Ezio Franceschini. Parole Come Sabbia

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Ezio Franceschini. PAROLE COME SABBIA. RACCONTI. La sera, nella cucina che lo ospita da tanti anni per la cena, il professor depone i gravosi impegni che hanno occupato la sua giornata e per qualche breve, felice momento le sue parole diventano senza peso, senza importanza: parole come sabbia, che danno forma a diciotto splendidi racconti, una specie di balsamo per la fatica della sera. I racconti del professore infondono serenit, ispirano sentimenti gioiosi, narrano di cose semplici e piccole; ma nelle piccole cose si incrocia la tensione religiosa e morale dei personaggi, trascinati inesorabilmente, quasi loro malgrado, fuori dalla banalit e dal compromesso, verso il mondo nascosto ma sempre presente della Grazia, dove anche il minimo gesto di carit o l'ultima professione di fede non accadono invano. Biografia dell'autore. Ezio Franceschini (1906-1983), dopo gli studi presso l'Universit di Padova sotto la guida di Concetto Marchesi, divenne il primo titolare in Italia di una cattedra di Storia della letteratura latina medievale. Militante antifascista, stretto collaboratore di Agostino Gemelli, stimato studioso del medioevo, fu preside della facolt di Lettere e Filosofia e poi rettore della Universit Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Le sue numerose opere riflettono una personalit originalissima e le sue molteplici attivit di studioso, alpinista, maestro spirituale, narratore e scrittore di racconti per bambini. Racconti per Anna e le sue amiche. Eccomi a Lei, signorina Anna, per mantenere finalmente una vecchia promessa. Ricorda? Arrivavo a mensa verso le otto e mezzo di sera, dopo giornate pesanti di fatica, stanco da non poterne quasi pi: lezioni, esami, colloqui con studenti (e ciascuno ha spesso una sua storia, ha sempre diritto ad una parola che sia soltanto per lui), conferenze, riunioni interminabili per cercare di risolvere problemi delicati: s, ero proprio stanco, tante volte. E da anni, cos. Passavo attraverso la grande sala dove tra un vociare confuso stavano cenando professori, assistenti, perfezionandi; aprivo la porta della saletta attigua, la saletta della direzione e degli ospiti, per intenderci: e mi veniva incontro subito, ogni volta, il Suo sorriso, signorina Anna. Ogni volta: anche alla fine di giornate in cui la Sua stanchezza avrebbe potuto essere ancora pi pesante della mia. Poi venivano, premurose, le Sue amiche, a portarmi la minestra con i capelli d'angelo, il piatto di carne, o il formaggio, o le uova al tegamino, con la verdura, e poi la frutta di stagione: perch le Sue amiche sono quelle che il mondo chiama comunemente donne di servizio, o pi volgarmente e semplicemente serve. Alcune stanno in cucina a pelare patate, a sbucciare piselli, ad aiutare il cuoco; altre lavano i piatti e li asciugano; altre, con un grembiulino sempre candido, vengono a servire in tavola, attente, piene di premura, pazienti ad ogni impazienza. Anche loro avevano, alle otto e mezzo di sera, una giornata pesante sulle spalle; lunghe ore di lavoro fra pulizie, preparazione dei pasti, servizio: e il pensiero della casa lontana, che spesso pesa di pi del servizio. Eppure anche loro sorridevano sempre: e mi guardavano non come si guarda un uomo importante, ma come un vecchio amico, da cui non divide quel grembiule bianco, ma solo un diverso servizio, una diversa responsabilit. Temo che Lei non sappia, signorina Anna, che cosa significhi per un uomo stanco un accogliente sorriso di donna. E' come lo scomparire improvviso di ogni peso, come il dissiparsi di un banco

di nebbia portato via da un colpo di vento; come se una mano lieve ti togliesse gi dalle spalle uno zaino pesantissimo: ti senti di colpo leggero, riposato; ti senti un altro uomo. Ma io sono una donna illetterata, dir Lei, una donna che sa solo far da mangiare: e le mie amiche sono ragazze di servizio. No, signorina Anna, Lei non sa soltanto far da mangiare: sa far da sorella (e qualche volta da mamma) a tutti, senza distinguere se siano professori o studenti, grandi o piccoli, bianchi o di altro colore: e Dio sa quanti ne hanno bisogno! Poi sa sorridere; e il suo non saper di lettere Le ha lasciato una dote incantevole, che quasi nessuna donna di lettere ha ormai pi: la semplicit. Che vale, mi creda, assai pi delle lettere. Quanto alle Sue amiche, lo so bene che il mondo le chiama serve. Il mondo. Ma conosco un testo, e lo conosce anche Lei, in cui molti secoli fa una donna si chiam serva. Ecco, io sono la serva del Signore, disse: e per essersi chiamata cos il Figlio di Dio si fece uomo, e uomo nel seno di quella Sua serva, da cui accetter per culla una mangiatoia e per riscaldamento il fiato di un asino e di un bue. Vorrei che le Sue amiche non lo dimenticassero mai, questo, quando il mondo le chiama serve. E vorrei che sentissero in quel nome ci che sent, allora, l'arcangelo Gabriele, mandato da Dio in una citt della Galilea che si chiamava Nazareth. Come non lo dimenticher un giorno, lass, il Figlio della sua Serva, quando non ci chieder se saremo stati grandi, potenti, sapienti, dotti o ignoranti, ma soltanto se saremo stati buoni con Lui nel servizio dei nostri fratelli: Avevo fame, e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero senza casa, e mi avete ospitato; ero nudo, e mi avete coperto; fui ammalato, e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi... (Matteo, 25, 35-6): ero stanco e mi avete sorriso. S, lo so, quest'ultima frase non c' nel Vangelo: ma sottintesa, mi creda, in tutte le altre, perch non c' conforto senza sorriso. E anche perch non c' soltanto fame di pane, n sete di acqua, n la malattia da ricovero in ospedale, n la solitudine delle prigioni; ci sono fame e sete, e malattie e solitudini ben peggiori: che spesso basta un sorriso a disperdere. Dunque, il Giudice ci chieder se Lo avremo servito bene nei fratelli. E se non saremo stati servi e serve fedeli non entreremo nel regno del Figlio della Serva. Bravo, servo buono e fedele... entra nel regno di gioia del tuo Signore. (Matteo, 25, 21). Vede come Dio ama questo nome di servo, che il mondo disprezza? Lo ama a tal punto da farne condizione assoluta per l'entrata nel Suo regno. Ma il discorso mi ha portato lontano, signorina Anna: e pi lontano mi porterebbe se questa non fosse soltanto la presentazione di un libro. Lei sa come nato, questo libro, dedicato a Lei e alle Sue amiche. Dopo la loro accoglienza sorridente io mi sentivo, come Le ho detto sopra, leggero, riposato, sereno; senza pi dottrina, senza pi cultura, senza pi il decoro del professore, pesante come un soprabito d'inverno; mi sentivo tornato semplice, tornato bambino: cos lieve da poter camminare in punta di piedi sulle corolle dei fiori senza farle piegare di un millimetro. Ora il professore ci racconta una storia suonava allora la Sua voce, nell'accento canoro della natia Pari, alta sui colli fra Grosseto e Siena e sulle acque del pescoso Ombrone: da dove, quando ci va, torna con pacchi enormi, ricchi di ogni ben di Dio, dai funghi agli uccelletti gi arrostiti, dalle focaccine fatte in casa ai panforti di Siena. Cos sono nati questi racconti: nel Suo regno, cara Anna, fra la cucina dai pentoloni immensi dove le Sue amiche si muovono leggere come un esercito di api operose, e la sala da pranzo del mondo dotto dei professori e degli assistenti: altro alveare di bisbigli e sussurri e ronzii, ma su argomenti pi seri, pi consapevolmente impegnati, come oggi si dice.

Poi mi venuta l'idea di mettere insieme alcuni di quei racconti, via via pubblicati, spesso a lunghe scadenze, in: Vita e Pensiero, aggiungendovi, anche, qualche testo di anni lontani, scritto per il settimanale: Gioia, e per il quotidiano milanese: L'Italia; parole, parole come sabbia, senza importanza, senza peso, per qualche minuto di sollievo fra tante cose importanti e gravi che si fanno nella giornata. Ed ecco il volume che offro a Lei, signorina Anna, e alle Sue amiche: piccolo segno di riconoscenza per quel sorriso che per tanti anni mi ha accolto, e ancora mi accoglie, alle otto e mezzo di sera, ponendosi come ala leggera sotto il peso della mia stanchezza. L'illustrazione, riproduce un quadro di un mio giovane amico, il pittore Nando Montuschi: e rappresenta tre eremiti che si dirigono verso il deserto, in cerca di silenzio. Li guardi con affetto, cara Anna, e li accolga con festa, come accoglie me, nei giorni della fatica: sa, sono loro che spesso mi suggeriscono le parole che raccolgo per Lei e per le Sue amiche). E. F. Raffigurato un quadro: Tre eremiti, di Nando Montuschi. Dio solo santo. Il monaco Serlone non ricordava pi da quanto tempo fosse venuto nel deserto: certo erano pi di quarant'anni, quarant'anni di giorni sempre uguali, pieni di preghiera, di penitenze, di silenzio. Ogni sabato partiva all'alba, a piedi nudi, e percorreva molte miglia per assistere alla messa nel villaggio pi vicino al suo eremo; le prime volte, rammentava bene, era giunto con le piante ridotte ad un grumo di sangue per le ferite delle pietre lungo l'interminabile percorso, ma poi la pelle si era rassodata ed egli aveva cominciato a camminare come se avesse sotto le piante delle solide suole di cuoio. Non un albero sulla strada, n un filo d'erba: ma un deserto di rocce e di sabbia, in cui vivevano soltanto serpenti e scorpioni velenosi. Durante le ore di sole a Serlone era sembrato pi volte d'impazzire: la testa, appena ricoperta da un copricapo di fili di palma intrecciati, gli rintronava dentro come colpita da furiosi colpi di martello: la lingua s'ingrossava fino ad occupare tutta la bocca, invano inumidita di tanto in tanto con il poco d'acqua che il monaco portava con s dentro una zucca rinsecchita. In quei momenti Serlone non era capace n di pregare n di pensare: andava avanti soltanto, un passo dietro l'altro, come un automa, in attesa che il sole tramontasse e la notte giungesse recando il sollievo della sua frescura. Il monaco sapeva bene di non poter pregare nelle ore dell'arsura implacata; ma avevo fatto un patto col Signore, fino dall'inizio della sua vita di eremita, non appena si era accorto che la vampa del sole gli permetteva soltanto di sopravvivere. Signore, avevo detto, tu vedi che non colpa mia se non posso pregare. Ma accetta le ore del tormento per tutte le anime che, potendolo, non pregano, laggi a Solo, la citt che ho lasciato. Trasforma tu, che tutto puoi, in preghiera i raggi del sole che mi brucia, lo strisciare silenzioso e insidioso dei serpenti, e questo mio camminare senza preci verso l'ombra e la frescura della notte. Non sapeva se il Signore avesse accettato la sua preghiera: ma ogni sabato, prima di partire, la ripeteva inginocchiato sulla soglia della sua capanna, con le braccia distese e la faccia rivolta al deserto. Portava con s delle stuoie, il lavoro della settimana, barattandole, al villaggio, con un po' di farina e un po' di sale. D'altro non aveva bisogno, perch vicino alla sua capanna c'era una piccola sorgente, sorta chiss quando e come, dalla quale traevano vita alcune palme, che gli davano cibo e lavoro (con le loro foglie infatti intesseva le stuoie), e un orticello di pochi metri quadrati, che aveva costruito con terriccio di riporto e cinto di grosse pietre per ripararlo dal vento, nemico di ogni cosa vivente. La capanna del monaco era ai confini del deserto di pietra e di sabbia; ma dalla parte opposta la natura era ancora pi selvaggia: a tal punto che Serlone non aveva mai osati dirigervi i passi. Cortine di rocce si

susseguivano a perdita d'occhio, come onde di un mare in tempesta pietrificante da un malefico: ma salivano, salivano per frangersi ai piedi di un vulcano, laggi alla linea estrema dell'orizzonte. Dal vulcano il monaco non ricordava di aver mai visto uscire n fumo n fuoco; ma questo rendeva ancora pi opprimente la sua mole massiccia, perch fumo e fuoco sarebbero stati, almeno, segni di una vita che invece non c'era pi: anche il vulcano era ormai una delle tante cose morte di quell'immenso cimitero. E cos, di vivo in quell'inferno, non c'erano che la sorgente, le palme, il campicello di Serlone: e la sua preghiera che saliva a Dio, da quanto egli stesso non sapeva pi, ma certo da pi di quaranta anni. Era, quella di Serlone, una preghiera fatta di poche parole, di molti sacrifici, di interminabili silenzi: n il monaco si preoccupava di sapere se fosse gradita al Signore, perch era diventato semplice come un bambino. Ma una domenica egli vide al villaggio, dove si era recato per la messa, uno spettacolo inconsueto: la chiesetta era piena, malgrado che fosse l'alba, i fedeli lo stringevano da vicino come mai avevano fatto, e c'era chi addirittura cercava di strappargli di nascosto qualche pezzetto dell'abito logoro e liso che indossava. Le stuoie poi andarono a ruba, mentre farina e sale si ammonticchiavano davanti a lui in misura mai prima vista. A Solo, sent sussurrare alcuni, la peccatrice Taide si convertita e si fatta monaca, dopo averlo visto in sogno camminare nel deserto e pregare per lei. A Solo, ud altri dire, il principe ereditario istantaneamente guarito dopo che il re suo padre ebbe invocato il suo nome, ammonito in sogno che egli pregava per lui. Poi i sussurrii e le parole dette sottovoce si fecero un grido solo: Il santo, il santo! E fu un accorrere da ogni parte del villaggio, anche degli indifferenti, degli scettici, dei pagani stessi. Soltanto allora Serlone cap e inorrid. Prese dal mucchio di farina e di sale la solita misura e fugg via, con una velocit incredibile in un vecchio; si calm quando fu ancora solo, nel deserto, e il sole cominci a fargli sentire ancora una volta la micidiale tortura. E fu ancora, come sempre, un passo dietro l'altro, fra sabbie e rocce, con la gola riarsa e le labbra tumefatte. Come sempre: cos, almeno, parve al monaco nel suo torpore: ma qualche cosa di nuovo c'era, invece; giungeva a lui, e l'avvertiva, come portata da un vento misterioso l'eco delle parole udite e fuggite: Il santo, il santo! Serlone s'avvide che per la prima volta in quell'inferno c'era qualcosa che gli rimaneva dentro, malgrado la sofferenza dell'arsura e della fatica. Si ferm di colpo, e inginocchiato sulla sabbia rovente grid con tutte le forze che gli restavano: No, Signore, no! Tu solo sei buono, tu solo sei santo! Abbi piet di me! Il grido appassionato spense l'eco delle parole che lo inseguivano come una muta di cani: e Serlone riprese a camminare come sempre, senza riuscire a pregare, e nemmeno a pensare: s, come sempre, un passo dietro l'altro, fra serpenti e scorpioni, nel deserto di fuoco. In quello stesso momento sui campi di Solo, arsi dalla siccit, scese a cielo sereno una pioggia ristoratrice, e dai fedeli piangenti di gioia fu vista, oltre le cortine dell'acqua, la figura di un eremita che camminava fra le sabbie di un deserto, solo e curvo in una solitudine sconfinata. Giunto alla sua capanna, Serlone rese grazie a Dio, adagi il corpo stanco sulla logora stuoia che gli serviva da giaciglio, e s'addorment profondamente. Ma il nemico ritorn all'attacco. I fantasmi della notte furono subito sul dormiente. Si rivide a Solo, giovane, ricco, amato, il principe della giovent dorata; si riconobbe al primo posto nei banchetti senza fine, cinto il bel corpo di vesti di seta, il capo di corone di fiori; sent quasi fisicamente il profumo delle vivande prelibate, dei vini scelti: e le sue

narici si aprirono, come a respirarlo, mentre il corpo si muoveva lievemente sulla stuoia. Poi la scena cambi; gli apparve la sua fuga dal mondo, dapprima in una comunit di altri monaci, poi lontano da ogni vicinanza d'uomo, nella solitudine del deserto di pietre e di sabbia. E una voce gli sembr udire, che diceva: Ricordi, Serlone, le parole del Vangelo che ti hanno fatto lasciare per sempre il mondo: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto ci che hai, danne il ricavato ai poveri e avrai un tesoro in cielo: e poi vieni e seguimi"?. Il monaco, nel sonno, faceva segno di s con la testa, che si ricordava. E la voce, ma il dormiente era incerto se fosse la stessa o un'altra che si sforzava di riprodurla in tutto, riprese: Ebbene, Serlone, se ci che dice il Vangelo hai fatto, se hai dato ai poveri i tuoi beni, se hai seguito il Signore fino in questo deserto, allora tu sei perfetto: tu sei santo. Guarda!. Il monaco rivide Solo: vide Taide, la peccatrice, alla quale il vescovo imponeva l'abito di penitenza; vide il principe malato, alzarsi, guarito, alla sola invocazione del suo nome; vide la pioggia scendere, a cielo sereno, sui campi assetati. E un grido ud, un grido che da Solo saliva al villaggio dove si recava a messa, la domenica, e di l, portato dal vento varcava le solitudini del deserto per fermarsi sulla sua capanna: Serlone santo, Serlone santo!. Si svegli con la fronte imperlata di sudore, e le mani che si muovevano davanti al volto come a scacciare un pensiero importuno. And verso la sorgente per rinfrescarsi, ma vide che era disseccata: il filo d'acqua che filtrava dalla roccia non dava pi che qualche goccia, subito assorbita dalla sabbia. Poi le gocce, sempre pi rade, cessarono del tutto: e anche quel tenue segno di vita fu spento. Come far, ora - disse fra s Serlone - a vivere in questo luogo?. Prendi il tuo bastone - gli sugger una voce misteriosa, che al monaco parve quella stessa del sogno - e batti sulla roccia, come fece Mos: ne avrai un'acqua ancora pi buona e pi abbondante di prima. Prese il bastone, quasi meccanicamente, batt: ed ecco una polla d'acqua fresca e viva erompere dalla roccia e scorrere verso le palme, l'orto, per perdersi poi, pi in l, nella sabbia. Come Mos, come Mos... ripeteva la voce misteriosa, dolce e suadente come una carezza. Allora vero - mormor fra s il monaco - sono proprio santo... . Aveva appena formulato il pensiero, che gett un grido di spavento: una risata stridula era risuonata nell'aria, e dalla roccia non sgorgava pi acqua, ma fuoco. In pochi secondi le palme, la sua stessa capanna non furono che un rogo solo. Nello stesso momento un boato come di tuono percosse l'aria superando il crepitio delle fiamme; gli occhi smarriti del monaco si volsero verso il nuovo rumore, e apparve loro laggi, sulla linea estrema dell'orizzonte, uno spettacolo terrificante: il vulcano vomitava colonne di fuoco, mentre nuvole di fumo salivano fino ad oscurare la luce del sole ormai alto nel cielo. Poi, d'un tratto, cess il fuoco; quello che aveva incenerito la capanna e le palme, quello del vulcano lontano: e fu come se la notte fosse scesa improvvisa a mezzo il giorno. Serlone tremava e piangeva: ma il peggio non era venuto ancora. Egli vide dal cratere del vulcano uscire d'un tratto un essere strano e mostruoso, una specie di cavallo nero con gli occhi di fuoco e lunghe corna aguzze; lo vide scrutare l'orizzonte, e poi scendere a galoppo verso di lui, Serlone. Allora cap, e si vide perduto: il maligno, dopo averlo indotto al peccato, veniva a prendere la sua ghiotta preda per portarla con s nelle viscere della terra, nel suo regno infernale: l, dove c' pianto e stridore di denti. Il monaco si prostr a terra, fra i resti calcinati della sua capanna, e col volto fra la cenere cos preg: Signore, io non sono pi degno di alzare la

faccia verso di te, perch ho peccato, ho gravemente peccato contro di te. Ma tu, la cui misericordia non ha confini; tu, che hai mandato a redimerci dal male il tuo Figlio unigenito; tu, che Ges ci ha insegnato a chiamare padre, padre che ama e che perdona: abbi piet di me; puniscimi pure con la morte, che ho mille volte meritato, ma ridammi prima la tua grazia e il tuo amore. Tacque: ma nel silenzio della notte mostruosa egli non sentiva altro che lo scalpitio del centauro che veniva verso di lui; alz gli occhi e lo vide; aveva superato la prima cortina di rocce e scendeva lanciato al galoppo: vi vedevano lampeggiare gli occhi di fuoco, si udiva il rumore sempre pi forte degli zoccoli... Ma Iddio taceva. Allora il monaco di rivolse alla corte celeste, il volto ancora nella cenere: Maria, regina del Cielo, madre di misericordia, rifugio dei peccatori, abbi piet di me; tu, che sei onnipotente presso il cuore del figlio tuo, intercedi per me. Ho peccato contro di lui, ma non voglio morire senza il suo perdono e il suo amore: questo ti prego di ottenermi, Signora amabilissima, non la vita, ma il suo perdono e la sua grazia, senza i quali non voglio vivere. Voi pure invoco. Angeli, Arcangeli, Troni, Dominazioni, Principati, Potest, Virt, Cherubini e Serafini che credo vivi e operanti nel Cielo; venite in mio soccorso guidati da san Michele Arcangelo, e salvatemi dal nemico infernale: strappategli l'anima mia, non il mio corpo. E anche voi, Santi tutti, io imploro; voi apostoli, voi martiri, voi vergini, voi confessori, che conosceste la rabbia del nemico e la superaste: intercedete per me peccatore, la cui voce non pu pi giungere all'orecchio di un Dio che ho offeso e tradito... . Tacque ancora: e non ud intorno a s che il silenzio, rotto soltanto dal martellare degli zoccoli che si faceva sempre pi fitto e pi sonoro; il mostro doveva aver raggiunto ormai l'ultimo crinale di rocce prima del deserto: fra poco sarebbe piombato sulla sua vittima. Ma n il demonio n Serlone si erano accorti di quanto stava avvenendo in quel preciso istante sopra di loro. Dal cielo l'intera corte si era mossa e scendeva come in lunga processione verso la terra: in testa era una donna, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come esercito schierato a battaglia, cinta il capo di una corona di stelle; ai lati aveva l'arcangelo Michele e l'arcangelo Raffaele; dietro, il lunga teoria, i santi e le sante tutte: d'intorno schiere senza numero di Angeli, di Arcangeli, di Troni, di Dominazioni, di Virt, di Cherubini, di Serafini. Ciascuno, eccettuata Maria, portava nelle mani un oggetto che gli uomini avrebbero detto un mattone: soltanto che ra di cristallo pi duro dell'acciaio, non di creta o di argilla, e portava inciso sopra, a lettere d'oro, il nome di ciascun angelo e di ciascun santo. Furono in un attimo sulla terra; a un cenno di Maria, l'arcangelo Michele tracci con la spada di fuoco un solco, ampio e preciso, intorno a Serlone sempre prostrato al suolo: poi, a guisa di muratori che costruiscano una casa, vennero ad uno ad uno, i santi, le sante, gli angeli, e deposero i loro mattoni uno sull'altro, lungo il cerchio tracciato da Michele, rinchiudendo cos il corpo dell'eremita sotto una invisibile cupola di cristallo. Un attimo, e l'opera fu compiuta: librata nell'aria, la corte celeste attese, immobile. Il centaura non aveva ormai pi ostacoli davanti a s: volava sulla sabbia; Serlone avvertiva, ormai, anche il puzzo di zolfo che mandava il suo alito infuocato: ancora pochi metri... Il monaco alz da terra il volto, allarg le braccia e guard il nemico: Abbi piet di me, Signore - mormorarono le sue labbra - perch sono un uomo peccatore, mentre due lacrime scendevano sul vecchio volto, dove le penitenze avevano scavato solchi profondi di rughe. E rimase fermo, in ginocchio, in attesa della fine. Il centauro dette un ultimo, enorme balzo, spalancando le fauci: e giacque, tramortito, con tutte le ossa spezzate, ai piedi della invisibile parete di cristallo che difendeva il monaco. Le tenebre scomparvero, il cielo ritorn di un azzurro intenso, quasi irreale; e un canto lo percorse da un capo all'altro dell'orizzonte, accompagnato dal

suono di arpe e di cetre: Santo, Santo. Santo il Signore Iddio, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.... Lo ud anche Serlone, sempre in ginocchio, e sbigottito; e dopo il canto ud una voce che diceva: Serlone, Serlone, se anche tu trasformassi in acqua freschissima questo deserto; se anche tu risuscitassi i morti da quattro giorni; se anche tu convertissi tutti i peccatori della terra: ricordati che tutto ci non sarebbe opera tua, ma di Dio, dal quale tutto tu hai avuto; perch la santit degli uomini altro non che un raggio della santit di Dio, che solo buono, che solo santo. E tanto pi l'uomo fa rifulgere il raggio divino quanto pi dimentica se stesso, che niente, e riconosce tutto da Dio, che tutto. "Mia la gloria", dice il Signore: ricordalo, Serlone, e sappi che chi si vanta del bene compiuto il peggiore dei ladri, perch ladro della gloria di Dio. Quando la voce tacque, l'eremita si ritrov nella vecchia capanna, sotto le note palme: tutto era tornato miracolosamente come prima; e poich era sabato, raccolse come di consueto un po' di acqua nella zucca rinsecchita e si accinse al viaggio attraverso il deserto per la messa dell'indomani, gi, al villaggio. Era un po' pi curvo, un po' pi stanco, ma aveva negli occhi una luce nuova. E con gli occhi aperti verso il cielo, luminosi di quella luce che non si era spenta, lo ritrovarono gli uomini del villaggio, la sera della domenica, preoccupati per il suo mancato arrivo. Un serpente fugg da sotto il suo corpo, strumento della vendetta rabbiosa del nemico; ma l'anima era gi stata condotta da san Michele arcangelo nella gloria dei cieli: un raggio della quale era rimasto negli occhi del monaco morto, che aveva chiesto al Signore, non di vivere, ma di non perdere mai la sua grazia e il suo amore. E' vero che il nome di Serlone non c' nel calendario dei santi della Chiesa militante, perch vissuto molti e molti secoli fa, e allora erano molti gli eremiti come lui; ma esso scritto a lettere d'oro in quello della Chiesa trionfante, che contiene i nomi di tutti coloro che avranno amato Dio in semplicit di vita e in santit di opere, anche se qualche volta il nemico li avr sconfitti, non vinti: le donnette che il mondo chiama da quattro soldi, che vanno a messa quando il mondo dorme e la cui teologia consiste nella corona del rosario; le madri, che conducono per mano i figli sulle strade di Dio, oltre che su quelle della terra, e abbandonate non si lamentano, ma sanno trasformare in un'ultima offerta la solitudine del cuore e della vita; la folla anonima (per il mondo) e sterminata dei poveri, degli afflitti, dei diseredati, che rendono a Dio sulla terra la loro testimonianza in rassegnazione e pazienza, e per i quali sta scritto: Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi ristorer. Ma se la Chiesa militante non ha messo il nome di Serlone nel catalogo dei santi, ne ha accolto la preghiera e l'ha introdotta nel messale fra le orazioni di ringraziamento dopo la messa: Dammi, o Signore, soltanto l'amore di te, con la grazia, e sar ricchissimo: cos ricco da non chiedere pi nient'altro. Frate Pazienza. Era l'anno di grazia 1130, come si diceva allora, quando alla Grazia ci si credeva pi di oggi e gli uomini pregavano di pi. Non che fossero migliori, intendiamoci: rubavano, incendiavano case, rapivano donne, cercavano armi sempre pi perfezionate, uccidevano anche allora come adesso. Ma credevano, si pentivano, facevano il bene con altrettanta gagliardia: cos si aprivano nuovi monasteri, si erigevano splendide chiese, si fondavano ospedali: e la fede si opponeva al male con la stessa risolutezza con cui il maligno lo diffondeva, approfittando dell'ignoranza della povera gente e delle ingiustizie e angherie che essa subiva. In un paese dei Vosgi, sperduto fra montagne e foreste, un prete parlava a pochi fedeli: Miei cari, in un mondo pieno di malvagit e di peccati, voi vi aspetterete che io dica di pregare e di fare penitenza; invece io vi dar un

consiglio che vi parr da niente, ma seguendo il quale avrete certamente la vita eterna: abbiate pazienza, miei cari, perch cos possederete le vostre anime; abbiate pazienza: non sono parole mie, ma di Cristo Ges, e sono le uniche che abbia ripetuto tre volte. Segno che deve essere una grande cosa, la pazienza. Amen. La piccola folla usc di chiesa, domandandosi se fosse valsa la pena di aver fatto miglia e miglia per una simile predica. Solo un giovane robusto rimase fermo, con gli occhi pieni di luce: Wilfrido, il pescatore. Sembrava guardare il grande crocifisso di legno che sovrastava l'altare, ma in realt vedeva, al di l di esso, tutta la sua vita. Oh, egli conosceva bene la pazienza! Conosceva i disumani silenzi delle boscaglie immense in cui anche la voce lenta dei fiumi e quella impetuosa dei torrenti silenzio, silenzio di parole umane unite e dette per sentirsi vicini l'uno all'altro e darsi forza e conforto. Per giorni e giorni non s'imbatteva in anima viva. Le prime volte aveva avuto paura, ma ora non pi: il silenzio lo fasciava come un mantello soffice e gradito. Aveva imparato a conoscere la voce degli animali nella foresta, il canto degli uccelli, lo strisciare dei serpenti, il muoversi improvviso dei rami al balzare rapido degli scoiattoli: erano voci, suoni, rumori che gli facevano compagnia, erano la sua vita. Era diventato un formidabile pescatore e amava la sua arte, di cui conosceva ormai tutte le astuzie. Era capace di seguire una preda, avvistata e sfuggitagli, per ore ed ore, senza un momento di impazienza, pazienza, senza uno scatto di dispetto, con una tenacia che non ammetteva stanchezza n riposo. Pazienza! Il freddo, il caldo, la fame, il ritorno, talora, a mani vuote: quanti inviti alla pazienza, nella sua vita! Ma non avrebbe mai pensato che fosse stata una cosa cos importante, come aveva detto il prete. Wilfrido non aveva pi genitori. Li aveva trovati uccisi, un giorno, di ritorno dalla pesca, accanto alla capanna incendiata, per uno di quegli atti di vendetta fra trib nemiche, cos frequenti in quei tempi. Aveva due sorelle minori, cui aveva fatto da padre e che ora erano in et da marito. E difatti se ne andarono, una dopo l'altra, seguendo il loro destino di spose, in terre lontane: un abbraccio, una lacrima, un sorriso al fratello, ma egli le sent ormai distaccate per sempre da lui, protese verso un'altra vita, come se non le avesse conosciute mai. Pazienza, disse. Riprese la sua vita tra boschi e torrenti. E quando tornava a casa carico di preda, ne distribuiva a quanti sapeva averne bisogno: ammalati, vecchi, vedove, orfani. Lo chiamavano, ormai, il pescatore dei poveri. Passarono anni: molti anni. Un giorno Wilfrido batt alla porta di un monastero che sorgeva nelle vicinanze e i cui monaci erano famosi per santit e penitenza. Avvisato dal portinaio, venne gi l'abate in persona. Che cosa vuoi, figlio mio?. Vorrei rimanere qui con voi, a servirvi per gli anni che mi restano, se il Signore verr. Altrimenti, pazienza. Ma dovrai digiunare ogni giorno.... Pazienza, l'ho fatto per tutta la vita, padre.... Dovrai alzarti prima dell'alba, a notte fonda.... Anche a questo sono abituato, padre.... Dovrai lasciare tutti i tuoi parenti, gli amici.... Non ho pi nessuno.... Dovrai stare fra le mura di questo convento, senza uscirne mai pi.... Wilfrido rivide come in un sogno le foreste, i laghi, i fiumi, la libert sconfinata che aveva avuto... L'abate lo guardava immobile come una statua. Finalmente l'uomo porse risolutamente al monaco gli arnesi da pesca che aveva portato con s: Ecco, padre - disse - accetto anche questo. Fu accolto, fu adibito agli uffici pi umili: e poich ubbidiva a tutti, senza discutere, o mormorando sottovoce la parola pazienza, lo chiamarono frate Pazienza.

Altri anni passarono, tanti. Frate Pazienza era felice. Solo di tanto in tanto lo prendeva un'acuta nostalgia della libert alla quale aveva rinunciato per amore di Dio. Ho, se soltanto fosse potuto andare a pescare, a rivedere i luoghi della sua giovinezza, a strappare ai gorghi la preda con l'amo ricurvo... Pazienza! E via gli occhi dall'orizzonte lontano! Non aveva detto, quel prete, e Ges prima di lui, che l'uomo paziente arriva a possedere la sua anima? Ci sarebbe mai riuscito, lui, povero monaco ignorante? Immerso in questi pensieri, e in questa speranza, non si era accorto che un movimento del tutto insolito animava il monastero. Porte si aprivano e si chiudevano, monaci andavano e venivano: in silenzio, si capisce, ma come se qualche cosa di importante stesse per capitare... Non ci bad e si rec, come di consueto, a pulire le stalle. Intanto l'abate aveva fatto radunare nella foresteria i monaci pi anziani. giunto un messo, poco fa - disse - ad avvisarci che domani passer di qui Bernardo, abate di Chiaravalle, con il suo amico, l'irlandese Malachia. Sono uomini famosi e, ci che conta molto pi, santi. Le celle della foresteria sono pronte, ma i doveri di ospitalit ci impongono di apparecchiare signorilmente la tavola, e non abbiamo nulla... che cosa suggerite?. Se sono santi - borbott uno - si accontenteranno del nostro pane e dei nostri legumi... . Certamente - rispose l'abate - ma l'essere monaci non ci esime dal mostrarci largamente ospitali, se lo possiamo... . Un mezzo ci sarebbe - osserv il pi anziano dei convenuti - ma lo potremo usare?. Parla, disse l'abate. Mandiamo fra Pazienza a pescare, mormor l'altro. Un silenzio cadde su tutti: e si guardavano l'un l'altro. S, frate Pazienza era stato un famoso pescatore: ma ormai da tanti anni faceva il guattero, lo stalliere, il cuoco per quel po' di erba che mangiavano, e non era pi uscito dal monastero. L'abate tagli corto: Accetto il consiglio - disse -: andare in soffitta, dove ci devono essere ancora i suoi arnesi da pesca, e fate venir qui fra Pazienza. Il frate venne, un po' confuso di trovarsi in foresteria, fra tutti quei monaci che lo guardavano. Frate Pazienza, - parl l'abate - eccoti qua la canna, gli ami, la bisaccia che avevi quando ti presentasti alla porta del monastero. Abbiamo bisogno di pesce per due illustri ospiti che arriveranno domani. Fa del tuo meglio, e che Dio ti accompagni. Cos fra Pazienza si trov fuori dal convento, libero, anzi comandato di andare a pescare in virt di santa obbedienza. Avrebbe cantato di gioia. Ma si ricord che era un monaco e che ci sarebbe stato sconveniente. Raccolte molte esche, soprattutto vermiciattoli rosei e mobilissimi che trovava rivoltando sassi e rimuovendo il terreno l dov'era umido, si avvi verso una forra, nel fondo della quale scorreva un torrente che sapeva particolarmente ricco di pesce. Il luogo era fra i pi selvaggi della zona. A monte piombava nel vuoto una cascata di una ventina di metri; poi c'era un tratto pianeggiante, con qualche rado albero fra i massi di una frana tempo addietro caduta: a valle il torrente scompariva in una cupa voragine dove nessuno mai aveva osato avventurarsi:ecco, il luogo adatto era il tratto pianeggiante fra la cascata e l'abisso. Mentre fra Pazienza aggiustava la lenza, si ud il rombo lontano di un tuono. Il monaco alz la testa: il cielo era cupo, l'aria immobile, pesante. Meglio cos, - sussurr - se le acque si intorbideranno un poco pescher meglio. E gett l'amo proprio in mezzo alla corrente attendendo che il primo pesce abboccasse. Si sentiva il pescatore di un tempo, i muscoli tesi allo strappo nel momento opportuno, gli occhi lungo il filo, l'attenzione vigile e pronta: e ne prov un senso di orgoglio che lo fece arrossire: Attento, frate - disse fra s -

sei qui per obbedienza, non per divertimento. Cominciarono, intanto, a cadere delle gocce rade e pesanti, che parevano di piombo fuso. Fra Pazienza percorse una cinquantina di metri facendo scivolare la lenza lungo il pelo dell'acqua, indugiando l dove essa, aggirando o sormontando un sasso, faceva dei gorghi vorticosi: nulla. Sembrava che il torrente fosse privo di vita, e convogliasse un'acqua mortale... Ma ecco, d'un tratto, dietro un macigno pi ampio degli altri, il primo strattone: in una frazione di secondo frate Pazienza avvert che il pesce aveva abboccato e dette alla canna il colpo che l'avrebbe uncinato e strappato dall'acqua; ma con sua enorme sorpresa l'amo usc solo: il pesce, strappata l'esca, era sfuggito alla cattura. Era la prima volta in vita sua che gli capitava una cosa simile... Pazienza, mormor il frate infilando nell'amo un lungo verme che si divincolava disperatamente, sar per il prossimo colpo: ma quel pesce non mi sfuggir pi. Intanto le gocce rade si erano trasformate in pioggia fitta: i tuoni si avvicinavano, ma l'aria era sempre immobile. L'amo, ben lanciato, cadde in mezzo alla corrente: poi scese, ora visibile alla superficie, ora lasciato andare verso il fondo con insuperabile maestria lungo il filo dell'acqua. Giunto che fu dietro il macigno, ecco un nuovo, ma pi violento strattone, e l'immediato colpo di canna del monaco: ma ancora gli penzol davanti al naso, privo d'esca, l'amo nudo. Al monaco, allibito, parve anche di udire una risata stridula. Ma doveva essere la tempesta che ormai era sopra di lui. Guard a monte: la cascata urlava e precipitava con una massa d'acqua sempre pi ampia e di un colore strano, che il monaco non ricordava di aver visto mai: pareva sangue. A valle, dall'abisso si alzavano strani vapori, come di zolfo: o era uno scherzo che la fantasia gli giocava? Wilfrido ebbe la voglia di andarsene; prov, anche, per la prima volta dopo tanti anni, un moto interiore di stizza: ma lo cacci subito come una tentazione, e ne chiese mentalmente perdono a Dio. Poi fra il monaco e il pesce cominci una lotta senza esclusione di colpi. L'uomo pose in atto tutte le astuzie per cui era famoso: entr nel torrente per essere pi pronto allo strappo, divent una cosa sola con l'amo che gettava, pesc alla superficie, pesc nel profondo; ma la bestia continuava a strappargli uno ad uno i vermi con strattoni cos violenti che pi di una volta il pescatore perdette l'equilibrio e cadde in acqua. Ma risaliva pazientemente, rimetteva il verme, rilanciava. Il volto era sferzato dalla pioggia ormai violentissima, le mani stringevano la canna, come rattrappite, pi per forza d'inerzia che di volont. Il rumore della cascata era diventato infernale, e le tenebre si facevano sempre pi fitte. Al monaco venne da piangere: Dunque - pensava dovr tornare al convento senza il pi piccolo pesciolino? Che cosa diranno di me? Che sono un inetto, un buono a nulla, un vecchio incapace anche di pescare. E come rideranno! Se questo che vuoi, o Signore, ebbene, sia: lo accetto con gioia dalle tue mani.... Si rizz alto sulla persona, flagellato dalla pioggia, e prendendo il barattolo delle esche lo rovesci nell'acqua limacciosa. Pazienza, - mormor - la vittoria tua, pesce. Lo riconosco umilmente. Sei stato tu il pi bravo. In quel preciso momento qualcosa di spaventoso avvenne. Un lungo brivido percorse le acque del torrente che si arrestarono come fossero d'un colpo impietrite. E il monaco vide rizzarsi davanti a lui, su di una roccia, avvolto in un mantello di fiamma, il signore delle tenebre. Lo riconobbe subito, ma non ne ebbe paura: ai suoi piedi, immobile, era una enorme trota, che pareva attendere. Tutto intorno, silenzio immenso: anche la pioggia si era fermata a mezz'aria, attonita. Sembrava che il tempo, che la vita stessa non esistessero pi. No, disse finalmente il diavolo. Hai vinto tu, frate Pazienza. Sappi che avevo ottenuto da Dio il permesso di trascinarti con me nell'abisso al minimo

gesto, o parola, o moto d'impazienza cui avessi volontariamente acconsentito. Sei tu il pi bravo: e sei padrone, ora, della tua anima.... Dette queste parole, con un grande balzo scomparve nella voragine che l'inghiott richiudendosi sopra di lui con un boato sinistro. Il monaco si guard intorno. Mio Dio, quanti pesci! La cascata era sempre immobile, come se fosse cristallo; e l, nel tratto pianeggiante dove Wilfrido aveva pescato, il letto del torrente era quasi asciutto. Centinaia di pesci si dibattevano nelle poche pozzanghere rimaste; ma uno soprattutto attir l'attenzione del pescatore: la smisurata trota che aveva visto ai piedi del diavolo, la trota che gli aveva mangiato tutte le esche... Si avvicin, raggiante, e fece per prenderla: ma vide subito che non ce la faceva, era troppo pesante. Prov ad alzarla una volta, due volte; poi rinunci, prostrato dalla fatica. Pazienza, - pens - forse il Signore vuole cos perch non pecchi di vanit davanti all'abate e agli altri monaci. Sia fatta la sua volont. Non temere, t'aiuter io, disse in quel momento una voce alle sue spalle. Il monaco si volt. Gli stava davanti un giovane bellissimo e sorridente: tanto bello che non pareva nemmeno un uomo. Ma tu, chi sei?, fece Wilfrido. Sono Raffaele, - rispose il giovane - lascia a me; me ne intendo di pesci: moltissimi anni fa ho aiutato il figlio di Tobia a tirarne fuori uno, ben pi grande di questo, da un fiume immenso, il Tigri.... Moltissimi anni fa? - fece il monaco, che non aveva mai letto la Bibbia - Ma tu, di anni, ne avrai s e no trenta. E poi non ho mai sentito parlare, da queste parti, del figlio di Tobia.... L'arcangelo Raffaele dette in una schietta risata. Va bene, va bene - disse chiedi all'abate che te ne racconti la storia. Ma intanto, eccomi qua per aiutarti. Cos dicendo si caric sulle spalle il pesce smisurato e si mise a risalire la riva scoscesa del torrente seguito dal monaco. Arrivati che furono in cima, il torrente riprese a scorrere alle loro spalle: e per qualche minuto l'acqua riboll per il guizzar felice dei pesci che ritrovarono, con l'acqua, la loro vita. I due, intanto, si erano avviati al monastero. Camminavano, ormai, fianco a fianco, ma solo Raffaele parlava. Parlava di Dio, di fede, di santit, di bont; parlava della terra dove c' cos poco amore, del paradiso, dove c' soltanto amore: e ciascuno ne avr tanto quanto ne avr avuto sulla terra, non un'oncia di pi. Parlava dei puri di cuore, degli umili, dei misericordiosi, dei giusti. E sai - diceva - come possono diventare tali? Soltanto con la pazienza. Quante anime vi sono, dentro e fuori i conventi, che vorrebbero diventare sante, ma ad una condizione: diventarlo presto, subito! E quando vedono che ci non avviene, e che passano i mesi e gli anni, si scoraggiano, abbandonano ogni sforzo, abbandonano il solco che avevano cominciato a scavare con mano ferma e desiderosa! Dio non accetta condizioni da parte di chi lo vuole amare; e da lui vuole una cosa sola: che si apra senza condizioni e senza riserve alla Sua volont. L'amore condizionato non amore; e la misura di amare Dio di amarlo senza misura. Per ottenere questo c' da aspettare trenta, quaranta, cinquant'anni? Ebbene, si aspetta pazientemente, giorno per giorno, ora per ora, trenta, quaranta, cinquant'anni.... A frate Pazienza pareva di essere gi in paradiso. C'era nelle parole del giovane compagno come una dolcezza strana, in cui si dissolveva ogni suo pensiero: e gliene venivano una forza, una convinzione, un desiderio, che non aveva sentito mai cos potenti. Oh, fosse stato lontano ancora molte miglia, il convento... Invece ci arrivarono presto. L'arcangelo Raffaele depose il pesce su di una panchina addossata al muro del monastero: ed era cos grande che la occup tutta rimanendo, anzi, con la coda, fuori dall'estremit. Intanto frate Pazienza suon il campanello.

Venne ad aprire, dopo pochi istanti, il portinaio: Ben tornato, frate Pazienza, ben tornato. Come andata la pesca?. Bene, bene; ma intanto ti prego di preparare una cella perch c' con me un giovane che mi ha aiutato molto, e che ha bisogno di riposare. Entra pure, Raffaele.... Ma poich il portinaio lo guardava sbalordito, si volt: il giovane non c'era pi. Allora alz gli occhi in alto: e gli parve di udire una voce, la voce di lui, chiara pur fra melodie dolcissime: Arrivederci, frate Pazienza, arrivederci presto. Cadde in ginocchio, con le braccia protese verso la voce che udiva: S, arrivederci - mormorarono le sue labbra - arrivederci, quando il Signore vorr. Perch la sua volont deve essere fatta, non la mia.... Il portinaio scosse la testa: troppo stanco - disse - poveretto!. Ma se il giovane era scomparso, restava l, sulla panchina, l'enorme trota. E fu subito, da tutto il monastero, un accorrere di monaci a vederla, ad ammirarla, ad aprirle la bocca per sentirne, con i polpastrelli delle dita, i denti aguzzi come pugnali. Venne anche l'abate e ordin di trasportare il pesce in cucina: vi si provarono due degli uomini pi giovani e pi robusti, ma invano. Come avr fatto frate Pazienza, da solo?, si disse il sant'uomo. Poi ordin che si costruisse una specie di portantina: e solo cos poterono introdurre nel monastero la trota. Ma vi erano da pochi minuti quando un servo venne di corsa dall'abate: Padre - disse tutto affannato - sta per giungere Bernardo di Chiaravalle, con Malachia e alcuni altri monaci. L'abate si mosse loro incontro con i pi anziani, un po' stupito di quell'anticipato arrivo. La pace sia con voi tutti - disse Bernardo -, abbiamo affrettato il cammino per esservi accanto nella preghiera per il frate morto poco fa. Volete condurci nella sua cella?. I monaci si guardavano l'un l'altro sbalorditi: Ma nessuno di noi morto sussurr l'abate. Poco fa - continu Bernardo - mentre venivamo verso il monastero ci parso di vedere uno strano spettacolo, in cielo: uno dei vostri frati, con una lunga canna da pesca in mano, saliva in alto, a passi lenti, accompagnato da un giovane bellissimo, un angelo certamente, che gli parlava.... Frate Pazienza, - gridarono tutti - non pu essere che lui. Ma pochi minuti fa era ancora qui, reduce dalla pesca, con uno splendido pesce, che doveva servire per il vostro pranzo di domani.... Si recarono insieme alla cella, che egli aveva voluto vicino alle stalle per essere pi sollecito nel suo lavoro. S, frate Pazienza c'era: immobile sulla poca paglia che ricopriva quattro assi sconnesse che gli servivano da letto. Sul suo volto era una pace immensa; gli occhi, aperti, sembravano fissare uno spettacolo che li aveva riempiti di'indicibile gioia; le labbra erano rimaste socchiuse, come se le ultime parole dette fossero state: Sono pronto, eccomi, vengo; i piedi erano laceri, come per lungo e faticoso cammino; le mani gonfie mostravano i segni di una grande fatica: i pugni erano chiusi. Accanto era la canna da pesca. morto di stanchezza sussurr un frate, mentre tutti erano caduti in ginocchio. Parl allora Malachia, un vecchio dalla lunga barba e dagli occhi azzurri come il mare della sua Irlanda. Noi siamo venuti a Dio - disse, guardando in volto Bernardo - abbandonando le nostre famiglie, i nostri castelli, le nostre comodit: quest'uomo ha lasciato, per venire a Lui, la sua canna da pesca, e se stesso; noi abbiamo trasferito la nostra grandezza dal servizio degli uomini a quello di Dio, e il mondo ci onora per quella grandezza che ha soltanto cambiato di direzione: quest'uomo ha voluto restare sempre piccolo; noi abbiamo scorte di monaci che ci accompagnano nei nostri viaggi: quest'uomo non ha conosciuto che solitudine e abbandono; noi predichiamo il silenzio: quest'uomo lo ha vissuto; noi fondiamo

monasteri, inalziamo chiese, scriviamo a vescovi e a papi: quest'uomo vissuto in una cella, accanto alle stalle. Voi dite che morto di stanchezza; no, di stanchezza moriremo noi, e Dio voglia che sia per la sua gloria, non per la nostra: quest'uomo morto d'amore. Bernardo scoppi in lacrime e abbracci Malachia. Fra pochi decenni la Chiesa li avrebbe proclamati santi, entrambi: ma in quel momento, accanto a quel corpo, essi provavano un desiderio struggente di semplicit, di nascondimento, di pace. Con infinita dolcezza, in ginocchio, aprirono i pugni chiusi del frate morto. Contenevano due splendidi diamanti, sui quali erano scolpite, in latino, le parole di Cristo Signore: Nella pazienza possederete la vostra anima (Luca, XXI, 19). Questa fu l'unica predica che fece frate Pazienza; Malachia sorrise, come per una conferma attesa; Bernardo di Chiaravalle chin il capo e arross: aveva capito che l'ammonimento era rivolto particolarmente a lui. Lacrime in Paradiso. Tommaso era un brav'uomo, sulla cinquantina, con qualche piccola rotondit incipiente, ma ancora fresco, vivo e sempre sereno. Non aveva una famiglia sua. Dal lavoro che faceva, e che gli avrebbe assicurato, dopo i settant'anni, una modesta pensione, traeva di che vivere senza larghezze, ma anche senza restrinzioni. Al denaro, per, non teneva. E la sua gioia maggiore era quando, due volte all'anno, vicino a Natale e a Pasqua, si metteva a tavolino e compilava una decina di assegni: per conventi di clausura, ricoveri di vecchi, orfanotrofi, asili di bambini poveri, o per qualche bisogno che si presentava improvviso e urgente. Firmati gli assegni, spedite le raccomandate, si sentiva leggero, leggero, la strada gli pareva cos facile... E se una nube poteva oscurare la sua contentezza era perch poteva dare poco, molto poco; gli assegni erano di cinque, sei mila lire, raramente toccavano le dieci: ma era tutto ci di cui poteva disporre, perch libretti in banca non ne teneva, dato che alla vecchiaia sarebbe stata sufficiente la pensione. Faceva cos da un giorno, ormai lontano, in cui gli era venuto sott'occhio un passo della Sapienza: Beato l'uomo che non va dietro al denaro, n pone la sua speranza in monete accumulate... (Eccl.XXXI, 8). Gli sembrava strano che ci volesse cos poco per essere beati; pi strano ancora che il libro sacro aggiungesse che uomini simili erano pressocch introvabili... La barca di Tommaso procedeva, cos, senza scosse, su di un mare calmo. La sua serenit, la sua bont gli avevano fatto molti amici, il suo consiglio era ricercato da tutti: egli si avviava, senza saperlo, verso vette sempre pi alte. Fu allora che il diavolo decise di intervenire risolutamente, prima che fosse troppo tardi. E formul un piano veramente da par suo, diabolico. Era un 18 novembre. Tommaso, a tavolino, preparava in anticipo i soliti assegni. Ecco, lire tremila, cinquemila, seimila, poi ancora cinquemila, seimila. Sospir. Come sarei lieto - pens - se potessi scrivere su ciascuno di questi foglietti un milione!. Il pensiero gli mise in corpo una strana euforia. Prese dieci pezzetti di carta, li ridusse al formato degli assegni, su ciascuno scrisse, ben tondo, 1.000.000, e firm con la sua pi bella calligrafia. Prese anche dieci buste bianche, vi tracci gli indirizzi, poi scoppi in una risata. Illusioni - sussurr - una simile somma io non l'avr mai. Ma mise da parte, senza stracciarle, le buste con gli indirizzi e i foglietti. Non aveva finito di chiudere il cassetto che il campanello trill. And ad aprire. Il portalettere gli consegn una raccomandata urgente, tutta coperta di francobolli. Tommaso ne firm la ricevuta, chiuse la porta, torn a tavolino, apr. Egregio Signore, - diceva la lettera - ho l'incarico di trasmetterLe l'acclusa somma di dieci milioni di lire quale parte a Lei spettante della eredit del signor Fausto, Suo zio,

venuto meno ai vivi lo scorso mese in Canada. La banca non mi ha voluto, per ragioni tecniche, rilasciare un solo assegno, ma dieci, da un milione ciascuno: mi voglia scusare per l'incomodo che ci Le dar, e voglia credermi, Suo dev.mo avv. X Y, notaio, esecutore testamentario. Alla lettera erano acclusi dieci assegni da un milione ciascuno intestati a lui, Tommaso. Il brav'uomo li palp con i polpastrelli delle dita, li guard uno ad uno contro luce, li ricont due, tre volte... s, erano proprio dieci, da un milione ciascuno, e vi stava scritto sopra, a penna, il suo nome. Era padrone di dieci milioni. Ci che pochi momenti prima aveva ritenuto un'illusione, un sogno, si era avverato. Eppure non provava in s alcuna gioia, ma un turbamento strano, come se un oscuro pericolo lo minacciasse. Si guardo intorno; nella stanza non c'era nessuno: i soliti mobili, la solita scrivania, i soliti quadri alle pareti. Ma l'aria pareva pesante, calda: si sarebbe detto il fiato di una bestia, ecco, proprio cos, il fiato di una bestia, che non solo avvolgeva mobili e pareti ma penetrava anche dentro di lui, Tommaso, a poco a poco. L'uomo prov un brivido. Sent il bisogno di muoversi, di fare qualche cosa. Apr il cassetto della scrivania. Le buste erano l, pronte, dieci, una sull'altra, con gli indirizzi gi vergati. Si ricord di tutto. Sarebbe bastato estrarre i pezzetti di carta, firmare gli assegni veri, di dietro, dove sta scritto girate, introdurli nelle buste, chiudere, portare alla posta e in dieci minuti tutto sarebbe finito: la felicit sarebbe arrivata in dieci posti diversi ad asciugare lacrime, pagare debiti, seminare sorrisi. Come era felice! E quante volte ormai aveva fatto cos! Tommaso riprese in mano gli assegni veri. Li annus. Sono soldi veri mormor - e sono miei. Si sentiva soffocare, e rigir l'indice della mano destra, fra il colletto e il collo, con forza. Certo, quei denari non erano frutto del suo lavoro, ma erano giunti a lui in modo del tutto legittimo, per donazione testamentaria di un parente, tramite un notaio, che un uomo di legge, un pubblico ufficiale... e dieci milioni, sono dieci milioni, non quattro, cinque, seimila lire... sono dieci milioni... Intanto s'era fatta sera. Tommaso usc, cen alla solita trattoria, ma senza parlare con alcuno: e torn subito a casa. Quando fu a letto si ricord che doveva fare la lettura spirituale. Era un'abitudine che aveva preso da molti anni, da quando aveva letto un passo di san Gerolamo che invitava a leggere la Bibbia prima di addormentarsi: (cadentem faciem pagina sancta suscipiat). Gli sembrava di deporre il suo corpo dentro un'amaca di buoni pensieri per il viaggio della notte fino all'approdo mattutino. Fece cos anche quella sera, aprendo a caso un libro che aveva sul comodino. Il brano che gli capit sott'occhio parlava dei re Magi. Sapete - diceva il testo - perch i soldati di Erode, lanciati al loro inseguimento dopo la mancata promessa di tornare a Gerusalemme, non li poterono raggiungere? Perch avevano deposto l'oro ai piedi di Ges, nella grotta di Betlemme. E senza quel peso i cammelli erano velocissimi, quasi folate di vento nel deserto, sotto il sorriso delle stelle; mentre il peso dell'odio faceva ritardare i soldati del re sanguinario.... Tommaso spense la luce e il sonno fu su di lui. Si vide solo, in un deserto sconfinato, a dorso di un cammello agile e leggero, ma stranamente incapace di correre. Eppure non portava, di bagaglio, che una bisaccia. L'uomo vi affond la mano: s, i dieci assegni da un milione erano l, intatti, e gi firmati. Li estrasse, li ricont sotto la luna: il cammello bram. D'un tratto il silenzio del deserto fu rotto da un rumore lontano, come di un galoppo furioso... il cammello bram ancora, con le grosse narici in aria. Una luce si fece nella mente di Tommaso: I soldati di Erode! I soldati di Erode!. Ma il loro intento non era quello di uccidere Ges? S, gli rispose dentro una voce, ma Ges in ogni uomo, Ges si pu uccidere in ogni uomo.... Dette un violento strattone alle briglie. Ma come lento, come lento era l'animale! E il rumore

del galoppo aumentava, aumentava... il cielo stesso sembrava ripercuoterlo nella sua volta divenuta improvvisamente nera e ostile... D'un tratto Tommaso si avvide di non essere solo. Venuto chiss da dove, un altro cammello era accanto al suo, e lo cavalcava la badessa, a lui ben nota, di un monastero di clausura: proprio quella alla quale era intestata la prima delle dieci buste... l'uomo cap, frug nella bisaccia, e le porse il primo assegno. Il cammello di Tommaso diede un balzo e parve volare: l'altro scomparve, come assorbito dalla sabbia. La scena si ripet altre volte nel deserto percorso dai brividi della notte che ormai si piegava verso le prime luci dell'alba. La badessa era stata via via sostituita da un missionario, da un povero, da un carcerato, da un orfano, e via dicendo, e a ciascuno Tommaso, per sfuggire ai soldati di Erode, aveva consegnato un assegno. Quando non ne ebbe pi alcuno, il cammello percorse volando un'ultima duna: e un'oasi, oltre il confine della sabbia, accolse la cavalcatura e il cavaliere, un'oasi meravigliosa, ricca di palme, e d'acqua, e di luce, e di canti di uccelli, e di profumi di fiori. Il rumore degli zoccoli inseguitori era definitivamente svanito. Tommaso si svegli. Si sfreg gli occhi. Corse ad aprire il cassetto: i dieci preziosi foglietti erano ancora l, con il suo nome scritto a penna, e senza firma nel retro, dove c' il girate. L'uomo li palp, li cont, li ripose al loro posto. Ma che cosa avveniva dentro di lui? Si ricord che per la prima volta, da anni, non aveva pronunciato, svegliandosi, la preghiera consueta: Apri, o Signore, la mia bocca, perch benedica il tuo santo nome; purifica anche il mio cuore da ogni pensiero vano, o cattivo, o inutile... degnati, o Signore, di custodirmi di questo giorno cos che io lo trascorra senza peccare.... Ne ebbe vergogna e ne ripet le parole, compitandole. Ma avvert lo stesso senso di soffocazione del giorno prima. Apr le finestre. Anche al di fuori l'aria era grigia, pesante; la campanella della chiesa vicina sembrava avere il battacchio avvolto nell'ovatta. Tommaso prese il messalino e diede un'occhiata al calendario: To', una vedova, oggi - disse - deve essersi fatta santa dopo aver perduto il marito...; e si rec a messa. N si avvide che un'ombra lo seguiva silenziosa come la notte. (Lectio Epistolae beati Pauli apostoli ad Timotheum) pronunci il prete giunto all'epistola. (Carissime...). Tommaso seguiva con gli occhi il testo, come sempre. Ma ad un tratto la sua attenzione si fece pi grande: (Si quis autem suorum) - proseguiva il prete nella lettura -, (et maxime domesticorum, curam non habet, fidem negavit, et est infideli deterior) (1 Tim. V, 3-10): Se qualcuno non ha cura dei suoi, e massimamente dei familiari, ha rinnegato la fede ed peggiore di un pagano. per te - sussurr a Tommaso una strana voce, suadente come quella che ingann Eva nel Paradiso terrestre - s, per te: (si quis) maschile, altrimenti avrebbe detto (si qua). per te, dunque. Se tu non avessi cura dei tuoi cari, e massimamente dei familiari, saresti peggiore di un pagano. san Paolo, che lo dice, cio lo Spirito Santo.... Si avvi verso casa, lentamente, con quell'idea in testa. Aveva una nipote maritata, ricca. E se mandassi a lei, qualche assegno? si disse. Ma non ha bisogno di nulla fece dall'interno una vocetta sottile, sottile, che era poi quella della coscienza. Zitta tu - borbott Tommaso -, ne vuoi sapere di pi di san Paolo? Pi dello Spirito Santo? Non hai sentito? (Si quis... curam non habet...: un tram che passava gli imped di udire una risata stridula. La voce tacque e Tommaso prosegu nell'inseguimento dei suoi pensieri. La nipote maritata non aveva figli... chiss che quando egli fosse stato vecchio non potesse essergli utile... Ma non hai la pensione? rifece la vocetta poco prima mortificata con il perentorio richiamo a san Paolo e allo Spirito Santo. Zitta tu - ripet l'uomo -, e la possibile svalutazione della moneta, dove la

metti? (Estote prudentes), dice il Vangelo, siate prudenti come i serpenti...:il grido di un cenciaiolo che passava gli imped di udire una risata stridula. La voce tacque. Tommaso, appena giunto a casa firm tre dei dieci assegni, li introdusse in una busta, scrisse sopra l'indirizzo della nipote. (Si quis suorum curam non habet) - si ripeteva andando all'ufficio postale (fidem negavit), ha rinnegato la fede... e il volto dell'ombra che lo seguiva era tutto un sorriso. Con gli altri sette milioni Tommaso acquist l'appartamentino dove fino allora era stato in affitto, lo mun di un televisore, di poltrone comode, regolabili secondo i diversi gradi di stanchezza; compr tutta una serie di soffici pantofole. In fondo diceva facendo gli acquisti - ho ben diritto di riposare anch'io, ora che vado verso la vecchiaia. Ho sempre pensato agli altri. Potr pensare un poco anche a me stesso, no?: e concluse con una frase che anni addietro, udita in una predica, lo aveva fatto indignare: (Caritas incipit ab ego...), la carit comincia da noi (veramente, a lui che sapeva il latino, quell'(ab ego) dava noia, ma il senso era chiarissimo, e quell'(ego) era lui, lui solo). (Caritas incipit ab ego,), fece eco una voce strana... Da quel momento Tommasi si convinse di avere trovato la giusta via, l'equilibrio desiderato. Va bene lo zelo, si diceva pensando al passato, va bene la carit verso il prossimo, ma senza esagerazioni, perbacco! La virt sta nel mezzo, mai alle estremit. Ho pure un mio decoro da mantenere, data la posizione che occupo. E poi, giusto che in caso di malattia debba andare all'ospedale? Che da vecchio mi accontenti di una pensioncina valevole soltanto per una modesta casa di ricovero, e forse dividendo con altri la camera? Se facessi cos, non mi metterei, forse, io stesso, nella condizione di irritarmi, di perdere la serenit, di essere scontroso? Con queste e simili domande si pose l'anima in pace. L'antica gioia era scomparsa, vero. Ma essa doveva essere frutto, ora se ne accorgeva, pi del sentimento che della ragione. E del sentimento bisogna sempre diffidare: gioca degli scherzi cos brutti... Pochi anni dopo Tommaso fu fatto commendatore, e nella cerimonia di consegna dell'onorificenza fu indicato a modello dei giovani per capacit, zelo, prudenza...: in banca aveva un libretto nel quale stava scritto, ogni due righe, (ricevute lire... ricevute lire...) senza mai un (prelevate): e la cifra era ragguardevole, anche perch i soliti assegni erano diminuiti e ormai non sorpassavano le mille lire ciascuno. A sessantacinque anni una malattia improvvisa lo tolse di mezzo prima che potesse godersi la pensione. Mo con i conforti religiosi, assistito dalla nipote riconoscente per l'antico dono e per una recente frasetta, che riguardava il testamento. E mentre sulla terra si tributavano gli onori funebri al suo corpo (una targa sul frontale della chiesa ricordava a tutti l'uomo onesto, probo, integerrimo), l'angelo della morte ne port l'anima al tribunale di Dio. Il giudice era seduto sul trono in tutta la sua maest. Quando Tommaso entr, accompagnato dall'angelo, il Cristo lo guard, senza parlare. Tommaso cominci a sentirsi a disagio. Poi, d'improvviso, scoppi nel cielo. dietro il trono, un coro di angeli, lento, solenni, pacato: (Liber scriptus proferetur - in quo totum continetur - unde mundus iudicetur...). Segu una pausa; poi il coro rispose: (Quid sum miser tunc dicturus? Quem patronum rogaturus cum vix iustus sit securus?). per me, per me, pensava Tommaso. Ma ne interruppe il pensiero la voce secca del giudice: Portatemi il libro della vita di costui.... Un angelo venne e porse un libro chiuso. Tommaso Pasquale - lesse il giudice - di anni cinquanta.... Veramente - os interrompere Tommaso - io ne ho sessantacinque... ci deve essere un errore....

Nessun errore, - disse il Cristo, e il suo volto assunse un atteggiamento di dolore - risulta che tu sei vissuto fino alla messa per santa Elisabetta vedova, il 19 novembre di quindici anni fa... dopo quel giorno le pagine sono bianche, assolutamente bianche... come vedi i conti tornano.... La messa di santa Elisabetta! Tommaso si rivide in chiesa, ricord l'epistola di san Paolo a Timoteo: (Si quis...) si ricord dei dieci assegni da un milione, sulla sottile carta filigranata e il suo nome scritto a penna: cap. Ma non ho fatto niente di male - sussurr -, quei denari erano miei. S, - fece il Signore, - erano tuoi: e non hai fatto niente di male. Perci in Paradiso ci resterai, qui sul limitare. Ma ora voglio farti vedere qualche cosa.... Batt le mani. Due angeli comparvero portando una macchina da proiezione. Nostro Signore si sedette accanto a Tommaso. Una nuvola bianchissima faceva da schermo: e nel cielo, divenuto improvvisamente nero, lo spettacolo incominci. Ecco, Tommaso vedeva se stesso, al tavolino di casa, laggi sulla terra, con gli assegni davanti. Rivide il sogno ammonitore dei cammelli, che il suo angelo custode aveva ottenuto per lui, perch potesse vincere la tentazione. Ma ora, che cosa stava succedendo sulla scena? Tommaso vide che firmava gli assegni, si recava alla posta, spediva le raccomandate, tornava a casa leggero pi ancora delle altre volte, e con tanta pace, mio Dio, quanta pace! Poi si vide dieci anni dopo, licenziato ingiustamente, senza lavoro, malato, solo: e una lettiga della croce bianca che lo portava in un ospedale; una lunga corsia di letti, con tanti malati... tanti occhi di sconosciuti che lo guardavano, ma con amore e sorridendo... una suora gli bagnava le labbra screpolate dalla febbre... poi vide una scala d'oro, e lui, proprio lui, lass, sull'ultimo gradino, vicino al cuore di Dio... quanto alto... quanto alto... mio Dio, mio Dio... Poi la scena cambi: e Tommaso rivide tutta la vera vita dei suoi ultimi quindici anni, la commenda, l'appartamentino divenuto suo, il televisore, le poltrone, le pantofole, la nipote al suo capezzale... poi vide una scala d'oro, quella di prima, e si riconobbe fermo gi in basso, al primo gradino. Veramente vedeva che cercava di salire e si afferrava saldo con le mani, alle aste laterali; ma ogni volta che poneva il piede sul secondo gradino questo si piegava e gli impediva di salire. Ecco, ora si avvicinava per vedere quale fosse l'ostacolo e trovava che il gradino non era d'oro, ma fatto di carta arrotolata: fatto con dieci assegni da un milione, in finissima carta filigranata, non firmati. E non poteva salire pi in su. Quando il quadro scomparve, e il cielo riacquist il suo splendore, Tommaso scoppi in pianto. Lo sguardo di Cristo, al suo fianco, era triste, molto triste. San Pietro, che passava in quel momento, si ferm meravigliato: Ma questo il Paradiso - disse - qui non si pu piangere. Lascia che pianga disse il Signore. E furono le prime lacrime viste in Paradiso. Lo specchio. In quell'anno di grazia 1096 rumori di guerra correvano per l'Europa. Ma non si trattava di una delle solite guerre, che vedono fratelli contro fratelli; questa volta le armi sarebbero state rivolte ad Oriente, contro i turchi, padroni della terra dove il Signore era nato, della citt dove era morto: una crociata, insomma, di cristiani, per la liberazione della Terra Santa dagli oppressori feroci, che uccidevano, depredavano, angariavano in ogni modo i pellegrini che venivano dall'Occidente per visitare il Santo Sepolcro. Goffredo di Buglione stava raccogliendo armati per ogni contrada di Francia; Pietro l'eremita predicava in ogni paese la guerra: che, diceva, sarebbe stata, finalmente, una guerra santa. Fu in una notte di quell'anno che davanti al fossato che girava intorno al castello della duchessa Anna di Bretagna si ferm un cavaliere, cinto di

ferro, su un cavallo nero che fumava per la lunga corsa, e nitriva scalpitando. Chi va l, grid una voce assonnata dall'alto delle mura. Sono Vasco, - fece il cavaliere - aprite. Il ponte levatoio scese lentamente, cigolando sulle catene arrugginite, mentre la porta si spalancava. Alcuni uomini di guardia furono accanto al cavaliere e lo aiutarono a scendere da cavallo. Voglio parlare subito con la duchessa mia nonna - fece il giovane. Pochi minuti dopo era nella grande sala del castello, mentre il maggiordomo, che lo aveva accompagnato, si recava ad avvertire la duchessa. Si trasse dalla testa l'elmo e lo depose su di una sedia l accanto. Poi si guard in uno dei molti specchi, di cui la sala era adorna. S, era proprio bello, Vasco di Bretagna, uno dei cavalieri pi famosi di Francia, nipote della duchessa Anna. Nelle giostre nessuno poteva resistere alla sua lancia; sotto i colpi della sua spada andavano in frantumi gli scudi pi robusti; la freccia lanciata dalla sua mano non falliva mai il bersaglio. Tutto questo gli parve vedere nello specchio: sorrise, aggiustandosi i capelli ricciuti.. Sei proprio sempre lo stesso - fece d'un tratto una voce sottile e dolce, alle sue spalle. Il giovane si volt di scatto e pose un ginocchio a terra. Anna di Bretagna era una vecchina che gli ottant'anni passati sembravano aver reso pi piccola, ma alla quale nulla avevano tolto di una fierezza che le traspirava dagli occhi, dal volto, dalla maest del portamento. Nonna - disse Vasco, sempre inginocchiato - ho deciso di partire anch'io per la crociata: e sono venuto perch tu mi benedica.... Non ti credevo cos pio - sorrise la duchessa guardandolo attentamente -, sei proprio sicuro di voler spargere il tuo sangue per la conquista del Santo Sepolcro?. Veramente - arross il giovane - io preferirei spargere il sangue degli altri, come ho sempre fatto, ma Pietro l'eremita dice che questa volta una cosa santa, che si lucrano indulgenze ad ogni colpo di spada, che ogni testa di turco tagliata un'anima del purgatorio che si libera... E poi, nonna, tu sai bene che mio fratello maggiore ha ereditato tutto, ed io non ho che le mie armi e il mio cavallo.... Vedo, vedo - fece la vecchina - non la piet, ma lo spirito di avventura che ti muove, il desiderio della gloria, del potere, della ricchezza. Ebbene, va pure, con la benedizione di questa tua vecchia nonna, che forse non rivedrai pi. Ma prima di partire devi farmi una promessa.... Subito, nonna: promessa da cavaliere. E che io perda l'anima se non la manterr.... Ma se non sai ancora di che cosa si tratta, benedetto ragazzo.... Sempre sorridendo Anna trasse di tasca un piccolissimo specchio di cristallo e lo porse al giovane, che lo port subito davanti al volto. Che cosa vedi, figliolo?. Ma che cosa dovrei vedere, nonnina? La mia faccia.... Ebbene, tu mi devi promettere che ogni sera, prima di coricarti, anche se fossi stanchissimo, ti guarderai in questo specchietto pronunciando le parole che ora ti dir.... Benissimo, nonna, anzi le voglio ripetere subito con te.... Allora, ripeti, ma con voce chiara, guardandoti nel cristallo: "Vasco".... Vasco. Tizzone d'inferno.... Ma nonna, che cosa dici... io... tu... no, non guardarmi cos... ti accontento... ti... ti... tizzone d'inferno.... Levato il santo battesimo.... Levato il santo battesimo.... Tu sei un perfetto animale.... Ma nonna, io sono un grande cavaliere, io sono uno dei pi forti giovani di Francia, io sono... no, non guardarmi cos... ti accontenter, ho promesso... tu sei un perfetto a... a... ani... anima... animale. Ciononostante, Signore Iddio, abbi piet di me.... Ciononostante, Signore Iddio, abbi piet di me... Uffa!. Niente uffa. E adesso ripeti la preghierina, ma senza fare il balbuziente,

come hai fatto. E bada che ho la tua promessa di cavaliere: ogni sera, anche che se fossi stanchissimo, ti guarderai nello specchio pronunciando le parole che ti ho insegnato. Addio figliolo e che il Signore sia con te. Pochi minuti dopo il cavallo nero ripassava, lanciato a furioso galoppo, sul ponte levatoio: e si perdeva nel buio della notte. Su, nella cappellina del castello, un lume si accendeva. Vasco di Bretagna cavalcava furioso verso l'accampamento di Goffredo di Buglione. Lui, un tizzone d'inferno... lui, un tizzone d'inferno... per, delle cattive azioni ne aveva pur fatte, quel cavaliere ucciso in duello per far piacere ad un amico... quella monaca rapita dal convento per riportarla ai genitori che la volevano maritare... quel contadino cacciato a frustare bench avesse ragione... quello splendido cavallo che non era propriamente una preda di guerra... s, forse la nonna non aveva tutti i torti... tizzone d'inferno... e poi, in fondo, un bel titolo, una bella frase... ma un perfetto animale no, questo no, questo no... un cavaliere della sua fatta non poteva essere un animale, sai pure perfetto... no, Vasco di Bretagna non era un animale... l'avrebbe fatto veder lui alla nonnina che era Vasco di Bretagna... per, se non era che per far contenta la nonna, per mantenere una promessa fatta, ebbene, avrebbe detto ogni sera quelle parole... A questa conclusione una strana pace fu su di lui, una pace mai prima provata. Gli pareva di essere a cavallo di una nuvola e che gli venisse incontro da lontano una musica dolcissima, come non ne aveva udita mai. E un canto, anche, gli parve udire, un canto di invisibili voci librate sul suono di arpe nascoste. Fece attenzione per vedere se gli riusciva di capire almeno una parola di quel canto; ed una ne cap, s, una sola, le cui sillabe si staccavano dai concenti che nascondevano tutte le altre. Ma da una parola sola, che cosa pu capire un cavaliere vestito di ferro? La parola era: (Magnificat). Soldati cristiani, - diceva ad altissima voce un banditore turco sotto le mura di Damietta - il Saladino, mio signore, pronto a cedervi la citt senza combattere se uno dei vostri campioni riuscir a vincerlo in singolare tenzone. Questa la proposta che egli mi ha ordinato di farvi. Che cosa rispondete?. Vasco di Bretagna fu l'urlo dell'esercito cristiano. Cos, in un pomeriggio pieno di sole, si trovarono di fronte il cavaliere bretone, divenuto in quegli anni ancor pi famoso, e il pi feroce dei condottieri turchi. Tutt'intorno i due eserciti facevano da spettatori e da giudici. Il primo scontro fu alla lancia: una specie di tronco dalla punta di ferro che non si sapeva come fossero capaci di reggere. I due cavalli lanciati al galoppo si andavano avvicinando, ecco, erano a pochi metri. Un urlo. Entrambi i guerrieri avevano colpito lo scudo dell'avversario e le lance erano andate in pezzi: ma n l'uno n l'altro erano caduti a terra. Allora posero mano alle spade in lotta ravvicinata. Fu in quel preciso momento che una freccia, lanciata da un guerriero cristiano, colp il cavallo del Saladino: e una voce grid: Uccidilo, Vasco. Vasco fece fare al suo destriero un fulmineo dietro front: un minuto dopo la testa dell'arciere cristiano che aveva scagliato il dardo era nelle sue mani; Vasco, sceso da cavallo, la offr al Saladino che gli veniva incontro furioso: Scusami - disse - e accetta la testa di questo traditore. Un lungo applauso si alz da entrambi gli eserciti. Anche il successivo duello alla spada non ebbe n vincitore n vinto: gli scudi andarono in frantumi e le spade si spezzarono nelle mani dei due combattenti, ma nessuno prevalse. Allora si rivolsero all'ultima arma, il pugnale. Il Saladino, di pi robusta corporatura, mise a terra Vasco, e gli fu sopra con il suo peso. Ecco, il pugnale scendeva lento verso il cuore del crociato, che cercava disperatamente di trattenere la mano dell'avversario... ancora due centimetri... uno... poi il pugnale improvvisamente si spunt incontrando un corpo duro a protezione del cuore... ma la sorpresa cost cara al Saladino, che si trov d'un tratto

disarmato da una furiosa reazione di Vasco che, rovesciatolo in uno sforzo supremo, gli punt a sua volta il pugnale alla gola... Uccidilo, urlarono molti cristiani... Vasco guardo il guerriero turco ormai in suo potere: la fronte, nobilissima, era imperlata di sudore; sulle guance scorreva il sangue delle ferite; gli occhi non erano quelli di un nemico: ma di un uomo pronto a morire senza paura e senza chiedere piet. Vasco gett lontano il pugnale ed aiut l'avversario a rialzarsi. La citt tua, disse il Saladino: e prima di ritirarsi lo volle abbracciare davanti a tutti, ponendogli al collo una collana d'oro tempestata di pietre preziose. Vasco si ritir nella sua tenda. Era ferito, era esausto, era stanco da morire. No, questa sera la preghiera non la dico - mormor -, questa sera non la dico, perch sono stanco; e perch non mi riconosco pi un perfetto animale.... Mentre cos diceva, riandava le fase del combattimento... rivide il pugnale del Saladino scendere sul suo cuore... ma perch non lo aveva trafitto?... Si port le mani al giubbotto, quasi affannosamente... ma s, proprio sul cuore c'era un oggetto duro... ritrasse la mano: e nella mano c'era lo specchietto della nonna, lo specchietto non pi tersissimo, perch segnato al centro dal pugnale del saraceno che vi si era spuntato... Un soldato cristiano che passava presso la tenda ud Vasco che gridava: Vasco, tizzone d'inferno, levato il santo battesimo, tu sei un perfetto animale... tu sei un perfetto animale... tu sei un perfetto animale.... Deve essere impazzito, disse. E fugg. Fugg cos rapidamente da non accorgersi che un'ombra nera era entrata nella tenda. Vasco era disteso sui tappeti che gli servivano da letto e anche nel sonno pesante in cui era caduto continuava a mormorare: ... Tu sei un perfetto animale. Ciononostante, Signore Iddio, abbi piet di me. Che il tuo Dio abbia piet di te affar suo - mormor il turco alzando la scimitarra -, ma io non ti posso perdonare di aver umiliato il mio re. E cal il fendente. ... Signore Iddio, abbi piet di me..., gorgogli la testa rotolando recisa. San Michele Arcangelo se ne stava disoccupato accanto alla grande bilancia su cui pesa i meriti e i demeriti, prima di introdurre i defunti nell'ufficio di san Pietro, quando sent un gran baccano venir su da un angolo della terra. E poco dopo vide presentarglisi una schiera di angeli e una schiera di diavoli che si disputavano l'anima di un cavaliere. Appartiene a noi, dicevano gli uni. No, a noi, urlavano gli altri. In mezzo, tutto impaurito, stava, poich era proprio lui, Vasco di Bretagna: chiuso nella sua armatura di guerriero, con lancia e spada, ma senza elmo. Ora vediamo subito chi di voi ha ragione.disse pacamente l'arcangelo, imponendo silenzio. E condusse tutti davanti alla bilancia della verit. Gli angeli gridavano il bene compiuto da Vasco, i diavoli il male: e negazioni, contraddizioni, urla, invettive, si intrecciavano con violenza. Soprattutto i diavoli erano feroci nel controbattere i meriti che gli angeli avanzavano. E cos la bilancia andava ora su ora gi, ma alla fine rimaneva con i piatti librati assolutamente alla stessa altezza. incredibile - sbott san Michele - in tanti secoli non ho mai visto una cosa simile. Ma quest'uomo - intervenne ad un certo momento l'angelo custode di Vasco - si fatto crociato per liberare il Santo Sepolcro.... D, piuttosto, per desiderio di gloria e di denaro..., url la schiera dei diavoli. Quest'uomo - continu l'angelo - ha versato il suo sangue per la fede.... D, piuttosto, che ha versato quello degli altri, per farsi ammirare e lodare..., lo interruppero i diavoli. Quest'uomo morto per la fede, fin l'angelo. Macch fede - fu la risposta dei diavoli -, morto per la vendetta di un soldato turco che non pat l'umiliazione del suo capitano, come sarebbe avvenuto in Europa, fra cristiani.... Adesso, basta, fece l'arcangelo Michele. E rivoltosi a Vasco: Butta l

sopra la tua lancia - gli ordin -, vedremo subito quale la verit. Vasco butt sul piatto delle opere buone la immensa e pesantissima lancia: il piatto rimase immobile. Ah, ah, ah,, ghignarono i demoni. Buttaci la tua spada, continu Michele. Vasco butt sulla bilancia la spada con il fodero: il piatto non si spost di un solo millimetro. Ah, ah, ah,, ghignarono i demoni. Vasco si vide perduto. Il sudore gli scendeva a rivoli sulla fronte. Gli angeli tacevano, mortificati. Guardate, viene qualcuno laggi, osserv in quel momento l'angelo custode. Tutti guardarono nella direzione da lui indicata. Una nuvoletta si era staccata dalla terra, e saliva, saliva. Sembrava occuparla un'anima piccina ed esile, una donna, pareva. Nel salire si faceva sempre pi luminosa, come se tutti i raggi del sole l'investissero. un'anima santa - osserv Michele -, ma devo pur pesare anche le sue opere, e la bilancia occupata da questo maledetto crociato. La nuvoletta si arrest, infine, davanti al gruppo dei contendenti. Nonna - grid Vasco - nonna!. Era lei, infatti, la duchessa Anna di Bretagna. S'era fatta pi curva, ma gli occhi, il volto, il portamento erano quelli di sempre. Solo che fra i capelli brillava una stella splendidissima. S'accomodi, signora - disse Michele Arcangelo - sono desolato di doverla fare aspettare. Ma c' qui un caso che non mi mai capitato in vita mia... e s che una vita lunga... la bilancia che non si vuole decidere. Ma questo Vasco, mio nipote, mornmor Anna. S, nonna - fece il poveretto - sono proprio io. Aiutami tu, come hai sempre fatto. San Michele disse brevemente alla duchessa ci che era accaduto: e le mostr la bilancia a piatti assolutamente uguali, malgrado che su quello delle opere vi fossero la lancia e la spada di Vasco. La duchessa guard il nipote. Vasco - gli disse - prima di partire dalla Bretagna tu mi facesti una promessa. Te ne ricordi? L'hai mantenuta?. S, nonna, sempre. Io ti diedi, allora, un piccolo specchio, in cui dovevi guardarti ogni sera recitando una piccola preghiera che, in verit, non accogliesti molto bene la prima volta. Me la sai ripetere?. Ecco, nonna: "Vasco, tizzone d'inferno, levato il santo battesimo, tu sei un perfetto animale. Ciononostante, Signore Iddio, abbi piet di me". L'ho recitata sempre, nonna, anche ieri sera, prima di essere ucciso, bench fossi esausto.... E lo specchio, dov'?. Dev'essere qui, nonna.... Figliolo, cercalo, e prova a buttarlo sul piatto delle opere buone. Vasco lo trasse dal giustacuore dov'era ancora, lo gett sulla bilancia. E fu come se un monte cadesse sul piatto. Il colpo fu tale che le opere cattive, sbalzate dal loro piatto, precipitarono nel vuoto: dietro esse, con un urlo di rabbia, precipitarono anche i demoni. In quel preciso istante un'immensa armonia riemp i cieli. Era una musica dolcissima, come di invisibili voci librate sul suono di arpe nascoste. Vasco fece attenzione. Ma s, la ricordava quella musica. Era la stessa udita la notte che aveva lasciato il castello della nonna per raggiungere gli accampamenti di Goffredo di Buglione. Ma ora non era una sola parola che egli riusciva ad afferrare; era tutta una serie di parole che venivano verso di lui, che lo circondavano, come una nuvola lieve e sonora. L'anima mia magnifica il Signore, ed esult il mio spirito

in Dio, mio Salvatore... Ha deposto dal trono i potenti, ha esaltato gli umili... Cos, non per eroiche imprese di guerra, non per la gloria conquistata davanti al mondo, ma per un piccolissimo atto di umilt il cavaliere Vasco di Bretagna, crociato, entr in Paradiso a braccetto della nonna in una sera d'agosto dell'anno di grazia 1099. Gi, sulla terra, pochi mesi dopo, Goffredo di Buglione entrava trionfante in Gerusalemme e chinandosi a baciare il Santo Sepolcro vi deponeva piangendo l'elmo dell'amico caduto, il povero Vasco. Ma era lontanissimo dal pensare, come lo siamo tutti noi, cristiani distratti, che non per quell'elmo, terrore dei nemici, l'anima di Vasco aveva gi fatto il suo ingresso in una Gerusalemme ben pi importante di quella terrena. Le piccole cose. Grande era la fama del monaco Pafnuzio nel contado di Siena, anzi in tutta la Toscana. E sarebbe stata ancora pi grande se questa storia non fosse accaduta molti, molti secoli fa, intorno all'anno mille, quando le notizie camminavano assai meno di adesso: di bocca in bocca, dalle casupole isolate in zone senza vie di comunicazione, ai paesi, alle borgate, alle citt, fra le contrade, sulle piazze, nei mercati. Siena era, allora, una citt piccola, ma gi famosa, tutta cinta da mura merlate interrotte da alte torri: dall'una all'altra delle quali rimbalzava, di notte, il grido delle sentinelle in armi, rompendo il silenzio che fasciava la citt come le sue mura. Bello, giovane, amato, erede unico di una famiglia nobile e ricca, toccato dalla Grazia divina, Pafnuzio si era fatto monaco, malgrado la disperata opposizione dei genitori: e da vent'anni ormai viveva solo in una grotta del monte Oliveto. Il luogo era solitario e selvaggio, chiuso fra foreste immense di querce, dove i cinghiali avevano il loro regno; vi si saliva con difficolt e non senza pericolo d'incontri con fiere selvagge; dopo ore ed ore di cammino si giungeva ad una piccola radura, sulla quale incombeva, a picco, una roccia inaccessibile, da cui calava un filo d'acqua perenne, limpidissimo: l accanto era la grotta di Pafnuzio. Qualcuno vi era entrato, mentre egli era nel bosco, immerso in preghiera, e ne era rimasto attonito: per letto, poche foglie secche; per guanciale, una pietra; in un angolo, tre sassi anneriti dal fuoco; appesi ad un chiodo, pi sopra, un pentolino scassato e un tegamino con il manico rotto; nel fondo, appena visibile, una rozza croce. Questo era tutto. Si sapeva che l'eremita aveva fatto voto di vivere sempre solo, di non possedere mai nulla. Da venti anni teneva fede alla sua parola; la gente lo venerava come un santo, e gi molti miracoli gli venivano attribuiti, di guarigioni, di conversioni, di interventi prodigiosi in casi disperati. Il nostro santo eremita diceva parlando di lui la gente, con ammirata venerazione. Fu a questo momento che Belzeb, il principe delle tenebre, decise di intervenire, chiamando a raccolta i suoi diavoli pi esperti. Ne vennero parecchi, tutti anziani e incalliti nell'arte di tendere alle anime le trappole pi insidiose. Facciamo in modo che diventi vescovo - propose uno -, cos lo prenderemo con gli onori e la vanit.... Mandiamogli ogni sorta di malattie, - disse un altro - cos da fargli venire meno la pazienza.... E ciascuno diceva la sua. Ma Belzeb mostrava, con il suo silenzio, di non essere soddisfatto delle proposte fatte, n di altre che si continuavano a fare. Con il tuo permesso - disse alla fine un diavolo piccolo, a cui nessuno aveva badato - vorrei tentare con cose piccole, alle quali nessuno bada. Superbia, avarizia, lussuria, egoismo, vanit, sono cose troppo grosse perch un santo non le avverta subito e si metta in guardia. Sono punti di arrivo, non punti

di partenza: e bisogna arrivarci adagio, molto adagio.... Belzeb, che gi alle prime parole del suo ultimo consigliere aveva rizzato le orecchie in segno di attenzione, lo interruppe quasi subito: Va bene, ho capito, forse hai ragione: affido a te l'affare, e ti do carta bianca. Il diavolo piccolo s'inchin attorcigliandosi la coda intorno ai fianchi pelosi. Sul monte Oliveto il silenzio era altissimo. Pareva che ogni vita fosse spenta e che le tenebre si fossero distese su ogni cosa come un velo di morte. Non un canto di uccello, non un soffio di vento, non un timido muoversi di foglie. Ma quando nel cielo immoto parvero perdere un po' di fulgore le stelle, come se una luce lontana sorgesse per strapparle alla coltre nera del firmamento, una voce umana scoppi improvvisa e giuliva: (Aperi, Domine, os meum, ad benedicendum nomen sanctum tuum:) apri, Signore, la mia bocca, a benedire il tuo santo nome... Cos Pafnuzio salutava, nella notte ancora fonda, la luce che stava per sorgere: e nella luce il Signore della luce, luce della luce e fontana di luce, come aveva cantato il vecchio Ambrogio, vescovo di Milano. A quelle parole il bosco si svegliava: ed era come se un coro di canti, di strilli, di fruscii, di brusii, dapprima tenue e quasi impercettibile, poi sempre pi forte, si unisse alla voce dell'eremita per accompagnarla in alto, oltre la cime del monte, fin dentro gli abissi del cielo: l dove stanno con le ali distese gli angeli che portano a Dio le preghiere degli uomini. Ma non era giunto ancora a fine di mattutino, quando Pafnuzio ud, dietro di s, un rumore non consueto, un lamento come di persona ferita e bisognosa di aiuto. Si volse lentamente e non seppe trattenere un moto di sorpresa: davanti a lui stava un uomo con le vesti a brandelli, il volto rigato di sangue per profonde ferite, gli occhi smarriti e imploranti, quasi fosse per venire meno. E infatti, alzate a stento le braccia, cadde svenuto ai suoi piedi. L'eremita lasci a mezzo la preghiera e si chin sul poveretto. Poco dopo le ferite erano lavate, la testa fasciata alla meglio, il corpo adagiato su di un morbido strato di foglie secche. Quando il malcapitato rinvenne, dalle sue labbra usc, tra un lamento e l'altro, la storia della sua disavventura: era monaco - disse - di un convento di Siena, venuto lass per chiedere consiglio; ma incappato in una banda di ladroni era stato ridotto cos. Domandava in grazia di poter rimanere qualche giorno con lui, finch fosse in grado di tornare in citt. Pafnuzio esit un momento, pensando al suo voto di voler vivere sempre da solo. Ma poi la carit ebbe il sopravvento; certo, se avesse avuto un mulo o un somaro, egli avrebbe rinnovato il gesto del buon Samaritano, portando il ferito almeno fino al primo casolare, laggi oltre la foresta, per lasciarlo in mani sicure; ma non aveva n mulo n somaro: rimanesse pure, quindi, il monaco, con lui, fino a guarigione raggiunta. Non si accorse, il caritatevole eremita, che un lampo di trionfo aveva attraversato, a queste parole, gli occhi del monaco: il quale, come forse avrete gi capito, era il diavole delle piccole cose, che stava dando inizio al suo piano infernale. La prima cosa che fece fu di toccare lievemente la fronte di Pafnuzio, la notte successiva, poco prima che questi si alzasse, come di consueto, a svegliare il bosco con la sua preghiera. Un sonno profondo scese sull'eremita: e invano, quel giorno, gli uccelli, le foglie, la vita della foresta, attesero la voce amica. Il sole era gi alto quando Pafnuzio si dest dal suo terpore. Non voleva credere a se stesso, si stropicciava gli occhi, li apriva, li chiudeva, li riapriva ancora: in vent'anni era la prima volta che un fatto simile gli capitava. Si guard attorno smarrito, come per chiedersi se non fosse un brutto sogno. Quando s'accorse che era una triste realt, si butt in ginocchio percuotendosi il petto e chiedendo perdono a Dio con grida quasi disperate. (Miserere mei, Deus; miserere mei, Deus:) il bosco taceva, tutt'intorno, sbigottito.

Ma ecco, d'un tratto, una voce risuonare timidamente: Con tutto il rispetto che ti devo, padre venerato e santo, non penso sia gradita a Dio questa tua disperazione. Senza volont non c' malizia, e per peccare ci vuole, oltre che la materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso, come ci insegna la Chiesa. Vuoi tu saperne pi di lei, sposa di Cristo e madre nostra? E non potrebbe essere, questo tuo pianto, un atto di orgoglio luciferino? Le insidie del demonio sono sottili, padre mio, sono sottili, sottili.... Chi parlava cos era il monaco, cio il diavolo: il monaco-diavolo che chiameremo, per non ripeterci sempre, frate Insidia. Ora il diavolo , lo sapete bene, anche se decaduto, un angelo: e come tale potentissimo, per permissione di Dio. Non meravigliatevi perci di tutto quello che accadr in seguito, e soprattutto non costringetemi a spiegarvi ogni cosa. Dunque, per quattro giorni successivi il povero Pafnuzio si svegli a mezzogiorno: non