema 4.1 (Formula di Baker-Campbell-Hausdorff). Il prodotto exey in A[[x, y]] e uguale a eu, dove

(4.1) u = u(x, y) = x+ y +

∞∑k1,k2=1

ck1,k2(x, y) ,

dove ogni ck1,k2(x, y) e una combinazione lineare dei commutatori di bi-grado (k1, k2) di x e y.

I primi termini della sommatoria sono

u = x+ y +1

2[x, y] +

1

12

[x, [x, y]

]− 1

12

[y, [x, y]

]+ · · ·

Al di la delle espressioni esplicite, e utile sapere che esiate una tale espressione “universale”, e che essada luogo a identita concrete in varie situazioni.

Esempi.

1. In un’algebra di Banach A, ossia un’algebra che sia uno spazio di Banach e in cui valga ladisuguaglianza

‖xy‖ ≤M‖x‖‖y‖ ,per qualche M > 0, l’esponenziale ex si definisce attraverso la serie esponenziale. Si puo verificare1

che i termini ck1,k2(x, y) soddisfano la disuguaglianza∥∥ck1,k2(x, y)

∥∥ ≤ Crk1+k2‖x‖k1‖y‖k2 ,

con r > 0, per cui la serie (4.1) converge normalmente per ‖x‖, ‖y‖ < r−1, e vale l’uguaglianza

exey = eu .

Questo vale in particolare se A e l’algebra delle matrici quadrate n× n.

1Per maggiori dettagli, si veda V. S. Varadarajan, Lie groups, Lie algebras and their representations, 1974.

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116 D. CAMPI VETTORIALI, FLUSSI E LORO COMPOSIZIONE

2. Siano X,Y campi vettoriali su Ω ⊂ Rn. Supponiamo che esista m ∈ N tale che i commutatori dibi-grado (k1, k2) con k1 + k2 = m siano identicamente nulli su Ω. In tal caso la serie (4.1) si riducea una somma finita di campi vettoriali. Piu in generale, poniamo, per s, t ∈ R,

Us,t = sX + tY +∑

k1,k2≥1 , k1+k2<m

ck1,k2(sX, tY )

= sX + tY +∑

k1,k2≥1 , k1+k2<m

sk1tk2ck1,k2(X,Y ) .

Allora, per s, t sufficientemente piccoli,

exp(sX) exp(tY ) = exp(Us,t) .

Nell’Esempio 2 le ipotesi su X e Y sono molto forti. Tuttavia per campi generali ci si puo limitare aformule con resto, sul modello degli sviluppi di Taylor. Diamo il seguente enunciato senza dimostrazione.

Teorema 4.2. Siano X e Y campi vettoriali su Ω. Per m ∈ N, poniamo

Ums,t = sX + tY +∑

k1,k2≥1 , k1+k2≤m

sk1tk2ck1,k2(X,Y ) .

Dato un compatto K ⊂ Ω, esiste ε = ε(K,m) > 0 tale che exp(Ums,t)f(x) sia ben definito per x ∈ K e|s|, |t| < ε. Inoltre

∂js∂kt

(exp(sX) exp(tY )f(x)

)|s=t=0

= ∂js∂kt

(exp(Ums,t)f(x)

)|s=t=0

per j + k ≤ m, di modo che

exp(sX) exp(tY )f(x) = exp(Ums,t)f(x) +O(|s||t|(|s|+ |t|)N−1

).

Con m = 2 si ha

exp(sX) exp(tY )f(x) = exp(sX + tY +

st

2[X,Y ] +O

(|s||t|(|s|+ |t|)

))f(x)

= exp(sX + tY +

st

2[X,Y ]

)f(x) +O

(|s||t|(|s|+ |t|)

).

Altre formule ricavabili facilmente sono

(4.2)exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) = exp

(tY + st[X,Y ]

)+O

(|s||t|(|s|+ |t|)

)exp(sX) exp(tY ) exp(−sX) exp(−tY ) = exp

(st[X,Y ]

)+O

(|s||t|(|s|+ |t|)

).